Con Tosatto nel debutto di Arensman: che cosa ha visto?

09.02.2023
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Alla Volta a la Comunitat Valenciana ha fatto il suo esordio tra le fila dei “Grenadiers” Thymen Arensman. Giovane e slanciato olandese che nel corso della passata stagione si è messo in mostra in più di un’occasione con il Team DSM. Dopo due anni e mezzi con la WorldTour olandese Arensman è passato alla corte britannica. Matteo Tosatto, diesse della Ineos, lo ha avuto tra le mani in questi primissimi assaggi di stagione. 

Matteo Tosatto (classe 1974) è sull’ammiraglia dal 2017
Matteo Tosatto (classe 1974) è sull’ammiraglia dal 2017
Che cosa hai visto in lui in queste prime uscite insieme?

Già dalla scorsa stagione – racconta il tecnico veneto – avevamo visto delle belle cose. E’ sempre stato un grande avversario, molto serio e preparato. Fin dalle prime pedalate dei vari ritiri invernali ho notato una grande professionalità ed un atteggiamento molto serio. 

E’ molto alto e slanciato, un fisico da corridore moderno…

Fisicamente è ottimo, si tratta di un atleta giovane e forte. La cosa più importante è che si tratta di un corridore completo, questo grazie alle sue caratteristiche. E’ molto bravo a cronometro ed in salita ha un bel passo, tant’è che ha vinto la tappa regina della Vuelta a Sierra Nevada. 

Il suo arrivo fa parte di quello che è un ricambio generazionale?

Beh sì. Con la partenza di Carapaz abbiamo deciso di prendere corridori giovani sui quali lavorare. Thymen (Arensman, ndr) ha tanti anni davanti dove può crescere e fare bene. 

Arensman ha già avuto modo di confrontarsi con Evenepoel, i due potrebbero incontrarsi al Giro quest’anno
Arensman ha già avuto modo di confrontarsi con Evenepoel, i due potrebbero incontrarsi al Giro quest’anno
Anche perché c’è il dubbio sulla ripresa di Bernal?

Lui è un punto interrogativo per tutti, fin dall’anno scorso ha lavorato molto per riprendersi e tornare ai suoi livelli. Sta facendo e farà delle corse che potranno darci delle risposte. Alla Vuelta a San Juan si è rivisto poi, vista la botta al ginocchio subita nella prima tappa, abbiamo deciso di fermarlo. Non deve avere fretta, ha davanti a sé un percorso da fare. 

Tornando a Arensman, come si è ambientato nel vostro gruppo?

Sono stato un po’ di tempo con lui. Due settimane nel ritiro di dicembre e poi a quello di gennaio. Più la sua prima corsa con noi, la Valenciana appunto. Si è visto anche dalla corsa a tappe spagnola la sua voglia di mettersi in mostra dando una mano anche ai compagni, come Geoghegan Hart.

Cosa gli manca secondo te?

Un po’ di consapevolezza in più sulla sua forza, è giovane ed ha paura di sbagliare, deve trovare un po’ più di coraggio. 

L’olandese è molto forte a cronometro gran parte dei suoi risultati migliori sono arrivati nelle prove contro il tempo
L’olandese è molto forte a cronometro gran parte dei suoi risultati migliori sono arrivati nelle prove contro il tempo
E’ un corridore che ha ottenuto gran parte dei suoi risultati a cronometro, voi avete una tradizione importante in quella disciplina. 

Già da dicembre ha lavorato molto con dei test in pista e sulla posizione. Era presto per fare dei lavori specifici, ma ha preso dimestichezza con il mezzo ed i materiali. E’ molto contento della bici, ha trovato subito un buon feeling e questo per lui è molto importante per trovare la consapevolezza che dicevo prima. 

Avere Ganna al suo fianco sarà un bel vantaggio…

Quando hai il due volte campione del mondo ed il detentore del record dell’Ora al tuo fianco sai già di poter contare su un grande aiuto. “Pippo” potrà essere di grande appoggio a Arensman sia per guidarlo al meglio nella scelta dei materiali ed anche per quanto riguarda la preparazione.

Su strada invece che tipo di scalatore hai trovato?

Si vede che gli piacciono le salite lunghe, anche se alla Valenciana ha fatto bene anche su distanze più brevi. Di certo lavora un po’ più sulla regolarità, non è un corridore che fa dieci scatti in due chilometri. Ma forse non esistono più scalatori di questo genere. In salita gli manca qualcosa e lavoreremo per limare qualcosa senza snaturarlo. Alla fine quel che perde in salita lo guadagna con gli interessi a cronometro. 

Lavorare con Bardet gli ha dato una mano nel percorso di crescita…

Al Tour of the Alps si è messo in gran mostra, anche su salite durissime come quelle che trovi lì. E’ arrivato terzo nella generale alle spalle di Bardet e Storer, ed ha vinto la classifica dei giovani. 

Arensman ha caratteristiche atletiche simili a quelle di Thomas, ma forse è più brillante in salita
Arensman ha caratteristiche atletiche simili a quelle di Thomas, ma forse è più brillante in salita
L’età è un fattore.

E’ un classe ‘99, fa parte della nuova generazione. Ricordiamo che Evenepoel è del 2000, Pogacar del ‘98. E’ sulla falsariga di questi corridori ed ha a disposizione tanti anni. 

Immaginiamo che l’obiettivo che avete con lui è quello di vincere.

Si tratta di un ragazzo sul quale si può fare affidamento, vincere dei Grandi Giri non è facile, soprattutto al primo anno in una nuova squadra, sarebbe sbagliato partire con questo obiettivo. Quel che giusto è prendere le misure, soprattutto quest’anno, si deve essere elastici.

Quest’anno che calendario farà?

Ora andrà alla Volta ao Algarve, poi la Tirreno-Adriatico. La Corsa dei due Mari potrà essere un primo banco di prova. Ci sono delle salite lunghe con l’arrivo a Sassotetto che potrà dire molto. 

Il Giro potrà essere un obiettivo al suo primo anno con la Ineos?

E’ un obiettivo di questa stagione. Non partiremo per vincere ma andremo alla giornata, il primo Grande Giro con una squadra nuova è sempre pieno di incognite. Credo, tuttavia, che Arensman possa fare due Grandi Giri in un anno. Non Giro e Tour, piuttosto Giro e Vuelta. Una volta prese le misure per tutta la stagione potremo alzare l’asticella in Spagna. 

Assomiglia molto a Thomas, vero?

Sì. Sono entrambi molto forti a cronometro, se devo trovare una differenza direi che Arensman è più scalatore di Geraint. Non è un segreto che il britannico sarà al via della Corsa Rosa e farli correre insieme è un bel modo per insegnare al giovane olandese qualcosa. Non è da escludere che le cose possano cambiare nel corso di una gara di tre settimane, lo insegnano la stessa Sky e Thomas (il riferimento è al Tour de France del 2018 vinto dal britannico quando il capitano designato era Froome, ndr). Sono convinto che si trovi nella squadra giusta al momento giusto.

Modolo: la nuova vita e i ricordi di una carriera

05.02.2023
8 min
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Quando qualcosa finisce, lascia un senso di vuoto dentro di noi. Ci si ritrova un po’ spaesati davanti a situazioni che prima non avremmo immaginato. Se la tua vita è sempre ruotata intorno alla bici e due pedali, quando te li tolgono fai fatica a ricalibrare il tempo. Sacha Modolo si è trovato in questa situazione: l’ultima gara è stato il Giro del Veneto e poi da lì è iniziata una nuova vita. 

«Devo ancora abituarmi ai nuovi ritmi – ci racconta – sono cambiati e parecchio. La vita dello sportivo aveva un obiettivo, ti alzavi per allenarti e tutte le mattine andavi a guardare il meteo fuori dalla finestra per capire se potevi uscire in bici o meno. Avevo una spinta motivazionale, ora ne sto cercando una nuova. La mattina non ho più la bici, ma porto la bambina all’asilo. Poi torno e do una mano a mia moglie in casa».

Il trevigiano ha chiuso la sua carriera a fine 2022 in maglia Bardiani dopo 13 stagioni tra i professionisti
Il trevigiano ha chiuso la sua carriera a fine 2022 in maglia Bardiani dopo 13 stagioni tra i professionisti

Hobby e passioni

In questi primi giorni di febbraio, dove la primavera ha fatto incursione riscaldando le giornate, si respira un clima diverso, quasi investiti da un’inaspettata vitalità. Nel frattempo Modolo cerca di ritagliarsi il suo spazio in questo mondo senza bici. 

«Ho un piccolo garage, dove tengo delle Lambrette e delle Vespe d’epoca – mentre Modolo parla sua figlia sotto si fa sentire – ogni tanto mi metto al lavoro su qualche motore. Il mio migliore amico, che è anche il mio testimone di nozze, ha già un’attività avviata e pensavamo di fare qualcosa insieme con le moto e le auto d’epoca. E’ un mercato che ha tanta richiesta, soprattutto all’estero. Per il momento, però, collaboro con Marco Piccioli e Massimiliano Mori, i miei due procuratori. Mi hanno fatto una proposta e ho deciso di provare. Mi sono dato un anno di tempo per capire se questo mondo mi interessa, anche se, devo ammettere che mi piacerebbe fare qualcosa legato ai giovani ciclisti della mia zona (Conegliano, ndr). 

«Nel ciclismo moderno ci sono poche squadre italiane e i giovani fanno fatica a entrare nel mondo dei professionisti. Le WorldTour sono tutte straniere e tendono a premiare i corridori locali, come da noi ai tempi facevano Lampre e Liquigas. Pensate che nel 2010 nella sola zona di Treviso eravamo 15 professionisti, tra i quali Ballan, ultimo campione del mondo. Ora sono tre: Vendrame, Cimolai e Gandin, arrivato quest’anno in Corratec».

Nuova vita

Il ciclismo per Modolo ha rappresentato gran parte della sua vita e ora che non c’è più il trevigiano ha più tempo per dedicarsi ad altro. La passione per le due ruote rimane, anche se motorizzate.

«L’ultima uscita in bici – ci confida – l’ho fatta alla vigilia di Natale, dopo un mese che non la toccavo. E’ stata dura mentalmente, dopo una vita dedicata al professionismo mi mancava la motivazione. Si è trattata di una passeggiata praticamente. Sono uscito anche sabato scorso, ma ho fatto due orette con dei amici amatori. Siamo andati a prendere un caffè al bar. Continuo a coltivare, anche con maggiore impegno, la passione per le moto. Se ho qualche ora libera preferisco passarla così, questa passione mi ha aiutato a staccare la spina appena smesso con il ciclismo.

«Avevo una mia visione del ciclismo, quasi non vedevo l’ora di smettere, ma quando arriva il momento pensi che uno o due anni in più li avresti fatti volentieri. Sono parte di un gruppo di enduristi e mi diverto molto, dopo una vita a spingere due ruote ora sono loro che spingono me. Abbiamo in mente anche qualche gita, magari in Umbria, vedremo. L’enduro è bello, mi ritrovo a percorrere parte dei sentieri che facevo in mtb, fare qualche salita sterrata senza fars è divertente». 

Il podio della Coppa Agostoni del 2011: al centro Modolo, a sinistra Ponzi e a destra Gatto
Il podio della Coppa Agostoni del 2011: al centro Modolo, a sinistra Ponzi e a destra Gatto

Un viaggio nei ricordi

Sacha ultimamente sta rivivendo tramite foto alcune delle sue vittorie, il trevigiano è passato professionista nel 2010. Di acqua sotto i ponti ne è passata ed in tredici anni di carriera di cose ne sono successe, così Modolo ci guida nei suoi ricordi. 

«La prima vittoria me la ricordo benissimo – dice – ero in Cina, è quella che mi ha sbloccato ed è arrivata al secondo anno di professionismo. Da lì in poi in quella stagione ho vinto altre nove corse. Nel mio primo anno da corridore ero arrivato quarto alla Milano-Sanremo ed ero finito sotto i riflettori. Non ero abituato ed ho fatto un anno senza vincere, quel successo in Cina è stato davvero molto importante.

«In quella stagione (2011, ndr) ho vinto la Coppa Agostoni – continua – forse la corsa più importante che ho portato a casa quell’anno. Il percorso era molto duro con il Ghisallo e tenere su quelle rampe è stato difficile. La volata nel gruppetto me la ricordo bene: non riuscivo a trovare spazio così mi sono appoggiato ad Oscar Gatto. Secondo arrivò Simone Ponzi con il quale ho corso due anni alla Zalf. E’ bello quando cresci insieme tra i dilettanti e poi ti ritrovi a battagliare in una corsa professionistica».

Le battaglie con i big

Sacha Modolo ha avuto tra i suoi rivali grandi corridori del calibro di Cavendish e Sagan e qualche volta è riuscito a mettergli le ruote davanti. Un motivo di grande orgoglio e soddisfazione per lui che è sempre rimasto con i piedi per terra. 

«La corsa era il Tour de San Luis – ricorda Sacha – e la prima tappa arrivai secondo alle spalle di Cavendish, alla seconda volata sono riuscito ad impormi. Era uno dei primi anni che lavoravo con Rossato, mi sono trovato subito bene con lui. Quell’inverno, ricordo che andavamo due volte a settimana in pista e avevo sentito subito la differenza. La vittoria in Argentina ne è una grande testimonianza, perché mettersi dietro Cavendish ai quei tempi era difficile. Lui a fine anno era sempre in doppia cifra abbondante con le vittorie.

«La stagione successiva (il 2014, ndr) iniziai di nuovo forte con due primi posti in Spagna e una tappa alla Volta Ao Algarve. Uno dei successi più belli della stagione è arrivato alla Tre Giorni di De Panne, alla seconda tappa riuscì a battere in volata Demare e Kristoff. Mentre la vittoria più bella di quell’anno è arrivata al Giro di Svizzera, nella quinta tappa, che finiva in cima ad uno strappetto, ad esterno curva ho passato Sagan. Mi sentivo molto bene e uno degli obiettivi della stagione era provare a prendere la maglia gialla al Tour. La prima tappa, ad Harrogate, era prevista una volata. Purtroppo arrivai in Inghilterra, si partiva da lì quell’anno, con la febbre. Feci di tutto per recuperare ma al secondo giorno dovetti andare a casa».

Tra i risultati di rilievo anche un sesto posto al Giro delle Fiandre del 2017
Tra i risultati di rilievo anche un sesto posto al Giro delle Fiandre del 2017

La vittoria di “casa”

Nel palmares di Modolo si contano anche due tappe al Giro d’Italia, entrambe raccolte nel 2015. La prima al Lido di Jesolo e la seconda a Lugano. 

«L’emozione più bella – dice con una lieve flessione della voce – è quella del Lido di Jesolo (in foto di apertura, ndr). Correvo in casa e volevo fare bene, solo che la mattina mi sveglio e piove, per di più le temperature non erano nemmeno troppo bonarie. Mi ricordo che ero parecchio infastidito, io con freddo e pioggia facevo prima a rimanere in pullman – ride – però quel giorno pescai una grande prestazione. Avevo la fortuna di trovarmi nel treno due uomini come Ferrari e Richeze che mi hanno pilotato benissimo. E’ la vittoria che tutti da queste parti si ricordano. Ogni tanto quando sono in giro, qualcuno la menziona ancora».

Modolo Vuelta Espana 2021
Il cambio di mentalità e di lavoro nel mondo del ciclismo lo ha percepito nei due anni in Alpecin
Modolo Vuelta Espana 2021
Il cambio di mentalità e di lavoro nel mondo del ciclismo lo ha percepito nei due anni in Alpecin

Il grande cambiamento

Non è un caso che le vittorie raccontate dallo stesso Modolo siano arrivate tutte nello stesso periodo. Il ciclismo era molto diverso, nelle ultime stagioni c’è stato un bel cambiamento ed anche il trevigiano dice la sua

«Era un ciclismo più abbordabile – replica – avevamo molto meno stress, lo ha detto anche lo stesso Sagan pochi giorni fa quando ha annunciato il ritiro. La stagione finiva ad ottobre e per un paio di mesi potevi rimanere tranquillo. Quando sentivamo che alcune squadre facevano già i ritiri a dicembre si rimaneva un po’ perplessi. Ora è la normalità. Ricordo che nell’inverno nel quale sono passato professionista era caduta una grande nevicata e per una settimana non ero riuscito ad allenarmi. Andavo a passeggiare lungo il Piave con altri corridori, ma vivevamo la cosa senza tensione. Adesso appena fa due giorni di pioggia, i corridori prenotano per le Canarie e ci rimangono due mesi tra ritiri individuali e di squadra. Il ciclismo è cambiato, ma è anche giusto che sia così. Solo che è successo tutto quando ero già over 30 ed è difficile poi adattarsi. Noi della generazione nata tra il 1987 e il 1990 abbiamo subito tanto questa cosa.

«Personalmente mi sono accorto di questo cambiamento quando ero in Alpecin, non ero abituato ad essere monitorato tutto il giorno. I risultati arrivano perché è un metodo più efficace, ma anche molto stressante. Non mi va di fare la parte del vecchio – ride – ma qualche anno fa se ti ritiravi in corsa non lo veniva a sapere nessuno. Adesso si ha una lente puntata addosso, costantemente, e i social non aiutano. I giovani sono abituati e, a mio modo di vedere, anche per questo sono avvantaggiati. E’ un ciclismo più veloce».

Tesfatsion: una crescita con passi piccoli, ma decisi

30.01.2023
6 min
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Tra le piacevoli novità del 2023 c’è il passaggio di Natnael Tesfatsion alla Trek-Segafredo. L’eritreo dopo un periodo di apprendistato tra continental e professional ha fatto il salto nel mondo dei grandi. Ha ventitré anni e con la WorldTour americana ha esordito in Australia al Santos Tour Down Under con un buon sesto posto nella terza tappa. La crescita di “Natalino”, così soprannominato nel suo periodo italiano, prosegue e la curiosità di sapere cosa hanno visto in lui alla Trek si fa forte

Al Tour Down Under è avvenuto l’esordio ufficiale in maglia Trek Segafredo per “Natalino”
Al Tour Down Under è avvenuto l’esordio ufficiale in maglia Trek Segafredo per “Natalino”

Seguito da tempo

Alziamo il telefono e dall’altra parte risponde Josu Larrazabal, capo del team performance alla Trek. E lui, nonostante il nome ispanico, risponde in perfetto italiano.

«Natnael – inizia a raccontare da un bar poco fuori Madrid – ha delle grandi caratteristiche, lo seguiamo da quando era nel Team Qhubeka. Da tempo Luca (Guercilena, ndr) lo aveva nel mirino. Al primo anno in Androni l’interesse era forte, ma probabilmente era ancora presto, Tesfatsion aveva bisogno di un altro anno in una professional per crescere e maturare. L’Androni per fare ciò è davvero un’ottima squadra che crea le condizioni ideali per far crescere i corridori promettenti. Tesfatsion con loro ha avuto occasione anche di correre in gare WorldTour come il Giro d’Italia, facendo vedere ottime cose. Le fughe nelle quali è entrato, solo per fare un esempio, sono state di qualità, di quelle che serve gamba per acchiapparle».

Ad inizio 2022 Natnael Tesfatsion ha vinto il suo secondo Tour of Rwanda, il primo era arrivato due anni prima
Ad inizio 2022 Natnael Tesfatsion ha vinto il suo secondo Tour of Rwanda, il primo era arrivato due anni prima

L’esordio australiano

La prima corsa disputata da Tesfatsion in maglia Trek è stato, come detto in precedenza, il Tour Down Under. Gara WorldTour con un parterre di corridori di qualità, un “battesimo di fuoco” potremmo dire. 

«Ha fatto sesto in una tappa – continua a raccontare Larrazabal – non avrà bisogno di un grande adattamento, visto anche il percorso fatto gli anni prima. Il risultato ci ha quasi sorpreso, perché il suo inverno non è stato calibrato per essere competitivo fin dalla prima gara. L’obiettivo è quello di una crescita graduale per arrivare pronto alle prossime gare».

Per il coach della Trek la volata in cima al Monte Grappa all’AIR è l’esempio dell’esplosività di Tesfatsion
Per il coach della Trek la volata in cima al Monte Grappa all’AIR è l’esempio dell’esplosività di Tesfatsion

Crescita costante

In queste righe Josu ci dice una frase importante: «Quasi sorpreso» come mai quel “quasi”. Cosa ha visto il preparatore?

«E’ una scalatore con una grande motore e una resistenza elevata. Inoltre, ha anche un buono spunto veloce, una cosa che nel ciclismo moderno è utile. Il livello generale si è alzato anche in salita e fare la differenza sul passo è difficile. Anche per queste sue caratteristiche è stato giusto lasciarlo alla Drone Hopper un anno in più. Lo spunto veloce è una qualità che deve essere sempre allenata, altrimenti si perde, e puoi farlo al meglio solamente in gara».

Natnael è arrivato in Italia con il Team Qhubeka grazie a Daniele Neri
Natnael è arrivato in Italia con il Team Qhubeka grazie a Daniele Neri

Le prime impressioni

Nel ritiro invernale la Trek ha avuto modo di testare i suoi corridori, un lavoro importante soprattutto per i ragazzi nuovi. Così da poterli inquadrare.

«Non c’è nulla di più importante di un test – continua Josu – ad inizio stagione e dei risultati che ne derivano. I test indoor fatti a Tesfatsion hanno confermato un grande potenziale. Quando poi lo abbiamo messo in strada si è vista anche la cattiveria agonistica, ha una grande voglia di fare. Negli allenamenti con situazioni di “picco” o delle mini gare faceva il massimo per vincerle e a volte ci riusciva anche. La strada toglie subito i dubbi, non c’è storia. Natnael ha un carattere forte e lo ha portato subito in squadra, si è integrato immediatamente».

Josu Larrazabal, tecnico basco della Trek-Segafredo ha avuto buone impressioni sull’eritreo (foto Jamie L. Forrest)
Josu Larrazabal, tecnico basco della Trek-Segafredo ha avuto buone impressioni sull’eritreo (foto Jamie L. Forrest)

Con il freno tirato

Le aspettative sono alte per il corridore eritreo, ma la crescita e l’apprendimento non sono ancora finiti. Questa prima stagione alla Trek-Segafredo gli servirà per imparare ancora molto. 

«E’ vero – dice – non bisogna dimenticare che è al suo primo anno nel WorldTour, dovrà imparare. I meccanismi sono diversi sia in gara che in gruppo. Lui arriva da una squadra nella quale aveva libertà di fare: anche qui avrà le sue chance, ma ci saranno delle corse nelle quali sarà di supporto al capitano. Fa parte del processo di crescita, perché quando si troverà a dover gestire la squadra, sarà stato utile aver vissuto prima il ruolo da gregario. Nelle corse minori, quelle del calendario italiano, che già conosce, potrà avere delle occasioni».

Con il passaggio nel WorldTour, Tesfatsion sarà chiamato ad un altro step nella sua crescita
Con il passaggio nel WorldTour, Tesfatsion sarà chiamato ad un altro step nella sua crescita

Il ruolo del preparatore

Come si approccia un preparatore ad un corridore del genere? In che modo lo aiuta a crescere e migliorare?

«Noi allenatori – spiega Larrazabal – dovremo essere bravi a lavorare e farlo salire gradino per gradino. Il motore Natnael ce l’ha, ma bisogna incrementare la capacità di carico, è tutto parte del processo di maturazione. Quando sei in una continental fai 15.000 chilometri all’anno, da professional 25.000 e nel WorldTour 30.000. Anche le corse e i focus cambiano, alla Drone Hopper dopo il Giro d’Italia ha corso l’Adriatica Ionica e il campionato nazionale. Qui da noi il calendario è più intenso, dopo la corsa rosa arrivano il Delfinato o il Giro di Svizzera, si ha un incremento considerevole ed i giovani a volte questa cosa tendono a sottovalutarla.

«Le caratteristiche fisiche ed atletiche di Tesfatsion – conclude sorseggiando il caffè – gli permettono di essere un corridore da corse di un giorno. Le corse delle Ardenne sono gare nelle sue corde, come quelle del calendario italiano: un esempio è il Giro dell’Appennino dove ha fatto secondo nel 2022. Però anche in questo caso bisogna andare con i piedi di piombo. Tesfatsion ha una buonissima resistenza, ma va comunque allenata, sia per quel che riguarda le grandi distanze, come le corse da 250 chilometri. Tuttavia va allenata anche quella che è la capacità di fare fatica per più giorni consecutivi. Di Natnael siamo soddisfatti, crescerà e si farà vedere».

Diviso tra casa e ciclismo: Pasqualon raccontaci come fai

29.01.2023
6 min
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Da una storia su Instagram di Andrea Pasqualon è nata questa intervista. Le foto in questione erano due. Nella prima il neo corridore della Bahrain Victorious era in macchina in piena notte con destinazione casa. La seconda, il mattino successivo, abbracciato a sua figlia Joyel. La curiosità è arrivata di conseguenza, con l’intenzione di capire come i corridori riescano a conciliare famiglia e ciclismo. Sia chiaro, è il loro lavoro, ma non riconoscere il lato umano di questa storia sarebbe da insensibili.

Andrea Pasqualon è passato quest’anno alla Bahrain Victorious con la quale ha firmato un biennale (foto skovacevic)
Andrea Pasqualon è passato quest’anno alla Bahrain Victorious con la quale ha firmato un biennale (foto skovacevic)
Andrea, come si trova il giusto equilibrio?

Il nostro sport – racconta Pasqualon – è di per sé molto difficile, bisogna avere una grande concentrazione per fare le cose al meglio. Sia quando ci si trova in allenamento che quando ci si trova in gara. Anzi in quest’ultimo caso lo stress è maggiore e se a questo si aggiunge la famiglia diventa una bomba pronta ad esplodere. Bisogna far combaciare tutto, non si può far mancare nulla alla famiglia. 

Quanto è importante la famiglia per un corridore?

I figli sono un pensiero in più che si somma al lavoro, ma la famiglia è importante. Trovare il luogo ed il tempo per stare con loro ti aiuta anche a recuperare. Stare con mia figlia e passare del tempo con lei mi fa stare bene. Quando si è ai ritiri o alle corse, non si vede l’ora di tornare da loro e di godere della loro presenza. 

Nome particolare Joyel, da dove arriva?

La mia compagna ed io non volevamo sapere il sesso. Avevamo un sacco di nomi da maschio, ma da femmina no. Così la sera prima abbiamo pensato ad un nome e ci è venuto in mente Joyel. Arriva da un cartone animato: Rio. 

Quanto anni ha ora?

Sei, appena compiuti: il 25 gennaio. Fa gli anni lo stesso giorno della nonna, mia madre, ed abbiamo festeggiato insieme. Ho approfittato di alcuni giorni di pausa per tornare qui in Trentino e passare dei giorni con tutta la famiglia. 

Riesci a conciliare l’attività di professionista con la figura di padre?

Non è sempre semplice, spesso la mia compagna si trova nella situazione di dover ricoprire entrambe le figure. E’ una santa, come lo sono anche le mogli o compagne dei miei colleghi, che spesso si trovano a dare quel che il padre non riesce a trasmettere. 

Quando torni a casa stai spesso con tua figlia, lo si vede dalle foto.

Una volta tornati a casa dalle varie corse o ritiri, bisogna dare il 110 per cento. Viaggiare di notte fa parte del mestiere, preferisco dormire qualche ora in meno, ma svegliarmi insieme a mia figlia il giorno dopo.

Pasqualon ha corso per sei anni con la Intermarché, prima Wanty Group Gobert
Pasqualon ha corso per sei anni con la Intermarché, prima Wanty Group Gobert
Avere delle figure di supporto come i nonni è importante?

I nonni sono una figura di riferimento importantissima. Noi abbiamo la fortuna di avere anche i bisnonni, sono delle persone molto attive e ci danno una grande mano per gestire la famiglia. Io stesso ricordo mio nonno come se fosse mio padre, i miei genitori lavoravano entrambi e lui mi ha cresciuto ed insegnato molto. 

Anche la tua compagna lavora?

Tanja lavora e qualche volta partecipa a delle fiere o eventi e sta via per il weekend. La sera, quando è a casa, lavora in un bar, è giusto che anche lei si trovi il suo spazio. Non deve rinunciare alle cose per “colpa” mia.

Tua figlia Joyel che rapporto ha con il tuo lavoro?

Con il passare degli anni sta iniziando a capire il mio lavoro. Quando era più piccola si arrabbiava di più per le mie assenze. A volte, ancora ora, mi chiede se posso prendere dei giorni liberi per restare con lei. I giorni in cui devo fare scarico riesco a conciliare le cose, ma quando devo fare dei lavori specifici devo dirle di no a malincuore. Le prometto però che esco presto così torno prima e passiamo più tempo insieme. 

Le corse a tappe sono meno pesanti dei ritiri perché i ritmi sono più frenetici e si è concentrati sulla corsa
Le corse a tappe sono meno pesanti dei ritiri perché i ritmi sono più frenetici e si è concentrati sulla corsa
Sono più difficili da gestire i ritiri o le gare?

I ritiri.

Come mai?

Perché in gara sei concentrato sul risultato e sul motivo per il quale stai correndo. Le giornate scorrono via più rapide.

Quando vai in ritiro da solo le porti con te?

Sì, mi sono preso una casa ad Andorra e porto la famiglia con me. Prima di un Tour de France o del Giro mi è utile averli accanto, mi fa stare bene anche di mente. Poi considerate che se non li vedessi neanche durante il ritiro, al quale poi si aggiunge la corsa, sarebbero 60 giorni di lontananza. 

Molte squadre non permettono ai corridori di portare con sé la famiglia, anche nei ritiri individuali…

E’ una cosa che non capisco, dicono che deconcentra l’atleta. Sinceramente non lo comprendo come ragionamento. Quando vado in ritiro mi piace portare la famiglia, avere qualcuno di importante accanto è utile sia a livello umano che sportivo. Se fossi un diesse opterei sempre per la felicità del corridore, un professionista felice riesce a rendere di più.

Pasqualon preferisce allenarsi sulle strade di Andorra, più sicure e a portata dei ciclisti (foto airanphoto)
Pasqualon preferisce allenarsi sulle strade di Andorra, più sicure e a portata dei ciclisti (foto airanphoto)
Come funziona una tua giornata tipo in ritiro?

Ho preso una casa ad Andorra, la mattina mi alleno mentre Tanja e Joyel fanno delle belle camminate. Il pomeriggio lo passiamo insieme.

Dalle foto sui social si vede che ti piace portarla con te in bici o sugli sci.

Sì, mi piace l’idea che cresca come una “sportiva” per insegnarle uno stile di vita sano. Non mi importa quale sport vorrà fare e non la obbligherò a fare nulla. Credo, però, che sia giusto darle la possibilità di provare tante cose, a seconda dei suoi gusti. 

Anche tu scii molto.

Sono cresciuto sugli sci, fino ai 17 anni ed è bello avere un’attività da alternare.

Joyel ha sei anni, è prossima alla scuola, che decisione avete preso tu e la tua compagna?

Ora lei è in un istituto privato, un asilo che ha una visione differente e lascia tanto i bambini all’aria aperta. In Trentino sono molte le strutture così, i bambini crescono a contatto con la natura imparando a condividere con essa gli spazi.

La scuola elementare dove la farà?

Ad Andorra, per motivi di tempo resto più tempo lì che in Italia. E’ uno Stato che mi piace molto e piace tanto anche alla mia compagna. Si tratta di un posto sicuro dove allenarsi, le strade sono larghe e c’è la cultura ed il rispetto del ciclista. Ad essere sincero in Italia pedalo poco, preferisco fare attività differenti e le ultime vicende (l’incidente mortale di Rebellin, ndr) mi hanno convinto ancor di più a prendere questa scelta.

L’analisi di Mazzoleni sull’ultima cronoscalata del Giro

27.01.2023
5 min
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Dopo le considerazioni di Baldato sulla tappa numero venti del prossimo Giro d’Italia (la cronoscalata di Monte Lussari) cerchiamo di entrare maggiormente nello specifico. Una frazione del genere ha tante possibili sfaccettature ed altrettanti finali pronti per essere scritti. In compagnia virtuale di Maurizio Mazzoleni, il preparatore dell’Astana Qazaqstan che al momento si trova sul Teide, cerchiamo di entrare in queste mille sfaccettature. 

«La prima valutazione – spiega Mazzoleni – vedendo la tappa, è che si presuppone un cambio bici. Però non è assolutamente detto, ogni squadra dovrà valutare i materiali a disposizione e capire, tramite le proiezioni dei dati, se converrà optare per questa soluzione».

Maurizio Mazzoleni segue tutti i corridori dell’Astana Qazaqstan
Maurizio Mazzoleni segue tutti i corridori dell’Astana Qazaqstan
Credi che l’eventuale cambio di bici possa essere una fase fondamentale della tappa?

Sì, nel senso che sarà un passaggio delicato, ma più per quanto riguarda i tempi e le difficoltà tecniche del cambio da un mezzo all’altro. 

Dal punto di vista atletico?

Quello no, il corridore passa da una situazione biomeccanica e posturale estrema ad una più comoda. Ogni situazione dovrà essere curata al meglio ma alla fine si tratta più di gestire lo sforzo.

Undici chilometri di pianura prima della salita non sono molti ma possono incidere.

Andrà valutata bene l’intensità con la quale affrontare quel tratto, non si può richiedere all’atleta uno sforzo massimale perché rischia di arrivare ai piedi della salita finito. La grande differenza la farà la condizione con la quale arriverà a fine Giro. Ci si giocherà la classifica finale, quindi la pressione psicologica sarà alle stelle. 

Con la vittoria della cronoscalata del Grappa, Quintana consolidò il Giro 2014
Con la vittoria della cronoscalata del Grappa, Quintana consolidò il Giro 2014
Come si prepara una tappa del genere?

Si svolgono lavori specifici all’interno di macrocicli e microcicli di allenamento, per la parte in salita si prepara uno sforzo intenso ma molto simile a quello di un normale arrivo in salita. Avremo i classici trenta minuti con sforzo massimale, ai quali si aggiunge il lavoro specifico con la bici da crono. Una cosa è certa…

Quale?

Una tappa così la prepara solamente il leader o uno scalatore che punta alla vittoria. Gli altri componenti della squadra non ne hanno il minimo interesse. Ogni leader o comunque ogni corridore è diverso e i modi di preparare questa tappa sono tanti. 

C’è una caratteristica di questa frazione che ti ha colpito?

Direi la salita. I primi cinque chilometri sono davvero tosti con pendenze anche al 15 per cento. Poi spiana per più o meno mille metri e lì i corridori potranno rifiatare prima di lanciarsi nuovamente nel tratto finale. 

Nella cronometro del Tour nel 2016 Aru ha utilizzato una ruota con una raggiatura speciale al posteriore
Nella cronometro del Tour nel 2016 Aru ha utilizzato una ruota con una raggiatura speciale al posteriore
Con tutte le strumentazioni si riesce ad essere precisi nelle indicazioni?

Ormai gli atleti nelle cronometro, soprattutto in quelle di questo genere, hanno delle predisposizioni di wattaggio che devono rispettare. Sta al preparatore essere bravo e trovare i momenti giusti nei quali l’atleta, seppur spingendo, potrà comunque rifiatare. Un altro aspetto fondamentale da curare sarà la respirazione, per una corretta ossigenazione dei muscoli. 

Nel passato hai seguito tanti corridori, ti ricordi di altre cronoscalate?

Me ne ricordo una al Giro d’Italia del 2014, quella del Monte Grappa, con Aru (foto di apertura, ndr). Vinse Quintana e secondo arrivò Fabio. Anche in quel caso ci fu il cambio di bici perché il tratto che da Bassano portava all’attacco della salita era molto veloce. Ne ricordo anche un’altra.

Quale?

La tappa numero 18 del Tour de France del 2016: da Sallanches a Megeve. Sempre con Fabio Aru che aveva fatto veramente bene. In quel caso non optammo per il cambio bici perché si potevano ancora adoperare le estensioni per il manubrio da strada. Ricordo che studiammo i materiali per avere la massima performance e Aru utilizzò una ruota posteriore con una raggiatura particolare. Fabio nei tratti in salita si alzava spesso sui pedali e quella ruota aveva una grande reattività che permetteva di spingere a terra tutta la potenza impressa dal sardo. 

La tappa di Megeve del 2018 la vinse Froome con la bici da cronometro, i mezzi sono migliorati molto da allora
La tappa di Megeve del 2018 la vinse Froome con la bici da cronometro, i mezzi sono migliorati molto da allora
E’ impensabile fare una cronoscalata come quella di quest’anno con la bici da crono?

Non del tutto, la tecnologia è andata avanti molto ed ora i modelli da cronometro sono estremamente leggeri. Alcuni telai che vengono utilizzati su quei mezzi sono “aero” e cambia solamente il manubrio. La posizione in sella fa tanto, una bici da strada risulta più comoda, il cambio bici lo si potrebbe fare anche per questo motivo. 

Baldato, guardando in “casa sua” ha fatto il nome di Almeida. Un corridore costante e forte mentalmente, conterà tanto questa caratteristica?

Una tappa del genere è in mano al cento per cento all’atleta. La concentrazione è una capacità intrinseca al corridore, si può allenare ma poi ognuno è fatto a suo modo. Una figura importante in una corsa del genere è il mental coach perché può aiutare il ciclista a trovare la sua dimensione ideale e rendere al massimo. 

Di solito ci si attiene a quello che può considerarsi un “rito” per isolarsi e trovare la concentrazione.

Certo, per ogni cronometro noi abbiamo dei protocolli che vanno seguiti. Si parte dalla ricognizione, poi il pranzo e l’avvicinamento, il warm up. Sono tempi canonici che aiutano a scandire il tempo ed allontanare le pressioni. Diventa quasi più un fatto mentale che fisico. 

Dumoulin, i giorni in cui iniziò a spegnersi la luce

05.01.2023
5 min
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E’ stato quando ha smesso di percepire il ciclismo come un viaggio nei suoi sogni di ragazzo che Tom Dumoulin ha deciso di dire basta. Una magia che sorprendentemente si è interrotta proprio con la vittoria al Giro d’Italia, quando gli sguardi attorno hanno cambiato luce. Almeno questo è ciò che l’olandese ha percepito e che inesorabilmente lo ha trascinato a fondo. Finché in un giorno dell’estate che lo avrebbe condotto all’ultima gara della carriera – la crono ai mondiali di Wollongong – Tom ha detto basta.

«Sono vivo, più vivo di qualche anno fa. Ero decisamente pronto a smettere, mi divertivo sempre meno a salire in bici e a pormi obiettivi altissimi. Il mio corpo si stava lentamente deteriorando, mi diceva basta. Ho deciso di ritirarmi ad agosto e da quel giorno mi sento molto felice».

Quello che la gente non vede

Il ciclismo è uno degli sport più estremi, richiede una dedizione totale. Come professionista, tutto ruota attorno al ciclismo. Ogni decisione che prendi, ogni ingrediente che mangi, ogni volta che vuoi vedere gli amici. Sono gli stessi concetti espressi da Pogacar: quanto puoi durare vivendo sempre al 100 per cento?

«Il ciclismo – ha spiegato Dumoulin a L’Equipe – richiede un lavoro che il pubblico non vede. Passi il 90 per cento del tuo tempo a fare sacrifici che negli ultimi anni sono diventati troppo importanti, soprattutto perché i momenti speciali stavano diventando sempre più rari. Fino al 2017 e alla vittoria al Giro, mi sono sentito totalmente sulla mia strada. Poi i tifosi, la squadra, le persone con cui ho lavorato hanno cominciato ad aspettarsi qualcosa da me. Mi percepivano in modo diverso. A poco a poco, non era più solo il mio progetto, ma quello di molte persone. E questo non mi è piaciuto, ho cominciato a perdere il controllo della mia carriera e gradualmente ho smesso di divertirmi».

L’amore degli italiani

Eppure proprio vincendo quel Giro del 2017 e poi la crono al mondiale di Bergen, l’olandese così elegante aveva conquistato anche il pubblico italiano. Era chiaro che l’anno dopo sarebbe stato lui il corridore più atteso. Vennero quattro secondi posti: al Giro dietro Froome, al Tour dietro Thomas, al mondiale crono (dietro Dennis) e della cronosquadre (dietro la Quick Step). Poi qualcosa si spense. Difficile dimenticare le brutte ore della caduta di Frascati nel 2019 che lo portarono al ritiro, alla rottura con il Team DSM e al conseguente passaggio alla Jumbo Visma.

«Ho vinto il Giro una volta – ha ricordato – e in Italia sono più popolare di altri vincitori, che non hanno ricevuto tanto amore. Questo è stato bellissimo, ma ho avuto sempre più difficoltà a superarlo. Mi ripetevo: questa è la mia strada, questo è il mio sogno. Volevo mostrare allo sponsor e alla squadra che stavo lavorando sodo. Prima del 2017, se un giorno non stavo bene, capitava che saltassi un allenamento. Dopo la vittoria del Giro, anche se sfinito pensavo che si aspettavano tanto da me e dopo poche settimane ci sarebbe stato il Tour de France. Pensavo troppo, perdevo freschezza e non riuscivo più a dare il massimo».

Un uomo normale

Per questo si fermò la prima volta. Un mese e mezzo senza toccare la bici, sapendo che sarebbero arrivate le Olimpiadi già compromesse nel 2016 per la frattura del polso nel finale del Tour. Arrivò a 47 secondi da Cancellara e secondo sarebbe arrivato a Tokyo dietro Roglic, dopo una preparazione svolta quasi di nascosto.

«Eppure allenandomi da solo – ha detto – sentii che mi piaceva ancora andare in bicicletta. Avrei continuato, eppure appena finirono le Olimpiadi, fu di nuovo difficile tenere lontani tutti i pensieri. Così ho deciso di essere onesto con me stesso: la mia vita non poteva più essere quella di un grande atleta. Così, complice il mal di schiena per cui ho dovuto lasciare il Giro d’Italia, ho deciso di mollare. Dovevo chiudere ai mondiali, l’ho fatto prima. In Australia ci sono andato come tifoso. Sono stato nell’hotel della nazionale. Ho incontrato i miei amici, gli allenatori, i meccanici, i massaggiatori con cui ho lavorato per tanti anni. Mi è piaciuto essere in cima a quello strappo per incoraggiare i miei compagni di squadra, ma in nessun momento ho sentito che avrei voluto essere lì come corridore.

«Non mi sono mai sentito un eroe, semplicemente sapevo andare forte in bicicletta. E’ l’unica cosa che so fare meglio degli altri. Pochissime persone possono vivere quei momenti in cui sei tra i migliori a un passo dalla cima, è qualcosa speciale. Ma non mi sento speciale come persona. Se però posso dare speranza e ispirare qualcun altro, allora questo sarà molto positivo».

“Attaque de Rolland”, ma l’uomo delle fughe ha detto stop

30.12.2022
5 min
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La vicenda che ha portato alla cancellazione della B&B Hotels Ktm è costata un’improvvisa fine di carriera per Pierre Rolland (nella foto di apertura di Aurelien Vialatte), che appende la bici al chiodo a 36 anni. Un corridore con alle spalle 16 anni di professionismo, conditi da 14 vittorie. Ma non sono tanto o solo queste a rendere la notizia del suo addio diversa dalle altre. Rolland non è stato un corridore comune, per molti aspetti.

Innanzitutto, per capire la sua importanza, Rolland va collocato nel tempo. Passato molto giovane, il corridore di Gien si collocò in un periodo davvero difficile per il ciclismo transalpino. Erano molti anni che si attendeva un ciclista capace di vincere il Tour e questa attesa ammantava ogni nuovo talento di un profondo carico di responsabilità. Nei primi anni, Rolland diede nuova linfa a queste aspettative, con piazzamenti di livello (la vittoria nella classifica degli scalatori al Criterium del Delfinato 2008 che gli valse anche la convocazione per le Olimpiadi di Pechino) fino ad accompagnare nel 2011 il grande sogno di Thomas Voeckler di vincere la Grande Boucle.

Alla B&B dal 2020, Pierre paga la crisi del team. Chiude con 14 vittorie, tra cui 2 al Tour
Alla B&B dal 2020, Pierre paga la crisi del team. Chiude con 14 vittorie, tra cui 2 al Tour

In fuga solamente per vincere

Il giorno della tappa dell’Alpe d’Huez, Rolland era al fianco della maglia gialla, a due sole frazioni dal termine. Voeckler è sempre stato un ciclista molto presente a se stesso e a un certo punto disse al più giovane compagno di non trattenersi e andare per la sua strada. Rolland partì all’attacco infiammando i cronisti locali: staccò Contador e Sanchez, non due qualunque e conquistò una delle frazioni più iconiche della corsa francese, condendola con la vittoria della classifica per i giovani.

Poteva, anzi doveva essere il suo trampolino di lancio. Ma i tempi non erano ancora maturi (e a ben guardare non lo sono ancora, se l’ultimo francese vincitore della corsa di casa resta Bernard Hinault nel 1985…) e Rolland se ne rese presto conto. Era approdato alla Cannondale per fare classifica, fu un passaggio non senza contraccolpi, a cominciare dal fatto di essere costretto a imparare l’inglese. Nel frattempo però qualcosa stava cambiando nel suo modo di correre. Forse era nato tutto da quella fuga all’Alpe d’Huez: «Non sarei mai andato in fuga per essere secondo o terzo – aveva affermato subito dopo la conquista del traguardo – quando sono partito avevo in mente solo la vittoria e nulla mi avrebbe fermato».

L’azione decisiva sull’Alpe d’Huez. Contador prova a tenerlo, ma il francese andrà via di forza
L’azione decisiva sull’Alpe d’Huez. Contador prova a tenerlo, ma il francese andrà via di forza

Il capolavoro del Giro 2017

Fuga. Rolland ha messo un po’ da parte le sue ambizioni di classifica per diventare uomo da fughe. Per certi versi in tal modo è riuscito a sopravvivere all’ascensione di nuovi talenti e non parliamo solo dei vari Pogacar, Van Aert e compagnia cantando, ma anche in casa, vedi il pluriridato Alaphilippe. Ma c’era qualcosa in più. Per Rolland la fuga “era” il ciclismo, dava un significato al tutto. Non vogliamo scomodare la filosofia (c’è Guillaume Martin per quello…), ma per il transalpino andare in fuga era una sorta di sfida alla sorte: ci sarà la spinta giusta del vento? Il gruppo si coalizzerà o le beghe interne daranno via libera? La strada sarà quella giusta per compiere l’impresa? Ogni volta una scommessa, ogni volta una lotteria del destino. Ma già essere lì a gettare i dadi sul tavolo era un successo, vivere quell’attesa per il responso.

Nel 2017 Rolland compie il capolavoro, che dà un senso a questa nuova dimensione: nella tappa di Canazei al Giro d’Italia se ne va alla partenza insieme ad altri 23, nessuno gli dà credito (e come si potrebbe…), tutti pensano alla classica fuga ripresa dal gruppo quando si farà sul serio, invece Rolland resta lì e a 8 chilometri dal traguardo piazza la stoccata decisiva, con 24” su Rui Costa, già battuto una settimana prima da Fraile. Il destino sa essere anche beffardo…

La vittoria autoritaria di Rolland a Canazei, Giro d’Italia 2017. L’apoteosi per chi ama le fughe come lui
La vittoria autoritaria di Rolland a Canazei, Giro d’Italia 2017. L’apoteosi per chi ama le fughe come lui

Pensate ai disoccupati della B&B

Rolland avrebbe anche potuto continuare. Voleva farlo, ma poi ha riflettuto. In fin dei conti, la carriera gli aveva già dato quel che chiedeva: «Posso chiudere a buon livello e non in fondo al gruppo, dimenticato. Il futuro è una pagina tutta da scrivere, forse rimarrò nell’ambiente, i progetti ci sono e devono solo essere messi in pratica. Ad esempio potrei rimanere nell’ambiente dedicandomi alle prove un po’ più lunghe, le ultra. Pedalare mi piace ancora e mi piacerà sempre».

Quando le prime voci sul dissesto della B&B erano iniziate a circolare, qualche team aveva anche tentato un approccio, ma Rolland aveva risposto garbatamente: «Ho consigliato a tutti coloro che mi chiamavano di puntare su un collega più giovane, uno di quelli che avrebbe dovuto condividere con me l’avventura del team di Pineau e si è ritrovato senza lavoro. Io una sistemazione la trovo, anche se non agonistica, anche se non più in questo mondo di corridori che ho frequentato per anni girando il pianeta».

Rolland, miglior giovane al Tour 2011, con gli altri vincitori, Sanchez, Cavendish e Evans
Rolland, miglior giovane al Tour 2011, con Sanchez, primo fra gli scalatori

L’importanza dei tifosi

L’ultimo pensiero nel mettere da parte bici, maglietta, casco e quant’altro è stato per i tifosi: «Ci tengo a ringraziarli, coloro che mi hanno sostenuto per tutta la mia carriera, che hanno appoggiato le mie scelte e per le strade urlavano il mio nome: “Attaque de Pierre Rolland” era diventato quasi un mantra, lanciato da L’Equipe e che i tifosi avevano preso come slogan. Mi dispiacerà non sentirlo più…».

Il saluto ad Adorni, l’airone di Parma

29.12.2022
4 min
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PARMA – Non sappiamo realmente che rapporto avesse Vittorio Adorni con la morte. Quando festeggiò i suoi 80 anni disse che aveva appena tagliato un “traguardo volante” senza accorgersi di aver raggiunto quella età con un lunghissimo sprint.

Sappiamo però che profondo rapporto avesse stretto con tante, tantissime persone. Tifosi, ex colleghi e dirigenti. Tuttavia la sua famiglia ha giustamente preferito celebrare un funerale in forma strettamente privata. Come se quasi volesse godersi, insieme agli amici più cari, quell’ultimissimo momento con Vittorio che, per un motivo di lavoro o l’altro, era sempre stato costretto a sacrificare più del dovuto la moglie Vitaliana e i suoi affetti. Già, perché lui fino ad un anno fa era ancora in pista come un ragazzino. Dagli impegni al Giro d’Italia come consulente e uomo immagine di Rcs Sport alle riunioni ad Aigle per l’UCI per cui dal 2001 al 2012 guidò il Consiglio del Ciclismo Professionistico (in apertura foto parma.repubblica).

La sagacia di Vittorio

La lucidità di pensiero ed espressione di Adorni è sempre stata la dote principale che lo ha accompagnato sia in sella che giù dalla bici. Forse era la qualità che ha sempre sperato di conservare anche se lui è sempre stato bravo ed attento a tenerla particolarmente allenata. Chi lo ha frequentato bene, specialmente negli ultimi anni, dice che quando si sfiorava l’argomento della morte tra una chiacchiera e l’altra, lui facesse un simpatico gesto scaramantico. Un po’ come quando da corridore qualcuno gli avesse presagito una eventuale crisi in una tappa al Giro, la sua casa. Tutte situazioni in linea con la sua celebre e raffinata ironia, figlia di una generazione di uomini, ancor prima che campioni, che fatichiamo a ritrovare.

Tantissime le interviste e le presenze in Tv. Adorni è stato anche Assessore allo Sport del comune di Parma
Tantissime le interviste e le presenze in Tv. Adorni è stato anche Assessore allo Sport del comune di Parma

L’omaggio finale

Nel giorno del suo ultimo saluto, mentre osservavamo la commozione di tanta gente, compreso il chierichetto suo storico tifoso, ce lo siamo immaginato mentre riceve gli applausi lungo l’asse decumano che separa il quartiere di San Lazzaro a Parma, nel quale Vittorio era nato il 14 novembre 1937, alla chiesa di San Sepolcro vicina al cuore cittadino. Tre chilometri, praticamente una distanza da crono-prologo, un tipo di tappa che ai suoi tempi non esisteva e che fece solo rarissime volte, come nella sua unica partecipazione alla Vuelta del 1968 (chiusa al quinto posto), anno divenuto poi leggendario col mondiale di Imola.

Gimondi e Adorni hanno raccontato pagine di grandissimo ciclismo mondiale
Gimondi e Adorni hanno raccontato pagine di grandissimo ciclismo mondiale

Gli amici ciclisti

Ad accoglierlo su questo traguardo finale alcune persone non potevano proprio mancare. Perché Adorni ha saputo essere trasversale. Tra tutti citiamo ne citiamo due. Romano Prodi, che nel 1955 fu uno dei suoi primi avversari da allievo (all’epoca la categoria juniores non esisteva) nella crono-scalata Reggio Emilia-Casina vinta da Vittorio. E Davide Boifava, amico di vecchia data e che era nato il suo stesso giorno. Infatti ogni 14 novembre Adorni ci teneva a fare gli auguri a voce ad altri suoi colleghi con cui condivideva il compleanno. Bernard Hinault, Vincenzo Nibali ed anche il pistard Koichi Nakano. «Beh, a lui glieli ho sempre mandati virtualmente perché il giapponese faccio fatica a parlarlo» ripeteva scherzosamente.

Conoscendo la sua ironia, probabilmente ora Vittorio Adorni starà già facendo qualche battuta con i suoi tanti amici-avversari. Solo per nominarne alcuni, da Anquetil a Poulidor, da Gimondi a Baldini, l’ultimo per il quale due settimane fa ci aveva tenuto a raccontarci il suo ricordo.

Conci guarda il bicchiere mezzo pieno e punta al 2023

28.12.2022
5 min
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Il 2023 si avvicina e, tra i buoni propositi che normalmente si fanno, arrivano anche quelli sportivi per Nicola Conci. Nell’anno che si sta per concludere il corridore trentino ha vissuto tra emozioni differenti. La chiusura della Gazprom e la nuova avventura con la Alpecin Fenix Development Team e l’approdo finalmente nel WorldTour nella prima squadra.

«Sto bene – dice Conci – sono riuscito a lavorare bene in questi mesi. L’unico intoppo, se vogliamo chiamarlo così, è stato un giorno di influenza, per il resto tutto liscio. Ora si passano le feste tra famiglia e amici e da gennaio si torna in ritiro. Inizierò a correre a metà febbraio alla nuova corsa in Portogallo (la Figueira Champions Classic, ndr), poi Volta ao Algarve. Successivamente mi sposterò in Spagna e farò Catalunya, Giro dei Paesi Baschi ed infine il Giro d’Italia».

Il caso Gazprom ha investito anche il corridore trentino che nel team russo ha corso una sola gara
Il caso Gazprom ha investito anche il corridore trentino che nel team russo ha corso una sola gara

Il primo ritiro Alpecin

Nel corso di questo mese Conci si è prontamente messo al lavoro in vista dei prossimi impegni, che nel calendario sono vicini ma non così tanto. I giorni per lavorare e prendere ritmo sono tanti, meglio fare le cose con metodo lasciando la fretta da parte. 

«Ho finito la stagione il 16 ottobre – riprende il trentino – dopo ho fatto tre settimane di stop completo, riprendendo la bici gradualmente. Le prime settimane a casa sono state blande, poi con la squadra siamo andati in Spagna. Lì ci siamo divisi in tre gruppi: i velocisti, gli uomini delle classiche, tra cui anche Van Der Poel e poi il gruppo dei più leggeri per la salita di cui faccio parte anche io. I lavori sono stati molto differenti perché alcuni miei compagni inizieranno tra poche settimane. Io ho tre settimane in più prima dell’inizio ufficiale della stagione, inutile iniziare a spingere troppo presto».

La prima gara corsa in maglia Alpecin è stato il Giro di Slovenia, qui nella prima tappa nella volata per il 6° posto
La prima gara corsa in maglia Alpecin è stato il Giro di Slovenia

Il passato 

Nicola Conci è stato uno dei primi corridori ex-Gazprom ad essere contattato dalle varie squadre. Sembrava molto vicino il suo approdo in Alpecin già prima del Giro d’Italia ma l’UCI ha rallentato il tutto facendo slittare l’arrivo nel team belga. 

«Sembrava poter arrivare una deroga da parte dell’UCI – racconta Conci – per il numero di corridori ammessi in una squadra. La speranza era di fare il Giro già nel 2022, questa deroga non è mai arrivata ed alla fine sono entrato nella continental della Alpecin. Il calendario, di conseguenza, è stato un po’ ritagliato rispetto ai vari impegni del team, considerando che non potevo fare corse WorldTour. Mi chiamavano volta per volta. Quando sono andato all’Arctic Race rientravo da un ritiro in Francia e la squadra mi ha chiesto se fossi disponibile a prendere un aereo la sera stessa. Con gli orari era impossibile organizzare il viaggio, così sono partito la mattina dopo, praticamente meno di ventiquattro ore prima del via. Una delle note positive è stata la convocazione per i mondiali di Wollongong».

Nonostante un 2022 travagliato Conci si è meritato la convocazione per i mondiali di Wollongong
Nonostante un 2022 travagliato Conci si è meritato la convocazione per i mondiali di Wollongong

Il futuro

Il 2023 ha il sapore della rivincita, o per lo meno di una nuova chance. I problemi fisici e non, sono alle spalle. Il futuro per Conci è da scrivere e pedalare, con la voglia di chi ha tanto da riprendersi dal destino.

«Tornare nel WorldTour – riprende con voce più viva – mi fa piacere. Nonostante tutto sono riuscito a fare diverse corse nel 2022 ed ho guadagnato questa occasione. Quelle passate sono state stagioni complicate, prima per l’arteria iliaca e poi per il caso Gazprom. La prima un po’ mi preoccupa, devo essere sincero, ma cerco di non pensarci troppo. Le corse fatte mi hanno dato tanta fiducia, mi sento un corridore nuovo e spero di continuare a stare sempre meglio.

«Con i se e con i ma – conclude Conci – magari avrei potuto fare meglio, ma non voglio trovare scuse o recriminare. Anzi, da quest’anno direi che ne ho ricavato un insegnamento: ci sono ancora. Fino al 2021 ho avuto problemi fisici che mi hanno condizionato a livello mentale, mi hanno tolto consapevolezza nei miei mezzi. Il 2022, nonostante tutto, mi ha insegnato ad avere fiducia».

Conci è rimasto positivamente colpito dal nuovo compagno Vergallito
Conci è rimasto positivamente colpito dal nuovo compagno Vergallito

Arriva Vergallito

Nel gruppo di Nicola, al ritiro Alpecin di dicembre, quello degli scalatori, c’era anche Luca Vergallito. L’esperienza del nuovo corridore della Alpecin, in arrivo dalla Zwift Academy, ha fatto tanto discutere, così abbiamo chiesto a Conci di raccontarci cosa ha visto pedalando con lui. 

«Penso che andrà nel team development – dice Nicola – però mi ha fatto molto piacere conoscerlo. E’ davvero in gamba e pedalandoci insieme mi ha dato buone impressioni. Non sembrava gli mancasse qualche abilità nel guidare la bici o nello stare in gruppo. Il problema principale di questi corridori può celarsi nella guida, nel mettere la mantellina o gestire il rifornimento. Vergallito l’ho visto sul pezzo, in più mi ha colpito anche la sua forza mentale: sa cosa fa e cosa vuole, si vede che è preparato. Mi ha lasciato davvero delle buone sensazioni».