Sorpresa in Salento. Spunta Richard: si parla di Hirschi e non solo

23.10.2024
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CASTRO – Succede che in una gara di mtb nell’estremo lembo meridionale d’Italia s’incontri Pascal Richard. Lo ricordate? E’ stato il campione olimpico ad Atlanta 1996, campione del mondo di ciclocross, ha vinto la Liegi e il Lombardia. Un grande, grandissimo attaccante. Un vero duro degli anni ’90. 

Richard era in Salento, Lecce, per la Castro Legend Cup, una manifestazione che stavamo seguendo per il “fratellino” di bici.PRO, bici.STYLE e ne è nato è questo incontro.

Lo svizzero infatti ha sposato tanti anni fa una ragazza salentina e qui è stato subito accolto come uno di famiglia. Il patron dell’evento, Giuseppe Maggiore, ricorda come da bambino davanti alla tv vedendo vincere Richard gli sembrava che stesse vincendo uno del paese. Pensate che la squadra di ciclismo locale si chiama Ciclo Club Spongano-Pascal Richard. Ormai è un salentino d’adozione: «Specie quando c’è da mangiare!», dice lui.

Al netto di questa insolita storia, l’incontro con Richard è stata un’occasione per scambiare due chiacchiere a tutto tondo sul ciclismo, specie quello svizzero.

Pascal, partiamo dal Tudor Pro Cycling Team. Quanto è importante per il movimento svizzero ora che sta diventando davvero forte?

E’ molto importante. E’ la squadra che prima non c’era. Trent’anni fa la Svizzera è stata molto forte nel ciclismo, ma poi ha avuto un vuoto… a parte Cancellara, che tra l’altro oggi dirige questa squadra. Ora invece ci sono molti bravi corridori in Svizzera: Hirschi, Kung, Bissegger… e spero se ne aggiungano altri. Sono contento che sia arrivato questo team, ma per altri aspetti sono anche deluso.

Di cosa?

La Svizzera è un Paese ricco e nonostante tutto non ci sono molti sponsor per il ciclismo. Un po’ come in Italia. Sarebbe bello che fosse come per lo sci. E io spero possa cambiare qualcosa con questa squadra.

Però voi avete una buona base, non larghissima, ma di qualità. Lo abbiamo visto nelle gare juniores e ancora di più in quelle under 23. Pensiamo a Voisard, cresciuto nella Tudor…

Sì, per esempio c’è Jan Christen. Lui però è nella UAE Emirates, un team in cui tutti lavorano per un leader estremamente forte quale Pogacar. Spero che anche Jan prima o poi possa trovare una strada per emergere come Hirschi.

Conosci Marc Hirschi?

Non bene di persona. Lo conosco perché sono interessato al ciclismo. Guardo molto le gare. Marc mi piace per il suo modo di correre. Feci una volta un giretto in bici con lui e con il povero Gino Mader, la cui scomparsa mi ha toccato profondamente ed era davvero un ottimo corridore che stava crescendo. 

Alla Tudor, secondo Richard, Hirschi potrà realizzarsi definitivamente
Alla Tudor, secondo Richard, Hirschi potrà realizzarsi definitivamente
Quindi ora che non dovrà tirare per Pogacar potrà esplodere del tutto?

Lo spero. Di certo in questa squadra sentirà più fiducia. Ma io credo che ce la possa fare. Guardate cosa ha fatto in UAE: quasi tutte le volte che ha avuto possibilità di fare bene ci è riuscito. Ha vinto cinque gare nell’ultimo periodo. E in passato aveva vinto una tappa al Tour, era stato secondo al mondiale. E poi è anche molto intelligente. Se troverà un buon ambiente, e sicuramente lo troverà, potrà fare bene.

Tu sei stato un esponente anche dell’offroad svizzero: hai vinto un mondiale di ciclocross. Tuttavia attualmente non siete fortissimi in questa specialità. Non avete quella base di numeri che magari avete nella mtb. Perché, secondo te?

Nel cross c’è Loris Rouiller, un giovanotto fortissimo a mio avviso. Proprio questo weekend ha vinto in Francia. Però è uno solo… Nel ciclocross per arrivare a certi livelli serve un grande lavoro specifico. E’ una specialità durissima. Ma poi se guardiamo bene anche nella mtb dopo Nino Schurter chi c’è dietro di così forte? Purtroppo è vero: nel cross in Svizzera abbiamo perso un po’ di organizzazione. Poi quando i ragazzi vanno in Belgio, in Olanda, dove si fa il vero ciclocross, secondo me perdono anche morale. E non ci insistono troppo.

Chiaro…

Io vado spesso a vedere le gare dei giovani, anche quelle più piccole regionali e credo che gente come me serva ancora… anche se sono un vecchio! Magari è un modo per attirare attenzione. Noi dobbiamo esserci, dobbiamo dare una mano. Dobbiamo essere esempio, immagine… per andare avanti.

Cosa ti piace di questo ciclismo?

Questo ciclismo in generale mi piace molto, è divertente. Ma credo anche che non sia poi cambiato molto. Ora c’è Tadej Pogacar. Ho ascoltato anche critiche nei suoi confronti, tipo quelle di Cipollini… ma io credo che non possiamo essere sempre critici nel ciclismo. Perché vederci sempre del male? Vediamo piuttosto il lato positivo. Tadej è come Sagan. Peter portò grande innovazione. Pogacar sta facendo lo stesso. E’ vero, quando parte fa la differenza, ma può succedere. Forse non ci eravamo più abituati. Però io me li ricordo Bernard Hinault, Eddy Merckx… A me Pogacar piace perché è un corridore che va dappertutto. Fa i grandi Giri, le classiche, le corse più piccole… Si butta, non ha paura. Dietro al palco del mondiale ne ho parlato con Mathieu Van der Poel.

Per Pascal il Team Tudor potrà dare moltissimo al movimento svizzero
Per Pascal il Team Tudor potrà dare moltissimo al movimento svizzero
E cosa vi siete detti?

C’era Pogacar vicino a noi. E Mathieu a voce alta facendosi sentire da Tadej mi fa: «Mamma mia, abbiamo fatto 100 chilometri a tutta e non l’abbiamo ripreso». E rideva. Era felice. Al ciclismo serve gente così. Per questo motivo dico che questo ciclismo mi piace. Penso anche alla tecnologia.

A proposito, ti sarebbe piaciuto guidare queste bici velocissime?

Le guido adesso! Ma anche in questo caso torno a dire che non è cambiato nulla. Tutti in tutte le epoche hanno gli stessi materiali: quindi a cosa serve fare paragoni? Certi anziani mi dicono: «Eh, ma il passato è sempre meglio». Ma cosa dicono? E’ uguale.

Un’ultima domanda da un ex ragazzino tifoso di Chiappucci. Cosa ci puoi dire di quella vittoria al Giro d’Italia quando una slavina fece accorciare la tappa a metà del Colle dell’Agnello?

Ah, che giornata! Arrivai in volata con Massi. In fuga c’erano anche Cacaito Rodriguez e altri due o tre corridori. Non mi ricordo di preciso, ma uno era della Banesto. Ricordo che volevo tanto vincere quella tappa e così andai in fuga. Però non sapevo che avrebbero accorciato la tappa per la slavina. Ad un certo punto ci dissero: “Il traguardo è a 10 chilometri da qui”. “Ma come?”, chiedevamo noi. Io temevo Massi, non tanto perché in salita era forte, ma soprattutto perché era un lupo. In corsa sapeva il fatto suo. E così per vincere puntai su di lui. A un chilometro dall’arrivo restammo in due (in tre in realtà, ndr) ma non sapevamo le distanze precise. All’improvviso vidi il cartello dei 300 metri all’arrivo e pensai: “E’ troppo tardi”. Invece feci la volata e andò bene. Insomma, era una tappa al Giro d’Italia!

La storia di Trinca Colonel, ciclista un po’ per caso

18.09.2024
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Una crescita esponenziale, quella di Monica Trinca Colonel, venticinquenne di Grosotto (Sondrio) della Bepink che a inizio stagione era un’autentica sconosciuta quando si presentò al via al Cycling Pro Costa del Almeria e ora viene addirittura dal podio finale a una corsa di prestigio come il Tour de l’Ardeche. Proprio prendendo spunto da quel risultato siamo venuti a conoscenza di una storia curiosa, quella di una ragazza che ha lasciato un posto sicuro per inseguire il suo sogno su due ruote.

La storia di Monica segue un filone abbastanza scontato: il fratello maggiore va in bici. Lei, che da bambina viene attratta da tutto quel divertimento, inizia a fare le gare per piccolini, dove non c’è differenziazione legata al sesso e segue tutta la trafila, con la passione che si fa strada sempre più nel suo cuore.

La valtellinese ha iniziato a gareggiare in Mtb, con buoni risultati fino alle categorie giovanili
La valtellinese ha iniziato a gareggiare in Mtb, con buoni risultati fino alle categorie giovanili

Bici in soffitta, c’è da studiare…

«Mio fratello ha continuato fino agli under 23 – racconta – poi dopo la maturità ha scelto di dedicarsi al lavoro e ha lasciato stare la bici. Io inizialmente pedalavo in mountain bike e su strada, ho fatto i due anni da esordiente poi mi sono dedicata solo alla mtb. Dalle mie parti è molto più frequentata, non c’era un team che mi seguisse su strada, non avevo stimoli per allenarmi, così ho continuato solo sulle ruote grasse.

«Poi però i miei nonni hanno iniziato a stare male e, tra il seguire loro e la scuola, non avevo più tempo per la bici e l’ho messa da parte. Mi sono diplomata alle superiori e mi sono trasferita a Milano per seguire il corso triennale da optometrista. Appena conseguita l’abilitazione ho subito trovato lavoro a Livigno. Ero quasi a casa, un lavoro sicuro che mi piaceva, avevo anche tempo per fare sport. Corsa a piedi, sci di fondo e sci alpinismo, mi sono sempre tenuta in forma, ma la bici non faceva parte della mia quotidianità».

Monica è nata il 21 maggio 1999 a Grosotto (So). Quest’anno ha fatto 50 giorni di corsa con 11 Top 10 (foto Ossola)
Monica è nata il 21 maggio 1999 a Grosotto (So). Quest’anno ha fatto 50 giorni di corsa con 11 Top 10 (foto Ossola)

Valori da professionista

Questo fino a 3-4 anni fa. Stando a Livigno, dove la bici è ormai di casa, la passione pian piano ha ricominciato ad affiorare: «Era più per divertimento, abbinavo la strada alla mountain bike ma privilegiavo quest’ultima che trovavo più rilassante. Nel frattempo però il mio ragazzo che è anche lui appassionato di bici, mi diceva che andavo davvero forte e che dovevo provare a fare qualche gara a livello amatoriale. Ho visto così che senza allenarmi specificamente ottenevo risultati, anche se durante la pausa pranzo dal lavoro riuscivo a dedicare solo un’oretta all’allenamento. Ma tanto bastava.

«Vedendo le mie prestazioni, il mio ragazzo mi ha detto che avevo un “motore” da corse professionistiche e dovevo almeno provarci, così un giorno mi ha portato a fare dei test ed effettivamente avevo valori inusuali per un’amatore. Iniziavo a pensarci: al negozio venivano spesso tanti ciclisti, anche professionisti e non posso negare che un po’ d’invidia la provavo, anche ripensando alle mie esperienze da piccola quando tutti mi dicevano che ero bravina. Così cresceva in me la voglia di provarci, ma sapevo che era difficile conciliare il ciclismo con il lavoro. Se lo prendi seriamente, devi fare una scelta. Era un salto nel buio».

Il podio del Tour de l’Ardeche, vinto da De Jong (NED) su Bunel (FRA) e Trinca Colonel
Il podio del Tour de l’Ardeche, vinto da De Jong (NED) su Bunel (FRA) e Trinca Colonel

Tante mail, risponde Zini

Monica ha preso così il coraggio a due mani e ha iniziato a scrivere a tutti i team. Risposte non ne arrivavano, quei dati non solleticavano la curiosità, almeno finché non sono passati al vaglio di Walter Zini, che ha deciso di conoscerla e di darle una chance.

«Ero al settimo cielo – riprende Monica – ho fatto un test specifico con loro e mi hanno confermato che avevo valori ideali per provare a gareggiare. Così mi sono licenziata e ho deciso di provarci, almeno per un paio d’anni».

Monica si è così ritrovata di punto in bianco proiettata in un mondo diverso dalla sua quotidianità, ben diverso da quello che aveva lasciato anni fa: «Non era lo stare in gruppo che mi spaventava, ho visto che da quel punto di vista le nozioni apprese sono subito riaffiorate e mi sono trovata bene. Mi sentivo però spaesata, facevo le gare senza neanche sapere dove fossi, che cosa stessi facendo. Man mano però vedevo che miglioravo, ogni prova era diversa dalla precedente, mi trovavo sempre più a mio agio e con numeri in costante miglioramento. La stagione è stata un crescendo sia dal punto di vista delle prestazioni che dell’impegno, trovandomi presto a gareggiare anche nel WorldTour».

La valtellinese ha ottime doti di scalatore, anche su salite lunghe, ma si difende bene anche a cronometro
La valtellinese ha ottime doti di scalatore, anche su salite lunghe, ma si difende bene anche a cronometro

Portata per le gare a tappe

Monica Trinca Colonel non si è certo risparmiata, considerando che ha fatto già 50 giorni di gara con 11 Top 10. La cosa che colpisce è che attraverso lei, la BePink si è ritrovata fra le mani un gioiello utile soprattutto nelle corse a tappe.

«Effettivamente ho capito che nelle gare di più giorni rendo meglio, perché ho ottime doti di resistenza e recupero, sono naturalmente portata. Poi mi piacciono le salite lunghe, quindi posso lottare per la classifica. Ma mi piacciono anche le corse d’un giorno, anzi penso che lì ho più margini di miglioramento».

Quando si è trovata a gareggiare nel WorldTour come ad esempio al Giro d’Italia non si è minimamente impaurita: «Il livello è diverso, più alto. E’ emozionante gareggiare contro le più forti al mondo, quel che impressiona è che vedi tutto più grande. Ma quando si è in gara si è sempre l’una contro l’altra, si parte tutte dallo stesso punto, poi vince chi ne ha di più. Non ho timori reverenziali, io faccio la mia parte».

La Strade Bianche è la gara che l’ha entusiasmata di più, pur senza grandi riscontri
La Strade Bianche è la gara che l’ha entusiasmata di più, pur senza grandi riscontri

Il sogno della Strade Bianche

La sua gara preferita? Curiosamente una corsa dove il risultato non è stato di quelli di spicco: «E’ la Strade Bianche, avevo sempre sognato di correrla e quest’anno mi sono ritrovata a farla, con tanta gente intorno che ti incita e ti dà la forza per superare ogni tratto difficile. Sono arrivata solo 38esima, ma è stata un’esperienza unica».

La sua stagione è stata un crescendo fino al podio in una gara di prestigio come il Tour de l’Ardeche: «Sapevo di poter far bene anche se non ero al massimo della forma. Ho mantenuto un livello costante e grazie a questo vedevo che in classifica miglioravo progressivamente, fino a conquistare il podio finale. E’ il miglior risultato stagionale, ma non voglio fermarmi qui».

Nella sua annata ben 8 corse WorldTour, un mondo dove si è subito adattata. Qui al Tour de Suisse
Nella sua annata ben 8 corse WorldTour, un mondo dove si è subito adattata. Qui al Tour de Suisse

Il diploma messo da parte

Poi comunque, vada come vada, c’è sempre quel diploma pronto nel cassetto: «L’abilitazione ce l’ho e in quel campo un lavoro si trova facilmente. So di avere un’alternativa e questo mi fa affrontare il tutto con più tranquillità, vada come vada».

Un corso dai 14 anni in su, l’idea nuova dell’Us Carbonate

05.08.2024
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In questi giorni di grande frenesia sportiva, una piccola notizia ha richiamato l’attenzione verso l’impegno per la promozione del ciclismo. Qualcosa di inconsueto, un modo diverso di intendere le due ruote e soprattutto la ricerca di nuovi talenti. Gli artefici sono i responsabili dell’Unione Sportiva Carbonate, società lombarda fondata nel 1972 e che ha sempre lavorato con le categorie giovanili, le più piccole. Organizza un evento di prestigio per gli allievi (ma da qualche tempo è stata spostata al calendario esordienti) come il Gran Premio Industria e Commercio giunto quest’anno alla cinquantacinquesima edizione.

Il GP Industria e Commercio è giunto quest’anno alla 55esima edizione
Il GP Industria e Commercio è giunto quest’anno alla 55esima edizione

Un bando di Sport e Salute

L’iniziativa in questione è un corso riservato ai ragazzi dai 14 anni in su, per avviarli alla pratica del ciclismo. Qualcosa di davvero insolito, considerando che a quell’età si pensa che l’uso della bici sia stato già incamerato e ancor di più la pratica agonistica, in un’epoca dove si va alla ricerca spasmodica della velocità.

A spiegare le ragioni dell’iniziativa è Mauro Antognazza, dirigente del team e primo promotore di questa idea: «Noi abbiamo semplicemente risposto a un bando proposto dalla società governativa Sport e Salute che metteva a disposizione fondi per un centro di aggregazione per i giovani, rivolto a chi non fa abitualmente sport e a chi è in condizioni economiche disagiate. Ci siamo collegati con altre due associazioni, una che fa calcio e l’altra musica, proponendo la nostra idea legata all’utilizzo della bici. Abbiamo creato insieme un progetto con l’appoggio del Comune».

L’Us Carbonate è attiva fin dal 1972. Si occupa principalmente di giovanissimi ma è in espansione
L’Us Carbonate è attiva fin dal 1972. Si occupa principalmente di giovanissimi ma è in espansione
Ora il progetto a che punto è?

L’idea è stata accettata, ora dobbiamo pensare, per la nostra parte, a renderla eseguibile e per questo stiamo cercando istruttori che siano disposti, dietro un modico rimborso spese, a fare da insegnanti. L’idea è molto valida perché è rivolta a un target che normalmente non viene considerato, non trova riscontri. Può davvero diventare un centro d’aggregazione che metta insieme esperienze diverse.

Entrando nello specifico dell’argomento ciclistico, voi avete intendimenti agonistici con i vostri corsi?

Noi proponiamo l’utilizzo della bici come strumento di divertimento puro, insegnando a usarla nel modo migliore, come mezzo di spostamento, di passeggiata, magari a lungo termine anche agonistico, perché no, anche se noi siamo già impegnati da quel punto di vista continuando la nostra politica tesa alle categorie più giovani. Avevamo però l’idea di espanderci, di arrivare anche fino agli juniores con i ragazzi che già abbiamo, questa iniziativa parallela potrebbe anche dare nuova linfa ai nostri propositi.

L’originalità dell’idea è data dal fare corsi dall’adolescenza in su, un target poco considerato
L’originalità dell’idea è data dal fare corsi dall’adolescenza in su, un target poco considerato
Avete però sottolineato come il progetto si rivolga a chi vive una realtà disagiata. E’ presumibile quindi che siate voi a fornire tutto il necessario per la pratica ciclistica, bici compresa…

I fondi serviranno principalmente a questo, a fornire i mezzi a noi come agli altri per permettere ai ragazzi di effettuare le loro attività. Chissà, potrebbe anche nascere qualche sbocco lavorativo. A noi, e con noi intendo tutti coloro che sono coinvolti nel progetto, l’interesse è dare la più ampia varietà di scelta: si potrà pedalare ma anche fare corsi di filmaker, oppure di calcio. Siamo sicuri che ciò attirerà molti ragazzi invogliati a scegliere una strada per divertirsi e magari costruirsi un futuro.

Che cosa darete a chi si iscriverà?

Tutto: bici, abbigliamento, la tessera gratuita. Abbiamo firmato l’accordo proprio in questi giorni, già a settembre contiamo di avere i fondi per cominciare ad acquistare il necessario. Questo è un progetto pilota, nelle prossime settimane siamo estremamente curiosi di capire che risposta avrà anche attraverso una precisa campagna di promozione che faremo, principalmente sui social. Contiamo di attirare gente anche dalle zone limitrofe: i corsi andranno dai 14 ai 34 anni, ma sarà nella fascia più giovane che speriamo di raccogliere adesioni.

La società lombarda ha aderito a un bando di Sport e Salute, dedicato non solo allo sport
La società lombarda ha aderito a un bando di Sport e Salute, dedicato non solo allo sport
C’è comunque anche uno sbocco agonistico all’orizzonte?

Noi confidiamo di sì. Abbiamo una piccola pista a disposizione nel parco pineta di Appiano Gentile dove i ragazzi potranno impratichirsi e quelli che troveremo più preparati e pronti, faranno anche dei corsi di formazione tecnica. Se si appassioneranno li metteremo in condizione di continuare e magari di trovare una strada anche nel ciclismo agonistico. Intanto dal prossimo anno apriremo la nostra sezione agonistica dedicata agli esordienti, poi vedremo come si andrà avanti. Ora serve trovare gente che possa darci una mano, che possa rinforzare la nostra struttura tecnica. Noi confidiamo che sia un’idea innovativa e funzionante, ma solo il tempo darà le risposte.

La medaglia di legno di Braidot e gli altri: la mtb azzurra a Parigi

03.08.2024
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Con il commissario tecnico della nazionale italiana di mountain bike, Mirko Celestino, ci eravamo lasciati a maggio. In quel momento il tecnico si aspettava degli squilli importanti dai ragazzi e dalle ragazze che avrebbe portato a Parigi. Sin lì in effetti non si erano visti molto, ma proprio dopo quell’intervista arrivarono le risposte che Celestino aspettava.

Risposte che, nelle gare conquistate da Ferrand Prevot e Pidcock, si sono trasformate nel complesso in una buona gara a cinque cerchi da parte dei ragazzi, con un bronzo sfiorato da Luca Braidot. O forse tolto dalla malasorte. Fatto sta che il friulano, Simone Avondetto, Martina Berta e Chiara Teocchi, chi più chi meno, hanno fatto bene.

Il cittì Celestino con Martina Berta
Il cittì Celestino con Martina Berta
Mirko, partiamo ovviamente da Braidot: alla fine non male, per come si era messa. Anche se la medaglia è stata “di legno”.

Visto tutto quello che Luca ha fatto per arrivare lì, siamo venuti via con un po’ di amaro in bocca. Alla fine si accettano anche queste cose, sappiamo che la mtb è uno sport che prevede con una certa frequenza questa problematica, la foratura o il guasto meccanico. E a volte oltre alle prestazioni serve un pizzico di fortuna.

Che foratura è stata? Ricordiamo che Braidot ha forato la gomma anteriore al secondo giro…

Nasce da un suo errore. Il che ci sta in certi frangenti. E’ avvenuta in un punto “stupido”. Ci siamo stati, soprattutto con le ragazze, tutta la settimana. Tutto il tempo a dire: «Metti le ruote lì. Fai questa linea qua…». Ma niente, se non entravi bene in quel punto erano guai. E infatti quella roccia ha “battezzato” parecchie gomme.

Chiaro, venivano fortissimo, erano ancora in tanti e non si ha sempre la possibilità di scegliere la propria linea…

Esatto. Erano ancora tutti in fila, la velocità era altissima ed è bastato pochissimo perché pizzicasse la ruota anteriore.

I biker azzurri a Parigi (da sinistra): Martina Berta, Simone avondetto, Chiara Teocchi e Luca Braidot (foto FCI)
I biker azzurri a Parigi (da sinistra): Martina Berta, Simone avondetto, Chiara Teocchi e Luca Braidot (foto FCI)
Poi cosa è successo?

E’ arrivato ai box e devo dire che i meccanici hanno fatto un bel cambio, e via. Merito a lui perché vista la situazione e i ritmi non pensavo proprio che riuscisse a reagire in quella maniera. E’ tornato vicino alla medaglia, è stato un grande per quello che ha fatto. Anche perché la sua foratura è avvenuta nel momento peggiore.

Cioè?

Proprio in quell’istante Pidcock stava attaccando. Mi hanno comunicato: «Luca ha bucato» mentre Pidcock mi passava davanti con Koretzky a ruota. Da lì si è accesa la gara e ho detto: «Addio, questa foratura la paga doppia». E invece si è è messo sotto ed è arrivato fino a 7” dal podio. L’ultimo giro lo vedevo che passava con i denti stretti. Luca ha cambiato faccia nell’ultimo giro: era trasfigurato, ma è normale. Non è mai riuscito a trovare un attimo per respirare. Ma non poteva fare altro. Si è detto: «Tiro dritto e se salto, salto…».

E degli altri, cosa ci dici?

Avondetto era contentissimo della trasferta, ma non della gara. Non era un percorso adatto alle sue caratteristiche, perché era un tracciato, come si dice in gergo ciclistico, da gente con gamba piena. Mentre lui preferisce anelli più tortuosi e tecnici, però ha finito a testa alta. La reazione che ha avuto alla fine mi è piaciuta tantissimo perché nonostante fossero le sue prime Olimpiadi, e nonostante il posto se lo sia guadagnato senza rubare niente a nessuno, all’arrivo aveva una faccia triste. Io gli ho detto: «Simo, deluso?» e lui ha risposto solo con sì. Un sì secco, senza dire altro o cercare scuse. E questa è una mentalità vincente. Sia lui che Luca sono stati due ragazzi splendidi. Luca lo conosco di più, sono ormai tanti anni che ci lavoro, ma gli si leggeva negli occhi quello che voleva fare. In otto anni da commissario tecnico non l’avevo mai visto così. Aveva la cattiveria negli occhi, la determinazione. Ogni tanto andavamo giù nel garage dove c’erano le bici e lui era lì da solo che guardava la sua. La controllava. Pensava. Poi tornava in camera. E di nuovo tornava giù.

Braidot a tutta, dopo la foratura è stato a lungo il più veloce in pista. Ma non è bastato…
Braidot a tutta, dopo la foratura è stato a lungo il più veloce in pista. Ma non è bastato…
Storie olimpiche…

Davvero un atteggiamento bellissimo, intenso. Quello per me è stata la vittoria. Mi piace vedere gli atleti così. E’ quello che voglio.

E le ragazze?

Da Chiara Teocchi alla fine non si poteva pretendere chissà cosa. Lei ogni tanto tira fuori il coniglio dal cilindro, come è visto in Brasile per esempio, ma ha fatto il suo. Pensavo ad una top 10 per lei, è arrivata undicesima. Siamo lì. Ha lottato molto. Un po’ più di delusione c’è per Martina Berta, ma la perdoniamo perché comunque è giovane. In realtà pensavo che tutta questa stagione riuscisse a fare qualcosa di più.

E’ arrivata 14ª, realisticamente la vedevi sul podio, oppure una top 5 sarebbe stata più alla sua portata?

Dai segnali che aveva dato in Coppa se fosse arrivata nelle cinque sarebbe stata una vittoria. Ma ripeto, è giovane. Martina ha fatto una bellissima partenza, poi però l’ha pagata giro dopo giro. Speriamo che queste gare così importanti facciano bene alle ragazze e che riescano ad arrivare all’appuntamento con la determinazione che avevano gli uomini. Ad Olimpiadi e mondiali ormai bisogna andare per vincere, non per partecipare. Tre anni fa a Tokyo si percepiva proprio nell’aria che c’era qualcosa che non andava. Sembravano tutti già appagati per il solo fatto di essere lì. 

Stavolta insomma è stato diverso…

Una delle cose bellissime che mi ha detto Luca mesi fa è stata: «Mirko, se non avrò la gamba per competere ad alto livello alle Olimpiadi, lascio il posto ad un altro. Non voglio tornare a casa come a Tokyo perché è stata una delle sconfitte più brutte della mia carriera».

Chiara Teocchi in azione, la lombarda ha chiuso all’11° posto
Chiara Teocchi in azione, la lombarda ha chiuso all’11° posto
Ultima domanda Mirko, che è più una curiosità: era giusto questo percorso per un’Olimpiade? Secondo molti era troppo veloce. Tuttavia i valori in campo sono stati rispettati…

Ha vinto il più forte, secondo Koretzky, terzo Hatherly. Sapete una cosa? Durante la mattina stavo andando sul campo gara con gli altri dello staff e gli ho detto: «Ora che siamo lontano dai ragazzi facciamo i pronostici». Ho detto il mio: Pidcock, Koretzky, Hatherly e Luca nei cinque.

Preciso…

Questo per dire che nonostante il percorso non piacesse alla maggior parte dei ragazzi (non solo italiani, ndr), i valori sono stati rispettati. In effetti sembrava più una pista infinita di pump track molto scorrevole, con tutti appoggi e velocissima.

Pidcock torna alla mtb. Col Tour sempre nel mirino

17.06.2024
5 min
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Una cosa è certa: nessuno sta affrontando il percorso di avvicinamento al Tour de France come Tom Pidcock. Il suo è un continuo saltellare dalla bici da strada alla mtb e solamente il futuro dirà se è quello giusto. Il britannico è per certi versi tirato per la giacchetta tra chi guarda alla Grande Boucle sognando un possibile podio e chi invece punta a un clamoroso bis olimpico nelle ruote grasse, non dimenticando il fatto che, fra la conclusione della corsa a tappe e la prova di mtb a cinque cerchi ci saranno solamente 8 giorni.

Il primo a essere conteso è lo stesso britannico della Ineos Grenadiers (in apertura, foto Ramos) che vuole entrambe le cose e non ne fa mistero. Per questo si allena contemporaneamente per le due discipline, seguendo schemi che ha collaudato nel tempo. Il bello è che lo stesso Tom ne parla tranquillamente, molto meno tranquillo è il suo preparatore Kurt Bogaerts, che già di per sé è molto restio a comparire e che sul tema non proferisce parola, pensando a continuare a far lavorare il suo pupillo.

Pidcock ha chiuso 5° nella cronoscalata finale in Svizzera, a 50″ da Almeida
Pidcock ha chiuso 5° nella cronoscalata finale in Svizzera, a 50″ da Almeida

5 utili giorni di montagna

Pidcock è reduce da un Giro della Svizzera che, al di là del sesto posto finale, gli ha lasciato ottime sensazioni, soprattutto la cronoscalata: «Ho fatto la mia miglior prova contro il tempo da quando sono professionista – ha affermato all’arrivo – Quando ho iniziato la corsa elvetica ero appena sceso dall’altura e all’inizio le gambe non giravano, ma col passare delle giornate sono andato sempre meglio. I dati sono molto incoraggianti, soprattutto ritengo utile aver affrontato cinque giorni consecutivi di montagna, mi hanno fatto sentire sempre meglio ed è stato il miglior viatico per il Tour».

Ora però Pidcock resta in Svizzera. Niente campionati nazionali, c’è un altro evento che l’interessa: «Il fine settimana sarò a Crans Montana per affrontare la tappa di Coppa del Mondo di mountain bike, è un test importante per misurarmi con i miei avversari a Parigi. La forma c’è, ora bisogna riabituarsi in pochi giorni a un tipo di sforzo molto diverso».

Sesto posto finale nella corsa a tappe elvetica, dopo un inizio difficile buone sensazioni in salita
Sesto posto finale nella corsa a tappe elvetica, dopo un inizio difficile buone sensazioni in salita

Due allenamenti complementari

Il principale cruccio del britannico è proprio il lavoro specifico per la mountain bike, che viene giocoforza un po’ penalizzato in questo periodo della stagione: «So che non mi alleno in mtb quanto dovrei – ha detto in un’intervista su Cycling Weekly – ma io penso che i due tipi di allenamento siano abbastanza intercambiabili. Ora sto sicuramente facendo più sforzi in superleggera, il che significa fare più volume, ma questo lavoro si rivelerà utile anche per il fuoristrada. Io sono convinto che le due discipline si completino a vicenda».

Il passaggio repentino da una disciplina all’altra è per Pidcock cosa usuale, è anzi diventato una sorta di tradizione. Molti sono rimasti stupiti dalla sua scelta, all’indomani della sua quarta vittoria a Nove Mesto, nella tappa di Coppa, di atterrare a Barcellona e da lì, al lunedì, effettuare più di 230 chilometri verso la sua casa ad Andorra, il che vuol dire oltre 4.000 metri di dislivello: «Ho impiegato più di 8 ore in bici” affermava tramite social per poi spiegare nel dettaglio.

Pidcock prepara il Tour de France dove punta a far classifica, per poi pensare al bis olimpico
Pidcock prepara il Tour de France dove punta a far classifica, per poi pensare al bis olimpico

I lunghi viaggi in mtb

«I lunghi viaggi mi danno la possibilità di decomprimere la mente, di rilassarmi. Oltretutto, in bici ho scoperto posti e visto località che in auto non avrei mai apprezzato. Già due anni fa feci il trasferimento da Albstadt in Germania a Nove Mesto in Repubblica Ceka in bicicletta, oltre 190 chilometri e i risultati non mi pare che ne risentirono… Per me quella è una tradizione di primavera, è come se avesse un valore al di là dell’aspetto prettamente tecnico, è un buon auspicio. E poi sono sempre chilometri messi in cascina…».

Chi pensava che l’amore di Pidcock per la mtb stesse venendo meno (visto che aveva preannunciato come dal 2025 si dedicherà quasi esclusivamente alla strada) è servito. D’altronde i risultati che il britannico ottiene in mountain bike sono strategici nell’evoluzione della sua carriera. Quindi risponde stizzito a chi lo critica: «Sarò io e nessun altro a decidere come voglio che sia il mio Tour de France. Altrimenti non si otterrà nulla da me. Devo credere nella mia idea di come affrontare la Grande Boucle, come avvicinarmi, che cosa fare.

In mtb il britannico ha già dominato a Nove Mesto, per la quarta volta in carriera
In mtb il britannico ha già dominato a Nove Mesto, per la quarta volta in carriera

«Nessuno sarà come Pidcock…»

«Chi mi è accanto sa come lavoro e quanto sono serio, so che cosa serve per ottenere il mio obiettivo. So che molti guardano la mia carriera, paragonandola a quella di Pogacar o Evenepoel che sono della mia generazione e mi criticano. Ci sta, ma credo che al termine della mia carriera, se avrò vinto una classica Monumento o un mondiale su strada, unendoli a quel che ho portato a casa fra ciclocross e mountain bike, si potrà dire che come Pidcock non c’è stato proprio nessuno…».

Verso Parigi. Uno sguardo alla mtb con il cittì Celestino

21.05.2024
5 min
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E’ l’anno olimpico e la mtb trova spazio anche sulle nostre pagine web. In particolare la mtb azzurra. Con la Coppa del mondo che entra sempre più nel vivo e con l’approssimarsi delle convocazioni, il cittì Mirko Celestino ci spiega chi sono i papabili olimpici e anche come sarà il cammino azzurro da qui a Parigi.

La situazione non è facile, ma neanche nera. Se senatori e senatrici sono un po’ mancati sin qui, abbiamo avuto belle risposte dai giovani. E la vittoria del team relay e di Simone Avondetto (in apertura) ai recenti europei in Romania è la prova di un buon gruppo. In attesa delle convocazioni ufficiali, che avverranno dopo la tappa di Nove Mesto ecco cosa ci dice Celestino.

Il cittì Mirko Celestino con Luca Braidot prima dell’ultimo europeo (foto UEC)
Il cittì Mirko Celestino con Luca Braidot prima dell’ultimo europeo (foto UEC)
Mirko, come procedono dunque i tuoi lavori in vista di Parigi?

Si va avanti. Veniamo da alcuni eventi internazionali importanti e ora si avvicinano alcune prove di Coppa del mondo, a partire da quella di Nove Mesto dopo la quale avrò le idee un po’ più chiare. Anche se dentro di me già lo sono.

All’europeo una bella vittoria di Simone Avondetto…

Lui è quello che sin qui ha fatto meglio di tutti e non solo all’europeo. Simone viene da un buon periodo e ha “fame”. E’ molto giovane. Nel suo ultimo anno da under 23 ha messo a segno una tripletta importante vincendo il campionato italiano, quello europeo e quello mondiale. Lo scorso anno, il primo tra gli elite, ha avuto problemi, anche fisici: una stagione non dico da buttare ma complicata. Ma è ripartito col piede giusto.

Lui quindi è chiaramente inserito nella lista lunga per le Olimpiadi. E gli altri?

Gli altri sono i fratelli Luca e Daniele Braidot, Juri Zanotti per gli uomini e per le donne Martina Berta, Chiara Teocchi, Greta Seiwald e Giada Specia. Dico che nomi importanti come Luca Braidot e Martina Berta sin qui hanno fatto vedere davvero poco e infatti già da Nove Mesto mi aspetto segnali importanti da loro. Okay, sapevo che in Brasile (prima tappa di Coppa, ndr) non sarebbero partiti forte, ma poi non hanno mai brillato. E se pensano che la condizione arrivi da una settimana all’altra si sbagliano.

Simone Avondetto, 24 anni, con la maglia di campione europeo. La certezza di Celestino sin qui (foto UEC)
Simone Avondetto, 24 anni, con la maglia di campione europeo. La certezza di Celestino sin qui (foto UEC)
Quindi, sono nella lista ma devono mostrare qualcosa…

Esatto. Voglio delle risposte. Risposte che mi sarei aspettato anche prima. Il fatto che fossero sicuri del pass olimpico non significa che debbano prendersela comoda. Non è giusto. E se non dovessero arrivare segnali da parte loro… mi metterebbero in grossa difficoltà. Io non dico che a Nove Mesto debbano vincere, ma voglio almeno una top dieci.

Tornano in discussione dunque?

Se tra Nove Mesto, Val di Sole e Crans Montana, le due prove di giugno, non arrivano prestazioni importanti la vedo dura anche per Parigi. La mia esperienza mi dice questo. Okay, partire più piano per essere al top a Parigi, ma già in Brasile ad inizio stagione gente che punta all’oro ha vinto, o era davanti. E da Luca Braidot e Martina Berta mi aspetto che vadano alle Olimpiadi per portare a casa una medaglia, perché hanno l’esperienza, la maturità e i numeri per farlo.

Ora come procede il tuo lavoro?

Dopo Nove Mesto, l’UCI, visti alcuni cambiamenti sul percorso di Parigi, ci ha concesso due giorni di prova, di allenamento, a fine mese (28-29 maggio). Lì porterò tre uomini e tre donne. I due titolari e la riserva. Ad ora Luca Braidot, Juri Zanotti e Simone Avondetto, tra gli uomini. E Martina Berta, Chiara Teocchi e Greta Seiwald tra le donne. Quindi non più nove atleti come lo scorso anno per il test event, quando furono cinque uomini e quattro donne. Significa che una scrematura già sarà stata fatta.

E come staff?

Anche quello sarà lo stesso che vedremo impegnato a Parigi. Quindi due meccanici, un massaggiatore e anche Nicola Casadei, ex downhiller ed endurista. Lui è bravissimo, è importante per la scelta delle linee, per i nuovi modi di guidare. E’ una figura molto determinante visti i percorsi di oggi e poi sa comunicare bene con i ragazzi.

Da inizio stagione Chiara Teocchi è stata la migliore delle nostre biker (foto Red Bull content Pool)
Da inizio stagione Chiara Teocchi è stata la migliore delle nostre biker (foto Red Bull content Pool)
Tra i nomi fatti non è emerso quello di Gioele Bertolini

Se è per questo neanche quello di Nadir Colledani. Gioele sta andando fortissimo. Ha vinto tre gare, ma serviva più costanza anche prima. Vediamo, anche per lui, come andranno queste ultime gare. 

Mirko, su strada ormai si punta forte sugli juniores, anche nella mtb è così?

Non proprio, qui la categoria under 23 ha ancora il suo bel peso. Ci sono step tecnici, fisici e tattici molto ampi. Il salto tra juniores ed elite è enorme. Anche in virtù dello sforzo fisiologico che sono chiamati a fare: ormai è un’ora e 20′ a tutta, serve una potenza enorme. Ai tempi di Kerschbaumer dopo le partenze forti c’era una fase di stallo, di studio e infatti “Kersch” recuperava. Oggi questa cosa non esiste più. 

E il nostro movimento come è messo? Come sono i numeri della base?

I numeri non sarebbero neanche male è che poi ragazzi e ragazze fanno fatica ad emergere quando bisogna fare davvero la vita da atleti, i sacrifici… Tu puoi avere i migliori mezzi, il miglior staff, ma se poi non hai quel fuoco dentro è dura. Serve fame, fame agonistica. E infatti chi sono i nuovi emergenti? Ragazzi che vengono da Romania, Brasile, Cile…

Philipsen, sei pronto a diventare un vincitutto?

17.05.2024
6 min
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Vincere la Corsa della Pace è già di per sé un patentino di qualità, farlo con indosso la maglia di campione del mondo significa che siamo di fronte a un vero campione. Se poi lo si fa alla maniera di Albert Withen Philipsen, allora siamo davvero in presenza di qualcosa di molto importante.

Il danese ha dominato la breve cronometro imponendo distacchi pesanti. Una nuova freccia al suo arco
Il danese ha dominato la breve cronometro imponendo distacchi pesanti. Una nuova freccia al suo arco

Salvoldi, parlando della corsa in Repubblica Ceca era stato chiaro nel definire come la superiorità del danese fosse stata un fattore discriminante, ad esempio per come aveva condotto l’inseguimento a Bessega nella penultima tappa. Ricordando come la vittoria di Philipsen avesse sorpreso tutti ai mondiali di Glasgow, come lo stesso danese avesse sottolineato le sue persistenti difficoltà a gestirsi in una corsa su strada rispetto a una del suo primo amore, la mountain bike, un simile crescendo stupisce.

«E’ stato un inizio stagione pieno di alti e bassi – racconta Philipsen appena tornato nella sua Danimarca – sono davvero contento di aver vinto una classica corsa a tappe come quella ceca, ma anche deluso di non aver potuto ottenere di più alla Roubaix, dopo che si era messo tutto al meglio, ma allo sprint non sono stato abbastanza veloce. Erano i due obiettivi di questo inizio stagione, diciamo che averne centrato uno è positivo ma volevo di più».

Lo sprint perso da Philipsen nella prima semitappa. Un aspetto sul quale lavorare (foto organizzatori)
Lo sprint perso da Philipsen nella prima semitappa. Un aspetto sul quale lavorare (foto organizzatori)
Le due maglie iridate ti hanno dato qualcosa in più in termini di tua sicurezza in corsa, di personalità?

Sì, soprattutto su strada. Avere quella maglia indosso ti porta ad essere più tattico e un po’ più creativo nel modo in cui corri perché tutti guardano te. Quindi abbiamo 50 ragazzi che fissano la tua ruota posteriore e reagiscono ogni volta che attacchi. Quindi questo rende tutto un po’ più difficile e devi davvero usare la tua energia con saggezza, altrimenti la sprechi e basta. Quella maglia ti dà effettivamente qualcosa in più.

Alla Course de la Paix sei sembrato il vero padrone della corsa. Quanto ha influito la squadra?

Hanno fatto davvero una grande differenza. È stata davvero una prestazione di squadra e non avrei potuto farcela senza di loro. Naturalmente sono stato io a vestire la maglia, ma è stata l’intera squadra a vincerla. Sì, hanno fatto una performance straordinaria e sono davvero grato di quanto mi hanno aiutato. Facendomi stare al sicuro nel gruppo e aiutandomi a controllare tutto, hanno reso possibile che ogni gara potesse essere pianificata come volevamo.

Per l’iridato fondamentale è stato l’apporto dei compagni di squadra, tutti al suo servizio
Per l’iridato fondamentale è stato l’apporto dei compagni di squadra, tutti al suo servizio
Rispetto al Philipsen di un anno fa, nelle corse su strada quanto sei migliorato?

Direi molto. Non so dire con precisione quanto sia migliorata la mia resa in gara. Ovviamente ho scoperto che ho fatto dei passi avanti, ma è più una questione di come corro, delle tattiche attuate in corsa, un progresso c’è stato. Mi sento più sicuro. Le dinamiche in una gara su strada sono migliorate molto, penso di essere cresciuto in modo molto più intelligente ora rispetto all’anno scorso e posso davvero vedere come questo sta influenzando le mie corse. Posso sprecare molte meno energie non dovendo andare sempre in fuga, utilizzandole quando conta.

Dopo Glasgow avevi detto di avere ancora qualche problema a correre in gruppo. Ora sei migliorato e quanto ciò è utile nella scelta delle strategie?

Rende tutto molto, molto più semplice quando non hai paura di essere nel gruppo. Mi sono abituato di più, quindi non mi dà più fastidio e potrebbe rendere le corse molto più facili perché l’anno scorso ero in testa per la maggior parte delle gare. Mi gestisco meglio, rimango un po’ più indietro nel gruppo e guardo come stanno guidando tutti gli altri. Questo consente di prevedere la gara e risparmiare anche molta energia. Era un passaggio fondamentale e lo sto completando.

L’iridato (casco rosso Trek) ha ormai imparato a stare in gruppo, seguendo le mosse degli altri
L’iridato (casco rosso Trek) ha ormai imparato a stare in gruppo, seguendo le mosse degli altri
Dove trovi più concorrenza fra le due discipline?

È una domanda difficile. Non ho corso molto quest’anno in mtb e nelle due prove vinte di Junior Series non c’erano proprio tutti i migliori, quindi è difficile dare una risposta compiuta. Nell’ultimo fine settimana di maggio gareggerò in Coppa del mondo a Nove Mesto, penso che lì avrò un quadro chiaro del mio livello rispetto agli altri. Su strada posso dire che il livello è più alto rispetto al 2023, è una disciplina davvero competitiva e al momento sono tutti super forti. La cosa che mi colpisce di più è quanto professionale sia il livello di lavoro generalizzato degli juniores.

Il prossimo anno passerai alla Lidl-Trek. Sai già se continuerai a correre sia su strada che in mountain bike?

Continuerò a promuovere entrambi questi piani. Sono stato molto chiaro in questo nella mia scelta. Il mio obiettivo principale sarà la strada, ma ho deciso che voglio continuare a correre anche un po’ in mountain bike quando avrò tempo per farlo. Non saranno così tante gare, ma mi piace molto tornare alla mountain bike e talvolta anche all’ambiente della mountain bike, è una valvola di sfogo. Per me un modo per mantenere alto il livello di divertimento.

Per Philipsen due vittorie nelle Junior Series di mtb in Spagna, a Chelva e Banyoles (foto Ocisport)
Per Philipsen due vittorie nelle Junior Series di mtb in Spagna, a Chelva e Banyoles (foto Ocisport)
Molti aspettano il tuo passaggio parlando di un nuovo campione che presto sarà all’altezza di Pogacar, Evenepoel, Van der Poel. Questo ti mette pressione addosso?

Non penso di prenderlo come una pressione, ma più come un complimento. Ma è difficile prevedere quale sarà il mio livello perché sono ancora giovane e ho ancora molto sviluppo da fare, non ho mai gareggiato contro i primi, quindi è difficile sapere come andrà a finire in futuro. E’ ovvio che spero di essere come alcune delle grandi star in futuro. Questo è l’obiettivo della mia carriera.

Dopo la Course de la Paix ti ritieni più un corridore da classiche o per corse a tappe?

Un’altra domanda difficile… Penso che in questo momento sono un po’ un tuttofare e vorrei continuare così almeno per ora. Ed è difficile capire tra i ranghi juniores che tipo di corridore sei. A questo livello penso che sia possibile fare un po’ di tutto, quando sali di categoria diventa un po’ più chiaro che caratteristiche avere. Io vorrei rimanere un corridore completo, in grado di vincere sempre. Poter partecipare con ambizione sia alle classiche, sia alle corse a tappe.

Il trionfo in maglia iridata a Banyoles. Philipsen punta al bis mondiale anche nel 2024 (foto Ocisport)
Il trionfo in maglia iridata a Banyoles. Philipsen punta al bis mondiale anche nel 2024 (foto Ocisport)
Quali sono ora i tuoi obiettivi per questa stagione?

Per quanto riguarda la mountain bike, punto a confermarmi campione nazionale e naturalmente campione del mondo. Su strada sarà più difficile vincere la maglia di campione danese perché il percorso è per velocisti. Poi punterò ai mondiali, su un percorso che a me piace. Fare doppietta un’altra volta non sarebbe male, no?

L’Italia scopre Stenico: che sia il nostro Pidcock?

16.05.2024
7 min
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In una settimana, Mattia Stenico ha cavalcato l’onda della popolarità colpendo la fantasia degli appassionati. Al sabato, vittoria a Nervesa della Battaglia (TV) nella tappa degli Internazionali d’Italia Series di mtb (foto di apertura Billiani). Domenica, clamoroso centro a Casale Litta (VA) nella Piccola Tre Valli Varesine su strada. Venerdì successivo, addirittura l’oro europeo nel Team Relay con gli azzurri in Romania, ancora con la mtb. Risultati da campione della polivalenza, risultati che fanno sognare.

La forza del ragazzo trentino, al secondo anno junior, è proprio questa capacità di passare indifferentemente da una disciplina all’altra.

«E fino allo scorso anno c’era anche il ciclocross – afferma Stenico – ma poi abbiamo deciso di comune accordo con il mio preparatore Paolo Alberati che era insostenibile. Ho affrontato solo qualche gara a inizio stagione per poi concentrarmi sulle altre due discipline».

La vittoria alla Piccola Tre Valli, beffando D’Alessandro e Travella (foto Bergamonews)
La vittoria alla Piccola Tre Valli, beffando D’Alessandro e Travella (foto Bergamonews)
La tua passione da dove nasce?

Dalla mia famiglia, sin da quand’ero piccolo si andava in montagna, con gli sci d’inverno e le bici d’estate. All’inizio mi piaceva, ma non per l’agonismo, per quello preferivo il calcio e avrei voluto dedicarmi alle moto, ma i costi erano troppo alti. Un giorno mio padre ha letto un annuncio della Polisportiva Oltrefersina per richiamare ragazzi, mi ha portato e mi sono trovato subito bene, ho fatto le prime gare in mtb e andavo forte, così ho continuato.

Dalle tue parti comanda la mountain bike?

Non tanto, anzi se devo dire la maggior parte dei ragazzi è legata alla strada anche per i trascorsi ciclistici della regione. Io abito a un chilometro da Francesco Moser, inoltre nella mia classe c’è il figlio di Gilberto Simoni. E’ più in Alto Adige che regnano le ruote grasse… Io comunque ho iniziato a gareggiare su strada solo da allievo 2° anno, sempre su invito di Alberati.

Con Martinoli, Teocchi, Corvi, Avondetto e Siffredi, il team oro europeo di mtb (foto Fci)
Con Avondetto e Siffredi, la parte maschile del team oro europeo di mtb (foto Fci)
In una settimana da buon prospetto sei diventato addirittura l’uomo dell’oro europeo, com’è stata questa scalata?

Sapevo di avere una buona gamba, ma il cittì Celestino mi ha dato la convocazione per la staffetta quand’eravamo già sull’aereo per la Romania. In gara speravo che si potesse arrivare alla medaglia, ma vedevo i compagni che stavano davvero facendo meraviglie e Valentina Corvi mi ha passato il testimone per primo con un leggero vantaggio. Quando il campione nazionale francese Carod mi ha raggiunto (un elite, ndr) tutti pensavano che dovessi cedere.

Invece?

Quando gareggio non sono abituato a pensare troppo, seguo l’istinto. Vedevo che in salita lo staccavo ma lui era più bravo in discesa, così sull’ultima rampa ho dato tutto e sono riuscito ad andar via. I compagni erano impazziti…

L’esordio del trentino è stato in maglia Oltrefersina, dove ha imparato tanto (foto team)
L’esordio del trentino è stato in maglia Oltrefersina, dove ha imparato tanto (foto team)
Come fai a conciliare le due discipline al punto di gareggiare in entrambe nello spazio di 24 ore?

Mi favorisce il fatto che la gara di mtb è al sabato. Io mi alleno quasi sempre su strada e vado sulla mountain bike solo il giorno di vigilia per provare il tracciato. Alla domenica le gare vedono quasi sempre una prima parte tranquilla, così ho tempo per riadattarmi, ci si gioca tutto nell’ultima ora. Inoltre mi favorisce il fatto che ho un recupero veloce, l’ho visto anche nelle corse a tappe.

Che tipo di stradista sei?

Un polivalente, magari non velocissimo in volata, ma che tiene il fuorigiri dai 5 ai 20 minuti, anche in salite regolari. Ad esempio mi piace molto la gara di San Vendemiano, con tanti strappi, riesco a ripetere lo sforzo con la stessa intensità. Comunque, ad essere sincero non ho capito ancora che corridore sono…

Stenico è il primo biker ad essere approdato nel Team Giorgi. Un acquisto molto apprezzato
Stenico è il primo biker ad essere approdato nel Team Giorgi. Un acquisto molto apprezzato
Com’è stata la vittoria alla Piccola Tre Valli?

Diciamo che un successo su strada era un po’ un pallino fisso per tutto lo staff. Fondriest mi aveva detto che era una gara buona, ma che dovevo rimanere tranquillo e nel caso lavorare per la squadra. Sono entrato nella fuga dove c’erano tutti team forti, all’ultimo giro è entrato Andreaus e sapevo che sull’ultima salita avrebbe provato il colpo. Gli sono rimasto attaccato e sull’ultimo strappo ho guadagnato la manciata di secondi utile per vincere.

Hai mantenuto i contatti con la Oltrefersina? Anche se non vesti più la maglia loro sappiamo che c’è tuo fratello Mattia e che ti seguono come se fossi ancora del gruppo…

Non è una squadra, ma una vera famiglia, il suo presidente Paolo Alverà mi segue costantemente, si è anche interessato per farmi avere la bici Olympia che uso abitualmente. Ho imparato quasi tutto lì, a cominciare dalla guida. Ricordo che in discesa ero negato e con pazienza si è messo lì a spiegarmi, a indirizzarmi. Io poi sono uno metodico, bastava una cosa fuori posto e andavo nel pallone, mi hanno insegnato a prendere tutto un po’ più alla leggera. Forse il vero segreto è questo…

Alberati segue la preparazione di Stenico per il 3° anno, con idee innovative
Alberati segue la preparazione di Stenico per il 3° anno, con idee innovative

Parola ad Alberati

Nelle sue risposte, Stenico chiama spesso in causa Alberati e il tecnico umbro effettivamente ha avuto un peso fondamentale nella sua evoluzione: «Io ho cominciato a seguirlo dal secondo anno fra gli allievi. Era già forte, aveva vinto il titolo italiano, ho visto che aveva valori straordinari, a quel punto bisognava fare una scelta importante, così gli ho detto di fare un passo indietro…».

In che senso?

I risultati da allievo non devono trarre in inganno, bisogna guardare più in là. Gli ho detto che per un po’ avrebbe dovuto allenarsi meno, ambientarsi, prendere confidenza senza chiedere troppo a se stesso. Poi ci si è messo anche il Covid che ha avuto lunghi strascichi, insomma al primo anno junior non spiccava. Ma io conoscevo il suo valore, così gli ho detto di mollare presto il ciclocross per preparare al meglio il 2024. Era una scelta, io sono un propugnatore della multidisciplina, ma dovevamo fare un investimento. Ora ne godiamo i frutti.

Su strada Mattia aveva già sfiorato il podio al GP Liberazione di Massa
Su strada Mattia aveva già sfiorato il podio al GP Liberazione di Massa
Come fa a emergere in entrambe le discipline a così breve distanza di tempo?

Ci sono più ragioni. Una è il talento innato che viene dal patrimonio genetico trasmesso dai genitori. Un altro è la sua capacità di lavorare su alcuni aspetti, come la flessibilità articolare o le catene cinetiche, considerando che le pedalate sono diverse per ampiezza e ritmo. Molto però influisce anche la preparazione che è stata mirata per questo, avvicinandolo agli standard europei e quindi staccandoci un po’ dalle modalità di qui.

Spiegaci come…

Ne parlavo anche con Salvoldi, noi in Italia abbiamo la scuola che fino a giugno occupa spazio e quindi i nostri ragazzi hanno meno tempo per allenarsi. Se d’inverno esci da scuola alle 14 e alle 16 comincia a far buio, quanto puoi allenarti? Io allora ho chiesto alla famiglia di Stenico, ma anche di altri ragazzi, un investimento: se i ragazzi hanno un buon rendimento scolastico, sono disposti a saltare due giovedì al mese e passare la mattinata ad allenarsi? Gli effetti si vedono, c’è maggiore uniformità con quanto fanno negli altri Paesi dove infatti si allenano ore in più. In questo modo, con ore a disposizione si può fare molto volume a bassa intensità sviluppando più mitocondri nella muscolatura e facendo poi un 20 per cento di lavoro in fuorigiri. Sono sessioni che stanno facendo la differenza.

Una stagione finora trionfale in mtb, con vittorie all’Italia Bike Cup e agli Internazionali
Una stagione finora trionfale in mtb, con vittorie all’Italia Bike Cup e agli Internazionali
Ora si staglia all’orizzonte il cambio di categoria…

Dopo la vittoria europea iniziano a farsi sentire anche i devo team, oltre alle squadre italiane. Nella scelta peserà la disponibilità a garantire a Mattia la possibilità di fare la doppia attività senza dover scegliere. Io dico che ha grandi possibilità, se lo lasciamo tranquillo…

Le varie anime di Bosio, oggi biker ma presto stradista

20.03.2024
5 min
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Dalla strada alla mountain bike e viceversa, senza soluzione di continuità, senza paura. Magari anche nello stesso weekend. Se c’è un esempio in Italia di multidisciplina, questo è Tommaso Bosio, in questo periodo protagonista assoluto della scena sulle ruote grasse, capace dopo il 2° posto ad Albenga (SV) nella seconda tappa dell’Italia Bike Cup di sbaragliare la concorrenza a San Zeno (VR) nell’apertura degli Internazionali d’Italia dando scacco matto all’iridato Viezzi con un ultimo giro indiavolato.

Un biker? Non del tutto, anzi. Il suo futuro lo vede più su strada, come si vedrà nel corso della chiacchierata. Il presente però è sulle ruote grasse.

«Questo periodo – dice – porta la parte più corposa della stagione di mtb in Italia, per ora devo concentrarmi sulle gare di cross country. Il giorno dopo Albenga avrei anche corso su strada, il Memorial Italo Ragnoli a Prevalle, ma il percorso non era adatto a me e visto il cattivo tempo ho preferito lasciar perdere».

Bosio in trionfo a San Zeno. Finora è stato il più costante nella mtb (foto Alessandro Di Donato)
Bosio in trionfo a San Zeno. Finora è stato il più costante nella mtb (foto Alessandro Di Donato)
Ti senti più biker o stradista?

Io nasco sulla mountain bike, è il primo amore. Con gli anni però ho incrementato la mia attività su strada e ormai sono diviso a metà, senza poi dimenticare che d’inverno mi dedico al ciclocross. Molti dicono che un’attività è antagonista dell’altra e per certi versi è vero, ma bisogna sempre guardare la medaglia dai due lati. Ci sono tanti aspetti positivi anche differenziando la preparazione in base alla disciplina. Io sinceramente oggi non saprei scegliere.

Hai seguito la moda guardando a campioni come Van Der Poel e Pidcock?

Sono stati e sono un esempio, ma io ho iniziato subito a differenziare la mia attività, quando ancora non erano famosi per quello. Adesso casi come il loro e anche il mio sono all’ordine del giorno, ormai moltissimi ragazzi italiani fanno così e questo è positivo.

In Mtb il diciassettenne è stato nel 2023 17° agli europei e 18° ai mondiali (foto Alessandro Di Donato)
In Mtb il diciassettenne è stato nel 2023 17° agli europei e 18° ai mondiali (foto Alessandro Di Donato)
Si dice però che passare da una bici all’altra comporti disagi e problemi, ci vuole un po’ di tempo per ritrovare feeling. E’ così anche per te?

Con la pratica si diventa sempre più veloci. Io poi sono maniacale nella posizione in sella, cerco subito quella migliore per non soffrire, quindi mi riadatto subito al mezzo e alla pedalata. E’ chiaro che se non usi una bici per un po’, hai più difficoltà, ma non è il mio caso.

In questo periodo la bici da strada la metti da parte?

No, anzi, almeno il 90 per cento della mia preparazione è su strada, per questo avrei anche fatto la gara bresciana, ma non ne valeva la pena visto che era completamente piatta e io vado bene in salita. Il mio calendario è sì intenso, ma anche ragionato in funzione degli obiettivi veri, che sono più avanti nella stagione.

Lo scorso anno Bosio ha colto 4 top 10 su strada, ma è atteso a un deciso salto di qualità
Lo scorso anno Bosio ha colto 4 top 10 su strada, ma è atteso a un deciso salto di qualità
Due gare di due discipline diverse nello stesso weekend. Come riesci a farlo?

Lo scorso anno è già avvenuto: non spessissimo, ma il calendario può portare a queste sovrapposizioni. L’importante è come detto riabituarsi subito al diverso mezzo e stare molto attenti all’alimentazione pre e post gara, considerando i diversi tipi di sforzo che le due discipline richiedono.

Focalizziamo il Bosio stradista: che corridore sei?

Uno scalatore che sfrutta la dote della leggerezza. Me la cavo bene sui percorsi mossi. Lo scorso anno ho infilato 4 top 10 consecutive fra il Liberazione di Massa e il Trofeo Dorigo, chiusa al 7° posto in un consesso internazionale con la doppietta degli A2R francesi Pauls Seixas e Aubin Sparfel, che poi ho ritrovato nel ciclocross. La mia gara migliore però è stata la prima, l’Eroica Juniores di Montalcino anche se sono finito solo 30° per colpa di miei errori di alimentazione, perché avevo una gamba che volava…

Bosio impegnato all’Eroica Juniores. Stava andando molto bene, ma ha avuto una crisi di fame
Bosio impegnato all’Eroica Juniores. Stava andando molto bene, ma ha avuto una crisi di fame
Sappiamo che i cittì ti si contendono…

Io spero di farmi trovare pronto per le gare titolate. Devo dire grazie al mio team, la Ciclistica Trevigliese perché mi lascia libero di scegliere i miei obiettivi, senza alcuna costrizione. Non ho ancora idea di dove puntare l’obiettivo per la stagione: ci sono le gare con titolo in palio nella mtb e con Celestino sono in stretto contatto. Su strada lo scorso anno ho fatto un paio di corse a tappe della Nations Cup, con Salvoldi non ho ancora avuto modo di rapportarmi, spero che avvenga presto.

Come riesci a conciliare tutto ciò con la scuola?

Non è facile, anche perché gli esami li avrò l’anno prossimo. Frequento il Liceo Scientifico di Novi Ligure, fino allo scorso anno era più facile, ora vedo che le difficoltà sono aumentate, anche se comunque il mio rendimento è ancora buono.

Con la Ciclistica Trevigliese il lombardo ha massima libertà nella scelta della disciplina da praticare
Con la Ciclistica Trevigliese il lombardo ha massima libertà nella scelta della disciplina da praticare
Andrai avanti con la doppia attività?

La mia intenzione è farlo quest’anno e poi tirare le somme. Credo che nella prossima stagione dovrò concentrarmi di più sulla strada, anche perché cambierò categoria e non so ancora dove andrò. Ma se voglio fare un vero salto di qualità devo concentrare il mio impegno sulla strada: la mountain bike richiede una metodologia di lavoro che come detto non si confà perfettamente. Poi vedremo che proposte mi arriveranno, da un mondo e dall’altro.

Ma allora come fanno Van Der Poel e Pidcock a continuare per tutta la loro carriera saltando da una parte all’altra?

La risposta è facile: sono fenomeni, di quelli che ne nasce uno ogni tanto. Guardate Koretzky: ci ha provato per due anni, ma poi si è reso conto che il suo rendimento era calato ed è tornato indietro, riprendendo a vincere nella mtb. A un certo punto devi scegliere, se non sei stato baciato in particolar modo da madre natura…