Gambe, testa e squadra: indagine su Van Aert

17.04.2025
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Un campione, uno psicologo e un direttore sportivo al capezzale di Van Aert. Negare che ci sia un problema sarebbe miope, quello che possiamo fare è cercare di capirlo con il contributo di Maurizio Fondriest, Marina Romoli e Giuseppe Martinelli: ciascuno per il suo ambito.

Quarto al Fiandre e alla Roubaix, secondo nello sciagurato giorno di Waregem, il bottino è magro se sei partito per vincere. Van Aert ha lavorato tutto l’inverno per recuperare dalla caduta della Vuelta. C’è riuscito. E’ tornato nel cross. Ha partecipato a due corse a febbraio per dire di esserci. E poi è sparito in altura preparando le classiche del pavé che lentamente si sono trasformate per lui in ossessione. E gli esiti sono sotto gli occhi di tutti.

Vincere: necessità o condanna?

FONDRIEST: «Ha bisogno di vincere, anche una corsa minore. E’ entrato in un loop niente affatto bello. E’ capitato anche a me nel 1995. Secondo alla Tirreno, secondo alla Sanremo, secondo alla Gand-Wevelgem, secondo alla Freccia Vallone. Tutti mi chiedevano di fare come gli anni prima e io invece andavo alle corse e speravo che andasse via la fuga, in modo che non ci fosse più in ballo la vittoria. Van Aert ha bisogno di vincere per sbloccarsi, perché al Fiandre e alla Roubaix non è saltato e non ha perso il talento, solo non ha più lo smalto potente di prima».

ROMOLI: «Qualcuno dice che lo ha visto bloccarsi in gara. Potrebbe avere semplicemente dei pensieri intrusivi in testa. Sei in overthinking, continui a pensare e a ripensare e le tue energie mentali ti distruggono. “Devo vincere a tutti i costi, voglio zittire tutti”: questo ti mette ancora più in difficoltà. Sicuramente ha bisogno di vincere e speriamo per lui che ci riesca il prima possibile, perché più il tempo passa e più i pensieri negativi e svalutativi che ha nei confronti di se stesso si rafforzano. Sicuramente alimentati dalle critiche dei giornali e dei giornalisti che sono molto più pesanti se sei un corridore in Belgio e Olanda».

MARTINELLI: «Deve ritrovare la serenità e correre libero. Alla UAE Emirates hanno capito che lasciando fare a Pogacar quello che gli piace, va tutto meglio. Con questi campioni bisogna avere la forza di lasciarli liberi di fare e lui è uno così. Il giorno che hanno perso a Waregem, anche il più tonto dei direttori avrebbe saputo come mettere in mezzo Powless. Invece Van Aert si è imposto e a quel punto, a meno che il direttore non volesse fare la voce grossa perché la squadra doveva vincere a tutti i costi, hanno fatto bene ad assecondarlo. Voleva vincere, ne ha bisogno. Solo che si sono portati per 10 chilometri a ruota uno forte, non un pinco pallino qualunque. Poteva starci che perdessero e così è stato».

Van Aert non è tanto lontano da Van der Poel, ma si capisce che manchi ancora qualcosa
Van Aert non è tanto lontano da Van der Poel, ma si capisce che manchi ancora qualcosa

L’incubo Van der Poel

FONDRIEST: «Credo che per Wout la rivalità con Van der Poel sia un problema psicologico e non lo ha aiutato il fatto che mentre lui era in altura ad allenarsi, l’altro abbia vinto la Sanremo. Van der Poel ha vinto tre Roubaix, due Fiandre, due Sanremo e 7 campionati del mondo di ciclocross: chiaro che il confronto pesi. In più la stampa la pompa, lo mettono in mezzo e di certo sulla mente di un atleta questo ha un peso. Senza accorgerti, entri in un circolo vizioso. Lui ha bisogno di tornare a fare tante corse come prima, quelle giuste e prima o poi torna, perché Van Aert di certo non è finito. Per questo secondo me hanno fatto bene a dargli fiducia a Waregem, anche se poi è arrivato secondo. Volevano che vincesse, purtroppo gli è andata male».

ROMOLI: «Temo che possa avere l’autostima in pezzi. L’atto di egoismo che ha fatto a Waregem era dato dal fatto che Wout ha la grande paura di non tornare più quello che era prima. Specialmente perché negli ultimi anni è stato deludente per via dei tanti infortuni. Forse tutto questo ha radici profonde e anche i crampi per cui avrebbe perso quella volata potrebbero essergli venuti perché è andato in panico, quindi a livello nervoso. Voleva vincere a tutti i costi e magari non sopportava più tutte le aspettative, nel momento in cui il suo avversario di sempre vive un periodo di grazia. Se poi pensiamo che ora accanto a Van der Poel è arrivato anche Pogacar, è facile capire che la pressione sia aumentata ulteriormente».

MARTINELLI: «Partiamo dicendo che è un campione: non dico come Van der Poel e Pogacar, ma in questo momento non è molto lontano da loro. Però deve ritrovarsi e prendere un po’ di morale. Sarebbe facile dire che deve vincere una corsa, ma spesso le sbaglia con delle tattiche troppo esuberanti. Probabilmente la caduta della Vuelta l’ha condizionato anche nell’inverno. Forse quei due o tre cross che ha fatto hanno accelerato qualcosa? Perché se sbagli d’inverno, poi te lo porti dietro. E secondo me lui lì si è fatto prendere la mano dal vedere Van der Poel vincere tutti i cross. Avrà pensato di andare a vedere di persona se fosse così forte, ma a cosa gli è servito?».

L’inverno nel cross ha tolto a Van Aert il tempo per ricostruire la condizione su strada?
L’inverno nel cross ha tolto a Van Aert il tempo per ricostruire la condizione su strada?

Il ruolo della squadra

FONDRIEST: «Credo che la sua squadra, a differenza di quanto sta facendo Van der Poel, non abbia puntato sul miglioramento graduale. Lui ha fiducia nel progetto, ma se sei Van Aert non puoi andare al Tour a fare il gregario per Vingegaard, tirando quando rimanevano 15 corridori in salita. Aiutare un po’ va bene, ma il troppo è un errore. Tanto che poi arriva agli appuntamenti importanti e li fallisce. Ai mondiali del Belgio era il corridore più forte in circolazione, eppure quel giorno non andava avanti ed era arrivato secondo nella crono. Qualcosa hanno sbagliato nella gestione di gare e allenamenti? E quest’anno può essere accaduto lo stesso?».

ROMOLI: «Deve lavorare su se stesso e cercare le radici profonde di questa mancanza di autostima. E poi deve togliersi la pressione di dosso, tornare a essere uno della squadra. Deve lavorare proprio sul fatto di lasciar andare le cose come vanno. Dare il suo meglio e non guardare agli altri. Deve tenersi stretti i compagni. Dopo la volata sbagliata di Waregem ha chiesto scusa, gliene va dato merito, non so quanti altri sportivi di vertice lo avrebbero fatto. Ma ai compagni, che hanno sempre poche occasioni, sarà bastato? E poi deve tornare a divertirsi, come quando faceva i suoi attacchi anche sconsiderati. Al pari di Pogacar, che magari non vince sempre, ma lo vedi che si è divertito».

MARTINELLI: «Credo che in passato abbiano sbagliato a fare di lui un gregario, per me il campione deve correre da campione. E’ sempre stato così con quelli che ho avuto, da Pantani a Nibali, passando per Contador. Ho qualche dubbio invece su come si è preparato per il Nord. A meno che non abbiano quale strategia sul Giro, era meglio che corresse invece che fare 60 mila metri di dislivello sul Teide. Perché lì si fanno quei numeri, se ogni giorno per tre settimane devi risalire dal mare ai 2.200 metri dell’hotel. Quel tipo di lavoro ti condiziona l’allenamento e quando vai alle corse, ti mancano il ritmo e anche lo sprint. Sarà per questo che ha perso malamente quella volata? Solo che adesso non gli cambierei i piani, anche se una corsa a tappe prima del Giro, fosse anche il Turchia, gliela proporrei. Van Aert deve arrivare in Albania e vincere subito, perché sono tappe adatte a lui. Però deve arrivarci al 100 per cento. Non è Roglic che deve uscire alla fine. In più, arrivarci avendo vinto, sarebbe la cosa migliore».

Gli occhi di Marina, il genio di Tresca: arriva il Motivan

07.09.2023
5 min
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«I mondiali di Glasgow sono stati bellissimi – dice Marina Romoli – proprio perché hanno messo insieme atleti normodotati e paralimpici. Facevano tutti la stessa cosa, con pari dignità. E’ stato meraviglioso. Peccato che l’organizzazione sia mancata nei dettagli, ma era la prima volta e ci può stare. Di sicuro bisogna avere un occhio di riguardo in più per chi ha delle limitazioni, che siano atleti oppure ospiti. Mi piace dire che sulla mia sedia posso fare tutto, anche salire tre gradini. Solo che per farlo spesso devo chiedere aiuto a qualcuno, che mi sollevi. Sarebbe bello farlo senza chiedere a nessuno».

In visita al Giro d’Italia Donne assieme a Leonilde Tresca e Giulia De Maio. Nella foto anche Justine Mattera
In visita al Giro d’Italia Donne assieme a Leonilde Tresca e Giulia De Maio. Nella foto anche Justine Mattera

L’incontro con Tresca

La marchigiana ha parole chiare, come sempre. Da quando poi ha incontrato Leonilde Tresca (titolare di Tresca Trasformer che prepara i più bei pullman e i mezzi per aziende e squadre pro’) fra le due si è creata una chimica davvero speciale, un’amicizia non comune.

«Dice che la sua vita è cambiata quando mi ha conosciuto – dice Marina – e a volte questa cosa mi spaventa, insomma spero di avergliela cambiata in positivo. Diciamo che io sono quella calma che smussa i suoi lati più spumeggianti. Mentre è vero che lei è una di quelle persone che ha cambiato la mia vita, perché effettivamente ha ampliato i miei orizzonti. Mi ha dato coraggio, fa tante cose che effettivamente io pensavo fossero impossibili. Quando ti dice: “Io ci sono, vedrai che ce la facciamo”, io mi fido e mi butto. Insomma, abbiamo unito i nostri lati migliori e nel tempo sono nate cose nuove e positive non solo per noi, ma anche per gli altri. Che poi è l’obiettivo stesso del Motivan».

Altro che pullman: nella staffetta dell’ultimo giorno ai mondiali di Glasgow, per gli atleti solo un box e zero privacy
Altro che pullman: nella staffetta dell’ultimo giorno ai mondiali di Glasgow, per gli atleti solo un box e zero privacy

L’esperienza di Glasgow

Ne avevamo già parlato proprio con Leonilde, quando il progetto era in embrione. Partire da un camion e farne la casa per le persone disabili. Perché possano seguire un arrivo di tappa del Giro d’Italia, in cui le hospitality all’arrivo sono un inno alla barriera architettonica. O perché possano prepararsi per una competizione con tutti i comfort di cui ha bisogno un atleta. Ai recenti mondiali, appunto, le staffette di tutte le nazionali si cambiavano in gazebo senza la possibilità di tirare una tenda. Altro che i pullman delle squadre…

Un’idea che potrebbe aprire nuove strade?

Non è stato pensato solo per i grandi eventi, ma anche per prestarlo a titolo gratuito a squadre paralimpiche per ospitare gli atleti durante le loro manifestazioni. Spesso anche lì gli spazi non sono il massimo e non sono accessibili per le persone che hanno una disabilità. Specialmente per chi si deve spostare con una carrozzina su una strada che magari ha la pavimentazione poco regolare. A volte diventa un incubo. Se invece sai di andare a fare una manifestazione sportiva in cui hai tutti i comfort e puoi essere indipendente nei movimenti, è tutta un’altra cosa.

Nel 2021, Marina Romoli si è laureata in psicologia: Leonilde Tresca non poteva mancare
Nel 2021, Marina Romoli si è laureata in psicologia: Leonilde Tresca non poteva mancare
La stessa Leonilde parlava di proporlo al Giro d’Italia.

Lì c’è tutto, un’infrastruttura imponente. Però all’arrivo non c’è un’hospitality come alla partenza. Ci sono quei camion che poi si strutturano su più livelli, in cui danno da mangiare e ospitano le persone che vanno a vedere la gara. Solo che non sono per niente accessibili. E siccome sulle carrozzine siamo sempre molto bassi, vediamo le corse come i carcerati, tra i buchini delle transenne, che sono altissime. Negli arrivi in salita o quelli meno pericolosi, spesso mi concedono di guardare più da vicino, però è proprio un’eccezione.

Servirebbe uno spazio ad hoc?

Come nei concerti, ad esempio. Lì è tutto già predisposto, perché sei all’interno di una struttura fissa, però perché non farlo anche per altri eventi sportivi itineranti? Non sarebbe nemmeno una grossa spesa. Invece è come se il pensiero di fare qualcosa in questa direzione mancasse proprio. Quindi Leonilde, venendo in giro con me, si è resa conto che non è possibile e che bisogna fare qualcosa. Vivendo con un’amica nella quotidianità, si è resa conto che mancava qualcosa.

E’ il 2008, con Marina Foresi e Giada Borgato. Nel 2006, Marina era stata seconda al mondiale juniores
E’ il 2008, con Marina Foresi e Giada Borgato. Nel 2006, Marina era stata seconda al mondiale juniores
Si può cambiare qualcosa, secondo te?

Si può chiedere alle persone giuste. Quando il progetto si concretizzerà, ormai per l’anno prossimo, chiederemo udienza anche a RCS. Gli diremo che noi ci siamo e ben venga se sono interessati. Potrebbero pensare di fare un mezzo così anche loro, per il futuro sarebbe bello che tutti i loro mezzi diventassero accessibili. Che poi a volte lo sono anche, ma loro non ne hanno nemmeno idea.

Cioè?

Mi ricordo che una volta su un mezzo della RAI c’era un montacarichi, ma lo sapeva solo uno e gli altri erano all’oscuro. E’ una pedana che esce, si abbassa e si rialza. Tante volte hanno le cose predisposte, ma nessuno sa della loro esistenza. Poi magari lo usavano per portare su i monitor, senza considerare che potrebbe andare bene anche per le persone con disabilità. Il bello è che poi diventa una risorsa per tutti, lo vedo in qualunque posto io vada, anche al mare.

Il Motivan, costruito con il contributo della Comunità Europea, è in fase di realizzazione
Il Motivan, costruito con il contributo della Comunità Europea, è in fase di realizzazione
Cosa è successo al mare?

Abbiamo fatto mettere una passerella avvolgibile, fino all’entrata in acqua, così riesco ad andarci da sola. Tanti dicevano che fosse inutile, invece adesso ci passano tutti, grandi e bambini, quando la sabbia è rovente. E questo è l’emblema di un modo di pensare. E’ una cosa molto basic, in fondo: basterebbe ragionarci. Il Motivan sarà così, un mezzo inclusivo al 100 per cento.

Lusso e solidarietà, ma che grande il cuore della Tresca…

27.02.2023
7 min
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Leonilde Tresca è ricca di colori e sapori forti, come l’interno della trattoria di Bologna in cui ci incontriamo per pranzo. Il suo grande cuore ha progettato un altro mezzo da favola, che affiancherà i lussuosi bus delle squadre, ma sarà realizzato per atleti paralimpici e coloro che a causa di una disabilità non possono accedere allo spettacolo del ciclismo.

La svolta nella sua vita, da questo punto di vista, ci fu quando Luca Paolini si impuntò per farle conoscere Marina Romoli. Il Gerva la conosceva bene, Marina era la compagna di Matteo Pelucchi e quando era in Lombardia si allenavano spesso insieme. E proprio ad Airuno, in provincia di Lecco, avvenne l’incidente che costrinse l’atleta marchigiana sulla sedia a rotelle.

Dall’incontro con Marina, la vita di Leonilde è cambiata (le due sono insieme nella foto di apertura, il giorno della laurea di Marina in neuropsicologia). Il suo nome resta legato ai pullman che costruisce, custodisce e spesso affitta alle squadre che non vogliono o non possono comprarne uno (di recente la Cofidis), ma è sempre più associato a impegno civile e iniziative di solidarietà.

Nel nome del padre

La sede di Tresca Transformer si trova a Zola Predosa, alle porte di Bologna. La creò suo padre Tonino, una carriera da direttore sportivo di alto livello, più di vent’anni fa. La riconoscete facilmente dall’autostrada, viaggiando da Bologna verso Milano. Basta guardare sulla destra e individuare il grosso pullman nero con le scritte di bici.PRO: la nostra casa all’Italian Bike Festival.

«Qualche anno fa – racconta Leonilde – ho avuto l’onore, la gioia e la fortuna di conoscere Marina Romoli, in un evento benefico che organizzava con la sua Fondazione a Ottobiano per raccogliere i fondi per la ricerca e la cura della lesione spinale. Da lì inizia per me l’arricchimento del ciclismo. Ci siamo conosciute, ci siamo riconosciute e abbiamo iniziato a fare delle cose insieme per supportare la ricerca, che per fortuna sta andando molto bene».

Perché il ciclismo? Potresti rispondere che è lavoro, ma è impossibile non notare quanto ti appassioni anche stare nel mondo delle corse…

Del ciclismo mi piace innanzitutto il tifo, perché è bellissimo. Quasi nessuno sport può avere una platea a cielo aperto con migliaia di persone colorate che incitano dal primo all’ultimo corridore. Questa è una cosa bellissima di cui vado fiera. Vedo che da parte del pubblico c’è rispetto per l’atleta. Se una persona ha la fortuna di andare su una salita del Giro e del Tour, vede persone che stanno ad aspettare fino all’ultimo corridore e questa per me è una delle cose più belle.

I tifosi si lamentano spesso che i corridori sono sempre sul bus. Forse potresti farglieli meno lussuosi, così magari scenderebbero prima…

Se glieli facessi scomodi (ride, ndr), non mi pagherebbero. Il pullman è un riferimento molto importante per il tifoso e anche per i giornalisti, perché alla partenza è il luogo in cui puoi vedere il corridore da vicino e parlarci. Come avere un accesso continuo al backstage dello spettacolo. Purtroppo questi tre anni di Covid hanno creato un distacco troppo grande tra il pubblico e l’atleta, i bus sono stati relegati ad un’area non accessibile. Io spero vivamente che adesso, tornati a una discreta normalità, il bus torni l’anello di congiunzione tra il ciclista e il tifoso. Insomma, riavviciniamo la gente ai corridori.

Ti vediamo spesso alle corse, quanto tempo passi in azienda tutti i giorni?

Tanto! A volte, scherzando, i manager delle squadre dicono che sono sempre in vacanza, in realtà sono una che fa tante cose. In azienda ci passo quasi tutta la mia vita e anche quando sono fuori, sono in costante contatto con il mio lavoro. Il telefono è sempre acceso, devo essere sempre sintonizzata su quello che succede. Diciamo che il lavoro è quasi tutta la mia vita, ma cerco di infilarci le cose che mi piacciono.

Ricevi in continuazione messaggi da team manager, autisti, meccanici. Quanti amici hai nel ciclismo?

Tanti, ciascuno a modo suo. I messaggi di Vinokourov sono bellissimi, perché mischia il francese e l’italiano in modo pazzesco. Sono in ottimi rapporti con tutti, ma con l’Astana c’è sempre stato un rapporto speciale, anche se un certo periodo, il più romantico, se ne è andato. Prima con Scarponi, ora la morte di Inselvini si è portata via forse l’ultimo aggancio a quegli anni…

Con Scarponi e Nibali, in uno dei momenti di allegria alle corse al seguito dell’Astana (foto Instagram)
Con Scarponi e Nibali, in uno dei momenti di allegria alle corse al seguito dell’Astana (foto Instagram)
In che modo aver conosciuto Marina Romoli ti ha fatto cambiare le priorità? 

Gli atleti paralimpici sono un vanto per lo sport italiano, ma nei loro confronti non c’è tanta attenzione da parte dello sport professionistico. Com’era stato prima con il ciclismo femminile. A me piacerebbe spiegare che anche le persone comuni che abbiano una disabilità possono praticare uno sport. Le associazioni sportive si stanno attrezzando, stanno nascendo occasioni di turismo sportivo. Viaggiando con Marina, ho trovato spesso difficoltà nel fare delle attività. Sembra delle volte che una persona con disabilità possa avere accesso a un bagno piuttosto che a un locale e lì ci si ferma. Invece la persona con disabilità può fare sport, può gareggiare, può vincere e può divertirsi. Mi piacerebbe far passare il messaggio che lo sport e educativo anche per le persone diversamente abili.

E allora parliamo di questo nuovo progetto: il Motivan. Che cos’è?

Un mezzo che vada incontro a queste persone. Un veicolo, un’hospitality, che farà le veci del classico bus delle squadre di ciclismo. Ho sempre pensato in questi anni che effettivamente c’era bisogno di adattare un veicolo per le esigenze degli atleti diversamente abili, in cui abbiano lo spazio per cambiarsi e tutte le facilitazioni necessarie. Poi, girando con Marina, mi sono resa conto che alle gare professionistiche e nei vari eventi non è mai prevista un’area priva di barriere architettoniche, un luogo dove stare comodi e socializzare. Allora ho avuto l’idea di trasformare uno dei veicoli che ho già progettato per aziende anche importanti e di farne un punto di appoggio per persone disabili.

Ci sarà un orgoglio particolare nel mettere in strada il Motivan?

Sarà il succo del mio lavoro che in questi anni per fortuna mi ha portato abbastanza in alto. In vent’anni sono riuscita a consegnare veicoli a quasi tutti i top team del mondo e a lavorare con grosse aziende.

Perché Motivan?

Significa “Mobility Motivation Van”. E’ qualcosa che sento molto, la realizzazione di un percorso molto lungo. Sarà l’orgoglio della mia carriera, il culmine di un iter che ho compiuto a livello professionale e tecnico. La ciliegina sulla torta per chiudere questo mio percorso.

Viviani_Oro_omnium_rio2016

L’idea di Viviani: tornerò in pista

30.09.2020
3 min
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Elia Viviani alla pista ci pensa, eccome. Le analisi di Roberto Damiani e Marco Villa le ha già condivise in pieno. Per questo il suo programma di qui ai Giochi di Tokyo ritroverà quei lavori in pista che gli permetteranno di ridiventare brillante come dopo Rio 2016. Fra questi, tutti quelli necessari per giocarsi la presenza nel quartetto e poi cercare la conferma nel “suo” omnium.

Le parole di Villa del resto sono state più che esplicite: alle Olimpiadi ci saranno cinque pistard azzurri. Due faranno il madison, uno l’omnium, quattro il quartetto. In quest’ultimo, comanderà il cronometro.

viviani_tricolore_2018
Campionati italiani strada 2018, batte in volata Pozzovivo ed è tricolore
viviani_tricolore_2018
Campionati italiani strada 2018, batte in volata Pozzovivo ed è tricolore
E Viviani al quartetto ci pensa?

Certo che ce l’ho in testa. Ma il livello attuale è troppo alto perché io possa pensare di salire in pista e andare. Dovrò fare parte della preparazione del gruppo azzurro e a quel punto anche io potrò dare il mio contributo.

La concorrenza è nutrita.

C’è un bel gruppo e Marco (Villa, ndr) dovrà fare delle scelte. Ma io non posso pretendere di conquistarmi il posto iniziando a lavorare in pista un mese prima di Tokyo. Dovrò riprendere prima i lavori abbandonati perché dopo Rio ho puntato soltanto sulla strada. Dobbiamo usare bene quei cinque uomini.

Omnium e inseguimento a squadre possono convivere?

Si possono fare bene entrambi, mettendo però in pausa la strada.

Che cosa intendi?

Che già quest’inverno dovrò cominciare a fare la base per le partenze da fermo e tutti i lavori specifici necessari. Se poi nel 2021 farò il Tour, dovrò fermarmi su strada e andare in pista dopo le classiche. Se farò il Giro, avrò tutto il periodo successivo.

Quale delle due soluzioni converrebbe?

Ci sono pro e contro per entrambe. Se faccio il Giro, ho una grande base su cui fare il lavoro specifico. Se faccio il Tour, avendo svolto prima la preparazione specifica, arrivo a Tokyo al top di forma.

Villa dice che il miglior Viviani si vede dopo una grande corsa a tappe e vita ad esempio il tricolore vinto su Pozzovivo e Visconti dopo ave fatto il Giro.

Ha ragione lui. In un calendario normale, con il Giro di maggio, avrei potuto vincere anche il tricolore di Cittadella conquistato invece da Nizzolo.

Villa dice anche che in volata ti manca la punta di velocità della pista.

Ha ragione anche questa volta. Dovrò riprendere l’abitudine a certi sforzi e certi lavori. Con il passare degli anni dovrò incrementare il lavoro in pista per tenere le gambe più giovani. Come Cavendish nel 2016, che aveva ripreso ad andare in pista e tornò a vincere quattro tappe al Tour.

Cosa non ha funzionato al Tour?

Potrei dire che mancava il treno, ma la realtà è che a Parigi mi sono ritrovato nel posto giusto al momento giusto, eppure non ho avuto le gambe per venire fuori. Manca quello spunto di cui parla Villa. La squadra mi è vicina e sarebbe anche sciocco che non lo fosse, avendo un progetto di più anni. Le vittorie servono a tutti, non solo a me.

La Cofidis è d’accordo che tu a un certo punto molli la strada per la pista?

Era stato concordato al momento della firma del contratto, nessun problema.

Prima di vincere la crono di Imola, Ganna ti ha chiamato dieci volte come fa di solito?

Ci siamo sentiti il giorno prima. Gli ho dato il consiglio che funzionò con me a Rio. Gli ho detto: «Hai fatto tutto quello che dovevi, la crono vinta alla Tirreno ti ha confermato che la condizione è arrivata. Concentrati sulla tua prestazione e non pensare agli altri!». Poi gli ho mandato un messaggio il giorno stesso, ma non lo ha letto…

Il ragazzo si è fatto grande?

Un paio di giorni dopo la crono ero al telefono con lui e mi sono reso conto che non stavo parlando con il ragazzino della pista, con cui si facevano sempre battute. Stavo parlando con il campione del mondo. Il ragazzino è cresciuto. Fra un po’ dovremo cominciare a dargli del Lei…

Longo Borghini, Van Vleuten, Imola2020

Romoli: grand’Italia è merito di Giorgia

27.09.2020
4 min
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L’occhio di Marina Romoli non sta mai fermo. Scruta il correre del gruppo ai mondiali di Imola. Si guarda intorno. Fa domande. Una in particolare la attanaglia.

«Perché nessun giornalista ha chiesto a Elisa come mai non abbia seguito Van der Breggen quando ha attaccato? Ha avuto paura di un fuorigiri che avrebbe pagato nel giro successivo? Lei è stata l’unica che in cima, quando un po’ spianava, ha avuto la forza di mettere un rapporto lungo…».

La risposta arriverà a breve tramite il telefono. Elisa Longo Borghini le spiegherà di non aver avuto gambe e di aver visto andar via l’olandese, attaccandosi poi alla Van Vleuten, inspiegabilmente attiva nella scia della compagna.

Marina Romoli, Giulia De Maio, Samuele Manfredi
Marina Romoli, Giulia De Maio e Samuele Manfredi
Marina Romoli, Giulia De Maio, Samuele Manfredi
Marina Romoli, la giornalista Giulia De Maio e Samuele Manfredi

Marina Romoli, classe 1988, è stata un’alteta di punta del movimento italiano. Nel 2006 è stata argento ai mondiali juniores, ma il 3 giugno del 2010 la sua vita cambiò drammaticamente. SI stava allenando vicino Airuno con il suo ragazzo Matteo Pelucchi, quando la piccola Chevrolet guidata da una signora ha svoltato verso sinistra, tagliandole la strada. Da allora e dopo traversie mediche di ogni tipo, Marina guarda il mondo da una sedia a rotelle, ma da campionessa qual è sempre stata, si sta laureando in psicologia.

Sei stata azzurra, che sensazione hai tratto vedendole correre?

E’ chiaro da sempre che in ogni gara di campionato, le ragazze sono tutte per una e una per tutte. E’ così da quando c’è Salvoldi. Una ruota che gira e che ha sempre pagato in termini di medaglie. Sacrificio. Unità. Lavoro di gruppo. Se non arriva la vittoria, di certo c’è una medaglia.

Un bronzo che vale quello di Longo Borghini?

Molto, perché c’erano atlete più quotate di lei. Parlo della Deignan, fortissima al Giro d’Italia, o di Niewiadoma. Ma la squadra ha lavorato bene. Van der Breggen è stata stellare. Mentre dietro scattavano, lei non perdeva. E quando sono arrivate in volata, sapevamo che Elisa avrebbe patito. Ma grazie al lavoro delle azzurre sono arrivate in due e per me fra bronzo e argento non c’era grossa differenza.

Lizzie Deignan
Lizzie Deignan, vincitrice della Liegi-Bastogne-Liegi
Lizzie Deignan
Lizzie Deignan, vincitrice della Liegi-Bastogne-Liegi
La sensazione è che il bel gruppo sia nato quando hanno smesso alcune senatrici.

C’era una sorta di chiusura, come fra gli uomini. C’era la convinzione che le giovani dovessero solo aspettare. Oggi è cambiato e ad esempio la Guderzo, che in altri tempi avrebbe potuto comportarsi diversamente, non si è mai fatta indietro per aiutare le ragazze.

Di chi è il merito secondo Marina Romoli?

Secondo me di Giorgia Bronzini. Da fuori si immaginavano chissà quali tensioni, ma il merito di Giorgia è stato aver dato a ciascuna il suo spazio in base alla condizione. Fra lei e Marta Bastianelli raramente ci sono state incomprensioni. Giorgia è stata l’atleta più carismatica degli ultimi anni e una come lei adesso manca. Elisa è calma e forte, ma non ha quell’appeal.

A Imola si sono mosse bene anche le giovani.

Ragusa è stata instancabile e anche Cavalli ha tentato il tutto per tutto. Brave davvero.

Come si inserisce in questa orchestra Letizia Paternoster?

Lei deve ancora maturare in certe corse più lunghe e dure. In pista invece è fortissima, tanto che se fossi Salvoldi, con lei mi giocherei il tutto per tutto a Tokyo, perché non le manca proprio nulla. Su strada c’è da fare, ma c’è anche tanto tempo davanti.

Avere un tecnico come Giorgia Bronzini la aiuterà?

Sicuramente sì e so che hanno accanto anche Elisabetta Borgia, una collega psicologa, che la aiuta a gestire l’aspetto mentale.

Longo Borghini si è ribellata alla risposta di Van der Breggen sul fatto che le ragazze olandesi sarebbero più libere di fare sport rispetto ad altre. Quale il Romoli pensiero?

Ma non è una cosa sbagliata, la differenza c’è. In Italia non ci sono tante squadre fra cui scegliere. Elisa corre nella Trek-Segafredo ed ha alle spalle un corpo militare.

Le cose cambiano?

Se non hai questo tipo di legame, che ti assicura uno stipendio dopo e una buona assicurazione, non sei protetta. Il ciclismo da noi sta cambiando moltissimo, ma in Olanda è più strutturato e meno misogino. Le ragazze lassù hanno quasi la stessa visibilità dei maschi. Per cui capisco la risposta di Elisa, ma non tutte in Italia sono messe così bene.