«Vi siete mai chiesti dove trovare il bar con i migliori torreznos di Soria, il più delizioso Pie and Peas di Leeds, la Schwarzwälder Kirschtorte più dolce della Foresta Nera o il Pan Bagnat più croccante della Provenza? Gobik oggi ha una risposta per voi».
Il brand spagnolo produttore di raffinato abbigliamento tecnico per il ciclismo, e fornitore nel WorldTour dei Team INEOS Grenadiers e Movistar, ha recentemente introdotto la Gobik Guide, uno specifico “vademecum”… digitale con l’obiettivo di far scoprire a tutti gli appassionati i migliori luoghi in cui fermarsi durante le proprie uscite in bici, esplorando nuovi itinerari e arricchendo in questo modo l’esperienza di viaggio. Non si tratta solo di scoprire bar e ristoranti, ma di condividere momenti e luoghi preferiti con il gruppo di amici ciclisti, aggiungendo un pizzico di avventura in ogni singola pedalata.
Gobik è un marchio specializzato nella creazione di attrezzature per il ciclismo che si distingue per il design, l’innovazione e le alte prestazioni dei propri prodotti. Fin dall’inizio, la missione di Gobik è stata quella di offrire abbigliamento e accessori di alta qualità per ciclisti di ogni livello. Grazie ad una forte attenzione alla personalizzazione, e all’adattamento delle attrezzature alle esigenze specifiche di ogni cliente, il marchio sta velocemente guadagnando quote di mercato anche in Italia.
Gobik Guide è un vademecum digitale per trovare posti nuovi per i vostri coffee stopLa mappa vi permetterà di scoprire città e paesini diversi dal solito, e di raggiungerli comodamenteGobik Guide è un vademecum digitale per trovare posti nuovi per i vostri coffee stopLa mappa vi permetterà di scoprire città e paesini diversi dal solito, e di raggiungerli comodamente
Rivitalizzare le aree rurali
Tuttavia, Gobik non è solo abbigliamento e accessori per ciclisti. L’impegno dell’azienda va in effetti oltre. Con la Gobik Guide l’intento è quello di contribuire alla rivitalizzare le aree rurali, sostenendo l’economia locale e promuovendo un turismo sostenibile.
«Crediamo fermamente che il ciclismo possa giocare un ruolo fondamentale nel mantenere vive le comunità dei piccoli villaggi – dichiarano dal quartier generale Gobik di Yecla – senza villaggi, non ci sono gruppi ciclistici, e senza gruppi ciclistici, i villaggi perdono una parte della loro anima. Per questo motivo, abbiamo creato la Gobik Guide, una guida unica che raccoglie i migliori bar ed i ristoranti dove potersi fermare e gustare un brunch dopo una pedalata. In Italia ne abbiamo selezionati e geo localizzati ad oggi ben 116! Ogni percorso consigliato non solo arricchisce l’esperienza ciclistica, ma aiuta anche a sostenere le comunità rurali, portando ciclisti e turisti a esplorare luoghi autentici, lontani dai classici itinerari turistici delle grandi città».
«In Gobik, crediamo in un futuro dove i percorsi ciclistici fungano da ponti tra persone e comunità, contribuendo a mantenere vivi i villaggi grazie alla passione per la bicicletta. Pedalare significa esplorare, scoprire e connettersi: con Gobik, ogni viaggio è un’opportunità per vivere esperienze autentiche, conoscere nuove persone e gustare sapori genuini, sostenendo al tempo stesso le economie locali».
Sulle strade delle classiche italiane dedicate agli under 23 quest’anno si è spesso vista tra le prime posizioni la maglia della GW Erco Shimano. Team continental colombiano abituato a partecipare alle corse del calendario europeo. Chi si è messo spesso in evidenza è stato Diego Pescador, magro, agile e capace di mettersi alla pari dei migliori in salita. Un sorriso grande e argentato, visto che ancora indossa l’apparecchio. Un segno distintivo che in gruppo però sparisce, per fare largo a uno sguardo attento e concentrato.
Pescador è nato nel comune di Quimbaya, a metà strada tra Cali e Bogota. E’ giovane, visto che non ha ancora compiuto 20 anni, lo farà il prossimo 21 dicembre. Eppure lo scalatore colombiano ha appena firmato un contratto di tre anni nel WorldTour con la Movistar di Unzue.
Diego Pescador da under 23 ha corso la GW Erco Shimano (foto Nicolas Mabyle/Direct Velo)Diego Pescador da under 23 ha corso la GW Erco Shimano (foto Nicolas Mabyle/Direct Velo)
Consigliato da Mori
Uno degli artefici del suo trasferimento è stato Massimiliano Mori, suo procuratore. E’ stato lui a condurlo nel ciclismo dei grandi seguendolo passo dopo passo.
«Pescador – ci spiega Mori – l’ho conosciuto perché già lavoro con altri atleti colombiani come Restrepo e Gomez della Polti-Kometa. Ho visto i suoi dati e sono rimasto molto colpito da quello che può fare. Così l’ho seguito passo dopo passo nella sua crescita. Già al primo anno da under 23 si era messo in mostra al Tour de l’Avenir e nelle corse a tappe del suo Paese. Quest’anno è arrivato un ulteriore step di crescita e la chiamata della Movistar gli ha fatto sicuramente piacere».
Nel 2022 ha indossato la maglia della Colombia al Giro della Lunigiana (foto Instagram)Nel 2022 ha indossato la maglia della Colombia al Giro della Lunigiana (foto Instagram)
In Italia fin da giovane
Diego Pescador ha corso molto in Europa, in particolare in Italia, già quando era junior. Abbiamo deciso di farci raccontare personalmente questa sua crescita che in breve lo ha portato nel mondo del WorldTour.
«Grazie a Dio – dice subito il giovane colombiano – ho avuto l’opportunità di andare in Europa da quando avevo 16 anni con la squadra del Ministero dello Sport, già da junior. Quello che ho trovato è un ciclismo molto duro per la tecnica e per la professionalità che i ragazzi hanno fin da giovani. Ho sempre partecipato alle gare del calendario italiano, la base della squadra è sempre stata in Italia. E’ un Paese che mi piace molto. Il livello è altissimo, mi ricordo che le gare erano praticamente ogni otto giorni. Ho preso parte a corse importanti come il Giro della Lunigiana, forse la più difficile fatta in quel periodo».
Pescador ha partecipato a diverse gare con i pro’ nel 2023, qui al Giro di SiciliaPescador ha partecipato a diverse gare con i pro’ nel 2023, qui al Giro di Sicilia
Che differenza hai visto tra il ciclismo europeo e quello colombiano?
Quando ho avuto modo di fare questo confronto per la prima volta era il 2022. Direi che è abissale, è stato davvero qualcosa di molto sorprendente. Credo che venire in Europa così presto sia stato qualcosa di molto positivo per avanzare nel mio processo di crescita come corridore. Grazie alle gare uno con il passare dei mesi acquisisce esperienza. E’ normale soffrire nelle prime uscite ma bisogna avere il coraggio di buttarsi alle spalle quella paura. In Europa è importante la posizione in gruppo, si deve restare sempre tra i primi 20 perché ci sono parecchi passaggi tecnici.
Poi da under 23 sei andato a correre anche tra i professionisti.
Ho avuto modo di prendere parte al Giro di Sicilia, al Tour de Bretagne e altre gare con squadre WorldTour. Questi appuntamenti mi hanno dato qualcosa in più grazie ai lunghi chilometraggi. E’ stato un altro step nella mia crescita. In Colombia si corre spesso al mattino presto, ma devo ammettere che mi trovo meglio in Europa, dove spesso si gareggia al pomeriggio.
Hai fatto bene sia in gare a tappe che in corse di un giorno, quali preferisci?
Quelle a tappe. Ho visto che con il passare dei giorni il mio corpo si riesce a esprimere al meglio. Per quanto riguarda le corse di un giorno mi piacciono quelle con tanta salita. Ma se proprio devo scegliere direi che non ho dubbi: gare a tappe.
Quest’anno si è messo in luce nelle classiche di primavera U23, qui al Recioto dove è arrivato secondo (photors.it)Quest’anno si è messo in luce nelle classiche di primavera U23, qui al Recioto dove è arrivato secondo (photors.it)
Tanto che al Tour de l’Avenir hai colto un ottimo settimo posto finale quest’anno.
E’ una competizione che mi piace molto, nella quale ho gareggiato due volte. Mi sono divertito molto a correre con la nazionale colombiana, sarà sempre un orgoglio rappresentare il mio Paese. In più in una gara in cui i colombiani hanno sempre fatto molto bene. Per noi che arriviamo da lontano è sempre più complicato fare bene, dato che la nazionale colombiana non ha una base in Europa. E’ difficile trasportare l’attrezzatura necessaria per il recupero e tutto il materiale tecnico. Penso sia uno svantaggio in questo ciclismo moderno, dove ogni piccola cosa è un guadagno per il giorno dopo.
Cosa ti manca per essere al tuo massimo?
Oltre quello che ho detto direi che mi serve continuità nel correre in Europa. Ad esempio: al Tour de l’Avenir non è facile confrontarsi con ragazzi che fanno un calendario di alto livello da gennaio o febbraio.
Dietro quel sorriso si nascondono tanta determinazione e voglia di arrivare (photors.it)Dietro quel sorriso si nascondono tanta determinazione e voglia di arrivare (photors.it)
Quali sono le tue qualità principali?
In salita vado molto bene grazie anche alla mia corporatura. Dall’altro lato essere leggero non mi aiuta nelle cronometro e negli sprint, quindi dovrò migliorare questi aspetti. In discesa mi difendo bene ma il mio terreno preferito è la montagna.
Dal 2025 sarai con la Movistar, come vedi questo passo?
L’opportunità che ho di correre in un team WorldTour senza passare da una squadra development non mi spaventa molto. Penso che per competere in questo ciclismo moderno saltare nel WorldTour a 19 anni sia la cosa giusta da fare. Così da essere pronto per qualche grande corsa a 22 o 23 anni come hanno fatto Remco Evenepoel o Pogacar. Il 2025 mi servirà per imparare dai più esperti. Anche se ho già detto in altre occasioni che mi piacerebbe vincere al mio primo anno da professionista so che è abbastanza difficile, ma non impossibile.
Il suo punto forte è la salita, mentre a cronometro deve crescere parecchio (foto Nicolas Mabyle/Direct Velo)Il suo punto forte è la salita, mentre a cronometro deve crescere parecchio (foto Nicolas Mabyle/Direct Velo)
Hai firmato per tre anni, cosa vedi nel futuro?
La Movistar mi può dare l’approccio per diventare un leader un giorno, se Dio mi darà l’opportunità e le attitudini per diventare un ciclista di successo. E’ quello per cui lotto ogni giorno. Questa è stata l’unica squadra, delle tante che mi hanno contattato, che mi ha dato queste garanzie e mi ha assicurato che mi avrebbe fatto crescere con calma.
Quanto è difficile lasciarsi alle spalle la propria casa e la propria vita?
La cosa più difficile sarà salutare la famiglia, al primo anno non credo di riuscire a portare qualche parente con me. Ma il mio sogno è diventare il miglior ciclista nella storia della Colombia. So di poterlo realizzare con molto lavoro, dedizione e disciplina. I miei genitori e le persone che mi circondano hanno sacrificato molto perché io sia dove sono e non posso deluderle. Non vedo l’ora di indossare la divisa della Movistar e fare la prima gara. La verità è che sono molto ansioso e aspetto quel momento, ma sono molto motivato.
Non si può dire che il Delfinato di Davide Formolo sia stato fortunato. O forse sì, vista la situazione. Il corridore della Movistar è stato coinvolto nella maxi caduta che ha poi portato alla neutralizzazione della terza tappa.
«Sono scivolato anche io quel giorno – racconta Davide – e per fortuna non ho riportato grossi danni, ma davvero non ci si capiva niente. Avete visto quel video che gira su internet? Lì si vedono solo gli ultimi che cadono, ma davanti ce n’erano già tantissimi. Si andava a 70 all’ora e come tocca i freni uno, giù tutti gli altri».
“Roccia” non perde però il suo classico buon umore e nonostante le botte resta positivo.
La grinta di Davide Formolo (classe 1992) alla 11ª stagione da pro’La grinta di Davide Formolo (classe 1992) alla 11ª stagione da pro’
Quindi Davide cosa ti sei fatto?
Una bella grattata sul gluteo destro e un forte dolore al fianco e alla zona lombare. Quando vado in bici ancora si sente e sinceramente ad una settimana di distanza pensavo si facesse sentire meno.
E ora?
Mi sono allenato un po’ più piano, poi sono sceso a Roma un paio di giorni fa per le visite al Coni. Anche se prima bisogna iniziare a fare vedere qualcosa d’importante. Scendo ogni 4 anni, dovrei farlo più spesso: Roma è bellissima. Magari dovrei venirci con la famiglia.
Al netto della caduta come stai?
Al Delfinato i primi due giorni devo dire molto bene. Il livello era alto e su quelle salite al 6 per cento si doveva spingere forte… Poi però se non sei al top, con il livello che c’è paghi. Ora l’italiano sarà un bel banco di prova.
La Movistar in ritiro ad Andorra (foto Instagram)La Movistar in ritiro ad Andorra (foto Instagram)
Quindi sarai al via in Toscana?
Normalmente sì, se non lo sarò è perché il dolore sarà così forte da non permettermi di pedalare. Ma non credo, dai. Anche perché a Roma ho approfittato anche per fare una tac, per scongiurare qualcosa di peggiore, e infatti sono emerse solo contusioni. Da parte mia sono contento di aver tenuto duro al Delfinato, perché comunque mi ha dato qualcosa in termini di condizione. Nonostante tutto, ne sono uscito più forte di come ci ero andato. E ho fatto bene a tenere duro e a non tornare a casa anzitempo.
E ora il Tour de France: come ci andrai?
Il mio compito sarà quello di aiutare Enric Mas e vado senza nessuna ambizione personale.
Mas è un leader, ma non dà le garanzie di un Pogacar…
Con Tadej se vogliamo era anche più facile, tanto era forte, per questo il mio compito sarà ancora più delicato ed importante. Stargli vicino, supportarlo sempre.
Come avete lavorato? E come sta Mas?
Bene, proprio prima del Delfinato siamo andati ad Andorra. E’ stato un bel ritiro. Utile per la gamba e per il gruppo. Ci siamo conosciuti meglio (Formolo e Mas quest’anno hanno corso insieme solo alla Tirreno, ndr) e abbiamo fatto un bel po’ di “acido” insieme. Non ci siamo tirati indietro.
Avete anche visto qualche tappa?
Sì, ne abbiamo approfittato per andare a vedere la tappa con l’arrivo in salita a Plateau de Beille.
Tirreno-Adriatico, si riconoscono appena (in basso a sinistra): una delle rare corse di Mas e Formolo insieme (foto Getty)Tirreno-Adriatico, si riconoscono appena (in basso a sinistra): una delle rare corse di Mas e Formolo insieme (foto Getty)
Hai parlato di acido lattico e quindi di un certo tipo di lavori e hai detto che prima della caduta al Delfinato stavi bene: ma quindi la gamba per un colpaccio ce l’avresti?
Sì, certo che mi piacerebbe fare bene, se ci fosse la possibilità, ma non è la priorità. La priorità è Mas. Chiaro che se dovesse capitare l’occasione, non mi tirerò indietro… terreno permettendo.
A distanza di sei mesi, come è stato questo cambio di squadra?
Si ha sempre bisogno di un po’ di tempo per adattarsi, per ambientarsi ai nuovi metodi di lavoro. Ma io devo dire di aver trovato un gruppo molto ben organizzato, molto di più di quel che si possa immaginare. Sono precisi, presenti…
Cosa intendi per nuovi metodi?
Ogni squadra ha le sue modalità di lavoro, la sua filosofia… piccole variazioni. Qui per esempio la palestra, che io in passato avevo un po’ sottovalutato, è parte fondamentale della preparazione. Che poi sono queste cose che fanno la differenza: siamo tutti al limite, lottiamo per migliorare un 1-2 per cento e se sbagli qualcosa poi le differenze diventano grandi.
Su carta è il suo secondo grande Giro, in realtà è stato il primo. Lorenzo Milesi ha concluso il suo primo Giro d’Italia. Lo scorso anno la sua vecchia squadra, la Dsm-Firmenich, lo aveva schierato alla Vuelta, ma Lorenzo era stato costretto a fermarsi anzitempo, nonostante fosse partito col botto: maglia rossa dopo la prima tappa, una cronosquadre. Tuttavia alla sesta tappa era a casa.
Al primo anno, la Movistar lo ha schierato subito nella gara di casa. In ballo c’erano due crono importanti per il campione mondiale di specialità under 23 e un percorso che tutto sommato non era impossibile per un ragazzo del 2002. Lorenzo era tra i più giovani in assoluto al via.
Milesi in azione in pianura al servizio di Gaviria. Per la Movistar un corridore duttile come lui è stata una risorsaMilesi in azione in pianura al servizio di Gaviria. Per la Movistar un corridore duttile come lui è stata una risorsa
Lorenzo, sei arrivato a Roma: come stai?
Bene direi. Avevo fatto una settimana alla Vuelta l’anno scorso e devo dire che questo primo Giro d’Italia è stato fantastico. Fantastico tutto il contorno, l’atmosfera… la gara. Che è stata dura, ma noi siamo qua. Le gambe le sento come il primo giorno!
Un altro esordiente come te qui al Giro, Lorenzo Germani, ci diceva che in effetti ci sono dei momenti in cui si respira, ma quando si va forte il ritmo è incredibile. Anche per te è così?
E’ vero, è vero. Anche se poi a me sembra che qui tra i pro’ si vada forte in tutte le gare, alla fine. Sono le corse WorldTour che hanno queste caratteristiche.
Ti aspettavi che il Giro fosse più o meno duro?
Più o meno così. Mi aspettavo di non poter competere tutti i giorni sin da quest’anno. Immaginavo che non sarei stato lì davanti a sgomitare. Ma per questo mi dicono, servirà del tempo.
Nelle due crono (tra l’altro lunghe) del Giro, Lorenzo ha ottenuto un 12° e un 11° postoNelle due crono (tra l’altro lunghe) del Giro, Lorenzo ha ottenuto un 12° e un 11° posto
Come ti sei gestito durante queste tre settimane?
Ho cercato di fare bene soprattutto le cronometro. Di queste sono abbastanza soddisfatto. Ho mancato la top 10… però di poco. Per il resto cercavo di risparmiare il più possibile e fare il mio compito.
E qual era il tuo ruolo?
Nelle tappe piatte dovevo cercare di aiutare Fernando Gaviria, in quelle in salita dovevo stare vicino ad Einer Rubio. Quindi anche per questo non ho provato spesso ad andare in fuga. Ci sono andato solo nel giorno del Mortirolo, quando si arrivava a Livigno, però alla prima salita sono rimbalzato! Si andava a tutta e davanti eravamo ancora tantissimi, quindi c’era poco da fare…
Cosa ti porti via da questo Giro d’Italia?
Più che altro quello che spero di portare via, cioè una buona gamba per poter fare bene nelle prossime gare. Ovviamente ho imparato anche a come gestirmi nelle varie settimane, a dosare gli sforzi, a capire il recupero… Un esperienza un po’ generale direi.
Cimolai e Milesi, compagni di stanza al Giro: tra i due ballano 13 anni di differenzaCimolai e Milesi, compagni di stanza al Giro: tra i due ballano 13 anni di differenza
Hai detto che speri in una buona gamba per le prossime corse, ebbene quali saranno queste gare?
Non so ancora di preciso, bisogna decidere appunto in base a come finisco il Giro e a come recupererò. Quindi si vedrà nei prossimi giorni cosa fare. Sicuramente farò i campionati italiani, sia su strada che a cronometro.
Con chi hai parlato di più durante questo Giro d’Italia?
Degli avversari con Piganzoli. Eravamo tutti giorni là in coda al gruppo a chiacchierare! Dei compagni di squadra con Davide Cimolai. Cimo è mio compagno di stanza, è italiano ed è anche più facile confrontarmi con lui.
Quando abbiamo incontrato Milesi, lui e la sua squadra stavano per andare al foglio firma, proprio in quel momento ci raggiungeva Davide Cimolai. Quale occasione migliore per una foto insieme e per chiedergli qualcosa di Lorenzo. E Davide: «E’ un po’ testone perché parla poco e potrebbe domandare di più, ma ha un motore che neanche lui sa quanto è grande! Potrà fare molto bene».
Abbastanza nascosta al Delfinato, salvata da Covi al Giro, la UAE Emirates sta lavorando lontana dai riflettori in vista del Tour. Ne parliamo con Matxin
Per capire che la tappa di oggi non era finita per Pelayo Sanchez dopo quella rotonda sbagliata, bisogna tornare indietro al 16 settembre 2023. Guadarrama, penultima tappa della Vuelta. Lo spagnolo viaggia in fuga con Wout Poels e un certo Remco Evenepoel.
Nella fuga inizialmente c’erano anche altri atleti, ma lui tra curve al limite, fuorisella e rapportoni lunghi, alla fine era riuscito a restare con i due corridori ben più forti e famosi del drappello. Anche il tempo dello sprint era giusto, ma a 23 anni, al primo grande Giro e al termine della terza settimana, si era dovuto arrendere. Primo Poels, secondo Remco, terzo Pelayo.
Oggi, verso Rapolano Terme, il film quasi si ripete. La fuga più numerosa che man mano si assottiglia e lui che resta con due campioni, Luke Plapp e Julian Alaphilippe, che è anche il suo idolo.
Stavolta è freddo. Stavolta quella lezione di Guadarrama l’ha messa a frutto e, complici ottime gambe, alla fine ce l’ha fatta. E neanche di poco, tanto da iniziare a scuotere il capo per l’incredulità qualche metro prima della linea bianca.
Pelayo Sanchez è alla terza vittoria da pro’. Prima aveva conquistato una tappa al Giro delle Asturie 2023 e il Trofeo Pollenca 2024Pelayo Sanchez è alla terza vittoria da pro’. Prima aveva conquistato una tappa al Giro delle Asturie 2023 e il Trofeo Pollenca 2024
Testa e sogno
All’epoca di Guadarrama, Pelayo Sanchez era un corridore della Burgos-Bh, una professional spagnola, adesso è alla Movistar. Unzue, che ha l’occhio lungo lo ha voluto subito alla sua corte. E ancora una volta ha fatto centro.
«Non mi rendo conto di aver vinto una tappa al Giro – ha detto Sanchez – non ho parole. A questa tappa ci tenevo. E’ dall’inizio del Giro che risparmiavo energie per questa frazione. E sì che mi sarebbe piaciuto andare in fuga. Questa tappa era nella mia testa già da un po’, ma non avrei mai pensato che sarebbe stato possibile.
«Durante la corsa ho cercato di essere paziente e di mantenere la calma. Alla fine siamo rimasti solo io, Plapp e Alaphilippe. Ho provato a staccarli, ma non ci sono riuscito, così ho dovuto puntare tutto sullo sprint. Per fortuna ha funzionato».
Gruppo avvolto nel polverone degli sterrati senesi. Giornata “tranquilla” per gli uomini di classificaGruppo avvolto nel polverone degli sterrati senesi. Giornata “tranquilla” per gli uomini di classifica
Asturiano veloce
Pelayo Sanchez, classe 2000, 177 centimetri per 62 chili, di Tellego nelle Asturie, forse la regione spagnola più legata al ciclismo dopo i Paesi Baschi. Sui media la news di Pelayo prende a spallate la politica, la questione israeliana e i mega investimenti che ArcelorMittal si propina a fare in Spagna. Adesso lo spazio è per questo ragazzo.
Molto alla mano, semplice, Pelayo Sanchez impara in fretta, ci dice chi gli è vicino. «I numeri sarebbero anche da scalatore – chiarisce il suo direttore sportivo Maximilian Sciandri – ma io direi piuttosto che è un corridore completo, uno che emerge quando la corsa è dura. E oggi per esempio negli ultimi 100 chilometri c’erano quasi 2.000 metri di dislivello. E poi è veloce, molto veloce, e questa non è una caratteristica da poco per chi va forte in salita.
«Quando venni a vedere questa tappa pensai a lui ed era nei progetti che oggi ci provasse, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mondo, non il mare! Bisogna mettere insieme tante probabilità, che sullo sterrato si moltiplicano.
«Quando sono iniziati gli scatti Sanchez ci ha provato due, tre volte e lo ha fatto anche con l’aiuto di Fernando Gaviria e Lorenzo Milesi. Poi è partita l’azione buona con Alaphilippe. Noi, pensando alla fuga, avevamo già mandato in avanti la seconda ammiraglia».
Caduto nel terzo sterrato, Caruso ha chiuso a 15’45” da Pelayo Sanchez. «Due o tre giorni e torno in forma», ha detto il sicilianoCaduto nel terzo sterrato, Caruso ha chiuso a 15’45” da Pelayo Sanchez. «Due o tre giorni e torno in forma», ha detto il siciliano
Il nebbiolo di Sciandri
Il fatto che Sciandri, toscano, conoscesse queste strade e avesse fatto il sopralluogo è stato quantomai vitale per Sanchez.
«Ho visionato gli ultimi 80 chilometri – riprende Max – facendo dei filmati sull’ingresso degli sterrati, dello strappo di Serre di Rapolano e del finale. Durante la riunione immaginavamo, mettendoci nei panni di un diesse che ha l’uomo di classifica, che il gruppo non sarebbe arrivato compatto, che lasciasse andare. Tuttavia nel finale, abbiamo preso lo strappo duro con 20”: eravamo al limite. Lì Pelayo doveva provarci. Non è riuscito a staccarli. Per fortuna si ricordava bene il finale. Che tra l’altro tirava anche un po’. Che dire? E’ stato bravo. Bravo anche ad avere sangue freddo, tanto più con un cliente come Alaphilippe che in questi arrivi ci sa fare».
Quindi in Movistar si fa festa stasera. Diesse toscano che vince in Toscana, è lecito pensare che si brinderà con un bel rosso della zona.
«Sapete – conclude Sciandri – al via da Torino un mio amico mi ha regalato una cassa di nebbiolo. Stasera si va con quello!».
Alaphilippe, con Plapp e Sanchez: se il francese prende fiducia, ne vedremo delle belleAlaphilippe, con Plapp e Sanchez: se il francese prende fiducia, ne vedremo delle belle
Alaphilippe non molla
Ma se questa è la parte del vincitore, del vinto che si dice? In tanti tifavano per l’ex iridato, Julian Alaphilippe. Quanto avrebbe fatto bene a lui e al Giro d’Italia una sua vittoria?
Un tempo, una frazione simile se la sarebbe divorata in un boccone, stavolta fa “buon viso a cattivo a gioco”, nel senso che dopo l’arrivo si congratula sorridente con Sanchez. Evidentemente “Loulou” sa che era solo questione di gambe: quell’altro ne aveva di più, c’è poco da recriminare.
Ma quel che conta è che l’ex iridato c’è e cresce. «Io – spiega il direttore sportivo della Soudal-Quick Step,Davide Bramati– credo che Julian e la squadra abbiano fatto un’ottima corsa oggi. In ogni attacco noi c’eravamo. Quando si è creata quella situazione di 24 uomini, la UAE Emirates ha chiuso ed era normale. Ma poi sapevamo che poteva essere un momento buono e così Alaphilippe ha insistito e ha avuto ragione».
“Brama” guarda avanti. Dice che il Giro non è finito e fa intendere che riassaporare certe sensazioni, vale a dire giocarsi arrivi importanti, non può che far bene ad Alaphilippe.
«A parte una tappa, sin qui i ritmi sono sempre stati elevati – spiega Bramati – anche oggi: fare 46 di media su questo percorso è incredibile, per questo domani molti dei miei tra cui Alaphilippe sfrutteranno la crono per “recuperare” in vista delle altre tappe. Le occasioni sono ancora tante. E noi ci riproveremo».
Di Remi Cavagna si è sempre parlato abbastanza poco, sicuramente meno di quanto meriterebbe il suo palmarés. Ventottenne di Clermond Ferrand, ha sempre portato a casa vittorie nelle sue stagioni da pro’, soprattutto nelle sue amate cronometro. Inoltre ha sempre militato nella Quick Step, diventandone una colonna soprattutto per le corse a tappe. Ma ora cambia tutto.
Per certi versi il suo passaggio alla Movistar è qualcosa di clamoroso. Inizialmente, quando sono comparse le prime voci, era il periodo della paventata fusione con la Jumbo-Visma che avrebbe lasciato a piedi tanti corridori e ancor più maestranze. Sembrava quasi una fuga dalla barca che affondava. In realtà la fusione non c’è stata e la sua scelta ha radici ben più profonde, che vanno analizzate andando direttamente alla fonte.
Con il team francese ha conquistato a Drenthe il titolo europeo nel team realyCon il team francese ha conquistato a Drenthe il titolo europeo nel team realy
Remi, vieni da una stagione comunque importante, con 5 vittorie e molti piazzamenti…
Sì, è stata una bella stagione. Anzi, guardando il numero di vittorie, la mia migliore, comprensiva del titolo nazionale a cronometro e di quello europeo nel team relay. Ho chiuso soddisfatto e soprattutto molto voglioso di cominciare la prossima.
Dopo tanti anni alla Soudal, che cosa ti ha portato a cambiare squadra?
E’ una decisione che ho preso nel corso di quest’anno, sulla quale ho ragionato molto. Avevo bisogno di più spazio, nuovi stimoli. Questo è stato il mio settimo anno nel team Quick Step, quando sono arrivato ero giovane, un altro uomo. Mi trovo bene in squadra, è sempre stato così, ma penso che sarei arrivato da un momento all’altro a guardarmi indietro e rimpiangere il non aver cercato altre strade. Nella mia carriera era il momento di vedere che cos’altro posso fare, di cambiare squadra, mettermi alla prova per capire dove posso arrivare. Avevo anch’io bisogno di un po’ più di libertà, è quello che cerco.
Il francese a tirare il gruppo: il passaggio alla Movistar è legato alla voglia di trovare più libertàIl francese a tirare il gruppo: il passaggio alla Movistar è legato alla voglia di trovare più libertà
L’atmosfera nella squadra, nel Wolfpack, era cambiata negli ultimi anni?
Sì, trovo che la squadra sia cambiata rispetto al 2020, rispetto all’anno con il Covid che ha cambiato molto nel nostro mondo. Sentivo che non ero più a mio agio come prima. Era ancora il Wolfpack, ma era diverso, non c’era lo stesso ambiente. E se guardate bene tanti sono stati i corridori che sono andati via in questi ultimi anni. Non dico che si sia rotto qualcosa, ma non era più come prima. Gli anni dal 2017 al 2019 sono stati i più belli. Sia chiaro, non critico nessuno e non accuso nessuno, è solo una mia sensazione.
Andando alla Movistar il tuo ruolo cambierà, avrai più libertà di movimento?
E’ questa la mia speranza, poter tornare a fare quel che più amo. Io sono un corridore a cui piace attaccare, mi piacciono molto le grandi fughe, cose del genere. E’ vero che con la Soudal potevo vincere delle gare, lì ho fatto molto, ma ero ancora piuttosto limitato. Spesso ero il compagno di squadra, il ciclista in fuga come appoggio per chi era dietro, oppure l’uomo chiamato a percorrere lunghi chilometri davanti al gruppo per ridurre il distacco. Avevo davvero un ruolo di squadra. Ho avuto la mia occasione, ho avuto opportunità. Va bene, ma non ne avevo abbastanza. Volevo più di quello che la squadra poteva darmi.
Spesso in fuga, Cavagna è sempre stato molto ligio ai doveri imposti dal teamSpesso in fuga, Cavagna è sempre stato molto ligio ai doveri imposti dal team
La Movistar è una squadra con una forte identità spagnola e meno multinazionale rispetto alla Soudal, tu sarai il solo francese, che cosa ne pensi?
Effettivamente è meno internazionale, ha un’identità molto forte, nazionale e non nego che la cosa, quando si è resa realizzabile, mi spaventava un po’. Andare in una squadra che non parlasse molto inglese, figurarsi il francese. Ma alla fine mi sono detto: «Forza Rémi, è davvero il momento giusto della tua carriera per provarci… ». Ed ecco qua, sto imparando anche lo spagnolo, così posso comunicare bene. D’altronde è una squadra che da diversi anni cerca di internazionalizzarsi. Ciò significa che sta cercando di reclutare corridori stranieri, alcuni danesi, altri corridori svizzeri, per cercare di internazionalizzare la squadra.
Quali sono le tue origini italiane e quando vieni a correre qui ti senti un po’ a casa?
Cavagna è vero che è un cognome italiano, mio padre e mio nonno vengono dal bergamasco. Non ho ancora avuto occasione di raggiungere le terre dei miei avi, mi piacerebbe. E’ un piccolo legame, ma mi piacciono le gare in Italia, sono sicuramente gare fantastiche, ci vengo sempre con piacere.
La sua vittoria più bella, nella tappa di Toledo alla Vuelta 2019La sua vittoria più bella, nella tappa di Toledo alla Vuelta 2019
L’anno prossimo ci sono i Giochi Olimpici, come pensi di preparare l’appuntamento e che ambizioni hai correndo in casa?
Avere i Giochi Olimpici in Francia, e soprattutto a Parigi, è incredibile, soprattutto per chi come me ha l’opportunità di avere nella propria carriera la partecipazione all’evento più magico al mondo proprio in casa. È qualcosa di unico, penso e partecipare sarebbe fantastico. Ma per farlo devo essere al 100 per cento della mia forma, essere superiore a quello che sono stato quest’anno. E’ stato un ottimo anno, ma ho notato che ho perso qualcosa della mia forza, il 5 o il 10 per cento, i dati numerici con i watt dicono che ero un po’ sotto. Da questo punto di vista il 2021 è stato il mio anno migliore e devo tornare a quel livello. Mi piacerebbe ritrovare alcune di quelle sensazioni l’anno prossimo e poter andare ai Giochi Olimpici con l’obiettivo di una medaglia.
A cronometro resta uno dei migliori interpreti mondiali, ma c’è ancora distanza dai bigA cronometro resta uno dei migliori interpreti mondiali, ma c’è ancora distanza dai big
Chi consideri in questo momento il cronoman più forte e favorito per Parigi, visto anche il tracciato?
Su un percorso del genere, direi i tre che hanno conquistato il podio ai mondiali: Ganna, Evenepoel e anche il giovane Tarling, che è un ragazzo molto forte e dai limiti inesplorati. Se però devo scegliere un nome dico… Filippo.
Olimpiadi a parte, che cosa chiedi al nuovo anno?
Ho molti obiettivi: vincere gare con la maglia Movistar e ritrovare il mio livello nelle prove contro il tempo, quando esse contano di più, nei grandi giri e nelle gare titolate. Se poi fosse in quel fatidico giorno di luglio…
Il brand spagnolo Gobik, specializzato nella produzione di abbigliamento per ciclismo, e ricordiamo partner quest’anno del team WorldTour Movistar, ha presentato ufficialmente il risultato del proprio “rebranding” aziendale. L’azienda ha illustrato ad alcuni media specializzati europei la personale nuova identità strettamente legata al rinnovato posizionamento sul mercato che lo stesso marchio intende presto raggiungere.
Questa nuova proposta creativa di Gobik si collega all’anticonformismo e al costante e rapido cambiamento del brand negli ultimi anni. Un aggiornamento che di base è ispirato dalla stretta sinergia tra il punto di partenza e la destinazione che si vuole raggiungere in un’ideale uscita in bicicletta. A qesto si aggiunge l’efficace slogan “What a ride” a sottolineare l’esperienza di ogni singola partenza ed il rapido raggiungimento di una costante crescita internazionale.
Il nuovo logo di Gobik, una nuova identità nata dal rinnovato posizionamento sul mercatoQuesto è il nuovo logotipo del brand spagnoloIl nuovo logo di Gobik, una nuova identità nata dal rinnovato posizionamento sul mercatoQuesto è il nuovo logotipo del brand spagnolo
Crescita internazionale
Adesso, grazie allo stile grafico del nuovo logo e al già citato “claim”, unitamente al “restyling” del nome, Gobik intende trasmettere ed offrire una nuova identità visiva fondata su diversi aspetti che rispecchiano il carattere giovane ed irrequieto del marchio. Il percorso aziendale di Gobik si riassume dunque oggi in una nuova identità. La prima fedele alle caratteristiche che hanno reso famoso il marchio, prima in Spagna e poi a livello internazionale, con l’obiettivo di veicolare il messaggio del brand stesso verso il futuro e a tendere verso un’espansione sempre più ampia e capillare sui mercati più diversi.
Il vero “cuore” di questa evoluzione grafica è rappresentato dalla nuova “G”. Ridisegnata e personalizzata, in grado adesso di “lavorare” perfettamente in armonia con il nuovo simbolo. Quest’ultimo intende rappresentare una chiara testimonianza visiva del viaggio, di un punto di inizio e di un traguardo da raggiungere. Un nuovo elemento visivo che simboleggia la sinergia tra inizio e fine, con l’unione della prima e dell’ultima lettera del nome dell’azienda.
Un logo per durare
«Questo nostro importante lavoro di rebranding – ha dichiarato Albert Medrano, responsabile del marketing di Gobik – è stato diviso in due parti. In primis il restyling della parola Gobik, per cercare una miglior leggibilità nei vari formati, applicando un leggerissimo ritocco. In seconda battuta, la creazione di un nuovo logo. Un vero e proprio simbolo, che potesse consentirci di comunicare i nostri valori unendo la prima e l’ultima lettera del nostro marchio.
«Questo nuovo approccio è poi fedele alle radici del marchio e al percorso che abbiamo effettuato fino al giorno d’oggi. Ma è anche di più, perché riteniamo sia anche in grado di offrire una visione di noi stessi più contemporanea. Il nuovo logo Gobik nasce con l’aspirazione di camminare da solo nel futuro… E’ il nostro atteggiamento che caratterizza il nostro stile, dietro il design si trovano appunto un atteggiamento e un’intenzione, oltre a una visione della vita. Ed è indispensabile che i nostri capi siano in grado anche di trasmettere a tutti i nostri clienti questi valori e questi ideali».
Gobik ha dunque una nuova identità fedele alle sue caratteristiche: prima nate in Spagna e poi a livello internazionaleGobik ha dunque una nuova identità fedele alle sue caratteristiche: prima nate in Spagna e poi a livello internazionale
«Quello che ci proponiamo di fare – ha aggiunto José Ramón Otín, CEO e co-fondatore di Gobik – è crescere, facendo in modo che l’energia che ci trasmette la bici e la forza di questo progetto si contagino. Il nostro obiettivo è quello di diventare davvero il marchio di tutti…».
Il nuovo logo Gobik sarà visibile su tutti i capi del marchio spagnolo già dalla prossima, prima “capsule” della collezione invernale Cold Season 2024 la cui uscita è prevista per il giorno venerdì 8 settembre.
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ALASSIO – C’è solo un sostantivo che ci viene in mente per Annemiek Van Vleuten: cannibale. Nella settima tappa del Giro Donne la maglia rosa non lascia nulla a nessuna ed in cima al santuario della Madonna della Guardia di Alassio trionfa nuovamente in solitaria ottenendo il terzo successo parziale nella corsa. Dietro di lei ad una manciata di secondi arrivano Labous e Realini che ora la seguono nell’ordine anche nella generale (rispettivamente a 3’56” e 4’25”).
Alla presentazione della corsa, la frazione savonese era stata indicata come la più insidiosa nonché ultima occasione per giocarsi l’all-in per la classifica. Tutto o niente come era successo nel 2016 quando, in una tappa praticamente identica vinta da Evelyn Stevens, Megan Guarnier riuscì a spodestare Mara Abbott ed ipotecare quella edizione della corsa rosa. E le aspettative non sono state tradite anche se stavolta è capitato a metà o quanto meno per le posizioni alle spalle di Van Vleuten. Ewers, seconda al mattino, è andata in crisi sulle ultime due ascese ed è scivolata di due posti. Uguale per Mavi Garcia, mentre Magnaldi, zitta zitta, entra nella top five con pieno merito.
Dopo Marradi e Canelli, terza vittoria di tappa per Van Vleuten al Giro Donne 2023. Labous dopo la vittoria sul Maniva e il quarto posto al Tour nel 2022, ora è seconda nella generaleDopo Marradi e Canelli, terza vittoria di tappa per Van Vleuten al Giro Donne 2023. Labous dopo la vittoria sul Maniva e il quarto posto al Tour nel 2022, ora è seconda nella generale
Gaia sul podio
Realini quando taglia il traguardo è letteralmente sfinita. Scende dalla bici sorretta dalla massaggiatrice della Lidl-Trek che la fa sedere per terra per farle riprendere fiato. Le versa addosso una bottiglietta d’acqua fredda che evapora sul suo motore ancora caldo. Gaia non ha fatto un fuori giri, ma sul santuario di Alassio la sua cilindrata è andata ad alti regimi. Pochi minuti e sotto il podio Realini è un’altra persona. Sorridente e speranzosa perché attende la conferma di essere terza nella generale. Non appena lo apprende diventa anche più chiacchierona di quello che lei è di solito con le interviste.
«Oggi l’obiettivo – racconta Gaia sembrando anche più leggera moralmente – era quello di entrare nella top 3 e lo abbiamo portato a termine, quindi sono felicissima. Nella riunione pre-gara di stamattina avevamo detto che questa era la tappa dove si poteva fare la differenza e mettere più minuti possibili in classifica. Ce l’ho messa tutta fino alla fine ed è stata davvero dura. Tutte noi atlete abbiamo sette tappe nelle gambe che si fanno sentire. Ci riposiamo per un giorno con un po’ di relax psico-fisico ma restando comunque super concentrate sulle ultime due tappe perché in Sardegna dovremo restare con gli occhi bene aperti».
Gaia ha dato tutto. La aiutano a scendere dalla bici…e a recuperare le forze con una bottiglia d’acqua fresca addosso. Sotto al podio starà già meglioGaia ha dato tutto. La aiutano a scendere dalla bici…e a recuperare le forze con una bottiglia d’acqua fresca addosso. Sotto al podio starà già meglio
«Nella penultima salita – prosegue la classe 2001 che è anche maglia bianca del Giro Donne – Van Vleuten ha fatto il passo. Labous ed io abbiamo stretto i denti per tenerla scollinando con lei. All’ultimo chilometro noi eravamo a tutta. Nella mia testa pensavo a resistere per allungare il più possibile su Ewers. Van Vleuten ha avuto quelle forze in più per staccarci e darci quei secondi di distacco all’arrivo. Ma va bene così, sono super contenta. Adesso mi godo il giorno di riposo».
Per Elisa
Realini quest’anno ha trovato subito feeling con le sue compagne, specialmente con Longo Borghini. E‘ come se la campionessa italiana avesse preso Gaia sotto la sua ala protettrice per insegnarle a spiccare il volo da sola. Dopo il ritiro forzato di Longo Borghini, c’era curiosità di vedere Realini come si sarebbe comportata in corsa senza la sua capitana. Eccoci accontentati.
«Il giorno in cui è caduta Elisa – spiega Gaia, che in stagione ha già fatto terza alla Vuelta nella generale con una tappa – avevo avvertito subito l’ammiraglia. Come vi ho detto due giorni fa, mi ero molto preoccupata. Alla sera quando è tornata in hotel e ci hanno detto che non sarebbe ripartita, l’ho presa un po’ male. Moralmente per me è stato un brutto colpo. Per me lei è un punto di riferimento in tutto. Tuttavia Elisa mi ha tranquillizzata dicendomi che avrei potuto giocarmi le mie carte al meglio. Anzi lei mi ha incitato a credere che il podio era alla mia portata. Ho creduto fino in fondo alle parole di Elisa e oggi questo podio di tappa e della generale li dedico a lei».
Realini chiude terza a 20″ da Van Vleuten ed ora è terza anche nella generaleRealini chiude terza a 20″ da Van Vleuten ed ora è terza anche nella generale
La cannibale
La voracità agonistica di Van Vleuten divide la platea. Vincere ogni volta che si presenta l’occasione oppure lasciare qualcosa anche alle altre? La risposta esatta non ci sarai mai, forse bisogna contestualizzare sempre ogni circostanza. Di sicuro possiamo dire che dietro al sorriso che ha nelle vittorie e davanti al microfono c’è un carattere deciso come mostra nel post-cerimoniale. Diciamo che l’ordine del protocollo tra antidoping e interviste lo stabilisce lei con buona pace (ed attesa) di chi vuole farle due domande rapide nella mixed zone. Aspettano anche gli inviati del canale dell’UCI e non c’è tanto da fare, soprattutto se nel frattempo ha iniziato a piovere con vigore.
«Abbiamo corso come squadra – dice Van Vleuten sul suo successo – e anche oggi siamo state perfette nel difendere la maglia. E’ stato fatto un grande lavoro. Nel finale di oggi si è creata una situazione favorevole. Labous e Realini stavano lottando per il podio della generale e per me è stato perfetto per attaccare ancora. Non avevo programmato di farlo perché non pensavo di trovarmi così nel finale. Le mie compagne si sono messe a tirare per chiudere e abbiamo pensato a Lippert per fare la corsa. Poi siamo rimaste davanti in un gruppetto, allora a quel punto ho pensato a vincere. Ieri sera quando siamo arrivati abbiamo fatto una ricognizione e avevo visto che per salire c’era una bellissima vista. Mi sono goduta il panorama e oggi sono veramente contenta di avere vinto quassù».
Van Vleuten attacca salendo verso la Madonna della Guardia di Alassio. Niente da fare per Labous e RealiniVan Vleuten attacca salendo verso la Madonna della Guardia di Alassio. Niente da fare per Labous e Realini
«Non penso di essere una cannibale – ci confida Van Vleuten con grande spontaneità – sono solo un’atleta che si allena tanto per tante ore e per tanti chilometri. Posso dirvi che la mia voglia di vincere nasce dalle motivazioni. Ottenere il meglio da me stessa e questo mi rende felice. Inoltre vincere rende felici anche la mia squadra e le mie compagne, che fanno sempre un gran lavoro. Credo che sia un giusto riconoscimento che voglio dare ogni volta a loro. A Ceres ad esempio ho spinto al massimo fino sul traguardo ma non sono riuscita ad andare a riprendere Niedermaier. Capita a volte di dare tutto e non vincere. In ogni caso spesso la miglior tattica è quella di attaccare per mettersi al sicuro da eventuali rischi. Posso aggiungere che vincere in Italia mi piace molto e mi dà sempre una grande emozione. Ma non chiamatemi cannibale».
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CANELLI – E’ bastato poco ad Annemiek Van Vleuten per salutare la compagnia e viaggiare spedita verso il traguardo della sesta tappa del Giro Donne. Una frazione che al mattino, nel paddock dei bus, prevedevano in egual misura adatta all’arrivo per velociste o di una fuga. Invece no, la maglia rosa prende e va via quando mancano 15 chilometri alla fine. E per lei è la quindicesima vittoria al Giro Donne.
Sul Gpm di Calosso, penultimo di giornata, l’olandese della Movistar non è nemmeno scattata. Ha imposto subito un ritmo insostenibile per le altre, che hanno iniziato a ragionare per il secondo posto. La piazza d’onore è andata a Wiebes (davanti a Lippert) che conferma una grande crescita sulle tappe mosse e con arrivi su strappi secchi di un chilometro come quello di Canelli. La campionessa europea della SD Worx, che domani non ripartirà per preparare il Tour Femmes, sarà l’avversaria da battere al mondiale di Glasgow ed il cittì Sangalli continua a prendere appunti. Nella generale a più di 3 minuti da Van Vleuten, scala di una posizione Ewers per effetto della drammatica caduta occorsa a Niedermaier (forte trauma facciale e ritiro) mentre terza ora c’è Labous del Team DSM-Firmenich.
Wiebes e Lippert completano il podio di giornata in cima ad uno strappo impegnativoLa campionessa europea lascia il Giro per preparare il Tour e soprattutto il mondiale, dove sarà l’atleta da battereWiebes e Lippert completano il podio di giornata in cima ad uno strappo impegnativoLa campionessa europea lascia il Giro per preparare il Tour e soprattutto il mondiale, dove sarà l’atleta da battere
Soraya davanti
Le colline dei vigneti che circondano Canelli sono validi banchi di prova per capire la propria condizione. Dalla pianura astigiana la strada si inerpica in modo tortuoso e ripido. Ci si può provare in salita o in discesa. La linea d’arrivo posta accanto al ristorante “Civico 15” non mente. Per arrivarci devi avere la gamba giusta. E la signora Giusy vede sfilare il meglio del ciclismo femminile davanti al suo locale. Fra queste c’è Soraya Paladin, quarta e autrice di una bella prestazione.
«E’ stata una tappa per noi abbastanza sfortunata – racconta Paladin dopo aver recuperato dallo sforzo – siamo partite con Antonia (Niedermaier, ndr) che era seconda in classifica e maglia bianca, ma purtroppo è caduta. Non sono bene cosa sia successo, lo abbiamo sentito alla radio e ci hanno detto che non sarebbe più rientrata. So solo che è in ospedale. Ci dispiace molto perché stava andando veramente forte. La nostra idea era quindi quella di difendere la generale. Se lo meritava Antonia».
Paladin sta dimostrando di crescere. Il bel quarto posto a Canelli lo certificaPaladin sta dimostrando di crescere. Il bel quarto posto a Canelli lo certifica
«Dopo la caduta – prosegue la vicentina della Canyon Sram – sono cambiati un po’ i piani e mi hanno lasciato carta bianca. In salita c’era il Team DSM che faceva un bel ritmo per Labous che infatti ha attaccato sul primo Gpm (Castino, ndr). Lì siamo rimaste in poche ma nulla di fatto. Poi ha attaccato Van Vleuten sulla salita di Calosso. Ho provato a tenerla, ma andava veramente troppo forte per me. Sono rimasta nel gruppetto dietro e speravo che non ci riprendessero perché sapevo di potermela giocare con Lippert in un arrivo come quello di oggi. Invece è rientrata Wiebes. Chloe (Dygert, ndr) mi ha guidata fino ai piedi della salita in una buona posizione. Lo sprint è partito abbastanza presto e lo abbiamo fatto a tutta fino alla fine. Dispiace per il quarto posto perché rende la giornata ancora più amara».
Il Giro non è finito
Van Vleuten anche a Canelli ha messo un altro mattoncino per la conquista del suo quarto Giro Donne, ma ci sono ancora tre tappe che non bisogna sottovalutare. Paladin analizza la corsa rosa per sé e per la sua squadra in funzione dei prossimi appuntamenti. All’orizzonte ci sono Tour e mondiale in cui la trevigiana di Cimadolmo vuole continuare ad essere protagonista.
«Ovvio che Van Vleuten – spiega Soraya – non voglia prendere rischi. Al Giro c’è sempre un imprevisto, sia per cadute che per problemi meccanici ed altro. Può sempre succedere di tutto. Fino all’ultimo giorno e finché non si taglia la linea del traguardo di Olbia non si può dire che sia chiuso. Ovviamente sta dimostrando di andare forte, però ci sono ancora tante altre squadre che hanno i numeri e ci proveranno di sicuro. Noi volevamo farlo oggi, ma abbiamo avuto sfortuna.
Van Vleuten festeggia. Il suo quarto Giro Donne è sempre più vicinoVan Vleuten festeggia. Il suo quarto Giro Donne è sempre più vicino
«Punteremo alle tappe – prosegue Paladin – ci sono ancora un po’ di occasioni buone per noi della Canyon-Sram. L’arrivo alla Madonna della Guardia di Alassio è forse un po’ troppo duro per me, ma le due frazioni in Sardegna mi si addicono. Quella di domani dicono che sia quella più dura o comunque più temuta però la gara la fanno i corridori. Anche oggi a Canelli sembrava una tappa per arrivare in volata o per passiste veloci. Invece quando si mettono a fare forte qualsiasi salita, tutte soffrono».
L’arrivo di Canelli era una rampa di un chilometro da fare tutta d’un fiato. Paladin recupera e reintegraSoraya correrà il Tour in appoggio a Niewiadoma poi spera in una chiamata azzurra per GlasgowL’arrivo di Canelli era una rampa di un chilometro da fare tutta d’un fiato. Paladin recupera e reintegraSoraya correrà il Tour in appoggio a Niewiadoma poi spera in una chiamata azzurra per Glasgow
Tour e mondiale
«Farò il Tour Femmes – conclude Paladin con grande lucidità – in supporto a Niewiadoma che curerà la generale. Qui sto prendendo dei riferimenti su Van Vleuten da riportare sul Tour anche se sarà completamente diverso. Abbiamo fatto le ricognizioni. Le tappe sono lunghe e dure. Farà caldo. Intanto pensiamo a finire il Giro Donne poi penseremo alla Francia.
«Mi sono preparata bene a Livigno. La mia condizione è in crescendo. Qui al Giro Donne mi sto sentendo bene ogni giorno che passa. Il cittì Sangalli mi lascia tranquilla, facendomi pensare alle tappe. E’ giusto che io adesso resti concentrata sul Giro poi per i mondiali se ne parlerà più avanti. Ci sono tante italiane che stanno andando forte. Penso proprio che chi se lo merita sarà convocata».
Deciso cambio di rotta nella nazionale donne elite per Zurigo. Scelte solo atlete in condizione che dovranno aiutare Longo Borghini. Parla il ct Sangalli