Girmay e la “nuova” NSN. Un contratto fatto per durare

Girmay e la “nuova” NSN. Un contratto fatto per durare

09.12.2025
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L’approdo di Biniam Girmay alla NSN Cycling è uno dei principale colpi di mercato, certamente dopo il passaggio di Evenepoel alla Red Bull-Bora e quello di Ayuso alla Lidl-Trek. Non solo per il grande peso specifico del corridore eritreo, reduce da un’ultima stagione difficile, ma anche per i cambiamenti in essere nel suo nuovo team, che ha cambiato nome e licenza allontanandosi dalla realtà israeliana che ha creato tanti problemi, vedi l’ultima Vuelta.

Alex Carera con suo fratello Johny è uno dei soci fondatori della A&J, società che rappresenta un ampio numero di atleti
Alex Carera con suo fratello Johny è uno dei soci fondatori della A&J, società che rappresenta un ampio numero di atleti

Una trattativa che Alex Carera ha curato e seguito in prima persona e che racconta senza veli: «Di cambiare squadra – spiega – si era parlato e deciso anche prima dell’annuncio che Intermarché e Lotto si sarebbero unite. Oltre a quella scelta avevamo altre quattro possibilità, di squadre WorldTour in primis e ovviamente Lotto-Intermarché aveva fatto la sua proposta perché Biniam restasse. Prima di tutto abbiamo capito se volevamo continuare o meno e nel momento in cui abbiamo rescisso il contratto, comunque i contatti con le altre squadre erano già avviati. Noi abbiamo scelto principalmente in base alle possibilità di calendario, del progetto sportivo che ci hanno sottoposto».

Avendo avuto contatti con loro, quanto è cambiata la NSN Cycling rispetto alla Israel della passata stagione?

Il problema della Israel non era sportivo, la struttura c’era, era efficiente, ma purtroppo era schiacciata dal problema politico, anche se non dovrebbe mai essere così. Il problema per la Israel Premier Tech erano che i fondi arrivavano da un Paese in una situazione politica difficile. Ma a livello sportivo non è cambiato nulla: il manager finlandese era e finlandese rimane, per dirne una. A livello di fondi, invece, è cambiato tutto, perché ora i soldi arrivano da società che non hanno gli stessi contatti con Israele.

L'eritreo è uno dei ciclisti più amati e richiesti dai tifosi. Anche su questo conta la NSN Cycling
L’eritreo è uno dei ciclisti più amati e richiesti dai tifosi. Anche su questo conta la NSN Cycling
L'eritreo è uno dei ciclisti più amati e richiesti dai tifosi. Anche su questo conta la NSN Cycling
L’eritreo è uno dei ciclisti più amati e richiesti dai tifosi. Anche su questo conta la NSN Cycling
Biniam come arriva al nuovo team, in che momento della carriera è?

Abbiamo avuto una crescita costante nei primi quattro anni alla Intermarché, mentre nel 2025 ha avuto un anno con una miriade di secondi posti, ma con una situazione di squadra difficile. Già prima di metà anno, i dirigenti erano concentrati sul progetto fusione e questo pesava sulle scelte di campo, sui materiali, sull’evoluzione dell’annata. Nel ciclismo di oggi sono molto importanti i materiali e purtroppo alcune scelte non erano all’altezza dell’anno precedente. Di conseguenza hanno influito sulle prestazioni sportive di moltissimi atleti che hanno reso meno delle potenzialità. Biniam è comunque atleta giovane e in crescita, che ha fame di successi e io credo che nel prossimo triennio tornerà a essere il corridore che nel 2024 era tra i primi 10 al mondo.

La squadra ha detto di voler investire molto su di lui, soprattutto di voler lavorare molto sul costruirgli un treno adatto per vari tipi di corse, sia classiche di un giorno che grandi giri…

E’ normale, è anche per questo che abbiamo scelto il team, perché è nel loro progetto costruire una squadra forte intorno a lui. Un velocista ha ancora più bisogno di una struttura adeguata intorno rispetto a uno scalatore, di un treno che lo metta nelle condizioni per poter aspettare il momento giusto nella posizione migliore. Il fatto che sia arrivato 6 volte secondo e 2 terzo quest’anno, di cui quattro volte con un corridore in fuga vincendo la volata degli inseguitori, dice che la qualità è lì, è mancata solo la vittoria. Speriamo che la nuova struttura gli dia quel quid in più per riassaporare il successo.

Uno dei tanti secondi posti di Girmay nel 2025, dietro Philipsen a Lille, seconda tappa del Tour
Uno dei tanti secondi posti di Girmay nel 2025, dietro Philipsen a Lille, seconda tappa del Tour
Uno dei tanti secondi posti di Girmay nel 2025, dietro Philipsen a Lille, seconda tappa del Tour
Uno dei tanti secondi posti di Girmay nel 2025, dietro Philipsen a Lille, seconda tappa del Tour
Il fatto di aver firmato un contratto triennale è anche in quest’ottica, nel senso di lavorare a un progetto intorno a Biniam per portarlo a vincere sempre di più?

Certamente. Oggi il ciclismo crea progetti a lunga scadenza, cosa che fino all’anno 2020 non avveniva. Un atleta come Girmay, con il suo carico di storia, garantisce visibilità, marketing e sta a noi agenti farlo capire. Il team di Kjell Calstrom aveva tutto l’interesse di creare un progetto a lunga scadenza, altrimenti si corre il rischio di una separazione prima di vedere il compimento dei propri propositi, possono arrivare sirene da altri team. Ormai si devono creare dei progetti a lunga scadenza.

Meintjes

Il ritiro di Meintjes, esempio di un ciclismo forse in estinzione

31.10.2025
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Tra i tanti che hanno chiuso la propria carriera quest’anno, c’è anche Louis Meintjes, che rientra nella categoria dei corridori capaci di destare i giudizi più diversi. Considerando che è stato in attività, tra Professional e WT, dal 2013, c’è chi dice che è stato un buon piazzato e nulla più e chi lo considera comunque un riferimento dell’ultimo decennio. In fin dei conti ha portato a casa un titolo continentale (la prova in linea dei campionati africani su strada del 2015), tre top 10 al Tour de France e una decina di successi, anche dalle nostre parti.

Per Meintjes una stagione lunga ben 77 giorni di gara ma senza Top 10
Per Meintjes una stagione 2025 lunga ben 77 giorni di gara ma senza Top 10
Per Meintjes una stagione lunga ben 77 giorni di gara ma senza Top 10
Per Meintjes una stagione 2025 lunga ben 77 giorni di gara ma senza Top 10

Ognuno ha le sue opinioni, certamente Meintjes ha avuto una carriera movimentata, vivendo sulla sua pelle per un anno gli albori della UAE Emirates nata dalle ceneri della Lampre, l’epopea della Qhubeka (formazione di casa per lui) e la crescita dell’Intermarché, scegliendo di anticipare (e per certi versi favorire) la sua fusione con la Lotto. D’altronde la scelta di ritirarsi era maturata anche prima delle trattative fra i due team: «Credo che ci stessi pensando già da qualche anno e ora è semplicemente un buon momento».

Ma l’unione tra Intermarché e Lotto ha influenzato la tua decisione?

Non direi. Potrei sempre cercare qualche altro contatto se volessi, so che molte squadre mi avrebbero preso. Per me non è stato questo il fattore più importante per ritirarmi. Mi rendo conto che per molti corridori si prospetta una situazione difficile, non solo da noi. Alcune squadre hanno perso la sponsorizzazione. Quindi forse non è il momento più semplice per trovare un nuovo contratto, ma per me personalmente non è stato così.

Il 33enne di Pretoria è stato protagonista anche in Italia, vincendo il Giro dell'Appennino 2022
Il 33enne di Pretoria è stato protagonista anche in Italia, vincendo il Giro dell’Appennino 2022
Il 33enne di Pretoria è stato protagonista anche in Italia, vincendo il Giro dell'Appennino 2022
Il 33enne di Pretoria è stato protagonista anche in Italia, vincendo il Giro dell’Appennino 2022
Ripensando alla tua carriera, sei soddisfatto di ciò che hai realizzato in 13 anni di ciclismo professionistico?

Sì, sono abbastanza contento. Per me non è mai stato così importante il risultato ottenuto in gara. Se non vincevo ma avevo fatto una buona corsa, avevo ottenuto un buon piazzamento, andava bene lo stesso. Quindi sono stato abbastanza fortunato da vincere quella decina di volte, anche gare importanti, ma per me era più importante dare il 100 per cento. Se sentivo di aver fatto tutto quel che potevo, per me andava bene. Quindi sì, se mi guardo indietro ora, penso di averci provato con tutte le mie forze e ne sono contento.

Qual è stato il risultato più importante della tua carriera?

Penso che la vittoria alla Vuelta sia stata molto bella (tappa di LEs Praeres nel 2022, ndr) perché è diverso quando ottieni un buon risultato, ma quando tagli il traguardo per primo, è qualcosa di veramente speciale. Ma anche arrivare tra i primi dieci al Tour de France è davvero speciale, solo che lo percepisci davvero uno o due anni dopo, ti rendi conto di che grande risultato sia stato. Sul momento, non provi la stessa sensazione. Quindi ora l’apprezzo, anche perché esserci riuscito tre volte considerando che è l’appuntamento principe della stagione, ha un grande valore.

Il podio della tappa di Les Praeres alla Vuelta '22. Questa è la sua vittoria più prestigiosa
Il podio della tappa di Les Praeres alla Vuelta 2022. Questa è la sua vittoria più prestigiosa
Il podio della tappa di Les Praeres alla Vuelta '22. Questa è la sua vittoria più prestigiosa
Il podio della tappa di Les Praeres alla Vuelta 2022. Questa è la sua vittoria più prestigiosa
Per molti anni sei stato l’icona del Sudafrica. Pensi che il numero di praticanti e il livello di attività siano migliorati da quando hai iniziato?

Penso che il nostro ciclismo attraversi fasi di alti e bassi, In questo momento forse non è al suo apice perché è un po’ difficile emergere non avendo grandi squadre in Sudafrica, quando avevamo la Qhubeka era comunque un canale privilegiato e dava risonanza alla nostra attività. Ma penso che il ciclismo, da quando ho iniziato a praticarlo, sia seguito da molte più persone ed è molto più popolare.

Da cosa lo capisci?

All’inizio molte persone non capivano che ero un ciclista professionista e che lo facevo per lavoro. Ma ora, se parlo con qualcuno in Sudafrica e gli dico che ero un ciclista professionista, capisce che è come nel calcio o in un altro sport, dove puoi avere una carriera completa ed economicamente fruttuosa.

Il sudafricano in maglia Lampre, 8°al Tour 2016, risultato bissato l'anno dopo e migliorato (7°) nel 2021
Il sudafricano in maglia Lampre, 8° al Tour 2016, risultato bissato l’anno dopo e migliorato (7°) nel 2021
Il sudafricano in maglia Lampre, 8°al Tour 2016, risultato bissato l'anno dopo e migliorato (7°) nel 2021
Il sudafricano in maglia Lampre, 8° al Tour 2016, risultato bissato l’anno dopo e migliorato (7°) nel 2021
Cosa farai ora?

Questa è una bella domanda, perché non lo so. Non ho ancora nessun piano. Prima voglio prendermi un po’ di tempo e riposarmi, per pensare davvero a quello che voglio fare. Non volevo prendere una decisione mentre ero ancora nel ciclismo ed ero stanco per tutte le gare. Ho bisogno di decantare da oltre un decennio immerso in una routine. Pensare davvero a cosa mi entusiasma ora, quale nuovo progetto sarebbe bello affrontare.

Un giovanissimo Meintjes ai mondiali in Toscana 2013, argento dietro Mohoric nella prova U23
Un giovanissimo Meintjes ai mondiali in Toscana 2013, argento dietro Mohoric nella prova U23
Un giovanissimo Meintjes ai mondiali in Toscana 2013, argento dietro Mohoric nella prova U23
Un giovanissimo Meintjes ai mondiali in Toscana 2013, argento dietro Mohoric nella prova U23
Molte persone hanno detto che il ciclismo è sempre più per i più giovani. Pensi che in futuro emergeranno sempre meno corridori che avranno oltrepassato la soglia dei 30 anni?

Credo proprio di sì, esempi come il mio diverranno sempre più delle eccezioni, anche perché i ciclisti iniziano prima. Dopo 10 anni ai massimi livelli, inizi a vedere le cose in modo diverso da come vedi la vita. Quindi se iniziano da giovani, probabilmente smetteranno anche da giovani. Inoltre, le squadre ora tendono a cercare il prossimo campione, quindi preferiscono rischiare e ingaggiare un nuovo giovane corridore e sperare che sia qualcosa di speciale piuttosto che continuare con il vecchio che sanno essere in grado di fare risultato. Forse non il miglior risultato, ma almeno è costante.

Il primo Giro di Busatto, fra mal di gambe e la scoperta di sé

04.06.2025
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ROMA – Il primo Giro di Francesco Busatto, nel suo secondo anno di WorldTour, ha il buon sapore del quarto posto di Tirana nel giorno del debutto, accompagnato anche dal primo cartellino giallo. In quei giorni di inizio corsa è stato come se i giudici preposti alle ammonizioni abbiano voluto far capire chi comandasse e poi, una volta fatto passare il messaggio, si siano chetati. A 22 anni e con un trolley pieno di speranze, il vicentino è partito per la corsa rosa senza sapere più di tanto cosa aspettarsi, ma con la curiosità di scoprirlo.

Che cosa ti aspettavi dal primo Giro?

In realtà già finirlo era sarebbe stato buon obiettivo. Essendo il primo, sono arrivato in corsa con la prospettiva di uscirne meglio e secondo me è andato molto bene. Sono riuscito a fare un buon risultato nella prima tappa e poi mi sono messo un po’ in evidenza nell’ultima settimana. Mi sono anche un po’ sorpreso che comunque, essendo veramente stanco, avessi ancora le gambe per farlo. Ma alla fine è così per tutti, però personalmente non lo avevo mai provato.

Come descriveresti la fatica di svegliarsi ogni giorno, fare i conti col mal di gambe e cercare degli obiettivi?

Diventa quasi una routine. Sono le prime pedalate a inizio tappa quelle in cui si sente veramente un gran mal di gambe, però sei obbligato a seguire gli altri e poi, chilometro dopo chilometro, cominci a stare sempre meglio. Alla fine scopri che le gambe le hai, quindi è una fatica comune a tutti quanti ed è davvero una gran fatica (sorride, ndr).

Per un giorno in maglia bianca, ecco Busatto nella crono di Tirana, dopo il quarto posto della prima tappa
Per un giorno in maglia bianca, ecco Busatto nella crono di Tirana, dopo il quarto posto della prima tappa
C’è stato un momento in cui stavi per mollare?

No, però c’è stato un momento in cui ero parecchio in difficoltà dopo la seconda caduta. Non ho fatto tanta fatica a finire le tappe successive, diciamo quelle subito dopo. Però ho iniziato a dormire male, riposarsi bene è diventato parecchio impegnativo e lì lo sforzo è stato soprattutto mentale. Però sono riuscito a passare anche questo e qualora dovesse ricapitarmi una cosa di questo genere in futuro, saprei di dover tenere duro, perché un Grande Giro è lungo e può succedere di tutto.

Con i compagni si crea un rapporto speciali in questi 21 giorni?

Il Giro unisce. Siamo una squadra e siamo tutti nella stessa barca, la fatica è per tutti. Ci aiutiamo a vicenda e questo crea un bel clima di amicizia.

C’è stato un giorno in cui durante il Giro hai visto un bel Busatto?

Sicuramente nella prima tappa, in cui ho ritrovato un buon livello che nelle settimane precedenti facevo fatica ad avere. Insomma, dopo un inizio di stagione difficile, quel quarto posto mi ha dato molta motivazione e la consapevolezza che sono periodi che si attraversano continuamente. Per cui non bisogna cedere di testa, ma bisogna tenere duro perché prima o poi se ne esce.

Piazzola sul Brenta, a pochi chilometri da Bassano. Piove, ma a Busatto arriva il calore di casa
Piazzola sul Brenta, a pochi chilometri da Bassano. Piove, ma a Busatto arriva il calore di casa
Ad aprile non eri parso molto ottimista sul tuo futuro immediato, è bastato riallenarsi bene per riprendere il filo?

Penso che finalmente abbiamo trovato il giusto bilanciamento tra allenamento e riposo e questo mi ha dato tutta un’altra gamba. E poi ho fatto un bel periodo in altura a Sierra Nevada, dove non ho mai avuto alcun tipo di acciacco, nessuna influenza. E’ andato tutto liscio e questo mi ha permesso di trovare anche un’ottima condizione.

Quindi è vero che il Grande Giro fa crescere il motore?

Secondo me sì, sia per una questione fisica sia per una questione mentale. Ci si abitua a fare fatica ogni giorno.

Si dice che per tenere botta così a lungo serve evitare gli inutili sprechi di energia: è davvero così?

In realtà non penso di aver mai fatto niente di estremo. Alla fine si va sempre a tutta e ogni tappa sembra una corsa di un giorno, come se non ci fosse un domani. Per cui quello che fanno gli altri, lo fai anche tu perché sei obbligato. In questo modo inizi a prendere anche un certo modo di correre che non è proprio al risparmio, diciamo, però ti dà sicuramente un’altra condizione.

Cesano Maderno, Busatto 13°: si piazza secondo nello sprint del gruppo alle spalle di Denz che ha vinto
Cesano Maderno, Busatto 13°: si piazza secondo nello sprint del gruppo alle spalle di Denz che ha vinto

Il programma prevede ora due impegni a metà giugno: il Grosser Preis des Kantons Aargau il 13 giugno e il Giro dell’Appennino del 24, poi si vedrà quali saranno gli effetti del Giro sul giovane bassanese. La sensazione, incontrandolo alla fine del viaggio, è che sia già un po’ più grande. Forse fra qualche mese Francesco scoprirà che sono cambiate anche le gambe, ma intanto lo sguardo e l’essenzialità delle parole dicono che il ragazzo si sta facendo grande. E forse per tornare a ottenere i risultati di quando era un under 23 serviva proprio una fatica così grande.

Partenza lenta e mente al 2026, le scelte di Proietti Gagliardoni

01.04.2025
5 min
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Non solo Fedrizzi. Anche Mattia Proietti Gagliardoni sta correndo con in tasca il contratto che gli permetterà di entrare nel devo team della Wanty Nippo ReUs. Anzi, il corridore umbro lo farà un anno prima del suo avversario, in quanto è già alla seconda stagione da junior e non vede l’ora di affrontare quel che il destino gli metterà dinnanzi: senza paura, ma con grande curiosità.

A dispetto dei suoi 17 anni, Mattia è già da qualche tempo sulla cresta dell’onda, tanto che lo scorso anno la sua preparazione fu oggetto di un dibattito acceso con protagonisti Daniele Pontoni, cittì della nazionale di ciclocross che lo ha sempre voluto fra i suoi portacolori e Massimiliano Gentili, l’ex professionista che ancora oggi è il suo preparatore. L’attenzione che il team belga ha riversato su di lui cambia però un po’ la situazione

Per Proietti Gagliardoni quest’anno un 8° posto alla Piccola Liegi delle Bregonze
Per Proietti Gagliardoni quest’anno un 8° posto alla Piccola Liegi delle Bregonze

«E’ stata una sequenza molto veloce – racconta Mattia – a novembre ho contattato Carera come procuratore e già a dicembre mi ha chiamato proponendomi due settimane di ritiro con loro. Io non ero sicurissimo anche perché ero ancora nel pieno della stagione di ciclocross. Poi, visto che ai tricolori non sono andato come mi aspettavo e sapevo di non rientrare nella selezione per i mondiali, ho deciso di accettare e di partire per la Spagna. Da lì è venuto tutto naturale».

Nel tuo caso la domanda viene subito spontanea conoscendo il tuo valore in due discipline: con i dirigenti belgi hai già parlato se continuerai a fare ciclocross?

Ancora non ho affrontato il discorso. Mi atterrò comunque alle loro decisioni, qualsiasi esse siano. Io vorrei continuare, ma non mi dispiacerebbe neanche dedicare tutto l’inverno alla preparazione considerando quello che mi aspetta. Io non mi distaccherò dalle loro decisioni, intanto so che mi faranno avere a breve la bici da crono con la quale affronterò la Corsa della Pace.

Per il diciassettenne già pronta una maglia azzurra per la prossima Corsa della Pace (Photors)
Per il diciassettenne già pronta una maglia azzurra per la prossima Corsa della Pace (Photors)
Come sei d’accordo con loro, anche tu come Fedrizzi sei già seguito da loro? Hai il loro materiale?

No, per ora continuo con Gentili che mi segue da quand’ero allievo secondo anno e con il quale mi trovo benissimo, anche dal punto di vista umano oltre che professionale. La bici da strada resta quella del Team Franco Ballerini-Lucchini-Energy anche perché hanno un contratto con la Ktm per tutti i loro tesserati.

La chiamata del team belga ti ha sorpreso?

Più che sorpreso, per me rappresenta il raggiungimento di un obiettivo che mi ero posto sin dall’inizio della mia avventura. Volevo fortemente entrare in un devo team perché penso che sia decisivo per la mia crescita. Quando l’ho saputo, ero strafelice e chiaramente ho subito detto di sì, quasi a scatola chiusa.

L’esperienza ai tricolori di ciclocross a Faé di Oderzo, guastata da una caduta iniziale (foto Billiani)
L’esperienza ai tricolori di ciclocross a Faé di Oderzo, guastata da una caduta iniziale (foto Billiani)
Una notizia che ha addolcito anche il tuo inverno sui prati, non proprio felicissimo…

Sì, mi ha lasciato molto l’amaro in bocca perché non sono riuscito a centrare gli obiettivi che mi ero posto. Il problema principale è stato un edema al sottosella che mi ha tenuto fuori addirittura un mese, poi ho avuto un incidente stradale in allenamento e mi sono dovuto fermare altri 5 giorni, insomma riprendersi non è stato semplice. Durante le feste natalizie avevo anche recuperato la condizione, sono persino riuscito a centrare un podio in Belgio, che non è certamente cosa comune. Sapevo però che mi giocavo tanto ai tricolori, lì sono caduto nelle prime battute e ho corso tutta la gara in rimonta finendo quinto. Non è bastato…

Finora hai gareggiato abbastanza poco…

Ho affrontato solamente due gare, ma la cosa non mi dispiace. Mi concentro soprattutto sull’allenamento in vista della parte della stagione che più mi interessa, quella centrale dove ci sono gare più adatte alle mie caratteristiche. Io voglio essere pronto da maggio in poi, anche perché si comincerà a ragionare anche per le gare titolate. Alla Piccola Liegi delle Bregonze ho ottenuto un 8° posto correndo soprattutto in difesa.

Il podio del ciclocross di Dendermonde con l’umbro secondo dietro il tedesco Benz (Lucvdlphotography)
Il podio del ciclocross di Dendermonde con l’umbro secondo dietro il tedesco Benz (Lucvdlphotography)
Su quali gare hai messo gli occhi?

Non c’è un appuntamento specifico, diciamo che mi interessano soprattutto le prove a tappe perché amo gli arrivi in salita e credo che, considerando le mie caratteristiche di recupero, sono le corse più adatte a me. Considerando anche che sono molto sotto l’occhio degli osservatori esteri, ci tengo a far bene lì.

Che impressione ti fa andare a correre all’estero?

Mi fa estremamente piacere soprattutto come crescita personale, immergermi in una nuova cultura, con ragazzi di altre nazioni, trovando un linguaggio comune per confrontarci. Credo che sia  un’esperienza di vita importante e questo a prescindere dal discorso ciclistico.

Il corridore del Team Franco Ballerini-Lucchini-Energy ha già militato in nazionale all’Eroica 2024 (Photors)
Il corridore del Team Franco Ballerini-Lucchini-Energy ha già militato in nazionale all’Eroica 2024 (Photors)
Prima accennavi al discorso azzurro: tu dovresti essere già nel giro per le prove di Nations Cup, ma quest’anno sia europei che mondiali sono per scalatori. Che cosa ne pensi?

A dir la verità Salvoldi me ne ha già parlato, so che sono percorsi adatti alle mie caratteristiche e anche per quello sto un po’ “nicchiando” per avere energie tra primavera ed estate. La strada è tracciata, io voglio farmi trovare pronto quando servirà. Anche perché in vista dell’approdo nel team multinazionale, vorrei avere dalla mia risultati di un certo peso da presentare al mio ingresso.

VENI, VIDI, BINI! Il grandissimo Girmay del Tour

24.07.2024
7 min
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Il tempo di finire il Tour e portare a casa la maglia verde e per Biniam Girmay è arrivato il prolungamento di contratto con la Intermarché-Wanty fino al 2028. Il ferro va battuto finché è caldo e mai come ora l’occasione era propizia per chiudere un accordo favorevole.

«Questa squadra – queste le parole di Girmay sul profilo X del team – è come una famiglia per me. E’ l’ambiente perfetto per raggiungere i miei obiettivi. Mi hanno supportato nella buona e nella cattiva sorte e hanno sempre avuto fiducia in me, anche nei momenti più difficili. Prolungare di due anni la mia avventura è stata una scelta logica. Sono convinto che insieme potremo realizzare cose fantastiche. Attendo con ansia i prossimi obiettivi, a cominciare dai Giochi Olimpici».

L’uomo dei record

Mentre infatti Pogacar ha comunciato la sua rinuncia, Girmay sarà a Parigi e probabilmente avrà buone chance di dire la sua. Le tre tappe appena vinte al Tour e la Gand-Wevelgem del 2022 dicono che il corridore eritreo, che fra i suoi primati ha anche quello di aver dato la prima tappa al Tour alla Intermarché, ha tutto quello che serve per restare a galla in una corsa che si annuncia priva di controllo e schemi.

I suoi record si succedono. Il primo africano a vincere una classica del Nord. Il primo a vincere una tappa al Giro. Il primo a vincere una tappa al Tour. E il primo a vincerne la classifica a punti. Nella considerazione di chi opera nel mondo del ciclismo, i suoi risultati apriranno porte molto importanti. Con perfetto tempismo, essendo nella stagione che precede il mondiale del Rwanda.

Pertanto nei giorni del Tour, approfittando del suo passaggio quotidiano nella zona mista e di qualche incontro occasionale al via delle tappe, abbiamo raccolto le risposte alle tante domande. E ora che abbiamo avuto il tempo di riordinare appunti e registrazioni, in questa settimana che conduce alle Olimpiadi, ecco quello che ha detto Girmay sui vari temi che gli sono stati proposti.

La squadra è una famiglia, qui ha tutto quello che gli serve per vincere: parola di Girmay
La squadra è una famiglia, qui ha tutto quello che gli serve per vincere: parola di Girmay

Sugli inizi

«Ho iniziato a pedalare – ha detto nel riposo di Gruissan – perché guardavo il Tour de France in TV. Sono cresciuto con quelle immagini, gli sprint e i campioni. Poi nel tempo i miei sogni sono cambiati. Quando sei bambino pensi che sia impossibile diventare un professionista. E’ solo un sogno. Poi, quando lo diventi, dici a te stesso che è impossibile vincere una tappa. E diventa anche un sogno. Ed è così bello riuscire finalmente a realizzare i propri sogni».

Sulla caduta di Nimes

«Quando cadi va sempre così. Il giorno stesso ti senti bene – ha detto dopo l’arrivo – ma il giorno dopo ti fa molto male quando ti svegli. Vedremo, spero di sentirmi bene domani. Mentalmente sto sicuramente bene, non sarà un problema. Quando mi sono rialzato, ho visto che potevo pedalare ancora ed ero felice. Non mi preoccupo se perdo o meno la maglia verde, soprattutto voglio arrivare a Nizza senza preoccupazioni».

Caduto nella tappa di Nimes: quella sera nella mente di Girmay per un attimo è passata l’idea del ritiro
Caduto nella tappa di Nimes: quella sera nella mente di Girmay per un attimo è passata l’idea del ritiro

Sulla popolarità

«Ancora non è cambiato molto – ha detto dopo la tappa di Pau – forse perché sono ancora in gara. La mia vita, per ora, consiste semplicemente nell’alzarmi, correre, mangiare e dormire. Però so che sui social il mio nome è ovunque. Sono finito sulle prime pagine. Penso che vedrò la differenza quando tornerò a casa. E’ bello vedere il mio nome per le strade, la gente con i cartelli che mi chiama, che mi fa grandi gesti. L’anno scorso nessuno mi conosceva. In squadra le cose non sono cambiate, mi pare che giri tutto allo stesso modo. Però sono aumentate le responsabilità, anche se per me si tratta sempre di fare fatica divertendosi».

Sul suo ruolo in squadra

«In realtà sono partito per tirare le volate a Gerben Thijssen – ha detto dopo la prima vittoria a Torino – ma il finale era confuso e via radio mi hanno detto di fare la mia volata e di provare a vincere la tappa. Era la prima volata del Tour, c’erano tanti velocisti ancora freschi e alla fine ho vinto io. E’ stata una sensazione incredibile. Quello che mi piace delle tappe in volata è vedere come cambia la mia concentrazione negli ultimi 10 chilometri. Smetto di pensare al resto, guardo soltanto davanti a me: penso solo a quello che devo fare».

Santini ha fatto per lui il body leggero come per Vingegaard e Pogacar: anche Girmay soffre il caldo
Santini ha fatto per lui il body leggero come per Vingegaard e Pogacar: anche Girmay soffre il caldo

Sul Tour de France

«L’anno scorso – ha detto a Nizza – non sapevo nulla di questa corsa e dopo le prime due tappe nei Paesi Baschi avevo già speso una montagna di energie. Ora ho più esperienza, lo scorso anno ho gettato le basi e ora ho imparato qualcosa ogni giorno. Ho imparato che devo lavorare duro e avere fiducia in te stesso. Però è sbagliato mettersi troppa pressione addosso. L’anno scorso guardavo molto cosa facessero gli altri, quest’anno ho ragionato solo su me stesso».

Sulla lontananza da casa

«Non è così difficile stare lontano – ha detto nel secondo giorno di riposo a Gruissan – perché cerco di far coincidere i programmi della squadra con quelli della famiglia. Bisogna trovare equilibrio. La squadra rispetta questa mia esigenza e mi permette di trascorrere del tempo con la mia famiglia. Anche i ritiri qua in Europa non sono così lunghi, parliamo di due o tre settimane prima di una gara importante. Ho fiducia nel piano e l’ho condiviso con mia moglie».

Pogacar ha due anni più di lui: anche Girmay (1,84 per 70 chili), classe 2000, è uno dei giovani portentosi
Pogacar ha due anni più di lui: anche Girmay (1,84 per 70 chili), classe 2000, è uno dei giovani portentosi

Sulla caduta del Giro

«Volevo fare bene al Giro d’Italia – ha detto dopo la vittoria di Torino – ma sono caduto nella quarta tappa e ho dovuto mollare. I medici e la squadra mi hanno proposto tre settimane per recuperare bene, ma io sapevo quanti sacrifici avessi fatto per arrivare bene al Giro e mi sono imposto di ripartire subito. Sono andato forte e ho anche vinto, non volevo aspettare a casa. E adesso ogni volta che vado in gara, parto per vincere. Lavoro per questo, non mi interessa quali avversari ho davanti, io voglio arrivare primo. Per questo non so neanche dire quale sia il mio limite, perché lavoro al 200 per cento per superarlo».

Sulla maglia verde

«Per fortuna non mi sono ritirato dopo la caduta di Nimes – ha detto domenica dopo la crono – perché per qualche momento ci ho pensato davvero. Avevo vinto tre tappe, quando l’obiettivo era vincerne una. Poi mi sono detto che forse avrei potuto vincere la quarta. E quando non l’ho vinta, mi è scattato in testa di portare la maglia verde fino a qui. I piani sono cambiati col passare delle tappe. E’ stato un viaggio incredibile. Mio padre dice che ad Asmara si è fermato tutto per seguire le tappe. Forse davvero per capire cosa ho fatto dovrò aspettare di tornare laggiù».

La vittoria di Girmay, il dramma di Drege, la storia di Abrahamsen

06.07.2024
6 min
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Conquistata Torino, Biniam Girmay alza per la seconda volta le braccia al cielo e questa volta anche la bici. Il traguardo di Colombey les Deux Eglises è fradicio di pioggia e sul rettilineo in leggera salita il corridore eritreo è stato più freddo e potente di Jasper Philipsen, partito prima e poi rimontato. Alle loro spalle, Arnaud De Lie avrebbe avuto forse le gambe per passarli, ma ha dovuto smettere di pedalare.

Un giorno bastardo

E’ un giorno bastardo, con la notizia della morte di André Drege arrivata dal Tour of Austria a raggelare la voglia di raccontare. Come lo scorso anno con Mader al Tour de Suisse, come ogni volta che succede e uno di questi ragazzi paga con la vita il suo sogno di corridore. Non conoscevamo Drege, della caduta si sa che è avvenuta in una discesa e poco altro. Ripensando alla picchiata di Tadej Pogacar martedì giù dal Galibier, ci rendiamo conto che una mano invisibile li protegge dal male, ma può capitare che a volte non basti. Giusto ieri a Forlì un gruppo di amici si è radunato per ricordare Fabio Casartelli, che in quel maledetto Tour del 1995 aveva l’età di Drege oggi, in questo ripetersi doloroso e sfiancante delle stesse parole.

André Drege, 25 anni, è scomparso al Tour of Austria. Qui vince il Tour of Rhodes a inizio stagione
André Drege, 25 anni, è scomparso al Tour of Austria. Qui vince il Tour of Rhodes a inizio stagione

In fuga con Drege

Biniam Girmay alza per la seconda volta le braccia al cielo, ma la tappa di oggi si è svolta nel segno di un altro norvegese, Jonas Abrahamsen, 28 anni, rimasto in fuga per 170 chilometri, prima che il gruppo si ricordasse che c’era da celebrare un’altra volata. Per cui, quando il corridore del Team Uno X Mobility è passato sul traguardo a 1’55” dal vincitore, la sua maglia pois aveva poco da raccontare, se non la stanchezza e un mesto sorriso.

Sono così pochi i corridori norvegesi, che forse la sera della fuga più lunga si trasformerà in un lento mal di testa. Al campionato nazionale, i due hanno pedalato insieme nel finale, arrivando in coppia al traguardo, con 1’04” di distacco dal vincitore.

Uno scalatore di 78 chili

Eppure la sua storia merita un racconto, per portare via la mente dalla tragedia, di cui si sa ancora troppo poco e avvenuta a quasi 900 chilometri da questo scorcio così verde di Francia. Quando è salito sul palco per essere premiato con la maglia degli scalatori, come gli succede dall’inizio del Tour, è parso ancora una volta insolito che quel primato sia stato consegnato a un corridore alto 1,83 per 78 chili.

Non è scritto da nessuna parte che il re degli scalatori debba essere sottile come Froome, ma di certo ha raramente questa fisicità. E’ vero che le grandi salite siano ancora lontane da venire e che le tante fughe gli permettono di raggranellare punti, ma la sua storia merita ugualmente un racconto.

Abrahamsen ha 28 anni, pesa 78 chili ed è alto 1,83. oggi è stato in fuga per 170 chilometri
Abrahamsen ha 28 anni, pesa 78 chili ed è alto 1,83. oggi è stato in fuga per 170 chilometri

I disturbi alimentari

Quando era under 23 infatti, Jonas Abrahamsen era ossessionato dall’essere il più leggero possibile. Non era una fissazione troppo rara, anche se negli ultimi anni le teorie sulla nutrizione hanno riscritto la storia. Ci si attaccava al rapporto fra potenza e peso e si pensava che il modo migliore per essere performanti fosse essere il più magri possibile. Abbiamo parlato a lungo dei disordini alimentari generati da questa convinzione e così è accaduto per il norvegese. A un certo punto il suo peso è sceso a 60 chili ed è stata l’inizio del problema.

«Quando ho iniziato a correre – ha raccontato – essere magri era molto popolare. Tutti i corridori che ammiravo lo erano. Ho sempre sperato di arrivare a 60 chili, ma era difficile tenere quel peso, soprattutto perché avevo sempre fame e poi soprattutto non riuscivo a spingere. Mi sentivo come se non avessi fatto i progressi in cui avevo sempre sperato. Essere leggero non significava andare forte in salita e così ho cominciato a riprendere peso. Ho scoperto che i muscoli funzionano meglio se ricevono carburante. Così ho preso 20 chili, poi lentamente mi sono messo in equilibrio e adesso ne ho 18 in più».

La maglia gialla e i castelli, la Francia è una serie ininterrotta di cartoline
La maglia gialla e i castelli, la Francia è una serie ininterrotta di cartoline

L’intervento del nutrizionista

Ha raccontato in una trasmissione televisiva norvegese, che mostrò alcune sue foto nudo sulla bicicletta, che l’eccesso di magrezza aveva portato via il desiderio sessuale. Al contrario, una volta tornato a mangiare, il suo corpo ha iniziato a convivere una una pubertà tardiva, che lo ha portato a crescere di 5-6 centimetri e all’iniziare a farsi la barba. Ovviamente non si è trattato soltanto di mangiare di più, quei 18 chili non sono fatti di fritti e birra, ma sono stati riguadagnati grazie alla collaborazione con James Moran, il nutrizionista della squadra.

«E’ pazzesco – ammette il corridore – la mia plicometria è fondamentalmente la stessa, ma i miei muscoli sono aumentati di 20 chili. Ora mangio in modo normale e il mio corpo reagisce molto bene».

Abrahamsen indossa la maglia a pois sin dal primo giorno del Tour
Abrahamsen indossa la maglia a pois sin dal primo giorno del Tour

Bilancia addio

Le sue ammissioni in Norvegia hanno provocato una serie di reazioni e fatto capire che dietro la difficoltà di sconfiggere i disturbi alimentari c’è soprattutto la vergogna di affrontarli.

«Penso che sia molto importante – ha detto Abrahnsen a The Cycling Podcast – che i giovani ciclisti mangino abbastanza. Ho pesato a lungo ogni cosa che mangiavo, ma ora mangio ciò di cui il mio corpo ha bisogno. E in modo davvero sorprendente vado più forte in salita ora di quando pesavo 60 chili».

La maglia a pois è ancora sua e magari rimarrà tale fino ai giorni sui Pirenei. A quel punto gli scalatori di 60 chili prenderanno il sopravvento e lui si farà una risata. Quel peso per lui non era naturale, averlo capito in tempo gli ha salvato la carriera.

Colleoni e la schiena: tutto risolto con l’oculista?

23.04.2024
7 min
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RIEMST (Belgio) – Dall’incontro per parlare del suo casco al ricordarsi l’ultimo pezzo dello scorso anno, quando Kevin Colleoni annunciò che sarebbe passato dalla Jayco-AlUla alla Intermarché-Wanty. La stagione non era andata un granché e alla base di tutto c’era un misterioso problema alla schiena venuto fuori dopo la caduta alla Coppa Agostoni. Di solito, in questi casi, fai le terapie necessarie, ti raddrizzano e torni come nuovo. Invece per il bergamasco si è messo in moto un mezzo inferno, fatto di dolore, esami, disagi e la frustrazione del non venirne a capo.

Perciò abbiamo prolungato la permanenza nel suo hotel per fare il punto sulla salute e sulla carriera, la stagione in corso e quello che verrà. Vedendolo arrivare in cima alla Redoute il giovedì assieme a Francesco Busatto non era sembrato particolarmente dolorante, ma è meglio farsi raccontare da lui (in apertura, nella foto Instagram/cyclingmedia_agency).

Il UAE Tour è stato la prima corsa di Colleoni con la maglia della Intermarché-Wanty
Il UAE Tour è stato la prima corsa di Colleoni con la maglia della Intermarché-Wanty
Come è correre in Belgio in una squadra belga?

A correre qui, si sente la differenza, altrimenti è un team internazionale. Molto familiare, questo sì: mi trovo bene. Ho trovato un ambiente tranquillo, professionale, non avevo dubbi. Sono a mio agio anche con i compagni e lo staff. La cosa che mi piace tanto è il programma. Ci sono stati dei piccoli cambiamenti, però già da dicembre sapevo dove avrei corso. Più o meno ho il calendario per tutto l’anno, al netto di quello che può capitare. E questo è ottimo, perché si può programmare bene il lavoro.

E’ utile programmare a così lunga scadenza?

Arrivo da un anno difficile, ho avuto i miei problemi e sono arrivato qua senza averli ancora sistemati del tutto. Per questo vivo molto alla giornata. Ho trovato uno staff medico, osteopati e fisioterapisti molto preparati e sono migliorato tanto. Non voglio dire che sia passato al 100 per cento, ma sto parecchio meglio.

Si è scoperto che cosa sia successo in quella caduta?

In realtà non ho rotto niente, almeno da quello che si è visto. Solo che è cominciato questo mal di schiena che mi sono portato avanti per il resto della stagione. Ho iniziato a migliorare da questo inverno dopo che sono finite le corse, facendo di tutto e di più. Osteopati, fisioterapisti… Non li conto neanche più! Poi ho trovato un osteopata a Bergamo che ha iniziato a seguirmi facendo gli stessi trattamenti di quelli della squadra. E facendo questo, più tanti esercizi, la cosa ha iniziato a dare meno problemi. La causa non si è trovata ancora, non sappiamo cosa sia. Però facendo determinati trattamenti, funziona.

Nel 2023 Colleoni correva alla Jayco-AlUla, qui al Giro di Sicilia parla con Petilli
Nel 2023 Colleoni correva alla Jayco-AlUla, qui al Giro di Sicilia parla con Petilli
Niente più dolore?

Negli ultimi mesi sembra essere sparito. Ho qualche fastidio fuori dalla bici che prima non avevo, però in sella tutto sommato non è male. Prima non riuscivo a starci, l’anno scorso ad agosto non riuscivo a fare neanche un’ora. Il dolore prendeva la parte bassa e a destra, gamba e gluteo. All’inizio hanno ipotizzato che si trattasse di una sciatalgia, ma in realtà non è stato quello. E’ più  un’infiammazione generale, causata da uno squilibrio.

Dagli esami non è emerso nulla?

Ho fatto risonanze, il test per la composizione delle ossa, la tac. Eppure non c’è un problema visibile, bensì tanti piccoli problemi che però non possono portare a quel dolore. Prima della caduta non ho mai avuto nulla, quindi deve essere cominciato per forza da lì. Una cosa di cui mi sono accorto e che hanno notato anche gli osteopati è che da allora non ero più bilanciato, sia in bici che fuori. Una cosa che mi ha fatto migliorare è stato andare da un oculista.

Per fare cosa?

Abbiamo riscontrato che dall’occhio destro mi manca uno 0,4, mentre il sinistro è a posto. Perciò abbiamo fatto delle prove e mettendo una lente correttiva, in bici praticamente mi raddrizzo. La mia schiena non carica solo da una parte, ma è bilanciata e così anche l’appoggio sui piedi quando cammino. Adesso è 50-50, mentre prima pendevo da una parte. Perciò vado in bici con le lenti a contatto. E’ una cosa cui non credevo neanche io. Ci sono andato perché me l’ha detto l’osteopata. Eravamo andati anche dal dentista, ma il palato è dritto e non incide sulla posizione, invece gli occhi fanno tantissimo. Porto le lenti da questo inverno, da dicembre: 24 ore su 24, le tolgo solo per dormire. E non vanno bene quelle usa e getta, perché mi manca troppo poco e non ne fanno, per cui devo prenderle su misura.

Alla Strade Bianche, chiusa con un ritiro. Qui con Michele Gazzoli
Alla Strade Bianche, chiusa con un ritiro. Qui con Michele Gazzoli
Perciò adesso pedali come ai vecchi tempi?

Ho cominciato a non avere più fastidio e a ripedalare in maniera più soddisfacente. Diciamo che all’inizio dell’inverno ho avuto un po’ di acciacchi, per cui ho iniziato tardi. Ho cominciato ad allenarmi al ritiro di dicembre, prima niente. Da gennaio ho iniziato a fare i lavori e mese dopo mese è andata sempre meglio. In gara ho avuto qualche fastidio all’inizio delle prime gare, però ad esempio il Giro dei Paesi Baschi è stata la prima gara dopo un anno in cui non ho avuto dolori. So che possono tornare, sono molto obiettivo sulla cosa perché un problema così non può sparire da un giorno all’altro. Lo so e ci lavoro.

In che modo?

Faccio trattamenti e faccio tanto stretching. Quando sono alle corse, ho il massaggiatore e l’osteopata che controlla che sia dritto col bacino e tutto il resto. Quando sono a casa, non posso andarci tutti i giorni, ma cerco di vederli il più spesso possibile. Magari una volta a settimana, dieci giorni. Intanto ho i miei esercizi e una volta a settimana vado in palestra, che mi ha aiutato tanto a rinforzare tutta la schiena. Pesi e corpo libero. E’ stata l’unica cosa che, quando avevo male, non mi dava fastidio. Il solo modo che avevo per potenziare e comunque mantenere il tono.

Cambiando squadra, hai cambiato anche posizione in bici?

Abbiamo fatto un gran lavoro su questo, ma alla fine non è cambiata tanto, se non per dei dettagli. L’ho fatto tramite il mio osteopata a Bergamo e un biomeccanico che veniva nel suo studio. A ogni modifica che si faceva, si testava la risposta del corpo. Se mi storcevo o restavo dritto, se mi si bloccava una gamba oppure no. E’ una cosa che ti porta via tanto tempo, i primi giorni non noti la differenza, però a lungo andare te ne accorgi. Basti pensare che da quando correvo alla Biesse-Carrera, ho sempre mantenuto la stessa posizione.

Nella seconda tappa del Catalunya con arrivo a Vallter 2000, la fuga con Colleoni è andata avanti per 146 chilometri
Nella seconda tappa del Catalunya con arrivo a Vallter 2000, la fuga con Colleoni è andata avanti per 146 chilometri
Invece adesso?

Da quando ho avuto questo problema, sapendo che ogni modifica poteva migliorare o peggiorare, sono tanto minuzioso. Porto con me sempre la sella da allenamento per controllare che quella da gara sia uguale. Non perché non mi fidi, ma ho imparato che il corpo risente anche di un solo millimetro e può perdere efficienza.

Quindi adesso si riparte con motivazioni intatte?

Il primo obiettivo per quest’anno era rimettermi a posto. Non ho ancora fatto risultati, ma gara dopo gara sto migliorando e mi torna la fiducia. Dovrei fare il Giro d’Italia, il mio primo Grande Giro: la preparazione è incentrata su questo. Ho fatto solo gare WorldTour, è il solo modo per migliorare. L’unica un po’ minore, tra virgolette, è stata la Milano-Torino. Ovvio che sia più difficile fare risultati, ma ora l’interesse è crescere. Non avrò un obiettivo principale, se non aiutare la squadra e cercare di togliermi qualche soddisfazione.

Hai parlato di fiducia. 

Quella fa tanto. L’anno scorso andavo alle gare sapendo già di non avere possibilità. Non per colpa mia, ma per un problema fisico. Parti già sconfitto, non è facile. Quest’anno non ho ancora la fiducia di prima, però vedo che man mano miglioro. Manca di fare il prossimo salto, magari un risultato o qualcosa che possa farmi ritrovare la fiducia. Se anche mentalmente mi tolgo questo peso, so che posso tornare a fare delle buone prestazioni.

La Liegi di Colleoni chiusa al 96° posto a 19’13” da Pogacar (foto Instagram/cyclingmedia_agency)
Liegi chiusa al 96° posto a 19’13” da Pogacar (foto Instagram/cyclingmedia_agency)
A che punto pensi di essere della tua carriera?

Ognuno ha la sua maturazione fisica. Ho ancora 24 anni e vedo che nel ciclismo di adesso, tutti si aspettano troppo dai più giovani. Da una parte è normale, perché tanti passano e vincono. Ma io arrivo da un ciclismo in cui fino agli juniores mi allenavo con mia mamma (Imelda Chiappa, argento su strada ad Atlanta 1996, ndr). Uscivo tre volte a settimana, da under il massimo che facevo erano 5 ore. Adesso vedo juniores che si allenano 5-6 ore come i professionisti, è normale che passano e vanno forti. Però vedo anche altri che iniziano ad emergere a 26-27, quindi secondo me ognuno ha i suoi tempi. E di una cosa sono certo: in questo momento quello che conta è andare forte. Se vai forte, fai il capitano. Altrimenti impiegano davvero poco a rimpiazzarti.

Rise Pro Mips, il casco della Intermarché spiegato da Colleoni

20.04.2024
6 min
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RIEMST (Belgio) – «All’inizio la differenza fra il nuovo casco e il vecchio la noti. La prima volta che lo metti – racconta Kevin Colleoni, corridore della Intermarché-Wanty – magari la chiusura è un po’ diversa, però generalmente sono tutti comodi. Non ho mai trovato negli ultimi anni un casco scomodo, forse uno può pesare qualche grammo in più e lo noti quando lo prendi in mano, ma una volta che lo hai sulla testa, passa tutto… Magari ti accorgi che circola più o meno aria, però generalmente bastano tre, quattro giorni e ci si abitua».

Il bergamasco è approdato quest’anno alla squadra belga dove, oltre a tutto il resto, ha ricevuto in dotazione il casco Uvex Rise Pro Mips. I suoi compagni che già c’erano – fra loro anche gli italiani Rota, Petilli e Busatto – lo avevano già ricevuto la scorsa estate, dato che per il debutto il marchio tedesco ha scelto il Tour de France 2023.

Feritoie davanti per l’ingresso dell’aria e dietro per la fuoriuscita: la calotta è costruita in modo modulare
Feritoie davanti per l’ingresso dell’aria e dietro per la fuoriuscita: la calotta è costruita in modo modulare

Caschi da 90 anni

Uvex produce caschi dal 1926: nel ciclismo e anche nello sci e nei cantieri. «Da oltre 90 anni – spiega Michael Winter, amministratore del gruppo Uvex – produciamo e commercializziamo prodotti di alta qualità per la protezione delle persone nello sport, nel tempo libero e nel lavoro. E se vuoi proteggere le persone, devi assumerti la responsabilità. E’ proprio da questa missione che deriva il nostro obbligo di agire in modo sostenibile, sociale e socialmente responsabile».

Perché queste non siano soltanto parole, con dedizione tipicamente tedesca, Uvex ha sposato tutte le tecnologie utili al conseguimento dell’obiettivo. Così basta tenere fra le mani il casco di Colleoni per accorgersi dell’etichetta Mips, il sistema che protegge la testa e il cervello dalle lesioni durante l’impatto obliquo, assorbendo le forze rotazionali e centrifughe durante le cadute. Inoltre, l’adozione di uno strato a basso attrito nella parte a contatto con la testa, permette un minimo movimento relativo all’interno del casco stesso, senza attriti che costringano il capo a movimenti forzati.

Colleoni, 24 anni, corre con la Intermarché e il casco Uvex da quest’anno: qui al Catalunya
Colleoni, 24 anni, corre con la Intermarché e il casco Uvex da quest’anno: qui al Catalunya

Calotta modulare

Fra le caratteristiche che permettono l’assorbimento migliore degli urti, va annotata la costruzione della calotta in più parti. Vengono infatti abbinati un guscio rigido in plastica ABS all’esterno alla tecnologia Inmold per l’interno, integrando solidità e stabilità. Il guscio ha lo strato interno in EPS ammortizzante e quello esterno in policarbonato. La tecnologia Inmold utilizzata offre livelli elevati di protezione in cambio di un peso minimo. A ciò vanno aggiunte la nuova aerodinamica e l’ottimizzazione del circolo interno dell’aria, grazie alle ampie feritoie.

«Preferisco sempre avere il casco leggero – spiega Colleoni – con i modelli aero non mi sono mai trovato bene. Forse perché da quando corro, ho sempre avuto la sensazione dell’aria nei capelli e quella con i caschi leggeri non si perde. Anzi, è proprio una sensazione che ricerco. Ovviamente quando poi fa freddo, metto in testa una cuffietta per ripararmi. Il nostro casco di quest’anno forse non è il più leggero, però mi piace il senso di solidità che trasmette. Quando lo prendi in mano e poi lo indossi, percepisci che sia davvero sicuro».

Il sistema di chiusura 3D IAS permette l’adattamento a ogni forma di testa
Il sistema di chiusura 3D IAS permette l’adattamento a ogni forma di testa

Vestibilità su misura

Il passaggio da una squadra all’altra richiede l’adattamento ai nuovi materiali. Dalle nuove misure della bici, alla personalizzazione dell’abbigliamento e anche l’uso di nuovi pedali. Magari può sembrare più semplice adattarsi a un nuovo casco, ma anche in questo caso si tratta di trovare il giusto equilibrio fra la libertà necessaria e la necessità di stringere i cinghietti perché il sistema sia sicuro.

Uvex ha adottato per i suoi prodotti il sistema 3D IAS, che consente una vestibilità molto precisa. Larghezza e altezza sono regolabili autonomamente una dall’altra, per adattarsi a una vasta gamma di circonferenze e forme della testa. Questo fa sì che, copiando perfettamente l’anatomia dell’utente, la vestibilità sia comoda e soprattutto sicura.

«I sistemi di chiusura sono spesso diversi – conferma Colleoni – con questo sono riuscito a regolare il casco e averlo davvero su misura. Ovviamente non puoi pensare di avere la stessa sensazione da un casco all’altro, però una volta fatte le regolazioni, sembra di averlo sempre usato».

Colleoni racconta di aver provato il casco in condizioni di grande caldo al UAE Tour, l’aerazione è stata efficace
Colleoni racconta di aver provato il casco in condizioni di grande caldo al UAE Tour, l’aerazione è stata efficace

Aerazione efficace

Poi subentrano le sensazioni, perché il casco nasce in laboratorio, viene testato e omologato, ma la valutazione finale spetta chi dovrà usarlo. E nel caso dei corridori, si parla di un impiego ripetitivo e in ogni condizioni meteo. Ecco perché, fra le altre cose, risulta comoda la possibilità di rimuovere, lavare e asciugare rapidamente le imbottiture interne.

«Anche se siamo soltanto ad aprile e qui in Belgio sembra ancora inverno – ammette sorridendo il bergamasco – ho usato questo casco anche in situazioni di grande caldo, come al UAE Tour. L’ho trovato traspirante e ben aerato, non ho avuto problemi. E nemmeno ho mai avuto l’esigenza di avere una retina interna per evitare che entrino ad esempio gli insetti. Perché a quel punto tanto vale prendere un modello aero: la retina infatti oltre agli insetti ferma anche l’aria. Gli occhiali invece a volte li infilo sopra, oppure dietro sul collo. Si tolgono soltanto in salita e poi nemmeno sempre…».

Il casco deve restare al suo posto e non risultare scomodo. Un valore aggiunto è il sistema Mips
Il casco deve restare al suo posto e non risultare scomodo. Un valore aggiunto è il sistema Mips

Taglie e prezzi

Il casco è disponibile in due taglie che permettono di coprire ogni circonferenza: 52-56 e 56-59. Tra i dettagli che possono fare la differenza, c’è senz’altro la chiusura magnetica, che permette di aprirlo e chiuderlo con un solo tocco, grazie al sistema Fidlock. La fibbia del casco è comandata da un magnete, in modo che il funzionamento sia intuitivo e agevole anche indossando i guanti. E per essere certi che il casco sia davvero chiuso, basta prestare attenzione al “clic” che conferma l’aggancio.

Il casco Uvex Rise Pro Mips è in vendita a 219,95 euro. Domani lo vedrete in corsa alla Liegi-Bastogne-Liegi anche con il nostro amico Colleoni e poi al Giro d’Italia. Si sono già svolte mille gare, ma il bello deve ancora venire.

Uvex Sports

Il vero spettacolo è stata la gente. Piva, come mai?

21.05.2023
5 min
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BERGAMO – Bonifazio arriva trascinando i piedi, stanco morto. Le sue gambe da velocista sulle strade di Bergamo hanno sofferto le pene dell’inferno, ma ha fatto bene il suo lavoro, proteggendo nella fuga Laurens Huys, cui la Intermarche-Wanty ha chiesto di tenere duro in classifica. Si guarda intorno e lo intercettiamo prima che salga sul pullman, mentre a un paio di metri il suo direttore sportivo Valerio Piva armeggia nell’ammiraglia prima di scenderne e archiviare la tappa.

«Mi sono trovato davanti insieme a Huys – racconta Bonifazio – non abbiamo preso rischi nelle discese e poi nel finale ho attaccato sulla Roncola per mettere in crisi gli altri compagni di fuga, in modo che il mio compagno non tirasse prima della salita e ci arrivasse spendendo meno. Io sto abbastanza bene, la stanchezza inizia a farsi sentire, il risveglio è sempre traumatico. Il freddo ha fatto la sua parte, perché non ti fa realmente capire la tua condizione e recuperare quando ogni giorno ti congeli, è veramente dura. Questo Giro non ha favorito noi sprinter, quindi bisogna cercare di sopravvivere tutti i giorni…».

Anche questa volta gli uomini di classifica si sono fatti pregare e alla fine non si sono presentati alla festa. Quei due secondi fra il gruppetto di Almeida e quello di Pinot sono stati conseguenza di una discesa fatta in modo più spregiudicato, ma nulla di più. E così, approfittando della saggezza di Valerio Piva, proviamo a capire che cosa si pensi là dietro, nella lunga fila delle ammiraglie, mentre davanti le star del Giro lasciano passare i chilometri e le occasioni.

Qualcuno poco fa sull’arrivo ha parlato di un Giro che si deciderà con il colpo di un solo giorno. Perché è troppo duro, ha tappe troppo lunghe e a causa del freddo nessuno si muove…

Un Giro troppo duro? Non lo so, tutti i Giri sono duri – risponde Piva con gli occhi che lampeggiano di scetticismo – e si sapeva prima di venire che fosse una corsa difficile e con tante salite. E’ chiaro che ognuno fa le sue scelte sugli atleti da portare, capaci di gestire queste situazioni. Il freddo c’è stato e anche tanto, ma purtroppo quello non si può gestire. Sono situazioni difficili per tutti, io lo so perché ho vissuto il Gavia (nel 1988 il Giro fu sconvolto da una bufera di neve sul passo valtellinese, ndr). Qui non è stata una sola giornata, ma quasi tutte le tappe finora. Però sono convinto che il Giro sarà spettacolare nell’ultima settimana e anche questo si sapeva…

Piva è convinto che il Giro si deciderà nella terza settimana e non si stupisce per l’attendismo dei big
Piva è convinto che il Giro si deciderà nella terza settimana e non si stupisce per l’attendismo dei big
Anche questo si sapeva?

Certo, perché chi sa gestirsi aspetta la terza settimana. Quindi io mi aspetto che Roglic e Thomas e quelli che sono rimasti a giocarsi la vittoria si sfideranno sulle salite, come era prevedibile. Roglic ha gestito la squadra con il giusto approccio. Se vuoi essere competitivo nelle tappe più dure, devi fare così.

Oggi sulla carta era una tappa di quelle, no?

Lo pensavo anche io, ma visto che domani c’è il riposo hanno rimandato al Bondone di martedì, alle Tre Cime di Lavaredo, a Zoldo e alla cronometro finale. Attenzione perché lì, sul Monte Lussari, si può decidere il Giro. Le forze sono quelle e chi ha speso all’inizio rischia di pagare.

Possiamo dire che l’assenza di Evenepoel ha tolto un po’ di imprevedibilità?

Quando all’inizio li vedevo battersi per pochi secondi, ero un po’ perplesso. Non è facile gestire le tre settimane, soprattutto su questo percorso. Con Remco cambiava qualcosa chiaramente, avrebbe dato del pepe a questo Giro, ma qualche dubbio mi resta.

Gli italiani onorano il Giro. Nella prima fuga ci sono Albanese, Frigo, Ballerini, Velasco, Gavazzi e Pasqualon
Gli italiani onorano il Giro. Nella prima fuga ci sono Albanese, Frigo, Ballerini, Velasco, Gavazzi e Pasqualon
Su cosa?

Sarebbe riuscito ad arrivare in fondo a quel modo? Chiaramente non lo sapremo mai e, se ci fosse riuscito, sarebbe stato un grandissimo. Per ora non ci resta che aspettare le prossime tappe dure. Tanti si sono resi conto che la selezione verrà dal meteo e dai percorsi e aspettano i giorni chiave perché non ci sono tante forze da sciupare. 

E il vostro Giro?

Sapevamo dall’inizio che non abbiamo nessuno per la classifica. Cerchiamo di andare nelle fughe, con corridori che non sono scalatori o velocisti top. Quindi cerchiamo di anticipare per provare a vincere una tappa. Ci siamo andati vicino, ma qui il livello della nostra squadra è quello che si può vedere. Dispiace che non sia venuto Taco Van der Hoorn, che però è stato male. Lui una tappa poteva vincerla, lo ha già fatto.

Poi Piva saluta, deve salire sul pullman per parlare con i suoi ragazzi. Lascia capire che Bonifazio oggi lo ha stupito e quando gli diciamo che nella squadra ci sarebbe stato ancora bene Pozzovivo, preferisce non dire nulla. Fosse stato per lui, il lucano sarebbe stato ancora qui. Ma adesso che anche Domenico è tornato a casa per il Covid, stare a rivangare l’argomento non serve a niente. Valerio sparisce, la tappa di Bergamo è finita. Probabilmente quelle magnifiche schiere di tifosi lungo il percorso avrebbero meritato altro spettacolo. Merito e applauso a tutti gli uomini della fuga.