Simoni, anno 2000: l’unico italiano ad aver domato l’Angliru

17.08.2023
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Ci sono lingue di asfalto in alcuni angoli del mondo in grado di emozionare migliaia appassionati ogni volta che vengono scalate. Una di queste è l’Angliru. Gilberto Simoni vinse in maglia Lampre nel 2000, quando aveva 29 anni e in bacheca ancora nessun Giro d’Italia. Su quella salita ha lottato con la gravità, rischiando di mettere il piede a terra su pendenze che mettono paura a qualsiasi generazione di ciclisti. 12,4 chilometri con una pendenza media del 9,8% con punte al 24%

Il 13 settembre 2023 è uno di quei giorni da segnare sul calendario. Perché la Vuelta in occasione della 17ª tappa arriverà sull’Alto de Angliru. Una punta di sadismo accompagnerà ogni appassionato alla visione di quella frazione che porterà allo stremo ogni atleta partito quel giorno. Facciamo un balzo indietro di 23 anni per salire in sella con Simoni su quelle pendenze e capire come si affronta e cosa si prova su una delle salite più temute al mondo. 

L’Angliru vanta una pendenza media del 13,6% sul tratto più duro
L’Angliru vanta una pendenza media del 13,6% sul tratto più duro
Cosa ricordi di quella giornata, emozioni e sensazioni?

Non avevo mai vinto tappe alla Vuelta. Quella dell’Angliru si può dire che mi abbia aiutato a cambiare marcia perché l’anno dopo sono riuscito a vincere il Giro d’Italia. Insomma, ho iniziato a credere ancora di più in me stesso. Quel giorno lì sono riuscito ad anticipare un po’ la corsa perché sapevo che era impossibile battere quelli della Kelme-Costa Blanca, con tutto quello che c’era di dubbioso in quegli anni. Infilatomi nella fuga, gestii bene la gara. Non avevo altre chance, così andai via solo dalla fuga.

Che tipo di salita è? 

E’ una salita che ti porta allo stremo e deve essere interpretata in modo corretto. In salite così, non si deve guardare l’avversario. Devi pensare a te stesso e trovare il tuo ritmo su quelle pendenze assurde. Se sbagli una cambiata, rischi di mettere il piede a terra. E’ un’ascesa che non perdona, quando la imbocchi hai subito il cuore in gola. 

Che rapporti montavi?

Non c’erano le compatte. Non avevo la tripla. Avevo un Campagnolo dieci velocità con il 39 davanti e dietro mi ero fatto mettere il 28 e il 29 togliendo i rapporti più duri. Questo perché sapevo che si vinceva con la scelta di quei rapporti. Mi ricordo che quelli della Kelme montavano invece una tripla. 

Nel 1999 l’Angliru fu affrontato per la prima volta, vinse Jimenez in maglia Banesto
Nel 1999 l’Angliru fu affrontato per la prima volta, vinse Jimenez in maglia Banesto
Cosa ricordi di quella salita?

C’è un rettilineo di un chilometro dove non ci sono tornati e ricordo che veramente mi scoppiavano le gambe. Stavo andando su a cinque all’ora e pensai: “Se arrivo ai quattro mi fermo”. Bastava una cambiata sbagliata e finivi per mettere il piede a terra. Con il rischio di non riuscire neanche più a ripartire. 

Per tentare di venirti a prendere Roberto Heras, che vinse quella Vuelta, fece il record della salita. Ad oggi nessuno è riuscito ancora a scendere sotto quei 41’55”.

Quelli della Kelme erano in una condizione impossibile da affrontare. Se si guardano i filmati sembrava una crono a squadre. Se si prendesse come riferimento il pezzo più duro, forse da metà in su magari si potrebbe battere. Gli scalatori di oggi sono veramente forti. Ma il tratto completo per me ha un tempo inarrivabile. 

Nonostante ciò imboccasti la salita con poco meno di sei minuti e riuscisti a conservarne due all’arrivo…

Ero in fuga da tutto il giorno. Arrivai alla salita non così riposato perché tirai parecchio anche prima. 

Vuelta 2017, Contador sull’Angliru vince la sua ultima corsa (foto Getty Images)
Vuelta 2017, Contador sull’Angliru vince la sua ultima corsa (foto Getty Images)
Da scalatore hai anche vissuto un’evoluzione tecnologica in quegli anni. Lì c’era anche una cadenza di pedalata molto più bassa.

Sì, i rapporti ti ci costringevano. Per me e i meccanici montare una tripla sarebbe stata una blasfemia, un colpo all’orgoglio. A distanza di qualche anno mi ricordo che feci lo Zoncolan sia con il 39 che con il 36. Sono due cose diverse, la pedalata, la reazione dei muscoli. Ma al limite ci si arriva in ogni caso. 

E la tua Fondriest di quell’anno che bici era? Con una bici attuale sarebbe cambiato qualcosa?

Era leggerissima, con il meccanico Pengo facemmo un lavoro incredibile. Un telaio tutto mio per le gare in salita. Bici corta e una posizione più avanzata. La grande differenza con oggi è il materiale, la mia era in alluminio. Inguidabile in discesa ,ma in salita non credo che avrei trovato così tante differenze con quelle attuali. Geometrie differenti non avrebbero inciso come invece i rapporti che hanno ora. Io pesavo 60 chili quindi l’alluminio con me riusciva a funzionare molto bene. Il peso della mia Fondriest non lo ricordo di preciso ma era al limite del regolamento. 

Come si respira su una salita così?

Sei sempre a tutta. Anche se a parte quel tratto di un chilometro, ci sono i tornanti che permettono di rilanciare e “riposarti”. Ma è un’apnea continua…

Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni l’anno successivo vinse il Giro d’Italia sempre in maglia Lampre
Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni l’anno successivo vinse il Giro d’Italia sempre in maglia Lampre
La tappa dell’Angliru come si colloca all’interno di una Vuelta?

Fa paura. Fa male. E’ una salita su cui non si fanno distacchi enormi. Questo perché tutti vanno su sfidando la pendenza senza far scorrere più di tanto la bici. E’ difficile fare attacchi e non fare fuori giri. E’ vero che se si becca la giornata storta ci si può fare male, ma con i rapporti che utilizzano oggi uno in qualche modo si salva. Se uno in crisi si trovasse ad affrontarla con i rapporti che utilizzavamo noi nel 2000 allora sì che sprofonderebbe in classifica.

Chi vedresti come favorito su una salita così? 

Direi che bene o male, tutti gli scalatori, sono favoriti. Corridori come Vingegaard o Roglic possono puntarci, ma anche Evenepoel non lo vedo così sfavorito, abbiamo visto la sua potenza. Sarà una bella sfida, difficile fare un pronostico.

Hugh Carthy è l’ultimo vincitore dell’Angliru, affrontato nel 2020
Hugh Carthy è l’ultimo vincitore dell’Angliru, affrontato nel 2020
Se dovessi dare un consiglio a un corridore che vuole vincere sull’Angliru, cosa gli diresti?

Se vogliono vincere devono fare come ho fatto io nel 2000. Evitare lo scontro diretto con i corridori di classifica e anticipare da lontano, arrivando con un distacco prezioso ai piedi della salita. C’è poco da consigliare, devi spingere quello che hai, quello che ti senti.

Se dovessi fare una classifica della salite più dure, l’Angliru dove la metteresti?

Una delle top. Anche se devo dire che quella che mi ha impressionato di più forse è Punta Veleno. E’ terribile. Però non riesco a fare una classifica. Diciamo che i numeri delle pendenze la fanno da sè. Poi si va sull’esperienza personale. Perché ci sono salite dure come Mortirolo e Zoncolan che puoi affrontare in situazioni differenti e dire che sono più o meno dure. E’ una cosa molto personale il giudizio. Lo stesso Angliru mi ricordo che nel 2003 l’ho rifatto con Casagrande ed ero in lotta per la classifica e mi fece molto più male rispetto al 2000. 

Modolo: la nuova vita e i ricordi di una carriera

05.02.2023
8 min
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Quando qualcosa finisce, lascia un senso di vuoto dentro di noi. Ci si ritrova un po’ spaesati davanti a situazioni che prima non avremmo immaginato. Se la tua vita è sempre ruotata intorno alla bici e due pedali, quando te li tolgono fai fatica a ricalibrare il tempo. Sacha Modolo si è trovato in questa situazione: l’ultima gara è stato il Giro del Veneto e poi da lì è iniziata una nuova vita. 

«Devo ancora abituarmi ai nuovi ritmi – ci racconta – sono cambiati e parecchio. La vita dello sportivo aveva un obiettivo, ti alzavi per allenarti e tutte le mattine andavi a guardare il meteo fuori dalla finestra per capire se potevi uscire in bici o meno. Avevo una spinta motivazionale, ora ne sto cercando una nuova. La mattina non ho più la bici, ma porto la bambina all’asilo. Poi torno e do una mano a mia moglie in casa».

Il trevigiano ha chiuso la sua carriera a fine 2022 in maglia Bardiani dopo 13 stagioni tra i professionisti
Il trevigiano ha chiuso la sua carriera a fine 2022 in maglia Bardiani dopo 13 stagioni tra i professionisti

Hobby e passioni

In questi primi giorni di febbraio, dove la primavera ha fatto incursione riscaldando le giornate, si respira un clima diverso, quasi investiti da un’inaspettata vitalità. Nel frattempo Modolo cerca di ritagliarsi il suo spazio in questo mondo senza bici. 

«Ho un piccolo garage, dove tengo delle Lambrette e delle Vespe d’epoca – mentre Modolo parla sua figlia sotto si fa sentire – ogni tanto mi metto al lavoro su qualche motore. Il mio migliore amico, che è anche il mio testimone di nozze, ha già un’attività avviata e pensavamo di fare qualcosa insieme con le moto e le auto d’epoca. E’ un mercato che ha tanta richiesta, soprattutto all’estero. Per il momento, però, collaboro con Marco Piccioli e Massimiliano Mori, i miei due procuratori. Mi hanno fatto una proposta e ho deciso di provare. Mi sono dato un anno di tempo per capire se questo mondo mi interessa, anche se, devo ammettere che mi piacerebbe fare qualcosa legato ai giovani ciclisti della mia zona (Conegliano, ndr). 

«Nel ciclismo moderno ci sono poche squadre italiane e i giovani fanno fatica a entrare nel mondo dei professionisti. Le WorldTour sono tutte straniere e tendono a premiare i corridori locali, come da noi ai tempi facevano Lampre e Liquigas. Pensate che nel 2010 nella sola zona di Treviso eravamo 15 professionisti, tra i quali Ballan, ultimo campione del mondo. Ora sono tre: Vendrame, Cimolai e Gandin, arrivato quest’anno in Corratec».

Nuova vita

Il ciclismo per Modolo ha rappresentato gran parte della sua vita e ora che non c’è più il trevigiano ha più tempo per dedicarsi ad altro. La passione per le due ruote rimane, anche se motorizzate.

«L’ultima uscita in bici – ci confida – l’ho fatta alla vigilia di Natale, dopo un mese che non la toccavo. E’ stata dura mentalmente, dopo una vita dedicata al professionismo mi mancava la motivazione. Si è trattata di una passeggiata praticamente. Sono uscito anche sabato scorso, ma ho fatto due orette con dei amici amatori. Siamo andati a prendere un caffè al bar. Continuo a coltivare, anche con maggiore impegno, la passione per le moto. Se ho qualche ora libera preferisco passarla così, questa passione mi ha aiutato a staccare la spina appena smesso con il ciclismo.

«Avevo una mia visione del ciclismo, quasi non vedevo l’ora di smettere, ma quando arriva il momento pensi che uno o due anni in più li avresti fatti volentieri. Sono parte di un gruppo di enduristi e mi diverto molto, dopo una vita a spingere due ruote ora sono loro che spingono me. Abbiamo in mente anche qualche gita, magari in Umbria, vedremo. L’enduro è bello, mi ritrovo a percorrere parte dei sentieri che facevo in mtb, fare qualche salita sterrata senza fars è divertente». 

Il podio della Coppa Agostoni del 2011: al centro Modolo, a sinistra Ponzi e a destra Gatto
Il podio della Coppa Agostoni del 2011: al centro Modolo, a sinistra Ponzi e a destra Gatto

Un viaggio nei ricordi

Sacha ultimamente sta rivivendo tramite foto alcune delle sue vittorie, il trevigiano è passato professionista nel 2010. Di acqua sotto i ponti ne è passata ed in tredici anni di carriera di cose ne sono successe, così Modolo ci guida nei suoi ricordi. 

«La prima vittoria me la ricordo benissimo – dice – ero in Cina, è quella che mi ha sbloccato ed è arrivata al secondo anno di professionismo. Da lì in poi in quella stagione ho vinto altre nove corse. Nel mio primo anno da corridore ero arrivato quarto alla Milano-Sanremo ed ero finito sotto i riflettori. Non ero abituato ed ho fatto un anno senza vincere, quel successo in Cina è stato davvero molto importante.

«In quella stagione (2011, ndr) ho vinto la Coppa Agostoni – continua – forse la corsa più importante che ho portato a casa quell’anno. Il percorso era molto duro con il Ghisallo e tenere su quelle rampe è stato difficile. La volata nel gruppetto me la ricordo bene: non riuscivo a trovare spazio così mi sono appoggiato ad Oscar Gatto. Secondo arrivò Simone Ponzi con il quale ho corso due anni alla Zalf. E’ bello quando cresci insieme tra i dilettanti e poi ti ritrovi a battagliare in una corsa professionistica».

Le battaglie con i big

Sacha Modolo ha avuto tra i suoi rivali grandi corridori del calibro di Cavendish e Sagan e qualche volta è riuscito a mettergli le ruote davanti. Un motivo di grande orgoglio e soddisfazione per lui che è sempre rimasto con i piedi per terra. 

«La corsa era il Tour de San Luis – ricorda Sacha – e la prima tappa arrivai secondo alle spalle di Cavendish, alla seconda volata sono riuscito ad impormi. Era uno dei primi anni che lavoravo con Rossato, mi sono trovato subito bene con lui. Quell’inverno, ricordo che andavamo due volte a settimana in pista e avevo sentito subito la differenza. La vittoria in Argentina ne è una grande testimonianza, perché mettersi dietro Cavendish ai quei tempi era difficile. Lui a fine anno era sempre in doppia cifra abbondante con le vittorie.

«La stagione successiva (il 2014, ndr) iniziai di nuovo forte con due primi posti in Spagna e una tappa alla Volta Ao Algarve. Uno dei successi più belli della stagione è arrivato alla Tre Giorni di De Panne, alla seconda tappa riuscì a battere in volata Demare e Kristoff. Mentre la vittoria più bella di quell’anno è arrivata al Giro di Svizzera, nella quinta tappa, che finiva in cima ad uno strappetto, ad esterno curva ho passato Sagan. Mi sentivo molto bene e uno degli obiettivi della stagione era provare a prendere la maglia gialla al Tour. La prima tappa, ad Harrogate, era prevista una volata. Purtroppo arrivai in Inghilterra, si partiva da lì quell’anno, con la febbre. Feci di tutto per recuperare ma al secondo giorno dovetti andare a casa».

Tra i risultati di rilievo anche un sesto posto al Giro delle Fiandre del 2017
Tra i risultati di rilievo anche un sesto posto al Giro delle Fiandre del 2017

La vittoria di “casa”

Nel palmares di Modolo si contano anche due tappe al Giro d’Italia, entrambe raccolte nel 2015. La prima al Lido di Jesolo e la seconda a Lugano. 

«L’emozione più bella – dice con una lieve flessione della voce – è quella del Lido di Jesolo (in foto di apertura, ndr). Correvo in casa e volevo fare bene, solo che la mattina mi sveglio e piove, per di più le temperature non erano nemmeno troppo bonarie. Mi ricordo che ero parecchio infastidito, io con freddo e pioggia facevo prima a rimanere in pullman – ride – però quel giorno pescai una grande prestazione. Avevo la fortuna di trovarmi nel treno due uomini come Ferrari e Richeze che mi hanno pilotato benissimo. E’ la vittoria che tutti da queste parti si ricordano. Ogni tanto quando sono in giro, qualcuno la menziona ancora».

Modolo Vuelta Espana 2021
Il cambio di mentalità e di lavoro nel mondo del ciclismo lo ha percepito nei due anni in Alpecin
Modolo Vuelta Espana 2021
Il cambio di mentalità e di lavoro nel mondo del ciclismo lo ha percepito nei due anni in Alpecin

Il grande cambiamento

Non è un caso che le vittorie raccontate dallo stesso Modolo siano arrivate tutte nello stesso periodo. Il ciclismo era molto diverso, nelle ultime stagioni c’è stato un bel cambiamento ed anche il trevigiano dice la sua

«Era un ciclismo più abbordabile – replica – avevamo molto meno stress, lo ha detto anche lo stesso Sagan pochi giorni fa quando ha annunciato il ritiro. La stagione finiva ad ottobre e per un paio di mesi potevi rimanere tranquillo. Quando sentivamo che alcune squadre facevano già i ritiri a dicembre si rimaneva un po’ perplessi. Ora è la normalità. Ricordo che nell’inverno nel quale sono passato professionista era caduta una grande nevicata e per una settimana non ero riuscito ad allenarmi. Andavo a passeggiare lungo il Piave con altri corridori, ma vivevamo la cosa senza tensione. Adesso appena fa due giorni di pioggia, i corridori prenotano per le Canarie e ci rimangono due mesi tra ritiri individuali e di squadra. Il ciclismo è cambiato, ma è anche giusto che sia così. Solo che è successo tutto quando ero già over 30 ed è difficile poi adattarsi. Noi della generazione nata tra il 1987 e il 1990 abbiamo subito tanto questa cosa.

«Personalmente mi sono accorto di questo cambiamento quando ero in Alpecin, non ero abituato ad essere monitorato tutto il giorno. I risultati arrivano perché è un metodo più efficace, ma anche molto stressante. Non mi va di fare la parte del vecchio – ride – ma qualche anno fa se ti ritiravi in corsa non lo veniva a sapere nessuno. Adesso si ha una lente puntata addosso, costantemente, e i social non aiutano. I giovani sono abituati e, a mio modo di vedere, anche per questo sono avvantaggiati. E’ un ciclismo più veloce».

Parla Galbusera, sponsor dell’ultima WorldTour italiana

18.10.2022
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La tanto sospirata squadra italiana del WorldTour ce l’abbiamo avuta fino al 2016. Si chiamava Lampre-Merida, aveva 13 corridori italiani e 14 stranieri. Il gruppo sportivo era in mano a Giuseppe Saronni, ma di lì a poco sarebbe passato a Gianetti diventando UAE Team Emirates.

25 anni di Lampre

Lampre nel ciclismo c’era entrata nel 1999 e quando ne uscì fu come perdere qualcuno di famiglia, abituati al blu e al fucsia delle maglie e all’idea che quella squadra semplicemente ci fosse, dopo il passaggio della Liquigas in mano agli americani. Mario Galbusera, titolare del gruppo assieme ai figli Sergio ed Emanuele, era spesso alle corse con baffi bianchi e carisma (i tre sono insieme nella foto di apertura). Così quando al raduno di partenza del Lombardia a Bergamo, abbiamo riconosciuto Emanuele Galbusera davanti al pullman della Trek-Segafredo, la speranza di un ritorno di fiamma l’abbiamo avuta, ma è durata poco. E in ogni caso ci siamo riproposti di contattarlo per capire quale insormontabile ostacolo ci sia fra le grandi aziende italiane e il ciclismo.

Simoni vince in maglia Lampre il Giro d’Italia 2001: Saronni è il suo capo, Moser suo compaesano
Simoni vince in maglia Lampre il Giro d’Italia 2001: Saronni è il suo capo, Moser suo compaesano
Cosa ci faceva a Bergamo vicino al pullman della Trek-Segafredo?

La passione rimane (sorride, ndr).

Quindi parlare di una Lampre-Segafredo sarebbe una bufala?

Confermo, una fake news!

Vabbè, era giusto provarci. Che cosa è stato il ciclismo per Lampre?

Un’enorme vetrina, un bel ritorno di immagine. Non produciamo un prodotto finito, siamo specialisti nel rivestimento del metallo, per cui essere nel ciclismo è stato il modo per promuovere il marchio.

Emanuele Galbusera ha 50 anni e continua a seguire il ciclismo da vicino
Emanuele Galbusera ha 50 anni e continua a seguire il ciclismo da vicino
Parliamo di un investimento stellare?

Non abbiamo mai attuato una politica di questo tipo, volevamo piuttosto rimanere costanti, per durare a lungo, come poi è stato. In quegli anni, la costanza era il requisito fondamentale, per un ambiente che poi ha cambiato il modo di promuovere i suoi sponsor, che sempre più spesso propongono prodotti e servizi.

Pensa che il ciclismo sia ancora un utile veicolo promozionale?

In ambito sportivo, lo valuteremmo ancora. Ma bisogna chiedersi se mettere il nome su una maglia sia ancora utile. Di certo lo strumento squadra ti dà visibilità ogni giorno per 365 giorni all’anno. Mi chiedo però se per un’azienda come Lampre sia ancora il veicolo giusto per far conoscere il proprio marchio, ricorrendo a uno strumento di marketing in stile anni Ottanta. Però va detto che all’estero funziona…

Nel 2005, chiusa la Saeco, la squadra di Cunego si fonde con la Lampre di Simoni: scintille sicure…
Nel 2005, chiusa la Saeco, la squadra di Cunego si fonde con la Lampre di Simoni: scintille sicure…
Quindi?

Quindi forse è un fatto di come il ciclismo viene vissuto in Italia. L’attività di base è ai minimi termini. I ragazzi di oggi cominciano mille sport, ma quasi mai vogliono prendere una bici. I miei cinque figli, nonostante io sia appassionato, non l’hanno mai valutato. Credo ci sia un tema generale che prescinde dal team WorldTour.

Manca un movimento che autorizzi o invogli l’investitore?

Questo è certamente un tema, il settore giovanile è asfittico e non è però compito dei team di punta fare promozione di base. Faccio l’esempio del Trofeo Lampre di Bernareggio. Abbiamo avuto anni in cui mandavamo indietro le squadre e alla fine lo abbiamo chiuso perché le squadre non si trovavano più.

Per un po’ si è detto che il deterrente per le aziende fosse finire in qualche storia di doping.

Siamo stati nel ciclismo per 25 anni, abbiamo vissuto tutte le epoche e in quella fase qualche paura di questo tipo c’era. Ricordo bene le discussioni con potenziali sponsor, ma quell’epoca ormai è consegnata alla storia, per cui bisogna trovare il modo di attrarre risorse serie.

Ivan Basso, che si è costruito come manager, dice che si è andati per anni a chiedere soldi senza proporre un ritorno ben documentato…

Ci sta che la proposta sia stata sbagliata. La battaglia storica è quella di patrimonializzare e responsabilizzare le società sportive, perché abbiano più certezze e non dipendano solo dagli sponsor. Ma è anche vero che squadre e sponsorizzazioni una volta si basavano sulla passione. Quando abbiamo mollato, chi ha proseguito lo ha fatto con altre tipologie di sponsor.

Era in maglia Lampre anche Scarponi nel 2011 quando finì 2° al Giro dietro Contador, che poi fu squalificato
Era in maglia Lampre anche Scarponi nel 2011 quando finì 2° al Giro dietro Contador, che poi fu squalificato
Come si riparte?

Dimostri e convinci se fai vedere che c’è una base.

Perché però a un certo punto, secondo lei, la Mapei lasciò il ciclismo e si buttò nel calcio? Non sarà che in Italia si vede solo quello?

Non so bene il perché delle scelte di Squinzi, ma immagino che come azienda abbia avuto questa possibilità e l’abbia colta. E poi non dimentichiamo che Giorgio era un grande appassionato di calcio. Pensate invece che la Lampre funzionò al contrario…

Petacchi ha corso in Lampre dal 2010 al 2013: qui con Mario Galbusera
Petacchi ha corso in Lampre dal 2010 al 2013: qui con Mario Galbusera
Cioè?

Da ex calciatore, papà stava acquistando la squadra del Lecco, ma non andò bene. La stessa sera, lo chiamò Colnago e per rivalsa, rimise la cravatta e andò a incontrarlo. Però è vero che al ciclismo manca il necessario supporto. La Lega Ciclismo, com’era una volta, coinvolgeva sponsor importanti, avendo il necessario supporto mediatico e anche politico.

Anche il supporto mediatico è sceso parecchio. La Gazzetta dello Sport fatica molto a sparare il ciclismo in prima pagina…

Il giovane guarda il calcio e non il Giro di Lombardia e anche io mi chiedo come mai, dopo una stagione così bella, non si trovi spazio. Eppure sulle strade i tifosi ci sono ancora. Che sia un problema di formula, cioè che una gara che dura molte ore e proposta in diretta integrale funzioni meno di una partita che finisce in 90 minuti?

Nel 2007 in maglia Lampre, Bennati conquistò il traguardo del Tour a Parigi
Nel 2007 in maglia Lampre, Bennati conquistò il traguardo del Tour a Parigi
Vi propongono spesso di rientrare?

Più volte, anche di recente. La passione è sempre presente, ma abbiamo lasciato un WorldTour diverso, in cui inserirsi non è facile. E poi non è bello il vuoto che c’è sotto. Prima al di sotto della massima categoria c’era un circuito meno legato a logiche di mondializzazione e questo è un altro tema. Si spendono fortune per viaggi nel mondo che magari allo sponsor non interessano. Di certo non interesserebbero ad alcuni sponsor italiani. C’è un grande scollamento e per un nome come il nostro, abituato a stare in alto, l’idea di partire dal basso non è troppo allettante.

L’idea è che si parta dal basso per ottenere la promozione nel WorldTour…

Un’idea teorizzata in Svizzera 15 anni fa, che però ha troppe criticità. I punti vanno fatti nello stesso campionato, con regole uguali per tutti. Non vi sembra che per come è adesso sia un po’ una confusione?

Daniele Righi: dopo UAE, la nuova avventura con Savio

24.12.2021
4 min
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Una vita dedicata al ciclismo quella di Daniele Righi. Ha iniziato a correre da bambino e una volta lasciata la bici, dopo 13 anni tra i professionisti, di cui 10 passati nella Lampre, ha iniziato la sua carriera da direttore sportivo.

«Nel 2004 – ci racconta subito Daniele – avevo iniziato a fare il patentino per diventare direttore sportivo insieme a dei compagni. Diciamo che iniziavo a portarmi avanti sul futuro una volta sceso dalla bici. Ho deciso di intraprendere questa carriera perché volevo rimanere in un mondo che mi ha dato tanto».

Daniele Righi al centro, a sinistra Orlando Maini, suo mentore alla Lampre, a destra Enrico Pengo, meccanico del team
A sinistra Daniele Righi con Enrico Pengo, meccanico della Lampre

Un cammino continuo

«Grazie ai 5 anni maturati da corridore professionista presi il patentino di terzo livello. L’opportunità me la stavo creando da me. Una volta smesso, Saronni, per il quale ho corso per 10 anni, mi ha proposto di continuare in Lampre ma in un nuovo ruolo. L’idea della squadra era quella di avere persone nuove in ambito dirigenziale».

Tra Lampre e UAE Emirates sei stato con loro per 7 anni.

Nel 2014 presi l’abilitazione UCI e rimasi anche quando cambiò la proprietà del team passando da Lampre a UAE Emirates.

Quanto è stato difficile passare da corridore a diesse?

Non è un passaggio facile, devi imparare a vedere le cose in maniera differente. Quando sei corridore devi preoccuparti di te stesso e di fare il meglio che puoi, allenandoti e partecipando alle corse. Da diesse, invece, devi avere tutto sotto controllo, bisogna far ragionare le persone sulla stessa lunghezza d’onda.

Daniele Righi ha corso nella Lampre per dieci anni (dal 2003 al 2012) diventando poi diesse del team dal 2013 al 2016
Righi ha corso nella Lampre per 10 anni diventandone poi diesse nel 2013
Anche quando i corridori che segui erano i tuoi compagni fino a pochi mesi prima?

Ho corso dieci anni nella Lampre, da tutti quelli che arrivavano ero visto come punto di riferimento anche quando correvo. Il rispetto dei miei compagni e verso di loro l’ho sempre avuto. Il rapporto cambia, è chiaro, da corridore esperto ero anche un confidente. Anche i diesse lo sono a volte, ma allo stesso tempo siamo il filtro tra società e corridori.

Un ruolo complicato, due fazioni esigenti…

Si deve essere bravi a bilanciare le richieste. Un buon direttore sportivo è un bravo mediatore, sa quando chiedere di più ai corridori o se chiedere uno sforzo alla dirigenza.

Hai lavorato subito in un top team, hai avuto qualche mentore?

Mi sono confrontato molto con Orlando Maini e con Fabrizio Bontempi. La cosa bella è la loro capacità di metterti a tuo agio. Standogli accanto ho imparato tanto. Li seguivo sapendo che guardandoli lavorare avrei trovato spunti ed insegnamenti.

Facci un esempio.

Sono dei maestri nell’organizzazione delle gare, delle trasferte e anche nei ritiri. Sanno parlare con i corridori, conoscono tutti i segreti ed i dettagli che un diesse deve conoscere e prendere in considerazione.

Il tuo rapporto con la UAE poi si è interrotto…

Ci sono state delle decisioni in ambito dirigenziale e a novembre 2018 mi è stato comunicato che non sarei più stato parte della squadra. Me ne sono dispiaciuto molto, ma mi sono rimboccato le maniche e sono ripartito.

Daniele Righi è stato Diesse del UAE Team Emirates nel 2017 e nel 2018 dopo che lo sponsor emiro ha sostituito la Lampre
Daniele Righi è stato Diesse dell’UAE Team Emirates nel 2017 e nel 2018
Ora sei con Savio e l’Androni, dal primo gennaio Drone Hopper, come sei arrivato qui?

Mi sono sentito parecchie volte con la dirigenza. A maggio 2021, quando si è scoperto che avrebbero fatto il Giro d’Italia mi sono proposto. Sapevo che avrebbero potuto aver bisogno di una mano e così ho lavorato saltuariamente con loro. A ottobre hanno deciso di prendermi in pianta stabile e gliene sono grato.

Siete tornati da poco dal ritiro a Benidorm, avete già un programma di lavoro?

Siamo tornati il 21, sono stati dodici giorni intensi. Ci siamo seduti al tavolo ed abbiamo deciso come impostare la stagione, come ultimo arrivato ho ascoltato molto cercando di assimilare il più possibile. Le gare inizieranno tra metà e fine gennaio.

Daniele Righi ha iniziato una nuova avventura con l’Androni Sidermec, dal primo gennaio Drone Hopper
Daniele Righi ha iniziato una nuova avventura con l’Androni Sidermec
Passare da un’esperienza WorldTour ad una professional com’è?

Il personale che lavora in una squadra professional è ridotto, ci si deve adattare a fare tante cose e farle sempre al meglio. Mi piace lavorare e darmi da fare, la parte più complicata è il calendario forse, perché hai il dubbio che magari a qualche gara non ti invitino, come successo inizialmente al Giro 2020.

Con i corridori cambia il rapporto?

Quando ero nella WorldTour capitava che alcuni corridori li vedessi al ritiro di dicembre e poi a fine anno. Qui ho un contatto più diretto con tutti i ragazzi e questa cosa permette un rapporto umano più approfondito.

Damiano Cunego, Giuseppe Martinelli, Claudio Corti, Giro d'Italia 2020

Martinelli su Cunego: «Smise di ascoltarmi»

26.12.2020
4 min
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Forse Martinelli un po’ se lo aspettava che lo chiamassimo, dopo aver parlato con Andrea Tonti. Nel finale del discorso, infatti, il marchigiano aveva lanciato parole da approfondire sulla gestione di Cunego dopo la vittoria al Giro del 2004, dicendo che lo si volle trasformare per forza in un uomo da corse a tappe, nell’erede di Pantani, compromettendo la sua esplosività in cambio di magri risultati. Per cui con il grande bresciano, che dal 2010 è il riferimento tecnico dell’Astana, si entra alla sua maniera subito nel vivo del discorso.

Gilberto Simoni, Damiano Cunego, Giro d'Italia 2020
Al Giro 2004, il capitano Simoni si convertì in gregario
Gilberto Simoni, Damiano Cunego, Giro d'Italia 2020
Al Giro del 2004, Simoni divenne gregario

«Damiano è passato nel 2002 – inizia Martinelli – nel 2003 ha fatto il primo Giro e lo ha finito dando la sensazione di andare meglio alla fine che all’inizio. Nel 2004 ha vinto quasi tutto, compresa la maglia rosa. Aveva 23 anni e sfido chiunque a dire che sia stato per caso. Nel 2005 andava anche forte, ma ebbe la mononucleosi. Non era come oggi, che la scopri subito e bastano 6 mesi fermo per riprendere. La trovammo che l’aveva quasi finita e ci aveva corso sopra. Perciò rifarei tutto. Compresi gli scontri quando mi accorsi che aveva iniziato a fare di testa sua. Chiedetelo anche a lui se non avrebbe fatto meglio ad ascoltarmi…».

Che cosa significa fare di testa sua?

Non ascoltava, smise di farlo. Dopo quelle vittorie, era il momento di cominciare a fare i sacrifici veri, allenarsi più duramente degli altri. Invece lui non faceva tutto al 100 per cento. Non parlo di abitudini di vita, non era uno che andava in discoteca. Ma in allenamento a volte non dava tutto. Forse avremmo dovuto cambiargli programma, per dargli qualche stimolo in più. Tirava un po’ a campare. Ha fatto vivere per 10 anni la Lampre e la Lampre ha fatto vivere per 10 anni lui.

Paolo Tiralongo, Damiano Cunego, Giro d'Italia 2005
Dopo la stop al Giro del 2005, per Cunego venne il 4° posto nel 2006. Qui è con Tiralongo
Paolo Tiralongo, Damiano Cunego, Giro d'Italia 2005
Dopo la resa del 2005, il 4° posto al Giro 2006
Avevi tra le mani un ragazzino prodigio come quelli di oggi…

Anche se magari non fu il suo caso, negli anni ho avuto tanti giovani che abbiamo tenuto nella bambagia. Oggi li butterei di più nella mischia. Ti diverti. Recuperano meglio. Fanno risultati fuori dal comune. Dureranno meno? Ce lo sapremo dire fra 10 anni se li hanno bruciati. Intanto Pogacar ha vinto il Tour a 21 anni.

Tonti ha parlato per Cunego anche di qualche limite caratteriale.

Da questo punto di vista, anche quando vinceva a mani basse bisognava dirgli cosa fare, forse perché era ancora molto giovane. Quando si decise di staccare il cordone da Martino, secondo me era prematuro. Damiano aveva bisogno di essere aiutato come giovane atleta, che si è sposato e ha avuto una figlia molto presto. Secondo me gli è cambiata la vita troppo in fretta. Glielo dico ancora, perché abbiamo ricominciato a sentirci spesso…

Che cosa gli dici?

Che deve buttarsi di più. «Mi piace che studi, ma se vuoi fare il preparatore in una squadra WorldTour devi anche agganciarti a uno già esperto e imparare da lui, per puntare a venir fuori». Secondo me quando vinse il Giro gli è scoppiata in mano una cosa più grande di lui, anche riguardo alle aspettative.

Forse avreste dovuto tutelarlo voi?

Facemmo di tutto, anche nei confronti dei media, ma sorprese anche noi. Se Simoni fosse andato appena un po’ più forte, il Giro lo avrebbe vinto lui. E giuro che ci abbiamo provato in tutti i modi. Ma davvero non c’era competizione. Sembrava un predestinato e che tutto fosse persino troppo facile. Il Giro del 2005 invece gli fece capire che facile non era. E da quel momento in poi gli è sempre mancato qualcosa.

Damiano Cunego, moglie Margherita, Ludovica
Cunego con la moglie Margherita e la piccola Ludovica nata ad agosto 2005
Damiano Cunego, moglie Margherita, Ludovica
Cunego con Margherita e Ludovica nata nel 2005
Hai detto che avevate smesso di sentirvi.

Nel 2006/2007 avemmo un paio di scontri, come mi capita quando vedo che i corridori cercano di sfuggire senza dare spiegazioni. Gli chiesi ragione di un po’ di cose, anche duramente. E lui si chiuse e chiuse i ponti. Successe poco prima che andassi via dalla Lampre. Ora mi rendo conto che eravamo nell’anticamera di generazioni che fanno veramente fatica a sentire dei discorsi, anche delle prediche. Perché non le sentono più da nessuno.

Sembra di sentire quello che raccontava giorni fa Rino De Candido a proposito degli juniores…

Un tempo nelle famiglie c’erano i nonni che raccontavano storie. Poi sono diventati nonni dei genitori che forse cose da raccontare ne avevano sempre meno. Oggi nessuno parla e tutti hanno in mano il cellulare, pensando di avere ogni cosa sotto controllo. Ci sono corridori che il libro del Tour, il Garibaldi, lo tengono sul pullman. Lo guardano soltanto la mattina andando alla partenza. E quando facciamo la riunione spiegando la tappa, dopo 2 minuti si alzano, vanno a farsi i caffè, si mettono gli scarpini. Non ce la fanno a restare concentrati. Poi la corsa parte e dopo 20 chilometri cominciano a chiedere via radio quello che in realtà gli è già stato spiegato…