Lusso e solidarietà, ma che grande il cuore della Tresca…

27.02.2023
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Leonilde Tresca è ricca di colori e sapori forti, come l’interno della trattoria di Bologna in cui ci incontriamo per pranzo. Il suo grande cuore ha progettato un altro mezzo da favola, che affiancherà i lussuosi bus delle squadre, ma sarà realizzato per atleti paralimpici e coloro che a causa di una disabilità non possono accedere allo spettacolo del ciclismo.

La svolta nella sua vita, da questo punto di vista, ci fu quando Luca Paolini si impuntò per farle conoscere Marina Romoli. Il Gerva la conosceva bene, Marina era la compagna di Matteo Pelucchi e quando era in Lombardia si allenavano spesso insieme. E proprio ad Airuno, in provincia di Lecco, avvenne l’incidente che costrinse l’atleta marchigiana sulla sedia a rotelle.

Dall’incontro con Marina, la vita di Leonilde è cambiata (le due sono insieme nella foto di apertura, il giorno della laurea di Marina in neuropsicologia). Il suo nome resta legato ai pullman che costruisce, custodisce e spesso affitta alle squadre che non vogliono o non possono comprarne uno (di recente la Cofidis), ma è sempre più associato a impegno civile e iniziative di solidarietà.

Nel nome del padre

La sede di Tresca Transformer si trova a Zola Predosa, alle porte di Bologna. La creò suo padre Tonino, una carriera da direttore sportivo di alto livello, più di vent’anni fa. La riconoscete facilmente dall’autostrada, viaggiando da Bologna verso Milano. Basta guardare sulla destra e individuare il grosso pullman nero con le scritte di bici.PRO: la nostra casa all’Italian Bike Festival.

«Qualche anno fa – racconta Leonilde – ho avuto l’onore, la gioia e la fortuna di conoscere Marina Romoli, in un evento benefico che organizzava con la sua Fondazione a Ottobiano per raccogliere i fondi per la ricerca e la cura della lesione spinale. Da lì inizia per me l’arricchimento del ciclismo. Ci siamo conosciute, ci siamo riconosciute e abbiamo iniziato a fare delle cose insieme per supportare la ricerca, che per fortuna sta andando molto bene».

Perché il ciclismo? Potresti rispondere che è lavoro, ma è impossibile non notare quanto ti appassioni anche stare nel mondo delle corse…

Del ciclismo mi piace innanzitutto il tifo, perché è bellissimo. Quasi nessuno sport può avere una platea a cielo aperto con migliaia di persone colorate che incitano dal primo all’ultimo corridore. Questa è una cosa bellissima di cui vado fiera. Vedo che da parte del pubblico c’è rispetto per l’atleta. Se una persona ha la fortuna di andare su una salita del Giro e del Tour, vede persone che stanno ad aspettare fino all’ultimo corridore e questa per me è una delle cose più belle.

I tifosi si lamentano spesso che i corridori sono sempre sul bus. Forse potresti farglieli meno lussuosi, così magari scenderebbero prima…

Se glieli facessi scomodi (ride, ndr), non mi pagherebbero. Il pullman è un riferimento molto importante per il tifoso e anche per i giornalisti, perché alla partenza è il luogo in cui puoi vedere il corridore da vicino e parlarci. Come avere un accesso continuo al backstage dello spettacolo. Purtroppo questi tre anni di Covid hanno creato un distacco troppo grande tra il pubblico e l’atleta, i bus sono stati relegati ad un’area non accessibile. Io spero vivamente che adesso, tornati a una discreta normalità, il bus torni l’anello di congiunzione tra il ciclista e il tifoso. Insomma, riavviciniamo la gente ai corridori.

Ti vediamo spesso alle corse, quanto tempo passi in azienda tutti i giorni?

Tanto! A volte, scherzando, i manager delle squadre dicono che sono sempre in vacanza, in realtà sono una che fa tante cose. In azienda ci passo quasi tutta la mia vita e anche quando sono fuori, sono in costante contatto con il mio lavoro. Il telefono è sempre acceso, devo essere sempre sintonizzata su quello che succede. Diciamo che il lavoro è quasi tutta la mia vita, ma cerco di infilarci le cose che mi piacciono.

Ricevi in continuazione messaggi da team manager, autisti, meccanici. Quanti amici hai nel ciclismo?

Tanti, ciascuno a modo suo. I messaggi di Vinokourov sono bellissimi, perché mischia il francese e l’italiano in modo pazzesco. Sono in ottimi rapporti con tutti, ma con l’Astana c’è sempre stato un rapporto speciale, anche se un certo periodo, il più romantico, se ne è andato. Prima con Scarponi, ora la morte di Inselvini si è portata via forse l’ultimo aggancio a quegli anni…

Con Scarponi e Nibali, in uno dei momenti di allegria alle corse al seguito dell’Astana (foto Instagram)
Con Scarponi e Nibali, in uno dei momenti di allegria alle corse al seguito dell’Astana (foto Instagram)
In che modo aver conosciuto Marina Romoli ti ha fatto cambiare le priorità? 

Gli atleti paralimpici sono un vanto per lo sport italiano, ma nei loro confronti non c’è tanta attenzione da parte dello sport professionistico. Com’era stato prima con il ciclismo femminile. A me piacerebbe spiegare che anche le persone comuni che abbiano una disabilità possono praticare uno sport. Le associazioni sportive si stanno attrezzando, stanno nascendo occasioni di turismo sportivo. Viaggiando con Marina, ho trovato spesso difficoltà nel fare delle attività. Sembra delle volte che una persona con disabilità possa avere accesso a un bagno piuttosto che a un locale e lì ci si ferma. Invece la persona con disabilità può fare sport, può gareggiare, può vincere e può divertirsi. Mi piacerebbe far passare il messaggio che lo sport e educativo anche per le persone diversamente abili.

E allora parliamo di questo nuovo progetto: il Motivan. Che cos’è?

Un mezzo che vada incontro a queste persone. Un veicolo, un’hospitality, che farà le veci del classico bus delle squadre di ciclismo. Ho sempre pensato in questi anni che effettivamente c’era bisogno di adattare un veicolo per le esigenze degli atleti diversamente abili, in cui abbiano lo spazio per cambiarsi e tutte le facilitazioni necessarie. Poi, girando con Marina, mi sono resa conto che alle gare professionistiche e nei vari eventi non è mai prevista un’area priva di barriere architettoniche, un luogo dove stare comodi e socializzare. Allora ho avuto l’idea di trasformare uno dei veicoli che ho già progettato per aziende anche importanti e di farne un punto di appoggio per persone disabili.

Ci sarà un orgoglio particolare nel mettere in strada il Motivan?

Sarà il succo del mio lavoro che in questi anni per fortuna mi ha portato abbastanza in alto. In vent’anni sono riuscita a consegnare veicoli a quasi tutti i top team del mondo e a lavorare con grosse aziende.

Perché Motivan?

Significa “Mobility Motivation Van”. E’ qualcosa che sento molto, la realizzazione di un percorso molto lungo. Sarà l’orgoglio della mia carriera, il culmine di un iter che ho compiuto a livello professionale e tecnico. La ciliegina sulla torta per chiudere questo mio percorso.