Simoni deciso: «Gli juniores vanno rallentati, non velocizzati»

06.09.2022
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Gilberto Simoni se ne andava curiosando per il Giro della Lunigiana, con lo sguardo di chi c’è già stato e cerca ricordi negli angoli nascosti. Voleva tornarci, lo diceva da un po’, dopo averlo vinto nel 1989. Un’altra epoca, un altro ciclismo, eppure si lasciò alle spalle Davide Rebellin e Andrea Peron: due che di lì a qualche anno avrebbero fatto la loro grande carriera. Proprio come il trentino, arrivato in queste terre fra la Toscana e la Liguria come accompagnatore della squadra di casa.

Simoni vinse la corsa nel 1989, precedendo Rebellin e Peron (foto Giro della Lunigiana)
Simoni vinse la corsa nel 1989, precedendo Rebellin e Peron (foto Giro della Lunigiana)

Italiani e russi

Un altro ciclismo quello di allora. Meno mondializzato, per molti aspetti più facile. A farla da padroni erano i nostri e in alternativa c’erano i russi, tanto che se l’anno prima la vittoria era andata a Beppe Guerini, l’anno dopo il Lunigiana se lo pappò Pavel Tcherkasov e dopo di lui Mizourov, quindi Bruseghin e a seguire Kokorine.

E così, in attesa delle premiazioni nel giorno di Fivizzano, decisivo per la vittoria di Antonio Morgado, abbiamo intercettato il suo sguardo e cercato di capire come sia stato tornare negli stessi luoghi 33 anni dopo.

La differenza più grande individuata da Simoni sta nella qualità delle bici, pari a quelle dei pro’
La differenza più grande individuata da Simoni sta nella qualità delle bici, pari a quelle dei pro’
Vedi differenze?

Sapete, nel 1989 ero in gara, non è che vedessi la corsa da fuori. Credo che anche allora fosse intensa. Qua ci sono i più forti. Non voglio dire che sia un mondiale tutti i giorni, ma un Tour de France sicuramente, un Giro d’Italia. Il modo di correre dei ragazzi oggi è molto impetuoso, ma io vedo differenze soprattutto nella tecnologia. Hanno bici molto prestanti, mentre l’uomo credo che sia ancora quello…

Qual è il tuo ruolo?

Non sono il loro direttore sportivo, per quello c’è Stefano Sartori. Io mi sono solo offerto di accompagnarli e dare una mano. Era un po’ che volevo venire al Lunigiana e non avevo mai trovato l’occasione. E a un certo punto mi sono detto: «O ci vengo da turista o da accompagnatore». Ho trovato l’occasione di fare l’uno e l’altro…

Secondo giorno, la prima semitappa vinta da Bozzola si è corsa a 48,708 di media con il 52×14 (photors.it)
Secondo giorno, la prima semitappa vinta da Bozzola si è corsa a 48,708 di media con il 52×14 (photors.it)
Dici che l’uomo è sempre quello, ma loro dal prossimo anno potrebbero già passare. Tu lo facesti cinque anni dopo aver vinto il Lunigiana…

E’ tutto sbagliato, da qualche tempo vedo solo cose sbagliate, quindi… E’ un discorso che non finisce più. Già il fatto che l’anno prossimo liberalizzeranno i rapporti

Non sei favorevole?

Voglio vedere come faranno gli organizzatori a gestire questi ragazzi.  Aumenteranno sicuramente le medie, non tanto per le prestazioni, ma sicuramente ci sarà differenza maggiore tra chi va piano e chi va forte. Aumenterà la distanza tra la testa e la fine della corsa…

Simoni ha seguito il Lunigiana come accompagnatore del team del Trentino
Simoni ha seguito il Lunigiana come accompagnatore del team del Trentino
E’ il nuovo che avanza…

Quella degli juniores è una categoria che andrebbe rallentata, non velocizzata. L’altro giorno si è fatta la semitappa del mattino a quasi 49 di media. Sfido i professionisti a stare qui in mezzo. Quel che vedo è che c’è in giro una banda di incompetenti. Il ciclismo italiano ha sempre fatto scuola nel mondo e non è che se gli altri in giro corrono con i rapporti liberi, dobbiamo farlo anche noi. Tanti corridori sono arrivati al successo passando per l’Italia, eppure noi italiani non insegniamo più niente a nessuno. Anche se ci hanno sempre copiato. 

Cosa faresti?

Tutelerei di più questa categoria, perché è da qui che si tirano fuori i buoni corridori. Ripartiamo dagli juniores, facciamoli crescere bene e poi ne riparliamo.

Giro della Lunigiana, stavolta la Francia si inchina a Morgado

04.09.2022
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Se non lo hanno staccato a Fivizzano, diceva ieri un anziano tifoso, non lo staccano più. Il portoghese Antonio Morgado infatti ha vinto il Giro della Lunigiana che i francesi hanno provato a riaprire invano. Tre tappe vinte per i transalpini, con la terza nell’ultimo giorno, oggi. Un autentico capolavoro di Gruel, in fuga per 50 chilometri, senza auricolari né altri riferimenti se non la lavagna. E’ mancata la stoccata vincente. Magnier ci ha provato soprattutto a Fivizzano, appunto, ma deve essersi reso conto proprio lassù che il rivale non avrebbe ceduto.

«Sono al settimo cielo – dice il portoghese – mi sono divertito e alla fine ho anche vinto. Sono sempre più concentrato sulla vittoria. Ho vinto, ma non significa che sia il migliore. Ieri è stato difficile, oggi meno. Volevo vincere, però ho trovato Magnier più veloce di me. Non sono al 100 per cento. Sono venuto qui per crescere e trovare la condizione per il mondiale. Voglio migliorare il risultato dello scorso anno».

Sesto a Leuven

Vai a guardare, infatti, e ti accorgi che a Leuven nella volata per l’iride, il portoghese si è piazzato al sesto posto, subito davanti a Oioli, nella corsa vinta invece da Hagenes. E allora capisci anche il perché degli sguardi del cittì Salvoldi, che ha seguito la corsa cercando in gruppo il bandolo della matassa. A breve infatti dovrà dare i nomi per Wollongong.

«Rispetto allo scorso anno – dice Morgado – sono cresciuto come ciclista. Ora reggo meglio il ritmo di gara che a Leuven un po’ mi mise in difficoltà, perché era completamente diverso da quello che abbiamo in Portogallo. E da allora ho anche cominciato a capire che tipo di corridore posso diventare. Volevo perdere peso, ma a questo livello non conviene essere troppo magri, perché la maggior parte delle gare si risolve allo sprint».

Fedele ai consigli del connazionale Almeida, il prossimo anno Morgado correrà con Axel Merckx alla Hagens Berman Axeon. E’ il primo portoghese ad aver vinto il Giro della Lunigiana.

Diavoli francesi

I francesi hanno fatto il diavolo a quattro, ma probabilmente non avevano il livello dei connazionali che nel 2021 schiacciarono la corsa. Complice forse anche un percorso meno duro rispetto a un anno fa.  Contro Magnier però si è messa anche la sfortuna, nella forma di un salto di catena il primo giorno, in cui ha perso proprio gli 8 secondi che lo dividono dalla testa della classifica.

«All’inizio ero un po’ deluso – ammette – quel problema mi ha frenato. Così il giorno dopo volevo riscattarmi. Siamo andati a vedere l’arrivo della seconda semitappa, per questo sapevo che prendendo l’ultima curva in testa avrei vinto. Non ho paura nessuno, sapevo di avere una squadra forte e che avremmo reso dura la vita a Morgado.

«La vittoria di ieri a Fivizzano è stata un buon risultato. In realtà ho attaccato per puntare alla maglia. La squadra ha fatto un grande lavoro, ma ho visto che non riuscivo a staccare Morgado. Per questo ho lanciato lo sprint ai 300 metri e così abbiamo ripreso Van Mechelen, sennò vinceva lui. Speravo che le due salite di oggi sarebbero bastate per riprovarci, ma niente da fare…».

Italiani al piccolo trotto

Sul fronte italiano della corsa, unitamente alla vittoria di Mirko Bozzola e a qualche sprazzo di Umbria con i colori di Burani e di Lombardia con Gualdi, pochi i lampi a capo di una stagione in cui i nostri hanno comunque trovato il modo di brillare, fra strada e pista.

Bozzola ha vinto il secondo giorno, nella prima semitappa, lasciandosi dietro Zordan e Cuccarolo. Sul traguardo ha trovato ad attenderlo il tecnico regionale Francesco Giuliani e pure Francesco Moser. Il Lunigiana porta bene al Piemonte, che con il corridore della Aspiratori Otelli ha rinverdito il proprio bilancio dopo le due vittorie 2021 con Oioli.

«Sono felicissimo – ha raccontato Bozzola – mi trovavo nel gruppetto davanti e ho saputo gestire al meglio il momento del ricongiungimento, facendomi trovare pronto allo sprint. Non ero molto ottimista sull’andamento della tappa, credevo che sarebbe stato difficile riprendere Verbrugghe in fuga. Dedico la vittoria al Team Piemonte: dopo le due vittorie del 2021 continua il nostro momento magico al Giro della Lunigiana».

Il team di Colò

Il resto parla della prima tappa vinta dal polacco Zelazowski (ritirato per caduta proprio l’ultimo giorno) su Morgado e Gualdi e dell’impresa di Thibaud Gruel, anche lui di secondo anno. La carovana del Lunigiana si scioglie e riprende la via di casa.

La corsa si è confermata prova di altissimo profilo. Ogni anno si riconosce nel lavoro di Alessandro Colò e del suo gruppo un costante miglioramento. Da segnalare la diretta Facebook che quest’anno ha permesso di seguire la corsa anche da casa, con un team composto da due moto e la postazione fissa sul traguardo. In un movimento come quello degli juniores, in cui tanto si dovrebbe cambiare, la consapevolezza dii un gruppo così giovane e dinamico fa dire che il Giro della Lunigiana dobbiamo proprio tenercelo stretto.

Con l’Umbria al Lunigiana, sulle spalle di Capecchi

28.08.2022
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Eros Capecchi usa i social il minimo indispensabile. Per questo pochi si sono accorti dell’impegno che sta riversando nei settori giovanili della sua regione, praticamente dal momento in cui ha annunciato il ritiro. Questi sono giorni caldi per gli juniores italiani. Ieri la corsa di Vertova, oggi il Trofeo Paganessi. E poi il Giro della Lunigiana a partire da giovedì. Di conseguenza anche Capecchi, che guiderà la formazione regionale, viaggia da settimane col gas aperto.

Tenere insieme tutti i pezzi del ciclismo regionale, sia pure in una realtà così piccola, non si sta rivelando una passeggiata. A ciò si aggiunga il fatto che già prima di ritirarsi, Eros è entrato a tempo pieno nel vivaio di famiglia. Eppure le cose si stanno muovendo. E questo vale un approfondimento. Anche perché fra le brave persone conosciute in anni e anni di ciclismo, Capecchi occupa di diritto un posto sul podio (in apertura è con la compagna Giada Borgato e il cane Stiby).

Quando è nato il progetto di nominarti tecnico regionale?

Diedi l’annuncio che smettevo e dopo un paio di giorni mi contattò Enzo Amantini, un giudice di gara delle nostre parti, facendomi la proposta. Ho accettato dopo 30 secondi, chiedendo però di lavorare in modo più completo.

Cioè?

Ho sempre cercato di fare le cose al massimo o comunque in modo molto serio. Il ruolo, per com’era, era abbastanza leggero. Io invece sto cercando di trasmettere quello che ho appreso in 17 stagioni di professionismo e negli anni precedenti. Quantomeno propongo le mie idee con la massima umiltà e noto che tutti vogliono fare bene. Ho trovato disponibilità nel presidente regionale Alunni e nei direttori sportivi di quasi tutte le società.

Che cosa cerchi di trasmettere?

Seguo le corse. Ho fatto un ritiro a Livigno proprio per il Lunigiana. Cerco di consigliarli sull’alimentazione e ho visto che si è creato un bel clima.

Come una vera squadra…

E’ stato utile. Ho chiamato l’Alpen Village, che mi ha sempre trattato bene sin da quando correvo. Poi abbiamo corso in preparazione al Trofeo Emozione e a Loria, facendo anche qualche piazzamento. E adesso Vertova e Trofeo Paganessi. Corse importanti, di cui il cittì Salvoldi tiene conto. Invece stasera, anziché tornare a casa, ci spostiamo direttamente in Versilia con corridori e massaggiatore, per vedere le tappe del Lunigiana.

La collaborazione delle società è mediamente buona, con qualche inevitabile ostacolo
La collaborazione delle società è mediamente buona, con qualche inevitabile ostacolo
Che effetto fa mettere mano sugli juniores?

Si fa fatica a capire l’indirizzo giusto. Ho fatto il corso da diesse e ho sentito varie correnti di pensiero. In Emilia Romagna dicono di far crescere i ragazzi senza pressione. In Toscana non sono allineati e spingono di più. Ne ho parlato in giro. Per il lato romantico del nostro ciclismo, va bene l’approccio morbido, ma allora non ha nemmeno senso parlare di power meter. 

Tu cosa pensi?

Il ciclismo non è più quello di 20 anni fa, corre veloce. Si comincia a capire che non ci saranno carriere lunghe come ad esempio la mia, ma bisogna adeguarsi. Alla luce di questo si può leggere il fatto che qui in Umbria vengano fuori meno corridori. Non è che non nascono, solo va sviluppata una diversa attitudine verso lo sport. Gli juniores sono una categoria importante, perché da un lato ci sono poche squadre U23 e dall’altro ormai sono la categoria di accesso al professionismo.

Belletta Cherasco 2022
Il podio finale dei tricolori di Cherasco, con Belletta davanti all’umbro Burani e Milesi (foto Ossola)
Belletta Cherasco 2022
Il podio finale dei tricolori di Cherasco, con Belletta davanti all’umbro Burani (foto Ossola)
Quindi il movimento umbro fa ben sperare?

Abbiamo un bel numero di ragazzi, in rapporto alla qualità. E ancora meglio va fra esordienti e allievi. Bisogna solo allargare la ricerca. Di recente la Forno Pioppi, la squadra che a suo tempo aprì le porte a Bernal, ha preso un ragazzo argentino con la fame addosso. Spero che avere a che fare con lui sia di stimolo per gli altri. Io mi sono formato nel ciclismo toscano, dove la mentalità è diversa. Qui invece si cresce più tranquilli, meno esasperati.

Quindi basterebbe poco per crescere di livello?

Abbiamo fatto dei ritiri e i ragazzi hanno visto subito i miglioramenti, senza aver fatto chissà cosa. Già basterebbe curare bene l’alimentazione per fare passi da gigante. Si parla tanto dell’incremento delle prestazioni fra i pro’, io credo che alla base di tutto ci siano gli studi sul cibo e il ricorso ai nutrizionisti. Poi ci sono i materiali e tutto il resto. E qui abbiamo tutto…

Tutto cosa?

I ragazzi hanno intorno persone perbene che li aiutano. Non mancano strade né strutture. Ci sono tecnici preparati. Uno come Massimiliano Gentili sa capirti al volo. Manca solo il fatto di crederci. Ai campionati italiani siamo arrivati secondi perché Belletta ci è scappato, sennò si poteva vincere con Burani che è arrivato secondo.

Capecchi è diventato tecnico regionale dell’Umbria pochi giorni dopo il ritiro. Qui con Burani dopo i campionati italiani
Capecchi è tecnico regionale dell’Umbria. Qui con Burani dopo i campionati italiani
Che cosa ti aspetti dal Lunigiana?

Ci sono stranieri che hanno già fatto 3-4 corse a tappe. Fra i limiti che abbiamo in Italia, questo è quello che toglierei per primo, perché le corse a tappe fanno crescere. Per questo stiamo cercando di organizzare un Giro dell’Umbria Juniores per il prossimo anno. Mentre non sono a favore dell’apertura ai rapporti più lunghi. Ci sono dei ragazzini che farebbero fatica a tirare il 52×11 figurarsi il 53 o il 54. All’estero ne hanno sofferto di meno perché ci sono anche meno corridori e corrono tutti insieme.

Come si inserisce tutto questo nella tua giornata tipo?

Mi sveglio alle 5,30 e alle 6 sono in vivaio. Lavoro per sei ore e quando serve vado alle corse, di solito la domenica. I miei sono elastici, mi permettono di avere il tempo che serve. Coi ragazzi sto bene, la bici non mi manca. Da quando ho smesso l’avrò presa a dire tanto per sei volte…

Arriva il Lunigiana: l’ultima volta vinse il piccolo Martinez

24.08.2022
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Meno di dieci giorni al Giro della Lunigiana e il vincitore uscente, il francese Lenny Martinez, in questi giorni è impegnato al Tour de l’Avenir. La vittoria 2021 nella corsa ligure, ottenuta davanti a Crescioli e Pinarello, lo ha fatto conoscere bene al pubblico italiano. Le prove di quest’anno nelle classiche venete di aprile fra gli under 23, poi al Tour of the Alps, al Giro d’Italia U23 e la vittoria al Valle d’Aosta hanno meglio definito il suo spessore. Come i suoi compagni della Conti Groupama-FDJ, anche Lenny ha vissuto e sta ancora vivendo un 2022 di altissimo livello, che culminerà con il passaggio già annunciato di tutto il blocco nelle file del team WorldTour.

Eravamo curiosi però di sapere quali ricordi abbia del Lunigiana e così, approfittando di una tappa finita presto nella corsa francese (in apertura, foto DirectVelo), abbiamo bussato alla sua porta. Ieri infatti si è corsa la cronosquadre, da oggi invece si comincia a salire. Martinez prese la maglia di leader il giorno di Fosdinovo (2ª tappa) difendendola poi sino alla fine.

Sapevi dall’inizio dell’anno che avresti corso il Giro della Lunigiana?

No, non lo sapevo. Mi fu detto dal tecnico della nazionale durante la stagione, poco prima della gara.

Arrivasti in Italia come leader della tua nazionale?

Ero il leader designato, ma anche Brieuc Rolland e Nicolas Rousset Favier hanno potuto giocare le lo carte, soprattutto nelle prime tappe. E tanto meglio che sia stato così, perché siamo riusciti a prendere la maglia verde di leader nella prima tappa a La Spezia e gestire la corsa è stato più facile.

Anche a Tour de l’Avenir i gradi sulle spalle di Gregoire e Martinez, 3° e 5° da sinistra (foto DirectVelo)
Anche a Tour de l’Avenir i gradi sulle spalle di Gregoire e Martinez, 3° e 5° da sinistra (foto DirectVelo)
Tu prendesti la maglia a Fosdinovo, arrivando quinto, nel giorno della vittoria di Oioli.

Quel giorno la maglia di leader era in squadra, ma non sulle mie spalle. Mi sentivo bene e sono riuscito ad andare via da solo sulla salita finale e così ho preso la maglia di leader. Penso sia stata anche una cosa buona per affrontare le tappe successive in una posizione di vantaggio. Sapevo che i più forti mi avrebbero attaccato, però mi sentivo solido per difendermi.

Cosa ricordi di quel giorno?

Ho provato a guadagnare proprio sugli altri favoriti, muovendomi sull’ultima salita e cercando di mantenere il vantaggio fino al traguardo. Puntavo chiaramente alla classifica generale, che ci fosse davanti una fuga non cambiava niente.

Quest’anno Martinez è tornato in Italia per il Giro (3° posto) e per il Valle d’Aosta (nella foto) che ha vinto
Quest’anno Martinez è tornato in Italia per il Giro (3° posto) e per il Valle d’Aosta (nella foto) che ha vinto
Il Lunigana ha arricchito il tuo bagaglio tecnico?

Mi sembra che sia stata la corsa a tappe più lunga che abbia fatto da junior. Ho imparato a gestire la corsa da leader con una squadra che mi supportava. Queste sono anche gare di apprendimento per gli anni successivi.

Quindi sei tornato a casa con dei bei ricordi?

Sì, ho amato il Giro della Lunigiana. C’era molto entusiasmo attorno alla corsa, una grande organizzazione. Per me è stata la corsa a tappe più bella dell’anno. E poi è stata anche la mia prima vittoria in una classifica generale, non la dimenticherò. E’ sempre bello venire in Italia e tornare in Francia con la vittoria. Anche il Val d’Aosta mi ha lasciato ottimi ricordi (sorride, ndr). Per me, la squadra e la mia famiglia…

L’Avenir è iniziato con un prologo a squadre (1ª Olanda) e ieri ha proposto un’altra cronosquadre (foto DirectVelo)
L’Avenir è iniziato con un prologo a squadre (1ª Olanda) e ieri ha proposto un’altra cronosquadre (foto DirectVelo)
Sei sorpreso di passare già professionista?

Sì e no. Mi sono reso conto di avere un buon livello in salita, ma mi sarebbe piaciuto mettermi alla prova ancora un po’ nella continental. In fondo, ero convinto di arrivare abbastanza presto nel WorldTour, ma da lì a farlo è stato molto diverso. Anche se avevo già avuto contatti con altre squadre, appena arrivato fra gli U23.

Qual è il tuo obiettivo al Tour de l’Avenir?

Il miglior risultato possibile. La vittoria, ovviamente. Ma se ciò non fosse possibile, un podio mi soddisferebbe. A patto di essere battuto da corridori più forti e aver potuto fare la mia corsa.

Il Casano sbarca in Sicilia per accogliere Sciortino

21.01.2022
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«Sono molto contento di questo accordo con la Sicilia. Il nostro team avrà un bel mix di culture. E a distanza di tanti anni, mi sembra di rivivere quello che ho fatto io, certe avventure…».

La voce sicura dall’altra parte del telefono è quella di Giuseppe Di Fresco, diesse del Casano-Matec, massese d’adozione e palermitano di nascita. Quest’anno la società di Ortonovo di Luni (gestita dal team manager Christian Castagna ed organizzatrice del Giro della Lunigiana) avrà una doppia affiliazione: una toscana con dieci atleti ed una siciliana con sei. L’operazione è stata indotta dall’ingaggio di Carlo Sciortino, talento classe 2004 di Bagheria, e di altri tra i migliori prospetti dell’isola.

Di Fresco è stato professionista, gestisce una pompa di benzina e fa il diesse (foto Casano)
Di Fresco è stato professionista, gestisce una pompa di benzina e fa il diesse (foto Casano)

«Mi ci rivedo molto in questi ragazzi – racconta Di Fresco, cresciuto in Toscana tra i dilettanti ed ex pro’ dal ’99 al 2001, prima di intraprendere la carriera da dirigente – anche se loro sono un po’ più fortunati di me. Pensate che la mia prima gara fuori dalla Sicilia fu la Coppa d’Oro da allievo. Mio padre spese 120 mila lire per noleggiare un furgone bianco per fare Palermo-Borgo Valsugana. Eravamo in nove e mangiammo al sacco la pasta al forno con gli anelletti che ci aveva preparato mia madre. Per me fu come andare al campionato del mondo. Un’esperienza di vita, non solo sportiva, che mi rimarrà in eterno. Ora c’è il Palermo-Pisa di Ryanair che abbatte le distanze però vorrei formare questi ragazzi con quello che non avevo io all’epoca».

Giuseppe spiegaci questo filo diretto tra Toscana e Sicilia, le tue due regioni.

Il contatto è nato due anni fa quando Carlo (Sciortino, ndr) era allievo. Lo ospitammo per provare un po’ di corse della zona, nelle quali centrò quasi sempre il podio. Ci fece un’ottima impressione. Doveva venire con noi già nel 2021, ma per problemi burocratici non abbiamo potuto. Lo abbiamo fatto quest’anno. Cercheremo di fare un’unica attività con tutti i nostri ragazzi.

Questa intervista con Carlo Sciortino è stata realizzata al Giro della Lunigiana
Come gestirete questa situazione con i ragazzi siciliani?

Finché andranno a scuola correranno giù, dove saranno seguiti dal nostro diesse Alessandro Mansueto, che è anche responsabile tecnico del Comitato Regionale. Ogni tanto, a rotazione e quando lo riterremo opportuno o in base al loro stato di forma, verranno a gareggiare da noi. Sciortino sarà quello che farà più attività al Nord in quel periodo. Poi da luglio saliranno tutti da noi e saranno a nostra disposizione.

E’ necessario avere tutto ben organizzato? Anche con i professori dei ragazzi?

Certo, è fondamentale. Abbiamo già programmato i voli, in cinquanta minuti sono qui. Per loro abbiamo fatto fare una bici in più da tenere qui in modo da non doverla imbarcare sempre, che talvolta costa più del biglietto, e per evitare soprattutto che te la danneggino. Poi, come facciamo con i ragazzi toscani e liguri, anche per quelli siciliani abbiamo già spedito una lettera ai loro insegnanti spiegando la nostra attività. Presentando in anticipo la convocazione alle gare, o addirittura quella della nazionale, non gli vengono segnate le assenze. E’ importante avere la collaborazione e la comprensione degli istituti che frequentano.

Nel 2005-2006 per Di Fresco corse da junior anche Damiano Caruso, prelevato dalla Sicilia (qui al Giro del 2013)
Nel 2005-2006 per Di Fresco corse da junior anche Damiano Caruso (qui al Giro del 2013)
Tu che l’hai vissuta, qual è l’aspetto migliore di questa situazione?

Bisogna dire che ultimamente la Sicilia si sta muovendo bene e lascia fare ai ragazzi più esperienza fuori regione. Detto questo, i ragazzi che vengono dal Sud, arrivano con più fame agonistica. Rispetto a quelli delle nostre zone, forse hanno meno grilli per la testa. In gara li vedi sempre belli agguerriti anche se come tutti a quell’età vanno istruiti su certe cose. Mi ricordo quando portai Damiano Caruso alla Berti Mobili di Massa da junior. Mi avevano consigliato un certo Provino, ma con lui fu amore a prima vista. E ci ritrovammo anche alla Mastromarco.

Dei ragazzi siciliani chi ti senti di segnalare oltre a Sciortino?

Carlo somiglia parecchio a Visconti, perfetto per i percorsi ondulati. Deve ancora crescere. Altri due da seguire con attenzione sono Vincenzo Pardo e Salvatore Florio. Hanno tutti ampi margini di miglioramento.

Non dimentichiamoci però dei ragazzi toscani. 

Assolutamente no, ne abbiamo di interessanti. Avremo due primi anni molto talentuosi come Alex Stella e Alessandro Failli (nipote dell’ex pro’ Francesco, ndr). Quest’ultimo è stato chiamato da Salvoldi e andrà a fare uno stage a Montichiari nei prossimi giorni. Abbiamo anche i riconfermati Poli e Rossi che possono fare molto bene. A seguire tutti i ragazzi ci saranno anche gli altri diesse Daniele Della Tommasina e Cristian Benenati (entrambi ex pro’, ndr).

Nel 2021 ha portato Crescioli al secondo posto del Giro della Lunigiana
Nel 2021 ha portato Crescioli al secondo posto del Giro della Lunigiana
Per chiudere Giuseppe, che stagione sarà la vostra?

Ripetere il 2021 non sarà facile. Ci siamo tolti tante soddisfazioni con Crescioli, Giordani e Bozicevich (i due sono insieme a Montichiari nella foto di apertura, ndr), che sono andati molto d’accordo nonostante tutti e tre avessero numeri per la fare la gara. Sono andati tutti alla Mastromarco (Galeotti e Boschi invece sono passati U23 alla Gragnano, ndr). Quest’anno puntiamo a fare risultato con i ragazzi del secondo anno ma sono certo che anche quelli appena passati disputeranno grandi corse. Non ci poniamo limiti, vedremo strada facendo. Mi permettete un’ultima cosa?

Certo.

Vorrei ringraziare la Matec. E’ una grossa azienda locale ma non ci conoscevamo reciprocamente. Ci ha presentati per caso il mio dentista. L’anno scorso ha subito creduto nel nostro progetto, quello dato anche dalla filiera con altre due realtà giovanili della zona. Il titolare poco per volta si è appassionato al ciclismo, coinvolgendoci negli spot della sua ditta. Se si vuole, e basta cercare, ci sono ancora degli sponsor importanti che possono affiancare il nostro ciclismo.

Attività giovanile e precocità, Morelli segnala i rischi

08.09.2021
5 min
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Il tema della precocità degli juniores, effettiva oppure indotta, non si può mollare così e speriamo che anche la Federazione lo metta al centro di un bel ragionamento, fra norme da aggiornare e tecnici da formare. Però intanto, dopo aver sentito ieri Fabrizio Tacchino che con il Centro studi ha lavorato alla formazione dei direttori sportivi, oggi ci siamo rivolti nuovamente ad Andrea Morelli, direttore del ciclismo al Centro Mapei. Furono loro i primi a far passare professionista uno junior, Filippo Pozzato, e sono anche in possesso degli strumenti per dire che cosa accade se con i ragazzini si spinge troppo sul gas. Tanti degli juniores del Lunigiana mostravano una notevole definizione muscolare e prestazioni da professionisti e questo è la spia di lavori forse troppo evoluti.

«C’è stato un avanzamento sul piano tecnico- dice Morelli – sia per quanto riguarda il mezzo meccanico, sia la possibilità di raccogliere informazioni sugli atleti mediante l’uso del misuratore di potenza in età in cui le priorità dovrebbero essere altre. A quell’età non devono concentrarsi sui numeri, devono imparare a leggere le informazioni che gli vengono dal corpo, magari imparando a usare il cardiofrequenzimetro per capire la reazione del cuore agli stimoli e alla fatica».

Alessandro Romele, campione italiano, con una dotazione tecnica da capogiro (foto Scanferla)
Alessandro Romele, campione italiano, con una dotazione tecnica da capogiro (foto Scanferla)
Che cosa succede scalando tutto così indietro?

Intervieni sui carichi di lavoro, proponi da subito il raffronto dei watt, magari intervieni anche sull’alimentazione… Crei la situazione di stress che dei ragazzi così giovani non sono attrezzati a fronteggiare. Se cominci a martellarli da allievi, perché questo è quello che sta succedendo, causi dei problemi psicologici che magari portano all’abbandono. Io credo sia sbagliato gestirli per cercare la prestazione assoluta in età di sviluppo. La precocità ha più rischi che vantaggi.

Esempio?

Mi hanno raccontato che prima del Lunigiana, una squadra di qui ha fatto una gara di rodaggio e il giorno dopo il tecnico ha voluto che facessero una distanza. Purtroppo le squadre sono molto focalizzate sul numero di vittorie, che portano più sponsor. E’ tutto a scalare. Le U23 vogliono diventare continental per avere più visibilità e ti ritrovi anche con gli allievi che già hanno il procuratore. Il figlio di un mio amico ha iniziato giocando con la Mtb. Poi da allievo è passato su strada, si è piazzato subito e una l’ha vinta. Mi racconta il padre che sono pieni di società che gli offrono la bici per prenderlo. Con lui ci parlo io, ma altri genitori si ritrovano in mezzo a scelte fatte da pseudo manager, in un’età in cui al centro dello sport devono esserci il divertimento e la formazione.

Il livello dei team juniores si è alzato a dismisura negli ultimi 5 anni, la precocità atletica è una costante (foto Scanferla)
Il livello dei team juniores si è alzato a dismisura negli ultimi 5 anni, la precocità atletica è una costante (foto Scanferla)
Invece a 17 anni abbiamo già dei piccoli professionisti…

Arrivare a fare il professionista dovrebbe essere il punto di partenza, ma se hai già sfruttato tutto, quali sono i tuoi margini? E non parlo tanto dal punto di vista fisico, che si può gestire, ma psicologico. Il professionista mette in atto sistemi tampone con cui si difende dalla pressione, penso a Nibali che è ancora capace di addormentarsi dovunque. Da giovani non è così semplice. E’ facile che entri in un tunnel e poi salti per aria.

Sul piano fisico si gestisce davvero?

In parte sì, anche se ci sono tappe della crescita in cui si sviluppano determinate qualità e quelle andrebbero rispettate. Se cominci a fare le Sfr e le partenze da fermo al secondo anno da allievo, vai a sbattere contro il periodo dello sviluppo ormonale. A quelle età dovrebbero lavorare sull’abilità, l’agilità e la coordinazione, non sulla forza. Però molto dipende da quello che si vuole ottenere.

Alberto Bruttomesso prende la borraccia, un “giochino” non sempre semplice (foto Scanferla)
Alberto Bruttomesso prende la borraccia, un “giochino” non sempre semplice (foto Scanferla)
Parli di risultati?

Se devi puntare a grandi appuntamenti, ti trovi davanti Paesi che fanno altri ragionamenti. Vedi le ginnaste prodigiose a 12 anni o vedi gli juniores con fisici da adulti. Se l’obiettivo è vincere il mondiale juniores, devi per forza confrontarti con quegli atleti. E poi mi chiedo, se lo scopo dell’Uci è tutelare gli juniores, ha senso fare mondiali da 120 chilometri, se la distanza di gara di tutto l’anno è sui 90? Chiaro che poi si allenino su distanze superiori…

E si ritrovano uomini fatti con largo anticipo.

Così li trovi nelle continental a correre in mezzo ad atleti con strutture fisiche superiori senza essere pronti e senza avere le abilità tecniche necessarie. La precocità fisica non va di pari passo con l’esperienza. Saper fare una doppia fila, tirare la volata, prendere il rifornimento. Sono cose che impari da piccolo. Se guardi solo ai dati, il resto passa in secondo piano.

Federico De Paolis del Team Ballerini: una delle società più evolute (foto Scanferla)
Federico De Paolis del Team Ballerini: una delle società più evolute (foto Scanferla)
Voi siete quelli che fecero passare Pozzato…

E anche Cancellara. Non era un discorso di precocità, ci eravamo accorti che avessero delle doti non comuni e li inserimmo in una struttura che faceva attività su misura. Perciò c’è il confronto fra realtà che lavorano per la crescita graduale e altre che prendono ragazzi di 22-23 anni e li portano a fare le corse a tappe di tre settimane. Quando Ganna veniva a fare i suoi test da junior, si vedeva che fosse un campione, ma per fortuna ha avuto un processo di crescita graduale e adesso è ai livelli che ben vediamo. La componente genetica ha il suo peso, ma l’ambiente di sviluppo è altrettanto importante.

E poi ci sono quelli che allenano gli juniores con il 53×11 e non il 52×14…

Certe regole nascono da un ragionamento. Per cui se si vuole abolirle, occorre farne un altro. Ogni eccezione è semplice rincorsa alla prestazione e non verso la giusta crescita. In mountain bike questo discorso dei rapporti non c’è, ma si tratta di un lavoro completamente diverso. Su strada eviterei di allungare i rapporti quando non si può. Che necessità hanno di farlo?

Viaggio tra i giovani. Il punto con Tacchino, “tecnico dei tecnici”

07.09.2021
7 min
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Ancora non si ferma l’onda lunga del Lunigiana, ma più in generale dell’effetto giovani. Abbiamo visto ritmi pazzeschi, numeri da pro’, comportamenti da campioni navigati, ma al tempo stesso grosse lacune (vedi i famosi fondamentali). Come da nostra abitudine cerchiamo di saperne di più e lo facciamo con Fabrizio Tacchino.

Fabrizio ha una lunghissima esperienza nel campo della preparazione e della formazione rivolta anche ai tecnici. Dopo le sue esperienze in bici, le qualifiche come diesse e la laurea in scienze motorie l’aspetto pedagogico è in primo piano per lui.

Fabrizio Tacchino durante uno dei suoi corsi di formazione
Fabrizio Tacchino durante uno dei suoi corsi di formazione

Partiamo dai rapporti

In questo Lunigiana abbiamo assistito a performance importanti con ben dieci ragazzi che hanno siglato tempi migliori di Pogacar sulla salita di Fosdinovo. Si è sentito parlare di rapporti spinti in allenamento che vanno ben oltre il 52×14 del regolamento imposto in gara per la categoria. Cosa succede quindi?

«Io – spiega Tacchino – non sono così orientato nel dire che i ragazzi facciano dei carichi eccessivi. Piuttosto mi chiederei che tipo di gare fanno? Cosa richiedono le loro competizioni? Quella dei rapporti è una regola degli anni ’60 fatta per tutelare i ragazzi perché se c’era qualcuno che era meno sviluppato di un altro non sarebbe riuscito a tirare i rapporti più duri. Ed era giusta. Ma i tempi cambiano. E andiamo ad analizzare cosa dice l’Uci. In pista e in Mtb per esempio non ci sono limiti di rapporti e oggi uno juniores che in certe gare, vedi il quartetto, non spinge il 56 non risponde al modello di prestazione di quella specialità. Sono stati recentemente abbattuti diversi record del mondo, ma questo è successo non perché si allenino di più o vadano più forte, ma perché girano rapporti che consentono di fare velocità più alte.

«Detto questo, ha senso allenarsi con rapporti più duri, purché sia fatto in modo progressivo e in base a ciò che richiedono le gare. Quindi ben venga ancora il limite del 52×14 in gara altrimenti ci sarebbe una netta svolta verso la forza nella preparazione».

Alcuni juniores sono meno sviluppati di altri e per loro il rischio di restare dietro è altissimo (foto Valerio Bianco)
Alcuni juniores sono meno sviluppati di altri e per loro il rischio di restare dietro è altissimo (foto Valerio Bianco)

Cambio generazionale netto

Che si sta assistendo ad un cambio generazionale lo abbiamo detto più volte, ma che tale cambio sia così repentino e così marcato fa riflettere. Perché? Da cosa dipende?

«E’ migliorata la tipologia degli allenamenti – dice Tacchino – si spinge un dente più duro sulle salite e si fanno tempi impensabili fino a pochi anni fa. E questo per me dipende anche dalla multidisciplinarietà che li stimola molto. In pista vince chi ha la capacità di spingere un dente in più. Ma questo non vuol dire che i ragazzi siano sfruttati oltre le loro possibilità e che si facciano dei danni. Se le cose sono fatte bene, in modo progressivo, non ci sono controindicazioni».

Il dubbio però resta. Siamo sicuri che non si vada oltre? Cosa chiedono i diesse nei corsi di aggiornamento? Alla fine si rischia che, volenti o nolenti, ci sia questa sorta di “fame di successo”.

«Nei corsi spieghiamo il modello prestazionale richiesto dalla gara di quella categoria: quanto dura, la tipologia di sforzo che sono chiamati a fare i ragazzi, la capacità lattacida richiesta… e su questo modello si costruisce la preparazione. Poi c’è chi recepisce e chi no… Ma ci sono delle tappe da rispettare. Ci sono dei ragazzi più propensi e altri meno, nel senso che hanno sviluppato meno. 

«Però non bisogna neanche esagerare nel senso opposto, in quello pedagogico. Non è vero che non bisogna fare dei lavori di forza o senza pesi. Come ripeto, l’importante è farlo con i tempi giusti. Partire dai carichi naturali e poi impostare dei lavori con i bilancieri. Per questo diciamo sempre ai diesse di affidarsi a persone esperte e affidabili. Di fatto noi mettiamo a disposizione delle squadre le metodologie sviluppate con le nazionali e i diesse le devono adeguare ai propri atleti».

Ritmi elevatissimi al Lunigiana. Tenere le ruote in salita non era facile. E lì c’erano i migliori…
Ritmi elevatissimi al Lunigiana. Tenere le ruote in salita non era facile. E lì c’erano i migliori…

Evoluzione delle metodologie

«Da noi il ciclismo – continua Tacchino – è un po’ esasperato. Abbiamo una tradizione ciclistica di lungo corso. Oggi si fanno troppe discipline. Da juniores non puoi più fare troppo: il tempo richiesto per allenarti è grande. C’è una ricerca importante del mio collega Paolo Menaspà, ex Centro Mapei Sport, che mette in evidenza come il livello tra gli juniores sia così elevato che le qualità che esprime un atleta in quella categoria se le porta poi dietro per il resto della carriera. In pratica chi è uno scalatore da juniores molto probabilmente lo sarà anche da under 23 e da professionista. E sta a noi tecnici individuare queste caratteristiche. 

«Ci sono dieci ragazzini che vanno più forte di Pogacar? E’ l’evoluzione della preparazione e una maggiore consapevolezza nei metodi di lavoro. Il che può essere letto in due modi: l’esasperazione o una maturazione tranquilla. Nel primo caso succede che molti abbandonano in modo precoce perché gli tirano fuori tutto. Oggi a 20-21 anni sei vecchio se non passi e le squadre dei pro’ preferiscono prendere un atleta meno maturo e investire su di lui. Senza contare che dietro c’è anche la spinta dei procuratori. Nel secondo caso, invece, c’è chi vive il ciclismo in modo più divertente, più ludico, ma di contro rischia di non arrivare e di non essere preso in considerazione».

Spesso per i ragazzi non è facile sopportare certi livelli di stress
Spesso per i ragazzi non è facile sopportare certi livelli di stress

Il mercato dei giovani

E qui si apre un capitolo molto importante: il mercato dei giovani, il ruolo dei procuratori, la carenza di squadre… il che inevitabilmente porta ad alzare l’asticella. E’ la legge della domanda e dell’offerta. 

«Oggi – riprende Tacchino – se non vai forte da allievo rischi di non trovare squadra da juniores. Da juniores di non trovarla tra gli U23 e così via.. perché ci sono pochi posti in base alle squadre rimaste. Non è più come una volta. In Mtb vediamo dei campionati nazionali con 200 partenti tra gli juniores e 50 tra gli under 23: perché non ci sono squadre in grado di supportare un’attività nazionale.

«Di conseguenza con meno posti si cerca di fare di più. E uno juniores che va forte è già sul taccuino dei procuratori. Al tempo stesso ci sono metodologie migliori di allenamento che bene o male fanno rendere di più. Ma poi si ripercuotono non tanto sul fisico quanto sull’aspetto mentale. Oggi un ragazzo di 19 anni deve essere pronto a fare la vita da pro’. Se deve andare ad una corsa deve prendere un treno, spostarsi da solo… A 25 anni è più maturo, prende la macchina e va: è tutto più facile per lui. In questo contesto è importante anche l’ambiente familiare».

L’effetto Evenepoel è stata una vera rivoluzione, una scossa nel mondo giovanile e juniores in particolare
L’effetto Evenepoel è stata una vera rivoluzione, una scossa nel mondo giovanile e juniores in particolare

Quei fondamentali perduti

Diceva Gianluca Geremia del fatto che oggi i ragazzi vanno forte, ma mancano di fondamentali. Non sanno fare un treno o prendere il rifornimento quando si va più veloce. Nei corsi di formazione o comunque in seno a queste categorie giovanili si curano ancora questi aspetti?

«Faccio un esempio – conclude Tacchino – io sono di Ovada. Ai miei tempi come in ogni altra cittadina c’era una squadra che aveva come minimo 10-15 tesserati, di tutte le età. Una volta non cerano gli Under 23 e magari un dilettante aveva quasi 40 anni. Ebbene questi corridori più vecchi nelle uscite di squadra facevano scuola ai più giovani. Certe dinamiche di gruppo erano apprese in modo naturale. Oggi col fatto che ci sono poche squadre e che magari un tesserato abita a 100 chilometri dall’altro è difficile fare questi allenamenti collegiali. Di contro, non si possono valutare solo i watt. Sento tanti amatori che vincono le granfondo dire: coi miei watt potrei fare il professionista. Non è così. Lì sei in un contesto in cui sei il più forte e vai. Qui invece hai anche un confronto tecnico che ti toglie energie. Mi riferisco allo stare in gruppo, al nervosismo, a prendere una salita dopo aver speso molto di più.

«Piuttosto c’è il rischio che la nuova generazione di diesse non abbia esperienza ciclistica sul campo, ma solo dall’ammiraglia. Finché può il diesse dovrebbe andare in bici coi propri ragazzi. Tra gli U23 certe cose si danno per assodato, tra gli junior qualcosa devi ancora imparare, da esordiente e allievo ci devi lavorare. Noi lo diciamo nei corsi, ma non è facile. Sarebbe bello fare dei corsi pratici perché un conto è spiegare a parole un ventaglio e un conto è farlo su strada. Ma ci sono anche delle esigenze sulla sicurezza che vanno prese in considerazione quando si fa un corso».

Piemonte, il risveglio prosegue. Dietro c’è tanto lavoro…

06.09.2021
4 min
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Avevamo iniziato a percepire una ventata di novità ai campionati italiani della cronometro, quando Francesca Barale vinse fra le junior, Sobrero fra i professionisti ed Elisa Longo Borghini fra le elite. Una sorta di risveglio del Piemonte, che si è andato completando con i grandi risultati di Filippo Ganna, Elisa Balsamo ed Eleonora Gasparrini. Perciò quando al Giro della Lunigiana sono arrivate le due vittorie di Manuel Oioli, la sensazione della marea in arrivo si è fatto molto concreta. A livello giovanile, il Piemonte è la potenza che non ti aspetti.

«Effettivamente c’è un po’ di risveglio. Questo gruppo junior è veramente entusiasmante. Siamo un po’ mancati al campionato italiano, ma vedo che si sono riscattati molto bene. E il gruppo che ho portato qua al Giro della Lunigiana è stato uno dei gruppi più azzeccati. Perché oltre che dei grandissimi corridori, è un gruppo molto affiatato».

Classifica sfumata

Parla Francesco Giuliani, classe 1982, tecnico regionale piemontese per la categoria juniores, con trascorsi nel quartetto e qualche piazzamento su strada. La spedizione al Lunigiana è parsa quasi una gita fra amici, che però hanno collaborato al massimo livello. E se non fosse stato per la distrazione collettiva della prima tappa, in cui anche loro sono incappati, probabilmente Oioli avrebbe potuto giocarsi la classifica con Lenny Martinez.

«Sono dei ragazzi bravi che sanno fare bene il loro compito – continua Giuliani – e hanno lavorato veramente tanto. Peccato davvero per la prima tappa, abbiamo un po’ tentennato con Manuel sull’ultima salita. Altrimenti si poteva anche lottare per la vittoria finale. Oioli era il nostro leader (in apertura con Bozzola dopo la vittoria di Fosdinovo, ndr), gli altri ragazzi avevano i loro compiti ben precisi. Non avevamo lasciato niente al caso».

Scelta ragionata

Cosa c’è alle spalle di ragazzi che si chiamano Oioli, Mattio, Bozzola, Borello, Rosa e Valnotto? Sono i migliori che ci sono oppure Giuliani ha potuto scegliere fra tanti? Nella baraonda ai piedi del podio, il torinese ci pensa e risponde

«C’era parecchia gente che ha fatto bene anche nell’ultimo periodo – dice – ma ho voluto credere in questi ragazzi, perché li ho visti proprio adatti a un percorso di questo genere. Molti mi hanno chiesto perché non abbia portato uno scalatore, perché è innegabile che nella nostra formazione non ci sia uno scalatore vero. Ma io non ho mai pensato che il Lunigiana di quest’anno fosse una corsa per corridori del genere. C’era tanta pianura dopo le salite e dei falsopiani che fanno troppo male uno scalatore. Perciò ho scelto in base al percorso. Il massimo».

A Fivizzano, l’ultimo tentativo di riaprire la classifica, ma a vuoto
A Fivizzano, l’ultimo tentativo di riaprire la classifica, ma a vuoto

Collegiali e affiatamento

Ma l’abbondanza va gestita. Già nei giorni scorsi Gianluca Geremia, tecnico del Veneto ci aveva parlato della sua idea di incrementare l’attività delle rappresentative regionali e il suo collega piemontese non èt troppo distante.

«Come Comitato regionale – dice – abbiamo incrementato moltissimo l’attività e vorremmo farlo ancora. C’è in atto un progetto per aumentare molto l’attività regionale con dei collegiali. Abbiamo già cominciato a farne e a seguire l’attività aumenterà ancora proprio per affiatare il gruppo che poi verrà via con la rappresentativa regionale. Perché comunque questi ragazzi corrono normalmente come avversari, quindi bisogna anche affiatarli. Devono essere amici soprattutto in bici e divertirsi. E alle loro spalle c’è già il ricambio pronto. Non a caso qui al Lunigiana ne avevamo quattro di primo anno».

Miguel e Lenny, padre e figlio: entriamo in casa Martinez

06.09.2021
5 min
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Il tempo di rimettere in ordine gli appunti del Lunigiana e immediatamente è scattata la domanda. Che cosa pensa Miguel Martinez di suo figlio Lenny? E quale ruolo ha nella sua formazione sportiva? Il suo account Instagram trasuda di orgoglio paterno, le foto di suo figlio saltano fuori da ogni angolo.

«Lenny è fortissimo in salita – dice con tanto trasporto e la sua proverbiale simpatia Miguel – è davvero un piccolo fenomeno. Quando lo porto a fare dietro motore in salita, mi fa sempre segno di andare un po’ di più, un po’ più veloce… E io resto stupito. Non so davvero dove possa arrivare».

Inizi in Mtb, poi a 14 anni…

Certo che con un papà star della mountain bike ci si aspetta che anche il figlio voglia diventarlo, invece qui viene il bello. La strada per Lenny è passione e anche voler dimostrare qualcosa.

«Lenny ha iniziato in Mtb perché io avevo un bike park una volta in Costa Azzurra. Poi lui è rimasto lì con la mamma (i due si sono separati, ndr) e lui per un po’ ha continuato con la Mtb, anche se quando andava alle corse la gente faceva continuamente paragoni con me. Finché a 14 anni, avendo nostalgia di suo nonno Mariano, venne a stare da me.

«In casa c’è una maglia a pois appesa in bella vista. E’ quella di miglior scalatore che mio padre vinse al Tour del 1978. Lo vedevo che la osservava, la guardava sempre pensando a qualcosa… E ho capito che forse Lenny aveva voglia di fare come suo nonno. Riuscire in ciò che non sono riuscito a fare io quando provai su strada. Smarcarsi dai paragoni, glielo vedo nello sguardo».

Consigli, ma non troppi

Miguel segue con amore e pazienza suo figlio, ma ammette anche che fino all’anno scorso, quando lui ancora gareggiava in Mtb ed era comunque un professionista, ogni allenamento era una guerra.

«Eh sì – ride – io volevo staccare lui e lui voleva staccare me, così abbiamo detto basta. Anche perché lui spesso ama fare gli specifici da solo. Usciamo insieme quando deve fare scarico. Fino all’anno scorso gli tenevo testa, adesso no. Impossibile. Gli vado dietro col motorino! E poi Lenny ha il suo allenatore con la Fdj.

«Ma per il resto viviamo insieme. Gli do dei consigli quando vedo che commette dei piccoli errori, ma si appoggia al suo team. Anche perché non è facile da padre a figlio. Non è come da coach a ragazzo. Infatti siamo molto amici. Più amici che padre e figlio, almeno per quel che riguarda la bici».

I due escono in bici solo nei giorni di scarico e per diletto: meglio evitare la competizione (foto Instagram)
I due escono in bici solo nei giorni di scarico e per diletto: meglio evitare la competizione (foto Instagram)

L’occhio tecnico

Infine prima di congedarci, Martinez ci dà un giudizio tecnico su Lenny. Dopo tanti anni ai vertici, sia su strada che in Mtb, e da sempre grande osservatore di talenti, Miguel ha visto tanti corridori.

«Lenny è molto bravo in salita, lì va davvero forte. Ma è bravo un po’ dappertutto. In volata per esempio. Certo non in quelle brevi: lì lo batti. A lui servono almeno 300 metri e magari in falsopiano, che poi è come ha vinto al Giro della Lunigiana l’altro giorno. In quel caso riesce a liberare bene la sua potenza. Pertanto non direi che è così esplosivo. E infatti sapete dove è veramente forte? A crono. Ai campionati nazionali francesi è arrivato terzo a 15” dal primo, che è tra i migliori al mondo, ma se si guarda al rapporto potenza/peso lui è stato il migliore.

Tre parole d’ordine sulla bici di suo figlio: comunicazione, coinvolgimento, padronanza (foto Instagram)
Tre parole d’ordine sulla bici di suo figlio: comunicazione, coinvolgimento, padronanza (foto Instagram)

«Un difetto? Ancora non è fortissimo in discesa, almeno paragonato ai pro’ (proprio nella tappa di Fivizzano i tecnici avversari avevano notato questa lacuna, ndr). L’anno scorso è caduto e ha preso un po’ di paura e infatti se sull’asciutto tutto sommato va bene, sul bagnato ha qualche problemino».

In ogni caso Miguel ci sta già lavorando su, con consigli e con la tecnica.

«Lenny – conclude MiniMig – adesso esce poco in Mtb, giusto qualche volta l’inverno, perché è molto concentrato sulla strada. Però fa ciclocross. E’ arrivato secondo nel campionato nazionale. Davvero non so dove possa arrivare…».