Ottavo a Siena, vent’anni: Gregoire vola tra i grandi

15.03.2023
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Magari Romain Gregoire non sarà super appariscente come Juan Ayuso o come poteva esserlo a suo tempo Remco Evenepoel, ma il giovanissimo francese, è un classe 2003, ha iniziato col piede giusto la sua avventura tra i professionisti.

Il portacolori della Groupama-Fdj ha messo nel sacco dei buoni piazzamenti, tra cui l’ottavo posto alla Strade Bianche, gara WorldTour il cui livello è stato come sempre siderale. 

Jerome Gannat è il suo ex direttore sportivo. Seguiva Romain fino allo scorso anno quando l’atleta di Besancon era nella continental del gruppo di Marc Madiot.

Gannat con Gregoire dopo il Trionfo alla Liegi U23 (foto Instagram – Alexis Dancerelle)
Gannat con Gregoire dopo il Trionfo alla Liegi U23 (foto Instagram – Alexis Dancerelle)

Sorpresa a metà

Abbiamo visto da vicino Gannat e i suoi ragazzi. Come si comportavano in corsa, nelle riunioni, tra di loro. Il gruppo era centrale in quella squadra. Tra l’altro una squadra di fenomeni: oltre a Gregoire c’erano anche Germani, Paleni, Thompson, Martinez… 

«Romain – dice Gannat – è ora con il team WT. Ha mantenuto l’allenatore che lo stava già seguendo nella squadra continental. Ora è sotto la guida dei direttori sportivi del team maggiore e lo vedo di tanto in tanto al Service Course, perché Romain vive nello stessa cittadina che è anche molto vicino al mio paese.

«In queste prime gare i suoi risultati sono ottimi. E si vede che ha ancora un legame molto forte con le corse italiane. Negli under 23 fece sue gare come il Belvedere, il Recioto e una tappa al Giro Baby. Evidentemente sono fatte per lui, in quanto sono gare esigenti. E perché no, le corse italiane potranno far brillare Romain anche nelle classiche al termine della stagione».

Romain Gregoire (classe 2003) impegnato all’ultimo Trofeo Laigueglia. Per il francese tanta classe e anche tanta grinta
Romain Gregoire (classe 2003) impegnato all’ultimo Trofeo Laigueglia. Per il francese tanta classe e anche tanta grinta

Punta sulla Liegi

Gannat dunque non appare poi così sorpreso che il suo ex gioiellino si sia subito distinto anche tra i grandi. Conosceva il valore di Romain allora e sapeva che si sarebbe adattato bene. Anche perché lui stesso la scorsa estate ci disse che Gregoire è molto serio, inquadrato nella sua vita da atleta.

«Riguardo ai programmi – chiede Gannat – non conosco esattamente il suo calendario, ma so due cose: che vorrebbe brillare alla Liège-Bastogne-Liège, che ha vinto negli under 23, e poi vorrà fare bene la Vuelta. Vuelta che fa parte anche del programma di Lenny (Martinez, ndr)».

Romain Gregoire vince a Pinerolo, in cima ad uno strappo durissimo, l’ultima tappa del Giro U23 del 2022 (foto Isola Press)
Gregoire vince a Pinerolo, in cima ad uno strappo durissimo, l’ultima tappa del Giro U23 del 2022 (foto Isola Press)

Come un pugile

Gregoire si è mostrato un corridore di sostanza fra il gli under 23. Al netto dell’impresa di Leo Hayter verso Santa Caterina Valfurva che ha scombussolato Giro U23 e tattiche di squadra (era in testa proprio il compagno Martinez), Romain ha mostrato una grande costanza di rendimento. 

Forte in salita, forte sugli strappi. Non a caso dominò il finale del Giro U23 sullo strappo di Pinerolo. Un colpo da finisseur. Ma come si può inquadrare un atleta così?

«Più che scalatore – spiega Gannat – Romain è prima di tutto un “puncher”, cioè un combattente, con qualità di arrampicatore. Il suo ottavo posto nella Strade Bianche dimostra che ha il potenziale per brillare in eventi difficili di un giorno come le Ardenne o le classiche italiane».

«Ma sono anche convinto che le sue qualità di scalatore progrediranno nei prossimi anni», come a dire che potremmo vederlo presto competitivo anche per le corse a tappe. Intanto aspettiamolo nelle corse di un giorno più dure.

Vandenbroucke, 13 anni fa la morte di una stella

12.10.2022
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Tredici anni sono passati, ma sembra ieri. Frank Vandenbroucke se ne andò il 12 ottobre 2009, in un albergo in Senegal, solo, all’ultimo passo di una discesa dolorosa. C’è chi dice che quell’epilogo così triste abbia dato un sapore di leggenda a tutta la sua storia, parallela ad altre di quei tempi, da Pantani a Jimenez, tutte con un finale tragico, epiche pagine strappate alla letteratura greca fatta di dei in terra.

I belgi ancora oggi amano follemente l’immagine di Frank. Il ragazzo che sembrava prestato al ciclismo da Hollywood e quella fama di “bello e dannato” lo aveva accompagnato da sempre, sin dai suoi esordi. Una vita che era legata intimamente al ciclismo, intanto per via delle origini, con il padre meccanico e lo zio Jean Luc ottimo protagonista dell’epoca di Merckx e Gimondi. Poi per quel ginocchio ballerino che lo tormentava da quando aveva 4 anni: girava con la sua piccola bici, quando un’auto lo prese in pieno. Tre mesi di ospedale, quattro operazioni: la leggenda narra che quel bambino non versò neanche una lacrima per il dolore, ma aveva pianto tutte le lacrime che aveva in corpo quando gli avevano dovuto tagliare il pantaloncino da ciclista…

Frank Vandenbroucke era nato il 6 novembre 1974 a Mouscron. In carriera ha vinto 46 corse
Frank Vandenbroucke era nato il 6 novembre 1974 a Mouscron. In carriera ha vinto 46 corse

Frank e Remco, simili e tanto diversi

Vandenbroucke come Evenepoel, accomunati da un passaggio repentino dall’epoca dei giochi, delle vittorie da junior subito a quella degli adulti, delle cose serie saltando a pie’ pari un’intera categoria. Oggi si discute ancora se quella scelta fatta dalla Quick Step sia stata giusta, anche per le conseguenze che ha creato in tutto il sistema. Allora sembrò quasi naturale: troppo forte Frank. Un talento simile andava subito messo alla prova sui grandi teatri, non su quelli di provincia…

Vinse subito, Frank e ad ogni vittoria faceva impazzire le ragazze, con quei suoi capelli biondo tinto, quel suo fare da attore consumato. Vinceva gare importanti, in linea e a tappe e ogni vittoria non era mai comune come non lo erano le sconfitte come quella al Fiandre nel testa a testa con Museeuw, il ciclista canonico, campione sui pedali, ma che non regalava quei guizzi di fantasia né dava spunti al gossip. La sua più bella vittoria? Lui disse la Liegi della fuga sulla Redoute, a 30 chilometri dal traguardo spingendo sul 39×17, vanificando gli sforzi di Bartoli che puntava al poker, ma che, come gli altri, si era accorto che quel giorno il belga volava.

La sua vittoria più importante, alla Liegi del 1999, con 30″ su Boogerd
La sua vittoria più importante, alla Liegi del 1999, con 30″ su Boogerd

In un giorno, il paradiso e l’inferno

Una favola, che stava però per tramutarsi in un dramma ed è curioso come le due facce della medaglia coincidano in uno stesso periodo, in uno stesso evento: la Vuelta del 1999. Gli dei sanno essere ironici e regalare quanto c’è di più bello e di più brutto pressoché nello stesso momento…

Frank ha già vinto una tappa, a lui non si chiede altro, ma quel mattino, arrivato di buon’ora per le operazioni di partenza, si accorge che al mezzo promozionale della Saeco c’è una ragazza talmente bella che tutta la fila è per farsi dare il caffè da lei e avere insieme un sorriso. Frank resta qualche lungo secondo attonito, poi chiama a sé Massimiliano Lelli, suo compagno alla Cofidis: «Dai, dimmi che la conosci, dimmi che me la presenti». Il toscano di buon grado lo accontenta e Frank diventa un cliente abituale, fa la fila anche più volte, s’imbottisce di caffè quel giorno e quello dopo e quello dopo ancora.

Passato pro’ a 19 anni, il belga entrò subito nel cuore dei tifosi, calamitando attenzione e sponsor
Passato pro’ a 19 anni, il belga entrò subito nel cuore dei tifosi, calamitando attenzione e sponsor

Una super vittoria in montagna

Tappa di montagna. Frank è esaltato da quegli occhi e si spinge: «Oggi vincerò per te e ti porterò il mazzo di fiori dato in premio». Sarah, questo il nome della ragazza, lo prende in parola e promette che sarà lì al traguardo ad aspettarlo. Vandenbroucke mette la squadra alla frusta: si arriva ad Avila, traguardo proibitivo per uno come lui, ma quel giorno il belga ha forze da Ercole. Anticipa tutti, se ne va a 70 chilometri dal traguardo, non lo vedono più e coloro che lottano per la maglia amarillo si accontentano di darsi battaglia quando Frank è già arrivato. Prende il mazzo e glielo porta: «Sei un uomo di parola» gli dice Sarah con un bacio sulla guancia. E’ quella la vittoria più bella, ma dai risvolti amari…

Alla sera la sua eccitazione non ha limiti. Non riesce a dormire. Il compagno di stanza gli suggerisce una soluzione: «Prendi dal frigobar una bottiglietta di alcol e manda giù un sonnifero». In quel momento non sa di vestire la figura del diavolo tentatore. Frank, ignaro, ci casca e scivola in un gorgo, quello della dipendenza.

Quando arrivava alla partenza le attenzioni erano tutte per lui, come un attore sul red carpet…
Quando arrivava alla partenza le attenzioni erano tutte per lui, come un attore sul red carpet…

Il delirio e la maglia iridata

Scivola sempre più giù, schiavo delle sostanze. Sono quelli gli anni del doping, certo, ma la sua storia con quella piaga c’entra fino a un certo punto, va ben oltre perché è lui che va oltre, arrivando alla cocaina, all’amfetamina. Il dio del pedale diventa sempre più anonimo, ai margini. Le squadre non ci credono più perché quello non è il Frank Vandenbroucke che avevano imparato a conoscere.

Una sera Vandenbroucke diventa preda del suo delirio. Si mette la maglia di campione del mondo, quella che non aveva mai vinto e aveva dovuto acquistare. Manda giù una bottiglia di vino, la più costosa e insieme s’imbottisce di cocaina. Lo salva la madre, trovandolo riverso nella sua stanza. La corsa in ospedale, il salvataggio in extremis. Ma sono solo i prodromi della sua fine che come spesso accade a chi ha conosciuto la massima popolarità avviene nella solitudine di una stanza d’albergo, il 12 ottobre 2009. A quasi 35 anni. Un talento sbocciato troppo presto, senza la forza mentale per gestirlo.

Gilbert: tappe e frasi di una carriera da immortale

28.09.2022
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Tra pochi giorni la sua carriera arriverà al traguardo. L’ennesimo. L’ultimo. Philippe Gilbert è pronto all’ultima recita e la farà a Valkenburg, davanti ai rivali di una carriera lunghissima, durata un ventennio e contraddistinta da tantissime vittorie. Non tutte quelle che avrebbe voluto: quel traguardo che tanto agognava resterà proibito, la conquista di tutte le Classiche Monumento, ma quando porti a casa 81 successi lo puoi anche accettare e il vallone lo ha fatto. Chiude in pace con se stesso.

Tra questi 81 successi c’è di tutto. Ha vinto tappe in tutti e tre i grandi giri, ha conquistato classiche a iosa, ha anche vestito la maglia iridata ma soprattutto è stato un esempio. E allora riviviamo la sua carriera attraverso alcune magie, quelle per le quali ha reso unica la sua carriera.

Il primo Lombardia di Gilbert. Ne vincerà un altro, l’anno dopo con 12″ su Scarponi
Il primo Lombardia di Gilbert. Ne vincerà un altro, l’anno dopo con 12″ su Scarponi

Lombardia 2009, logica conseguenza

Il corridore della Silence Lotto viene da un periodo folgorante: nelle ultime tre corse ha vinto sempre lui, Coppa Sabatini, Paris-Tours, Gran Piemonte e sono tutte gare una diversa dall’altra. Quando mai uno che vince la classica francese dei velocisti poi va al Lombardia e vince? Invece il belga fa proprio così, nel finale evade con l’olimpionico di Pechino 2008 Samuel Sanchez e lo batte allo sprint con gli altri ad appena 4”. «Con questa condizione posso vincere dappertutto – risponde a chi sottolinea l’anomalia di cui sopra – in salita, in volata, dove volete…».

Alla Doyenne solo i fratelli Schleck reggono i suoi attacchi, ma cedono in volata
Alla Doyenne solo i fratelli Schleck reggono i suoi attacchi, ma cedono in volata

Liegi 2011, più forte degli Schleck

A un certo punto qualche dubbio gli è passato nella testa. In fuga non solo con due che sono compagni di squadra, ma che sono anche fratelli… Gli Schleck non hanno bisogno di parlarsi, basta uno sguardo, un cenno. Gilbert si sente schiacciato, ma com’era successo due anni prima ha una gamba folgorante. In settimana si è portato a casa Amstel Gold Race e Freccia Vallone, ha la possibilità di imitare il magico trittico di Rebellin e non se la fa sfuggire.

Parte ai 250 metri, volata lunga alla quale né Andy né Frank riescono a rispondere. «Ero solo contro due, che dovevo fare? Ho capito che potevo vincere quando mi sono accorto che Andy si stava sacrificando per il fratello, mi ha reso la cosa più facile». I giornalisti gli chiedono della Roubaix, che ha solo “assaggiato” nel 2007: «E’ pericolosa, c’è una lunga lista di corridori che sono caduti con conseguenze molto pesanti. Io non ho voluto rischiare il resto della mia stagione, vedremo col tempo».

In Olanda il belga anticipa tutti. Boasson Hagen batte Valverde nella volata del gruppo
In Olanda il belga anticipa tutti. Boasson Hagen batte Valverde nella volata del gruppo

Mondiali 2012, la stoccata del Cauberg

Si corre in casa dei rivali olandesi e questo dà sempre ai belgi quel qualcosa in più. Oltretutto si gareggia a Valkenburg, sulle strade dell’Amstel Gold Race che Gilbert gradisce molto avendola vinta già due volte. Alla Vuelta ha affinato la condizione con due successi di tappa, in Olanda aspetta finché Nibali non accende la miccia sul Cauberg e parte. A molti il suo scatto ricorda la “fucilata di Goodwood” di Saronni di trent’anni prima.

In sala stampa gli chiedono incessantemente della sua collezione di classiche d’un giorno, della ricerca del completamento di quel Grande Slam centrato solo da Van Looy, Merckx e De Vlaeminck, guarda caso tutti e tre belgi ma fiamminghi. Quell’ossessione sembra quasi più degli altri che sua…

Un Fiandre vinto alla sua maniera, di forza. Van Avermaet finisce a 29″
Un Fiandre vinto alla sua maniera, di forza. Van Avermaet finisce a 29″

Fiandre 2017: non ci si nasconde più…

Dopo aver conquistato tutte le classiche delle Ardenne, il pensiero di diventare re anche nel Nord inizia a solleticare la fantasia di Gilbert. Ma sono gare diverse e lo sa bene. Nel 2017 prova il tutto per tutto, ma cambia completamente il suo modo di correre: sul Kwaremont, a 55 chilometri dalla conclusione, si mette in testa al gruppo e lo disintegra, uscendone con 25” di vantaggio. Dietro ci sono due gruppi, quello di coloro che hanno provato a seguirlo e quello dei big. Si ricompongono, senza però mettersi d’accordo nell’inseguimento e Gilbert se ne va, arrivando a un minuto e mezzo. Ci prova Sagan, la sua maglia iridata attira Van Avermaet, Terpstra e Van Baarle ma ripassando sul Kwaremont va troppo vicino al pubblico, il suo manubrio s’incastra sul giaccone di uno spettatore e finisce a terra. L’ammiraglia è lontana, la gara è andata. Gilbert ringrazia e approfitta, vincendo con 29” su Van Avermaet.

A quel punto la Roubaix lo aspetta e Gilbert accetta la sfida: «La Roubaix è come la Liegi, se le gambe sono buone sai di poter vincere. Il problema vero è la Milano-Sanremo, guardate Sagan, si presenta ogni volta da grande favorito e non la centra mai…».

Sprint a due con Politt, anche la Roubaix è sua. Manca solo la Sanremo, dove è 3° per due volte
Sprint a due con Politt, anche la Roubaix è sua. Manca solo la Sanremo, dove è 3° per due volte

Roubaix 2019: il ciclismo non è matematica…

Dopo l’apprendistato dell’anno prima, Gilbert a 37 anni centra il successo più inatteso della sua carriera. E lo fa alla sua maniera, con tre attacchi che sbriciolano il gruppo con il solo tedesco Politt che regge la sua scia ma che in volata al velodromo non è un ostacolo, quasi intimidito al cospetto di un tale campione. «Tutti mi dicevano che il pavé non fa per me – sentenzia davanti ai giornalisti – ma sapevo come trasferire le mie qualità di scattista. Nella vita, c’è sempre bisogno di sfide entusiasmanti per contrastare il trascorrere del tempo».

Resta solo la Sanremo, dov’era stato 3° nel 2008 e 2011. Ci prova, nel 2020 è nono, ma la Classicissima è corsa che sfugge a tutti i dettami pur avendo un percorso che è quasi un rituale. Con quell’unico buco nella sua carriera Gilbert inizia a fare pace. Ora cala il sipario, ma prima c’è ancora una frase regalata ai taccuini da ripetere perché racchiude in sé tutta la carriera del corridore di Verviers: «Io sono un “puncheur”, un attaccante. Se non rischi mettendo i tuoi avversari alle corde non vinci». Guardate coloro che vincono e entusiasmano ora, da Van Aert a Evenepoel, da Van Der Poel a Pogacar: quell’assioma lo hanno imparato a memoria…

Alaphilippe, via all’operazione Tour con qualche domanda

07.06.2022
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Sono passati 47 giorni dalla caduta di Julian Alaphilippe alla Liegi-Bastogne-Liegi e dal suo ricovero all’ospedale di Herentals, la città di Van Aert. Era il 24 aprile e il colpo fu violentissimo. Il campione del mondo finì contro un albero a circa 70 all’ora e il colpo fu così violento che il francese riportò la frattura di una clavicola e di due costole, oltre a un emopneumotorace (un versamento di sangue tra il polmone e la parete del torace). La sua compagna Marion e il figlio Nino furono costretti a raggiungerlo in Belgio, dato che Julian non era ancora in grado di viaggiare. Poi le cose hanno iniziato a risolversi con la velocità tipica dei corridori.

E’ il 24 aprile, Romain Bardet scende nella scarpata per soccorrere Alaphilippe (immagini televisive)
E’ il 24 aprile, Romain Bardet scende nella scarpata per soccorrere Alaphilippe (immagini televisive)

Dai rulli all’altura

Il 12 maggio infatti, leggendo le cronache de L’Equipe, Alaphilippe ha fatto sapere che il pneumotorace si era completamente risolto e che avrebbe potuto riprendere ad allenarsi in modo blando sui rulli. Questa fase è durata il minimo indispensabile. Infatti dopo pochissimo tempo, Alaphilippe è sceso dai rulli ed è tornato su strada. Al punto che i medici della Quick Step hanno dato il via libera per la partecipazione dell’iridato al training camp in altura di Sierra Nevada di fine maggio (foto Instagram di apertura).

«Sono super felice di essere qui – ha detto dopo il primo allenamento con Senechal e Jakobsen – fa bene al morale tornare in mischia. Il mio programma è piuttosto leggero rispetto agli altri, i carichi di lavoro sono completamente diversi. Devo attenermi a questo, è importante non esagerare. Faccio principalmente uscite di resistenza. Non posso fare sprint e sforzi violenti. Bisognerà vedere come si evolverà la situazione. Per ora non so quando tornerò in gruppo, ma sono felice».

I medici della Quick Step hanno dato via libera ad Alaphilippe, visti i suoi miglioramenti (foto Instagram)
I medici della Quick Step hanno dato via libera ad Alaphilippe, visti i suoi miglioramenti (foto Instagram)

Porte aperte al Tour

La pagina Tour de France va aperta con cautela. Se il recupero proseguirà senza intoppi, il francese potrebbe essere in tabella per arrivare al primo luglio nelle condizioni giuste. Ma come è facile intuire, ogni cosa dovrà procedere senza il minimo intoppo.

«Non si può escludere che ci siano complicazioni – dice Lefevere, consapevole delle differenze di un Tour con o senza la maglia iridata in gruppo – ma deve rimanere cauto. Terremo aperte le porte del Tour fino all’ultimo momento, ma Julian non può fare miracoli. Anche se tutto va bene, sarà limitato».

Motivazioni a mille

I corridori allontanano i limiti e alzano l’asticella. L’esempio di Bernal è ancora davanti agli occhi e anche se non è sempre rose e fiori, abbiamo imparato che la giusta mentalità permette di spianare anche gli ostacoli più alti.

«Mi sto allenando tranquillamente – dice Alaphilippe – e senza stress, ma sempre con l’idea di partecipare al Tour. Se ci riuscirò, la mia condizione non sarà certamente ottimale e la preparazione diversa dal solito, ma non è questa la cosa più importante. Ho recuperato velocemente e bene, ho ripreso abbastanza presto a pedalare e fare il Tour è un obiettivo che mi motiva molto. Questo è essenziale».

Al Tour 2021 un giorno in maglia gialla, poi presa da Van der Poel
Al Tour 2021 un giorno in maglia gialla, poi presa da Van der Poel

Punto a fine giugno

Non ci sono date previste per il recupero. Inizialmente Julian aveva previsto di rientrare al Delfinato e poi sarebbe andato in ricognizione su alcune tappe del Tour, prima di partecipare ai campionati nazionali.

«Ma giugno è arrivato troppo in fretta – ha detto Lefevere – Julian ha un grande morale, le sue ferite si sono rimarginate in fretta, ma nessuno è in grado di dire quando tornerà in gara».

Il Delfinato intanto è partito senza di lui, il campionato nazionale sarà un’importante verifica. Se dovesse saltarlo, anche il Tour sarebbe necessariamente a rischio. In caso contrario, lo vivrà come importante verifica, prima di prendere la decisione definitiva.

Vollering 2022

Demi Vollering: la delfina si sta facendo strada…

25.05.2022
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A ben guardare, l’atleta più in evidenza in questa fase della stagione femminile, di intermezzo fra le classiche del Nord e l’inizio delle grandi corse a tappe con Giro e Tour in rapida sequenza, è Demi Vollering. L’olandese della Sd Worx ha portato a casa l’Itzulia Basque Country conquistando tutte le tappe e poi ha chiuso terza nella Vuelta a Burgos dopo aver vinto l’ultima tappa. Una bella risposta a chi, a fronte delle tante vittorie italiane nella primavera e delle conseguenti sconfitte olandesi, l’aveva definita non all’altezza delle grandi stelle del ciclismo arancione.

Se dobbiamo parlare di Demi Vollering, da tutti indicata come la futura guida del ciclismo di Amsterdam quando Annemiek Van Vleuten si deciderà a chiudere la sua fantastica carriera (ma considerando com’è ancora capace di fare la differenza come all’ultima Liegi-Bastogne-Liegi, non è cosa imminente…), non possiamo prescindere da un’altra campionessa, Anne Van Der Breggen, perché i loro destini sono fortemente legati.

Vollering Itzulia 2022
Itzulia Basque Country, prima tappa. Demi batte la Rooijakkers, avversaria e grande amica
Vollering Itzulia 2022
Itzulia Basque Country, prima tappa. Demi batte la Rooijakkers, avversaria e grande amica

Un piazzamento che vale il futuro

Demi ha iniziato tardi a correre nel 2015, quando aveva già 19 anni. Ha fatto la sua gavetta, correndo prima nelle gare nazionali e poi facendosi sempre più vedere all’estero finché nel 2019 non strappa un contratto alla ParkHotel Valkenburg e che ci sappia fare è subito evidente, con il 7° posto all’Amstel e soprattutto il 3° alla Liegi vinta per distacco, ma guarda un po’, dalla Van Vleuten. In quel gruppetto in lotta per le piazze d’onore c’è anche Anna Van Der Breggen, che rimane colpita da quella ragazza. Si informa per capire chi è, come è arrivata a quei livelli. Insomma inizia a seguirla.

Anna vorrebbe staccare la spina, ma arriva il lockdown che sposta le Olimpiadi di un anno e quindi le tocca tirare avanti una stagione in più rispetto alle aspettative. La grande campionessa olandese però, già in procinto di “saltare la barricata” e diventare dirigente del team, pensa al futuro e cerca un’erede. Chiama Danny Stam, il diesse della Sd Worx e gli dice di fissare un incontro con quella ragazza: «Se devo tirare avanti un altro anno – è il succo del discorso – facciamo che sia produttivo e possa gettare le basi per quando non correrò più. Portiamola qui, poi ci penso io».

Vollering Breggen 2021
Con Anna Van Der Breggen subito una strettissima intesa, prima in gara e ora fra diesse e atleta
Vollering Breggen 2021
Con Anna Van Der Breggen subito una strettissima intesa, prima in gara e ora fra diesse e atleta

«Sei partita troppo presto»

A quei giorni, Demi pensa spesso: «Mi avevano contattato diversi team, ma nessuno mi ha fatto sentire desiderata come la Sd Worx. Non potevo proprio rinunciarvi. Mi sono sentita protetta, importante e soprattutto ho trovato in Anna una vera guida. Mi diceva che alla mia età andava come me, bene in salita ma con un ottimo sprint, ma questo non basta, per vincere serve tanto altro. In ogni corsa mi ha detto dove avevo fatto bene e dove meno. Sa anche essere dura: ricordo che alla Freccia Vallone 2020, dove ero finita terza mentre lei aveva vinto, la prima cosa che mi ha detto è stata “sei partita troppo presto, altrimenti potevi vincere tu”. Mi aveva già preso sotto la sua ala…».

Le due sono diventate quasi inscindibili. Nel suo ultimo anno di attività, Anna ha provato a insegnarle tutto quel che poteva stando con lei in corsa, facendole capire che presto sarebbe toccato a lei gestire la squadra, finalizzare le azioni. Nel 2021 il salto di qualità era stato evidente, con podi in serie fino alla conquista della sua prima “Monumento”, la Liegi, a cui sarebbero seguite altre due vittorie nel World Tour, in due corse a tappe: «Aver vinto la Liegi a inizio stagione mi ha tranquillizzato, mi ha liberato – affermava a fine anno – ma so che devo essere almeno a questi livello per altri due anni prima di poter dire veramente che sono tra le migliori del mondo». Gli insegnamenti della Van Der Breggen erano stati recepiti…

Vollering Liegi 2021
L’olandese alla Liegi 2021, fra la Van Vleuten e la Longo Borghini
Vollering Liegi 2021
L’olandese alla Liegi 2021, prima con la Longo Borghini, terza

Un successo per Amy

Anna era a quel punto tranquilla, lasciava la squadra in buone mani. Ora è dall’altra parte, ma con Stam sa che a Demi serve una rete intorno di cicliste in grado di supportarla, per questo pensa già alla campagna acquisti per il prossimo anno. Demi da parte sua ha vissuto l’inizio di stagione, il primo da capitana unica, non senza patemi e quei risultati che non arrivavano la rendevano sempre più nervosa.

Lo si era capito già all’Omloop Het Nieuwsblad, alla sua prima uscita stagionale, battuta nello sprint a due dalla Van Vleuten. Sul traguardo non poteva nascondere le lacrime: «Volevo vincere, volevo dedicare questa gara ad Amy (l’ex campionessa europea Amy Pieters in coma dopo una terribile caduta nel ritiro della nazionale olandese a Calpe in dicembre, ndr) che sta correndo una gara ben più difficile delle nostre».

Vollering Strade Bianche 2022
Demi Vollering, nata il 15 novembre 1996, è numero 2 del Ranking Uci
Vollering Strade Bianche 2022
Demi Vollering, nata il 15 novembre 1996, è numero 2 del Ranking Uci

E ora un sogno giallo…

Il fatto che la Vollering stia emergendo nelle corse a tappe non è un caso. Quel che ha fatto nei Paesi Baschi resterà nella storia, mai una ciclista era riuscita a fare filotto di successi senza lasciare nulla alle avversarie: «Sono stata fortunata – ha affermato dopo l’ultima delle tre vittorie – mi sono ritrovata con la possibilità di vincere e l’ho fatto. Ora posso cancellarlo dalla mia lista dei desideri, ho più fiducia per il Tour».

Già, il Tour. Ci sta pensando da tempo e la stessa Van Der Breggen non ha mai nascosto che, non potendo lei competere (troppo tardi la corsa francese è stata reintrodotta nel calendario, lei che non era stata selezionata per l’ultima edizione della precedente gestione, nel 2009) ha identificato per la sua squadra il Tour come obiettivo privilegiato del 2022. «Il Tour passerà vicino casa mia in Svizzera – ha affermato la Vollering – La Planche des Belles Filles è una salita che mi piace molto e che mi si addice. E anche il giallo mi si addice molto…».

La Liegi dall’ammiraglia: Bramati e i suoi pensieri

30.04.2022
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La settimana scorsa a quest’ora, nella testa di Evenepoel l’idea di attaccare sulla Redoute aveva già preso probabilmente forma. La ricognizione del venerdì e le corse prima avevano ribadito la sua ottima condizione. E anche se il capitano designato sarebbe stato Alaphilippe, nella squadra belga sapevano che il ragazzino non sarebbe passato inosservato. Bramati racconta (la foto di apertura è ripresa da Facebook Quick Step-Alpha Vinyl/Getty Images). Le ore che mancano alla partenza per il Giro sono piene di cose da fare, compreso un trasloco, ma tutto sommato il bergamasco si accomoda volentieri nel ricordo della Liegi di domenica scorsa.

«Già dai Baschi – dice – si era visto che Remco fosse in condizione, pur essendo andato a lavorare per Julian. Secondo nella crono, terzo il quinto giorno dietro Martinez e Rodriguez. Alla Freccia del Brabante aveva dimostrato di stare bene e alla Freccia Vallone ha fatto la sua parte per Alaphilippe. Abbiamo visto qualche edizione della Liegi, sappiamo come si possono mettere le cose. Abbiamo corso come quando la vinse Jungels, anche se il finale era diverso. Si sapeva che dietro potevano riorganizzarsi, ma non l’hanno fatto…».

La caduta di Alaphilippe

Il giorno della Liegi sembrava perfetto per la vittoria del campione del mondo. Alaphilippe e la sua maglia iridata fendevano il gruppo con la predestinazione dei giorni migliori nello sguardo. Per questo, quando il gruppo si è accartocciato su se stesso nel tratto di collegamento fra la Cote de Haute Levée e la Rosier, c’è voluto un po’ per convincersi che con la schiena contro l’albero, in fondo alla scarpata, ci fosse proprio lui.

«Non si è ancora capito bene che cosa sia successo – va avanti Bramati – ma di certo sono momenti non belli, perché la corsa deve andare avanti. I minuti dopo la caduta sono stati traumatici, ma certe cose fanno parte del nostro lavoro, per cui quando abbiamo visto che Julian era con i medici siamo andati via. La cosa incredibile, la beffa è che il venerdì eravamo partiti da lì con la ricognizione, nella zona dopo Stockeu e Haute Levée dove cominciano gli spartitraffico e dove c’è sempre un po’ di nervosismo…».

Farina del suo sacco

Senza più Alaphilippe da guardare, la Quick Step-Alpha Vinyl ha resettato la tattica. Gli attacchi di Landa, pur violenti, non sarebbero andati da nessuna parte, vista la velocità del gruppo. Anche lo squadrone belga aveva pensato di mandare via qualcuno per anticipare la Redoute, ma si andava troppo forte.

«Anche se erano larghi sulla strada – dice Bramati – sono andati fortissimo. Mauri Vansevenant ha fatto un lavorone a tenere davanti Remco e poi Vervacke lo ha portato a prendere la Redoute nelle prime dieci posizioni. Sono stati bravissimi, nonostante fossero rimasti soltanto in tre. Ma credo che quando è partito, Remco abbia improvvisato. Avevamo pensato che il punto giusto fosse la curva a destra in cima alla Redoute, alla fine del rettilineo dopo lo scollinamento. Quello scatto è stato farina del suo sacco».

Tutta la Quick Step-Alpha Vinyl ha fatto un gran lavoro. Qui il gigantesco e prezioso Declercq
Tutta la Quick Step-Alpha Vinyl ha fatto un gran lavoro. Qui il gigantesco e prezioso Declercq

Una lunga crono

Scherzando, ma neanche troppo, nella conferenza stampa dicemmo a Remco che era parso di vedergli la stessa disinvoltura di quando attaccava e vinceva fra gli juniores.

«Lo abbiamo visto in questi anni – prosegue l’analisi di Bramati – che ha grandi capacità di andare forte a cronometro. Dopo la Roche aux Faucons c’era vento contrario, ma ha scollinato bene e continuato a guadagnare. Sapevamo che chi avesse avuto la gamba per fare lì l’azione, sarebbe stato ben lanciato. E Remco ha preso il suo ritmo. Ha recuperato Armirail e non gli ha chiesto un solo cambio. Ci accusano che non si lasciano più andare le fughe. Ci credo… Guardate proprio il corridore della Groupama! Lo abbiamo ripreso praticamente sulla Roche aux Faucons. Non si possono prendere le fughe sotto gamba, perché non sai mai chi lasci davanti. Per questo Remco ha tirato dritto e ha fatto un numero, con le squadre a lavorare dietro».

Un nuovo inizio

Evenepoel solo al comando, 29 chilometri al traguardo. Anche Frank Vandebroucke vinse la sua Liegi del 1999 attaccando da lontano, ma fu ripreso e trovò poi la forza per staccare nuovamente tutti. Evenepoel non ha concesso repliche.

«E’ stato bravo – dice Bramati – dopo la Roche ha scollinato bene. Ha tenuto il suo passo, mentre dietro l’ammiraglia lo ha incoraggiato, perché piace a tutti essere motivati. Credo abbia fatto un numero di cui si parlerà a lungo. Non sono ancora quattro anni che è professionista e ha già vinto 26 corse, adesso anche una Monumento. C’erano state un po’ di polemiche per averlo portato al Giro l’anno scorso dopo 10 mesi che non correva, ma non è stata una situazione facile. Con calma è tornato quello di prima e lui è uno di quelli che corre per entusiasmare. Vincere la Liegi a 22 anni dopo quell’incidente fa pensare che anche Julian, dopo essersi ripreso, tornerà in corsa con una determinazione superiore. Ora però è importante che Remco stia tranquillo. La sera abbiamo cenato insieme e fatto un brindisi. Contiamo tutti che questa Liegi sia un inizio, qualcosa che lo gasi. Sfido chiunque a non sentirsi gasato dopo 29 chilometri a quel modo…».

Hermans 2022

Hermans a Liegi, uno sprint sognato una vita

27.04.2022
5 min
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Avevamo imparato a conoscere Quinten Hermans nel ciclocross. Non un corridore qualsiasi, ma uno dei più forti, almeno dopo i “tre tenori”. Dallo scorso anno avevamo anche cominciato a seguirlo non solo d’inverno, ma anche su strada. Resta però il fatto che il secondo posto di domenica alla Liegi-Bastone-Liegi abbia avuto un sapore speciale e per molte ragioni. Innanzitutto perché è stato il primo podio in una Classica Monumento nella storia dell’Intermarché Wanty Gobert. Poi perché lo ha ottenuto battendo in volata proprio uno di quei tre, Wout Van Aert, che gli ha sempre fatto mangiare terra e sabbia, ogni inverno.

«Sapevo che la mia condizione era abbastanza buona per sopravvivere a tutti questi chilometri – raccontava subito dopo la gara – ma quando ho guardato la lista di partenza, ho capito subito che non ero l’unico in grado di farcela. Fortunatamente, la gara è andata in modo perfetto. Sono sempre stato in testa al momento giusto e queste strade sono ideali per me: gli sforzi durano al massimo cinque minuti. Inoltre, so che il mio sprint resta buono dopo una gara lunga e dura. Ho solo fatto buon uso di tutto ciò».

La volata per il secondo posto a Liegi: è il primo podio in una Monumento per l’Intermarché (foto Twitter)
La volata per il secondo posto a Liegi: è il primo podio in una Monumento per l’Intermarché (foto Twitter)

Piva aveva visto le sue possibilità

Valerio Piva, il suo diesse, ha iniziato a conoscerlo lo scorso anno e dalla sua testimonianza di capisce come l’esplosione di Hermans fosse solo questione di tempo: «Lo portai al Giro dei Paesi Baschi, sapevo che aveva bisogno di tempo per recuperare dagli sforzi invernali, ma intuii subito che aveva un’esplosività tipica del ciclocrossista, una grande esuberanza tanto che andava quasi frenato, tanto era il suo ardore nell’affrontare le corse. Lavorandoci sopra, ha affiancato a queste qualità anche il fondo tipico dello stradista e ne è venuto fuori un corridore ideale per le classiche delle Ardenne».

Hai avuto bisogno di tempo per inquadrarlo?

Sì, è normale che sia così, ma già lo scorso anno fece vedere belle cose, finì vicino ai primi 10 alla Freccia Vallone e fu con i migliori alla Liegi fino alla Roche aux Faucons. Fu però al Giro d’Italia che mi colpì, fu lì che provò a sfruttare l’esuberanza di cui parlavo prima. Andava quasi sempre in fuga, era sempre tra i più attivi a inizio tappa e colse anche qualche buon piazzamento. Lì capii che, con una preparazione mirata, poteva fare grandi cose nelle classiche.

Hermans Van Aert 2022
Van Aert si complimenta con Hermans: dopo tante sconfitte nel ciclocross, una vera rivincita
Hermans Van Aert 2022
Van Aert si complimenta con Hermans: dopo tante sconfitte nel ciclocross, una vera rivincita
Cosa avvenuta quest’anno…

Eppure non è stato un avvicinamento facile. Aveva iniziato bene la stagione su strada, al Giro dei Paesi Baschi era già con i primi ma dopo essere stato terzo nella seconda tappa, alla terza ha chiuso con 39 di febbre e come lui gli altri compagni tanto che ho dovuto portarli via tutti. Era disperato, temeva di perdere proprio le classiche alle quali teneva di più. Da allora non ha corso più, si è allenato e una settimana prima siamo andati a fare la ricognizione sia della Freccia che della Liegi. Ha interpretato la prima come preparazione della seconda e i risultati si sono visti.

Il suo secondo posto ti ha sorpreso?

Per certi versi sì, considerando da che cosa arrivava. Sapevo che poteva far bene, sapevo anche che ha uno spunto veloce, ma quando in una volata secca ti ritrovi a battere Van Aert, significa che vali davvero tanto, anche perché non era stata una gara semplice. Ha corso con molta attenzione, gestendosi al meglio.

Hermans Giro 2021
Hermans è nato ad Anversa il 29 luglio 1995. Vanta 6 vittorie su strada, nel CX due titoli mondiali U23
Hermans Giro 2021
Hermans è nato ad Anversa il 29 luglio 1995. Vanta 6 vittorie su strada, nel CX due titoli mondiali U23
Battere in volata Van Aert, per un ciclocrossista come lui, deve aver avuto un significato particolare…

Credo che neanche lui se lo aspettasse. Alla radio glielo avevo detto: « Guarda che sei veloce, guarda che dopo una gara simile te la puoi giocare». Con Van Aert su 10 sprint ne perderà 9, ma in una situazione simile, con l’avversario alla sua prima gara dopo il Covid, non brillante come sempre, aveva le sue possibilità. Ho avuto l’impressione che anche Van Aert sia rimasto sorpreso dall’essere stato rimontato.

Quest’inverno Hermans aveva iniziato la stagione alla grande, vincendo nella tappa di Coppa del Mondo di ciclocross a Fayetteville tanto che Pontoni lo dava tra i favoriti per il mondiale, l’impressione è che però poi abbia un po’ calato il rendimento: pensava già alla strada?

Un po’ sì, ma non è solo per questo. Hermans ha sempre avuto un grande avvio di stagione, poi andava un po’ spegnendosi. E’ un corridore che vive molto di sensazioni, ad esempio soffre molto la rivalità con Iserbyt, ha come un complesso d’inferiorità. Durante la stagione del ciclocross abbiamo fatto un ritiro su strada e lui è venuto, ci aveva detto che teneva ai mondiali, ma anche che pensava molto al periodo delle Ardenne, credo che questo un po’ abbia influito sul suo rendimento a gennaio.

Fayetteville Hermans 2021
L’arrivo vittorioso di Hermans nella prova di Coppa 2021 a Fayetteville (foto D.Mable/CXMagazine)
Fayetteville Hermans 2021
L’arrivo vittorioso di Hermans nella prova di Coppa 2021 a Fayetteville (foto D.Mable/CXMagazine)
Il suo secondo posto è stata la ciliegina sulla torta per la vostra squadra.

Se me lo avessero detto all’inizio, di un avvio simile, avrei messo mille firme. Già 6 vittorie in stagione, con due classiche con Girmay a Wevelgem e Kristoff alla Schelderprijs e poi piazzamenti alla Roubaix e alla Liegi, significa che abbiamo lavorato bene, soprattutto in confronto allo scorso anno quando l’inizio non fu favorevole. I problemi non sono mancati, vedi quanto successo al Paesi Baschi, ma la stagione è ancora lunga.

Ora arrivano i grandi giri, dove la vostra squadra si è sempre ben distinta.

Ai ragazzi ho sempre parlato chiaro: non abbiamo l’uomo da classifica né il velocista per le tappe, quindi dobbiamo correre lavorando di fantasia, inventare ogni tappa e i risultati si sono visti Quest’anno al Giro avremo una squadra più forte dello scorso anno, con Hirt e Pozzovivo per la classifica, Girmay, Rota e Taaramae per le tappe, un bel mix di esperienza e freschezza. Non siamo lì per vincere la maglia rosa, ma per fare bottino e mettere pepe in ogni frazione. Hermans non ci sarà, sarà utile più avanti.

Aleotti a scuola di Nord: che cosa ha imparato?

25.04.2022
5 min
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La prima volta di Aleotti al Nord sa di cauta scoperta e sarebbe d’altra parte ingiusto paragonarlo a Evenepoel che, pure debuttante e con un anno in meno, è alla quarta stagione da pro’ e ieri ha centrato il bersaglio pieno. L’emiliano della Bora-Hansgrohe, ben guidato da Gasparotto nel suo secondo anno nel gruppo, aveva messo nel mirino Amstel, Freccia e Liegi già dall’inverno. Ma in questa bizzarra epoca di pandemia, quasi nessun piano si è attuato come nel desiderio di chi l’aveva progettato. E Aleotti non è sfuggito alla regola.

«E’ stato un inizio di stagione complicato – dice nella hall dell’hotel della squadra – puntavamo a fare bene proprio quassù, ma ovviamente doveva essere tutto perfetto. Invece a gennaio ho avuto il Covid mentre ero a correre e sono dovuto restare per una settimana di più in hotel. Perdere 10 giorni, avendo già fatto due training camp, non è il massimo. Mi stavo riprendendo, ma la sera prima della Sanremo ho cominciato a sentire dei dolori alle ossa. Ho corso e dopo l’arrivo, sul bus, avevo 39 di febbre. Sono rimasto altri cinque giorni senza bici, saltando Coppi e Bartali e altura. E così sono rientrato direttamente per Amstel e Freccia del Brabante. Mi sono sentito in crescendo, ma è meglio sforzarsi di prendere il buono. L’anno è ancora lungo».

Preparandosi ai piedi del pullman per la ricognizione sugli ultimi 90 chilometri della Liegi
Preparandosi ai piedi del pullman per la ricognizione sugli ultimi 90 chilometri della Liegi
Gasparotto dice che all’Amstel avresti potuto fare la tua corsa.

L’abbiamo studiata bene, visto che lui la conosce punto per punto. E’ molto complessa. Nella ricognizione ho notato che si passa più volte nello stesso punto, per cui ricordarsi tutto non è semplice e il modo migliore è correrla anno dopo anno. Fino a 60 chilometri dall’arrivo, diciamo fino alle 5 ore, stavo ancora bene. Poi mi sono spento. L’Amstel è diversa dalla Liegi. Ha salite brevi da fare tutte d’un fiato. Bisogna saper stare in gruppo senza rischiare.

La Freccia Vallone è un altro tipo di corsa.

E secondo me, mi si adatta. Mi è piaciuta molto. Abbiamo corso in funzione di Alex (Vlasov, ndr), supportandolo al massimo. Nell’ultimo giro comunque ero ancora lì. Il Muro d’Huy non lo avevo mai visto prima. L’abbiamo provato il martedì, facendo un giro e mezzo del percorso, per capire bene quelle salite. E’ un finale molto tecnico, vale la pena spenderci qualcosa…

Alla Freccia, fino all’ultimo giro, in salita assieme a Caruso e Thomas
Alla Freccia, fino all’ultimo giro, in salita assieme a Caruso e Thomas
In che senso?

E’ una cosa che ci dice spesso Gasparotto. In alcuni passaggi molto tecnici, devi spendere qualche energia in più per stare davanti e non avere problemi nei chilometri successivi. Mi ritrovo molto con Enrico, mi riconosco in lui come corridore. Inoltre è importante avere uno che ti spiega le cose nei dettagli, anche se alla radio cerchiamo sempre di parlare inglese per non escludere gli altri.

E allora parliamo ancora di lui. Ti ha consigliato di studiare i passaggi di gara?

Dice che è importante memorizzare i punti e i momenti decisivi. E dice anche che riguardarli alla televisione aiuta, perché l’occhio esterno a volte mostra cose che ti sono sfuggite. La dritta di prendere il Muro d’Huy non all’interno ma all’esterno, per non essere chiusi, ha portato Vlasov sul podio. I direttori vanno ascoltati.

Benedetti lo ha guidato nel debutto alla Liegi, conclusa in 77ª posizione a 10’55”
Benedetti lo ha guidato nel debutto alla Liegi, conclusa in 77ª posizione a 10’55”
Guardavi queste corse in televisione?

Assieme a mio padre, mi sono sempre piaciute. Anche il Fiandre, ma non so se ho il fisico adatto. Sono imprevedibili, altra cosa rispetto alle corse a tappe in cui dopo un po’ capisci le forze in campo.

E veniamo alla Liegi.

Abbiamo fatto una ricognizione di 90 chilometri, molto importante. E ieri siamo andati forte tutto il giorno. Si pensava che la serie di salite che inizia dallo Stockeu potesse combinare disastri, invece non ha fatto niente. I veri danni li ha fatti la caduta e noi per fortuna eravamo davanti per tenere Vlasov fuori dai guai. Come corsa mi è piaciuta molto, ma si capisce subito che la distanza fa la differenza. E in ogni caso Evenepoel ha fatto un grande numero.

Che cosa hai imparato?

Che conta davvero prendere una buona posizione all’attacco della Redoute. Una volta in cima, infatti, c’è poco per andare alla Roche aux Faucons, perciò è bene non perdere posizioni dove probabilmente ci sarà un attacco.

Ancora sul percorso della Liegi. Il venerdì è arrivato anche Higuita
Ancora sul percorso della Liegi. Il venerdì è arrivato anche Higuita
L’anno prossimo si torna per vincere?

Direi che è una prospettiva lunga, vediamo di andare per gradi. E comunque stavo bene, ho fatto il mio lavoro fino alla Redoute.

E adesso si pensa al Giro?

Prima si va a casa. Comunque sì, andremo con una bella squadra. Non abbiamo il velocista, ma diverse punte. E io mi aspetto di andare in crescendo. Non ci arrivo al top e spero di non calare poi in vista dell’estate. L’obiettivo sarà supportare i ragazzi, sapendo che in qualche giorno potrei avere un po’ di libertà. Ci vediamo al Giro, buon rientro anche a voi…

Attacco sulla Redoute e tanti saluti. La grande Liegi di Remco

24.04.2022
7 min
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«The worst crash I’ve ever seen», la peggior caduta che abbia mai visto. Alberto Bettiol tira su col naso e poi si dirige verso il pullman della squadra. Il riferimento è al mucchio violento che ha spezzato il gruppo a 59,5 chilometri dall’arrivo, dalle parti di Andrimont. Il più malconcio di tutti parrebbe al momento Alaphilippe, ripreso dalle telecamere sul fondo della scarpata. Aveva battuto la schiena anche alla Strade Bianche, fra tanto brindare per la vittoria di Remco, c’è qualche sguardo accigliato.

«Ha battuto dietro – dice Wilfried Peeters, oggi sulla seconda ammiraglia – e quando si è rialzato, faticava a respirare. Lo stanno portando all’ospedale. L’ho perso un po’ di vista, scusa…».

Da quanto si legge nel comunicato della Quick Step-Alpha Vinyl, il campione del mondo si sarebbe fratturato due costole e una scapola e avrebbe anche un polmone collassato. La ripresa non sarà semplice (seguiranno aggiornamenti).

L’entusiasmo dei tifosi di Alaphilippe si è trasformato in apprensione
L’entusiasmo dei tifosi di Alaphilippe si è trasformato in apprensione

Festa fiamminga

Il bus blu della Quick Step-Alpha Vinyl è accanto all’arrivo e intorno c’è l’atmosfera della festa. Remco Evenepoel ha vinto la Liegi con un numero da campione e si fa fatica a riconoscere apprensione per il campione del mondo. In qualche modo c’è da capirli. La campagna del Nord della squadra di Lefevere era stata finora un grosso buco nell’acqua e vincere la Liegi con un belga – e non un belga qualunque – è ossigeno puro.

«Patrick ci ha detto di stare calmi – dice a caldo Evenepoel, dopo aver abbracciato a più riprese la sua compagna – e in qualche modo ci ha dato la carica dimostrando di credere in noi. La mia famiglia, i miei amici e il mio team hanno sempre creduto che potessi tornare ai massimi livelli, quindi un enorme grazie va a loro. Adesso posso dire di essere tornato al mio livello e di essere tra i migliori corridori al mondo. Ho sofferto molto mentalmente e fisicamente. Finalmente sento che tutto sta andando di nuovo bene ed è una cosa stabile. Oggi ho mostrato il miglior Remco da quando sono diventato un professionista».

Van Aert fa buon viso

Torneremo con lui più tardi, quando avrà finito la trafila delle premiazioni. Intanto ci aggiriamo nel dedalo di pullman e tifosi in questo rettilineo troppo stretto per essere a una Liegi. Landa arriva con lo sguardo fiero e si infila nel bus dopo la salva di attacchi belli da vedere ma purtroppo infruttuosi. Attorno al pullman della Jumbo Visma invece c’è il solito stuolo di fedelissimi di Van Aert, che si è dovuto accontentare del terzo posto, cedendo proprio negli ultimi metri al ritorno di Hermans. Lui è sotto, appena tornato dal podio.

«Il terzo posto non era quello per cui sono venuto – dice al drappello di giornalisti presenti – ma devo esserne soddisfatto. Con un po’ più di fortuna sarei potuto finire secondo, ma ho lavorato molto nel gruppo inseguitore e per questo non sono stato all’altezza dello sprint. Però ho capito che per vincere questa corsa ho bisogno di una grande giornata e di condizioni favorevoli…».

Podio tutto belga, con Evenepoel ben… scortato da Hermans e Van Aert
Podio tutto belga, con Evenepoel ben… scortato da Hermans e Van Aert

Amore per la Redoute

E poi torna lui, l’enfant prodige del ciclismo belga: Remco. Ventidue anni, debuttante della Doyenne e già sulle spalle una lunga storia da raccontare.

«La Redoute – gli ridono gli occhi (foto di apertura) – è una delle mie salite preferite al mondo. Conosco ogni buca dopo tutti gli allenamenti che ci ho fatto. Là in cima è il momento in cui tutti hanno mal di gambe e provare è stato un atto di coraggio, ma anche l’attuazione di un piano. La squadra mi ha tenuto al sicuro fino alle salite. Ho dato uno sguardo alla potenza, l’attacco è stato come uno sprint. Sapevo di voler dare un colpo forte proprio lì, ma vincere così non è stato facile. La preparazione è stata perfetta, non c’erano scuse, al di là di una caduta o di una foratura, perché la corsa non andasse bene. Non sono sicuro di poter dire che ho vinto come quando ero uno junior, per rispetto verso questo gruppo di livello altissimo, ma di certo (ride e un po’ arrossisce, ndr) ha fatto un gran bene alla mia autostima».

Nuova esplosività

Eppure la disinvoltura nell’attacco e la facilità nel mantenere l’andatura hanno fatto davvero pensare all’Evenepoel che negli juniores disponeva come voleva del gruppo.

«Quando la strada ha spianato in cima alla Roche aux Faucons – dice – ho sentito di avere ancora forze per tenere alta l’andatura. L’inverno ci ha mostrato che sono più esplosivo di prima e che ho migliorato la mia abilità nella crono. La spiegazione che ci siamo dati è che dopo la caduta ho dovuto lavorare per ricostruire la muscolatura e forse la nuova esplosività arriva da lì. Oggi ho dimostrato di poter fare un attacco esplosivo a capo di una corsa dura. E ho mostrato anche una grande sicurezza. Quando si sono riavvicinati, non sono mai andato nel panico, perché sapevo che sulla bici c’era di nuovo il miglior Remco. Parliamo di potenza giusta. Capacità di maneggiare la bici. Tanti piccoli step che mi hanno aiutato a credere nuovamente in me stesso e a spingermi di nuovo oltre i miei limiti. Sono cose che vengono da sé, in modo fluido, ma in modo diverso dal primo anno in cui sembrava che dovessi solo schioccare le dita. Ho capito che puoi avere tutto il talento del mondo, ma senza testa e lavoro non si va troppo lontano».

Al traguardo come in un sogno, braccato da un amico dell’ambiente
Al traguardo come in un sogno, braccato da un amico dell’ambiente

Prima di andarsene racconta che ieri ha mandato un messaggio al suo primo allenatore, scrivendogli che ogni sforzo fatto finora è stato per vincere la Liegi e che prima o poi ci sarebbe riuscito. Poi rende merito a Philippe Gilbert, che definisce un eroe belga e aggiunge di essere fiero di aver vinto la sua ultima Liegi. E poi annuncia che d’ora in poi tornerà in modalità corse a tappe, puntando al Giro di Svizzera e poi alla Vuelta. La Liegi è finita, stasera ci sarà da scrivere per alcuni e brindare per altri. Ma se davvero è tornato il Remco di prima, prepariamoci a vederne delle belle.