Puccio in rotta sul Giro. E per la Sanremo occhio a Ganna

07.03.2022
4 min
Salva

Il piatto forte per lui sarà nuovamente il Giro d’Italia. Salvatore Puccio al Tour nemmeno ci pensa più, ma i suoi tanti anni al Team Ineos Grenadiers sono un ottimo punto di vista per osservare quanto accade nello squadrone britannico, che puntava su Bernal per contrastare Pogacar e adesso dovrà reinventarsi. Così almeno pensavamo…

«I programmi in realtà – dice l’umbro, nella foto Ineos Grenadiers di apertura con Ganna – sono rimasti uguali. Certo che Egan ha davvero rischiato di morire! E’ presto per dire come tornerà, già mi sembra un miracolo per il fatto che cammina. Froome al confronto era messo molto peggio e aveva più anni. Andai a trovarlo in ospedale a Monaco qualche tempo dopo l’incidente e non era un bel vedere. Ma certo, nonostante abbiamo tanti leader, Egan era il solo che potesse lottare con Pogacar. Sarebbe stato bello per lo spettacolo. Adesso ci sono gli altri e vediamo come andrà…».

Tour de la Provence, prologo: suo primo giorno di corsa 2022
Tour de la Provence, prologo: suo primo giorno di corsa 2022
Davvero non si è pensato di rimescolare le carte?

Così pare. Io ho sempre in programma il Giro, perché andare al Tour è sempre una sfida nella sfida. Sembra che Yates sarà leader in Francia, mentre Carapaz è confermato al Giro che gli piace così tanto. Si è preferito rimanere sulla linea decisa prima dell’incidente.

Pensi davvero che Bernal se la sarebbe giocata con Pogacar?

In salita gli dava di certo del filo da torcere, mentre a crono le avrebbe prese. Capisco anche che non avrebbe senso adesso spostare tutti sul Tour, non è nemmeno detto che servirebbe a qualcosa. C’è una bella squadra, con Yates e Ganna che può fare le sue belle cose.

E Thomas? Lui un Tour comunque l’ha vinto…

Thomas è da capire. Uno l’ha vinto e l’anno dopo è arrivato secondo. Ad ora direi che è più indirizzato per aiutare, ma non saprei neanche dire perché. In ritiro ci sono stati giorni che non guardava in faccia nessuno, ma non mi stupirei se poi andasse forte. Per cui vedo un Tour al massimo con due leader e altri cacciatori di tappe.

Salvatore Puccio è nato nel 1989, è pro’ dal 2011 e non ha mai cambiato squadra
Salvatore Puccio è nato nel 1989, è pro’ dal 2011 e non ha mai cambiato squadra
Come è partita la tua stagione?

Male, perché dopo la Valenciana ho preso il Covid come mezzo gruppo. E sono stato sfortunato, perché il protocollo per la ripartenza è cambiato subito dopo, mentre io ho dovuto farmi quello vecchio. Quindi ero a Mallorca in ritiro e sono dovuto stare rinchiuso per otto giorni senza fare niente.

Hai perso tanto?

Il Covid in sé non ha fatto tanto, ma stare fermo due settimane ha significato perdere lavoro e in compenso prendere peso. Ora sto bene, ma quei dieci giorni sono stati un bel guaio.

Incidono così tanto?

Siamo stati in ritiro a dicembre. Poi siamo tornati a casa per Natale e si sa che in quel periodo un po’ si molla, confidando di rimettersi in pari con il secondo ritiro. Io invece quel secondo blocco non l’ho fatto. Sono certo di essermi preso il Covid in aereo e mi sono fatto tutto il ritiro in camera, vedendo i compagni che passavano sotto alla mia finestra per andare ad allenarsi. E il bello è che stavo bene. Con quei sintomi e senza sapere del Covid, mi sarei allenato pensando di avere un mezzo raffreddore.

E quando hai ricominciato come stavi?

Facevo fatica per la condizione persa. Se non fai nulla, il muscolo cala e l’organismo che è abituato a bruciare migliaia di calorie ogni giorno va in crisi e ti viene comunque lo stimolo della fame, anche se non hai fatto niente.

L’avvio di stagione di Puccio è filato liscio fino al Tour de la Provence: alla Valenciana ha preso il Covid
L’avvio di stagione di Puccio è filato liscio fino al Tour de la Provence: alla Valenciana ha preso il Covid
Da oggi la Tirreno?

E poi la Sanremo, sì, perché ormai sto abbastanza bene. E sarebbe bene ripartire come ha detto Van Aert, ripensando il modo di gestire il Covid. Altrimenti il vaccino che cosa lo abbiamo fatto a fare? Per cui corro fino alla Sanremo, poi vado in ritiro a Sierra Nevada e mi ripresento per il Tour of the Alps prima del Giro.

E alla Sanremo si lavora per Ganna?

Ho sentito anche io la voce che vorrebbe provare a fare la corsa. E’ una gara difficile, ma l’anno scorso è andato forte. E’ innegabile che sia cresciuto. Se arriva sull’Aurelia dopo il Poggio e ha ancora gambe, chi meglio di lui può dargli la botta e arrivare al traguardo?

La Eolo-Kometa prepara la campagna d’Ungheria

16.02.2022
6 min
Salva

Si va in Ungheria. Il Giro d’Italia ritrova la partenza rinviata lo scorso anno per il Covid e si racconta che nelle strade di Budapest il fermento sia già notevole. Immaginarsi cosa possa passare per la testa dei pochissimi corridori ungheresi del gruppo che, dopo la maglia rosa 2021 di Attila Valter, vengono riconosciuti per strada e stanno vivendo un momento di grande esaltazione...

Due di loro – Marton Dina ed Erik Fetter – corrono alla Eolo-Kometa, che ha un’importante radice ungherese. Dal 1994 infatti, proprio il secondo sponsor ha impiantato la produzione nel Paese magiaro, fino a diventare una delle maggiori aziende di lavorazione delle carni suine e uno degli attori principali del mercato ungherese.

I due della Eolo-Kometa

Nei giorni scorsi abbiamo incontrato Dina al Tour of Antalya, mentre abbiamo raggiunto telefonicamente Fetter, che in questi giorni si trova a Tenerife per allenarsi. Non sul Teide, anche se ieri è arrivato in cima, ma al livello del mare per approfittare del caldo. Dei due, lui è forse quello più avanti, avendo anche vinto nel 2021 una tappa al Tour du Limousin e il campionato nazionale a crono. Ad entrambi abbiamo chiesto che cosa rappresenterebbe per loro esserci in quei giorni rosa a Budapest. E ad entrambi si sono illuminati gli occhi.

Marton Dina ha appena concluso il Tour of Antalya e correrà alla Strade Bianche
Marton Dina ha appena concluso il Tour of Antalya e correrà alla Strade Bianche

Dina, sogno Giro

Marton Dina ha 25 anni, vive a Budapest e sfiora il metro e 90. E’ entrato nell’orbita Eolo nel 2019, quando la squadra era ancora continental, arrivando dopo circa un mese secondo al Giro d’Ungheria. Ad Antalya ha lavorato per i compagni, restando sempre un passo indietro.

«Il Giro a Budapest – dice – è un grande sogno. Penso sia bello per il ciclismo ungherese e per tutto il Paese. Il mio sogno è esserci, ma sarà dura, lo so. Tutti nel team vorrebbero esserci, non solo noi ungheresi. E’ l’obiettivo principale per la squadra. Perciò non credo che dovrò giocarmi il posto con Erik, anche se è presumibile che un ungherese ci dovrà essere. Detto questo, vedremo se saremo entrambi al via del Giro o se andremo entrambi al Giro d’Ungheria. Per il team è chiaro che dovranno andare i migliori corridori. Non importa se saranno ungheresi, italiani, spagnoli o portoghesi…».

Strano calendario

Il calendario dice che a partire dal 6 maggio, Budapest accoglierà la partenza del Giro. Cinque giorni dopo scatterà invece il Tour of Hongrie, corsa di 5 tappe. Il Paese vivrà un maggio ad alta tensione ciclistica.

«In città ci sarà una grande folla – spiega – gente che verrà soprattutto per Attila Valter, che l’anno scorso è stato in maglia rosa e da quel momento la gente è impazzita per lui. Continuo a vivere in Ungheria, mi alleno su quelle strade insieme ai miei colleghi. Siamo amici come i colombiani (ride, ndr) ed è bello ritrovarsi in bici la mattina. In futuro forse mi trasferirò in Spagna o Italia. Essere professionista mi piace molto, questa squadra è una famiglia. Mi trovo bene con gli italiani e gli spagnoli. Quando sono arrivato era ancora continental, ma la presenza di di Basso e Contador la rendeva molto interessante. Ho scelto bene…».

Fetter non ha ancora debuttato nel 2022, lo farà presto al Gran Camino in Galicia
Fetter non ha ancora debuttato nel 2022, lo farà presto al Gran Camino in Galicia

L’effetto Attila

Sogno è la stessa parola che usa Fetter, immaginando la partenza del Giro da Budapest, in cui è nato, pur vivendo a Pilisvorosvar. Anche lui è alto intorno a 1,90.

«Siamo tre – dice includendo nel discorso anche Attila Valter – e per allenarci spesso li aspetto a casa mia, perché è più vicina alle montagne e le strade sono migliori. Quanto al Giro, parlo di sogno perché alcuni anni fa sarebbe stato impossibile solo immaginare che una corsa così importante potesse venire in città, sulle strade in cui mi alleno. E’ una cosa che capita una volta nella vita. In Ungheria ogni anno aumenta la gente che va in bici e grazie alla maglia rosa di Attila Valter, adesso ci riconoscono nelle strade».

Nel 2021 Fetter ha partecipato agli europei U23 di Trento, chiudendo al 4° posto
Nel 2021 Fetter ha partecipato agli europei U23 di Trento, chiudendo al 4° posto

Programma da Giro

Anche Fetter però evita di concentrarsi solamente sul Giro d’Italia, avendo capito che la selezione per andarci sarà severa.

«Preferisco pensare a tutte le corse che farò – dice – e se dovessi andare al Giro, sarebbe per la buona condizione e per i risultati che eventualmente otterrò. Non mi azzardo a fare neanche una previsione su chi andrà fra me e Marton, perché magari ci ritroveremo entrambi al Giro d’Ungheria, che per la squadra è pure importantissimo. Perciò adesso penso a finire questo ritiro e poi a fare un buon debutto al Gran Camino, la nuova corsa a tappe in Galizia, poi alla Tirreno-Adriatico. Mi sento già in forma, non vedo l’ora di dimostrarlo».

Altro non dice, ma nello snocciolare i suoi programmi, appare abbastanza chiaro che un pezzetto di numero per la partenza da Budapest lo senta un po’ suo. Dopo la Tirreno infatti andrà in altura e poi parteciperà al Tour of the Alps. Di solito è il cammino più collaudato per il Giro d’Italia.

Affini, la crono, la maturazione e i segreti della Jumbo

22.01.2022
5 min
Salva

Affini lo troviamo all’aeroporto in Olanda, appena atterrato dalla Spagna e in attesa di rientrare in Italia. Ha appena mangiato un boccone e visto che ha del tempo da perdere, ci offriamo di fargli compagnia. Il ritiro della Jumbo-Visma è durato per un giorno: il primo. Poi una positività ha spinto la squadra a rompere le righe. Alcuni sono tornati a casa. Altri hanno preso un appartamento in Spagna e si sono allenati fra loro. Edoardo e altri sono rimasti nell’hotel del team, in compagnia di due meccanici e due massaggiatori.

«Ci allenavamo da soli – dice – sui percorsi pianificati, partendo cinque minuti uno dall’altro. Mangiavamo da soli. Dormivamo in singola. E ci facevamo un tampone ogni giorno, come si era stabilito con la squadra. Il lavoro l’abbiamo fatto, ma è dura chiamarlo ritiro. Siamo in questa situazione da due anni e ogni volta ci diciamo che sta passando, invece l’obiettivo di stagione sta diventando non prendersi il Covid…».

Il terzetto azzurro maschile del Team Relay ai mondiali di Bruges, Affini chiude la fila
Il terzetto azzurro maschile del Team Relay ai mondiali di Bruges, Affini chiude la fila
Quando si dice le motivazioni giuste! Da dove cominci?

Parto alla Valenciana, poi UAE Tour, Tirreno e Sanremo. Avrò bisogno di scaldare il motore e prendere ritmo gara. A ogni inizio stagione bisogna abituarsi. L’obiettivo sarà portare a casa un bel risultato, soprattutto a cronometro. Quando sembrava che alla Tirreno non l’avremmo fatta, mi sono girate le scatole, poi per fortuna ho visto che c’è. Anche al Giro hanno dato una bella segata. In tutto sono 26 chilometri contro il tempo. Non dico che si debba tornare a quando erano lunghe 60 chilometri, ma così è poco…

Avete lavorato sui materiali quest’inverno?

Alla continua ricerca del limite sul lato tecnico e cercando il massimo dalla componente atletica. L’obiettivo è aggiungere quanta più potenza possibile, che però viene anche col tempo e la maturazione, per cui bisogna dare tempo al tempo.

Per riuscirci è cambiata la preparazione?

Non tanto rispetto allo scorso anno. Il grande cambiamento c’è stato quando sono arrivato alla Jumbo Visma e gradualmente mi sono abituato a lavorare con questa filosofia. Ho preso il metodo e l’ho fatto mio. Mi trovo bene. A novembre poi sono andato in galleria del vento per la prima volta visto che prima col Covid non si era potuto. Analizzati i numeri, c’è qualcosa da poter migliorare. Il manubrio in 3D è in fase di realizzazione e l’ho anche alzato un po’. Invece la sella e la parte posteriore andava bene com’era.

Nella tappa di Verona del Giro 2021 ha rischiato di vincere, ma alla fine è arrivato il 2° posto
Nella tappa di Verona del Giro 2021, Affini ha rischiato di vincere, ma alla fine è arrivato il 2° posto
La bici da crono può essere comoda?

E’ una parola, non siamo fatti per starci sopra. Puoi fare ginnastica e stretching per adattarti, ma di base la miglior posizione è un compromesso fra quella ottimale e quella che ti permette di spingere. La combinazione fra le sensazioni del corridore e i numeri della galleria del vento. Comunque la squadra tiene tanto alla crono, sono molto puntigliosi. Peccato che non ci siano più tante cronosquadre.

Tornando al 2021, ti brucia più il secondo posto di Verona al Giro o quello del tricolore crono?

La vittoria a Verona sarebbe stata inaspettata, un bonus esagerato. L’italiano invece un po’ brucia, anche se il percorso era duro e poco adatto a me. Però certo cambierei tutti i piazzamenti con una vittoria. Quel che mi è piaciuto del 2021 è stata la costanza di rendimento.

Tornerai al Giro?

Accanto a Dumoulin, sarò la sua guida nelle tappe di pianura. Penso che possa fare bene, il fatto che abbia deciso di venire significa che vuole rimettersi in gioco nella corsa che ha già vinto. Oltre a lui ci sarà anche Foss, che l’anno scorso ha finito 9°. Se vanno d’accordo fra loro, viene fuori un bel Giro.

Quindi non c’è solo il Tour?

Impossibile, se non altro perché in Francia si corre in 8 e fare la selezione è difficilissimo. Puoi anche portare tutti i capitani, ma poi chi tira? Detto questo, il Tour è importante e anche la Vuelta, che Roglic ha vinto per tre volte.

Si percepisce la rivalità fra voi, Ineos e magari UAE?

Non la cogliamo direttamente, ma siamo attenti alle innovazioni, ai dettagli. Si parlava di bici, ma anche di alimentazione. C’è stata la fase della dieta zona. Poi quella delle diete proteiche low carb. Ora si mangiano carboidrati a blocco, perché si è capito che sono la benzina. E’ una corsa a chi ci arriva prima, per guadagnare la piccola percentuale che permette di vincere.

Cosa dici dei chetoni?

Se ne fa un gran parlare, ma noi siamo la sola squadra ad aver ammesso di usarli. Non è che siamo sempre lì a prenderli, ma il nutrizionista ha studiato che nelle 4-5 tappe più massacranti del Giro agevolano il recupero, in aggiunta al piano alimentare previsto. Non sono state trovate controindicazioni, non fanno male. Per cui tanti ne parlano puntando il dito e altri li usano senza dirlo.

Dopo il secondo posto ai tricolori della crono, Affini è entrato nella fuga con Colbrelli e Masnada
Dopo il secondo posto ai tricolori della crono, Affini è entrato nella fuga con Colbrelli e Masnada
Si sente la differenza in quelle 4-5 tappe?

Niente di esagerato, ma metti insieme questo, l’alimentazione, il sonno… e alla fine arrivi a conquistare i marginal gain che fanno la differenza.

Quali saranno i tuoi veri obiettivi?

Mi piacerebbe confermare la maglia azzurra agli europei e ai mondiali. Vorrei fare bene le crono del Giro, anche se non sono molto adatte a me. Quella di Verona si sale alle Torricelle, si scende e arrivo… E poi c’è il campionato italiano, perché la maglia tricolore la sento particolarmente. E’ un bel momento per la crono azzurra. C’è Ganna, poi Sobrero, Milan, Cattaneo, De Marchi. C’è una bella concorrenza. Tutta un’altra cosa da quando passai professionista e si diceva che in Italia la crono fosse morta.

Loro hanno Remco, noi aspettiamo Bagioli

17.01.2022
5 min
Salva

Sette vittorie al primo anno da junior, otto al secondo. Uno come Bagioli oggi passerebbe dritto al professionismo: c’è chi lo ha fatto per molto meno. Andrea invece scelse di crescere per due stagioni con il Team Colpack, cogliendo 2 vittorie al primo anno (e altri 11 piazzamenti nei 10, fra cui il 2° posto alla Liegi) e 9 al secondo (con altri 5 piazzamenti nei 10).

«Non sarei mai passato direttamente – dice lui oggi – ho preferito finire la scuola e fare le cose nei tempi giusti, prima di arrivare qui alla Quick Step».

Trofeo Laigueglia 2021
La caduta di Laigueglia ha spezzato il bel feeling con cui era iniziata la stagione 2021 di Bagioli
Trofeo Laigueglia 2021
La caduta di Laigueglia ha spezzato l’ottimo avvio di 2021 di Bagioli

Dannata caduta

Lo incontriamo a Calpe, proprio durante il ritiro della Quick Step-Alpha Vinyl. Il 2021 era nato sotto i migliori auspici con la vittoria in Francia alla Royal Bernard Drome Classic, poi la caduta di Laigueglia e i conseguenti problemi al ginocchio (risolti con un intervento il 16 aprile) hanno fermato tutto. Il rientro alle corse alla fine di luglio dopo un periodo a Livigno ha offerto altri lampi di talento, ma è chiaro che anche lui non possa essere troppo soddisfatto di come sono andate le cose.

«Ogni anno – dice – si parte da un livello più alto. All’inizio andava bene tutto, adesso ho pretese superiori. La squadra non mi chiede niente di particolare, ma io so che posso dire la mia e vorrei farlo. Ho corso poco (38 giorni nel 2021, ndr), ma al mondiale mi sono sentito veramente forte. E’ stato bello essere lì davanti a fare la mia parte. In questi due anni ho maturato una bella esperienza, ma non mi sento ancora un corridore esperto. E’ vero che tutti cercano il nuovo Evenepoel, ma credo che sia dura trovarne un altro così. E io comunque devo ancora compiere 23 anni…».

Che cosa hai chiesto a Babbo Natale per il 2022?

Di vincere una tappa al Giro, magari entrando in un gruppetto ristretto e poi giocarmi la volata. Per il momento mi trovo a mio agio più nelle corse di un giorno o di poche tappe. Per i Giri più importanti non mi sento ancora pronto, soprattutto sul fronte delle crono, ma mi piacerebbe. E’ un capitolo che spero di scrivere, perché le potenzialità potrebbero esserci.

Sei in una squadra che sul fronte delle classiche è piena di potenziali vincitori…

Non ci si può sedere un attimo. Quando si fa la riunione pre gara, c’è comunque un capitano, ma tutti possono giocarsi le proprie carte. Alla Primus Classic, che poi ha vinto Senechal, eravamo in 7-8 di noi nel gruppetto dei 15 che ha deciso la corsa. Al Lombardia c’erano altri capitani. Alaphilippe e Almeida, soprattutto. Invece alla fine è uscito Masnada.

E’ stato operato al ginocchio il 16 aprile in Belgio, poi sono servite 4 settimane di stop
Operato al ginocchio il 16 aprile in Belgio, poi 4 settimane di stop
Ballerini ha raccontato di aver imparato tanto da Morkov…

Io cerco di spiare Alaphilippe. Si impara tanto dai compagni, da quello che fanno sul bus e poi fino a sera. Da Julian cerco sempre di raccogliere qualcosa. E’ sempre calmo, non mette mai pressione. Prima della Liegi, cui arrivava dopo la beffa dell’anno prima, era tranquillissimo.

E tu sei tranquillo?

Prima di una gara, un po’ di pressione c’è sempre. E’ la corsa stessa che te la mette. Per stemperarla, magari cerco di leggere un giornale o guardare un programma che mi distragga.

Nella cronometro, Bagioli ammette qualche limite: di prestazione e di pratica
Sulla cronometro, Bagioli vuole lavorare in ottica Giri
Quanto leggi? Quanto incide su di te quello che viene scritto?

Se sono a casa tranquillo, leggo, ma non do tanto peso a quello che viene detto su di me. Alle corse è diverso. Prima del mondiale ad esempio ho letto molto, ma dipende da persona a persona. Se arrivano critiche o commenti, ci ragiono, ma non mi condizionano. Per altri di sicuro è diverso.

Tuo fratello Nicola alla fine ha deciso di smettere…

Mi dispiace, ma un po’ si poteva capire. Anche quando era fuori negli ultimi tempi era sempre con la testa sulla nuova attività. Vedevo che era più contento quando parlava del lavoro che della bici. Mi dispiace perché ci scambiavamo consigli e ci allenavamo insieme, ma sono contento per lui. La bici ad ora non l’ha più presa. Magari la prossima estate, lo costringo a farmi compagnia per qualche uscita (sorride, ndr).

Ai mondiali di Leuven si sentiva forte e ha lavorato sodo: lo hanno fermato i crampi
Ai mondiali si sentiva forte e ha lavorato sodo: lo hanno fermato i crampi
Programma 2022?

Saudi Tour, Ruta del Sol, Ardeche. Quindi altura sul Teide, poi classiche e Giro.

Si debutta in Italia, dunque?

E’ sempre stato il mio sogno sin da bambino. Il primo ricordo che ho del Giro è del 2008 con Contador in maglia rosa e poi ancora lui, ma nel 2015, per quello che fece sul Mortirolo. Alberto è il mio idolo, quando lo vedevo partire da lontano mi esaltavo. Non sarò come lui, ma di certo posso prenderlo a riferimento.

Paolo Mei: lo speaker un po’ biker e un po’ star

26.12.2021
5 min
Salva

«Il bravo speaker ti dà la parola, non la toglie mai. E paradossalmente deve saper stare in silenzio». Può suonare strano a chi non conosce bene il suo mestiere, ma nel corso della sua carriera lo ha imparato presto seguendo esempi di bravi colleghi.

Paolo Mei, voce del Giro d’Italia dal 2011 in coppia con Stefano Bertolotti, è arrivato al microfono quasi per caso ed ora è uno degli… oratori più eclettici. Multidisciplinari, diremmo. Nel suo repertorio non c’è solo il ciclismo su strada, Mtb e ciclocross, ma anche atletica e tanti sport invernali.

L’ultimo impegno dello speaker originario di Cogne è stato lo sci alpino per lo slalom speciale di Coppa del mondo del 22 dicembre a Madonna di Campiglio. Una gara chiusa col francese Noel, in netto vantaggio, che cade sull’ultima porta a due metri dal traguardo e dalla vittoria certa. Un finale clamoroso, all’incirca lo stesso del mondiale di Gap ’72, quando Basso beffò il solitario e sfinito Bitossi proprio sulla linea.

Lavora dal 2011 con Stefano Bertolotti: i due si completano
Lavora dal 2011 con Stefano Bertolotti: i due si completano

Annunci galeotti

Mentre è in viaggio, facciamo compagnia a Mei al telefono perché, lo sappiamo, ha sempre tanto da dirci. Però siamo noi a svelargli un retroscena sugli ultimi istanti di Campiglio. L’altro francese Pinturault nelle interviste post-slalom dichiara di essere stato un po’ distratto, durante la propria prova, dallo speaker che annunciava il suo “tempo verde”, ovvero il vantaggio sugli avversari. Questi continui aggiornamenti non avrebbero fatto rischiare troppo lo sciatore transalpino che poi ha concluso secondo a 10 centesimi dal norvegese Foss-Solevaag.

Paolo, partiamo da quest’ultima cosa…

Ah, l’ho fatto perdere io Pinturault (ride, ndr)? No, non credo. Ma scherzi a parte, è simpatica questa cosa, significa che gli atleti ci ascoltano. E’ stata una serata incredibile. Visto cosa è successo a Noel? Mai commentato nulla di simile.

La carriera di speaker iniziò durante un infortunio, quando correva in Mtb. Qui nel 2008
La carriera di speaker iniziò durante un infortunio, quando correva in Mtb. Qui nel 2008
Come sei arrivato a fare lo speaker?

Ero geometra e nel weekend andavo a fare serate di musica, amavo cantare. Avevo già un certo feeling col microfono. Però continuavo anche a correre in Mtb. Durante un allenamento in preparazione ad una gara a cui ero iscritto, mi ruppi una gamba in cinque punti. Mi ricordo bene la data dell’incidente, era il 7 maggio del 2002. Vista la mia impossibilità a partecipare, gli organizzatori mi chiesero di andare a Chatillon a commentare la corsa, visto che conoscevo tutti e avevo la giusta parlantina. L’ho fatto per ridere quel giorno, ma mi era piaciuto. Poi praticamente nulla fino al 2009, prima stagione veramente piena di eventi. E sapete quando ho debuttato come speaker al Giro d’Italia? Il 7 maggio 2011 (cronosquadre Venaria Reale-Torino, ndr).

Che tipo di speaker sei?

Credo di essere moderno. Ho uno stile a metà tra l’intrattenitore e il tecnico. Attenzione, non significa che io non sappia o non voglia snocciolare i dati della corsa o dei corridori. Le chicche vanno usate e misurate per accattivarsi il pubblico. Dobbiamo farlo divertire senza fare monologhi. Preferisco, anzi ormai è essenziale, interagire con un dj e alternare la voce con la sua musica.

Al Giro d’Italia fai sia partenza che arrivo. Quale preferisci?

Mi piacciono entrambe, ma sono cose diverse. Da una parte c’è il palco e dall’altra la cabina. In partenza puoi coinvolgere di più l’appassionato, perché respira molto di più la magia e la routine del corridore. E lo può vedere da vicino per tanto tempo. All’arrivo invece descrivi emozioni e aspetti tecnici. Se poi c’è un arrivo in volata, l’intensità della gara è racchiusa in un minuto e i corridori fuggono subito ai bus. In tutto questo sono molto fortunato a fare queste due fasi con due amici, più che colleghi, come Barbara Pedrotti al mattino (i due sono insieme in apertura, ndr) e Stefano Bertolotti al pomeriggio. Ho un gran rapporto con loro. E’ importante avere figure professionali come loro con cui aiutarsi, scambiarsi feedback. 

Al Giro del 2018, raccontando la vittoria di Chris Froome
Al Giro del 2018, raccontando la vittoria di Chris Froome
Sei legato a qualche altro collega?

Certo, ne ho due. Zoran Filicic, bravissimo e molto preparato. La Tirreno-Adriatico del 2011 la fece aprire a me, con mio grande stupore. Quel giorno ho pensato che un giorno avrei voluto essere come lui con chi avrebbe lavorato con me in futuro, che fossero esperti o meno. L’altro è Salvo Aiello. L’ho conosciuto al termine della terza tappa di quella Tirreno che commentava per Eurosport. Chiamò Zoran per complimentarsi con lui perché nello sprint al fotofinish aveva azzeccato il vincitore (Juan Josè Haedo della Saxo Bank, ndr) aiutandolo in telecronaca. Invece Zoran gli disse che ero stato io. Da allora con Salvo siamo diventati buoni amici e forse è il modello di speaker a cui mi ispiro di più, pur avendo lavorato pochissimo con lui.

Come ti prepari per le gare?

Devo dire che continuando a commentare corse per così tanto tempo, tendi a ricordarti quasi tutto. C’è la tecnologia che ci aiuta adesso, però gli appunti ce li ho sempre con me e li ripasso. Nella Mtb, che è sempre stata la mia disciplina, devo tenermi sempre ben aggiornato e ammetto che quest’anno per i mondiali in Val di Sole ho studiato veramente tanto. Stessa cosa la faccio per le gare sulla neve.

Un po’ speaker e un po’ intrattenitore: il ruolo dello speaker moderno
Un po’ speaker e un po’ intrattenitore: il ruolo dello speaker moderno
Come gestisci l’errore?

Intanto bisogna dire che purtroppo si fanno, anche se in alcuni momenti sono vietati. Poi c’è errore ed errore, vanno contestualizzati. Ad esempio in un concitato sprint al fotofinish, meglio creare suspense e non affrettare il nome se non siamo sicuri. Non dobbiamo fare vedere che siamo i più bravi, perché se poi sbagliamo facciamo una brutta figura. Se invece commettiamo un errore leggero, allora meglio ammetterlo in modo simpatico o senza prendersi troppo sul serio.

Paolo, per chiudere. Come mai si fa fatica a trovare nuovi speaker?

Non ho la risposta e non capisco il motivo. Ad esempio molti giovani amatori forse sono troppo mentalizzati a correre in bici, invece dovrebbero buttarsi a provare col microfono, che è un lavoro bellissimo. E poi su, non vorrete mica che Bertolotti ed io continuiamo a fare questo lavoro fino a 90 anni? Spero per il bene del ciclismo che non accada mai (ride, ndr). 

E se il nuovo Dumoulin ripartisse dal Giro?

26.12.2021
5 min
Salva

E se fosse Dumoulin il faro straniero per il prossimo Giro d’Italia? La presentazione della Jumbo-Visma del 23 dicembre è stata cancellata a causa dell’impennata dei contagi e rinviata all’11 gennaio ad Alicante, quando saranno presentati colori e programmi. Eppure questa suggestione e l’idea stanno prendendo forma. Allo stesso modo in cui è chiaro che l’olandese potrebbe non andare con Roglic al Tour. Fra i due è nata un’insolita amicizia, basata sulle reciproche, incolmabili differenze.

«Una cosa è certa – ha detto Dumoulin – in alcune corse continuerò a lottare per la classifica generale, ma probabilmente non al Tour. Nella nostra squadra abbiamo problemi di abbondanza nell’effettuare le varie scelte».

Annullata la presentazione in Olanda, la squadra si svelerà l’11 gennaio ad Alicante (foto Jumbo Visma)
La squadra si svelerà l’11 gennaio ad Alicante (foto Jumbo Visma)

Programmi e strategie

Se ne parlava nelle scorse settimane di come il team olandese avrebbe suddiviso i suoi uomini. Se mandando Roglic, Dumoulin, Kruijswijk e Vingegaard tutti al Tour, oppure scegliendo per il più giovane danese il palcoscenico italiano. Ma la Grande Boucle partirà dalla Danimarca e Vingegaard già da tempo ha raccontato che una tappa passerà davanti casa sua. E allora la suggestione di Dumoulin che torna sulle strade che lo incoronarono nel 2017 prende forme e piace. Perché Tom in Italia ha tanti estimatori, che lo hanno visto invincibile nel 2017, poi fragile nel 2020.

«Ho trascorso gran parte della stagione 2020 mentalmente e fisicamente stanco – ha raccontato Dumoulin a L’Equipe – non riuscivo più a riprendermi e quando sono arrivato all’inizio del 2021, ero come in trappola. Non avevo altra scelta che smettere. Per diverse stagioni, avevo preso l’abitudine di adattarmi alle richieste degli altri, non riuscivo a superarlo e ho dovuto prendere la decisione di smettere. Solo così avrei trovato il giusto punto di vista e il modo per cambiare la mia vita e tornare a guidarla in prima persona».

Per Vingegaard il 2022 potrebbe parlare ancora del Tour, vista la partenza dalla Danimarca (foto Jumbo Visma)
Il ritiro di Girona ha restituito un Dumoulin di nuovo brillante e motivato. che potrebbe far rotta sul Giro. Decisive le chiacchierate con Roglic
Per Vingegaard il 2022 potrebbe parlare ancora del Tour (foto Jumbo Visma)

Un addio inatteso

La svolta c’è stata nel raduno di gennaio di quest’anno, come ci raccontò anche Affini, appena arrivato nella squadra olandese. Lo videro arrivare e poi, di ritorno da un allenamento, gli fu detto che avesse lasciato il ritiro e la squadra.

«Ricordo quell’incontro, davanti a cinque persone – ha raccontato Tom – in cui mi suggerirono di prendermi un periodo di riposo. E’ stato un momento difficile per me, doloroso. Non è facile ammettere di doversi fermare, mi sentivo in colpa. Ma dopo qualche giorno ho scoperto che avevo bisogno di questo periodo. Essere un ciclista professionista può rendermi ancora felice?».

Questa la domanda che in quei mesi lontano dalla bici, in cui si rincorrevano voci sugli studi in Medicina e vari avvistamenti di ciclisti nella zona di Maastricht che gli somigliassero.

«Ho cominciato a vivere senza costrizione – ha ricordato – per la prima volta nella mia carriera, non avevo obblighi, niente più stress. Facevo passeggiate con il mio cane, con gli amici e poco a poco mi sono reso conto che negli ultimi tempi avevo smesso di guidare in prima persona la mia carriera, le mie scelte. Finché un giorno ho visto passare sulla strada l’Amstel Gold Race e ho avuto la rivelazione. Volevo ancora andare in bicicletta. Non usarla per fare passeggiate, ma per dare il meglio di me».

Sul podio della crono di Tokyo, Dumoulin battuto solo da Roglic
Sul podio della crono di Tokyo, Dumoulin battuto solo da Roglic

L’amicizia con Roglic

In questo quadro si inserisce appunto l’insolita amicizia con Roglic, di cui sembrava fosse diventato ormai gregario, come seguendo quel corso di eventi da cui ora Dumoulin vuole prendere le distanze. Al punto che fra i prossimi passi – non subito, ma nel 2023 – si sussurra possa esserci il passaggio al Team Bike Exchange.

«Dice che ha l’impressione che io sia fuori dal mondo – ha confidato lo sloveno – ma anche io non sono stato risparmiato dalla sfortuna. Anche io mi faccio molte domande. Anche io ho dei dubbi e a volte sono stato sul punto di arrendermi. Non è questo non è il problema principale».

E’ probabilmente un fatto di sensibilità. Tanto era sensibile Dumoulin alle aspettative dei tifosi e dell’ambiente, quanto lo sloveno è capace di non lasciarsene condizionare, con quella specie di armatura che gli permette in apparenza di non risentirne.

Sapremo l’11 gennaio, quando saranno presentati i programmi della Jumbo Visma, se davvero Dumoulin sarà al Giro 2022
Sapremo l’11 gennaio se Dumoulin sarà al Giro 2022

Una nuova storia

E proprio parlare con Roglic ha permesso a Dumoulin di individuare una nuova chiave per interpretare questa seconda parte di carriera, rinata sulla strada della crono olimpica di Tokyo.

«Se avessi potuto scegliere da chi essere battuto – ha raccontato – avrei scelto Primoz. Lui è una specie di esempio per me. Non sembra preoccupato per i problemi della vita. Adoro confrontarmi con lui. Quando gli parli dei tuoi problemi, ti ascolta davvero. Non l’ho mai visto giudicare nessuno. Rivela i suoi sentimenti, parla della sua esperienza e quello che mi ha detto mi aiuterà a vivere il resto della mia carriera. Voglio vederla come un’avventura, una storia che scrivo, per me e solo per me. Qualcosa che hai la fortuna di vivere una sola volta nella vita e di cui devi accettare il meglio e il peggio».

Ciccone, un po’ di fortuna e tanti sassolini da togliere…

15.12.2021
6 min
Salva

«Se puoi – dice Ciccone – riportala alle stesse misure del Giro d’Italia. Alla fine sono le migliori, mi trovavo bene. E anche le selle… Se riusciamo a fare tutta la stagione con quella nera, io sono contento».

Mauro Adobati prende nota. Il primo ritiro serve proprio per mettere a posto i materiali e il lavorìo dei meccanici della Trek-Segafredo va avanti instancabile dal mattino e sarà così fino a domenica, quando torneranno a casa. Tra bici tirate a lucido e altre con il divieto di fare foto perché probabilmente esordiranno durante la stagione, il parcheggio dell’hotel è come la piazza di un paese brulicante di attività. Le strade di Altea, nella Comunità Valenciana, hanno accolto i corridori con il consueto calore di sole e di gente. E com’era prima del Covid, anche se il Covid c’è ancora, si può vivere qualche ora con loro per capire, conoscersi meglio, raccontare.

A confronto con Adobati per la messa a punto della bici per il 2022
A confronto con Adobati per la messa a punto della bici per il 2022

Nuova maglia da allenamento

Ciccone indossa la nuova tenuta da allenamento. Non più il giallo fluo degli scorsi anni, ma un rosa salmone, ugualmente fluo, cui dovremo fare gli occhi e che avevamo intravisto passando nel laboratorio Santini quando si trattò di annunciare la maglia gialla del Tour. Il 2021 dell’abruzzese ha avuto luci e ombre, ma se si vuole leggere completamente la stagione di un corridore, non ci si deve limitare ai soli piazzamenti, che pure resteranno negli albi. Eppure questa semplice annotazione lo mette di buon umore.

«Un conto è se nel bilancio di fine anno – conferma – devi mettere dei pessimi risultati e delle prestazioni non all’altezza. Un altro se i risultati sono al di sotto, ma le prestazioni finché sei stato… in piedi erano delle migliori. Sono caduto troppe volte e sempre nei momenti importanti. Così ora passa in secondo piano che alla fine della seconda settimana del Giro fossi a ridosso dei primi cinque e che a lungo il solo che abbia lottato con i migliori sia stato io. Eppure nei commenti continuano a dire che non sono più quello del 2019. E dopo un po’ che li leggi, diventa pesante…».

Giro d'Italia 2021, Nibali Ciccone
Con Nibali passato all’Astana, gli equilibri in Trek sono diversi. Ma la coppia secondo Ciccone non ha funzionato
Giro d'Italia 2021, Nibali Ciccone
La coppia Nibali-Ciccone non ha funzionato. Ciccone spiega…

Due anni con lo Squalo

Non c’è più Nibali e la sensazione, più sulla pelle che suffragata da fatti, è che per lui sia come aver perso un condizionamento. Positivo o negativo che fosse. Ma siamo qui per capire e così, partendo da Vincenzo, andiamo indietro provando a guardare in avanti.

Come è andata con lo Squalo?

Adesso che posso guardarla da fuori, sono stati due anni difficili. La coppia per vari motivi non ha funzionato. Lui ha vissuto i due anni più difficili della carriera, io ho avuto qualche sfortuna e qualche tensione di troppo. La sintesi c’è stata al campionato italiano.

Che cosa è successo?

E’ venuto fuori il nervosismo classico delle corse, che quando hai due leader può diventare brutto da vedere. Vincenzo doveva dimostrare di essere all’altezza della convocazione olimpica, io stavo vivendo un momento di forma molto buono dopo il Giro e alla fine ci siamo inseguiti fra noi. I rapporti fra noi sono buoni. Mi ha trasmesso la tranquillità nell’affrontare e vivere le corse. Lui in questo è un freddo. Ma tecnicamente non posso dire di aver imparato qualcosa, perché non c’è stato proprio modo di lavorare insieme.

In questi primi giorni, la squadra esce in gruppi differenziati in base al tipo di lavoro
In questi primi giorni, la squadra esce in gruppi differenziati in base al tipo di lavoro
Come va il cantiere Ciccone, continui a crescere?

Siamo ancora in fase di costruzione, anche se qualcosa ci è un po’ sfuggito. A livello di crescita fisica e mentale, vedo un grosso cambiamento, i risultati non ci sono ancora.

Perché dicono che vai meno che nel 2019?

Si parla del Giro. Partivo da leader e secondo me è stato un Giro importante. Nel 2019 correvo all’arrembaggio, ho vinto una tappa e conquistato la maglia dei Gpm, ma nelle altre tappe prendevo venti minuti e nessuno diceva niente. Io non voglio essere così, voglio tenere duro e quest’anno non ho mai preso quei distacchi e ugualmente ero lì a giocarmi le tappe.

La fase di costruzione prevede la cura di quali dettagli?

Negli ultimi anni è cambiato parecchio, tutti curano i dettagli. Quel che fa più la differenza è la tensione con cui vengono vissute le gare, senza mai un momento di tranquillità. Il ritmo è sempre alto per questi giovani che non perdono un solo colpo. Una volta ai miei 27 anni sarei stato considerato sulla porta del periodo migliore, ora è diverso. Un aspetto su cui ho capito di dover migliorare è la crono, per la quale abbiamo già fatto dei lavori specifici prima della Vuelta, anche se al Giro non ce ne saranno…

Luca Guercilena, Giulio Ciccone, Tour de France 2019
Si torna al Tour per ricercare vecchie sensazioni. Qui con Luca Guercilena in quei giorni indimenticabili
Luca Guercilena, Giulio Ciccone, Tour de France 2019
Con Guercilena al Tour del 2019: questppanno si torna in Francia
Farai il Giro?

Il Giro e il Tour, come nel 2019. Prima un bel programma con la Valenciana, la Tirreno, il Catalunya, finalmente la Freccia e la Liegi, che non vedevo l’ora di rifare. L’ho corsa solo nel 2019, una delle edizioni più dure, e mi è piaciuta molto.

Perché quelle osservazioni sulla sella con Adobati?

Sono un maniaco dei dettagli e quando trovo un’imbottitura che mi va bene, non la mollo più. Con gli ingegneri Trek stiamo facendo selle personalizzate. Lo stesso ho fatto delle scelte per quanto riguarda il manubrio. Abbiamo provato quello integrato per scendere un po’ di peso, ma alla fine ho scelto di tornare a uno tradizionale. Attacco e curva.

Hai parlato delle critiche: dite spesso di infischiarvene, ma alla fine siete sempre lì a leggere…

Solo un tipo solare, mi piace tenere i contatti con i tifosi. Le critiche le sento e a volte fanno male. Del confronto con il 2019 abbiamo detto, mentre quelle durante la Vuelta in cui arrivavo a un minuto da Roglic… Ero deluso anche io, ma Roglic è il numero uno al mondo e quei distacchi li abbiamo presi in tanti.

Nella Trek è arrivato Cataldo: suo padre è stato ds di Ciccone nelle giovanili
Nella Trek è arrivato Cataldo: suo padre è stato ds di Ciccone nelle giovanili
Al tuo fianco ci sarà Cataldo.

E’ una grande novità per la squadra, l’uomo giusto per creare un progetto. Ha grande esperienza in corsa e gli riconosco il fatto di avere potere su di me, perché lo conosco e lo stimo da quando ero bambino. Ciclisticamente sono cresciuto con i consigli di suo padre. Quel che mi dice è per il mio bene, come Brambilla.

Cosa chiedi al 2022?

Un po’ di fortuna. Negli ultimi due anni, tra cadute e Covid, è girato tutto storto. Dopo la caduta della Vuelta ho avuto problemi al ginocchio e sono restato senza bici per 50 giorni: un’eternità. Ma andrà bene partire calmo, dovendo fare Giro e Tour. Ecco, vorrei non cadere e le stesse prestazioni del 2021, poi ne riparliamo. E poi vivere gli ultimi due anni a Monaco non è stato il massimo. Ora mi sono trasferito a San Marino, più vicino a casa e con spazi che mi si adattano meglio. Spero di avere la tranquillità che serve. Perché è vero che il 2019 può essere un bel metro di paragone, ma è anche vero che dal 2020 è cominciata la pandemia e niente è più stato come prima. Nemmeno io.

Gasparotto, le cadute e la catena dello stress

29.06.2021
5 min
Salva

Ogni motivo è buono per restare davanti, perché tutti vogliono starci davanti nei finali di alcune corse o delle prime tappe dei grandi Giri. Chi ha un corridore adatto per quel traguardo – finisseur o sprinter – e si gioca la vittoria; chi invece ha l’uomo di classifica da proteggere fino ai 3 chilometri dalla fine, dove scatta la regola della neutralizzazione del tempo a causa di cadute, incidenti meccanici o forature.

Ecco, fino a quel momento è una volata continua, ormai lo stress sta toccando livelli esasperati e a farne le spese sono gli atleti stessi, a scapito dello spettacolo. Senza contare gli spettatori molesti e imprudenti (per non usare epiteti peggiori) che a bordo strada rischiano di provocare – o provocano purtroppo – pesanti ruzzoloni di buona parte del gruppo.

Le cadute al Tour sono iniziate dal primo giorno
Le cadute al Tour sono iniziate dal primo giorno

Cadute, il Giro e il Tour

Negli occhi abbiamo ancora tutto quello che è successo nelle prime tre frazioni del Tour de France: dalla incauta pseudo-tifosa col cartello a favore di telecamere della prima tappa alle cadute in successione negli ultimissimi chilometri della terza. E al recente Giro d’Italia abbiamo assistito a circostanze simili: la rovinosa caduta nella tappa di Cattolica, tamponamenti violenti tra ammiraglie o addirittura tra ammiraglie e corridore (quella subita da Pieter Serry della Deceuninck-Quick Step dall’auto del Team Bike Exchange durante l’ascesa finale della sesta tappa).

Tutte situazioni frenetiche e sempre più incontrollabili che abbiamo provato a sottoporre ad Enrico Gasparotto, ora direttore sportivo della Nippo Provence Continental (dopo essersi ritirato a fine 2020 con 11 vittorie totali tra cui il tricolore 2005 e due Amstel Gold Race) e soprattutto fresco della prova da “regolatore” in moto per Rcs Sport lo scorso maggio alla corsa rosa (in apertura con i colleghi Barbin, Velo e Longo Borgnini).

Enrico che differenza hai notato guardando la gara da un altro punto di vista?

E’ stata un’esperienza molto formativa e interessante, perché ho avuto modo di capire tante cose che da corridore non consideravo. Ho visto da dietro le quinte tutte le problematiche che hanno grandi gare come Giro o Tour, come permessi, accordi con le prefetture. Oppure le difficoltà logistiche per gli arrivi. Ho aperto le mie visioni.

Ormai in diesse devono tenere d’occhio più di un dispositivo perdendo attenzione
Ormai in diesse devono tenere d’occhio più di un dispositivo perdendo attenzione
Sempre più ex corridori ricoprono questo ruolo importante. Com’è il rapporto con il gruppo?

Devo dire che molti corridori non sanno cosa siano i regolatori, che sono presenti in tutte le gare, e glielo abbiamo dovuto spiegare. Quindi può diventare difficile far capire loro certe situazioni o certe decisioni. Purtroppo ho percepito che il gruppo non è molto sensibile a questa tematica e hanno avuto ragione Gilbert e Trentin a lamentarsi con i loro colleghi che non erano presenti alle riunioni del CPA sulla sicurezza. Viviamo in una società in cui è più facile lamentarsi che ascoltare e i social media non aiutano.

Perché secondo te c’è questo stress sempre più crescente ogni anno? Nelle prime tappe poi assistiamo a degli stillicidi.

Prendiamo ad esempio il Tour che è sempre seguitissimo in tutto il mondo e per il quale molte formazioni annunciano nuovi sponsor o marchi ad hoc. Questo porta a volere visibilità ad ogni costo, non basta più andare in fuga, ma si vuole essere davanti nei finali anche se una formazione non ha corridori per quel traguardo. Lo sponsor lo chiede al direttore sportivo, che a sua volta lo impartisce al suo corridore, che a sua volta deve eseguire. In pratica è una catena di stress.

E come si può interrompere?

Si potrebbe pensare a cambi di strade o percorsi. Magari si potrebbero fare le prime tappe per velocisti fuori dai centri abitati più importanti e poi tornare nei paesi/città più importanti in quelle successive quando lo stress è un po’ minore. Oppure si potrebbe stravolgere il classico trend inserendo salite e cronometro all’inizio in modo da delineare la classifica quasi subito. La Vuelta ha questa tendenza se vogliamo. Il mio ideale sarebbe un prologo, poi un paio di tappe dure con salite impegnative per poi riprendere con un tracciato più classico.

Finora tante, troppe cadute: perché, stress a parte?

Ci sono due fattori che incidono. La velocità ora in gruppo è altissima, è cresciuta in modo incredibile e diventa sempre più difficile controllarla in situazioni di pericolo o in cui bisogna fare attenzione. L’altro aspetto è legato alle strade che presentano sempre più intoppi o difficoltà come rotonde, spartitraffico. Non sono sempre ottimali per ricevere un gruppo di 180 corridori che viaggia forte.

Tutti vogliono stare davanti: velocisti e uomini di classifica
Tutti vogliono stare davanti: velocisti e uomini di classifica
A questo punto non sarebbe meglio modificare la regola della neutralizzazione, proponendo di portarla ai -10/12 chilometri?

Questa è un’idea che ho avuto anch’io e che recentemente mi ha interessato parecchio. Potrebbe essere un disincentivo. Per la verità se ne sta parlando da qualche tempo, ma bisogna trovare il giusto modo per conformare questa normativa per evitare, ad esempio, che gli uomini di classifica una volta entrati in questo tratto portino la bici all’arrivo in modo tranquillo. Io proporrei la neutralizzazione dei tempi ai -10 ma obbligherei chi non si gioca lo sprint a restare agganciato alla coda del gruppo principale se non vuole perdere dei secondi preziosi.

Chiudendo, anche in ammiraglia sembra che ci sia più tensione del dovuto, come i tanti tamponamenti.

Visto che adesso sono anche direttore sportivo, riconosco che non è facile restare attento. Radio, assistenza ai corridori, gps e applicazioni varie, abbiamo tante cose a cui pensare e tutte cose importanti. La tecnologia è fondamentale, ma dobbiamo imparare a restare più vigili. Per quanto riguarda invece i tamponamenti tra le ammiraglie, penso che siano sempre stati ma ora con i social sono più virali.

In Olanda con Affini, battute su Sobrero, il Giro e Dumoulin

23.06.2021
6 min
Salva

Alla partenza dei campionati italiani da Bellaria, due giorni dopo quelli della crono, nella piazzetta del foglio firma Affini si è ritrovato accanto a Matteo Sobrero. Classe 1996 il primo, 1997 il secondo, il tenore delle battute era sul ridere. Gli altri intorno infatti apostrofavano il mantovano perché, in quell’unica volta con Ganna un po’ spento, fosse saltato fuori un altro che l’aveva anticipato. Per fortuna Edoardo non è permaloso e ne rideva a sua volta, ma certo nell’immediato lo stesso pensiero aveva colto quasi tutti. Salvo realizzare con il passare delle ore che anche il secondo posto è stato un’impresa, dato il percorso molto duro su cui si è disputata la maglia tricolore. La lunghissima fuga di cui sarebbe stato di lì a poco uno dei principali animatori avrebbe dimostrato che la condizione era molto buona e che il Giro d’Italia, concluso per la prima volta, ha prodotto nelle sue gambe l’effetto sperato.

Secondo nella crono tricolore di Faenza, a 26″ da Sobrero
Secondo nella crono tricolore di Faenza, a 26″ da Sobrero

Fuga olandese

Affini in questi giorni si trova a Peize, il paese vicino Groningen dove vive la sua ragazza. Racconta che la base di ogni conversazione è l’inglese, ma che l’olandese piano piano gli sta entrando nella testa e qualche parola riesce comunque a dirla. Il legame fra Edoardo e l’Olanda risale a quando da under 23 impacchettò le sue cose e si trasferì alla Seg Academy Racing, da cui spiccò il volo per approdare al professionismo. Prima con l’australiana Mitchelton-Scott e ora con l’olandese Jumbo-Visma. Siamo così abituati a incontrarlo, fra la nazionale sin da quando era junior e tutte le occasioni successive, da dimenticare che il 2021 è per lui la terza stagione da professionista, con il 2020 del Covid che vale quasi quanto un anno perso. Però certo il discorso sulla crono e la lunghissima fuga dell’indomani merita di essere ripreso. Perciò… eccoci qua!

Minaccia Sobrero

Il nome di Sobrero, in realtà, era saltato fuori proprio parlando con lui nel pomeriggio di vigilia, nel residence alle porte di Faenza in cui alloggiava assieme ai due corridori del Team Bike ExchangeKonychev e Colleoni – e i loro tecnici Algeri e Pinotti. Per i corridori isolati di squadre straniere il campionato italiano è una rincorsa agli amici per avere assistenza, così Affini si è affidato a Vittorio Algeri con cui ha vissuto i primi due anni da pro’.

«Che Sobrero andasse forte – racconta – me lo aspettavo, soprattutto dopo aver pedalato sul percorso. Il cronometro non mente, dopo averlo visto al Giro d’Italia e aver sentito come era andato in Slovenia, era uno degli osservati speciali. Anche io sono uscito bene dal Giro, ma per i miei standard, in salita sono uno di quelli che deve difendersi».

Le crono lunghe

Di fatto, la cronometro di 45,7 chilometri era un bel banco di prova con cui misurarsi. Già ieri avevamo parlato con Pinotti e poi con Fondriest della rarità di prove così lunghe, per cui sentire il parere di chi l’ha disputata chiude il cerchio.

Affini è entrato nella fuga di Imola per gioco, ma ha dato grande impulso. Qui con Tonelli
Affini è entrato nella fuga di Imola per gioco, ma ha dato grande impulso. Qui con Tonelli

«Secondo me – dice Affini senza fare troppe battute – è giusto che ci siano prove di varia lunghezza e quelle che assegnano dei titoli, dai tricolori alle Olimpiadi, va bene che siano lunghe. In palio, insomma, non c’è un pezzetto della maglia di leader, ma quella di specialità. Vero che l’anno scorso la crono dei mondiali di Imola fu poco più di 30 chilometri, perché probabilmente si trattò di salvare la baracca in un anno particolare. Ma ad esempio ricordo quella dello Yorkshire del 2019 che addirittura fu di 54, la più lunga che abbia mai fatto. Sono prove che premiano la predisposizione atletica, ma in cui devi comunque curare i dettagli. Più forte si va e più la posizione e i giusti materiali, scegliere una ruota piuttosto che un’altra, sono decisivi».

Scoperta Pinotti

Gli raccontiamo ridendo che proprio le sue ruote quella sera erano state motivo di interesse per Pinotti, che si era messo a studiarle con il meccanico, mentre Affini era ai massaggi.

«Le ruote sono state importanti a Faenza – dice – con le curve, le salite e le discese e quel primo tratto di asfalto abbastanza nuovo che, con il caldo che faceva, faceva l’effetto colla e non scorreva. Con Pinotti abbiamo continuato a parlare di ruote anche a cena, facendo battute e discorsi seri. Non lo conoscevo più di tanto, non l’ho mai incrociato prima, ma ho scoperto che è un grande. Ha un’esperienza incredibile, ci si potrebbe scrivere un libro…».

Si piazza 16° nella crono di Yorkshire 2019 (54 chilometri), alle prime battute fra i pro’
Si piazza 16° nella crono di Yorkshire 2019 (54 chilometri), alle prime battute fra i pro’

In fuga per gioco

La fuga del giorno dopo poteva andare più lontano, ma evidentemente il gruppo ha capito che là davanti c’era gente di spessore e non si è fidato.

«Sin dalle prime battute – ricorda sorridendo – ci sono entrato quasi per gioco, cercando un modo per passare la giornata. Il problema è che ci hanno lasciato poco margine. Guardavo la lavagna e più di 5’20” non mi pare di aver visto. Se fossimo andati a 8 minuti, sarebbe stato diverso. Eravamo un bel gruppetto, giravamo forte in pianura. E ci siamo andati vicini. Zoccarato ha fatto un bel numero a restare agganciato a Colbrelli, ma stavo bene anche io. Il Giro mi ha fatto bene. Ci sono arrivato con una buona gamba e ne sono uscito bene, segno che è stato difficile ma non l’ho subito. Tre settimane di corsa ti cambiano, come si dice: diventi più uomo, ti asciughi, migliori nella resistenza. E io che sono cronoman sin da allievo, magari col tempo migliorerò un po’ in salita. E anche se non diventerò mai uno scalatore, su certi percorsi avrò però un’arma in più».

Il Giro ha fatto crescere la sua condizione: eccolo nella discesa del Giau. Altro che il caldo di questi giorni…
Il Giro ha fatto crescere la sua condizione: eccolo nella discesa del Giau

Curiosità Dumoulin

Finita questa settimana di riposo, il programma prevede un ritiro a Tignes con la squadra dall’8 al 29 luglio, poi si ricomincerà a correre, probabilmente all’Arctic Race of Norway e poi al BinckBank Tour, entrambi ad agosto, mentre il programma di fine stagione è ancora da definire.

«Di sicuro – dice – mi piacerebbe arrivare bene per europei e mondiali, mentre sapevo che le Olimpiadi non fossero per me, anche se restano il sogno di qualunque sportivo e magari se ne potrà parlare nel 2024. Sono giovane, ci saranno spero delle altre occasioni. Intanto, oltre a tifare per Pippo, sono curioso di vedere come andrà il mio compagno Dumoulin. Non so molto più di voi. Come a inizio anno ci dissero che aveva lasciato il ritiro, così ci hanno comunicato che avrebbe ricominciato al Giro di Svizzera. Mi è venuto da pensare a Rohan Dennis, che nel 2019 si fermò durante il Tour e nella crono dello Yorkshire diede un minuto a Evenepoel e quasi due a Ganna. Se ha trovato la testa ed è sereno, quello è il suo percorso, anche più duro di Bergen dove vinse. Certo ci sono le variabili del caldo e dell’umidità, ma sa allenarsi. Di sicuro in una squadra come la nostra, al di là delle battute, non lo avrebbero mai portato in Francia per allenarsi, rinunciando a un uomo per la maglia gialla…».