Tour de France 2025, Parigi, Jonathan Milan, GEraint Thomas

Guercilena: per essere sicuri, bisogna (anche) saper frenare

20.11.2025
6 min
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Qualunque sia l’argomento, dopo un po’ che ne parli con Guercilena ti accorgi che il suo approccio è sempre molto razionale. Analisi, sintesi, conclusione. E laddove l’ultima non sia possibile, viene sostituita da un’ipotesi o una domanda. Così è anche sul tema della sicurezza, dopo che la sua squadra femminile è stata squalificata per i GPS del Romandia, dopo che l’UCI ha proposto una serie di misure più posticce che incisive e la limitazione dei rapporti, subito vietata dal garante belga.

Nel frattempo le medie si alzano e non si capisce se e come sia possibile limitare le velocità del gruppo. Non si capisce nemmeno se sia necessario intervenire sulle bici, sulle strade o cos’altro. Probabilmente perché nessuno ha ancora fatto un’analisi completa e seria.

«Io sono convinto – dice il team manager della Lidl-Trek – che il discorso sicurezza debba passare attraverso dei materiali sicuri. Il miglioramento della velocità è insito nella tecnologia della performance. Per cui se anche si decidesse di limitare un materiale, la ricerca e lo sviluppo andrebbero comunque a svilupparne un altro più veloce. Si decide di imporre cerchi da 35? L’ingegneria porterà i cerchi da 35 a essere aerodinamici e con un momento di inerzia pari a quelli da 90, per cui certe limitazioni non saranno mai soluzioni durature».

Tour de France 2025, Luca Guercilena
Luca Guercilena è il general manager della Lidl-Trek. Negli anni è stato anche preparatore e direttore sportivo
Luca Guercilena è il general manager della Lidl-Trek. Negli anni è stato anche preparatore e direttore sportivo
Il problema è che le performance migliorano, mentre le strade peggiorano…

Il discorso è esattamente questo. Uno dei punti da affrontare è l’attenzione alle protezioni sulle strade. Aiuterebbe un sacco se ci fosse un sistema efficace, che chiaramente sarebbe anche costoso, per proteggere determinati punti in modo migliore. E poi viene l’aspetto dei materiali, che però va studiato e pensato in modo scientifico. Servono dei regolamenti che garantiscano maggiore sicurezza e il modo giusto di applicarli. Ma secondo me non è tutto vincolato alla velocità.

Cos’altro c’è?

Una questione di approccio culturale. Bisogna mettersi nell’ordine di idee che a un certo punto si può anche frenare. Secondo me uno degli snodi è che la correttezza tra atleti è venuta un po’ meno, perché l’età media del gruppo continua a scendere. Di conseguenza la spavalderia dei 18 anni contrasta con la maturità degli atleti più grandi, che hanno un altro raziocinio nell’individuare il momento in cui è meglio frenare piuttosto che ammazzarsi.

Vuoi dirci che è possibile dire a un corridore di correre un po’ meno forte?

Parlo dei miei. Da un po’ abbiamo iniziato a dirgli: «Ragazzi, il rischio deve essere controllato. Nel senso che tra avervi fuori per tre mesi e fare secondo, fate secondo!». L’investimento che faccio su Ayuso, Ciccone, Milan, Skjelmose o Pedersen non è banale. Certo, per l’amor di Dio, se devi rischiare per la volata che vale la vittoria, allora rischia. Però se devi cadere nella curva a 70 chilometri dall’arrivo e stai fuori un mese, allora no. Devono frenare, perché il valore dell’atleta è talmente elevato che la sommatoria la fai a fine stagione, non sulla singola gara. Se devi vincere il Fiandre è una cosa, però non dirò mai a un corridore di rischiare l’osso del collo ai meno 20 dall’arrivo perché dobbiamo posizionarci bene in volata al Tour du Poitou-Charentes. Siamo tutti consapevoli che le cadute fanno male e secondo me la discussione dovrebbe essere molto più scientifica e analizzata in dettaglio.

Correre rischi va bene solo se serve per arrivare a vincere, dice Guercilena, altrimenti è meglio tirare i freni
Correre rischi va bene solo se serve per arrivare a vincere, dice Guercilena, altrimenti è meglio tirare i freni
Hai parlato della baldanza dei corridori di 18 anni…

Per le leggi del mercato l’età media del gruppo sta diminuendo. Mi ci metto anch’io, non voglio fare il buono e dire che gli altri sono cattivi. Facciamo passare gente che da un inverno all’altro passa dai 90 chilometri delle gare juniores ai 290 della Sanremo. E’ inevitabile che i rischi aumentino. Anche solo dal punto di vista fisiologico, la lucidità che può avere un ragazzino di 18 anni dopo 290 chilometri rispetto a quella di un professionista navigato, che ha già fatto esperienze graduali per arrivare a quel punto, è completamente diversa e quindi il rischio aumenta.

Secondo te il gruppo WorldTour sarebbe disponibile a una frenata sui passaggi così precoci?

Penso di no, per cui a livello teorico è molto bello, ma a livello pratico forse si fa davvero prima a mettere mani sui materiali e sulle biciclette. Però è chiaro che andremmo a scegliere la soluzione più facile pensando che sia la migliore. Secondo me invece un’analisi ha senso se la faccio in modo scientifico. Se applico dei criteri che abbiano un senso. Allora di fronte alla prova provata dei numeri, nessuno può fare delle contestazioni. Il problema invece è che ci basiamo sulle opinioni e continuiamo a non uscirne.

Come si fa un’analisi credibile?

Serve un gruppo di lavoro che analizzi le leggi del lavoro, coinvolgendo l’associazione corridori, i procuratori e i gruppi sportivi. Serve anche fare delle analisi a lungo termine, coinvolgendo degli esperti. Bisogna che nelle commissioni ci sia gente del nostro ambiente, ma l’analisi oggettiva e la soluzione devono provenire da persone con la capacità professionale e l’esperienza adeguata a risolvere il problema.

Se i corridori vanno a contatto di gomito, dice Guercilena, la caduta ne tira giù tanti, come quando cade un aereo
Se i corridori vanno a contatto di gomito, dice Guercilena, la caduta ne tira giù tanti, come quando cade un aereo
Si dovrebbe partire da un’analisi più seria?

Abbiamo un’analisi analitica di un aumento sconsiderato delle cadute rispetto agli anni 70? Stiamo parlando del danno della singola caduta o stiamo parlando realmente del volume di corridori caduti e dell’entità dei danni? Non esistono statistiche longitudinali. Non siamo in grado di dire se si cada di più o di meno nei primi 100 chilometri piuttosto che negli ultimi 20. Suppongo che nei primi 100 chilometri cadi per distrazione, mentre negli ultimi 5 per il rischio in volata. Ma anche questa è un’opinione e con le opinioni non si trovano le soluzioni. L’opinione deve essere il punto di partenza, poi bisogna fare un’analisi reale e scientifica e affidare agli esperti l’incarico di trovare le risposte.

Avete raccolto dati statistici?

Negli ultimi 2-3 anni con i dottori abbiamo iniziato a farlo. In realtà il numero di fratture non è aumentato e non è vero che si cada di più. E’ diverso invece il numero di corridori coinvolti nella stessa caduta. Come quando cade un aereo rispetto agli incidenti stradali. I corridori sono tutti più freschi, sono tutti più allenati, il gruppo è compattissimo e, se si cade, si cade tutti insieme.

Hai parlato di opinioni come punto di partenza. Tu cosa faresti?

Investiamo in tecnologia per trovare un airbag nel casco o nella maglia che, se ti schianti, ti salva la testa e la colonna vertebrale. Investirei tonnellate di soldi su sistemi di airbag uguali per tutti, che ti proteggano nella caduta evitando l’infortunio. Perché le cadute ci saranno sempre, fanno parte del nostro sport.

La sicurezza secondo Guercilena passa per la tutela del corridore e poi la messa in sicurezza più seria delle strade
La sicurezza secondo Guercilena passa per la tutela del corridore e poi la messa in sicurezza più seria delle strade
Come gli incidenti facevano parte della Formula Uno…

Però loro prima hanno trovato la tuta ignifuga, poi il casco. Poi sono intervenuti sui guardrail e a quel punto, anche se hanno limitato i motori, le velocità sono salite nuovamente. Il ciclismo è diverso, non si corre in un circuito con le vie di fuga e le protezioni, però secondo me il concetto di partenza deve essere individuare cosa davvero ti metta in sicurezza e poi andare a cascata su tutto il resto. Al centro dell’attenzione devono esserci il corridore e poi la struttura della strada.

Oppure si fa come dice Pidcock e si impedisce di fare il pieno di carboidrati…

L’ha detto come battuta, ma a livello teorico ha ragione. Limito l’apporto energetico e alla fine vince quello che ha più capacità di gestirsi. Se invece tutti hanno la possibilità di mettere 120 grammi di carboidrati, alla fine tutto il gruppo è in forze, perché ormai la nutrizione va in quella direzione. Ma cosa facciamo, limitiamo tutti gli aspetti nutrizionali che provano ad influire sulla vita normale? Sarebbe un lavoro controproducente e soprattutto anacronistico, perché lo sviluppo va in quella direzione. E secondo me lo sviluppo, qualunque sia l’ambito, va salvaguardato.

Olimpiadi di Rio 2016, cronometro individuale maschile, Fabian Cancellara conquista l'oro

Cancellara e l’oro di Rio: sfida contro il tempo e contro se stesso

17.10.2025
8 min
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Le cronometro possono diventare una prigione? Le parole di Michael Rogers e poi quelle di Pinotti hanno aperto uno squarcio interessante. Grandi campioni a lungo dominatori, costretti ad aumentare un lavoro già asfissiante per l’arrivo di nuovi avversari. Abbiamo pensato a Ganna, costretto da Evenepoel a cercare forza e ispirazione nei dettagli più estremi. Ma abbiamo pensato anche a Cancellara, protagonista 10 anni fa di un finale che pochi sarebbero stati in grado di pronosticare.

Due volte iridato a crono da junior. Poi un filotto impressionante dal 2006 al 2010. Salisburgo 2006, campione del mondo. Stoccarda 2007, campione del mondo. Pechino 2008, campione olimpico. Mendrisio 2009, campione del mondo. Melbourne 2010, campione del mondo. Poi iniziò l’inversione di tendenza. Bronzo nel 2011 e nel 2013, in entrambi i casi dietro Tony Martin e Bradley Wiggins. Nel mezzo, nel 2012, il deludente settimo posto alle Olimpiadi di Londra, staccato di 2’14” dallo stesso britannico, vincitore in quell’anno del Tour.

E quando si pensava ormai alla fine della storia, ecco il colpo di scena con l’oro nella crono alle Olimpiadi di Rio 2016: ultima gara della carriera. Un ritorno su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo. Nessuno, tranne Luca Guercilena, che aveva già allenato Michael Rogers e in quel fantastico viaggio del 2016 accompagnò Cancellara giorno dopo giorno.

Guercilena incontrò per la prima volta Cancellara nella Mapei Giovani e lo ha poi ritrovato nel 2011 a partire dalla Leopard-Trek
Guercilena incontrò per la prima volta Cancellara nella Mapei Giovani e lo ha poi ritrovato nel 2011 a partire dalla Leopard-Trek
Si può dire davvero che dopo un po’ la crono ti svuota?

La differenza sostanziale è tra preparare la cronometro all’interno di una gara a tappe, rispetto a quelle di un solo giorno come il mondiale, in cui il volume di lavoro specifico che devi fare è altissimo e devi prepararle facendo salire la condizione al massimo. A un certo punto con Fabian saltammo dei mondiali perché si era deciso di non investire più nel preparare la gara di un giorno.

Quanto c’era di fatica fisica e quanto di fatica mentale?

L’intensità psicologica è altissima. Il volume di lavoro specifico che fai ogni giorno dietro motore è di alta intensità, quindi è veramente pesante. Quando preparavamo i vari appuntamenti con Rogers e anche con Cancellara, per 3-4 volte a settimana si facevano sedute dietro motore di tre ore con media/alta intensità. Con ripetute fuori scia, brevi e prolungate. Un lavoro veramente esaustivo, in cui devi essere sempre molto concentrato, perché lavori su blocchi di 30 secondi/un minuto e questo richiede un livello di attenzione elevatissimo. Lo stress psicologico aumenta al pari di quello fisico, perché devi sostenere tutto quel carico.

Come nacque l’idea di tornare alle Olimpiadi, visto tutto questo?

Tutti avevano dipinto la cronometro di Rio come durissima. Io ero andato a vederla l’anno prima con il test-event e sinceramente, nonostante ci fossero due strappi importanti, sul volume totale della cronometro che era lunga 54,6 chilometri, non raggiungevi neanche i 4 chilometri di salita. Quindi sebbene Fabian in quel momento pagasse dazio ai vari Dumoulin e Froome, dichiarammo un doppio obiettivo.

Tour de France 2016, cronometro, La Caverne du Pont d'Arc, Fabian Cancellara
Il Tour non aveva dato grandi risposte, tutt’altro. Nella crono del 13° giorno, vinta da Dumoulin su Froome, Cancellara arrivò 23° a 3’15”
Tour de France 2016, cronometro, La Caverne du Pont d'Arc, Fabian Cancellara
Il Tour non aveva dato grandi risposte, tutt’altro. Nella crono del 13° giorno, vinta da Dumoulin su Froome, Cancellara arrivò 23° a 3’15”
Doppio?

Obiettivi paralleli. Il primo era il suo desiderio di finire la carriera con un bel risultato alle Olimpiadi, per non dover tenere duro per tutta la stagione. Dall’altro lato, ero io che insistevo, perché sebbene tutti dicessero che fosse durissima, secondo me c’era un volume di chilometri di discesa tecnica e di pianura che lo avrebbero favorito. Così ci dicemmo di andare e puntare al miglior risultato possibile. All’inizio pensavamo a una medaglia, poi col passare del tempo e degli allenamenti, i dati iniziarono a dirci che si potesse puntare al grande risultato.

Quanto è durata la preparazione per Rio?

Eravamo già stati in ritiro fra il Giro di Svizzera e il campionato nazionale. Ero andato da lui e avevamo fatto quasi 20 giorni sempre insieme. Poi andammo al Tour de France, ma non c’era una cronometro all’inizio, quindi preparare la prova secca era piuttosto complicato. Arrivammo alla vigilia del secondo giorno di riposo e ci fermammo. Quindi tornai da lui e iniziammo a lavorare per le Olimpiadi, diciamo dal 22-23 luglio per altri 10-15 giorni di lavoro specifico. Neanche più una distanza su strada, tutti i giorni dietro motore per 3-4 ore alla volta.

Più difficile del solito?

Gli ultimi lavori prima di partire per Rio furono veramente impegnativi. Allenamenti di 50 chilometri facendo un chilometro in scia della moto a 60 all’ora e poi 500 metri fuori scia. E’ pesantissimo per la testa eppure Fabian l’ha fatto e anche con la pioggia. Simulavamo anche le salite del percorso. Nel circuito che usavamo, c’era una strada in salita con il birillo in cima, lui arrivava su, ci girava intorno e poi io con la moto lo riportavo subito in velocità. Devi avere veramente gli attributi per fare una roba del genere, tanti altri avrebbero girato e sarebbero tornati a casa.

Parigi-Roubaix 2013, Fabian Cancellara si avvia alla vittoria
Fra il 2006 e il 2014, Cancellara vinse anche 3 Fiandre e 3 Roubaix: questa l’ultima nel 2013
Parigi-Roubaix 2013, Fabian Cancellara si avvia alla vittoria
Fra il 2006 e il 2014, Cancellara vinse anche 3 Fiandre e 3 Roubaix: questa l’ultima nel 2013
Quindi subito con la motivazione al massimo?

All’inizio era dubbioso, perché Dumoulin e gli altri gli avevano dato delle belle batoste, per cui il morale non era dei migliori. Sapevamo che con il suo peso, nelle crono di un Grande Giro faceva fatica ad esprimersi. Ma tornato a casa e recuperato lo sforzo del Tour, con il lavoro specifico iniziammo a vedere i numeri salire in modo lineare e cominciò ad arrivare anche il morale. E’ stato anche un lavoro di convincimento, ripetendo che il percorso gli sarebbe piaciuto, ma gli ultimi dubbi se ne sono andati quando finalmente il percorso l’ha visto. Ha fatto un paio di giri un po’ brillanti e ha cambiato sguardo: una medaglia era possibile. E dopo, con gli ultimi allenamenti e vedendo anche le facce degli altri, abbiamo capito che si poteva giocare per l’obiettivo grosso.

Aver preso legnate da Dumoulin o Froome poteva incidere così tanto sulla preparazione?

In quel ciclismo si guardavano già tanto i numeri, più che altro la critical power. Però c’era ancora uno scontro abbastanza forte dell’uomo contro l’uomo. Contava anche il discorso di sfidare l’altro. Mi ricordo che il giorno prima stavamo facendo la sgambata dietro moto e Dumoulin, che probabilmente stava facendo una ripetuta per sbloccarsi, ci passò a doppia velocità e subito la reazione di Fabian fu quella di andargli a ruota. Forse adesso, con la miriade di numeri che riusciamo ad analizzare nel dettaglio, il discorso è più su se stessi e basta.

C’è meno agonismo?

Ci sono altri riferimenti. Un atleta può avere la giornata no, ma quando parte per una cronometro ha tutta una serie di informazioni su se stesso, sul tempo, la temperatura, il pacing e quant’altro, che se è in grado di seguire le indicazioni, al 99 per cento fa la massima prestazione possibile. Poi diventa importante la tecnica, perché se ci sono due o tre curve che ti mettono in difficoltà, vince quello più bravo a guidare la bici. Però se sei su un percorso dritto e piatto, si fa fatica a pensare che vinca uno non pronosticato.

Olimpiadi di Rio 2016, Fabian Cancellara
A Rio cambiò tutto e dopo quei 54,6 chilometri (e con una posizione oggi improponibile) arrivò l’oro con 47″ su Dumoulin, 1’02” su Froome.
Olimpiadi di Rio 2016, Fabian Cancellara
A Rio cambiò tutto e dopo quei 54,6 chilometri (e con una posizione oggi improponibile) arrivò l’oro con 47″ su Dumoulin, 1’02” su Froome.
Come dire che battere Evenepoel nelle condizioni a lui favorevoli sia impossibile?

Esatto. Forse prima c’era un discreto livellamento. C’è stato Michael Rogers, poi Fabian, però c’erano anche Dumoulin, Wiggins, Tony Martin, Phinney… C’erano parecchi cronomen competitivi, poi gradualmente si è arrivati allo strapotere assoluto dei singoli. Per cui quando si va in partenza, è difficilissimo che ci siano sorprese, chiaramente in base al percorso.

Tutto il lavoro che ha fatto per la crono, ha inciso sulla carriera di stradista di Fabian?

Sì, per com’era lui, senza dubbio. Per vincere le Roubaix o le classiche del pavé, escludiamo Pogacar che ovviamente è un caso sui generis, è importante essere in grado di fare sforzi intensi e costanti per quasi un’ora. Poi ci sono le varie declinazioni. Boonen era più forte nelle volate, quindi molto esplosivo, ma per brevi tratti riusciva a tenere determinate intensità. Per cui Fabian doveva trovare l’occasione per attaccare e prendergli 10-15 secondi costringendolo a uno sforzo superiore per andarlo a prendere. Indubbiamente avere delle caratteristiche di quel tipo, è stato un vantaggio.

Perdona la domanda scomoda, perché riferita a un atleta non tuo. Visto lo strapotere di Evenepoel, di cui hai parlato, consiglieresti a Ganna di mollare per un po’ le crono per dedicarsi alle classiche?

Bè, considerando tutto quello che ha vinto Ganna a cronometro, potrebbe valerne la pena e forse poteva valerla anche prima. Dobbiamo tutti eterna gratitudine a Pippo per il lustro che ci ha dato, però è ovvio che per il ciclismo in senso assoluto, il Sagan che vince Fiandre e Roubaix ha un impatto maggiore delle tante crono che puoi aver vinto in carriera. Visto quanto Ganna è già andato vicino alla Sanremo, secondo me potrebbe rischiare e lavorare per migliorare nelle classiche o provare a farle un paio d’anni a tutta e basta.

Olimpiadi di Rio 2016, cronometro individuale maschile, Fabian Cancellara sale sul podio
La chiamata al podio ed esplode la gioia dopo quattro mesi di lavoro tiratissimo: secondo oro dopo 8 anni
Olimpiadi di Rio 2016, cronometro individuale maschile, Fabian Cancellara sale sul podio
La chiamata al podio ed esplode la gioia dopo quattro mesi di lavoro tiratissimo: secondo oro dopo 8 anni
E poi magari tornare a Los Angeles e vincere la crono come Cancellara a Rio?

Sì, senza dubbio. Comunque un cronoman di quel livello non perde le sue caratteristiche. Nel momento in cui ti rifocalizzi a fare un determinato tipo di lavoro, la memoria muscolare ce l’hai e quindi una volta che ci sono la condizione e la salute, riesci lo stesso a fare performance.

Quando capiste che era fatta?

Eravamo tutti sorpresi. Quando passò all’ultimo intertempo, che era a sette chilometri dall’arrivo, aveva 48 secondi di vantaggio e in quel momento capimmo che il bel risultato si stava concretizzando in una medaglia d’oro. Non era il favorito, nessuno lo dava neppure nei primi cinque. Non arrivava da una stagione brillantissima. Ma dimostrò una grande forza psicologica. E chiuse la carriera a Rio con l’oro al collo.

Salvoldi riparte senza illusioni, destinazione mondiali su pista

12.10.2025
5 min
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In questi giorni le valigie di Dino Salvoldi sono in continuo rinnovamento: prima il Rwanda, poi la Francia per gli europei, poi i lavori di rifinitura a Montichiari e quindi il 16 la partenza per Santiago del Cile, per i mondiali su pista. Una rassegna delicata proprio perché postolimpica, scevra di obblighi legati alle qualificazioni per i Giochi di Los Angeles, ma nella quale il cittì azzurro ha deciso di fare esperimenti e far fare esperienza ai ragazzi più giovani, mettendo i risultati in secondo piano.

Per Salvoldi questi saranno i primi mondiali elite su pista da vivere come cittì maschile
Per Salvoldi questi saranno i primi mondiali elite su pista da vivere come cittì maschile
Per Salvoldi questi saranno i primi mondiali elite su pista da vivere come cittì maschile
Per Salvoldi questi saranno i primi mondiali elite su pista da vivere come cittì maschile

Un decano fra i più giovani

C’è da fare i conti anche con la lontananza e i costi, quindi sarà una spedizione abbastanza ridotta, non oltre 7 corridori chiamati a interpretare le prove di endurance, ma con che prospettive? «Sì saranno 7 atleti più Elia Viviani che ha questo desiderio sacrosanto di chiudere la sua carriera con questi mondiali in pista. Quindi avrò tre atleti, Viviani, Sierra e Stella, impegnati nelle gare di gruppo e in questi giorni dobbiamo definire la ripartizione per specialità, anche se è già deciso che nell’ultimo giorno di gare, Elia farà l’eliminazione, perché è la gara a cui tiene di più e Stella e Sierra saranno la coppia dell’americana. E’ chiaro che sono due ragazzi molto giovani, potranno correre senza pressione. Per quello che riguarda invece il quartetto e l’inseguimento individuale avremo un gruppo super giovane. Tolto Lamon, unico della vecchia guardia, avremo i giovani Favero, Giaimi, Grimod e uno tra Galli e Boscaro. Il raduno che abbiamo in questi giorni mi serve per definire questi dettagli».

Il corridore di Monfalcone insieme a Juan David Sierra agli ultimi europei. Una coppia molto promettente
Stella e Sierra, la giovane coppia madison: confermati per i mondiali, sarà un'esperienza fondamentale
Stella e Sierra, la giovane coppia madison: confermati per i mondiali, sarà un’esperienza fondamentale
Come si presentano i ragazzi all’appuntamento?

Al netto degli imprevisti, io sono veramente contento del periodo di allenamento che abbiamo fatto e della disponibilità dei ragazzi. Io sono uno molto esigente in allenamento e ho avuto buone risposte. Detto questo, non so che risultati aspettarsi non avendo visto le starting list, ma so che altre nazioni hanno fatto scelte più mirate all’evento. A me interessa fare una buona prestazione rispetto a noi stessi per quello che ci siamo allenati. Senza fare previsioni di piazzamenti, starei ben piantato con i piedi per terra e senza illusioni.

Il quartetto juniores di due anni fa è stato costruito da Salvoldi e sarà l'ossatura a Santiago
Il quartetto juniores di due anni fa è stato costruito da Salvoldi e sarà l’ossatura a Santiago
Il quartetto juniores di due anni fa è stato costruito da Salvoldi e sarà l'ossatura a Santiago
Il quartetto juniores di due anni fa è stato costruito da Salvoldi e sarà l’ossatura a Santiago
Quindi come metro di giudizio, soprattutto nel caso del quartetto, guarderai ai tempi del passato dei ragazzi stessi, di quando li hai avuti da junior e da under 23 per vedere se c’è questo processo di crescita?

Direi proprio di sì, considerando anche che il crono talvolta va correlato alle condizioni ambientali nelle quali ci si trova, perché influiscono molto sulla prestazione. Io comunque mi aspetto una crescita dei giovani rispetto a quando erano juniores, quello sì. Mi piacerebbe fare una buona prestazione di squadra e individuale affinché ognuno dei ragazzi intraveda delle opportunità per l’anno prossimo. Non posso dimenticare che quest’anno ho avuto i ragazzi solo a brevi periodi, con una preparazione a singhiozzo. Ma nell’ultimo periodo ce li ho tutti a disposizione. E’ mancata completamente la continuità che ti deriva da un anno di lavoro, da una programmazione annuale sia come preparazione che come calendario condiviso con le squadre. Per questo ho pensato che, essendo anno postolimpico è quello più utile per poter fare esperimenti, per provare nuove soluzioni.

In Cile si chiuderà la carriera di Elia Viviani che punta a un ultimo sigillo nell'eliminazione
In Cile si chiuderà la carriera di Elia Viviani che punta a un ultimo sigillo nell’eliminazione
In Cile si chiuderà la carriera di Elia Viviani che punta a un ultimo sigillo nell'eliminazione
In Cile si chiuderà la carriera di Elia Viviani che punta a un ultimo sigillo nell’eliminazione
Il quartetto, da come l’hai descritto, praticamente fonderà due elementi fra virgolette vecchi e due nuovi. Come si procede nel costruire un equipaggio completamente diverso? Nel cercare un amalgama non semplice e in tempi brevi?

Certi tempi cronometrici sono conseguenti alla crescita o all’abitudine di allenarsi a certi ritmi, necessitano di tempi di adattamento lunghi, più che quelli legati alla situazione tecnica, cioè ai cambi piuttosto che alla partenza o alle linee da seguire. E’ proprio una questione di preparazione, di abituarsi con il tempo a spingere rapporti più duri e più velocemente e ai giovani questo tempo va dato. Di fatto, da dicembre ad aprile e poi altri due mesi durante l’estate, fanno sei mesi dove i ragazzi sono venuti a girare pochissimo o mai. Si tratta di almeno 24 allenamenti in meno che ho fatto. Non metto le mani avanti, ma è un fattore che va considerato.

Stella e Sierra sono una coppia abbastanza consolidata nella madison, però sono molto giovani. Questa può essere un’esperienza fondamentale per la loro crescita, anche per quel discorso che abbiamo appena fatto dell’amalgama?

Sì, per far crescere i giovani serve anche l’evento di prestigio – conferma Salvoldi – Al di là del risultato che può portare, questo è un passaggio che va fatto, altrimenti succede che ti trovi ragazzi già maturi, ma che non hanno mai corso un campionato del mondo o una gara di un livello superiore, perché il risultato diventa sempre prioritario rispetto a tutto il resto. E allora si tende a portare solo i ragazzi che ti danno certezze di risultato. Questo è un momento “storico”, da sfruttare.

Francesco Lamon sarà in Cile l'unico reduce del quartetto oro a Tokyo 2020, per guidare i più giovani
Francesco Lamon sarà in Cile l’unico reduce del quartetto oro a Tokyo 2020, per guidare i più giovani
Francesco Lamon sarà in Cile l'unico reduce del quartetto oro a Tokyo 2020, per guidare i più giovani
Francesco Lamon sarà in Cile l’unico reduce del quartetto oro a Tokyo 2020, per guidare i più giovani
Il fatto che si gareggi in un luogo così lontano, in condizioni climatiche completamente diverse rispetto a quelle solite influirà molto sui risultati?

Secondo me no, nel senso che le squadre che andranno con i loro migliori elementi vanno a correre per fare risultato, ad esempio la Gran Bretagna farà prestazioni o cronometriche o individuali da campionato del mondo. Siamo quasi a livello del mare, con il clima che c’è in quel periodo che è quello primaverile nostro, influiranno le condizioni interne al velodromo, se farà caldo all’interno della pista. Ma chi vincerà le medaglie farà prestazioni da campionato del mondo, non sarà un mondiale sottotono. Ma attenzione: nessuno avrà così tanti come noi della generazione 2004-2006…

Romandia: ride solo Paula Blasi, dietro è caos fra UCI e team

16.08.2025
7 min
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Cinque squadre hanno ricevuto ieri il divieto di prendere il via al Tour de Romandie Feminin. Il motivo ufficiale, come scritto nel comunicato della corsa: “Rimozione, rifiuto o impedimento dell’installazione o rimozione di un dispositivo di localizzazione”. Dietro l’esclusione di Lidl-Trek, Visma Lease a Bike, Canyon Sram Zondacrypto, Ef Education-Oatley e Team Picnic PostNl c’è probabilmente anche altro. Qualcosa che ovviamente non viene mostrato e non passa nei comunicati dell’UCI, ma che probabilmente verrà fuori nell’azione legale che sta prendendo forma.

7 agosto: l’annuncio

Il 7 agosto l’UCI annuncia che in collaborazione con il Tour de Romandie Feminin e le squadre partecipanti, testerà un sistema di tracciamento GPS di sicurezza. L’iniziativa – si legge nel comunciato – parte degli sforzi costanti dell’UCI e di SafeR per migliorare la sicurezza degli atleti nel ciclismo su strada professionistico. Prevede che una ciclista per squadra indossi un dispositivo di tracciamento GPS.

La stessa tecnologia sarà poi utilizzata ai campionati del mondo di ciclismo su strada a Kigali, in Rwanda, dove tutti i corridori saranno dotati del dispositivo per essere collegati anche con i responsabili medici della corsa. Dopo la drammatica vicenda dello scorso anno a Zurigo, quando Muriel Furrer non fu trovata tempestivamente dopo la caduta e morì senza che si sapesse dove fosse, la risposta suona molto interessante. Il senno di poi dice che la collaborazione tanto sbandierata in realtà è un’imposizione. Vediamo perché.

Muriel Furrer, la ragazza svizzera morta ai mondiali di Zurigo 2024 per una caduta non segnalata
Muriel Furrer, la ragazza svizzera morta ai mondiali di Zurigo 2024 per una caduta non segnalata

L’alternativa dei team

Alla richiesta dell’UCI, le squadre WorldTour rispondono infatti di avere i device GPS di Velon che già utilizzano al Giro di Svizzera, al Tour de France e al Giro d’Italia. Sono gratis, funzionano e ce l’hanno tutti, perché non fare il test con quelli? L’UCI risponde di averne studiati di propri, che però non sono ancora in produzione, per cui ne hanno un numero limitato: solo poche atlete potranno esserne dotate.

E qui scatta la prima perplessità. Come può funzionare una sperimentazione che non riguarda tutte le ragazze? E se nel fosso ci finisce una che ne è sprovvista? E se il dispositivo, non collaudato, si stacca e provoca una caduta, a chi spetta di pagare i danni?

I GPS made in UCI

Quando l’UCI replica che il test riguarda i propri strumenti, le squadre accettano, ma invitano gli addetti dell’UCI a fare il montaggio in prima persona, perché ne conoscono certamente meglio le caratteristiche. La seconda obiezione riguarda la scelta dell’atleta: quale regolamento impone che debba essere la squadra a scegliere la ragazza? Perché non è stato previsto un criterio che impone di scegliere corridori entro un certo range di peso, in modo che i 63 grammi in più del GPS non impattino sul risultato? L’UCI replica che sta alle squadre scegliere il nome e che, in caso contrario, la squadra sarà squalificata.

I transponder di Velon sono già nel possesso dei team, che hanno proposto di usarli
I transponder di Velon sono già nel possesso dei team, che hanno proposto di usarli

Chi monta il device?

Continuano a parlare di grande famiglia del ciclismo e di azioni da fare in amicizia, ma la minaccia di squalifica rientra in certi canoni? Sono comunicazioni che si svolgono per lettera nei giorni che precedono la corsa svizzera, non si tratta di una discussione nata a sorpresa nell’immediata vigilia.

Nella riunione tecnica alla vigilia della prima tappa, la cronometro di ieri, si raggiunge l’accordo: sarà l’UCI a stabilire chi sarà l’atleta. Pare sia tutto scritto, nessun dubbio da parte di nessuno. Invece ieri mattina alla partenza, si verifica un altro cambio di linea. Quando le squadre arrivano al via e attendono che i Commissari UCI indichino le atlete, quelli cambiano versione e minacciano che in caso di mancata indicazione da parte dei team, scatterà la squalifica.

Cinque squadre fuori

E la squalifica scatta. Alle squadre che si rifiutano di indicare i nomi viene vietata la partenza. Invece di sanzionare la società sportiva, l’UCI se la prende con le atlete e impedisce loro di lavorare

«Nel regolamento – dice Luca Guercilena – non è previsto il fatto che io debba nominare un’atleta. Hanno dichiarato che noi non abbiamo voluto accettare il device, ma non è assolutamente vero. Noi eravamo là davanti aspettando che lo mettessero, come ci eravamo accordati. Invece il giudice ci ha detto che non saremmo potuti partire perché non avevamo nominato l’atleta».

Il comunicato ufficiale liquida così il rifiuto di far partire le 6 squadre
Il comunicato ufficiale liquida così il rifiuto di far partire le 6 squadre

Momenti di tensione

Si raggiungono momenti di tensione. Quando la prima ragazza della Ag Insurance arriva alla via della crono, il giudice applica il GPS sulla sua bicicletta. La ragazza parte, ma il device si stacca. Quando l’atleta raggiunge il traguardo, un alto dirigente dell’UCI attacca il direttore sportivo della squadra belga, dicendogli che l’ha fatto di proposito per boicottare l’iniziativa. Mentre quello cercava in tutti i modi di dirgli che il montaggio era stato fatto dal Commissario e che lui altro non aveva fatto che seguire l’atleta con l’ammiraglia.

La posizione dell’UCI

Con cinque squadre fuori dalla corsa, l’UCI emette un comunicato, condannando il rifiuto di alcune squadre di partecipare al test della tecnologia di tracciamento GPS per la sicurezza.

«L’UCI – si legge – si rammarica che alcune squadre iscritte alla lista di partenza del Tour de Romandie Féminin si siano rifiutate di conformarsi al regolamento della gara relativo all’implementazione dei localizzatori GPS come test per un nuovo sistema di sicurezza. La decisione di queste squadre è sorprendente e compromette gli sforzi della famiglia del ciclismo per garantire la sicurezza di tutti i ciclisti nel ciclismo su strada attraverso lo sviluppo di questa nuova tecnologia.

«(…) Le squadre erano tenute a designare una ciclista sulla cui bicicletta sarebbe stato installato il localizzatore GPS. Le squadre hanno ricevuto ulteriori spiegazioni durante la riunione dei Direttori Sportivi pre-evento. L’UCI si rammarica che alcune squadre si siano opposte al test non nominando una ciclista che indossasse il dispositivo di tracciamento e abbiano quindi optato per l’esclusione dal Tour de Romandie Féminin. Alla luce di questa situazione, l’UCI valuterà se siano necessarie altre misure in conformità con il Regolamento UCI».

Van den Abeele, responsabile dell’UCI, era presente ieri al Romandie a sovrintendere le operazioni
Van den Abeele, responsabile dell’UCI, era presente ieri al Romandie a sovrintendere le operazioni

La risposta dei team

Sembra che essere escluse dal Romandie sia una libera scelta delle cinque squadre, che diffondono un comunicato condiviso. «Siamo scioccati e delusi dalla decisione dell’UCI di squalificare diverse squadre, inclusa la nostra, dal Tour de Romandie Féminin. All’inizio di questa settimana, tutte le squadre interessate hanno inviato lettere formali all’UCI esprimendo sostegno alla sicurezza dei ciclisti, ma sollevando serie preoccupazioni circa l’imposizione unilaterale di un dispositivo di tracciamento GPS a un solo ciclista per squadra. Abbiamo chiarito che non avremmo selezionato noi una ciclista, né installato, rimosso o effettuato la manutenzione del dispositivo.

«L’UCI o i suoi partner erano liberi di selezionare un ciclista e installare il dispositivo sotto la propria responsabilità. Nonostante la nostra collaborazione e l’esistenza di un sistema di monitoraggio della sicurezza collaudato e collaborativo, già testato con successo in altre importanti, l’UCI ha scelto di imporre questa misura senza un chiaro consenso, minacciando la squalifica e ora escludendoci dalla gara per non aver selezionato noi stessi un corridore. Il motivo per cui non vogliono nominare un corridore è ancora sconosciuto e senza risposta.

«(…) Questa azione viola i diritti delle squadre e dei corridori, applica la misura in modo discriminatorio e contraddice l’impegno dichiarato dall’UCI al dialogo con le parti interessate. Siamo sempre in prima linea per rendere il ciclismo uno sport più sicuro, ma questo obiettivo deve essere raggiunto attraverso la collaborazione, non la coercizione».

Il Tour de Romandie sarebbe stato un importante passo di rientro per Gaia Realini
Il Tour de Romandie sarebbe stato un importante passo di rientro per Gaia Realini

Pagano gli atleti

Ancora una volta a farne le spese sono stati gli atleti. E’ abbastanza chiaro che nel nome della sicurezza l’UCI abbia trovato probabilmente una potenziale fonte di investimento nell’imposizione di device GPS di sua produzione. E’ anche abbastanza chiaro che la sicurezza e le istanze di SafeR stiano diventando uno strumento di potere al pari di quanto accedeva anni fa con l’antidoping. Si potevano multare le società, ma non colpire le atlete e gli organizzatori. Si potevano fare i test nelle Nations’ Cup Juniores e in gare minori, perché non si è fatto?

«Il Tour de Romandie – si legge nel comunicato della corsa – si rammarica dell’esito del disaccordo tra l’UCI e le squadre sulle quali non aveva alcun controllo. (…) Questi divieti di partenza alterano direttamente l’aspetto sportivo della corsa, interferendo anche con la preparazione degli eventi successivi, penalizzando le atlete delle squadre interessate, il pubblico e tutti coloro che sono coinvolti nella promozione del Tour de Romandie Féminin in tutto il mondo. E’ deplorevole e, per usare un eufemismo, dannoso che non si sia potuta trovare una soluzione positiva».

Abbiamo la sensazione che la storia non finirà qui. Ed è anche chiaro che per come è strutturata e concepita, l’UCI non rappresenti appieno tutte le sue componenti. Siamo certi che il progetto One Cycling non sia quello di cui ha bisogno oggi il professionismo di vertice? Non è la coercizione il modo per far crescere il movimento e andare incontro ad atleti e squadre su un tema importante come quello della sicurezza. Forse il sistema così com’è non funziona più bene. La crono ieri intanto l’ha vinta Paula Blasi in maglia UAE Adq, la corsa prosegue oggi con 30 atlete in meno.

Una Lidl-Trek gigantesca per la doppietta di Milan

23.07.2025
6 min
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VALENCE (Francia) – Jonathan Milan aveva già vinto, quando sul traguardo sono passati da un lato Thibau Nys, dall’altro Tom Skujins e in mezzo Quinn Simmons. I due lo hanno indicato come fosse stato lui a vincere la tappa. E l’americano, sollevandosi dal manubrio nella sua tenuta da Capitan America, ha ringraziato i compagni e si è preso una parte del merito per la vittoria del compagno, gigantesco e forte come Hulk. Forse è proprio vero che per conquistare questo traguardo servisse essere anche un po’ supereoi.

«E’ stato impressionante – dice Luca Guercilena al riparo del pullman della Lidl-Trek, quando Simmons si infila sotto e lo saluta – perché nonostante i tentativi di fuga e tutto il lavoro fatto oggi, Quinn è riuscito ancora a fare qualcosa di incredibile. Soprattutto dopo la prima salita, quando c’era da chiudere un buco quasi di 40 secondi. Ha veramente fatto un lavoro impressionante, per cui buona parte della tappa di oggi è anche sua».

Jonathan Milan ha vinto la seconda tappa nel primo Tour. Lo ha fatto senza un ultimo uomo a lanciarlo, in uno scenario da Classica del Nord. Jordi Meeus ha provato a rimontarlo, ma è rimasto indietro di mezza bicicletta. Peccato che una caduta abbia tagliato fuori il resto degli sprinter, quando ormai non si aspettava altro che l’ultimo atto della tappa.

Festa Lidl-Trek

Sulla città si è abbattuto un acquazzone di gocce grasse che in meno di mezz’ora hanno infradiciato la carovana e reso la strada di sapone. Sotto il tendone del pullman si scambiano pacche e abbracci, in attesa che arrivi Milan. Stuyven parlotta con lo stesso Simmons, Skujins rilascia interviste. Guercilena li abbraccia tutti, con il sorriso di chi ha raggiunto uno dei traguardi che si era posto. Lo aveva detto dal mattino: oggi bisogna fare tutto il possibile per vincere. E poi ci saranno i traguardi a punti per consacrare la maglia verde e arrivare a Parigi possibilmente con la certezza matematica di averla vinta.

«Siamo venuti qua con l’obiettivo di vincere due tappe – spiega – e provare a prendere la maglia verde. Poi ovviamente avremmo voluto fare qualcosa in montagna con Skjelmose, ma abbiamo visto cosa è successo (il riferimento è alla caduta e al ritiro del danese nella tappa di Superbagneres, ndr). Però abbiamo tenuto la concentrazione e oggi l’idea era quella di correre come fosse una classica di un giorno. Come squadra abbiamo dimostrato di averci creduto, nonostante gli attacchi di vari team sulle salite. E poi nel finale con una lettura ideale dello sprint.

«Se fossimo rimasti con una sola tappa vinta, avrei sentito che mancava qualcosa. Perché comunque siamo ambiziosi, anche se non è facile fare risultato nel Tour del debutto. Con l’idea di squadra che vogliamo essere, sicuramente le due vittorie dovevamo ottenerle. E Jonathan ha dimostrato di essere cresciuto, soprattutto nella sua gestione personale ha ancora grandi margini. Sono fiducioso che continuerà in questo suo processo di crescita con noi, fiduciosi che possa ottenere ancora dei grandissimi risultati».

Un grande lavoro di squadra

Milan indossa un giubbino verde pesante e il berretto di lana della squadra. Il clima fuori è decisamente autunnale e se domani sulle Alpi ci sarà la stessa acqua, per i corridori si prospettano giorni tosti. 

«E’ stato un finale incredibile – dice – un po’ caotico a causa del meteo. Mi aspettavo un po’ di pioggia, ma non come adesso. Penso che ci siamo mossi nel modo migliore, la squadra mi ha supportato fin dall’inizio. Non posso dire di aver fatto tutto da solo. Vorrei descrivere il lavoro fatto oggi dai miei compagni. I ragazzi hanno controllato la corsa dall’inizio della tappa, ovviamente con l’aiuto di altre squadre. Mi hanno riportato in gruppo quando mi sono staccato sulla prima salita. Poi sulla seconda hanno tenuto un buon ritmo, senza mai dare tutto gas. Hanno mantenuto un ritmo costante e alla distanza è stato perfetto per recuperare sugli attaccanti. Hanno sempre cercato di supportarmi, portandomi le borracce e incitandomi, una cosa che mentalmente ha significato tanto. Quindi non si può dire che abbia vinto da solo.

«Nel meeting prima della tappa – prosegue – puoi pianificare tutto. Dire che all’ultima curva dovresti andare con due o tre corridori davanti, ma alla fine è sempre difficile arrivare in quel punto, non è una PlayStation. Per cui alla fine i ragazzi mi hanno semplicemente messo nella posizione migliore, nel miglior modo possibile. Avevamo tutti un grande obiettivo, per cui è la vittoria di tutti: non di uno solo».

La lotta per la verde

La maglia verde che indossa è un po’ più salda. Con il quinto posto, primo dietro i quattro fuggitivi, Milan ha conquistato 11 punti nel traguardo volante di Roche Saint Secret Beconne. Altri 50 sono venuti con la vittoria, per cui ora il vantaggio su Pogacar è di 72 punti.

«Finora – dice – è stato un Tour de France davvero duro. Oggi abbiamo conquistato 61 punti per la maglia verde, quindi sono davvero contento. Era uno dei nostri obiettivi all’inizio della giornata, ma non è mai facile avere un piano veramente specifico e poi raggiungerlo. Anche nei prossimi giorni cercheremo di dare il massimo per conquistare più punti nei traguardi intermedie. Pogacar è una rockstar del ciclismo, quindi vedremo i punti che otterrà. Da parte mia, cercherò solo di dare il massimo per portare questa maglia il più lontano possibile, magari fino a Parigi.

«Lo so che hanno cambiato il percorso, inserendo il circuito di Montmartre, ma non voglio iniziare subito con il dire che ho perso un’occasione. Sappiamo che sarà più dura da controllare e sarà uno scenario diverso rispetto al solito arrivo dei Campi Elisi. Ho parlato con i ragazzi che hanno partecipato alle Olimpiadi l’anno scorso e mi hanno confermato che ci sarà una grande lotta per le prime posizioni prima della salita. Cercheremo di dare il massimo, ma voglio vivere questo Tour tappa dopo tappa».

Da domani inizierà la parte più dura. Per due giorni, il suo orizzonte sarà quello intermedio del traguardo a punti e poi ci sarà soltanto da entrare nel tempo massimo. Dopo gli abbracci e le parole di oggi, siamo certi che la Lidl-Trek sia pronta a dare anche l’anima per portare a casa il terzo obiettivo di questo Tour.

Lidl-Trek, arriva Sangalli: debutto in ammiraglia al Giro

14.05.2025
5 min
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In questi giorni Paolo Sangalli è a casa e morde il freno. Da lunedì sarà al Giro d’Italia, il suo primo Giro d’Italia, sull’ammiraglia della Lidl-Trek e a sentirlo parlarne si coglie l’emozione del debutto. Potrebbe sembrare singolare per un tecnico che ha guidato la nazionale per quattro Olimpiadi e quindici mondiali, ma il Giro è speciale e tutto nelle sue parole lo lascia trasparire.

«Quando mi hanno detto che avrei fatto il Giro – racconta – è stato emozionante, perché comunque per un italiano il Giro d’Italia è il Giro d’Italia. Se ci fosse stato in ballo il Tour, avrei scelto comunque il Giro. Poi è stato tutto un avvicinamento. Dopo la Tirreno, ho fatto il Catalunya, poi il Tour of the Alps e il Romandia. In queste gare trovi quelli che faranno la corsa rosa e cominci a vedere le dinamiche delle squadre, che non conoscevo perché arrivo da un ambiente diverso. E questo mi è stato davvero utile per capire, visto che c’è ancora tanto da imparare».

Paolo Sangalli, classe 1970, da quest’anno è uno dei diesse della Lidl-Trek
Paolo Sangalli, classe 1970, da quest’anno è uno dei diesse della Lidl-Trek

Fino agli ultimi mondiali, Paolo Sangalli è stato il cittì delle donne junior ed elite. E’ subentrato all’amico Dino Salvoldi, quando alla fine del 2021 il bergamasco fu spostato agli juniores, mentre alla fine dello scorso anno, si è trovato d’accordo con Luca Guercilena e ha accettato l’ammiraglia della Lidl-Trek. Tutti si aspettavano che lo avessero preso per guidare le donne, invece è stato assegnato alla squadra WorldTour, pur con qualche apparizione nel devo team e con le donne. E ora arriva il Giro d’Italia: se ci fosse la maglia bianca per i tecnici, Sangalli sarebbe pienamente in lotta.

Coma sta andando questo debutto?

Sono molto, molto contento. Sapevo dal di fuori com’era la squadra, ma posso confermare che non c’è nulla lasciato il caso. Ognuno ha un compito preciso e le cose vengono fatte in modo davvero ultra professionale, sono davvero contento.

In che modo cambia il rapporto con gli atleti?

Dal mio punto di vista, che siano uomini o donne, il rapporto è identico. Chiaramente fra uomini e donne ci sono delle sfumature diverse. In nazionale con le junior ero quasi il papà, mentre con le grandi c’era un altro rapporto. Con i professionisti è ancora un’altra cosa. Ho fatto anche la Roubaix con il devo team e si capisce che sono ancora dei ragazzi. In assoluto il bello in questa squadra è la percezione in tutte le situazioni, che si parli di donne, uomini o under 23, che siamo un solo gruppo.

I mondiali di Zurigo sono stati gli ultimi di Sangalli con le donne, mentre a fine 2024, Elisa Longo Borghini ha lasciato la Lidl-Trek
I mondiali di Zurigo sono stati gli ultimi di Sangalli con le donne, mentre a fine 2024, Elisa Longo Borghini ha lasciato la Lidl-Trek
Secondo te hai provato tante situazioni per prendere le misure e fare esperienza?

Secondo me per farmi entrare nella squadra, in modo da avere una visione complessiva. Tanti di questi direttori sportivi e tanti dello staff ci sono dal 2012, da quando è nata la squadra. Si respira un’atmosfera di squadra vera, consolidata. Quindi il fatto di farmi girare in ogni ambito probabilmente serve per farmi entrare in tutte le dinamiche. E vi assicuro che è una buona scelta, perché adesso ho chiaro come funziona tutto.

Serve anche per legare con i vari membri dello staff?

Certamente, anche se in certe situazioni, vedendo Archetti, Adobati e Cerea, mi sembra di essere ancora in nazionale.

Per il tuo passaggio è stato decisivo il buon rapporto con Luca Guercilena?

E’ stata una cosa nata negli anni. La conoscenza reciproca, anche la frequentazione col capo delle performance Josu Larrazabal. E’ stato un insieme di cose, non è che ci siamo trovati un giorno e l’abbiamo deciso. Ci siamo avvicinati piano piano. In più, io avevo nella testa che dopo quattro Olimpiadi e quindici mondiali, fosse arrivato il momento di cambiare. Non perché stessi male, ma perché probabilmente avevo bisogno di stimoli nuovi. Penso di aver dato tanto in nazionale e tanto ho ricevuto. Sapete come lavoravo, tutta la mia giornata era dedicata a quello. Andavo a vedere le gare delle junior, andavo all’estero a vedere le gare delle grandi. Avevo gli stessi rapporti con le squadre delle piccole e le WorldTour. Avevano la stessa importanza.

La Lidl-Trek è arrivata al Giro con il primo obiettivo di vincere e conquistare la rosa con Pedersen. Ora tocca a Ciccone
La Lidl-Trek è arrivata al Giro con il primo obiettivo di vincere e conquistare la rosa con Pedersen. Ora tocca a Ciccone
Ti capita più di sentire le ragazze della nazionale?

Non come prima, ma le seguo. Domenica c’è stata anche una gara delle junior in Francia, che abbiamo sempre corso anche noi, e ho saputo i risultati in tempo reale. Per le donne ho anche un compito di scouting. Quindi sono molto attento e ci tengo un occhio di riguardo.

Come stai vivendo questa prima settimana di Giro vista in televisione? Stai mordendo il freno?

Non vedo l’ora che venga lunedì e sono contento di cosa hanno fatto sinora. C’è un grande campione che è Pedersen, ma finora c’è stata una grande squadra, non c’è ombra di dubbio. Era un obiettivo chiaro per tutti, ci siamo arrivati pronti e lo abbiamo conseguito. Chiaramente Pedersen non porterà la maglia rosa fino a Roma, ma la terrà il più possibile. Abbiamo visto Ciccone aiutare tutti e Mosca davanti dai primi chilometri. Vedere che c’è la squadra è la cosa più bella (purtroppo ieri la Lidl-Trek ha perso Kragh Andersen per frattura nel polso, ndr). Un po’ mordo il freno, darò il cambio a Kim Andersen e ci presenteremo alla seconda settimana belli freschi anche sull’ammiraglia.

Ciccone: il cuore dice classifica, il cervello dice le tappe

07.05.2025
5 min
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Si fa presto a dire che vai al Giro per fare classifica. Se poi lo dicono e lo ripetono in televisione giorno dopo giorno, la gente potrebbe pensare che sia facile. Ecco perché spesso tanti si sono scottati: si era creata così tanta attesa, che l’insuccesso è diventato una sentenza inappellabile. Nello sport è così, nel ciclismo che cerca con assillo un nuovo Nibali è anche peggio. Per questo sentir dire in continuazione che se Ciccone non farà classifica quest’anno non potrà farlo mai più, inizialmente è parso un suono stonato. Poi però, volendo vederci chiaro, abbiamo intercettato Luca Guercilena che di Ciccone è il datore di lavoro e, da preparatore e direttore sportivo di lungo corso, è in grado di andare oltre i facili entusiasmi.

Luca Guercilena, classe 1973, è il general manager della Lidl-Trek
Luca Guercilena, classe 1973, è il general manager della Lidl-Trek
Ciccone farà classifica al Giro: adesso o mai più?

Secondo me, facendo un’analisi molto fredda, da ottobre a oggi Giulio ha dimostrato di essere molto competitivo nelle tappe e nelle corse di un giorno. Sappiamo tutti che vincere tappe o portare a casa la maglia della montagna per noi ha un valore importante. E’ anche chiaro che con questa conformazione di Giro, con delle belle tappe già all’inizio, nella nostra testa e anche nel cuore l’idea di riuscire a fare qualcosa in classifica c’è. Però è ovvio che stiamo parlando di una classifica da top 5, sennò non ha alcun senso. Le tappe sono molto più importanti e per come sta andando Giulio, per la condizione che ha, secondo me è fondamentale che come prima attenzione guardi a quelle.

Il podio del Lombardia dello scorso anno ha cambiato la sua dimensione?

Purtroppo ha avuto degli infortuni e delle malattie piuttosto pesantucce, che hanno sempre minato la preparazione dei Grandi Giri. Quest’anno invece Giulio è riuscito a fare un avvicinamento molto lineare e sicuramente ha una stabilità personale importante. Per questo è riuscito a raggiungere gli obiettivi che ci eravamo prefissati. E’ chiaro che il Giro è tutto un altro discorso. Da ottobre scorso ha dato una certa solidità a tutte le prestazioni, per cui sappiamo che siamo arrivati al Giro nella condizione giusta. Detto questo, lo vivremo tappa per tappa.

La squadra è forte, ma non sembra disegnata unicamente per supportare un leader.

E’ chiaro che, senza ipocrisia, andiamo con un occhio principale per le tappe. Questo è abbastanza evidente, però abbiamo cercato di pareggiare nel modo opportuno le opportunità per le tappe miste piuttosto che per le tappe di salita. Per cui abbiamo la possibilità che la squadra lo supporti, sia che punti alle tappe, sia che si trovi in classifica. Anche un corridore come Mads Pedersen al Tour ha dimostrato di essere importante quando c’era in ballo la maglia a pois e lo stesso Giulio ha lavorato per lui quando è servito. Come sempre siamo abbastanza bilanciati e compatti nell’aiutarci, credo al Giro ci sarà la stessa situazione.

Fra Ciccone e Pedersen c’è sempre stata un’ottima collaborazione: qui al Tour del 2023, difendendo la maglia a pois
Fra Ciccone e Pedersen c’è sempre stata un’ottima collaborazione: qui al Tour del 2023, difendendo la maglia a pois
Apriamo una parentesi italiana sull’assenza di Milan, che in questa squadra sarebbe stato bene, non trovi?

A livello di performance pura, probabilmente avrebbe potuto fare anche il Giro. Ma essendo partiti con l’idea del Tour, abbiamo preferito focalizzarci nel modo migliore. Dobbiamo arrivarci preparati nel modo giusto, anche perché non sarà un tentativo di vedere come andrà in Francia. Dobbiamo andare e fare risultato, quindi la preparazione dovrà essere assolutamente mirata. Al Giro ci sarà Pedersen, è giusto che ci sia un bilanciamento. Se vogliamo essere competitivi davvero, dobbiamo esserlo su tutti i fronti, quindi concentrare tutti nella stessa corsa sarebbe un rischio.

Con il tuo passato da allenatore, pensi che Ciccone arrivi al Giro con una condizione troppo avanzata o c’è ancora margine?

Vi dirò, se facciamo una valutazione attenta della performance, Giulio al Tour of the Alps è andato bene, ma era evidente che non avesse una condizione al 100 per cento. Alla Liegi ha fatto un altro passo, ma siamo consapevoli che la gara di un giorno e un’altra cosa. Siamo convinti che al Giro possa mantenere la condizione, perché si sta seguendo un avvicinamento molto mirato.

Come vivrete le due cronometro del programma?

Quest’anno nelle cronometro che ha fatto, Giulio è andato in modo molto solido. Chiaramente non è un cronoman rispetto a certi altri uomini di classifica, magari pagherà qualcosina. Però diciamo che il suo trend di miglioramento nella cronometro è abbastanza solido, per cui ci aspettiamo che sarà più competitivo e meno fragile degli anni passati.

I miglioramenti di Ciccone a crono si sono visti. Alla Tirreno ha pagato una trentina di secondi da Ayuso e Tiberi
I miglioramenti di Ciccone a crono si sono visti. Alla Tirreno ha pagato una trentina di secondi da Ayuso e Tiberi
Ciccone è l’uomo degli attacchi imprevisti: credi che l’assenza di un faro come Pogacar renderà la corsa più aperta?

Credo che sarà una corsa lineare, controllata da un paio di squadroni che ne hanno l’interesse. Penso alla Red Bull e anche la UAE Emirates, che ha il gruppo giusto per controllare i colpi di mano. Queste due squadre la faranno da padrone. Sulla strategia generale di gara, essendo in un ciclismo dove le sorprese arrivano abbastanza di frequente, proprio perché parecchi corridori hanno come unica chance quella di attaccare, bisognerà stare molto attenti.

Quindi, riepilogando, si parte per vincere le tappe e se poi la classifica dovesse venire di conseguenza, si proverà a difenderla?

Esatto, non sarebbe corretto dichiarare che partiamo per fare una top 5 e poi per puntare alle tappe. A mio parere in questo momento abbiamo la dimostrazione chiara e lampante che su un certo tipo di percorsi Ciccone può far bene. Dopodiché la classifica può anche diventare la conseguenza di giornate positive in serie. Il nostro approccio sarà questo qui.

Espargarò in bici? Non è per pubblicità, garantisce Guercilena

02.01.2025
5 min
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Non lo vedrete nei roster della squadra, eppure l’ingresso di Aleix Espargarò alla Lidl-Trek ha fatto molto rumore. Perché non sarà un semplice ambassador del marchio. Appena parcheggiata la sua moto dopo una carriera nella MotoGP costellata di pole position e di vittorie, anche se non illuminata dal titolo mondiale, lo spagnolo ha deciso di reinventarsi rimanendo nel mondo delle due ruote, ma di altro tipo…

Per Espargaròò l’esperienza in bici sarà un’ulteriore tappa nella sua crescita umana
Per Espargarò l’esperienza in bici sarà un’ulteriore tappa nella sua crescita umana

Un suo desiderio

Va chiarito subito un punto: Espargarò ha un peso specifico, nel mondo dello sport, non indifferente e può essere un grande richiamo, ma lo spagnolo non ha la minima intenzione di fare la bella statuina e stare a guardare, troppa la sua abitudine a essere nella mischia. Che cosa potrà fare allora? A rispondere è il team manager Luca Guercilena, che ha voluto in prima persona che l’operazione andasse in porto.

«I contatti con lui sono iniziati ad Andorra – racconta – che ormai a un epicentro per il ciclismo, grazie a Carlos Verona che è un suo amico. E’ stato spesso ospite nei nostri eventi marketing, poi a una cena post Tour ci ha accennato al suo sogno di provare la vita da corridore di ciclismo, da affiancare al suo ruolo di uomo-immagine per la nostra azienda perché può dare molto in fatto di visibilità. Abbiamo quindi pensato di fargli provare gare di gravel, anche del massimo circuito Uci, di mountain bike e magari di vederlo impegnato in qualche Granfondo, poi vedremo come va».

Il catalano ha mostrato subito grandi doti in salita. La bici è sempre stata parte della sua preparazione
Il catalano ha mostrato subito grandi doti in salita. La bici è sempre stata parte della sua preparazione
Che cos’è che, al di la del suo prestigio, vi ha colpito del 35enne catalano?

Innanzitutto non è uno sprovveduto in bici, perché è sempre stata un suo strumento di allenamento per la sua attività motociclistica. Io sono rimasto impressionato da quanto si allena, mi ha detto che la bici era fondamentale per la resistenza almeno quanto la palestra per la forza nello spostare i tanti chili della moto. Da questo punto di vista non ci sono davvero sostanziali differenze con i nostri ragazzi, è un professionista in tutto quello che fa.

Perché avete scelto una multidisciplina per il suo inizio?

Abbiamo voluto innanzitutto lasciargli libertà di scelta. Tra l’altro ha già corso in qualche Granfondo su strada e anche con risultati molto buoni. Io credo che nelle gravel possa fare davvero bene, anche perché lo stimolo del circuito mondiale può dargli nuovi stimoli. Da quel che ho visto Aleix ha una grande abilità di guida e questo è normale vista la sua attività, chiaramente paga dazio nello stare in gruppo, un conto è guidare con pochi centauri al tuo fianco, un altro pedalare in mezzo a centinaia di persone. Ma lui vuole provarci e noi siamo d’accordo.

Vincitore di 3 gare, Espargarò è l’unico ad avere conseguito pole position con 3 moto diverse: Yamaha, Suzuki e Aprilia (foto Michelin)
Vincitore di 3 gare, Espargarò è l’unico ad avere conseguito pole position con 3 moto diverse: Yamaha, Suzuki e Aprilia (foto Michelin)
Che cosa può dare?

E’ un esempio, di professionalità e abnegazione. Con tutto quel che ha guadagnato, vuole ancora mettersi in gioco. Questo per i giovani è un impatto importante. Aleix sa bene che il ciclismo non regala nulla e il suo messaggio, il suo rimettersi in gioco pur a 35 anni è qualcosa d’importante, un messaggio da diffondere. Nessuno gli chiede nulla, ma conoscendolo sappiamo che Espargarò è un agonista nato e che cercherà sicuramente di ottenere risultati.

Come si è posto, che atteggiamento ha?

In maniera molto umile, quella di chi vuole imparare. Ha subito detto che non pretende assolutamente il centro dell’attenzione e che si sente come uno studente alle prime armi insieme a gente che ne sa molto di più. Non pretende certo di mettersi in sella e competere nelle grandi corse, anche se ha detto che gli piacerebbe partecipare e mettersi a disposizione dello staff in qualsiasi ruolo sia utile. Io credo che l’atteggiamento sia un aspetto importantissimo, ho molta fiducia in quello che potrà fare per lui e per noi. Intanto farà la prima parte dell’anno, poi vedremo come andrà e ci porremo nuovi obiettivi.

I compagni sono rimasti stupiti dalle sue doti. Aleix si dedicherà soprattutto a gravel e mtb
I compagni sono rimasti stupiti dalle sue doti. Aleix si dedicherà soprattutto a gravel e mtb
La squadra come l’ha presa?

Molti lo conoscevano, sapevano chi è, ma erano un po’ scettici su quel che potesse fare. Quand’eravamo ad Andorra, appena hanno iniziato a salire in bici si sono ricreduti: asciutto anche più di tanti corridori, tecnicamente ineccepibile, si capiva che non era lì per esibizionismo. La differenza c’è, sia chiaro, ma può fare davvero bene nei contesti più adatti.

Lui ha detto che però il suo sogno è attaccare il numero di qualche corsa professionistica…

Vedremo, facciamo un passo alla volta. Lui ci ha espresso i suoi sogni e noi vogliamo che riesca a realizzarli, piano piano. Ripeto, è un accordo reciproco dal quale possiamo trarre vantaggio tutti.

Guercilena e il suo Milan: una scommessa vinta

01.11.2024
6 min
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Che cosa significa per una squadra avere un campione come Jonathan Milan, che vince su strada e anche in pista? Giorni fa Elia Viviani spiegava che l’interesse della Ineos verso le sue medaglie su pista – quella olimpica e quella dei mondiali – gli sia sembrato inferiore rispetto a Rio e Tokyo. Quasi che la squadra sia stata contenta di lasciargli lo spazio per prepararle, ma nulla più. Lo aveva già detto in precedenza Lefevere a proposito della rinuncia di Alaphilippe ai Giochi di Tokyo: le medaglie olimpiche non danno lustro ai club. E’ questo l’orientamento nel WorldTour? Lo abbiamo chiesto a Luca Guercilena, general manager della Lidl-Trek (in apertura eccolo insieme a Milan e Fabio Cannavaro ad un evento Trek alla partenza del Tour da Firenze, foto Instagram).

«Sicuramente a noi fa piacere dal punto di vista della performance – dice il milanese – perché se il ragazzo si dà degli obiettivi e li raggiunge, sicuramente acquisisce un livello superiore ed è un vantaggio per tutti. Poi se parliamo strettamente di cosa noi come team riusciamo a utilizzare quando ci sono risultati con la nazionale, in realtà devo dire ben poco. A prescindere dal valore assoluto dell’atleta, che poi comunque si ripercuote sui bilanci della società, abbiamo il grosso limite di non poter utilizzare le sue immagini. Alla fine in nazionale si corre con i materiali della nazionale e di conseguenza il beneficio reale è quasi zero se non, tra virgolette, deleterio».

Jonathan Milan ha conquistato l’oro dell’inseguimento agli ultimi mondiali, con tanto di record del mondo
Jonathan Milan ha conquistato l’oro dell’inseguimento agli ultimi mondiali, con tanto di record del mondo
Evviva la maglia azzurra, insomma?

Ovviamente è solo un discorso in termini di immagine e sponsorizzazione. Poi è ovvio che, se parliamo dal punto di vista strettamente sportivo, avere in squadra un atleta che ha fatto il record del mondo è un grandissimo vantaggio. Anzi, devo ammettere che eravamo tutti lì a seguire la corsa, perché volevamo che Jonathan ottenesse il suo risultato. Non posso negarlo, i rapporti con i tecnici della nazionale sono ottimi. Quindi è ovvio che il piacere di vedere un record del mondo da uno dei ragazzi che corre con noi, preparato dai nostri tecnici e seguito dai tecnici della nazionale in una collaborazione che porta al risultato, fa piacere. E poi da italiano, l’azzurro è sempre speciale.

Sapevate già al momento della firma che ci sarebbero stati dei giorni in pista?

Sì, la discussione è stata molto onesta. Sapevamo che per lui la pista era e probabilmente sarà qualcosa di importante anche per la strada. Sapevamo che aveva degli impegni che l’avrebbero portato via dalla strada per essere a disposizione della pista. Quindi, sebbene in qualche momento della stagione forse avremmo avuto necessità di averlo al 100 per cento sulla strada, visto che l’accordo era stato discusso in precedenza, lo abbiamo rispettato.

Dal prossimo anno la strada sarà la priorità: secondo te, da allenatore, le sue prestazioni ne trarranno vantaggio?

Diciamo che avrà un vantaggio nella misura in cui la preparazione sarà essenzialmente mirata a determinate corse. Quindi, soprattutto psicologicamente, non avrà altri obiettivi da raggiungere e questo sicuramente gli potrà creare un vantaggio. Più psicologico che fisico, sinceramente, perché alla fine preparare un’Olimpiade o una Coppa del mondo o un campionato del mondo su pista, sono soprattutto energie mentali.

Al primo anno con la Lidl-Trek, Milan ha vinto 11 corse: un risultato che non ha stupito Guercilena
Al primo anno con la Lidl-Trek, Milan ha vinto 11 corse: un risultato che non ha stupito Guercilena
Milan ha vinto su strada e ha vinto su pista, ha gestito bene queste tensioni…

Se facciamo il paragone con il 2024, è chiaro che per quanto tu possa cominciare la stagione focalizzandoti sulle classiche, sai che l’obiettivo principale è l’Olimpiade perché ce l’ha in testa e perché prevede anche preparazioni di tipo differente. Quindi psicologicamente è comunque un carico che gli atleti devono sopportare. E peraltro, all’interno di un ciclismo abbastanza esasperato, mantenere una tensione psicologica elevata per 12 mesi è molto impegnativo.

L’idea è che lui possa crescere? Viviani parlava di due anni prima delle prossime Olimpiadi per vincere la Gand e poi al Tour, per dimostrare di essere il velocista più forte del mondo…

Non parlerei della Gand, ma delle classiche in generale, perché secondo me Jonathan è un atleta che può fare molto bene anche nelle grandi classiche. Per quello che riguarda gli sprint, non è detto che per dimostrare di essere il velocista più forte al mondo debba andare al Tour. Alla fine secondo me il livello dei velocisti al Giro d’Italia era molto elevato e lui ha dimostrato di essere uno dei più forti, se non il migliore in assoluto. Ma non vedo la pressione all’interno dei due anni, perché credo che Jonathan sia giovane e abbia margini anche dopo Los Angeles. La valutazione di un atleta la fai sulla carriera. Per cui ci sono gli obiettivi a breve termine, che sicuramente possono essere identificati con la corsa singola. Però in assoluto un atleta viene ricordato per quello che ha vinto nell’arco della carriera. Per cui come squadra valutiamo più quello che un discorso a brevissimo termine.

Ti aspettavi di trovare un Milan già così vincente?

Sì, nel senso che quando abbiamo fatto un’analisi per capire chi fosse uno degli sprinter che avrebbe potuto crescere in modo esponenziale, sicuramente l’occhio è andato su di lui. Avevamo visto il suo percorso, già prima all’interno del Cycling Team Friuli, dove comunque Bressan fa sempre un ottimo lavoro con il suo gruppo. Allo stesso tempo quando è andato in Bahrain ha dimostrato ottime capacità. E poi non nego che Villa me lo avesse già detto…

Fabio Baronti, Jonathan Milan, Marostica, Giro d'Italia U23 2020
Milan ha sempre avuto grandi mezzi in volata. Qui ha appena vinto a Rosà al Giro U23 e va al podio con Fabio Baronti
Fabio Baronti, Jonathan Milan, Marostica, Giro d'Italia U23 2020
Milan ha sempre avuto grandi mezzi in volata. Qui ha appena vinto a Rosà al Giro U23 e va al podio con Fabio Baronti
Che cosa ti aveva detto?

Me lo aveva segnalato ben prima dell’anno scorso, dicendo che era un ragazzo che stava crescendo in modo costante e che secondo lui avrebbe potuto fare il record del mondo dell’inseguimento. Questo me lo disse, credo, quattro anni fa. Non avevo la certezza, però quando vedi il percorso di un atleta – sai quanto ha lavorato e quanti sono i margini di miglioramento – le aspettative sono sicuramente alte.

Di fronte a uno così, ti viene ogni tanto la voglia di allenarlo tu in prima persona oppure c’è fiducia cieca nel suo allenatore?

Sì, assolutamente: fiducia cieca. Ormai è un po’ che sono fuori da certe dinamiche. Non dico che non sarei più in grado di allenare questa generazione di corridori, ma i sistemi di lavoro, gli indici e i software di analisi sono cambiati completamente. Avrei bisogno di un ringiovanimento cerebrale dal punto di vista della preparazione. Poi, come sempre, per chi come me ha fatto l’allenatore, il piacere di allenare un grande campione ci sarebbe sicuramente. Però bisogna anche essere consapevoli dei propri limiti.

Quindi guardi e basta?

Non nego che, come sempre, e non solo nel caso di Johnny, quando vedo qualcosa che secondo me può essere migliorato nella preparazione, ne parlo con il gruppo performance e magari cerco di fargli vedere quale potrebbe essere una fase successiva della pianificazione d’allenamento. Però poi ho pienissima fiducia nel suo e negli altri coach, anche perché hanno dimostrato essere molto capaci nel loro lavoro.