Giuseppe Di Fresco era a casa, seduto sul divano dopo aver fatto il suo giro in bici al mattino. Un po’ per passione e un po’ come riabilitazione dopo l’intervento al tendine rotuleo. Era l’11 novembre. E’ stato nel momento in cui s’è alzato dal divano per andare al bagno, che l’ha raggiunto la prima fitta alla schiena. Poi il dolore è sceso fino ai reni e da lì è passato davanti, nello stomaco. Un dolore molto intenso. A quel punto il siciliano, che da anni vive a Massa, ha chiamato sua moglie Sara, dicendole di sentirsi male.
Questa è la storia di un salvataggio miracoloso e di come la prevenzione davvero ti salvi la vita. La racconta Di Fresco in persona, che nel frattempo è tornato a casa e ha la voce che ancora gli trema. C’è mancato davvero poco.
«Appena mi ha sentito – ricorda il direttore sportivo del Team Casano – Sara si è offerta di portarmi all’ospedale, ma le ho detto che non ci sarei arrivato, meglio chiamare l’ambulanza. Perciò siamo partiti verso l’ospedale con un codice arancione, ma di colpo il dolore si è spostato verso il petto e allora il codice è diventato rosso. E a questo punto devo dire grazie a mia moglie, che ha fatto un miracolo».
Guardate il cuore
Di Fresco racconta. All’ospedale si pensa a un calcolo renale, ce ne sono tutti i sintomi. Eppure qualcosa non torna. Tutti gli anni da quando nel 2001 ha smesso di correre, Giuseppe ha continuato a fare l’idoneità sportiva, controllando soprattutto il cuore. Poi periodicamente ha fatto le TAC total body e di recente anche l’angioTAC con mezzo di contrasto.
«E proprio in quest’ultima – prosegue – avevano riscontrato uno spanciamento dell’arteria. Una cosa leggera, da non preoccuparsi, ma da sapere. Avevo un valore di 4,2-4,3 e l’intervento è previsto a partire da 5,5. Qual è stata la bravura di mia moglie? Appena entrata in pronto soccorso, la prima cosa che ha fatto è stata fare presente questa anomalia e così loro, anziché indagare sul calcolo renale, sono andati dritti sul cuore e hanno diagnosticato la dissecazione dell’aorta. In pratica le pareti dell’arteria si erano sfilacciate e pare sia una cosa che non si può prevenire. La fortuna nostra qui a Massa è che abbiamo l’Ospedale del Cuore, che è conosciuto in tutto il mondo. E loro cosa hanno fatto? Mi hanno portato subito là, dove ho trovato il dottor Rizza, un professore calabrese molto conosciuto, che si è reso disponibile per l’intervento di inserimento di una protesi».
Questione di minuti
Di Fresco racconta, c’è davvero mancato poco. E’ tutta una serie di coincidenze fortunate che gli permette di uscirne illeso. Come ad esempio il fatto che la protesi che gli hanno inserito nel petto era appena arrivata dalla Cina, ma non per lui. Tasselli che si compongono e gli fanno pensare che davvero non fosse ancora giunto il suo momento.
«Sono stato fortunato – riflette Di Fresco – a trovare persone veramente competenti che mi hanno salvato la vita. In primis devo ringraziare mia moglie che ha avuto sangue freddo nel dare indicazioni precise. Gli ha fatto guadagnare tempo e probabilmente mi ha salvato la vita. Uscito dall’ospedale, dopo due giorni sono andato a parlare con il dottor Rizza. E lui mi ha detto: “Vuoi sapere la verità di quello che è successo?”. Quando gli ho detto di sì, mi ha raccontato tutto. Ha fatto un disegno su un foglio e mi ha spiegato che era tutta una questione di tempo. Sarebbe bastato qualche minuto in più e avrei rischiato di morire, ma anche di avere lesioni permanenti ad alcuni organi. Ho subito anche un’ischemia acuta, quindi per un breve periodo agli organi è arrivato poco sangue. Io non ricordo niente. Solo quando sono entrato per il mal di pancia, quando hanno cominciato a sedarmi e poi ricordo il risveglio dopo due giorni».
Il popolo del ciclismo
Al suo fianco c’era Marco Mariotti, un primario anestesista che lo ha assistito per tutto il tempo. E’ lui a risvegliarlo dall’anestesia. Giuseppe lo guarda chiedendogli cosa sia successo e capisce la gravità, quando vede sua madre accanto al letto.
«Se era arrivata lei da Palermo – ora Di Fresco sorride – allora doveva essere stato davvero qualcosa di molto grave. Ho fatto soffrire parecchia gente. Hanno iniziato a operarmi verso l’una di notte, hanno finito alle sei del mattino. Tutta la notte. E tutta la notte nel piazzale dell’ospedale mi hanno detto che c’erano centinaia di persone, tra i miei amici amatori, corridori, amici, gente del ciclismo. Mia figlia Anna a 13 anni si è fatta fare un lettino improvvisato su una barella ed è voluta stare accanto a me. Si è impaurita, ma è stata forte come la sua mamma. Una cosa incredibile. Il mondo del ciclismo è stato veramente una famiglia enorme, non immaginavo tanto sostegno. Mi hanno chiamato da tutte le parti, anche dal Portogallo, dalla Spagna, dal Venezuela. Il presidente Dagnoni e Martinello. Anche ex compagni di squadra, Davide Formolo e Cassani. Damiano Caruso e Pino Toni…».
Colpa dello stress
Con il dolore che va scomparendo e la paura che impiegherà forse del tempo in più, ora Di Fresco deve fare dei controlli, che col tempo saranno meno frequenti. La vita è ripresa normale, con l’invito a ridurre lo stress.
«Il cardiologo ha detto – spiega – che purtroppo lo stress è il peggior nemico del nostro fisico. In più aver fatto ciclismo non aiuta, perché il cuore è stato sottoposto a dei sovraccarichi importanti. Per cui ridurrò un po’ gli impegni, ma ho già ripreso a seguire la squadra. Sento i ragazzi tutti i giorni, stiamo andando avanti col programma. Dal 2 al 6 gennaio faremo un ritiro collegiale vicino casa mia, in modo che possa andare a trovarli. Voglio seguire ancora la squadra, io senza ciclismo che cosa faccio? Muoio di nuovo. Un jolly me lo sono giocato, speriamo di averne altri. I miei collaboratori si sono dimostrati eccezionali, da Mansueto a Pino Toni, passando per Daniele Della Tommasina».
Tra la vita e la morte
Il resoconto del suo viaggio fra la vita e la morte parla di 13 giorni in terapia intensiva, un reparto che non si augura a nessuno, ma che gli ha salvato la vita grazie alle persone eccezionali che lo hanno curato.
«Ragazzi giovani – ammette – il più vecchio avrà avuto 40 anni e mi hanno dato un’assistenza incredibile. Ero cosciente e mi rendevo conto di quel che accadeva. Ho avuto due o tre giorni di crisi di panico. La mattina mi svegliavo, anche se non ho mai dormito davvero, e mi ritrovavo sempre con tutti i cateteri e i tubicini attaccati al collo, alle braccia, alla bocca, al naso. E poi arrivavano loro che sono degli angeli e magari mi davano supporto morale. Poi mi hanno portato in un reparto normale per sei giorni e a quel punto hanno iniziato a levarmi i vari tubi e mi hanno avviato alla nutrizione normale. Se sono ancora qui, lo devo ai controlli che ho fatto, che dopo i 50 anni dovrebbero essere un obbligo per tutti. Fateli, ragazzi, non pensate che queste cose accadano soltanto agli altri».