E’ l’ultimo arrivato in casa Jayco-AlUla. Dopo un 2024 da dimenticare con un solo successo e troppe cadute, Pascal Ackermann va a caccia di una seconda giovinezza nel team australiano. Per raccogliere qualche successo negli sprint, Brent Copeland e il suo staff hanno deciso di puntare sull’esperto trentunenne tedesco, già campione nazionale e capace di conquistare la maglia ciclamino al Giro 2019.
Pascal ringrazia e, mentre si prepara a diventare papà, comincia a pensare come sarà la nuova avventura che l’aspetta. E sta volutamente alla larga dagli ultimi mesi difficili alla Israel per la situazione extra ciclismo che ha costretto la vecchia proprietà del team a fare un passo indietro e spinto molti corridori a cercare fortuna altrove.
La firma con la Jayco-AlUla solleva Ackermann da problemi di ordine sportivo ed extra sportivoLa firma con la Jayco-AlUla solleva Ackermann da problemi di ordine sportivo ed extra sportivo
Cosa ti aspetti da questa nuova sfida?
Sono super, super felice di essere qui. Quando in estate ho saputo che avrei potuto entrare a far parte di questa squadra, ci sono stati altri incontri e mi sono incuriosito sempre di più. Quando ero ragazzino, infatti, la Mitchelton-Scott era uno squadrone e un grande progetto, che ho sempre seguito. Per cui, non vedo l’ora di cominciare.
Che cosa ti ha colpito al primo impatto?
Penso di essere nella squadra giusta per me e sono convinto di avere grandi compagni di squadra. Siamo un bel mix di corridori, tra esperti e giovani e combatteremo insieme. Sono davvero su di giri e abbiamo un sogno comune che ci piacerebbe centrare: vincere una tappa al Tour de France per completare la mia personale tripla corona, così da regalare una gioia al team.
Ritroverai Michael Matthews: come sarà?
Quando ero giovane, Michael era un avversario ostico per me, ma poi lui ha puntato corse un po’ più dure, mentre io ho optato per quelle pianeggianti. Formiamo una bella coppia e credo che correndo insieme possiamo essere competitivi su tutti i terreni. Spero di imparare qualcosa da lui, perché è davvero un modello da seguire.
Tappa di Tortona al Giro del 2023: Ackermann batte Milan, Cavendish e Mads PedersenLa Vuelta del 2020 ha 18 tappe a causa del Covid: Ackermann vince la 9ª e la 18ªTappa di Tortona al Giro del 2023: Ackermann batte Milan, Cavendish e Mads PedersenLa Vuelta del 2020 ha 18 tappe a causa del Covid: Ackermann vince la 9ª e la 18ª
Che ne pensi dei tuoi nuovi compagni?
Essendo l’ultimo arrivato, non ho parlato molto coi miei nuovi compagni, anche se conosco qualcuno di loro. Ad esempio, Covi era con me alla UAE. Il ciclismo alla fine è un po’ come una grande famiglia ed è sempre bello ritrovare qualcuno con cui hai già corso.
Quanto è stato duro per te il 2025?
Non voglio parlare della parte non sportiva, ma potete immaginare quanto sia stato difficile anche quell’aspetto. In generale, la mia stagione non è stata un granché perché sono caduto male subito ad inizio stagione in Provenza. Ci sono voluti due mesi per tornare in forma, poi mi sono fatto male, sono rientrato e sono caduto di nuovo: insomma, un calvario. Sono riuscito ad essere al via del Tour, ma le tre cadute nelle otto settimane di preparazione diciamo che non sono state il massimo, per cui non sono riuscito a ritornare a un buon livello. A quel punto, ho rallentato il ritmo e ho cominciato a pensare al 2026.
Obiettivi?
Con la squadra non abbiamo ancora fatto programmi specifici, anche se abbiamo parlato di quali potrebbero essere gli obiettivi plausibili e le corse che mi piacerebbe fare. Mi auguro di essere al via del Tour e poi chissà. Sinceramente, mi sento più da Grandi Giri, anche perché oramai nelle classiche ci sono anche gli scalatori o fenomeni alla Pogacar, che rendono la corsa difficilissima. Al massimo potrei puntare a qualche corsa di un giorno in Belgio, come la Gent-Wevelgem.
Al Giro 2019, Ackermann vince a Fucecchio e Terracina e porta a casa la maglia ciclaminoAl Giro 2019, Ackermann vince a Fucecchio e Terracina e porta a casa la maglia ciclamino
Il tuo augurio?
Già non avere infortuni e non cadere tutte le volte come quest’anno sarebbe un buon inizio. Voglio tornare ad alzare le braccia al cielo. Aver conquistato la maglia ciclamino al Giro d’Italia rimane il ricordo più bello della mia carriera, insieme alle singole vittorie di tappa nei Grandi Giri. Così come essere stato campione nazionale. Ogni vittoria però è speciale di per sé perché ha dietro una storia.
Il programma per le prossime settimane?
Starò a casa in Austria, dove vivo da 7 anni. Lì è bello perché mi trovo ai piedi delle montagne, per cui ogni giorno posso decidere se fare pianura o cimentarmi in qualche salita. Poi, quando non pedalo, adoro pescare. Viviamo molto vicino a un lago e quando riesco vado. Quest’autunno però mi sa che sarà un po’ più difficile, perché sta per nascere nostra figlia, dunque, preferisco stare vicino a mia moglie.
Guai ad accontentarsi nel ciclismo moderno. Lo sa bene Brent Copeland, che gira nell’ambiente oramai da più di 26 anni dopo essere sceso di sella nel 1999. Gli sponsor vogliono risultati. Le squadre si fondono e non sempre gli investimenti fatti a tavolino portano agli obiettivi sperati una volta che si è su strada. Il general manager della Jayco-AlUla non si nasconde dietro a un dito. Nei giorni scorsi ha applaudito il successo nella classifica generale al Tour of Guangxi di Paul Double (in apertura), ma rimane coi piedi per terra.
«E’ stata una stagione decente – ammette Copeland, prima di riavvolgere il nastro – ma potevamo fare meglio. Abbiamo vinto la tappa regina del Giro d’Italia con Chris Harper e poi fatto altrettanto con Ben (O’Connor, ndr) al Tour de France. A fine stagione però, ti viene sempre da pensare che forse avresti potuto fare qualcosa in più. Anche perché le aspettative all’inizio dell’anno sono sempre molto più alte di quello che si riesce a ottenere. Forse, gli unici casi che rappresentano l’eccezione dell’equazione sono la UAE di quest’anno (96 sigilli, ndr) o la Visma del 2023 che ha vinto quasi 70 corse (69 le affermazioni dei calabroni due anni fa, ndr) più tutti e tre i Grandi Giri».
Al timone del team australiano dall’estate 2020, Copeland si aspettava qualche fiammata in più dai suoi ragazzi e lo dice senza remore. «Vedendo la squadra di quest’anno con O’Connor, Matthews, Dunbar, Zana, Schmid – aggiunge Copeland – avevamo almeno 7-8 corridori capaci di vincere, ma non tutti loro hanno lasciato il segno. Guardando la classifica a squadre, siamo al 18° posto: non è la posizione che ci compete. Dovremmo essere quantomeno in top 10 per quello che abbiamo investito e per le energie che ci abbiamo messo».
Brent Copeland ha preso il comando del Team Jayco-AlUla nell’estate del 2020, in pieno CovidBrent Copeland ha preso il comando del Team Jayco-AlUla nell’estate del 2020, in pieno Covid
Un tetto per i budget
La filosofia per il 2026 cambia. L’obiettivo è che qualche promessa diventi realtà con la speranza più allargata che si trovi un equilibrio.Il 2025 èstato dominato dal UAE Team Emirates-XRG, forte del budget e un vero e proprio Dream Team attorno al fenomeno Tadej Pogacar. Da presidente dell’AIGCP (Associazione Internazionale Gruppo Ciclisti Professionisti), Copeland rincara la dose. «Bisognerebbe parlarne di più di questa tendenza. Potrebbe portare all’esplosione della bolla se non si istituisce, ad esempio, per un tetto per il budget di ciascuna squadra. Se non si interviene, il gap crescerà ancora, ci sarà meno incertezza e il rischio è che ne vada della spettacolarità del nostro sport».
Copeland se ne intende . Oltre a gestire anche il team femminile della Liv AlUla-Jayco, in passato ha seguito il centauro Ben Spies in MotoGp. «In questo momento, i migliori team hanno un budget del 100 o del 200 per cento superiore rispetto alle squadre intermedie. E queste a loro volta hanno molta più disponibilità di quelle più piccole. Questo sistema non funziona e andrà sempre peggio se non lo regoliamo in qualche modo. Tetti salariali, limiti al budget complessivo delle squadre, altri interventi: qualcosa dev’essere fatto. Se il nostro sport diventa meno combattuto, perderemo tv, sponsor e pubblico. Formula 1 e MotoGp hanno cambiato moltissimo negli ultimi dieci anni per restare al passo. Noi dobbiamo evitare di restare indietro, sia nel ciclismo maschile sia in quello femminile. In quest’ultimo, ad esempio, si è fatta la scelta saggia di evitare sovrapposizioni in calendario tra le grandi corse. Una cosa che, invece, avviene in campo maschile con contemporaneità come quelle tra Parigi-Nizza e Tirreno-Adriatico».
Lo strapotere della UAE Emirates è innegabile, ma può trasformarsi in un boomerang per il ciclismo mondialeLo strapotere della UAE Emirates è innegabile, ma può trasformarsi in un boomerang per il ciclismo mondiale
Il ruolo di O’Connor
Poi torna sulla Jayco-AlUla per il 2026. «Per quanto ci riguarda – dice Copeland – abbiamo ridotto gli investimenti per comporre il nuovo roster, anche se è sempre più difficile trovare un equilibrio tra il budget ed essere competitivi ad alto livello. Noi vogliamo puntare sui giovani, ma senza abbassare il livello della squadra. Abbiamo fatto una scelta coraggiosa, ma sono sicuro che, se la gestiamo bene con i direttori sportivi e col nostro performance group, possa essere sostenibile e funzionale».
Sicuramente, gran parte delle aspettative pesa sulle spalle di Ben O’Connor. I pugni sferrati al cielo per celebrare il trionfo sul Col de la Loze sono l’istantanea di quest’annata per il team australiano. Eppure per quanto mostrato nel 2024, Copeland chiede di più alla sua stella.
«Il nostro sogno, così come quello di qualunque squadra – dice – è di salire sul podio al Tour de France. Per farlo, ci vogliono tanti investimenti e non è detto che bastino perché, davanti al tuo cammino, ti trovi ad affrontare tanti ostacoli. Se tutto fila liscio e i pianeti si allineano, diventa possibile. Noi abbiamo questa possibilità con Ben e, al giorno d’oggi, è ancora meglio un podio in un Grande Giro rispetto a vincere una Monumento. Certo, sappiamo di non avere un organico ai livelli delle supersquadre di Pogacar e Vingegaard, ma se il percorso che sveleranno in questi giorni sarà adatto alle sue caratteristiche, ci proveremo».
La vittoria al Col de la Loze è stata l’emblema del 2025 di Ben O’Connor, ma Copeland si aspetta di piùLa vittoria al Col de la Loze è stata l’emblema del 2025 di Ben O’Connor, ma Copeland si aspetta di più
Il percorso del Tour
La presentazione della Grande Boucle si svolgerà il 23 ottobre e quello sarà un crocevia per i piani in casa Jayco-AlUla e per la stagione di O’Connor. D’altronde, il ventinovenne di Subiaco ha già dimostrato ai mondiali di Zurigo 2024 di poter dire la sua anche nelle corse di un giorno, terminando secondo nella corsa iridata alle spalle soltanto dell’imprendibile Pogacar.
«Una volta delineato il profilo del Tour– spiega ancora Copeland – decideremo se puntare a un possibile podio o comunque a una top 5, oppure se concentrarci sulle classiche. Non dimentichiamoci che è arrivato nella nostra squadra dopo aver terminato al 4° posto il WorldTour 2024. Quest’anno è fisiologico che abbia dovuto prendere le misure con il nuovo ambiente, i nuovi compagni. È giusto dargli tempo perché sono sicuro che nel 2026 ci farà divertire.
Michael Matthews è il corridore più rappresentativo della squadra: i suoi risultati hanno tenuto in alto i destini del teamMichael Matthews è il corridore più rappresentativo della squadra: i suoi risultati hanno tenuto in alto i destini del team
La centralità di Matthews
E per le gare di un giorno, torna a splendere la stella di Bling. Il sorriso di Copeland si illumina: «Matthews è il più grande “asset” della squadra. Forse non vince molto quanto meriterebbe, ma soltanto perché ci sono corridori con le sue caratteristiche che sono leggermente più forti, un po’ come accade a Remco quando si scontra con Pogacar. Michael, infatti, oggi affronta titani del calibro di Van der Poel o Van Aert».
Visto quanto mostrato al Lombardia, chissà che non possa proprio essere il veterano della squadra, il grande acquisto per il 2026. «Quando i dottori ci hanno detto che lui era guarito – replica Brent, che poi ricorda – non avevo dubbi che sarebbe tornato ancora più forte, vista la sua convinzione. Nel 2022, eravamo in piena lotta per non retrocedere. Invece Matthews fece terzo ai mondiali e salvò la nostra licenza per altri 3 anni. Ha fatto qualcosa di speciale, così come anche lo scorso anno, quando ha vinto in Canada il Grand Prix de Québec. Michael può dire la sua nella Milano-Sanremo o all’Amstel Gold Race. Per supportarlo, abbiamo scelto corridori come Capiot, De Bondt, Vendrame e Covi: lavorando insieme, sono certo che si creerà un gruppo affiatato».
E nei prossimi giorni, per provare a portare punti importanti, verrà annunciato anche Pascal Ackermann. In uscita dalla Israel, lo sprinter tedesco che vinse la maglia ciclamino al Giro d’Italia 2019 ha già svolto le visite mediche torinesi col resto dei compagni all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino due domeniche fa.
TORINO – Dal buio dell’estate alla rinascita nella classica d’autunno per eccellenza. Il sorriso è tornato a splendere sulle labbra di Michael Matthews, dopo momenti in cui non solo la bici ma la stessa vita sembravano sfuggirgli dalle mani.
All’immediata vigilia dello scorso Tour de France, tutte le certezze si sono sgretolate e un’embolia polmonare ha costretto la colonna portante della Jayco-AlUla a ripartire da zero e interrogarsi su tutto. Non sapeva quando e se sarebbe tornato, ma Bling, abituato a risplendere in sella proprio come ricorda il suo soprannome in gruppo, non ne voleva proprio sapere di scomparire in un tunnel. Col sostegno del team e della famiglia, l’estroso australiano si è ripreso la vita di prima e anzi, ammette di aver ancor più motivazione. La fuga al Lombardia, non proprio la sua classica prediletta, ne è la testimonianza e il sogno di lasciare ancora il segno alla Milano-Sanremo l’anno venturo è di nuovo vivido.
La fuga di Matthews al Lombardia gli ha permesso di avvantaggiarsi e di chiudere al 21° postoDopo il Lombardia e le visite a Torino, Matthews è volato in GiapponeLa fuga di Matthews al Lombardia gli ha permesso di avvantaggiarsi e di chiudere al 21° postoDopo il Lombardia e le visite a Torino, Matthews è volato in Giappone
Che cosa vuol dire essere tornato così competitivo come hai dimostrato al Lombardia?
Attaccare era il nostro piano sin dalla partenza. Sapevo che la miglior opzione per ottenere un buon risultato al Lombardia per me era di avvantaggiarmi subito e mi è andata bene perché mi sono trovato in una fuga davvero interessante. Bisognava avere buone gambe per far parte di quel gruppo, ma anche per rimanerci: per fortuna le mie erano ottime. A pensarci ora, sarebbe stato interessante anche usare una tattica più attendista e vedere come avrei potuto reggere se non fossi andato in fuga, ma sono felicissimo del piazzamento e delle sensazioni che ho provato. Sono sulla strada giusta per tornare al mio livello dopo i problemi di salute che ho avuto. Peccato che la stagione stia già volgendo al termine.
Ci racconti quanto è stato difficile superare il momento che hai attraversato e puoi ripercorrere quei giorni?
E’ stata una montagna russa di emozioni. Avevo appena finito il camp di tre settimane ed ero tecnicamente pronto per il Tour de France, quando è sopraggiunto questo problema. Aver lavorato così tanto per un obiettivo ed essere fermato da una diagnosi medica è stato complesso, anche perché non sapevo quali sarebbero stati gli strascichi di questo problema. Non avevo idea se sarei tornato in bicicletta e nemmeno se sarei sopravvissuto o sarei morto. Nessuno sapeva dirmi quali sarebbero stati i passi successivi sia nella mia carriera sia nella mia vita.
Quale è stato il passo successivo?
Una volta trovato il problema e la procedura per risolverlo, è cambiato tutto. Ho capito che sarei stato meglio e che non sarei morto, dopodiché ho voluto subito capire che cosa avrei dovuto fare per tornare al mio livello di prima in bici. Ho realizzato in quei momenti quanto amo questo sport e quanto mi piace il mio lavoro come ciclista professionista.
L’incontro con Matthews si è svolto all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino (foto Matteo Secci)L’incontro con Matthews si è svolto all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino (foto Matteo Secci)
Come hai svoltato strada?
L’idea di perdere tutto per i problemi di salute mi ha motivato ancora di più a tornare più forte, con la fame di vincere ancora. Ci sono state giornate in cui ero smarrito, in cui non sapevo in che condizioni mi trovavo, ma grazie a mia moglie e alla mia famiglia sono riuscito a restare lucido mentalmente.
Ci sono stati tanti momenti difficili?
Ero depresso, mi chiedevo se la vita fosse finita. Sono stati quattro mesi della mia vita molto tumultuosi, ma sono qui ora e, grazie alla forma attuale e agli ultimi risultati, sono orgoglioso di quello che sto facendo. Cerco di vedere il lato positivo e penso di esser riuscito a superare una situazione molto difficile e ne sono uscito col sorriso sulle labbra e con gambe che mi permettono ancora di battagliare coi più forti al mondo.
Come hai capito che saresti tornato al tuo livello?
Difficile da dire perché ci sono stati tanti alti e bassi. Non riuscivo a essere costante, avendo perso molte corse. A Plouay era già andata molto bene visto che non gareggiavo da mesi e sono riuscito subito a cogliere il podio in una corsa così sfiancante. Ho capito che ce l’avrei fatta, ma poi mentalmente non è stato facile accettare le controprestazioni delle uscite successive. Per fortuna, dopo i mondiali, nelle corse italiane ho trovato continuità e sono riuscito a recuperare meglio tra una e l’altra.
Qualche lavoro di mobilizzazione della spalla per Matthews a Torino (foto Matteo Secci)Pronto per l’inizio di una sessione di plank. Nell’Istituto sono passati tutti i corridori della Jayco-AlUla (foto Matteo Secci)Qualche lavoro di mobilizzazione della spalla per Matthews a Torino (foto Matteo Secci)Pronto per l’inizio di una sessione di plank. Nell’Istituto sono passati tutti i corridori della Jayco-AlUla (foto Matteo Secci)
La costanza è la parola che meglio ti descrive guardando i numeri della tua carriera: che cosa ti porti delle ultime settimane per la prossima stagione?
Il sogno si chiama sempre Milano-Sanremo, ma ora sono dieci volte più motivato di prima. La mia carriera poteva finire quest’anno per colpa della salute o dei problemi mentali che ho avuto in seguito allo stop, per cui il fatto di aver superato quegli ostacoli così insidiosi mi spinge a credere ancora in me stesso. Nelle corse italiane avevo la testa sgombra come non mai e anche i dottori dicono che ho il corpo di un venticinquenne. Il fatto che me lo dicano ora che ne ho dieci in più non è così male.
Quanto è cambiato il ciclismo?
La mia carriera è molto lunga e passa attraverso diverse generazioni. Ho cominciato ai tempi di Boonen, ho sfidato Sagan nel mezzo e ora sono nell’era di Tadej. Sfortunatamente, ho incrociato sulla mia strada questi alieni che in bicicletta sanno fare cose stellari. Io cerco di fare il mio meglio e sono orgoglioso di come nel corso del tempo mi sono adattata a diversi modi di correre. Mi manca ancora il sigillo in una Monumento o in una grande classica che ho sfiorato più volte. Poi, l’anno prossimo il Tour de France comincerà con una cronosquadre, per cui la mia esperienza può essere utile anche in quell’occasione. Per il momento, mi godo ogni secondo e il fatto di essere tornato il Michael di sempre. Voglio soltanto continuare a divertirmi.
Si può dire che quello che ti è successo ti ha allungato la carriera?
Penso proprio di sì. Mi ha fatto realizzare quello che ho e apprezzare ogni singola opportunità che mi sta capitando.
ALTEA (Spagna) – Guardi Matthews, lo ascolti. E mentre parla, ti rendi conto che se “Bling” non avesse trovato sulla sua strada Sagan (poi Van Aert, Van der Poel e Pogacar), a quest’ora avrebbe un palmares spaziale. E’ quello che ci diciamo fra colleghi ogni volta che si parla di lui. Eppure Michael tiene duro e ogni anno si presenta in corsa con la stessa solidità di sempre. “Bling” risale ai suoi anni a Canberra, quando era frizzante e vivace e quel nomignolo che significa “sgargiante” parve il più azzeccato.
«A Monaco – sorride – ho passato un paio di pomeriggi con Peter. Un giorno stavamo parlando delle nostre carriere, in lotta l’uno contro l’altro, e gli ho chiesto se avesse seguito la Sanremo. E lui ha risposto che gli fa male pensare che sia la sola gara che manca dal suo palmares. E così abbiamo iniziato questa conversazione. E’ stato molto bello scoprire che almeno su questo punto siamo uguali. Non siamo mai andati troppo d’accordo, perché siamo stati sempre rivali. Sagan ha avuto una carriera straordinaria. Sono davvero felice per quello che ha ottenuto. Ed è stato davvero bello sedersi e fare quattro chiacchiere sui vecchi tempi».
Michael Matthews, classe 1990 come Sagan, è professionista dal 2011. Nel 2010 vinse il mondiale U23Michael Matthews, classe 1990 come Sagan, è professionista dal 2011. Nel 2010 vinse il mondiale U23
La differenza è che tu puoi ancora vincere la Sanremo, no? Non sei qui per questo?
Sono qui anche per questo. La Spagna è come una seconda casa, ma mi piace come la prima volta. Venire qui e incontrare tutti i nuovi corridori, essere di nuovo con la squadra. Penso che sia sempre bello quando hai nuovi sponsor, nuovi obiettivi, ma prima di partire ti guardi indietro, riflettendo sulla stagione che abbiamo appena avuto. Quest’anno avremo nove nuovi corridori, quindi un grande cambiamento che sarà interessante.
Ci sono nuovi corridori, ma se ne è andato Simon Yates, che effetto fa?
Simon ha giocato un ruolo importante nella storia del Team Jayco-AlUla. E’ stato qui fin dall’inizio, quindi penso che abbia vissuto un viaggio fantastico che ora è giunto al capolinea. Sarà interessante vedere cosa sarà in grado di ottenere in un’altra squadra. Sarà interessante vedere se la Visma-Lease a Bike potrà aiutarlo a realizzare i suoi sogni.
Al suo posto è arrivato Ben O’Connor.
Io e Ben abbiamo vinto il mondiale del Team Mixed Relay. Abbiamo fatto le Olimpiadi insieme, quindi abbiamo avuto modo di conoscerci abbastanza bene. Quello che ha ottenuto quest’anno è stato davvero fantastico e penso che portare quella fiducia nella nostra squadra sia una motivazione enorme. Dopo aver perso Simon, sarà un booster per tutti noi. In più è un volto fresco ed è australiano. Penso che sarà fantastico.
L’Australia a Zurigo ha conquistato il Team Mixed Relay. Fra gli uomini, Vine, Matthews e O’ConnorL’Australia a Zurigo ha conquistato il Team Mixed Relay. Fra gli uomini, Vine, Matthews e O’Connor
Cosa puoi dire del 2024?
Penso che sia andato davvero bene. Sono arrivato a un paio di centimetri dalla vittoria della Sanremo, sarebbe stata la prima Monumento della mia carriera, è stato difficile da digerire. Stessa storia al Fiandre. Mi hanno squalificato, ma non vale più la pena soffermarsi su questo episodio. Penso però che la mia prestazione complessivamente sia stata davvero buona e ne sono contento. Poi abbiamo avuto un po’ di montagne russe, ma verso la fine dell’anno siamo stati in grado di riprenderci. La vittoria in Quebec è stata un bel modo per mettere il giusto clima verso il finale della stagione.
Peccato per il ritiro dal mondiale…
E’ andato come è andato. Penso che avrei dovuto farmi togliere prima il dente del giudizio. Ci combattevo da prima del Tour de France, dal ritiro di Livigno. Ne parlammo con i medici e ora penso che non togliendolo abbiamo preso la decisione sbagliata. Penso che mi abbia influenzato per il resto dell’anno. Un momento volavo, quello dopo dopo non riuscivo a pedalare. Una volta che l’ho tolto a fine della stagione, mi sono sentito un uomo nuovo.
Problema risolto.
Se lo avessi tolto subito, sarei andato al Tour soffrendo nei primi tre giorni e poi mi sarei ripreso verso la fine. Ma ormai non posso cambiare le cose. So imparare dai miei errori, per cui se avrò di nuovo un problema come questo, lo risolverò subito, piuttosto che perdere tempo. Non vedo l’ora che arrivi il nuovo anno per recuperare.
Volata di Sanremo, Matthews lascia aperta la porta, Philipsen si infila e lo beffaVolata di Sanremo, Matthews lascia aperta la porta, Philipsen si infila e lo beffa
E’ stato davvero così difficile digerire il secondo posto della Sanremo?
La Sanremo per me non è solo una gara ciclistica, è praticamente la mia gara di casa. Sono già salito due volte sul podio, sono stato vicino a vincerla. Probabilmente è la Monumento che mi si addice di più. Stava andando tutto molto bene fino agli ultimi 25 metri, quando i miei occhiali sono volati via. Sono finiti nella ruota anteriore e stavamo per volare tutti in aria. Non avevo mai visto una cosa del genere. C’è voluto molto tempo, penso che sia andata avanti fino al mattino del Fiandre. Nelle gare subito dopo, non riuscivo a concentrarmi. Non volevo neanche correre.
Pensi di aver commesso un errore facendo passare Philipsen?
Ero davanti e ho sentito un piccolo contatto sull’anca, forse questo un po’ mi ha disturbato. Non sono il tipo di corridore che spingerebbe un avversario alla transenna, per vincere una gara. Penso se lo avessi fatto, lui avrebbe protestato e io sarei stato squalificato. Tornando indietro, non farei nulla di diverso. Forse non un errore, ma resta un po’ di rimpianto.
Non è troppo prendersela così per una gara?
E’ una questione personale, un boccone che ha richiesto più tempo del normale per essere ingoiato. Passa il tempo e saranno sempre meno le opportunità di vincerla.
Abu Dhabi Tour, ottobre 2015: Sagan ha da poco vinto il mondiale di Richmond, battendo proprio MatthewsAbu Dhabi Tour, ottobre 2015: Sagan ha da poco vinto il mondiale di Richmond, battendo proprio Matthews
Andare in bicicletta ti piace più di 15 anni fa?
Credo di sì. Quindici anni fa, ero un ragazzino. Per me era tutto nuovo, mentre ora capisco molto di più il ciclismo, perché sono passato professionista dopo soli quattro anni che andavo in bici. Lo facevo per divertimento, ero molto più rilassato. Ora invece investo molto più tempo in questo mestiere e continuare a lottare contro questi ragazzi mi rende orgoglioso e lo trovo anche divertente.
Quali sono a livello personale le principali differenze tra oggi e 15 anni fa?
Il modo di correre in bicicletta è più aggressivo. Quando sono passato professionista, il copione era sempre lo stesso. Si partiva piano, ci avvicinavamo lentamente al finale e poi si giocava la vittoria. Oggi a ogni corsa battiamo tutti i record. Proprio nella Sanremo non c’è stato neanche il tempo per fermarsi a fare la pipì. La UAE Emirates stava già facendo un ritmo duro, penso fosse quello che si adattasse meglio a Pogacar. Ma noi che siamo abituati al vecchio stile della Sanremo, dobbiamo adattarci o siamo fuori. Con Sagan ho parlato anche di questo e dell’allenamento.
E lui?
MI ha chiesto come faccia a continuare. E io gli ho risposto che se avessi i suoi risultati, forse continuare sarebbe più difficile. Ma io sto ancora lottando per i miei sogni e non vedo l’ora di realizzarli: non ho intenzione di ritirarmi finché non li avrò esauditi. Questo è ciò che mi motiva ad andare avanti. Amo lo sport, stare con i miei compagni e lottare per le vittorie che mi fanno sognare.
Sedici marzo del 2024, il giorno in cui Valerio Piva si è mangiato le mani per la Sanremo sfumata. Più rivedi quel finale, più ti accorgi delle sfumature che hanno impedito a Michael Matthews di conquistare il traguardo di via Roma. E si fatica a capire se nel tono di voce del tecnico del Team Jayco-AlUla prevalga la delusione o la stizza. Prosegue la nostra galleria delle incompiute (raccontate dai direttori sportivi) e questa volta in palio c’è la prima Monumento della scorsa stagione.
«Si poteva vincere – dice Piva – ma Matthews da un certo punto di vista è stato corretto, perché non ha insistito nel tenere Philipsen alla corda. Era nel suo diritto perché era davanti, invece gli ha aperto la porta e chiaramente l’altro è passato. Invece poi al Fiandre lo hanno squalificato dal terzo posto per un leggero movimento, ma questa è un’altra storia».
Pidcock viene ripreso all’inizio della volata. Prima Stuyven e poi Matthews in prima persona risucchiano il gruppo in un’accelerazione violentissima. L’australiano sogna da sempre di vincere la Sanremo: si sposta sulla sinistra del rettilineo, ma anziché tenere la linea si scosta. Anche perché sul più bello, tenendo lo sguardo verso il basso, gli scivolano via gli occhiali. La minima esitazione permette a Philipsen di infilarsi, risalire e poi batterlo al colpo di reni.
Dalla partenza, la Jayco-AlUla sapeva che Matthews avrebbe lottato per la vittoria della SanremoDalla partenza, la Jayco-AlUla sapeva che Matthews avrebbe lottato per la vittoria della Sanremo
Si poteva vincere?
Era un’opzione, chiaramente Michael era uno dei papabili. Però sul momento il secondo posto ti va bene, perché in partenza non sai mai se potrai vincere. Poi vedendo com’è andato il finale, è chiaro che perdere la Sanremo a quel modo brucia parecchio. Io la vinsi alla stessa maniera con Cavendish nel 2009, quando batté Haussler. E immagino che nell’entourage di quest’ultimo ci fosse qualcuno che in quel momento si sentì come me. Non è bello perdere a quel modo una corsa di questo livello e questa importanza.
Ci sono margini di manovra per l’ammiraglia una volta che la corsa torna sull’Aurelia dopo la discesa del Poggio?
Neanche un po’. Dalla macchina vedi immagini televisive che già sono ritardate, in più si vede a scatti. Allora senti la radio, ma in quei momenti non danno tante informazioni. Per cui anche noi si sta zitti oppure si incitano e si danno le ultime raccomandazioni. Però non è che puoi guidare il corridore o dirgli esattamente cosa deve fare, da lì in poi sono loro che decidono. In più la televisione non l’ho vista e non ho neanche visto quello che è successo in volata. Ho sentito poi l’ordine d’arrivo e ho scoperto che era arrivato secondo. Ma poi vedendo il filmato, ha iniziato a bruciare anche di più.
Matthews lascia aperta la porta in traiettoria e Philipsen da dietro risale a doppia e vince la SanremoMatthews lascia aperta la porta in traiettoria e Philipsen da dietro risale a doppia e vince la Sanremo
Diresti che Matthews in volata è un bandito oppure è molto corretto?
Da come l’ho conosciuto quest’anno, a volte mi sembra forse un po’ tenero. Da fuori ho sempre pensato che fosse veramente un mastino, un cagnaccio, uno di quelli duri. Quando io avevo Van Avermaet, si batteva con lui e con Sagan. Ho sempre pensato che fosse veramente duro invece, imparando a conoscerlo e sentendo quello che dicono in squadra, viene fuori che è sempre un po’ dubbioso. E’ un corridore con tanta classe e per questo ottiene i suoi risultati: gli si può dire tutto tranne che sia scorretto. Anzi, purtroppo è il contrario…
Sul pullman avete rivisto il finale? Ne avete riparlato?
Di solito dopo la corsa si fa un debriefing, che alla Sanremo è abbastanza veloce, perché parti, hai già all’aereo e vai a casa. Di solito il nostro sistema, per esempio nelle corse a tappe, è confrontarsi sul bus una quindicina di minuti prima di raggiungere l’albergo. Serve per far parlare i corridori. Gli si ricorda quale fosse la tattica e si chiede perché non sia stata attuata. E se qualcuno ha commesso un errore, a quel punto deve dichiararlo. Solitamente è una discussione molto produttiva, perché permette di chiudere lì uno screzio o un’incomprensione. Quel giorno Matthews era dispiaciuto e ha raccontato il finale dal suo punto di vista. Ha fatto notare come gli fossero caduti gli occhiali e che in quel momento di esitazione, l’altro l’ha bruciato. Finire secondo per tanti sarebbe un bel risultato, però quando hai la possibilità di vincere è chiaro che la reazione è differente.
Alberto Bettiol arriva a un passo dalla vittoria, poi deve arrendersi al ritorno da campione di Matthews. Grande spettacolo a Mende. Ma Alberto ci riproverà
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Quando arrivò alla Jayco-AlUla alla fine dello scorso anno, Valerio Piva disse una frase che da allora adottammo come specchio della giusta mentalità per fare il direttore sportivo. «Mi sono sempre trovato bene con questa mentalità, con il fatto che ti lascino lavorare tranquillamente. A volte però il “good job” non mi piace tanto. Secondo me va detto se davvero hai fatto un buon lavoro o quando si vince, non quando arrivi staccato a minuti. Va bene motivare la gente e aiutarla, ma quando si sbaglia o non si lavora per come si è detto, bisogna ugualmente dirlo: con educazione, ma in modo chiaro».
La squadra australiana ha vinto venti corse e fra queste la tappa di Dijon al Tour con Groenewegen, però scorrendo l’elenco si ha la sensazione che – tolta la sfortuna – ci sia stato finora poco pepe. Quasi che la positività di fronte alle cose della vita abbia portato a una forma di strano appagamento. Magari è un’impressione sbagliata e proprio per questo ne abbiamo parlato nuovamente con il tecnico mantovano, che a breve partirà per la Spagna, sulla rotta della Vuelta.
Valerio Piva, sulla destra, assieme a Geoffrey Pizzorni dell’ufficio stampa del Team Jayco-AlUlaValerio Piva, sulla destra, assieme a Geoffrey Pizzorni dell’ufficio stampa del Team Jayco-AlUla
Che tipo di bilancio fai, dal tuo punto di vista?
Non è un fatto legato al numero di vittorie, però la qualità non è quella che ci aspettavamo. Siamo andati vicini alla Sanremo, con il secondo posto di Matthews, che poi hanno squalificato e ha perso il terzo al Fiandre. In una squadra come la nostra ti aspetteresti vittorie più pesanti. L’anno scorso Simon Yates ha fatto quarto al Tour, quest’anno è stato dodicesimo. Abbiamo vinto una tappa e ci sono squadre più importanti di noi che non ci sono riuscite, però secondo me finora non è una stagione da incorniciare. Abbiamo avuto tanti problemi. Salute, incidenti e altri guai che però non devono suonare come scuse. Ci aspettiamo di vincere qualche bella corsa di qualità e chissà che non venga alla Vuelta o nelle corse di un giorno che stanno per arrivare.
Aver vinto una tappa al Tour salva in parte la situazione?
Sapete meglio di me quanto conti l’esposizione mediatica di una vittoria al Tour. Anche perché tolti Groenewegen e Cavendish, tutte le volate se le sono divise Girmay e Philipsen. Perciò la vittoria di Groenewegen è un bel risultato per tutto quello che ci abbiamo investito in preparazione e quello che si è fatto per portarlo al Tour. Avevamo pensato che Matthews potesse essere competitivo nelle prime tappe, ma non è andata così. Poi chiaramente Simon Yates ha preso il Covid, è rimasto al Tour e ha ricominciato ad andare bene solo alla fine. E infatti ha portato a casa un secondo posto (in apertura, a Superdevoluy, ndr) e un terzo, quindi non è andato tanto male. Però chiaramente con squadre di questo livello secondo me in ogni grande corsa a tappe devi portare a casa una tappa ed essere competitivo nella classifica. Al Giro invece non abbiamo portato a casa niente, né tappe né classifica.
La vittoria di Groenewegen nella tappa di Dijon al Tour è il successo 2024 più importante della Jayco-AlUlaLa vittoria di Groenewegen nella tappa di Dijon al Tour è il successo 2024 più importante della Jayco-AlUla
Come mai?
Purtroppo Zana è uscito dai 10, avendo cominciato a fare classifica quando dopo due giorni si è ritirato Dunbar. Da lì abbiamo dovuto ridimensionare tutta la strategia, mettendo Filippo come leader. Questo gli è costata tanta energia. Non lo aveva mai fatto ed è saltato proprio l’ultimo giorno a Bassano. Sono fasi di crescita pensando al futuro. All’inizio dell’anno mi aspettavo che questa squadra, con questo livello di corridori e questo budget, fosse più in alto nelle varie classifiche. Chiaramente i corridori, i nomi che abbiamo cominciano anche ad avere il loro tempo…
Servirebbero forze nuove?
La squadra deve ringiovanirsi, andare in questa direzione ed è compito del manager e dei direttori cercare di individuare i corridori per il futuro. In questo momento non è semplice, con quelle corazzate che hanno dei budget stellari: competere contro di loro a livello finanziario è difficile.
Zana ha fatto classifica al Giro dopo il ritiro di Dunbar: è uscito dai primi 10 nella tappa di BassanoZana ha fatto classifica al Giro dopo il ritiro di Dunbar: è uscito dai primi 10 nella tappa di Bassano
Può essere che alcuni dei nomi più importanti abbiano perso un po’ di cattiveria?
La mentalità anglosassone a volte non aiuta, mentre io sono di quelli che devono tenermi tranquillo. A volte me lo dico da solo: «Valerio, tranquillo: è solo una corsa in bicicletta». Chiaramente guardando le gare a volte non capisco questa capacità di farsi andare bene tutto. Io la vedo diversamente. Forse perché ero così anche da corridore, ma a me sono sempre piaciuti quelli che vanno in gara con cattiveria, aggressivi, motivati. Che hanno un piano già in testa, mentre qui a volte devi spingerli e sembra che vadano in corsa perché sono corridori e devono farlo. Essere in corsa a volte è diverso che avere il numero sulla schiena, insomma devi avere degli obiettivi già dentro di te. Anche se ti danno un ruolo, devi avere un angolino in cui vuoi dimostrare quanto vali.
Si può cambiare qualcosa?
Quest’anno ho fatto poche gare come primo direttore, ero in appoggio anche per la mia esperienza per spingere i tecnici più giovani. Alla Vuelta però sarò il primo direttore e voglio un po’ smuovere questo andazzo, che fa sembrare la squadra un po’ apatica. Con quel dire: «E’ andata male oggi, andrà meglio la prossima volta!». Tutte le volte si cerca sempre di trovare una spiegazione, invece bisognerebbe dire le cose con maggiore schiettezza. E‘ una squadra eccezionale da un punto di vista organizzativo, non manca niente. E forse quello a volte diventa il pretesto per adagiarsi.
Matthews e Durbridge, classe 1990 e 1991, hanno perso il fuoco di un tempo?Matthews e Durbridge, classe 1990 e 1991, hanno perso il fuoco di un tempo?
In che modo alla Vuelta puoi smuovere le acque?
I corridori ci sono, bisogna che siano entusiasti e aggressivi come gli spagnoli e gli italiani, non posati come gli anglosassoni. Quando ero alla BMC o alla High Road e dovevamo a volte competere contro questa squadra, che allora aveva un altro nome, erano aggressivi e saltavano fuori da tutte le parti. Forse perché erano giovani, ma di fatto tanti sono ancora qua. Durbridge, Hepburn, Matthews, Simon Yates… Sono tutti corridori cui forse con l’andare del tempo è venuta meno la voglia di dimostrare chi siano. E allora forse sarebbe utile un ricambio generazionale, cercando di inserire ragazzi che quella voglia ce l’abbiano e vogliano arrivare al top.
Ci sarebbero anche: De Pretto, Plapp, Schmid…
Davide è partito molto bene e come ci aspettavamo ha fatto un bell’inizio stagione fino alle Ardenne. Poi ha preso un periodo di recupero, è andato a preparare in altura dove si è ammalato. Al rientro è riuscito a vincere in Austria, quindi è una bella soddisfazione. E’ un corridore che secondo me vedremo ancora in futuro. Adesso andrà alla Arctic Race e chiaramente non fa la Vuelta. Ma l’anno prossimo cercheremo di inserirlo in un Grande Giro. Plapp invece è caduto nella crono delle Olimpiadi. Ha investito tanto tempo per prepararsi. Non avrebbe vinto l’oro, però avrebbe continuato facendo il Polonia, invece adesso è stato operato. Dunbar è caduto al secondo giorno di Giro. Durbridge è stato investito in allenamento… Diciamo che anche la sfortuna fa bene il suo!
Davide De Pretto ha 22 anni. Al pari di Luke Plapp è uno dei giovani più promettenti della Jayco-AlUlaDavide De Pretto ha 22 anni. Al pari di Luke Plapp è uno dei giovani più promettenti della Jayco-AlUla
Cambiando per un attimo discorso, ti aspettavi la vittoria di Cavendish al Tour, tu che l’hai avuto da neoprofessionista?
Tanto di cappello, se lo merita per la sua carriera. Poteva andarci vicino l’anno scorso, invece andò a casa con la caduta. L’avevo visto al Giro di Svizzera, era magro e andava forte già lì. In salita non l’avevo mai visto andare così forte, non era mai il primo a staccarsi. Per cui gliel’ho detto: «Guarda che al Tour sicuramente quest’anno ci sarai e lascerai il segno». Ero convinto che potesse vincerne una e mi ha fatto piacere. Un altro che mi ha stupito è stato Girmay, ho avuto anche lui. Ha fatto una cosa straordinaria, fuori dal normale. L’anno scorso ha avuto una stagione davvero sfortunata. So che vale, ma quello che ha fatto è stato enorme.
E sempre a proposito di uomini esperti, che cosa diresti a De Marchi se ti chiedesse un consiglio su continuare o fermarsi?
Dipende da lui, in questo momento è un corridore importante nella squadra, che ha vinto e potrebbe rifarlo ancora. Quello che fa all’interno del gruppo e in corsa è importante, ci vogliono questi corridori. Dipende da lui se riesce a fare i sacrifici, stare via di casa per i training camp. Quello dipende da lui, però intanto sono contento di averlo con me alla Vuelta. Poi potrà diventare un buon direttore, gli ho detto che non vado avanti ancora tanti anni, quindi poi potrei passargli il testimone. Credo che un altro anno lo farebbe volentieri, ma lui non ha certo problemi di motivazioni che mancano. Mi viene in mente un aneddoto…
Il ruolo di De Marchi in squadra è prezioso: per Piva sarebbe anche un ottimo tecnicoIl ruolo di De Marchi in squadra è prezioso: per Piva sarebbe anche un ottimo tecnico
Dicci pure.
Ai tempi dell’Ariostea, quando alla fine delle riunioni prendevo la parola io, Ferretti diceva sempre che a noi vecchi si allungava la lingua e si accorciavano le gambe. Forse è così. Quando un corridore comincia a trovarsi in un gruppo da tanto tempo pensa di sapere tutto e di gestire le situazioni con l’esperienza. Certo l’esperienza è importante, ma contro le generazioni nuove e questi ragazzi che scattano, sulle salite ci vogliono le gambe. Ma voglio essere ottimista, la stagione è ancora lunga. Penso che possiamo fare molto di più e lo faremo.
CAORLE – «Abbiamo preso la testa ai due chilometri e mezzo. Sto cercando di ricordare bene dove fossero i cartelloni – dice Dainese – diciamo che abbiamo cominciato prima della curva a sinistra dopo il rettilineo sul lungomare. Mayrhofer ha fatto un lavoro immenso. Era cruciale prendere quella curva davanti per non dover rilanciare dalla quinta, decima posizione. Poi è passato davanti Niklas Markl. Era prestissimo, ma forse è andata meglio così, perché ho preso l’ultima curva in seconda ruota e non ho dovuto neanche rilanciare. Solo che quando lui si è spostato, la Jayco mi ha passato al doppio della velocità sulla sinistra e prendere Matthews non è stato facile. La mia volata l’ho fatta più per colmare il gap che avevo con “Bling”, che per vincere. E’ stata parecchio lunga, ma. Andata bene…».
Vittoria al fotofinish, davvero per un soffio sul ritorno di Milan. Terzo è arrivato MatthewsVittoria al fotofinish, davvero per un soffio sul ritorno di Milan. Terzo è arrivato Matthews
Un anno a digiuno
I velocisti hanno la capacità straordinaria di farti rivivere le volate al rallentatore, come se portassero una telecamera sul casco. E Dainese, che ha appena vinto la tappa di Caorle, non fa eccezione. L’ultima sua vittoria risaliva proprio al Giro d’Italia, tappa di Reggio Emilia del 2022, ma oggi lo sprint con cui ha infilato Matthews e resistito al ritorno di Milan è servito a fare pace col destino e togliersi qualche sassolino dalle scarpe.
Per essere un corridore al secondo anno nel WorldTour, il suo 2022 è stato a dir poco singolare. Il Giro con una tappa vinta, il Giro del Belgio e poi il primo Tour de France, con il terzo posto alla 19ª tappa. Forse troppo per un corridore di 24 anni, al punto che quando Bennati se lo è ritrovato in azzurro agli europei di Monaco, stentava a riconoscerlo.
Oggi si riparte da un gradino più alto, dopo l’infortunio di settembre, le tensioni (non ancora risolte) legate al rinnovo del contratto, la convocazione in extremis e il virus intestinale che l’ha colpito sabato a Cassano Magnago e che domenica a Bergamo lo ha portato a un passo dal ritiro. E con lui allora cominciamo da lì, dal giorno in cui la vittoria di oggi era forse la prospettiva più remota.
Nella tappa di Bergamo, Dainese ha rischiato di andare alla deriva, ma ha tenuto duroNella tappa di Bergamo, Dainese ha rischiato di andare alla deriva, ma ha tenuto duro
Che cosa ti ha convinto a non ritirarti nella tappa di Bergamo?
Il Giro bisogna onorarlo e nonostante tu sia ammalato, devi continuare. Magari dopo qualche giorno guarisci ed io ho avuto la fortuna di ammalarmi due giorni prima del riposo. Sono riuscito a recuperare abbastanza bene. Ieri è stata comunque parecchio tosta arrivare sul Bondone. Però stanotte sono riuscito a dormire e a stare un po’ meglio di stomaco. Non è stato facile…
Quest’anno sono più le volate che hai tirato di quelle che hai fatto…
Ma ho avuto tre occasioni e ci sono andato vicino a partire dalla Tirreno. Nella prima volata del Giro, mi hanno squalificato (sul traguardo di Salerno, ndr) e oggi è andata un po’ meglio.
L’ultima vittoria di Dainese risaliva al Giro 2022, per questo sul podio il padovano era commossoL’ultima vittoria di Dainese risaliva al Giro 2022, per questo sul podio il padovano era commosso
Diciamo che ti sei preso la rivincita?
E’ stato un anno difficile. C’erano tante aspettative dopo la vittoria al Giro e da parte di tante persone e anche da me stesso. Per vari motivi, non ho avuto la continuità e la consistenza necessarie, per cui ho avuto spesso il ruolo di ultimo uomo. Però è vero che un velocista vuole fare le volate. Quindi sì, può essere anche una rivincita, perché ho dimostrato sia a me che agli altri, che sono in grado di vincere. Fino a ieri, non ci credevo neanch’io, pensavo che l’anno scorso fosse stata tutta fortuna.
Fortuna o no, fare terzo di tappa a fine Tour non è da buttar via…
E’ stato un piazzamento abbastanza di fortuna, perché ho preso tutte le curve davanti e poi Laporte e Philipsen mi hanno sverniciato, quindi non è andata proprio benissimo. Un velocista deve vincere e azzeccare due volate in due anni forse è un è poco. Ovviamente sono due tappe al Giro, ma i velocisti di riferimento vincono 15 corse all’anno, quindi sicuramente il percorso per essere consistente è ancora lungo.
Milan è arrivato secondo davanti ai suoi tifosi. Il friulano era contrariato, ma ha consolidato la maglia ciclaminoMilan è arrivato secondo davanti ai suoi tifosi. Il friulano era contrariato, ma ha consolidato la maglia ciclamino
C’è più gusto a vincere le volate in modo netto oppure al fotofinish?
Non mi era mai successo di aver vinto per così poco. Semmai mi era successo di perdere per pochissimo, alzando le mani da junior, ma per il resto è stata la prima volta. Ero molto teso, pensavo di aver fatto secondo e sarebbe stato parecchio terribile, però qualcuno da lassù mi ha graziato.
Impossibile nascondere che tu sia emozionato, mentre i velocisti di solito sono esuberanti. E’ difficile essere uno sprinter ed essere anche persone sensibili?
Quando sono passato professionista, ho sofferto parecchio questa cosa. Ritagliarsi un ruolo da velocista in una squadra WorldTour estera non è facile, soprattutto se sei un po’ timido e dovresti battere di più i pugni sul tavolo.
Dopo la vittoria, Dainese si è raccontato ed era ancora molto emozionatoDopo la vittoria, Dainese si è raccontato ed era ancora molto emozionato
E’ stato difficile ambientarsi?
Ho sempre cercato di dimostrare di avere un buon livello, lasciando che gli altri se ne accorgano e mi diano spazio. Però siamo tutti diversi, ci sono anche altri velocisti che preferiscono la tensione.
Pensi di continuare a fare il velocista o allargherai l’offerta?
E’ già così difficile vincere le volate, che per ora le classiche non sono alla mia portata. Mi piace fare il velocista.
Adesso andrai a fare il tuffo in mare che avevi promesso in caso di vittoria?
Purtroppo abbiamo l’hotel a Treviso. Magari per questa volta farò un tuffo in piscina…
Secondo sprint a ranghi ristretti (per salita questa volta, non per caduta) e vittoria di Michael Matthews che davvero questa volta la vittoria è proprio andato a cercarsela. Se diversa è la dinamica del finale, identica è l’intensità degli abbracci, anche se il contesto non è quello assolato ed effervescente di ieri a San Salvo, ma quello più duro e bagnato di Melfi.
Zana ha lavorato sodo in salita, come il resto della squadra, per la vittoria di MatthewsZana ha lavorato sodo in salita, come il resto della squadra, per la vittoria di Matthews
Un po’ di tricolore
Quando Matthews si ritrova davanti Filippo Zana, l’abbraccio col tricolore veneto è ad altissima intensità. Il lavoro dell’altro “Pippo nazionale” sulla salita è stato encomiabile. E anche quando il campione italiano non ce l’ha più fatta, prima di mollare ha stretto ancora i denti, risultando decisivo per il compagno australiano.
«Siamo partiti per fare esattamente quello che avete visto – ha detto – e tutto è filato per il meglio. Sono contentissimo che abbia vinto Michael, anche per il grande lavoro di squadra che abbiamo fatto ed è stato ripagato. Prendere così tanto vento se poi si vince è davvero bellissimo».
E in queste ultime parole c’è la differenza fra correre il Giro in una WorldTour con uomini capaci di finalizzare e in altre squadre in cui il risultato devi portarlo tu, contro avversari che sembrano sempre più grandi di te.
Il vento poteva essere un’insidia, ma non lo è statt. La corsa si è accesa negli ultimi 50 chilometriIl vento poteva essere un’insidia, ma non lo è statt. La corsa si è accesa negli ultimi 50 chilometri
Maledetta primavera
Matthews ha vissuto una primavera maledetta. Il suo primo obiettivo sarebbe dovuto essere la Milano-Sanremo, ma il ritiro dalla Parigi-Nizza per positività al Covid ha portato con sé la rinuncia alla Classicissima. Tornato in condizioni precarie per il Giro delle Fiandre, la caduta nella corsa dei muri fiamminghi ha compromesso la partecipazione alle classiche delle Ardenne e ha determinato un avvicinamento scombinato al Giro d’Italia.
«Sono senza parole – commenta mentre rivede le immagini – dopo tutto quello che ho passato in questi mesi per aver trovato con una vittoria con la squadra. Nelle ultime settimane non sono andato bene come speravo a causa dell’infortunio. Abbiamo lavorato tutto il giorno e i compagni si sono impegnati a fondo con me per farmi vincere la tappa. Non ho parole, la stagione è stata un ottovolante e la vittoria è arrivata già al terzo giorno, più di quanto potessi sognare».
Ultimo traguardo con abbuoni, Remco precede Roglic: «I secondi che si possono prendere, vanno presi»Milan ed Evenepoel sono entrambi del 2000, Remco di Gennaio, Jonathan di ottobreUltimo traguardo con abbuoni, Remco precede Roglic: «I secondi che si possono prendere, vanno presi»Milan ed Evenepoel sono entrambi del 2000, Remco di Gennaio, Jonathan di ottobre
L’uovo di Remco
Intanto passa accanto un sorridente Remco Evenepoel, che domani dovrebbe lasciar andare la maglia rosa. Tuttavia, visto il lavoro della sua squadra sulla salita, il pensiero che gli convenga e preferisca correre davanti un po’ ti assale.
«Eravamo a dieci chilometri dal traguardo – spiega – e volevamo fare la discesa davanti perché la pioggia rendeva la strada bagnata e insidiosa. Ho visto che andando verso il traguardo volante, Roglic era dietro di noi. Non ci è costato molta fatica stare lì davanti e prendere qualche secondo fa sempre piacere. E’ stata una buona giornata, soprattutto dopo una giornata abbastanza tranquilla e un finale frenetico».
Poi Remco si è soffermato per commentare con una risata l’episodio dell’uovo che alla partenza gli ha regalato Velasco. «Non ho idea di cosa significasse – ha scherzato il campione del mondo – forse è umorismo italiano? Ora mi pento di non aver testato sul suo casco se fosse un uovo sodo o crudo».
Con quella di Melfi, il bottino di Matthews al Giro sale a tre tappe, dopo quelle del 2014 e del 2015Con quella di Melfi, il bottino di Matthews al Giro sale a tre tappe, dopo quelle del 2014 e del 2015
Volata su Pedersen
Ancora due risate e poi Matthews ha completato il racconto della sua giornata, svelando che malgrado il ritmo dei primi chilometri non sia stato esaltante, la sua intenzione è sempre stata quella di vincere una tappa, avendone cerchiate otto a suo vantaggio nel percorso del Giro.
«Ho sentito che Pedersen si era staccato in salita – dice – quindi ho immaginato che sarebbe stato un po’ stanco allo sprint. Sapevo comunque che avrei dovuto anticiparlo, facendo la volata su di loro e ha funzionato. Sono venuto qui da questo Giro solo per divertirmi, per andare in bici su strade molto belle e stare con i miei compagni di squadra. Oggi abbiamo fatto un tale sforzo di squadra che la vittoria è tutta per loro».
Vendrame ci ha raccontato la sua Van Rysel del Giro. E abbiamo scoperto che alla Decathlon-AG2R le scelte tecniche le fanno due ingegneri, non i corridori
Tre anni sono un periodo lungo di stop per una manifestazione sportiva. Il ciclismo mondiale ritrova a inizio settembre un classico della sua programmazione, la trasferta canadese per le due prove del WorldTour, il GP del Quebec e il GP di Montreal, in programma a distanza di 48 ore. Due prove che hanno sempre avuto una partecipazione a livello di ogni altra classica del massimo circuito, innanzitutto perché il mercato d’oltreoceano interessa a molte multinazionali, non solo ciclistiche, presenti nel WorldTour, poi perché vincere da quelle parti ha un sapore particolare per un europeo e questo vale per tutti gli sport.
Lo sa bene Diego Ulissi, che nella terra della foglia d’acero ricordano per la vittoria del 2017 a Montreal dopo essere stato 11° due giorni prima a Quebec City. Raccontando quel che il programma proporrà il 9 e 11 settembre prossimi, il corridore della Uae Team Emirates evidenzia subito un fattore.
«Non sono gare come le nostre perché si gareggia in circuito – fa notare – diciamo che sono più simili a un europeo o un mondiale, solo che si compete per squadre di club. Sono vere e proprie kermesse e vanno interpretate quindi con qualche piccola differenza rispetto alle normali gare in linea».
Lo sprint vincente di Ulissi a Montreal nel 2017, battuti Herrada (ESP), Slagter (NED) e Bakelants (BEL)Lo sprint vincente di Ulissi a Montreal nel 2017, battuti Herrada (ESP), Slagter (NED) e Bakelants (BEL)
Che differenze ci sono fra loro?
Molti pensano che siano uguali, ma non è così. La prima è più adatta a passisti veloci e può favorire anche i velocisti se sanno interpretarla, ossia non essere ancorati essenzialmente alla soluzione allo sprint di gruppo. La seconda è più per passisti scalatori, ci sono salite più lunghe che favoriscono attacchi e infatti si chiudono spesso con volate ristrette. Anche gli scenari sono diversi, ma in generale sono molto belle, qualcosa di insolito rispetto a quel che vediamo normalmente.
Che attenzione c’è intorno alle gare?
Enorme. Sulle strade c’è sempre tanta gente, proprio perché si gareggia in circuito, ma si vede che il ciclismo da quelle parti è seguito quando arrivano i corridori dall’Europa. Poi sono città sempre piene di turisti, c’è molto seguito (in apertura un passaggio a Quebec City, foto di Jacques Boissinot, ndr).
Il percorso del GP de Quebec, un circuito di 12,6 chilometri da ripetere 16 volteTracciato più duro a Montreal: 12,3 chilometri a giro, per 18 tornate in totaleIl percorso del GP de Quebec, un circuito di 12,6 chilometri da ripetere 16 volteTracciato più duro a Montreal: 12,3 chilometri a giro, per 18 tornate in totale
Gareggiare in circuito cambia un po’ l’aspetto tattico in seno alle vostre squadre?
Un po’ sì, perché correndo in circuito bene o male il percorso lo impari a memoria, quindi sai come affrontare ogni curva, come prendere posizione. Per il resto le gare si svolgono in maniera abbastanza canonizzata, con fughe che vanno via da lontano e gruppo che si accende nella seconda parte. A Montreal però il tracciato invita agli attacchi.
Che cosa ricordi della tua vittoria nel 2017?
Scattai con un gruppo ristretto a due giri dalla fine, volevano anticipare Sagan e Van Avermaet che su quel percorso erano i principali candidati alla vittoria. L’arrivo era leggermente in salita e questo cambia molto nella sua impostazione, perché dislivello e chilometraggio si fanno sentire, bisogna impostare la volata sulla potenza. Alla fine ci giocammo la vittoria in quattro e io precedetti Herrada e Slagter.
Doppietta per Simon Gerrans nel 2014. In Quebec batté Dumoulin, a Montreal Rui CostaDoppietta per Simon Gerrans nel 2014. In Quebec batté Dumoulin, a Montreal Rui Costa
Lo consideri un momento importante nella tua carriera?
Per molti versi sì perché è una gara che ha un grosso peso specifico e soprattutto va saputa interpretare. Ogni attimo può essere quello decisivo, devi avere sempre le antenne diritte perché l’azione che conta può partire nel finale ma anche a una certa distanza dal traguardo come accadde a me. Mentalmente non sono gare semplici, soprattutto la seconda.
Come venne accolta la tua vittoria nella comunità italiana del posto?
Che bei ricordi… C’era tantissima gente, furono in tanti ad avvicinarsi a me e farmi i complimenti. Gente che mancava dall’Italia da tanti anni e si sentiva orgogliosa, persone che erano anche nate lì ma che si sentivano italiane nel profondo. Poi ho notato, girando un pochino per le città, quanti locali italiani ci sono, con i nomi delle nostre città. Mi è rimasto impresso, mi fa sempre piacere tornare a correre da quelle parti.
Matthews ha fatto doppietta nel 2018 e l’anno dopo ha rivinto a Montreal, ora vuole il trisMatthews ha fatto doppietta nel 2018 e l’anno dopo ha rivinto a Montreal, ora vuole il tris
Dicevi che sono due gare diverse, quindi chi riesce a fare doppietta compie una vera impresa…
Negli anni recenti ci sono riusciti Gerrans nel 2014 e Matthews nel 2018. Come si vede si parla di corridori estremamente veloci ma non sprinter puri, sono capaci di resistere a gare dure, di reggere agli strappi e poi fare la differenza in volata. Si possono concludere con sprint di una trentina di corridori, ma non sono gare dai classici “treni”, bisogna saper resistere e inventare. Poi molto dipende anche dalle condizioni atmosferiche. Sono prove esigenti, che premiano sempre un corridore che è davvero in forma.
Tu in che condizioni sei attualmente?
Sono in un periodo buono, al Tour de Limousin ho ritrovato finalmente la vittoria finendo secondo nella generale, ma anche al Giro di Polonia mi ero sentito abbastanza bene. Ora mi attendono il Bretagne Classic di domenica a Plouay, gara che storicamente non mi è mai andata molto a genio essendo adatta a ruote molto veloci e poi la trasferta canadese. E chissà che con questa gamba non ci si possa togliere qualche altra bella soddisfazione, per me e per la gente di lì…