Le tirate di collo fanno crescere: parola di Bortolami

13.03.2022
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Stanno per partire anche gli juniores. E siccome i discorsi degli ultimi giorni si sono un po’ incrociati, fra Bartoli che ha colpito duro, Boscolo che gli ha dato ragione, Damilano che ha messo dei paletti e Chioccioli che ha suonato l’allarme, fra una curiosità e l’altra sulla stagione che inizia, abbiamo pensato di coinvolgere Gianluca Bortolami. Il milanese è in ritiro a Castagneto Carducci con il suo GB Junior Team (In apertura Belletta tira il gruppo, foto Nardo) e oltre a raccontarci come vanno le cose, mette sul tavolo la sua idea di come far crescere i giovani. E la sua voce è pesante e incisiva quanto quella di Bartoli.

Giro delle Fiandre 2001, Gianluca Bortolami forza sul Grammont e va a vincere
Giro delle Fiandre 2001, Gianluca Bortolami forza sul Grammont e va a vincere

Gianluca è un ragazzo del 1968, è stato professionista dal 1990 al 2005. Ha vinto 33 corse e fra queste spicca il Giro delle Fiandre del 2001 in maglia Caldirola, anche se nel 1994 erano già venute una tappa al Tour e la vittoria della Coppa del mondo con i successi di Leeds e Zurigo.

Andiamo con ordine, a che punto siamo con gli juniores?

A parte qualcuno che si è preso il Covid e ha ritardato la partenza, stiamo bene. Usando gli stessi percorsi di allenamento, riusciamo a valutare i miglioramenti di quelli al secondo anno e ci facciamo un’idea dei primi anni, che sono meno strutturati. I ragazzi scaricano i dati tutti i giorni e in base a quello che si vede, regoliamo il tiro.

Il team ha lavorato in Lombardia fino a sabato scorso, poi si è spostato a Castagneto Carducci (foto Stefano Nardo)
Il team ha lavorato in Lombardia fino a sabato scorso, poi si è spostato a Castagneto Carducci (foto Stefano Nardo)
Ti occupi tu direttamente della preparazione?

Ci sono io, ma c’è anche Loris Ferrari, anche lui direttore sportivo, che segue l’aspetto dei test. Ci confrontiamo spesso in base a quello che ognuno di noi vede.

Siete stati in ritiro o sempre a casa?

L’inverno a casa, mentre mercoledì siamo partiti per Castagneto Carducci e restiamo qui per dieci giorni. Ci sarebbe piaciuto cominciare a Cesano Maderno e alla corsa per Franco Ballerini, dove avrei portato Belletta e ci avrei tenuto personalmente. Invece hanno già raggiunto il tetto dei 120 partenti e così debutteremo a Cesano Maderno.

Si lavora in salita: lui è Alessandro Bonalda (foto Stefano Nardo)
Si lavora in salita: lui è Alessandro Bonalda (foto Stefano Nardo)
Come sta Belletta?

Ha avuto anche lui il Covid a dicembre e abbiamo cercato di andare con cautela. Siamo in linea con lo scorso anno, lui ha sempre le stesse grandi motivazioni. Abbiamo fatto una corsa in Svizzera dieci giorni fa vicino Grenchen e ha vinto una prova su tre. Siamo andati per avere indicazioni su come stesse e stiamo procedendo bene e soprattutto abbiamo ancora tempo per arrivare come si deve all’inizio di stagione. E sarà una stagione intensa e lunga, dovremo dargli il tempo per risparmiare le forze.

Uno come lui, con vittorie su strada e un mondiale in pista, è già oggetto del desiderio per squadre pro’?

Si sono già fatte sotto delle WorldTour, ma il ragazzo e la famiglia hanno deciso di affidarsi a me e alla squadra. Lui vuole crescere e io lo conosco da quando era piccolino, mentre prima era stato tirato su benissimo da Luciano Fusar Poli, giocando con la bicicletta. E’ un ragazzo intelligente e sa fare le valutazioni del caso.

I ragazzi di primo anno vanno osservati, con gli altri si parte da una base più alta (foto Stefano Nardo)
I ragazzi di primo anno vanno osservati, con gli altri si parte da una base più alta (foto Stefano Nardo)
Qual è l’obiettivo in questo inizio di stagione?

La volontà di fare lo junior senza bruciare i tempi. Se poi andrà forte, potrà passare U23 con chiunque. Ma non vi nascondo che stiamo cercando di fare la squadra per seguire lui e gli altri. Non è facile trovare sponsor, ma ci stiamo adoperando.

E qui arriviamo al discorso di Bartoli: fino a che punto sarà giusto tenerlo nella bambagia?

Condivido in pieno quello che ha detto Michele. Io sono passato anche prima di lui e correvo contro i corridori dell’Unione Sovietica e quelli della DDR (la Germania dell’Est, ndr) e quando c’erano loro, se andava bene si faceva terzi. Se si vuole crescere, bisogna fare esperienze di alto livello. Se un ragazzo vuole crescere, deve confrontarsi con i più forti. Quando passi pro’, nessuno guarda più l’età.

Nel 2021, Filippo Borello ha vinto due corse: Vaprio D’Agogna e il Trofeo Madonna di Campagna(foto Stefano Nardo)
Nel 2021, Filippo Borello ha vinto due corse: Vaprio D’Agogna e il Trofeo Madonna di Campagna(foto Stefano Nardo)
Come ti regolerai con Belletta?

Credo che i primi due anni da U23 tranquilli possano starci, anche se durante questi ci sta di prendere qualche tirata di collo confrontandosi con i più grandi. Chi gestisce il giovane di talento deve saperlo dosare, valutare l’esperienza e quando semmai puntare al risultato. Come si è sempre fatto. Se ti accontentavi di correre nel circuito di paese, non crescevi e non cresci. Andare nelle gare internazionali con quelli forti è lo stimolo che ci vuole.

Torniamo a Bartoli: le vittorie nelle piccole corse non fanno crescere.

Abbiamo avuto tanti corridori che passavano U23 senza confrontarsi ad alto livello. Sono poche le squadre juniores che vanno a misurarsi all’estero. Ci siamo noi, c’è il team Ballerini di Bardelli. A volte ci vanno le formazioni regionali. E là fuori ti confronti con i corridori che poi si vedono dominare da professionisti. D’estate andremo a fare una corsa a tappe in Belgio con gli allievi. Badate bene, non per fare risultato, ma per fare esperienza.

Foto di gruppo al via della stagione: si parte fra una settimana (foto Stefano Nardo)
Foto di gruppo al via della stagione: si parte fra una settimana (foto Stefano Nardo)
Un’esperienza importante…

Non voglio essere presuntuoso, ma se vogliamo crescere bisogna fare così. Anche con l’aiuto dei genitori, che ci permettono di farlo. Quando ero un ragazzino, mi sembrava già tanto andare a correre fuori regione, andare all’estero è come toccare il cielo con un dito. E correre in Belgio serve a far capire ai ragazzi che cosa vuol dire correre col vento e con l’acqua senza lamentarsi come fanno lassù. E la cosa funziona. Quando tornano non sono più gli stessi. Certe esperienze ti permettono di fare lo scatto mentale decisivo.

Damilano: «Bartoli ha ragione, ma 13 continental sono troppe»

07.03.2022
4 min
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Come ha scritto di recente su Facebook, Beppe Damilano ha avuto il piacere di guidare per due anni Stefano Garzelli fra i dilettanti, ma per chi è dotato di buona memoria, la sua Brunero-Bongioanni è stata per anni la squadra di Marco Bellini, Claudio Ainardi, Giovanni Ellena, Fulvio Frigo, Andrea Paluan e da un certo punto in poi anche di Gianluca Tonetti, tornato dilettante dopo cinque stagioni tra i professionisti. Non esistevano ancora gli under 23, ma bussavano alla porta.

Damilano è il secondo da sinistra, al via della stagione 2022
Damilano è il secondo da sinistra, al via della stagione 2022

La provocazione di Bartoli

Erano gli anni di cui parlava Bartoli qualche giorno fa. Quelli in cui il ragazzino di talento cresceva più in fretta confrontandosi con gente più esperta e solida fisicamente. Quello che mancherebbe oggi in un movimento giovanile che sta alla larga dai confronti… scomodi.

«Michele non ha torto – dice Damilano – battere i vecchi era un bell’insegnamento, anche se in quegli anni i vecchi non insegnavano ai giovani solo belle cose, però è vero che quando arrivò Tonetti, alzò il livello di parecchio. Quando il presidente mi ha fatto leggere l’intervista di Bartoli, ho cercato di ricordare come fosse in quegli anni. C’erano buoni corridori in tutte le squadre, oggi invece sono tutti concentrati nelle continental. E quando vengono nelle corse più piccole ci schiacciano. Un po’ quello che succede al Giro d’Italia, quando le professional non riescono a stare dietro alle WorldTour, tale è la differenza di livello. Sabato eravamo al Memorial Polese e il massimo che siamo riusciti a fare è un sesto posto (con Tommaso Rosa, ndr) e se questo è il massimo cui possiamo ambire, non è una prospettiva che mi piace tanto…».

Estate 2021, foto di gruppo per tutti i ragazzi della Rostese
Estate 2021, foto di gruppo per tutti i ragazzi della Rostese

Paradiso Rostese

Damilano oggi è alla Ciclistica Rostese, realtà storica del ciclismo piemontese: una società con un vivaio che parte dai giovanissimi e arriva agli under 23 con un entusiasmante fiorire di giovani atleti. A suo modo, la sua è una di quelle squadre che si vedrebbe penalizzata dalla presenza massiccia delle continental.

«Tredici continental sono troppe – va avanti il piemontese – perché se la politica è che prendono loro tutti i migliori, cosa fanno le squadre dei dilettanti? Quello che a me onestamente fa paura è che continuando così, facciamo morire un settore giovanile che è sempre stato il nostro fiore all’occhiello. Parliamo di una trentina di squadre che potrebbero chiudere i battenti, lasciando liberi 300 corridori e soprattutto chiudendo la porta in faccia agli juniores che faranno sempre più fatica a trovare uno sbocco fra gli under 23. La Rostese ha tutte le categorie e tutte le discipline. Abbiamo la pista chiusa per fare mountain bike al sicuro. E’ un piacere lavorare così, ma serve una tutela superiore».

Correndo in Francia, la Rostese si è trovata più volte con dei professionisti in gruppo (foto Camille Richard)
Correndo in Francia, la Rostese si è trovata più volte con dei professionisti in gruppo (foto Camille Richard)
Che cosa proponi?

Ne ho già parlato con il presidente Dagnoni. Ho suggerito di ridurre il numero delle continental e soprattutto bisogna stabilire che per diventarlo, si deve avere un numero minimo di punti. E poi, visto che vogliamo uniformarci al resto del mondo, facciamo che lo stipendio minimo per un corridore continental sia di mille euro al mese. Così si vede quanti possono o hanno davvero vantaggio ad andare avanti. E poi bisogna che i dilettanti più forti, non solo quelli delle continental, possano correre con i professionisti.

All’estero questo succede regolarmente.

Esatto. Siamo stati a correre per sei volte in Francia e c’erano dilettanti e professionisti insieme. Che ci pensi la Federazione a portarli, ma bisogna che qualcosa si faccia (in realtà, se si trova scomoda la convivenza con le continental, il confronto con i pro’ potrebbe essere ben peggiore, ndr).

La Rostese corre con bici Guerciotti (foto Nicolas Mabyle/DirectVeo)
La Rostese corre con bici Guerciotti (foto Nicolas Mabyle/DirectVeo)
Perché dici che le squadre piccole rischiano di smettere?

Sento i miei colleghi. Ormai andare a una corsa lontano da casa è un impegno notevole. I chilometri con il gasolio che costa un occhio. Gli hotel, perché ormai nessuno ti ospita più. Risultati neanche a parlarne. Poi magari tiri fuori un bel corridore, arriva la continental e te lo porta via. Se devono esistere, che vadano a correre tra i professionisti.

E se non le invitano?

Non può essere un nostro problema, anche se di fatto lo è. A che cosa serve essere continental, se poi fanno solo le corse dei dilettanti e pagano i corridori anche meno di noi? Ho parlato con Dagnoni: così com’è, il sistema non funziona.

Sulle parole di Bartoli, la risposta del CT Friuli

05.03.2022
4 min
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Eravamo abbastanza sicuri che dopo l’articolo con Bartoli sul GP La Torre qualcuno ci avrebbe contattato. Pensavamo qualcuno di quelli che si era sentito defraudato dalla vittoria di Buratti, invece a scrivere è stato proprio Renzo Boscolo, direttore sportivo di Buratti e del Cycling Team Friuli.

«Ho letto il tuo articolo con l’intervista a Bartoli – c’era scritto – e credo che hai centrato il punto. Siamo appena partiti e già ci sono lamentele sulle continental. Se hai tempo e piacere, ti dirò la mia…».

Sul podio di Fucecchio, Boscolo (a sinistra) con il vincitore Buratti e il CT Friuli
Sul podio di Fucecchio, Boscolo (a sinistra) con il vincitore Buratti e il CT Friuli

Continental e U23

Il Cycling Team Friuli 2022 è composto da 15 atleti e fatto salvo Donegà e i suoi imminenti 24 anni, gli altri sono tutti nati fra il 2000 e il 2003 (un atleta del 2000, 3 del 2001, 4 del 2002, 5 del 2003), pertanto si tratta di un team under 23 a tutti gli effetti che, non avendo ancora cominciato a correre con i professionisti, aveva tutto il titolo di correre a Fucecchio. Quel che poteva fare la differenza rispetto agli atleti delle piccole squadre toscane era la qualità degli atleti, ma da quando è dannoso correre contro rivali più forti?

«Bartoli ci ha preso – dice Boscolo, subito contattato – ma francamente mi spiace perché domenica non avevo percepito i malumori. Le continental alterano il panorama nel momento in cui iniziano a fare attività con i professionisti, ma anche noi quel giorno partivamo da zero e nei primi 10 c’erano anche ragazzi di squadre più piccole. Abbiamo dovuto sudare per andare a riprendere un corridore di Chioccioli (Lucio Pierantozzi, marchigiano, in fuga per quattro giri, ndr). E soprattutto parliamo sempre di corridori giovani, il cui impegno va dosato. Non puoi mandare i primi anni al massacro. Un po’ tra i professionisti e un po’ tra i dilettanti, non è pensabile con un gruppo così giovane andare a fare esclusivamente una stagione tra i professionisti».

Al GP La Torre, quattro giri in fuga per Lucio Pierantozzi (terzo da destra, al via della Firenze-Empoli, foto Facebook)
Al GP La Torre, quattro giri in fuga per Lucio Pierantozzi (terzo da destra, al via della Firenze-Empoli, foto Facebook)

Il calendario non basta

In realtà sarebbe possibile, su questo siamo parzialmente in disaccordo, se solo il calendario fosse tale da supportare il movimento per come si va strutturando.

«Tredici continental – dice Boscolo – sono troppe e limitano la partecipazione alle corse dei professionisti. Per cui capiterà anche a noi di andare alle gare più piccole, quelle organizzate dalle società che magari domenica si sono lamentate. Noi tutti dobbiamo dire grazie a Renzo Maltinti, ad esempio, che oltre ad avere la squadra, organizza le sue corse. Il ciclismo ormai esiste soltanto in Europa, e le WorldTour ce le ritroviamo anche nelle gare 2.1.

«Ad esempio, con la nostra squadra abbiamo sempre fatto il Sibiu Tour in Romania, ma quest’anno probabilmente non riusciremo. E’ ovvio che anche io preferisca le gare internazionali, ma per ora dobbiamo tenerci stretto il calendario italiano, che è apprezzato anche dalle squadre straniere. Gli sloveni ad esempio se non venissero di qua, non potrebbero garantire una grande attività ai loro ragazzi».

Al Sibiu Tour 2021, Fran Miholjevic in fuga con Aru: il confronto con i più forti fa crescere
Al Sibiu Tour 2021, Fran Miholjevic in fuga con Aru: il confronto con i più forti fa crescere

Guardiamo all’estero

Il punto debole dello sviluppo è infatti il calendario dei professionisti, che non riesce a strutturarsi in modo da concedere spazio a tutti.

«Agli organizzatori – dice Boscolo – interessano le WorldTour e le professional, non mi immagino una Coppi e Bartali con 13 continental italiane. Ma se ci guardiamo intorno, si vede che in Europa le squadre dei dilettanti corrono regolarmente fra le continental e le professional. Adesso va di moda portarli all’estero, dopo che per anni si è detto che così si cresce. Ma se vai fuori a fare figuracce, forse è bene che stai a casa. Per questo 13 continental sono troppe, perché non tutte hanno il livello necessario.

«Bartoli ha centrato il tema, i ragazzi devono confrontarsi con quelli più forti. Il Buratti che ha vinto La Torre, da junior non ha fatto niente. Non mi permetto di dire chi farà carriera e chi no, ma quando poi vai ai mondiali o all’estero, contro questi devi correre. Questi devi battere. Se ci provi tutto l’anno, magari soffri di meno».

Un altro scatto alla Bartoli su under 23 e certe abitudini

03.03.2022
5 min
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Proviamo a cambiare prospettiva, questa volta. E se piuttosto che un merito degli stranieri, alla base ci fosse un demerito italiano? Come mai tutti questi ragazzini prodigio vengono da oltre confine? Vuoi vedere che li avremmo anche noi, ma sbagliamo qualcosa? E’ un Bartoli bello acceso quello che si infila in questa discussione e alla fine risulterà anche piuttosto convincente.

«In Toscana siamo speciali a lamentarci – dice Michele, classe 1970 – ma quello che si è sentito dopo il Gp La Torre non si batte (corsa di Fucecchio vinta da Buratti, in apertura, ndr). Qualcuno era furioso perché sono venute le continental e hanno dominato la corsa. E’ assurdo solo pensarlo. Se ai tuoi corridori vuoi far fare uno step, hanno bisogno di confrontarsi con quelli più forti. Io a 18 anni correvo contro il Manzi che aveva sei anni più di me oppure contro Brugna, che era stato professionista e poi era tornato nei dilettanti. Come me, anche Casagrande, Fornaciari, Pantani, Belli… Tutti noi del 1970 e dintorni. Poi però appena passati vincemmo subito anche noi. E badate che non fu una casualità».

Gran festa al CT Friuli per la vittoria di Buratti a Fucecchio
Gran festa al CT Friuli per la vittoria di Buratti a Fucecchio

E vennero gli U23

Basta tornare un po’ indietro con la memoria per rivedere l’Italia dei dilettanti prima dell’avvento degli under 23. Dando un colpo al cerchio e uno alla botte, è giusto ricordare che il 1996 in cui fu istituita la nuova categoria coincise con quel pazzesco sbalzo dei valori ematici, che falsò stagioni di corse. Gli under 23 non ne furono immuni, perciò nel nome della loro salvaguardia si attuò tutta una serie di precauzioni. E da lì non ci siamo più mossi.

Al punto che oggi gli juniores stranieri e a seguire gli under 23 iniziano subito ad allenarsi da professionisti e a confrontarsi ai livelli più alti, mentre da noi permangono cautele che forse andrebbero riviste. Non per mancanza di riguardo verso gli atleti e il loro talento, ma perché il mondo è cambiato e oggi la fatica non poggia più sulla chimica. E’ lo stesso principio per cui i bambini del Nord Europa giocano scalzi sotto la pioggia, mentre i nostri vengono infagottati dalla mamma che non li fa uscire di casa.

Mondiali dilettanti 1991: Bartoli primo da destra: in quel ciclismo, il confronto con i più grandi era la regola
Mondiali dilettanti 1991: Bartoli primo da destra: in quel ciclismo, il confronto con i più grandi era la regola
Il confronto con i più forti fa bene?

Alle mie prime due corse da dilettante – ricorda Bartoli – arrivò primo Manzi e secondo io. Lui del 1964, io del 1970. Non ci dormivo la notte. Non perché mi bruciasse aver perso, ma pensando al modo in cui avrei potuto batterlo, anticiparlo, fregarlo. Se trovi i più forti, sei costretto a imparare. Cosa ti cambia se vinci una corsa battendo tre bambinetti? A chi giova?

Forse alla squadra che così sembra più appetibile per lo sponsor.

Può darsi. Il guaio è che in Italia spesso non abbiamo lo scopo di far crescere i giovani, se non per andare al bar il giorno dopo a vantarsi di aver vinto. In Toscana siamo bravi a farlo, ma probabilmente succede in tutta Italia. Solo pochi lavorano davvero bene

Di chi parli?

Della Zalf, la Colpack, il Ct Friuli e le poche squadre che comunque continuano a tirare fuori corridori.

Continental anche alla Firenze-Empoli: vince Zambelli, maglia Zalf Fior
Continental anche alla Firenze-Empoli: vince Zambelli, maglia Zalf Fior
Secondo Bartoli, si tirano fuori corridori anche andando a fare le gare regionali?

Questo è un altro discorso e riguarda il livello dell’attività che gli fai fare. Se io avessi una continental, non andrei a La Torre, ma andrei alle corse dove ci sono corridori di valore. Se però ho una piccola squadra e mi arriva la continental, devo essere contento, perché mi si offre la possibilità di fare esperienza. Forse si dovrebbe partire dai direttori sportivi…

Come devono essere fatti?

Io ricordo di averne avuto alcuni da cui si poteva imparare davvero tanto. Il Massini, ad esempio, che è tornato indietro dalla pensione e adesso fa il diesse del Gragnano. Lui ha insegnato il ciclismo a tanti campioni. Oppure il Tortoli. Erano direttori sportivi ambiziosi, che però tutelavano sempre il corridore, non lo mandavano a fare figuracce se non stava bene. Il Tortoli era quello che segava la catena, se non stavo bene. E mi diceva di spezzarla con un calcio, così potevo fermarmi e non fare figuracce. Oggi sembrano davvero poco tutelati.

Se trovi i più forti, sei costretto a imparare: spiega, per favore.

Ti ingegni. Ti alleni di più. Io passai professionista e vinsi subito tre corse. Casagrande vinse al primo anno. Pantani ebbe una tendinite, ma al secondo anno staccò Indurain e fece podio al Giro e al Tour. Per noi fu una fortuna avere tra i piedi quei corridori di trent’anni, perché ci fecero guadagnare tempo. Invece adesso dura tutto troppo…

Perché?

Perché c’è gente che fa la squadra da anni, ma non insegna il ciclismo che c’è adesso là fuori. Invece all’estero non hanno paura di farli confrontare con i più forti e quando arrivano professionisti hanno già una marcia in più.

EDITORIALE / Benvenuti alla scuola del Nord

28.02.2022
4 min
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Una volta c’erano i velocisti, che si mettevano di traverso quando la strada iniziava a salire. E se un giovane coraggioso, ingenuo o semplicemente incauto si permetteva di attaccare troppo presto, iniziava il volo delle borracce. Poi questa abitudine è scomparsa, il ciclismo è cambiato, gli sceriffi hanno dismesso certe abitudini e poi si sono estinti, ma ci sono ancora momenti e corse in cui i padroni del gruppo fanno la voce grossa. Sulle stradelle sconnesse del Nord, ad esempio, se ne vedono di cotte e di crude.

Il gruppo vola con i manubri distanti pochi millimetri uno dall’altro. L’arte del limare si impara soprattutto lassù e può capitare di assistere a manovre verso le quali normalmente si punterebbe il dito.

Van Aert ha chiuso Trentin verso il marciapiede: una manovra non così rara da vedere
Van Aert ha chiuso Trentin verso il marciapiede: una manovra non così rara da vedere

Le prendi e le dai

Vi siete accorti della chiusura di Van Aert ai danni di Trentin sul Muur alla Het Nieuwsblad? Matteo ha ammesso che forse il belga lo ha stretto di proposito per impedirgli di prendere la discesa in testa, ma si è guardato bene dal lamentarsi. Certe cose al Nord sono normali.

«Se vai in Belgio a fare quelle corse – conferma Michele Bartoli, il più fiammingo degli italiani degli anni 90 – di certe cose non ti puoi scandalizzare. Quando si dice “mors tua, vita mea”, lassù è proprio così, semplicemente perché non ci sono altre possibilità. Le prendi e stai zitto. E poi magari impari anche a darle».

Perché correre sempre in testa? Perché dietro si rischia di restare a piedi…
Perché correre sempre in testa? Perché dietro si rischia di restare a piedi…

Non è tutto lecito

E’ tutto così normale che Michele non aveva neppure considerato irregolare la manovra di Van Aert. Ma con la stessa franchezza ha anche messo l’accento sul fatto che non tutto sia lecito.

«Io ero uno che si lamentava spesso in corsa – sorride – ma al Nord non l’ho mai fatto. Eppure sapete quante volte sono finito contro una transenna? Non si contano. Prima dei muri è normale che ci siano degli scarti bruschi. Sai che se perdi 3-4 posizioni all’inizio della salita, in cima magari ne hai perse venti e la corsa è andata. Perciò ai giovani che vanno lassù consiglio di prenderle e imparare a renderle, sempre nei limiti della sicurezza. Non è che tutto sia permesso, ma i percorsi sono così».

Vout Van Aert, Mathieu Van der Poel, Julian Alaphilippe, caduta moto, Giro delle Fiandre 2020
Il volo di Alaphilippe al Fiandre del 2020. Quella volta la manovra di Van Aert non fu limpidissima
Vout Van Aert, Mathieu Van der Poel, Julian Alaphilippe, caduta moto, Giro delle Fiandre 2020
Il volo di Alaphilippe al Fiandre del 2020. Quella volta la manovra di Van Aert non fu limpidissima

La scuola del Nord

Quel confine è così labile, che diventa difficile anche stigmatizzarne il superamento. Allo stesso modo in cui la stretta di sabato ai danni di Trentin non ha avuto grosse conseguenze, se non quella di rallentarne lo slancio, non si può dimenticare la manovra, uguamente di Van Aert, ai danni di Van del Poel e Alaphilippe nel Fiandre del 2020. Il belga puntò la moto e poi scartò di colpo. L’olandese riuscì a schivarla, il campione del mondo francese rovinò a terra e si ruppe un polso. Tutte le invettive si concentrarono sul motociclista, la manovra venne ritenuta funzionale alla corsa.

Il Nord è la scuola di ciclismo più dura che ci sia ed è un peccato che ai tanti ragazzi che militano nelle nostre professional essa sia preclusa, sia perché non ci sono gli inviti, sia perché spesso non vengono neanche richiesti. Per questo, al pari di Pozzato nei giorni scorsi, facciamo anche noi il tifo per Cassani. E intanto spingiamo idealmente le continental e le professional di casa nostra affinché investano sui ragazzi che indossano la loro maglia. Le salite sono tutte uguali, le stradine del Nord se non le impari da ragazzo, rischi di non impararle più.

Il lettino di Moro, massaggi, ricordi, campioni e nostalgia

26.01.2022
7 min
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E’ stato Cassani a riportarlo in nazionale, in quello staff trasversale che segue gli azzurri in ogni angolo del mondo. Prima Luigino Moro, nella vita precedente iniziata dieci anni dopo aver smesso di correre e fino alla chiusura della Liquigas, è stato uno dei massaggiatori di riferimento del gruppo. E’ passato attraverso anni particolari del ciclismo. E’ stato uomo di fiducia di alcuni fra i più grandi italiani degli ultimi 30 anni. Da Bartoli al Pantani del 1998, per capirci, avendo cominciato con l’Italbonifica, poi la Carrera, la Mg Technogym, la Mercatone Uno, la Mapei, la Fassa Bortolo e appunto la Liquigas. Sorridendo ammette che lentamente sta tirando i remi in barca: è del 1956, è nato in Veneto ma vive a Forlì, è sposato con Silvia dal 1982, fra un paio d’anni potrebbe andare in pensione.

«Sono stato professionista con la Inoxpran dal 1979 al 1982 – racconta – poi ho iniziato la scuola di massofisioterapista e insieme per un po’ ho fatto il gruista del soccorso stradale, così ho preso tutte le patenti che mi sono tornate poi utili nelle varie squadre. Ho sempre avuto la passione per la fisioterapia, ma l’idea iniziale era di lavorare in ospedale. Solo che in quel periodo prendevano solo terapisti della riabilitazione e così mi sono rivolto nuovamente al ciclismo».

Luigino Moro è bellunese, ma vive a Forlì. Classe 1956, è stato professionista dal 1979 al 1982
Luigino Moro è bellunese, ma vive a Forlì. Classe 1956, è stato professionista dal 1979 al 1982
Si diceva e a volte si prova a ripetere che il massaggiatore sia il confessore del corridore…

Si diceva, all’inizio era così. Ultimamente sempre meno, ora il corridore che arriva sul lettino è sempre molto distratto dal cellulare. E’ raro che lo spenga, per cui il contatto personale si riduce. Bisogna adeguarsi ai tempi. In proporzione, ho lavorato meglio con le ragazze in ritiro…

Cioè?

Sono stato a Calpe al ritiro con la nazionale femminile per sostituire il loro massaggiatore fisso. E’ stata una bella esperienza, mi sono trovato benissimo. Anche loro venivano col cellulare, però nessuna lo ha mai usato. Mi hanno dato l’impressione di essere attente e partecipi al lavoro e in questo modo anche il massaggio è più efficace.

Bisogna adeguarsi ai tempi?

Il modo di comunicare è cambiato. I direttori sportivi mandano mail e whatsapp, si parla sempre meno. Per questo ho avuto i rapporti migliori con i vecchi corridori. Ancora adesso con Bartoli ci sentiamo spesso, ma forse i corridori giovani hanno un miglior rapporto con i massaggiatori della loro età. Io per alcuni di loro potrei essere tranquillamente il padre (ride, ndr).

Nel 1998, Luigino Moro è stato il massaggiatore di Pantani, vivendo con lui i mesi più belli
Nel 1998, Luigino Moro è stato il massaggiatore di Pantani, vivendo con lui i mesi più belli
Come mai Bartoli?

Siamo molto amici, anche con la famiglia, con mia moglie siamo stati padrini al battesimo di suo figlio Gianni. Per lavoro ci siamo incrociati spesso. Alla Mg Technogym, poi alla Fassa Bortolo e alla Mapei sino alla fine della sua carriera.

E poi Pantani…

Già quando nel 1991 correva alla Giacobazzi, a volte d’inverno veniva a casa mia per fare i massaggi. Poi lo trovai alla Carrera. Infine arrivai alla Mercatone Uno quando fu rifondata nel 1997, però Marco era con Pregnolato. Quando nel 1998 ci fu un assestamento e Roberto andò via, iniziai a seguirlo io. L’ho massaggiato per tutto il 1998, quando vinse Giro e Tour e fu un’esperienza incredibile, molto bella. Ho vissuto i momenti migliori di Marco, mi ritengo fortunato.

Com’era Marco ai massaggi?

Lui entrava e ascoltava il massaggio, come Bartoli. Corridori così sensibili ce ne sono stati pochi, mi viene in mente Rolf Sorensen con cui ho fatto tre mondiali. In quel periodo i cellulari stavano arrivando e comunque servivano solo per telefonare. I momenti che ho vissuto con Marco non saprei come definirli. C’era gioia e insieme l’emozione, sapendo tutto quello che aveva fatto per tornare grande. Si era fra il pianto e la gioia. In quel periodo Pantani parlava il giusto, per avere conferme alle sue sensazioni (in apertura, il massaggio di fine Tour 1998, ndr). Aveva attimi scanzonati, ma quell’anno era sempre molto concentrato. Poi tornò Pregnolato e io non ho più lavorato con lui.

Bartoli era più estroverso, a volte bisognava spegnere i microfoni…

Michele esternava tutto quello che gli passava per la testa. Si creò un bel rapporto perché ti coinvolgeva nelle sue preoccupazioni e nei ragionamenti. La visione di corsa con lui era molto più intensa, ti faceva entrare nella sua rabbia. Ricordo Plouay…

Si sentì tradito dalla Mapei, scagliò la bici nel box dopo l’arrivo, era nero…

Prima di quel mondiale, massaggiavo sia lui sia Bettini. Michele quel giorno era furibondo, si sentì tradito, ma solo loro due sanno come sia andata. Forse Paolo pensava di partire più avanti per tirargli la volata, difficile giudicare da fuori.

Il fatto di aver corso ti ha aiutato nel tuo lavoro?

Credo che quegli anni in bici siano serviti per dare agli atleti quello che era mancato a me quando correvo. Il massaggio era di 20 minuti quando andava bene, solo ai capitani andava meglio. Una volta si lavorava solo con le mani, senza tanti apparecchi. Giusto qualcuno usava delle lampade a infrarosso, ma il solo risultato era di riscaldare il muscolo.

Moro ha lavorato a lungo con Ferretti, qui nel 2003 con Petacchi: per lui ha grande stima
Moro ha lavorato a lungo con Ferretti, qui nel 2003 con Petacchi: per lui ha grande stima
Hai lavorato con grandi direttori sportivi…

Per Ferretti ho grande stima, lo ritengo uno dei migliori. Riis è stato un grande innovatore per la comunicazione e ha cambiato il modo di pensare del tecnico. Parsani aveva un bel rapporto con gli atleti e avendo corso insieme, ci intendevamo bene. Zanatta e Chiesa li ho sempre visti come due bravi ragazzi capaci di parlare con i corridori. Giannelli è stato il migliore sul piano della logistica.

In Belgio si parla ancora della tua pizza…

Quando andavamo nell’hotel di Piva (ride, ndr), visto che da ragazzino avevo lavorato come panettiere, capitava che mi chiedessero di fare la pizza. Poi con la venuta dei cuochi, hanno iniziato a mangiarne di migliori.

C’è stato anche un periodo in cui i massaggiatori venivano visti come i… pasticcioni del doping.

Purtroppo (dice dopo una piccola pausa, ndr) abbiamo avuto dei momenti non belli. Ma una volta stabilite le regole, si riusciva a restare anche tranquillo. Alcuni però non si sono attenuti e hanno combinato qualche pasticcio. Qualche bandito c’è stato, io per fortuna ho lavorato in squadre in cui i medici facevano bene il loro lavoro e noi ci siamo tolti un bel peso. In altre squadre invece tutto è continuato come prima. Io ho sempre ritenuto importante che ognuno rimanga nel proprio lavoro.

Ecco Moro, a destra, alla festa del 10 anni del mondiale di Cipollini
Ecco Moro, a destra, alla festa del 10 anni del mondiale di Cipollini
Luigino e la nazionale?

Non ho mai avuto il piacere di lavorare con Alfredo Martini, ma anche quando veniva alle corse sentivi la sua presenza. Su di lui hanno detto di tutto, ma è ancora poco per il carisma che aveva. Ballerini ascoltava tutti quanti, poi prendeva le sue decisioni. Con Bettini sono andato una sola volta in Australia, ma il bel rapporto che c’era da corridore è rimasto. Con Cassani, cosa dire? Ci allenavamo insieme. Io smettevo e lui cominciava. Vedremo con Bennati, che ho massaggiato alla Liquigas.

Pensi davvero alla pensione?

Per venire alle corse bisogna avere grande passione e io ce l’ho, anche perché lavorando a casa si guadagnerebbe certamente di più. Mi piace ancora essere in giro e con la nazionale faccio un numero di giornate giusto, un bel compromesso rispetto alle lunghe assenze dei team. Però mi sto facendo la bici nuova per riprendere quando avrò più tempo. Ho 65 anni, potrei andarci a 67,5. Si vede ormai l’arrivo, ma ci penseremo al tempo giusto.

Troppa crono e “poca” salita, la Tirreno non convince Bartoli

20.01.2022
6 min
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Questa mattina si sono alzati i veli sulla Tirreno-Adriatico numero 57. Una videoconferenza stampa ha lanciato la Corsa dei Due Mari. Una corsa che mantiene il suo DNA pur cambiando alcune cose.

Ci eravamo lasciati con il solito Pogacar che aveva messo le mani sul tridente di Nettuno (il premio del re della Tirreno). Avevamo ancora negli occhi l’impresa di Van der Poel sui muri, gli scatti di Alaphilippe e le bordate di Van Aert. E da questi protagonisti, anche se Van Aert dovrebbe essere alla Parigi-Nizza, si dovrebbe ripartire da Camaiore il prossimo 7 marzo.

Il podio 2021 (da sinistra): Wout Van Aert, Tadej Pogacar e Mikel Landa
Il podio 2021 (da sinistra): Wout Van Aert, Tadej Pogacar e Mikel Landa

Tracciato più “facile”

Il tracciato della Tirreno di quest’anno però è un po’ diverso. Probabilmente vedremo ancora tutto ciò, ma sotto un’altra veste. E per capire appunto cosa vedremo ne parliamo con Michele Bartoli, che la Tirreno-Adriatico l’ha vinta nel 1999.

Si parte con una cronometro individuale. Si prosegue con delle tappe ondulate più o meno veloci, al penultimo giorno c’è la tappa di montagna, ma senza arrivo in salita, e gran finale a San Benedetto del Tronto per quella che è la volata già annunciata. Su carta sembra più facile, ma in sette giorni si superano i 14.000 metri di dislivello e i 1.100 chilometri di strada: non è comunque una passeggiata.

Michele Bartoli vinse la Tirreno nel 1999, al primo anno in Mapei. Precedette Rebellin e Garzelli
Michele Bartoli vinse la Tirreno nel 1999, al primo anno in Mapei. Precedette Rebellin e Garzelli
Michele, si parte con una cronometro. Cosa ne pensi?

A me non piace, così come non piace il fatto che non ci sia un arrivo in salita. Soprattutto nei piccoli giri, una cronometro così lunga è troppo decisiva. Tanto più che è stata inserita al primo giorno. Per me toglie il grosso dell’attesa. In questo modo chi vince la crono vince il piccolo giro. Per me è una tendenza che andrebbe limitata.

Cioè?

Dico che una cronometro individuale di 5 chilometri poteva bastare. Gli scalatori in questo modo sono penalizzati… anche qui. Nei grandi Giri vince chi comunque va forte a cronometro, se adesso anche nei piccoli Giri vince il cronoman lo scalatore cosa fa? E per di più mi togli l’arrivo in quota.

In effetti una cronometro di questa lunghezza al primo giorno, taglia le gambe a molti anche per la conquista della maglia di leader…

Esatto, scema un po’ la lotta per la maglia. L’anno scorso la crono c’era l’ultimo giorno e un Van Aert della situazione ti prende la maglia subito, anche la tappa dei muri della situazione perde di aspettative, perché in questo modo la squadra del cronoman leader, tende a chiudere la corsa, a controllarla.

Però le tipiche tappe ondulate non mancano. In conferenza stampa si è parlato di muri, ma meno estremi. Anziché 20 e passa per cento, 10-12 per cento. Per Alaphilippe saranno sufficienti questi arrivi per recuperare il possibile gap che accumulerà a crono?

Lui è una mina vagante e non sai mai quello che fa. Quando si presenta ad una corsa può sempre inventarsi qualcosa, non viene mai tanto per… Potrebbe racimolare qua e là qualche secondo, tra abbuoni e buchi, a crono poi è meno penalizzato di quel che si pensa. Tutto sommato regge il colpo.

Però Michele, ammettiamolo, una Tirreno-Adriatico al Bartoli corridore sarebbe piaciuta…

Sì, sì… Mi sarebbe piaciuta, ma i tempi cambiano. Tutto sommato somiglia anche alla Tirreno che vinsi. Alla fine a crono mi difendevo. E anche quell’anno poi non c’era l’arrivo in salita, anche se a me un arrivo solo andava bene perché ero disposto a fare fatica. Era nei grandi Giri che mi passava la voglia di fare fatica! A parte nella prima Vuelta che feci da giovincello: ero sempre lì a tenere duro.

C’è qualche tappa che somiglia a qualche frazione di quell’edizione?

La tappa dei muri di Fermo, mi fa pensare a quella di Torricella Sicura. Io ero in fuga con Jalabert.

Esattamente una settimana dopo l’ultima tappa, quella di San Benedetto, ci sarà la Milano-Sanremo. Secondo te i corridori faranno ancora la distanza per la Classicissima allungando al termine di una frazione? Ed eventualmente quale?

Di solito si sfrutta la tappa più lunga. E secondo me sì: lo faranno. E’ un qualcosa che serve anche alla testa. L’atleta si crea degli stimoli, acquisisce convinzioni se ha del feeling con il chilometraggio della Sanremo.

Il Giro d’Italia del 2014 transitò sul Carpegna. In vetta il cippo dedicato a Pantani
Il Giro del 2014 transitò sul Carpegna. In vetta il cippo dedicato a Pantani
Quindi potrebbe essere la seconda frazione, quella di Sovicille di 219 chilometri. Però anche quella di Carpegna è di 213…

E allora quella ideale è quella di Carpegna. E’ quella più indicata perché non è neanche più vincolante per la corsa, visto che il giorno dopo c’è solo il circuito di San Benedetto del Tronto. In teoria anche gli uomini di classifica potrebbero approfittarne. Penso ad uomini che mirano appunto alla classifica della Tirreno e anche a far bene alla Sanremo.

Chi vede favorito Michele Bartoli?

Non so di preciso chi ancora ci sarà, ma siccome sembra saranno confermati molti dei nomi dell’anno scorso, io credo che Pogacar sia il favorito. Va forte a cronometro, va forte in salita. Non credo in un corridore più pesante. Penso che il Carpegna nell’ultimo tratto forse sia un po’ troppo complicato, specie se si fa due volte. No, per me il favorito è Pogacar. Pogacar e voglio vedere il ragazzino, Evenepoel, perché se va davvero forte a crono…

Fondo invernale, come affrontarlo. Ne parliamo con Bartoli

23.11.2021
4 min
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Finite le vacanze ed il periodo di riposo è tempo di riprendere la bici per i corridori. Risalire in sella è sempre complicato, soprattutto dopo il periodo di stacco completo. Ci sono tanti aspetti da curare e la testa è il primo di questi. Una mente riposata ti permette di concentrarti pienamente sulla stagione che sta per iniziare. Lo sa bene Michele Bartoli, che in gruppo ha corso molti anni e che ora segue la preparazione dei “suoi” corridori.

Con Michele affrontiamo il discorso di quello che viene definito il fondo invernale. Tra novembre e dicembre i corridori pongono le basi per la stagione futura (in apertura, Wout Van Aert alle prese con le prime fatiche, ndr).

Giovanni Carboni, mountain bike, inverno 2020
La mountain bike è una buona alternativa per allenare riflessi e guida del mezzo. Qui Giovanni Carboni
Giovanni Carboni, mountain bike, inverno 2020
La Mtb allena riflessi e guida del mezzo. Qui Giovanni Carboni
Abbiamo visto che Colbrelli va dall’osteopata, serve?

Sì, fa bene. E’ un periodo talmente delicato che non bisogna lasciare nulla al caso. E’ necessario fare un check sull’atleta a 360 gradi così da rimetterlo in sella sicuri di evitare problemi fisici.

Ci si rimette in moto anche con della ginnastica…

E’ importante accompagnare sempre alle uscite in bici dei lavori di cross ability, a me non piace far utilizzare macchinari. Si fanno esercizi a corpo libero dove l’atleta diventa il vero e proprio “macchinario” con cui lavorare. Tutte le squadre hanno dei fisioterapisti o dei preparatori che indicano gli esercizi da fare.

Dopo tutti questi accorgimenti (necessari) ci si rimette in bici.

Per le prime tre settimane il lavoro da fare è aerobico, parlando in watt la zona 3 (Z3). Lavorare in questa fascia permette al corpo di migliorare le qualità atletiche che serviranno poi come base per la stagione. Solitamente si fanno uscite con un alto minutaggio.

I primi mesi è importante allenare il corpo e il cuore con degli esercizi di cross ability. Qui Jonathan Milan
Alla ripresa è importante fare esercizi a corpo libero e di cross ability. Qui Milan
Quando si iniziano ad inserire dei lavori specifici?

Si inseriscono nella seconda parte della preparazione, quando ti avvicini alle prime corse.

Ecco, si lavora allo stesso modo anche se gli obiettivi nell’arco della stagione sono diversi?

Assolutamente, il fondo è importante per tutti allo stesso modo. Un atleta che punta alle classiche del nord inizierà ad entrare in condizione presto iniziando a fare qualche gara già a febbraio. Se, invece, l’obiettivo è il Giro d’Italia allora si punta ad arrivare con una buona condizione alla Tirreno-Adriatico

Gli stop inattesi

La nostra considerazione parte anche dal fatto che Alberto Bettiol la scorsa stagione aveva detto di aver avuto dei problemi nella preparazione. E che a causa di quello stop aveva perso 80 ore di allenamento, ha dovuto cambiare programma di lavoro puntando al Giro ma perdendo tutti gli obiettivi di inizio stagione…

Quanto influisce avere uno stop nella preparazione?

Purtroppo, influenza molto il lavoro. Più che un discorso di ore di allenamento perse ci si deve concentrare sulla qualità degli allenamenti che non si è riusciti a portare a termine.

Poi a dicembre/gennaio ci sono i ritiri, al caldo. Quanto conta il clima nella preparazione?

Ha la sua importanza, con il freddo si corre il rischio di subire qualche contrattura o dei problemi muscolari. Per questo a casa i corridori fanno lavori sul medio o all’85 per cento del massimale. Il caldo, invece, ti permette di fare lavori specifici e permette al corpo di assimilarli meglio.

Anche i ritiri, però, vanno ponderati.

L’atleta per allenarsi al cento per cento deve essere sempre sul pezzo dal punto di vista mentale. Il numero giusto di giorni in ritiro il corridore li fa volentieri e massimizza il lavoro. Un numero troppo elevato lo stressa e non si riposa bene non riuscendo poi ad assimilare il carico di allenamento.

Dopo le prime settimane di lavoro individuale le squadre organizzano i primi ritiri al caldo e si fanno i primi lavori specifici
A dicembre e gennaio le squadre organizzano i ritiri per assimilare il lavoro fatto a casa
Per concludere, fare attività alternative (nuoto, corsa, ecc.) è utile?

Lo era di più una volta, ma ancora prima che corressi io. Perché il periodo di stacco era molto più lungo, quindi i corridori trovavano attività alternative per rimanere un minimo allenati. Ora come ora lo stacco è minimo, massimo un mese, di conseguenza diventa un po’ impensabile inserire sport alternativi. Anche perché per farli fruttare servirebbe un periodo più lungo di lavoro.

Invece per quanto riguarda la doppia disciplina? Tu segui un’academy di ciclocross…

Io stesso arrivo dal ciclocross. Nelle categorie giovanili l’ho sempre praticato e ritengo che la multidisciplina ti permetta di sviluppare molte caratteristiche. Poi i ragazzi trovano anche il loro mondo e capiscono anche quello che gli piace fare.

Una volta professionisti serve per il fondo?

Non penso sia utile, al massimo uno può rincominciare con mountain bike o ciclocross nel periodo di rimessa in sella. Poi però bisogna concentrarsi sull’obiettivo della stagione, ovvero la strada. Per i ragazzi che li praticano agonisticamente tutto l’anno penso che tolga energie fisiche e mentali a tutti e due gli impegni. Già in questa stagione abbiamo visto come, per i motivi più disparati, Van Der Poel e Van Aert non siano stati competitivi come gli anni passati. Non si può correre tutto l’anno senza fare pause o staccando solamente 7-10 giorni.

EDITORIALE / Per andare forte si deve stare scomodi

08.11.2021
4 min
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Per andare forte bisogna stare scomodi. Questa frase di Mattia Cattaneo a proposito della sua posizione a cronometro continuava a risuonarci nella testa. E poi chissà perché si è estesa ad altri ragionamenti. A Bartoli che parlava di Sagan. Oppure a Roberto Amadio che raccontava della sua entrata nello staff della nazionale. Per andare forte bisogna essere scomodi. Non scomodi nel senso che si debba vivere un disagio, ma di sicuro non si può fare sport di alto livello creando per sé un ambiente troppo morbido. Non funziona.

Ha detto Bartoli che a Sagan servirebbe un Ferretti o un Riis, capace di tirargli fuori la rabbia. Ha detto Amadio che in un primo momento i tecnici federali potrebbero aver vissuto male la sua presenza, perché era lì a sorvegliare che tutto fosse fatto al massimo. Questo non significa che Sagan e i tecnici azzurri abbiano lavorato male, ma forse in determinati momenti (magari non tutti) se la sono fatta bastare.

Sagan è stato con Riis nel 2015-2016, vincendo due mondiali, il Fiandre e altre 22 corse
Sagan è stato con Riis nel 2015-2016, vincendo due mondiali, il Fiandre e altre 22 corse

La scelta di Argentin

Sapete chi a un certo punto, oltre chiaramente a Bartoli, per tornare vincente andò con Ferretti? Moreno Argentin, che dalla Gewiss-Bianchi nel 1990 arrivò all’Ariostea, voluto fortemente dal patron Pederzoli. Aveva trent’anni e un bottino di 48 vittorie, fra cui un mondiale, tre Liegi e due Freccia Vallone, ma da due stagioni non rendeva più come prima. Sembrava appagato, serviva una svolta.

«Deve tornare la fame – racconta Moreno – anche Sagan l’ha avuta e l’ha utilizzata per ottenere tante vittorie. Non fame economica, perché credo che abbia guadagnato abbastanza, ma la fame di dimostrare di esserci ancora. Cambiare aria e trovare un Ferretti è il desiderio del corridore che ha l’orgoglio di tornare. Che ha voglia di riscattarsi, in un ambiente in cui magari non deve pensare ai suoi gregari, ma concentrarsi su se stesso. Se non ci sei con la testa, non vai da nessuna parte.

«Se vuoi continuare a vincere, devi andare in una squadra che ti metta nelle condizioni di farlo. Oggi la migliore da questo punto di vista è la Deceuninck-Quick Step, perché ha l’ambiente giusto. Non so se Sagan in Francia troverà questo. Quando arrivai all’Ariostea, Ferretti preparava e mentalizzava la squadra per le singole gare, come fanno oggi nel calcio. Ma il capitano a quel punto deve dimostrare di avere la condizione fisica e mentale per vincere. Altrimenti i compagni puoi prepararli quanto vuoi, ma in corsa ti mollano».

Nei tre anni con Ferretti, Argentin vinse 14 corse, fra cui il Fiandre, due Freccia Vallone e la Liegi. Con Ferretti litigò più volte, ma il risultato finale di quella convivenza così… scomoda andò bene a entrambi.

Argentin corse con Ferretti per 3 anni e tornò a vincere. Qui nella Liegi del 1991
Argentin corse con Ferretti per 3 anni e tornò a vincere. Qui nella Liegi del 1991

Come Nibali all’Astana

Bisogna stare scomodi. Trovare un tecnico capace di morderti e darti la scossa, come seppe fare anche Scinto con Pozzato nel 2012. Non ci sarà soprattutto questo alla base dei tanti successi della Deceunick di Bramati e anche del gruppo Ineos che lavora con Tosatto? Che ambiente troverà Sagan alla TotalEnergie? Ci sarà qualcuno capace di pungerlo nel vivo e tenerlo sulla corda? Oppure, come detto e scritto, l’obiettivo sarà ritrovare il divertimento nell’andare in bici?

Bisogna stare scomodi, oppure pensare che ci sia il rischio che ciò accada. Forse c’è anche questo nel ritorno di Nibali all’Astana. Perché ci sono squadre in cui si corre per vincere e null’altro. E Vincenzo ricorda bene quando a giugno del 2014 gli arrivò una lettera in cui si parlava di scarso rendimento, pur dopo il Giro vinto nel 2013 e il secondo posto alla Vuelta. Vinokourov non le manda a dire e il siciliano in tutta risposta vinse il campionato italiano e poi il Tour. Lui lo sa che troverà ancora il capo kazako e anche Martinelli, che le cose te le dice e quando serve, ti scuote. Stare scomodi è il solo modo che funziona. E poi, quando il traguardo è stato raggiunto e finalmente ci si può rilassare, si gode di più la conquista.