Moreno Biscaro è un mental coach trevigiano che lavora anche nel ciclismo dal 2021

Moreno Biscaro, il mental coach e le dinamiche del ciclismo

18.10.2025
6 min
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VICENZA – Cerca sempre di non mancare alle gare che ha vicino a casa, seppure non abbia una estrazione ciclistica di lunga data, a parte una normale passione per lo sport. Il ciclismo è arrivato nella vita del mental coach Moreno Biscaro da pochi anni e probabilmente questo suo essere “meno coinvolto” ha giocato e sta giocando a suo favore nel lavoro con i tanti atleti.

I giardini di Campo Marzo sono l’area deputata ad accogliere tutti i bus delle formazioni in gara al Giro del Veneto. Lungo i viali del parco vicentino incontriamo Biscaro intento a salutare alcuni corridori che segue o con cui ha lavorato. L’ottimo clima meteorologico autunnale sommato a quello tipico senza pressione di fine stagione sono il contesto migliore per scambiare impressioni, fare piccoli bilanci e fissare nuovi obiettivi. Intanto che attendiamo l’avanti-indietro delle squadre per il proprio turno di presentazione sul palco, approfondiamo il metodo del professionista trevigiano.

Biscaro assieme a Zana e De Marchi. Attraverso i ciclisti, ha visto il cambiamento e problematiche del movimento
Biscaro assieme a Zana e De Marchi. Attraverso i ciclisti, ha visto il cambiamento e problematiche del movimento
Biscaro assieme a Zana e De Marchi. Attraverso i ciclisti, ha visto il cambiamento e problematiche del movimento
Biscaro assieme a Zana e De Marchi. Attraverso i ciclisti, ha visto il cambiamento e problematiche del movimento
Prendiamo spunto da un tuo recente post instagram su Filippo Fontana che ci ha colpito. Su cosa avete lavorato?

Filippo è stato un grande. A giugno si è rotto tibia e perone in Austria in una prova di Coppa del mondo. Lui voleva tornare in bici in 26 giorni come fece Valentino Rossi dopo un suo infortunio. Ci siamo sentiti per telefono diverse volte e lui si era creato questa suggestione come ideale. Parte del mio lavoro è convincere le persone che possono perseguire quello che ci prefiggiamo. Filippo ed io abbiamo trovato fin da subito un linguaggio comune, ma in questo caso non è andato proprio così (dice sorridendo, ndr).

Per quale motivo?

Il paradosso è che quando ho visto Filippo dopo l’incidente l’ho trovato molto centrato sull’obiettivo di voler tornare entro quel termine che si era dato. Il mio ruolo è stato molto marginale e lo dico con un po’ di rammarico (sorride ancora, ndr). Non mi sono neanche sforzato di mettergli in testa certe cose. Significa che avevamo fatto un gran lavoro prima. Il segreto è stato solo di averlo aiutato ad allargare un po’ i suoi orizzonti e crederci ulteriormente. Mi prendo solo questo merito. Alla fine è tornato sulla bici a 28 giorni dalla frattura e ad inizio settembre ha portato a casa un ottavo posto al mondiale Mtb che se non somiglia ad un miracolo, non saprei come altro definirlo.

Dopo la frattura ad una gamba a giugno, Fontana chiude 8° ai mondiali Mtb grazie al lavoro con Biscaro (foto Radek Kasik)
Dopo la frattura ad una gamba a giugno, Fontana chiude 8° ai mondiali Mtb grazie al lavoro con Biscaro (foto Radek Kasik)
Dopo la frattura ad una gamba a giugno, Fontana chiude 8° ai mondiali Mtb grazie al lavoro con Biscaro (foto Radek Kasik)
Dopo la frattura ad una gamba a giugno, Fontana chiude 8° ai mondiali Mtb grazie al lavoro con Biscaro (foto Radek Kasik)
La tua esperienza con i ciclisti quando inizia?

Ho sempre pedalato per tenermi in forma e mi piaceva il ciclismo, tuttavia senza essere appassionato di gare. Ho cominciato a lavorare con questi atleti nel 2021, quando dopo l’Olimpiade è stata sdoganata maggiormente la figura del mental coach nello sport. Io ad esempio ho sempre lavorato con gli imprenditori. La prima con cui ho iniziato è stata Soraya Paladin, che abita a pochissimi chilometri di distanza e tutto è nato in modo simpatico. Lei mi seguiva sui social ed io stavo cercando atleti non tanto per lavorarci, quanto per intervistarli e capire come utilizzavano la parte mentale nello sport.

Com’è proseguito il rapporto di lavoro?

Avevo scritto a Soraya proprio per farle alcune domande e abbiamo iniziato a collaborare. Lei nel 2021 aveva perso la motivazione per continuare a correre, anzi era quasi convinta a smettere. Nel frattempo era riuscita a passare dalla Liv Racing alla Canyon//Sram (dove corre tutt’ora, ndr) e ricordo che alle prime gare del 2022 mi raccontava di aver ritrovato fiducia, voglia e soprattutto il divertimento. E’ diventata una ragazza importantissima per la squadra ed anche per la nazionale. Non è una che vince, ma contribuisce con un grande lavoro ai successi della squadra in tutti i sensi. Dall’anno scorso non collaboriamo più, ma siamo in buoni rapporti. E’ normale che talvolta certi percorsi giungano alla fine.

Tanti giovani collaborano con Biscaro: qui con Luca Paletti, con cui c'è un bel rapporto
Tanti giovani collaborano con Biscaro: qui con Luca Paletti, con cui c’è un bel rapporto
Tanti giovani collaborano con Biscaro: qui con Luca Paletti, con cui c'è un bel rapporto
Tanti giovani collaborano con Biscaro: qui con Luca Paletti, con cui c’è un bel rapporto
Invece con Sacha Modolo com’è andata?

Ho un grande rapporto anche con lui, con cui è nato tutto per caso. Una dichiarazione di Vendrame dopo una sua vittoria al Giro d’Italia aveva fatto venire a Valentina, la moglie di Sacha, l’idea rivolgersi a me. Sacha era entrato in una spirale negativa nonostante fosse alla Alpecin e anche lui stava pensando di smettere ad inizio 2021. Ho “corteggiato” Sacha affinché si affidasse e fidasse del mio ruolo. Lo faccio sempre quando riconosco un talento con cui si possono fare cose interessanti. Alla fine del nostro lavoro, andò alla Vuelta e ne uscii con una gamba incredibile tanto da vincere una settimana dopo una tappa al Giro del Lussemburgo. Quella fu la sua ultima vittoria, ma riuscii a trovare un contratto con la Bardiani nel 2022. Furono grandi soddisfazioni anche per me.

La tua rete si è ampliata molto?

Ho avuto un bel movimento di atleti in questi anni. Con le donne collaboro con Vitillo, Silvestri, Basilico, mentre tra i giovani ho Paletti, Matteo Milan, Olivo e in passato anche con Borgo. Tra i pro’ ci sono Zana e De Marchi. Mi fermo con i nomi perché ne ho tanti altri e non vorrei dimenticarmi qualcuno. La cosa che mi piace è che sono tutte gran brave persone ed è facile quindi instaurare un rapporto di lavoro sia professionale, sia più leggero quando è necessario. Con tantissimi di loro parliamo la stessa lingua e ci troviamo subito in sintonia.

Che idea ti sei fatto del mondo ciclistico? Te lo aspettavi meglio o peggio?

Dal 2021 ad oggi il ciclismo è cambiato tantissimo. Sono stati tutti anni molto intensi e pieni. L’emblema di questo cambiamento è stato proprio il “Dema” (Alessandro De Marchi, ndr). Con lui ho percepito quanto il cambiamento stia diventando sempre più faticoso e difficile. Ho capito quanto ci sia da gestire oltre al correre in bicicletta. E’ una opinione mia, ma secondo me questi atleti dovrebbero prevalentemente pensare a pedalare e divertirsi.

Paladin è stata la prima atleta a collaborare con Biscaro. Era il 2021, lei voleva smettere, lui le ha dato nuove motivazioni
Paladin è stata la prima atleta a collaborare con Biscaro. Era il 2021, lei voleva smettere, lui le ha dato nuove motivazioni
Paladin è stata la prima atleta a collaborare con Biscaro. Era il 2021, lei voleva smettere, lui le ha dato nuove motivazioni
Paladin è stata la prima atleta a collaborare con Biscaro. Era il 2021, lei voleva smettere, lui le ha dato nuove motivazioni
Gli altri aspetti sono difficili da arginare?

Adesso subentrano mille dinamiche a cui nessuno li introduce e che non sanno come gestire. Pressioni della squadra, degli sponsor, della famiglia, di altri fattori esterni. Sono un esperto di performance, anche nei rami di azienda, e so quanto queste influenze esterne incidano a performare meglio o peggio. Anzi, in alcuni casi se non si gestiscono in modo corretto, diventa tutto controproducente alla prestazione.

Per Moreno Biscaro è più facile lavorare con le donne o con gli uomini?

Non ci sono grandi differenze, ho sempre di fronte una persona in quanto tale. Non voglio nemmeno generalizzare, ma direi che le ragazze sono più emotive, si lasciano più trasportare. I ragazzi invece ascoltano meno le proprie emozioni e in molte situazioni sono bloccati da queste. A seconda dei casi, può essere un vantaggio, come uno svantaggio, l’importante è saper trovare il giusto punto d’incontro per le motivazioni necessarie per i propri obiettivi.

I giovani nel ciclismo: professionisti nelle gambe e nella mente

10.07.2025
4 min
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Le parole di Alessandro Borgo appena terminato il campionato italiano under 23 di Darfo Boario Terme, con il tricolore addosso ci hanno lasciato qualcosa su cui ragionare: «Quando ero al secondo anno juniores avevo iniziato a lavorare con un mental coach, penso sia una figura importante per chi corre a questi livelli. Alleniamo ogni giorno il corpo, ma serve allenare anche la mente appoggiandoci a queste figure. Avevo perso il campionato italiano di categoria e la notte non avevo dormito a causa di tutte le lacrime che ho versato. Lavorare con un mental coach mi ha aiutato tanto (in apertura lo stesso Borgo al Giro della Lunigiana 2023, photors.it)».

Anche la categoria under 23 sta alzando il livello con l’arrivo dei devo team (foto La Presse)
Anche la categoria under 23 sta alzando il livello con l’arrivo dei devo team (foto La Presse)

Pressioni anche da giovani

Spesso abbiamo parlato dell’importanza di lavorare sulla mente tra i professionisti, ma anche tra i giovani è fondamentale non sottovalutare questo aspetto. I ragazzi a diciassette e diciotto anni, ovvero nella categoria juniores, sono ormai sottoposti a stress e confronti che non fanno sempre bene. Siamo andati così da Paola Pagani, mental coach, e ci siamo fatti raccontare in che modo si lavora e ci si confronta con i giovani. Le sue parole non si discostano, nel significato, da quelle di Stefano Garzelli di qualche giorno fa.

«Nella performance – racconta Paola Pagani – la mente ha sempre il suo peso, che un atleta sia junior, under 23 o professionista. I ragazzi, anche i più giovani, subiscono pressioni stratosferiche e affrontano le categorie giovanili con il coltello tra i denti. A volte il carico mentale è addirittura superiore rispetto ai professionisti».

La categoria juniores è la prima nella quale c’è un confronto a livello internazionale e aumentano le aspettative (photors.it)
La categoria juniores è la prima nella quale c’è un confronto a livello internazionale e aumentano le aspettative (photors.it)
A volte i ragazzi giovani vivono tutto come un qualcosa di determinante…

Ciò che dico ai più grandi vale anche per loro: la vita non finisce dopo una corsa e non sarà un risultato negativo a determinare il loro futuro. Tutto è questione di passaggio e alla base c’è un cammino. Nessuno di noi è definito da un risultato, in ogni campo della vita. 

Nei giovani come si disinnesca questo pensiero?

C’è da dire una cosa, i ragazzi giovani che fanno sport hanno una maturità non indifferente. Lavoro con pochi ragazzi di categorie giovanili, ma questa caratteristica la riscontro in tutti. Non sono dei classici adolescenti.

Il pubblico e l’attenzione mediatica sono due fattori da gestire, lavorare sulla mente può dare un giusto supporto
Il pubblico e l’attenzione mediatica sono due fattori da gestire, un mental coach può dare un giusto supporto
Come mai?

Fare sport fin da bambini ti mette davanti a fatica e impegno costanti. Si fanno allenamenti duri, lunghi e si corre con il freddo, la pioggia, il caldo. Questi ragazzi fanno cose che altri adolescenti nemmeno si sognano. E’ normale abbiano una resilienza mentale totalmente diversa. Però va fatto un passaggio importante.

Quale?

Si deve ricordare a questi ragazzi che lo sport comunque deve avere una base di divertimento. Questo aspetto è capace di non farci percepire il peso di tante cose. Nella testa di ragazzi juniores e under 23 c’è un cammino delineato: vogliono diventare dei professionisti. Non fanno ciclismo come hobby ma vogliono farlo diventare il loro lavoro. 

Il rischio è che ogni gara diventi una lotta interna tra successo e fallimento…

Tanto del mio lavoro passa da qui. Non performare in una gara che si aveva nel mirino a volte diventa una tragedia e ci si concentra solamente su ciò che non è andato. Invece io li prendo e dico loro: «Guarda anche quello che è andato bene». Il focus deve essere su quello che si può dare. E’ importante cercare di farli rimanere loro stessi e non guardare agli altri. 

Da giovani le emozioni di una sconfitta o di una vittoria vengono amplificate dalla passione verso questo sport (photors.it)
Da giovani le emozioni di una sconfitta o di una vittoria vengono amplificate dalla passione verso questo sport (photors.it)
Con gli juniores l’approccio cambia?

Entra in gioco un fattore di “accudimento” ovvero di tutela. Ma non è questo che porta a porre domande diverse o fare discorsi tanto differenti rispetto a quelli che si fanno agli under 23 e ai professionisti. Nel parlare cerco di usare l’umorismo come arma di comunicazione, per sdrammatizzare, ma l’equilibrio è delicato.

In che senso?

Non deve entrare nella loro testa che li prendo in giro o che non si dà il giusto peso a ciò che dicono. Comunque bisogna riconoscere l’impegno e il doppio lavoro, sia sportivo che scolastico. Questi ragazzi, specialmente gli juniores, dedicano praticamente tutto il loro tempo alle due attività. 

Si deve valorizzare ciò che fanno…

Esattamente, il loro impegno e tutto il tempo che dedicano. Questo aggiunge valore alle loro attività. E’ difficile perché questi ragazzi stanno diventando sempre più professionisti e anche la loro mente

Arianna Fidanza, una mental coach per rinascere alla Laboral

02.11.2024
5 min
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E’ un periodo di novità importanti per Arianna Fidanza e si sa quanto possano fare bene per rilanciarsi. Testa e fisico devono andare di comune accordo per ottenere il massimo e lo sa bene la 29enne bergamasca che nell’arco di qualche giorno ha tagliato due nuovi traguardi. Prima il certificato di mental coach, poi la firma di un biennale alla Laboral Kutxa-Fondacion Euskadi.

Parlando con Arianna traspare tutta la sua soddisfazione. Le due stagioni con la Ceratizit-WNT hanno avuto un bilancio comunque positivo, ma lei sentiva il bisogno di ampliare la sua carriera di atleta con nuove motivazioni dopo un 2024 che le ha riservato più noie che gioie. Ora si sta godendo gli ultimi giorni di stacco, poi fra qualche settimana inizierà la nuova avventura con la formazione spagnola. Ci ha raccontato tutto.

Ad ottobre Arianna Fidanza ha conseguito il diploma di mental coach. In futuro vuole aiutare i giovani atleti con la sua esperienza
Ad ottobre Arianna Fidanza ha conseguito il diploma di mental coach. In futuro vuole aiutare i giovani atleti con la sua esperienza
Arianna sei diventata una mental coach qualificata. Da dove nasce questa volontà?

Alle superiori ho fatto il liceo socio-pedagogico e mi sono sempre piaciute le materie di scienze sociali. Mi sarebbe piaciuto studiare psicologia, ma per i tanti motivi legati alla mia attività non sono riuscita a fare l’università. Era da un po’ di tempo che volevo prendere questo diploma, poi ho deciso di farlo soprattutto dopo questa stagione in cui non ho passato bei momenti. Perché la testa aiuta. Lo sapevo e l’ho capito una volta di più.

Com’è stato il percorso per questo diploma?

Ho fatto un corso di 6 mesi sostenendo l’esame finale a Milano a fine ottobre. In questo periodo ho dovuto fare un tirocinio lavorando con tre persone. Era compito mio trovarle chiedendo la loro disponibilità di essere seguite da me. Con ognuna di esse abbiamo fatto cinque sessioni, facendo dei faccia a faccia e trattando tanti temi. Naturalmente mi è servito tutto per l’esame e conseguire la qualifica.

Arianna ha iniziato bene il 2024 con diverse top 10, poi ha pagato un calo di condizione dovuto a vecchi problemi fisici
Arianna ha iniziato bene il 2024 con diverse top 10, poi ha pagato un calo di condizione dovuto a vecchi problemi fisici
Ti sei creata un’opportunità in più per il futuro, giusto?

Esattamente. Mi piacerebbe un giorno poter aiutare gli altri, magari consigliando i giovani atleti portando la mia esperienza. Credo che sia importante per loro. A gennaio farò trent’anni e non penso di essere vecchia, ma da quando ero juniores io il ciclismo è cambiato tantissimo. In questi anni ho visto tante ragazze forti che hanno abbandonato perché non avevano quel necessario supporto mentale. Adesso la figura del mental coach è presente in ogni team professionistico e solo nelle squadre giovanili più attrezzate. Anche la Federciclismo è andata avanti molto con il suo ruolo.

Possiamo dire che è un bene che ci sia questa figura e dall’altra un male perché sono sempre più crescenti i problemi di stress creati dalla società in cui viviamo?

La vita di tutti i giorni purtroppo è sempre più frenetica. Siamo sempre sotto pressione per qualsiasi cosa, mentre nei ragazzi è sempre più frequente il deficit di attenzione. Sono tutti temi che per forza di cose dobbiamo affrontare. Dipende da persona a persona, ma credo che possa essere un bene il mental coach se una persona riesce a collaborare. Non è facile o scontato perché uno deve mettere a nudo le proprie debolezze. Ci vogliono pazienza e fiducia. Il discorso vale anche nel ciclismo tra atleta e mental coach. Possiamo dire che questo rapporto funziona se lo vediamo come risorsa anziché come impegno o forzatura.

In 8 lasciano la Ceratizit. Oltre ad Arianna, la sorella Martina va alla Visma | Lease a Bike, Marta Lach alla SD Worx-Protime
In 8 lasciano la Ceratizit. Oltre ad Arianna, la sorella Martina va alla Visma | Lease a Bike
Nel frattempo hai lasciato la Ceratizit e forse in tanti non se lo aspettavano. Come mai?

Ci sono dietro una serie di motivi, sia fisici che tecnici. Avevo iniziato il 2023 molto bene (vincendo subito ad Almeria, ndr), ma le tante cadute si sono fatte sentire col passare del tempo e quest’anno le ho pagate tutte, con valori molto bassi. Anche quest’anno ero partita bene, nel mentre in squadra erano cambiate tante cose e tanti equilibri. Per dire, andiamo via in otto ragazze, compresa mia sorella che ha accettato una bella offerta della Visma | Lease a Bike. Le difficoltà principali sono legate ai cambi di programmi e alla mia gestione. Col mio allenatore diventava difficile programmare un’altura o la preparare alcune gare. Ad esempio tra maggio e giugno ho fatto il blocco delle corse in Spagna che non sono adatte alle mie caratteristiche. Tuttavia ho sempre dato il meglio di me, impegnandomi al massimo. Ho scelto quindi di cambiare aria.

Ed è arrivata la Laboral. Com’è nato il contatto con loro?

Prima dell’estate mi sono sentita col diesse Ion Lazkano. Avevo più opzioni, ma loro mi sono piaciuti molto per l’approccio. Abbiamo fatto una videochiamata dove hanno manifestato l’interesse per me, confidando nel mio rilancio e nelle mie potenzialità. Prima di decidere ho sentito Ane Santesteban con cui ho corso nella Jayco e naturalmente tutte le italiane che corrono lì, anche la stessa Quagliotto che va alla Cofidis. Tutte mi hanno dato un riscontro positivo. Ad inizio ottobre ho avuto una nuova chiamata e abbiamo trovato l’accordo. Hanno un bel progetto, molto stimolante. Anzi vi anticipo già una risposta.

Quale?

In tanti mi hanno detto che scendo di categoria e so che magari in tanti non condividono questa mia scelta. Non penso assolutamente di fare un passo indietro perché la Laboral è una formazione ambiziosa. Quest’anno hanno corso anche il Tour Femmes da protagonista con Tonetti in maglia a pois. Vogliono diventare WorldTour, per il quale avevano fatto richiesta per quest’anno, ma intanto nel 2025 prenderanno la licenza Professional se passerà veramente la riforma dell’UCI. Come dicevo prima, ho scelto il loro progetto. E fra poco partiremo per un training camp di cinque giorni nei Paesi Baschi senza bici per conoscerci meglio.

Nel 2024 Arianna ha disputato 39 giorni di gara con tanti programmi cambiati. Dopo il Giro Women solo altre 3 corse
Nel 2024 Arianna ha disputato 39 giorni di gara con tanti programmi cambiati. Dopo il Giro Women solo altre 3 corse
Che obiettivi si è data Arianna Fidanza per il 2025?

Ho già cerchiato in rosso qualche gara del calendario, quelle con i percorsi mossi e inclini a me. Vorrei riprendere la costanza di prestazioni e risultati come qualche anno fa, ma soprattutto vorrei ritrovare la gioia di andare alle gare. Perché la testa e le motivazioni possono fare la differenza

Imparare a vincere è un allenamento: e si parte dalla mente

26.10.2024
5 min
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In un ciclismo che va veloce, sempre di più anno dopo anno, è importante vincere e confermarsi ad alti livelli stagione dopo stagione. Eppure il successo non passa solo dalle gambe, ma dalla forza della mente. La testa gioca una parte fondamentale quando si tratta di giocarsi una vittoria, avere la giusta convinzione e motivazione ci permette di tirare fuori quel qualcosa in più. Il famoso 101 per cento. Dove quell’uno fa una differenza abissale tra vincere e perdere.

Paola Pagani è una mental coach e da anni lavora nel mondo del ciclismo, affiancando atleti e aiutandoli a trovare la giusta motivazione e forza mentale per raggiungere i propri obiettivi. Non si tratta sempre e solo di vincere, ma di esprimere il massimo del proprio potenziale. Qualunque sia il ruolo svolto.

Per Pellizzari il focus non era vincere, ma dimostrare di essere il più forte in salita
Per Pellizzari il focus non era vincere, ma dimostrare di essere il più forte in salita

Il “caso” Pellizzari

L’idea di questo articolo è nata parlando, ormai più di un mese fa, con Giulio Pellizzari. Il corridore prossimo a vestire i colori della Red Bull-Bora Hansgrohe aveva detto di aver bisogno di fare uno step mentale per imparare a sfruttare il suo talento al massimo e iniziare a raccogliere qualche vittoria.

«Per me la cosa più importante è dimostrare di essere il più forte – ci aveva detto Pellizzari – poi magari non vinco. Da piccolo ero scarso, per me l’obiettivo era far vedere di essere forte. Per me la gara finisce in cima alla salita. Vado a tutta e quando mi giro e vedo di aver tolto tutti i più forti da ruota sono a posto. Un esempio arriva dal Giro del Friuli: volevo staccare in salita Torres che due settimane prima aveva vinto l’Avenir con grandi numeri».

«Partendo da questo esempio – inizia a spiegare Paola Pagani – bisogna far capire al corridore, se vuole anche vincere oltre che togliersi i più forti dalla ruota in salita, che la gara non finisce in cima alla salita ma sotto lo striscione di arrivo».

Paola Pagani è mental coach formata alla scuola di Anthony Robbins
Paola Pagani è mental coach formata alla scuola di Anthony Robbins
Come si “sblocca” la mente?

Qui entra in gioco il processo di coaching. L’essere umano crea le proprie convinzioni facendo esperienza nella vita. Queste possono essere potenzianti o limitanti. Il ciclista in questione si è convinto che per dimostrare di essere il più forte deve vedere di essersi tolto i più forti da ruota in salita, dopo di che è a posto. Questa è una convinzione potenziante se l’obiettivo è la performance su quella salita o se l’arrivo è in cima alla salita, diventa meno potenziante se non addirittura limitante se l’obiettivo è la vittoria e la gara non termina sulla salita.

Continui…

Se un corridore pensa di essere un perdente perché si concentra su tutti i secondi posti ottenuti in carriera e non sulle vittorie o sulle performance di successo, allora sarà più difficile per lui essere un vincente. Esistono degli esercizi di consapevolezza che ci aiutano a ristrutturare le convinzioni che ci limitano.

La cosa importante è che il corridore arrivi a fine gara senza rimpianti, soddisfatto della sua performance
La cosa importante è che il corridore arrivi a fine gara senza rimpianti, soddisfatto della sua performance
Si tratta di capire dove mettere il focus?

Sì, non serve dire: «Sono un campione». La cosa importante è tirare fuori sempre il meglio da se stessi e ricordare quanto lavoro si è fatto per arrivare a quell’appuntamento. Il focus deve essere positivo: ad esempio si può chiedere all’atleta di fare una lista delle sue prestazioni migliori, così da farlo focalizzare sulla performance e i suoi punti di forza.

C’è una chiave?

L’autostima. Ricordiamoci sempre che i corridori sono per lo più ragazzi giovani (ora sempre di più, ndr). Una cosa che ho notato nel tempo è che nel 90 per cento dei casi l’autostima può vacillare. Sbloccare la mente vuol dire aiutare il cervello a identificare i pensieri negativi, ristrutturarli, e buttar via il resto, come se fosse spazzatura.

Paola Pagani ha lavorato con Colbrelli dal 2019 in poi aiutandolo nella sua crescita professionale
Paola Pagani ha lavorato con Colbrelli dal 2019 in poi aiutandolo nella sua crescita professionale
Il lavoro in cosa consiste?

E’ tutto molto “sottile” ovvero si tratta di andare a capire ciò che limita la persona e far crescere la consapevolezza nelle proprie qualità. Evidenziare i punti di forza in modo da aumentare le risorse. Vi faccio un altro esempio: a gennaio ho iniziato a lavorare con un ragazzo giovane. La squadra voleva lasciarlo a casa, abbiamo iniziato un lavoro di consapevolezza in cui si è impegnato al 100% per migliorare la considerazione di sé. Abbiamo lavorato insieme solamente tre mesi, ma in quei tre mesi è stato capace di migliorare talmente la stima di sé che nella seconda parte della stagione ha fatto cose strepitose.

La base qual è?

Riconoscere il proprio potenziale e il lavoro svolto. Nel ciclismo ci si allena tanto e i ragazzi tendono a vederla come una cosa normale. E’ giusto, ma bisogna sempre riconoscere gli sforzi fatti. La mente è un grande motore, serve sapere come sfruttarlo.

Scegliere le giuste parole da utilizzare con noi stessi e gli altri ci aiuta a far nascere le giuste emozioni
Scegliere le giuste parole da utilizzare con noi stessi e gli altri ci aiuta a far nascere le giuste emozioni
E come si fa?

Sicuramente sviluppare l’intelligenza linguistica oltre a quella emotiva è un’ottima idea. Le parole che rivolgiamo a noi stessi e agli altri danno significato alle esperienze della nostra vita e influenzano direttamente la nostra neurologia. Dal nostro dialogo interiore ed esteriore nascono le emozioni, dalle emozioni scaturiscono le azioni e dalle azioni derivano i nostri risultati. Pertanto, imparare a utilizzare parole e schemi linguistici che ci supportano positivamente rappresenta una scelta strategica, particolarmente importante quando si opera a livelli elevati.

Rileggiamo con coach Pagani il blackout di Colbrelli

15.01.2023
7 min
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Adesso che piano piano Colbrelli inizia a farsene una ragione, proprio adesso si comprende quanto sia stato psicologicamente enorme quello che gli è capitato. Nel giorno di quella famosa conferenza stampa di metà novembre, Sonny rese merito pubblicamente alla sua mental coach.

«Mi ha fatto capire quanto valgo – disse il bresciano, in apertura nella foto Bahrain Victorious – e che sono più forte di quanto pensassi. Ho capito che posso fare cose importanti anche non essendo più un corridore. Ora la vedo così, magari domani mi chiudo nei miei silenzi. Non è facile».

Il tramite di Pozzato

Paola Pagani è di Como, ma vive a Bergamo. Conobbe Colbrelli nel 2019 per l’intuizione di Pozzato, che con lei aveva collaborato attorno al 2013, in uno dei momenti più faticosi della sua carriera. Fu Pippo a intuire che Sonny fosse pronto per il salto di qualità e avesse solo bisogno di sgombrarsi la testa. E così andò. Le vittorie del tricolore, del campionato europeo e della Roubaix del 2021 facevano pensare che il lavoro stesse dando ottimi frutti e che la carriera sarebbe stata un continuo crescendo, invece di colpo all’inizio del 2022, tutto si fermò. Il cuore e la sua strada.

«E’ durissima – spiega la mental coach – per un ciclista come Sonny, come per chiunque arrivi veramente ai vertici della propria carriera, precipitare bruscamente a terra, per qualcosa che non dipende assolutamente da lui. Sonny ha dovuto ovviamente mettere la testa su tutto quello che può ancora fare, grazie al fatto che è riuscito a farcela. Ma sopravvivere all’inizio è stato veramente difficile. Stavamo programmando il 2022 e doveva essere una stagione coi fiocchi. Voleva riconfermarsi per dimostrare che effettivamente il 2021 non era stato un caso».

Il 2022 era iniziato per Colbrelli nel migliore dei modi, con il secondo posto alla Omloop Het Nieuwsblad
Il 2022 era iniziato per Colbrelli nel migliore dei modi, con il secondo posto alla Omloop Het Nieuwsblad
Stamattina abbiamo intervistato un corridore di 32 anni (Villella, ndr), rimasto senza squadra, ed è lì che spacca in quattro il capello per capire chi abbia sbagliato e perché.

Qui però è un po’ diverso. Il ragazzo che a 32 anni smette di andare in bici perché non ha una squadra, può fare una sorta di analisi su se stesso, per capire quello che è stato fatto e quello che non ha funzionato. Oppure può indagare sulla mentalità che ha avuto e che gli ha impedito di arrivare ai risultati. Per Sonny è diverso, perché lui stava facendo tutto bene e una squadra ce l’aveva. Si è trattato di affrontare qualcosa su cui non aveva nessun tipo di controllo. Il ragazzo che smette a 32 anni forse qualche responsabilità la può avere. Magari poteva fare qualche gara impegnandosi di più. Oppure, se si è impegnato, poteva iniziare a lavorare sulla sua mentalità, per essere un campione che sfruttasse i suoi talenti molto più di quanto li ha sfruttati lui.

Invece Sonny?

Sonny non ha avuto nessun problema per le sue abilità e questo rende tutto meno gestibile. Nel senso che non hai nulla su cui ragionare. E’ passato dal correre normalmente al rischio di morire. Mi ricordo benissimo la gara in Spagna. Facevo il tifo alla televisione. L’ho incitato, dopodiché mi sono allontanata e dopo mezz’ora mi son trovata con messaggi che arrivavano dappertutto su cosa gli fosse successo…

Come si fronteggia l’imprevisto?

Non c’è nessun tipo di controllo su certe cose che spesso ci possono succedere. Perciò dobbiamo essere abbastanza forti da riuscire a rialzarci e a reinventarci una strada diversa dalla precedente. Per continuare ad essere le persone spettacolari che comunque restiamo, perché Sonny era spettacolare come ciclista e può essere spettacolare giù dalla bicicletta. E’ difficile. Quando sei abituato a essere un campione e la tua vita ruota intorno alla bici, è difficile mollare tutto.

Tanto che per un po’ ha pensato di tornare…

Sonny ha smesso di pensare di poter tornare a correre quando ormai era chiaro che non gli avrebbero dato il nullaosta. Per correre hai bisogno dell’idoneità. Eriksen gioca a calcio, fa goal e vince partite, però si muove su un campo molto più ristretto rispetto ai ciclisti. Quindi è anche comprensibile che l’UCI non acconsenta.

Come si passa dal preparare le grandi classiche ad allenarsi per sopravvere?

Si tratta di gestire la mente di un atleta che si prepara per vincere e dall’altra parte di un uomo che si deve rialzare. Per me è sempre una gara, ma più difficile: diversa. E’ una competizione sconosciuta, nel senso che una persona abituata a fare gare, sa com’è la gara. Sa quali sono le emozioni collegate alla gara, sa cosa significa vincere e sa cosa significa perdere. Quando invece ti trovi ad affrontare qualcosa totalmente sconosciuto, diventa tutto più difficile. Però essendo una competizione, dicevo sempre a Sonny che questa era la più importante della vita. Si trattava di rialzarsi e tornare in sella su un altro tipo di bicicletta.

Si lavora molto sulle motivazioni?

C’è l’aspetto motivazionale, ma soprattutto un aspetto molto personale per capire che la persona ha un valore e un talento legati non soltanto alla bravura come corridore, ma alla persona. E quei talenti si possono usare in un altro modo, in altri campi.

E’ stato Pozzato, qui a sinistra, a consigliare a Colbrelli di farsi seguire da Paola Pagani
E’ stato Pozzato, qui a sinistra, a consigliare a Colbrelli di farsi seguire da Paola Pagani
Sono dinamiche di vita che accadono spesso?

E’ una casistica molto diffusa. Dico a tutte le persone con cui lavoro che “la vita succede per noi”. E quindi in ogni caso, che vada bene o che vada male, comunque succede per noi. Se va bene, celebriamo e stappiamo lo champagne. Se invece non va come vogliamo, dobbiamo trovare cosa c’è di buono in quello che è successo.

E come si fa?

La domanda che faccio sempre è se quello che di negativo ti è successo non sia in realtà la cosa migliore che ti potesse capitare, quello di cui avevi proprio bisogno. E’ ovvio che quando lo dici a qualcuno che era in vetta e improvvisamente si trova ai piedi della montagna, senza neanche capire come abbia fatto a scivolare giù, non sono domande facili da accettare. Però quando ti fermi un attimo e inizi a pensare e a riprenderti, inizi a vedere le cose in una prospettiva diversa. E allora puoi anche rialzarti e reinventarti in modi anche migliori rispetto a quanto immaginavi. Perché noi non sappiamo effettivamente cosa ci può riservare la vita, però l’importante è usare quello che la vita ci dà per creare la vita che vogliamo. 

A un certo punto Sonny ha cominciato a dire che sarebbe potuta andargli molto peggio…

Certo, assolutamente. L’ho fatto sempre riflettere sul fatto che comunque lui è stato preso per i capelli, perché ci sono state tante circostanze che hanno giocato a suo favore. A quest’ora poteva anche non esserci più. E’ stato salvato, ha una famiglia splendida e comunque quello che gli è successo è capitato all’apice della sua carriera. C’è tanta gente che ancora lo cerca, tanta gente ancora che lo apprezza. Quindi è anche uno dei momenti migliori per potersi reinventare. Non è come quando cadi e sei già nell’oblio, allora certo è più difficile. Ma il suo cammino è ancora lungo e ha le gambe per farlo.

Ecco la prima immagine, tratta da Instagram, pubblicata da Sonny il 5 aprile dopo il malore spagnolo
Ecco la prima immagine, tratta da Instagram, pubblicata da Sonny il 5 aprile dopo il malore spagnolo
E’ stato faticoso riprendersi?

E’ stato molto faticoso. Caspita, mettiamoci nei suoi panni. Dal pomeriggio alla sera ti si cambia completamente la vita. Hai 32 anni. Sei giovanissimo. Pensi di aver davanti ancora 3-4-5 anni per poter fare ai massimi livelli la professione che ami e che adori. E improvvisamente tutto ti cambia per qualcosa che non capisci. Però è stato bravissimo, assolutamente.

Evenepoel, Ayuso e l’ansia: parole rilette con la psicologa

31.08.2022
5 min
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Chiedete a Ilario Biondi, amico fotografo, lo sguardo che ci scambiammo in una trattoria vicino Cesenatico quando Marco Pantani, 22 anni all’epoca, dichiarò che l’anno dopo ci avrebbe pensato lui a staccare l’imbattibile Indurain. In effetti lo fece. Dovette aspettare il 1994 perché la tendinite lo costrinse a ritirarsi dal primo Giro, ma l’anno dopo mantenne il proposito. Venendo da questa premessa, potrete immaginare lo stupore davanti alle parole di Remco Evenepoel e Juan Ayuso di due giorni fa durante il giorno di riposo della Vuelta.

«Cerco di non guardare gli altri come rivali – ha detto il belga – per evitare che diventino una trappola per la mente. Vado avanti giorno per giorno. Se avrò buone gambe, potrò provare a incidere, ma sono abbastanza sicuro che ci saranno dei momenti duri».

«Non voglio assolutamente pormi degli obiettivi troppo alti – ha detto lo spagnolo – preferisco viverla giorno per giorno. Non voglio crearmi uno scenario troppo elevato. Perché se poi non si realizza, me ne andrei dalla Vuelta con un cattivo sapore in bocca. L’obiettivo di questa corsa è farla bene e capire cosa potrò fare in futuro. Non voglio volare troppo alto, per non avere una delusione».

Abbiamo esplorato le parole di Evenepoel e Ayuso con Manuella Crini, psicologa piemontese
Abbiamo esplorato le parole di Evenepoel e Ayuso con Manuella Crini, psicologa piemontese

Che cosa è cambiato? E perché dichiarazioni simili in bocca a due ragazzini che hanno sempre fatto della sfrontatezza la loro arma vincente? Sono diventati improvvisamente saggi, oppure qualcuno gli ha suggerito di ragionare e parlare così?

Lo abbiamo chiesto a Manuella Crini, psicologa cui abbiamo spesso fatto ricorso per indagare i processi mentali in cui ci siamo imbattuti dalla nascita di bici.PRO, a partire dai disordini alimentari.

Pensa che questo atteggiamento sia casuale o risponda a precise strategie?

E’ molto probabile che sia intervenuto un mental coach, con strategie individuali, ritagliate su misura per impedire a entrambi di volare troppo alto. Qualcosa su cui potrebbero aver lavorato. Non credo ci sia stato un ricambio generazionale così netto da pensare a una saggezza precoce. Se invece sono sistemi da autodidatti, cautele che i due ragazzi adottano spontaneamente, non è detto che funzioneranno.

Nonostante sia giovanissimo, su Ayuso è forte la pressione della stampa
Nonostante sia giovanissimo, su Ayuso è forte la pressione della stampa
Più probabile una stategia?

Penso di sì. Quello che dice Evenepoel sul non voler guardare gli altri come avversari, ad esempio. Parla così perché li vede troppo grandi e ha paura di non reggere il confronto? La società e anche lo sport ormai spingono sempre più in alto, si è chiamati a dare sempre il meglio e l’eventualità di essere sconfitti è dietro l’angolo. Chi effettivamente lavora sul fallimento? Saper perdere fa parte della storia, non si deve averne paura.

Invece Ayuso?

Si alzano sempre le aspettative, anche se è giovanissimo. E se il gap è alto, le aspettative diventano un muro contro cui andiamo a scontrarci, facendoci male. Se invece abbasso le aspettative, dicendo di non volermi porre obiettivi troppo alti, allora non cado. O se cado, non mi faccio male. La fragilità non risulta compromessa e si è trovato un meccanismo di difesa e scaramanzia. Dentro di me spero di vincere, ma non lo dico. Come quando ci convinciamo che indossando sempre lo stesso abito, si passerà anche il prossimo esame. La scaramanzia diventa un oggetto magico.

Mas è il suo rivale più vicino, ma Evenepoel lo tratta da buon amico
Mas è il suo rivale più vicino, ma Evenepoel lo tratta da buon amico
Non è strano che tanta saggezza venga da due ragazzini?

Forse tanta prudenza deriva proprio da questo. Dal fatto che hanno imparato da piccoli a volare più basso. Hanno la consapevolezza di non poter stare per sempre sulla cresta dell’onda, perché l’onda presto o tardi scende. Però la visione di Evenepoel mi fa pensare anche ad altro.

A cosa?

L’idea del volermi concentrare solo su me stesso, di infilarmi in una bolla in cui ci sono solo io, tenendo lontani gli altri e l’ansia che ne deriva. La responsabilità è uno zaino pesante, del resto, e se gli altri pesano sulla mia bolla, rischiano di farla esplodere. Meglio tenerli lontano. Allo stesso modo, il discorso di Ayuso può essere legato all’ansia da prestazione. E in questo caso le eventuali strategie mentali gli sono state ritagliate addosso a livello sartoriale.

Ayuso Getxo
Ayuso non ha paura di esporsi e parlare da vincitore: alla Vuelta però ha cambiato improvvisamente registro
Ayuso Getxo
Ayuso non ha paura di esporsi e parlare da vincitore: alla Vuelta però ha cambiato improvvisamente registro
Anche perché la loro indole è battagliera e sfrontata…

L’età anagrafica nel caso di sportivi spesso non è fedele. Sono ragazzini, ma ogni corsa è scuola, quindi hanno un vissuto superiore a quello dei coetanei. Se sono stati talenti promettenti sin da subito, è possibile che abbiano arredato l’adolescenza per costruire i loro obiettivi. In quel caso vuol dire che hanno dietro un percorso di analisi e di gestione delle emozioni che li rende più adulti.

Quindi potrebbero essere due modi distinti di tenere a bada l’ansia?

Magari sono le soluzioni più pratiche possibili, piuttosto che dedicare un sacco di tempo a elaborare la possibilità di essere sconfitti. E’ un discorso che viene tenuto lontano e su cui invece, soprattutto a livello degli sportivi, si dovrebbe lavorare. Pensate a come sono cambiati i cartoni animati rispetto a un tempo. Non ci sono più il buono e il cattivo, vanno tutti d’accordo.

Evenepoel è un predestinato, seguito da un fan club accesissimo
Evenepoel è un predestinato, seguito da un fan club accesissimo
Ayuso dice anche che si impara più dai momenti duri che dalle vittorie.

Imparare a perdere tocca l’autostima, ma se lavori bene, ti aiuta a gestire l’ansia. Se invece il fallimento mi blocca, abbasso le aspettative. Mi preparo al peggio, così se viene qualcosa di buono, mi sembrerà una vittoria. Ma non sono parole per caso, credo che ci sia dietro un lavoro da mental coach.

L’influenza del mental coach per le tappe nel mirino

23.05.2022
5 min
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«Mi consulterò anche con il mio mental coach per capire le tappe che saranno più adatte a me». Parole che ci aveva detto Andrea Vendrame (nella foto di apertura) alla vigilia del Giro d’Italia in quel di Budapest. E di certo non potevano passare inosservate. Parole che abbiamo girato ad Elisabetta Borgia, psicologa dello sport della Federciclismo e della Trek-Segafredo.

A lei abbiamo chiesto un parere su questa affermazione. Per capire davvero come possa, eventualmente, incidere la sua figura professionale. Non è terreno dei diesse fare certe scelte? Un corridore non fa valutazioni in base principalmente alle sue caratteristiche e a quelle del percorso?

Nel caso di Vendrame, Andrea ha ottenuto tre top ten: una nella prima tappa, su un veloce arrivo in salita, e due in volate di gruppo. Eppure lui è un atleta che tiene molto bene anche su percorsi molto duri, come testimonia tra l’altro la sua vittoria a Bagno di Romagna lo scorso anno.

Elisabetta Borgia, mental coach della Fci e della Trek-Segafredo
Elisabetta Borgia, mental coach della Fci e della Trek-Segafredo

Obiettivi chiari

«Lo psicologo fa lo psicologo – spiega la Borgia – e a livello tecnico non dà valutazioni. Quello che può fare è aiutare a capire le caratteristiche preponderanti dell’atleta e agevolarlo in vista delle tappe a lui più favorevoli, ad affrontarle con una padronanza di se stesso diversa dalle altre.

«Sostanzialmente il mental coach gli dice di riuscire ad essere consapevole, perché poi gli aspetti da valutare sono tanti. La squadra ha interesse ad andare in fuga? Il corridore deve lavorare o può avere spazio per se stesso? Una volta individuati questi “parametri” ci si muove di conseguenza».

«Questo tipo di preparazione mentale, tra l’altro, non la fai dall’oggi al domani. Non improvvisi nulla. E’ un percorso che si porta avanti nel tempo e varia anche in base al soggetto con cui lavori. In un Giro d’Italia tu guardi magari ad una tappa. Ne studi l’altimetria e la planimetria. Studi dove puoi attaccare, dove puoi fare la differenza… devi lavorare sul tuo “dialogo interno”, per capire dove sei in quel momento e dove puoi arrivare».

Vendrame ha colto già tre top 10 in questo Giro. Il veneto saprà dare l’acuto anche quest’anno?
Vendrame ha colto già tre top 10 in questo Giro. Il veneto saprà dare l’acuto anche quest’anno?

Memoria sì, memoria no

Ad Elisabetta Borgia chiediamo quanto incide in percentuale una buona preparazione mentale. Ammesso che sia corretto parlarne in questi termini. Spesso, infatti, quando si è ben mentalizzati si riesce a fare più di quel che si può. Un esempio, se vogliamo, la dottoressa ce lo aveva in casa con Juan Pedro Lopez. Lo spagnolo, forse anche per merito della maglia rosa, ha ottenuto risultati che probabilmente non sarebbe riuscito a cogliere.

«Personalmente – continua la Borgia – non amo le percentuali quando si parla di aspetti mentali. Quelle vanno bene per i test fisici, ma non per quelli mentali che non sono quantificabili. E poi okay la testa, ma prima contano le gambe: non dimentichiamolo.

«Certamente serve un mood positivo da parte dell’atleta. Si dice che se si parte bene si può fare la differenza. E questo vale ancora di più in un grande Giro in cui serve un’attivazione mentale lunga e continua. I corridori in una corsa a tappe devono essere bravi a staccare al termine delle frazioni e a riattivarsi al via di quelle successive. E per questo è importante l’approccio individuale, ma serve anche quello della squadra». 

In questo caso le vittorie ad inizio Giro, la conquista di una maglia… aiutano a scaricare la pressione. E di conseguenza a creare un clima più disteso nel team.

«Quando le cose vanno bene, poi vanno sempre meglio. Si ha un senso di padronanza. Ieri sono andato bene; il giorno dopo riparto con una buona “memoria” rispetto al giorno precedente. Ieri sono andato male; il giorno dopo devo essere bravo a partire “senza memoria”, altrimenti ci si influenza negativamente. Devo vivere il presente perché solo lì posso modificare qualcosa. Il passato tanto ormai è andato e non ci puoi fare nulla. 

«Il modo di ragionare è: cosa posso fare per essere efficace?».

Chi rischiava di restare intrappolato nel “senso della tagliola” era Giulio Ciccone, che ieri a Cogne si è riscattato alla grande
Chi rischiava di restare intrappolato nel “senso della tagliola” era Giulio Ciccone, che ieri a Cogne si è riscattato alla grande

Senso della tagliola

Come Vendrame tutti i corridori cercano di raggiungere un obiettivo: che sia la classifica generale, una maglia o una tappa… ma la realtà è che il tempo stringe. Ormai resta una sola settimana e per chi non è riuscito a vincere la pressione aumenta. Si ha insomma il senso di “una tagliola” che sta per scattare.

«Io credo – dice la Borgia – che all’interno di un grande Giro, ma in generale quando si va alla ricerca di una prestazione, il momento più difficile anche dal punto di vista della pressione sia nel mezzo.

«Nel caso di un grande Giro nelle prime tappe hai aspettative sì, ma anche paura che si possa prendere un buco, che s’incappi in una caduta, che insomma si finisca fuori gioco subito. In quelle prime tappe vai a rompere il ghiaccio con la corsa e comunque hai ancora tanta energia dalla tua.

«Nelle ultime tappe “raschi il barile” e a quel punto pensi a dare il 100% di quel che ti è rimasto».

«Il difficile, appunto, sta nel mezzo, quando la stanchezza si fa sentire, manca un bel po’ e hai fatto tanta fatica. Lì devi essere bravo a capire quanta benzina hai in corpo e a focalizzarla su quella o quelle tappe in cui sai che puoi fare bene. Ti serve una strategia di attivazione specifica per quella tappa, devi concentrarti su quella».

«Si entra in modalità “recovery” (recupero, ndr) in cui “lasci” le altre tappe e punti tutto su una. Un corridore di classifica, chiaramente, non può fare così, ma gli altri sì. Devi avere al massimo possibile il tuo senso di autoefficacia».

Iserbyt psicologo 2022

La paura del grande evento: come gestirla per essere campioni

25.02.2022
5 min
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Che cosa succede nella mente di un atleta alle prese con un grande evento? La confessione di Eli Iserbyt, che ha ammesso di soffrire particolarmente le gare titolate, è una messa a nudo non comune fra i grandi sportivi, eppure abbiamo davanti agli occhi mille e mille casi di grandi atleti che, al momento decisivo, non riescono a cogliere quei risultati che si sono prefissi. Basta tornare alle scorse Olimpiadi, dove anche in casa italiana campioni che sembravano destinati al grande traguardo sono diventati la brutta copia di se stessi.

E’ un problema comune, tra i principali da affrontare nel mondo dello sport, non solo del ciclismo, e di non facile soluzione. Ne abbiamo voluto parlare con una psicologa specializzata in psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Manuella Crini, partendo dal caso di Iserbyt come “exemplum” per sviluppare una casistica molto vasta: «Dal suo racconto si evince come lo stato d’ansia in quei casi travolga tutto il resto. E’ come l’interrogazione al liceo che assume contorni talmente ampi emotivamente da farti dimenticare tutto quello che hai studiato. L’ansia mette in moto neurotrasmettitori che possono essere positivi ma anche negativi: quando ci troviamo di fronte a un ostacolo, il nostro corpo produce maggiore cortisolo che serve ad essere maggiormente reattivi, una maggiore quantità di sangue raggiunge la corteccia della promemoria per andare oltre i propri limiti, ma non sempre questo è un bene».

Crini 2022
La psicologa piemontese Manuella Crini ci aiuta nell’analisi del confronto con “il” grande evento
Crini 2022
La psicologa piemontese Manuella Crini ci aiuta nell’analisi del confronto con “il” grande evento
Perché?

L’ansia può trasformarsi in paura e la paura può avere come effetto quello di paralizzare le nostre funzioni. E’ un meccanismo animale, nel quale ci sentiamo prede. Questa paura influisce sulla prestazione fisica, ci impedisce di ottenere il massimo dal nostro corpo. Come si vince? Non è facile, ma bisogna riuscire a capire cos’è il meccanismo scatenante, spesso un trauma pregresso se parliamo di uno schema ripetitivo nel tempo. C’è poi un altro fattore inconscio che può influire.

Quale?

Se quel grande traguardo diventa il fine principale della nostra attività, posso anche lasciarlo all’orizzonte, prolungare il “viaggio” prima di arrivare alla meta e quindi perdere piuttosto che vincere per non chiudere quel capitolo, intimorito da quel che verrà dopo. Invece rimango in questa sorta di limbo, continuo a lavorare per arrivarci pensando alla prossima volta.

Iserbyt World Cup 2022
Eli Iserbyt ci ha confessato le sue difficoltà nelle gare con un titolo in palio
Iserbyt World Cup 2022
Eli Iserbyt ci ha confessato le sue difficoltà nelle gare con un titolo in palio
E’ anche vero che, come Iserbyt ci ha testimoniato, nella grande occasione si inizi a pensare troppo all’importanza dell’evento, alla responsabilità…

E’ assolutamente possibile. Noi siamo perfettamente in grado di agire sul nostro cervello e le sue dinamiche, possiamo produrre più o meno serotonina che serve a concentrarsi, così nel caso negativo finiamo per vanificare meno quel che dobbiamo fare per arrivare a quel famoso traguardo. Ci perdiamo. Sentiamo che quell’evento è senza appelli. Ci sentiamo addosso lo sguardo di tutti, pronti a giudicarci se raggiungeremo o meno il determinato risultato.

Quanto influisce l’esperienza, l’età dell’atleta?

Molto, perché per un ragazzo il peso è minore in quanto c’è meno vissuto dietro le spalle. Non c’è per così dire un excursus storico di fallimenti. Con l’andare avanti si ha sempre più il timore che quella sia l’ultima occasione e ancor più questo succede quando il traguardo non è molto ripetuto nel tempo, basti pensare all’Olimpiade che arriva ogni quattro anni. Ciò amplifica quella sensazione di situazione senza appello.

Mondiali strada 2021
Il mondiale per molti è un peso, ma c’è ogni anno, figurarsi l’Olimpiade, vero test senza appelli
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Il mondiale per molti è un peso, ma c’è ogni anno, figurarsi l’Olimpiade, vero test senza appelli
Quanto può servire in questi casi la presenza del mental coach?

Tantissimo, ma è un lavoro molto delicato. Bisogna mettersi in gioco, intraprendere un cammino che non sai dove ti potrà portare. Il mental coach ti aiuta ad affrontare la tua attività, a guardare a quell’evento in maniera positiva, ci si lavora sopra ma si possono anche aprire porte delicate. Il soggetto può ad esempio rimettere in discussione tutto il cammino svolto per arrivare a quel momento, perdere la motivazione, scoprire che lo sta facendo non per se stesso ma per gli altri, non per rispondere ai propri reali bisogni. Serve un percorso motivazionale che non si sa dove porterà. Oltretutto, si può arrivare a un punto nel quale la figura del mental coach deve cedere il passo a uno psicologo specializzato: se l’atleta si trova di fronte a questa crisi motivazionale che va al di là dell’evento e mette in discussione la propria attività, avrà bisogno di un supporto personalizzato diverso.

Il mental coach nelle squadre deve lavorare con più persone, questo non rischia in alcuni casi di essere limitante, di non poter dare all’atleta quel supporto di chi avrebbe bisogno?

Rientriamo nel discorso appena fatto. Il mental coach, più che sull’individuo, lavora sul personaggio, non è un terapeuta, ma nel corso delle sedute possono venir fuori aspetti che richiedono la figura di quest’ultimo. Il mental coach può anche trovarsi di fronte a un conflitto d’interessi: è chiamato a esaltare le prestazioni sportive dell’atleta che invece può tendere verso tutt’altra direzione e a quel punto l’etica impone di passare la mano.

Mental coach 2022
La figura del mental coach è ormai diffusa in tutti i team, ma quanto incide sulla prestazione?
Mental coach 2022
La figura del mental coach è ormai diffusa in tutti i team, ma quanto incide sulla prestazione?
Il grande evento può diventare un ostacolo anche in corso d’opera? Prendendo sempre Iserbyt come esempio, in fin dei conti pur essendo ancora molto giovane le sue gare titolate e le sue medaglie le ha vinte, soprattutto nelle categorie giovanili…

Sicuramente, può avvenire all’improvviso, nel corso del tempo può anche cambiare la percezione della propria prestazione. Quel che da giovane, nelle categorie avveniva quasi con facilità può diventare difficilissimo fra gli “adulti” e questo accresce l’insicurezza, ci si sente piccoli di fronte a qualcosa di troppo grande. Essere al top è molto stressante, la capacità di gestire questa condizione può fare una grande differenza.