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“Un primo, sessanta secondi”. Il lungo viaggio di Visconti

01.05.2023
8 min
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Il 15 maggio arriverà nelle librerie “Un primo, sessanta secondi”, viaggio intimo e sorprendente nella vita e nella carriera di Giovanni Visconti. Un percorso letterario che inizia dal momento drammatico e catartico del ritiro e poi torna alle origini in Sicilia, in un mondo che per tanti lettori risulterà lontano e inaspettato (in apertura, il siciliano con i genitori Rosi e Nino alla Coppa Sabatini del 2006, vinta in maglia Milram).

Quello che segue è un piccolo estratto: il terzo capitolo che racconta gli esordi da ciclista, con la regia e la preparazione rigida gestita dal padre Antonino. Il corridore bambino. Il libro, scritto a quattro mani con Enzo Vicennati, è pubblicato da Mulatero Editore e fa parte della collana Pagine Al Vento. 

“Un primo, sessanta secondi” è pubblicato da Mulatero Editore nella collana Pagine Al Vento: 171 pagine al prezzo di 21 euro
“Un primo, sessanta secondi” è pubblicato da Mulatero Editore nella collana Pagine Al Vento: 171 pagine al prezzo di 21 euro

Il corridore bambino

La vita da corridore in Sicilia, che poi da bambini è anche sbagliato chiamarla così, dovrebbe essere un gioco, ma per me non lo è mai stato. E’ piuttosto una guerra tra genitori. Non dico solo tra mio padre e mio zio: quella si potrebbe anche capire. Io e mio cugino Agostino siamo compagni di squadra, ma anche avversari e a vincere è sempre lui. Io arrivo secondo, è una rivalità che sento proprio tanto. Proprio per questo, quello da giovanissimo è uno dei periodi più duri della mia vita. Se non altro, a livello di fatica.

Primo perché non mi vivo niente dell’infanzia e poi dell’adolescenza, ma niente davvero. Secondo perché faccio davvero tanta fatica. Mi alleno tutti i giorni: non come un giovanissimo, ma come se fossi uno junior. E non mi alleno solo in bici. C’è la palestra, c’è la piscina, c’è la corsa a piedi e c’è anche il ciclocross… Mischio tutto, non sto mai fermo.

Mi allena mio padre e la sera arrivo a casa stravolto. Mio cugino è fortissimo. Siamo due bambini della stessa età, ma lui è più sviluppato, anche muscolarmente. Usciamo da scuola, mangiamo qualcosa e ci portano su quello stradone a Brancaccio che fa una specie di cerchio, in cui si può pedalare fuori dal traffico e dove possiamo sentirci un po’ più liberi.

La prima bici è una Olmo bianca e azzurra. Le gare a Palermo richiamano gente sulle strade, ma spesso sono motivo di lite fra genitori
La prima bici è una Olmo bianca e azzurra. Le gare a Palermo sono spesso motivo di lite fra genitori

Mio cugino Agostino

Quando sono in bici con mio cugino, anche se abbiamo 8-9 anni, a meno di 30 all’ora non si va, con i nostri rapportini e tutte quelle pedalate. La fatica che faccio per stare con lui è pazzesca. E la fatica diventa stress mentale: già da bambino sono pieno di paure. Per cui la domenica corro, do sempre il massimo e dopo le gare vomito sempre, sempre, sempre. Non c’è una gara in cui io non vomiti.

Insomma, è dura per entrambi, ma io forse faccio uno sforzo superiore a quello che sono in grado di sostenere. In più mi pesa, perché so che c’è questa lotta tra i genitori. Ho paura di arrivare secondo, la paura di perdere e di vedere anche mio padre sempre un gradino sotto… Sicuramente tutte queste cose compongono un quadro impegnativo per un bambino come me. Una questione fisica e poi anche di testa.

Fra me e Agostino c’è un bel rapporto. In quei periodi si usa stare parecchio in famiglia. Non dico tutte le sere, ma i fine settimana siamo sempre da mia nonna Orsola giù al fiume. Chiamiamo così la sua casa perché effettivamente abita vicino al corso dell’Oreto. Andiamo da lei e ceniamo tutti insieme. Siamo in tanti, tra nipoti e i vari parenti.

Con Agostino giochiamo e facciamo di tutto, tranne che parlare di bici. Da più piccoli abbiamo giocato con le macchinine nella terra, ma ora che siamo più grandi diamo calci al pallone, anche se poi arrivano i nostri padri, si immischiano e rompono le scatole: non si può giocare, dicono, perché fa male alle gambe. Ci controllano nel mangiare, soprattutto mio zio nei confronti di mio cugino. Mi ricordo che tante volte se Agostino vuole mangiare un dolcino, deve farlo di nascosto. Mio padre è un po’ meno duro, però quando sono lì e c’è zio Angelo, anch’io mi sento di dover fare le sue stesse cose. 

Fatica e vomito

Non credo però che mio cugino vinca di più per la vita che fa. E’ semplicemente più forte. Io ci metto più tempo a sviluppare muscolarmente. Sono proprio un bimbetto e nei bambini la differenza la fa lo sviluppo: sarò così fino ai dilettanti. In più, lui fa anche tanta fatica negli allenamenti. La stessa mia, però con quel fisico così sviluppato vale doppio. Quindi per arrivare semplicemente con lui in volata e fare secondo o terzo, muoio ogni volta e vomito, mentre lui vince facile.

Comunque, dopo tanti di questi episodi nei giovanissimi, mio padre mi porta a fare una visita. Andiamo vicino allo stadio di Palermo e questo dottore, in tutta tranquillità, gli dice che evidentemente non sono in grado di sostenere certi sforzi e che è meglio mollare. Fare ciclismo come sport va bene, ma in tranquillità e basta. Dice che secondo lui non ci sono rimedi, è solo che io non ce la faccio. Così continuo a vomitare, finché passa da sé. Probabilmente è tutto legato allo sviluppo, ai mega sforzi, alla fatica per seguire mio cugino e a quello stress psicologico, perché poi di colpo passa da sé. Invece Agostino continua a vincere, anche se pure lui soffre questa rivalità tra genitori e lo stress che c’è sin da bambino.

In qualche modo sento che a me tutto questo serve. Ogni santa domenica, devo cercare quantomeno di arrivare in volata con lui e alla fine diventa il mio stimolo. Agostino è un tipo introverso, sembra un duro, ma in realtà è cattivo solo quando sale sulla bici e si trasforma.

Giovanni Visconti con la maglia del GS Boccadifalco, negli anni cui si riferisce questo capitolo
Giovanni Visconti con la maglia del GS Boccadifalco, negli anni cui si riferisce questo capitolo

La settimana tipo

La settimana tipo non esiste, esiste la vita tipo. Fissa, continua, sempre quella. Cambia solo in base ai periodi. Magari se siamo in inverno, mio padre mi porta su a Pioppo: un paesino sopra Monreale, per camminare in salita. Salite ripide e pareti spelacchiate. Da quelle parti le montagne sono parecchio scoperte, non ci sono boschi e sono il terreno delle mie camminate avanti e indietro. Quando torno, vado in bici e poi in palestra. Però prima di entrare, mio padre mi dice di fare 2 chilometri di corsetta a piedi.

Sono sempre un bambino di 9 anni, ma non fa niente. Due chilometri, una ventina di minuti a piedi. Pam, pam, pam. Torno. Vado in palestra per un’ora e poi passo subito in piscina al piano di sotto. Faccio 40 minuti di nuoto, 80 vasche. E così arriva la sera. Alle 20,30 sono a casa e tutte le sere mi metto a tavola, così morto che non ce la faccio a versarmi l’acqua. E allora chiedo a mia madre, che mi guarda e non dice niente: «Ma’, mi dai l’acqua?». Ce l’ho davanti al naso, ma non riesco a prenderla… 

Mia sorella Ursula

Mia sorella non è gelosa, non c’è mai stato questo tipo di problema a casa mia. Sin da bambina, Ursula ha la testa sullo studio e nel suo mondo. A volte anche lei mi prende in giro, perché sembro viziato. Ed effettivamente lo sono, perché ogni giorno sono stanco morto e non muovo un dito. Però lo stesso, mi aiuta a fare i compiti, perché io non ho tempo e mio padre le chiede di darmi una mano. 

In qualche modo certi giorni la aiuto anche io con lo studio. Mi metto disteso sul divano con la testa sulle sue gambe, lei mi fa le carezze, mi tira indietro i capelli, io mi rilasso e intanto mi ripete la sua lezione. Non c’è mai stata gelosia, perché Ursula è più grande e ben più matura di me. Si rende conto della fatica che faccio e magari pensa che per me possa essere la strada giusta per un futuro diverso.

Valverde, il signore della Freccia raccontato da Visconti

18.04.2023
7 min
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Domani la Freccia Vallone porterà sul Muro d’Huy tifosi e storie da raccontare. Quel budello ripido e silenzioso, che si inerpica lungo le Chemin de Capelles, per un giorno diventerà un’arena selvaggia. L’ultima vittoria italiana porta la firma di Rebellin: sembra ieri che lo intervistammo per parlarne, invece è passato più di un anno e nel frattempo quel dannato camionista, di cui non si sa più nulla, gli ha rubato la vita.

Oggi però vogliamo raccontarvi la Freccia e le Ardenne con gli occhi di Giovanni Visconti, che le ha vissute accanto a uno dei più grandi di sempre: Alejandro Valverde, che detiene il record di cinque vittorie a Huy e ha vinto quattro a Liegi.

Visconti e Valverde hanno corso insieme dal 2012 al 2016: l’anno successivo, Giovanni passerà al Bahrain
Visconti e Valverde hanno corso insieme dal 2012 al 2016: l’anno successivo, Giovanni passerà al Bahrain
Valverde lo conoscevi prima di andare alla Movistar nel 2012?

No, lo conobbi lì. Il primo approccio fu un messaggio Whatsapp. Chiesi il numero a Unzue, perché sapevo che Alejandro rientrava dalla squalifica e gli scrissi l’ammirazione che avevo e che ero strafelice di andare in squadra con lui.

E lui?

Più contento di me. Quell’anno rientrò con una vittoria al Tour Down Under, ma quando arrivammo ad Amorebieta ed eravamo in fuga noi due con Igor Anton, gli chiesi se potesse lasciarmi vincere e lui non fece neanche un’obiezione. Fu la prima vittoria in maglia Movistar.

Tu avevi già fatto le classiche con Bettini alla Quick Step, trovasti punti in comune?

Due situazioni completamente diverse. Paolo era molto meno metodico, Valverde sapeva cosa avrebbe fatto e cosa avrebbe mangiato ogni giorno fino alla gara. Bettini faceva le cose come gli venivano, anche perché in quegli anni il ciclismo era meno scientifico sul fronte della preparazione e dell’alimentazione. A colazione la Nutella non doveva mancare mai.

Il suo massaggiatore Escamez lo accoglie ogni giorno col suo bibitone proteico, poi sotto col riso e tonno
Il suo massaggiatore Escamez lo accoglie ogni giorno col suo bibitone proteico, poi sotto col riso e tonno
Invece Valverde?

Non era mai nervoso, però era schematico. Il suo massaggiatore Escamez, quando finivamo l’allenamento, gli faceva trovare un piattino di riso col tonno. Faceva così anche di pomeriggio. Intorno alle 17, si faceva portare lo stesso riso e lo faceva mangiare anche a me, che spesso ero suo compagno di camera. Mi diceva: «Come, come», mangia, mangia! E mi spiegava che me lo sarei ritrovato nelle gambe nel giorno della corsa. A tavola poi era anche più preciso.

Cioè?

Se nel piatto avevano messo più riso, lui lo scansava. Se doveva mangiare due pezzettini di pollo, il terzo lo scansava. Il bicchierino di birra, quello ci poteva stare. E spesso anche una pallina di gelato. Però se gliene portavano due, una la lasciava. Non c’era verso, non sbagliava mai. Ed era così anche a casa, perché sono stato da lui ad allenarmi. Io credo che in tutta la vita da corridore abbia mangiato solo riso bianco col tonno, oppure pollo. E anche in bici non scherzava.

In che senso?

Era maniaco dell’integrazione. Durante il giorno si prendeva i suoi 20 grammi di proteine, voleva la borraccia con le maltodestrine e gli aminoacidi. E anche in gara voleva che avessi le borracce identiche alle sue.

Com’era fare le ricognizioni sui percorsi?

Alejandro le faceva in maniera molto tranquilla. I primi tempi, ma questo riguarda la Liegi, sulla Redoute capitava di incontrare Florio (un italo-belga, grande tifoso di Giovanni, ndr) con la sua famosa torta di riso e un paio di volte ci siamo anche fermati. Negli ultimi tempi no, perché più passavano gli anni e più sapeva di non poter sbagliare neanche una virgola.

A livello di tensione, Freccia e Liegi per Valverde erano la stessa cosa? 

Uguale. Il suo programma era quello è lo stile di vita identico dalla mattina alla sera. Ci si distraeva solo la sera dopo la Freccia, magari si andava a mangiare fuori. Una volta che aveva vinto ci portò in un posto bello a Maastricht. Lui mangiò un piatto di riso o comunque cercò di avvicinarsi il più possibile alla sua alimentazione, mentre tutti noi ordinammo il sushi.

Sulla Redoute con Quintana: mancano tre giorni alla Liegi del 2015
Sulla Redoute con Quintana: mancano tre giorni alla Liegi del 2015
Si faceva anche la ricognizione sul Muro d’Huy?

Sempre. Col pullman ci fermavamo in basso, davanti a una scuola sulla sinistra con un muro molto alto, e lanciavamo le borracce ai bambini. Era un vero rituale, come pregare allo stesso modo tutti i giorni. Sempre la solita preghiera, che non cambiava mai.

Il Valverde della vigilia era nervoso?

Anche se era concentrato, il suo pregio era essere proprio un bambinone. Glielo dicevo sempre: «Tu sei capace solo di andare in bici». Infatti non riesce a smettere e lo ha sempre fatto col sorriso, perché è proprio quello che gli è piaciuto fino a 42 anni. L’ha fatto sempre seriamente, ma sempre con buon umore e scherzando. Sul pullman faceva lo scemo, certi scherzi è meglio non raccontarli (ride, ndr).

Si capiva dalla vigilia che avrebbe vinto?

Si capiva che avrebbe lottato per vincere, come in ognuno dei cinque anni che sono stato al suo fianco. Non c’era una sola gara in cui non volesse farlo. Si capiva casomai quando aveva una giornata storta, ma io penso che mi sarà successo al massimo due volte. 

In Belgio c’era spesso la sua famiglia…

La portava perché il 25 aprile è il suo compleanno e la Liegi è sempre in quei giorni. Nessuno gli ha mai fatto storie, anche perché Valverde era la squadra, quindi nessuno si permetteva di dire nulla. Forse per come è oggi, con le squadre tutte chiuse, anche lui avrebbe qualche problema.

Che ruolo avevi al Nord con lui? 

Gli stavo accanto, sempre. Ho partecipato a tre vittorie: una Liegi e due Freccia. Avevo capito da subito come voleva essere trattato e tante volte, anche se non era vero, gli dicevo quanto fosse tirato e che grande gamba avesse. Lui si girava e lo vedevi che era più motivato. Magari cavolate così gli davano l’uno per cento in più. Per il resto ho tirato tanto nei momenti decisivi della corsa dalla Freccia al Lombardia, passando per la Liegi e il Giro.

L’abbraccio a Sant’Anna di Vinadio, dopo il sacrificio che permise a Valverde di arrivare sul podio del Giro 2016
L’abbraccio a Sant’Anna di Vinadio, dopo il sacrificio che permise a Valverde di arrivare sul podio del Giro 2016
Che cosa hai imparato da Valverde in quegli anni?

Mi ha dato una grande lezione di umiltà. Io che ero super permaloso, da lui ho imparato anche a sapere arrivare secondo o essere d’aiuto ed essere ugualmente felice un compagno. A Sant’Anna di Vinadio nel Giro 2016, mi fermarono dalla fuga per aspettarlo e tirare 500 metri per lui: normalmente mi sarei stranito. Invece lui è arrivato, mi ha abbracciato e mi ha messo davanti agli occhi l’umiltà di un immenso campione. Quel gesto fu meglio di ogni ricompensa.

EDITORIALE / Le scelte per il ciclismo che cambia

26.12.2022
5 min
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Le scelte per un mondo che cambia. Questa frase mutuata dal mondo scout continua a risuonarmi nella testa davanti ai cambiamenti che stanno investendo il ciclismo, in nome dei quali forse è il caso di rivedere qualche idea.

Le nostre radici

Abbiamo salutato Gimondi, Baldini e Adorni, perdendo riferimenti preziosi della nostra storia. Ci hanno preso per mano migliaia di volte, tramandando la magia di uno sport che prima di loro era stato raccontato da Coppi e Bartali, in una sorta di staffetta fra leggende. Sulla loro esperienza si sono formate le generazioni successive, da cui sono nati i direttori sportivi che portano avanti le squadre del ciclismo giovanile.

Per anni la loro bussola è stata l’esperienza, codificata con gli anni e il passa parola. Mangiare poco per essere magri, fare tante ore e tutto il resto del campionario. E mentre da noi si andava avanti così, mietendo per anni successi, all’estero si formavano tecnici che, non avendo alle spalle tanti campioni, a un certo punto hanno cominciato a chiedersi se quelle esperienze fossero migliorabili con l’apporto della scienza.

Gimondi e Adorni hanno raccontato pagine di grandissimo ciclismo mondiale, prima di loro Coppi e Bartali
Gimondi e Adorni hanno raccontato pagine di grandissimo ciclismo mondiale, prima di loro Coppi e Bartali

Lo scetticismo di chi non capisce

Inizialmente sono stati guardati con lo scetticismo di chi non capisce. Ricordiamo le battute fra corridori verso quelli del Team Sky e il loro modo di mangiare, cui ora si sono tutti adeguati. Infatti a un certo punto è iniziata la ricorsa per riprendere il tempo perso. Purtroppo però, come in tutti gli inseguimenti, si sono spese le forze migliori per agganciare quelli davanti, che nel frattempo hanno avuto il tempo per mangiare, recuperare e rilanciare.

Poco abbiamo ascoltato le parole di Alfredo Martini: «I corridori giovani – diceva – vogliono sapere quello che succederà, non quello che succedeva ai nostri tempi!».

Fu il Team Sky, qui alla Vuelta del 2011, a portare il primo grande cambiamento nel ciclismo che ancora cambia
Fu il Team Sky, qui alla Vuelta 2011, a portare il cambiamento nel ciclismo che ancora cambia

Il mestiere del corridore

Il lavoro del corridore è cambiato radicalmente e attaccarsi agli schemi del passato per riportarlo indietro è una battaglia di retroguardia, animata da una logica comprensibile, ma improponibile.

«Quando ci sono dei cambiamenti generazionali – ha detto ieri Maurizio Mazzoleni – si fa sempre il confronto con la propria generazione. Però in realtà ogni generazione ha le sue prerogative».

Eliminare le radio e i misuratori di potenza in gara (fra i professionisti) sono le contromisure richieste con maggiore insistenza: non nego di averlo fatto anche io, soltanto perché per anni ci siamo trovati davanti all’appiattimento di atleti, nati nel vecchio mondo e incapaci di emanciparsi di fronte alle novità tecnologiche.

Che cosa mi ha fatto cambiare idea? L’osservazione del mondo che cambia. L’intervista a Prudhomme pubblicata ieri ha confermato che le cose stanno cambiando, quantomeno nel professionismo.

«La corsa la fanno i corridori – ha detto il capo del Tour ad Alberto Dolfin – per cui non è vero che dipende tutto dal percorso. Questa generazione di fenomeni, ad esempio, utilizza il percorso in maniera migliore rispetto alla precedente e questo diverte i più giovani».

La Jumbo Visma ha ribaltato il Tour del 2022 ricorrendo al meglio della tecnologia in base al percorso
La Jumbo Visma ha ribaltato il Tour del 2022 ricorrendo al meglio della tecnologia in base al percorso

La passione resta

Torniamo all’intervista con Mazzoleni. Il lavoro dei corridori è cambiato, ma continua a basarsi sulla stessa passione che animò Gimondi, Baldini e Adorni. La differenza è che oltre a dover andare in bicicletta, al corridore sono richieste concentrazione e competenza. Per contro, essendo nato e cresciuto nel contesto moderno, userà le tecnologie per dare il meglio e non per sentirsene limitato. Vi sembra che Evenepoel, Pogacar, Van der Poel, Ayuso, Van Aert e Vingegaard abbiano un modo di correre limitato dagli strumenti di cui dispongono?

Se questo succede ancora in casa nostra, forse è perché chi guida i ragazzi – soprattutto allievi e juniores – viene da quel passato e non è riuscito a cambiare atteggiamento.

«Si è tutto modernizzato – ha detto qualche tempo da Giovanni Visconti – ma il vero cambiamento si avrà quando lo stesso ricambio ci sarà fra i tecnici delle categorie giovanili, dove ci sono ancora anziani che vanno ringraziati per il loro impegno, ma che non riescono a stare al passo con i tempi».

Alcuni hanno capito la necessità di aggiornarsi e hanno aperto la porta a contributi più qualificati, come si raccontava parlando di Adriano Malori e della sua collaborazione con Primo Borghi, suo mentore di un tempo, ma il problema resta, come confermava Diego Bragato durante il ritiro della nazionale a Noto.

«I direttori sportivi che escono dalla Scuola Tecnici – ha detto – sono ex atleti con una laurea in Scienze Motorie. Quando escono dai corsi sono preparatissimi, poi arrivano nelle società e trovano vecchi dirigenti che non escono dai vecchi schemi».

Chiare le parole di Visconti: si cambia davvero quando si cambieranno i tecnici delle categorie giovanili (foto Trinacria Ciclismo)
Chiaro Visconti: si cambia davvero quando si cambieranno i tecnici delle giovanili (foto Trinacria Ciclismo)

Curiosità e studio

Saper fare le scelte per un mondo che cambia, ad esempio, significa essere capaci di guardare con curiosità e senza paraocchi all’arrivo di corridori dal mondo dalla Zwift Academy. Bisognerebbe essere grati a ogni sistema che permetta di valorizzare il talento: tanto poi l’ultima parola spetterà sempre alla strada!

Se si chiude la porta e ci si trincera dietro commenti scettici e sarcastici, come si fece a suo tempo con l’alimentazione del Team Sky, si evidenziano semplicemente la propria insicurezza e l’ammissione implicita di non essere all’altezza del nuovo corso. Per due atleti che escono da un’accademia virtuale, quanti ne abbiamo fatti smettere nel nome delle vecchie regole e dei passaggi poco seguiti?

Non facciamo come a Roma, in cui non è possibile costruire strade nuove per difendere le vestigia di coccio e pietra dell’Impero. Guardiamo avanti, facciamo stare bene chi c’è. Vigiliamo con severità che non venga tradito lo spirito del ciclismo. E ricordiamo chi c’era, senza per questo rinunciare a crescere.

La carezza e lo schiaffo: parlando di giovani con Visconti

16.11.2022
9 min
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Prendi le ultime giornate belle e “calde” di questo autunno. Mettici un bosco, le colline toscane. Aggiungici un campione che la sa lunga e ha appena smesso di correre e il risultato è: una passeggiata nel bosco con Giovanni Visconti. Una passeggiata in cui si parla dei giovani. Del ciclismo che sarà. Anche se si parte da quello che è stato.

Giovanni ci viene a prendere al bar L’indicatore di San Baronto. Un caffè e sa già dove condurci. Magari si becca anche qualche fungo. Il panorama si apre sotto di noi, ma presto viene inghiottito dal bosco. Castagni, qualche grosso masso d’argilla, un viandante di tanto in tanto e una panchina, che doveva essere la nostra meta, ma che non si trova più!

L’autore dell’articolo con Visconti, a spasso nei boschi che sovrastano San Baronto, nel pistoiese
L’autore dell’articolo con Visconti, a spasso nei boschi che sovrastano San Baronto, nel pistoiese
Se chiudi gli occhi cosa ti resta di questa stagione? Qual è la tua immagine?

Non è facile. Io ho finito in malo modo. Avrei voluto farlo diversamente. Quindi ho passato i primi mesi con la testa fra le nuvole. Ho seguito “poco” il ciclismo. Non che fossi arrabbiato, ma insomma… Se proprio dovessi scegliere un momento, me ne viene in mente uno. Uno che racchiude tutti i momenti: l’abbraccio tra Valverde e Nibali. E’ la chiusura di un ciclismo che era anche il mio. E questo porta con sé altri argomenti. Si è chiuso un ciclismo okay, ma di là cosa c’è?

Cosa c’è?

C’è tanta confusione. Penso che noi italiani abbiamo tutte le carte in regola per avere un ciclismo forte. Ma le carte sono disordinate. Bisognerebbe fare un po’ di ordine e far rendere questo patrimonio. Non abbiamo dei brocchi: abbiamo giovani forti nei professionisti ed altri più giovani ancora che hanno numeri pazzeschi e sono stati testati anche dalla nazionale. E non li perdi dall’oggi al domani. Per questo mi viene in mente la passerella di Nibali e Valverde, perché bisogna passare ad un altro ciclismo. Quelle immagini sono una carezza e uno schiaffo. «Caro ciclismo noi siamo Nibali e Valverde e ce ne stiamo andando. Ora fai qualcosa». 

Per Visconti l’abbraccio tra Valverde e Nibali è il simbolo del definitivo passaggio di testimone al ciclismo dei giovani
Per Visconti l’abbraccio tra Valverde e Nibali è il simbolo del definitivo passaggio di testimone al ciclismo dei giovani
Questo ciclismo che verrà ha un’eta media più bassa. E’ sempre più il ciclismo dei giovani?

Sì, sì… lo è da qualche anno già. E quando parlo di quel momento, penso al ciclismo italiano perché in altre nazioni già si puntava sui giovani. Il fatto che la carriera si sia accorciata è anche un vecchio modo di dire. Okay si è accorciata, ma cosa cambia? Buon per loro, si godranno la vita prima, ma è anche vero che iniziano prima a fare certi sacrifici. Io da junior scappavo dal ritiro a mezzanotte per andare a mangiare la pizza o dalla ragazza. Cose che oggi si sognano, almeno gli juniores forti che sanno già che passeranno pro’.

Quindi alla fine i tempi si anticipano, non si accorciano le carriere?

Esatto. Se vuoi fare il ciclista c’è da anticipare i tempi. Avranno guadagnato soldi prima, saranno maturi prima e si fermeranno prima. Le carriere finiscono prima? E dove sta il problema? Oggi sono seguiti in ogni cosa, al millesimo. L’atleta finirà un po’ più stressato di testa, ma perfettamente integro per il resto. Non so se è per il bianco e nero, ma nelle foto del passato i venticinquenni di una volta sembrano i quarantenni di oggi.

Che poi non è solo nel ciclismo. Anche nel calcio. Tu che sei del Milan lo sai bene: avete una squadra giovanissima…

Tutto va avanti. Anche le tecnologie e gli strumenti. I ragazzi di oggi crescono con queste conoscenze, non con quelle di una volta. Se a un sedicenne oggi dici che le carriere finiscono prima, quello ti guarda e ti chiede: «Ma di cosa stai parlando?». Sono discorsi nostri, che dovremmo smettere di fare. I ragazzi devono crescere con le leggi di ora.

De Pretto ha fatto uno stage con la BikeExchange. E’ uno dei talenti del ciclismo italiano. In gruppo si è mostrato subito pronto
De Pretto ha fatto uno stage con la BikeExchange. E’ uno dei talenti del ciclismo italiano. In gruppo si è mostrato subito pronto
La tua ultima squadra, Giovanni, la Bardiani Csf Faizané, ha avviato un progetto sui giovani. Li hai anche visti in gruppo: hai notato queste differenze che hai detto?

Assolutamente sì, tanto che mi risultava difficile il mio ruolo da chioccia. Perché per fare la chioccia non basti tu, ma serve anche gente che è propensa ad ascoltarti e crede in te. Che parli la tua lingua. Io un po’ riuscivo a parlarci, ma avevo addosso l’indole del vecchio ciclismo. Dovevo insegnarli qualcosa, ma per esempio non potevo dirgli che non dovevano allungare troppo in allenamento. Primo, perché ormai i 18-20enni devono andare forte. Secondo, perché sanno già come allenarsi.

Non era facile neanche per te…

Alla fine mi ero buttato sul fare gruppo, che invece deve restare. Oggi ci si messaggia. Le squadre fanno le tattiche via mail. E già da anni. Quasi non c’è più bisogno di fare la riunione prima di partire. E l’armonia, quel filo che li lega, sono necessari. I team building avventurosi servono. Invece a dicembre ci si ritrova al primo ritiro e tutti vanno come moto, perché tanto è così. Se una volta facevi il medio, ora fai soglia. Se facevi soglia, fai fuori soglia. Poi è il nuovo ciclismo e va bene, anche perché a gennaio corrono, ma medierei un po’.

Facciamo invece un po’ di nomi. Chi è tra questi che ti ha colpito. Prima “a taccuino chiuso”, tra gli altri è emerso Alessandro Covi…

Covi quando ha avuto le sue giornate di gloria ha fatto dei numeri pazzeschi. Magari ci si attendeva un po’ più di costanza. Ha iniziato forte la stagione. Idem da Andrea Bagioli. Alterna momenti in cui può lottare con chiunque, e quando dico chiunque intendo tutti per davvero, a momenti in cui dovrebbe esserci e non c’è. Penso ai due mondiali: Imola e quest’anno.

L’impresa di Covi sulla Marmolada all’ultimo Giro d’Italia
L’impresa di Covi sulla Marmolada all’ultimo Giro d’Italia
Forse non sono costanti proprio perché sono giovani…

Sì, ma anche gli altri sono giovani! I giovani di oggi sono diversi. Che poi, giovani… Questa parola, come pure neopro’, andrebbe eliminata. Il neopro’ lo fa lo junior forte. Andate a vedere Evenepoel cosa faceva da junior. Tutti vogliono fare come lui, solo che non hanno lo stesso motore. Oggi le squadre testano molti ragazzi, poi magari quelli più bravi lì tengono lì, ma gli fanno fare la vita da professionisti. I primi 10 di ogni Nazione sono pro’ e sono quelli che passano. Anche in Italia. Vanno nelle development o addirittura in prima squadra.

In gruppo come sono? Timidi, spavaldi…

Qualcuno scherza, per esempio Pinarello. Passano dopo due anni vissuti “da pro’” e sono più sicuri, più pronti. Sanno quel che devono fare. Anche nell’atteggiamento. Quando toccò a me, solo a dire che ero un pro’ mi emozionavo. E quando vedevo qualcuno che si avvicinava per la foto, mi preparavo. Ora per loro è scontato. Si aspettano che tu gli chieda la foto. Hanno immediatamente un atteggiamento da pro’ affermato. E neanche gli puoi chiedere di essere umili. Per noi era un sogno, qui il loro sogno è scontato, è un percorso.

Torniamo ai nomi, uno dei giovani che hai vissuto di più è Filippo Zana

Pippo ha dei margini enormi. Ha già fatto vedere qualche numerino, senza strafare. Per me è cresciuto nel modo giusto e ha avuto la fortuna di trovare una squadra come la Bardiani che ti fa crescere così. Guardiamo Colbrelli. Se fosse stato nel ciclismo di oggi avrebbe vinto la Roubaix? Non avrebbe avuto tempo di dimostrare di essere un ottimo corridore. Idem Zana. Filippo ha fatto tre anni in Bardiani.

Già tre anni. Il primo ricordo di lui risale al Giro d’Italia del 2020: era stanchissimo, ma lo ha finito…

Il primo anno non si è quasi mai visto, poi sempre meglio. Ma per me è ancora lontano il suo salto. E queste fondamenta che ha creato alla Bardiani se le ritroverà alla BikeExchange. Anche perché per certi aspetti in gruppo avrà vita più facile. E’ la legge non scritta che le professional non possono stare davanti. In Bardiani ci stavo solo perché si accorgevano che ero io. E queste situazioni ti rendono la vita più difficile. Penso anche a Fiorelli in tal senso. Sapete quante energie in meno spenderebbe per arrivare a fare la volata? Fagli prendere una salita davanti a Zana…

Andrea Piccolo, magari lo conosci poco, ma lo hai visto all’italiano…

La miseria che corridore! Ci messaggiamo spesso. C’è una stima reciproca. Gli mandai un complimento e mi disse che era stato un onore ricevere un mio messaggio. Lui è un fuoriclasse e te ne accorgi anche dall’atteggiamento. In gruppo è un po’ mattarello, non presuntuoso, ma ha un suo mondo. E’ diverso da altri giovani. Per esempio Bagioli è più chiuso, lui invece è più spavaldo, ma al tempo stesso tranquillo. 

E tu hai qualche nome che vorresti dire?

Non è più giovanissimo, ma dico Lorenzo Rota: ci ho anche corso insieme. Questo ha classe, ragazzi. Quest’anno ha fatto un bel salto di qualità. Deve vincere una corsa più seria che gli darà sicurezza e farà ancora meglio. Poi mi piace come persona. Si tratta di un atleta serio, dedito al lavoro… Senza contare che ha passato momenti davvero difficili. Lorenzo stava per smettere. E non una volta. E ciò dimostra come ci sia bisogno di ricambio. Non può essere che uno come lui abbia dovuto bussare a più porte per continuare. Cambia la generazione del ciclista? Allora deve cambiare la generazione di chi gli sta intorno.

E’ cambiata oggi la figura del corridore da corse a tappe?

Già da un po’, direi. Lo scalatore puro per me non esiste più. Sto seguendo i giovani e mi rendo conto che tipo di atleta serve. Quando vedi un corridore da 55 chili, ti chiedi cosa può fare. Se vai al Tour, stacchi tutti in salita, arrivi da solo e vinci la tappa okay, ma se non arrivi da solo? Ti è servito? No… In volata perdi. In pianura non puoi neanche aiutare. A crono le prendi. Il corridore modello attuale è il corridore completo. Guardiamo Vingegaard, tra i top rider è l’unico che ha il fisico da scalatore puro, ma poi a crono va forte. Pogacar non è così. Evenepoel non è così.

Sono più muscolati…

Esatto, soprattutto Pogacar ne ha di margini sul piano muscolare… E per me può ancora perdere qualche chilo. Lui ha ancora spazio per migliorare, ne sono sicuro.

La famosa panchina non si trova… e ci si siede su una roccia
La famosa panchina non si trova… e ci si siede su una roccia
Altri nomi importanti sono Baroncini e Verre: perle dell’ultima infornata under 23.

Entrambi non li conosco molto. Però a Verre ho visto fare dei bei numeri in salita. Per lui può esserci quel problema di doversi completare come corridore. Non puoi essere solo uno scalatore in questo ciclismo. Perché o trovi una squadra che ti porta in un grande Giro e cerchi di vincere una tappa (tanto la classifica non la fai), oppure sono problemi. Anche Baroncini è un grande atleta. Anche perché altrimenti non vinci un mondiale U23, tanto più come ha fatto lui. 

E Battistella?

Ecco, con lui  parliamo di un corridore importante. Che ha una certa pedalata e una certa classe. E’ uno di quei corridori che a vederli è bello. E’ completo. Però lo deve dimostrare: l’estetica non basta, ma la base c’è tutta.

La ricetta di Visconti: «La tecnologia protegge dagli eccessi»

05.09.2022
7 min
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Si era nel pieno del Lunigiana, concluso ieri con la vittoria del portoghese Morgado, quando con Giovanni Visconti abbiamo iniziato a ragionare sul ciclismo degli juniores e anche quello degli allievi.

Il tema è sul tappeto. I nostri si allenano forte, ma pagano qualcosa agli stranieri. Il siciliano di San Baronto era reduce da una serata di festa, in cui i dirigenti del Velo Club Empoli lo avevano presentato alle famiglie dei ragazzi nella sua nuova veste. Un incarico inatteso, che Giovanni ha preso con passione. Non come direttore sportivo, per cui deve ancora completare la formazione, più come preparatore, motivatore e maestro di vita. Una sorta di “picconatore 2.0”, con l’idea di mantenere il ciclismo vicino alle sue origini, avvicinandolo alla modernità e allontanandolo dalle ricette superate in cui sono spesso intrappolate squadre e atleti.

Nella serata del 2 settembre, nel corso di una serata a Empoli, Visconti è stato presentato ufficialmente
Nella serata del 2 settembre, nel corso di una serata a Empoli, Visconti è stato presentato ufficialmente
Come è cominciato?

Mi hanno cercato un mese dopo che avevo smesso e inizialmente l’avevo presa così, alla leggera. Mi dissero di volermi proporre qualcosa, così andai nella loro sede vicino Empoli, ad Avane. Avevo qualche dubbio, ma entrando in quel posto, con le coppe e le bici appese, sono rimasto sorpreso positivamente. Mazzoni, il presidente, tratta bene i ragazzini e non gli fa mancare nulla (i due sono insieme nella foto di apertura, ndr). Mi ha ricordato i miei tempi. E soprattutto mi è piaciuto che nonostante fossero così legati alla tradizione, volessero investire per dare una svolta. Non è da tutti, non tutte le squadre pensano di farlo. Mi hanno sorpreso.

Perché sorpreso?

Il problema da noi è che si va avanti con il vecchio stile e si prende quel che viene. Così abbiamo parlato. Ci siamo scambiati messaggi. Ci siamo rivisti. E mi hanno chiesto di seguirli, di dare qualche consiglio agli allievi e a qualche junior. Hanno visto un miglioramento netto. Non perché gli abbia dato delle tabelle, semplicemente perché ho cercato di gestirli emotivamente. Ho creato un gruppo whatsapp con i ragazzi, scriviamo continuamente, cerco di parlare la loro lingua. Hanno visto il salto di qualità soprattutto a livello di sicurezza e poi sono arrivati anche i risultati. Hanno vinto il campionato toscano allievi con Migheli, ma non perché sia arrivato io. C’è stato un cambio negli stimoli e così mi hanno chiesto di prendere ufficialmente questa via. Di seguire gli allievi come avevo fatto fino a quel momento e per il prossimo anno anche gli juniores. Ufficializzare la mia immagine di preparatore atletico e jolly nella società. E nella cena di venerdì mi hanno presentato.

Dopo il ritiro dalle gare, Visconti è diventato testimonial per le aziende del Gruppo Zecchetto
Dopo il ritiro dalle gare, Visconti è diventato testimonial per le aziende del Gruppo Zecchetto
Come è andata?

Eravamo d’accordo di fare una serata come quella. Una cena in cui hanno premiato i ragazzini che hanno vinto qualche maglia e hanno sfruttato l’occasione per presentare il progetto Visconti alle famiglie. Hanno allievi, juniores e anche gli esordienti, con cui però non lavorerò direttamente. Non mi sento assolutamente di fare delle tabelle già agli esordienti, in cui il ciclismo deve essere ancora un gioco.

In cosa consiste il progetto Visconti?

Un metodo in linea con l’era moderna. Il ciclismo va avanti come tutto nella vita e chi sta dietro alla tecnologia e alla scienza sicuramente è avvantaggiato rispetto a chi non lo fa. Però vorrei creare un ponte tra il passato e il futuro. Nel ciclismo di ora si è velocizzato tutto e non ti aspetta più nessuno. Devi fare le cose bene sin da subito, però tanta scienza va unita alla voglia di fare sacrifici, all’umiltà, allo stare insieme. Provo a ricordarmi i miei tempi da junior e allievo, il modo in cui ci divertivamo. Ecco, io vorrei unire queste due cose e riuscire a portare nel gruppo la mentalità giusta, non avere ragazzi che si parlano solo attraverso whatsapp o TikTok. Non è facilissimo da spiegare, però non voglio che i ragazzi siano delle macchinette.

Fabio Del Medico ha vinto 4 titoli regionali in pista a San Vincenzo: inseguimento, velocità, keirin e omnium
Fabio Del Medico ha vinto 4 titoli regionali in pista a San Vincenzo: inseguimento, velocità, keirin e omnium
A cosa serve la scienza?

Per misurare la fatica. Sto cominciando a guardare come lavorano e non so se sia solamente un problema della Toscana. A dire di voler preservare i ragazzi sono spesso direttori sportivi e accompagnatori di una volta, che rifiutano il cardio o il misuratore di potenza. Poi però li portano su strada sempre a tutta. Fanno 120 chilometri a gennaio, vanno sul Monte Serra, girano in doppia fila, fanno distanze assurde. Credono di preservarli, invece li fanno lavorare senza sapere chi hanno tra le mani. Non solo il metodo è sbagliato, ma sono sempre fuori giri.

Questo cosa comporta?

Sapete quanti ne ho trovati spossati, stanchi e svogliati? Lavorano tantissimo, non ottengono niente, logorano solamente il loro corpo e la testa. Trovi già quello che ha paura di non correre il prossimo anno, di non trovare la squadra. Hanno lavorato tantissimo, ma nel modo sbagliato. Nel mio provare ad aiutarli, gli ho proposto di allenarsi meno e con più di qualità. Magari con più intensità nel breve tempo, quello che serve ai giovani. Alla fine gli allievi fanno un’ora e 40 di gara, a cosa serve che si allenino per 4-5 ore? Idem gli juniores, a cosa gli serve fare 6 ore?

Ti alleni con loro?

Abito vicino, quindi ho la possibilità di andare a vedere qualche gara o qualche allenamento. Siamo usciti insieme in bici per vedere come si fanno i lavori.

Il mondo dei preparatori è piuttosto affollato, a cosa ti ispiri?

Alla mia esperienza. Ho vissuto diverse generazioni di ciclismo. Quello che ho lasciato magari a me personalmente non piaceva, perché ero a fine carriera e avevo tanti anni alle spalle, però il giovane di oggi deve crescere con il giusto metodo di lavoro. C’è la freddezza delle preparazioni da unire alla voglia di fare le cose con più familiarità, più dialogo. Lo scopo non è che facciano ora i lavori dei professionisti, in modo che migliorino subito. Si deve crescere per gradini perché altrimenti, lavorando senza pazienza, trovi ragazzi che fanno un mese di picco di condizione, ottengono grandi risultati e poi spariscono. Invece devono crescere un gradino alla volta. E questi gradini abbiamo la possibilità di misurarli, abbiamo il metodo per misurare la fatica e non strafare. La tecnologia li protegge.

Un bel cambio di rotta per Visconti…

E’ vero. Ho detto più di una volta che fino ai dilettanti si dovesse andare avanti con le sensazioni: ora non lo direi più. Il mondo è cambiato. Scienza e tecnologia servono, ma non sarebbe male insegnargli a mediare le due cose. Glielo ripeto in continuazione: non dovete diventare degli oggetti, dovete imparare a gestirvi e capirvi. Se pensi che un allenamento sia sbagliato, giri e vai a casa. Non siamo macchinette. Uno dei problemi grossi del ciclismo di oggi è quello che i giovani sono sfruttati tanto e male e non ottengono nulla.

E a 18 anni diventano professionisti.

Per questo almeno il metodo glielo devi insegnare, senza però farli lavorare da giovani con l’intensità dei professionisti. La vera svolta ci sarà quando si capirà la necessità di un ricambio in chi gestisce i ragazzi. Bisogna ringiovanire anche lì, la vita va avanti. Sono brave persone, ci mancherebbe, volenterosi. Però cosa gli insegna un settantenne a un allievo o a uno junior? Che deve mangiare poco, che deve andare a letto alle 9 e che deve fare tanti chilometri? Che se ieri non s’è allenato, oggi fa il doppio? Si va avanti così, senza sapere niente di che valori hanno. Le cose sono come dicono loro e basta. Bocciano quello che non capiscono. Nel mio piccolo, vorrei superare questo scoglio. Salire un altro gradino.

Visconti: «Serbatoio vuoto, con due parole Tom ha detto tutto»

19.08.2022
7 min
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Quando scriviamo a Giovanni Visconti per chiedergli di commentare l’addio di Tom Dumoulin il siciliano ci risponde così: «Leggendo il suo comunicato ho capito ogni singola lettera di ciò che voleva dire». “Visco” ci è passato pochi mesi fa e pochi, se non nessuno, meglio di lui possono capire cosa è passato nella testa e nell’animo del campione olandese.

Un addio, in segreto e provvisorio, a luglio poi la ripresa e lo stop definitivo a marzo: anche per l’ex Bardiani Csf Faizanè è stato un bel calvario.

Palmares da re per Tom: un Giro, un mondiale a crono (in foto), un podio al Tour e oltre 20 vittorie
Palmares da re per Tom: un Giro, un mondiale a crono (in foto), un podio al Tour e oltre 20 vittorie

Le parole di Tom

Prima di andare avanti però, ci sembra doveroso riportare le parole della maglia rosa 2017 (in apertura la stessa foto con cui Dumoulin ha annunciato il suo addio sui social) con le quali il corridore di Maastricht ha ufficializzato il ritiro.

“Ho deciso di lasciare il ciclismo professionistico con effetto immediato. Circa due mesi fa ho annunciato che mi sarei ritirato dal ciclismo professionistico alla fine dell’anno. La scorsa primavera, malgrado il mio amore per la bici, ho notato che le cose non stavano andando come volevo. Ho sentito che ero pronto ad una nuova fase della mia vita. Ma avevo ancora un progetto nella mia lista dei desideri, che era quello di chiudere la mia carriera con un botto, ai Mondiali in Australia. Volevo affrontare la strada verso i Mondiali come fatto lo scorso anno con i Giochi di Tokyo. Con un senso di libertà, a modo mio, con il supporto del team e con la mia motivazione intrinseca come principale carburante. All’epoca è questo che mi aveva ridato la gioia di pedalare”.

Ma ho notato che non ce la faccio più. Il serbatoio è vuoto, sento le gambe pesanti e le sessioni di allenamento non vanno come speravo per poter pensare di fare una buona performance e avere buoni sensazioni ai Mondiali. Dalla mia dura caduta in allenamento lo scorso settembre, qualcosa si è rotto di nuovo. Ho dovuto nuovamente interrompere i miei sforzi per tornare alla mia forma precedente e affrontare una nuova delusione. È stata la volta di troppo.

Anche se il mio addio non è andato come avrei voluto, guardo alla mia carriera con grande orgoglio. Ho lavorato duramente, e ho affrontato questi anni con passione e piacere, fornendo grandi prestazioni. Sono cose che non dimenticherò mai. Ora è tempo di godermi altre cose ed essere presente per le persone che amo. Un grandissimo grazie alla mia squadra e a tutti coloro che mi hanno supportato nel corso di questa mia fantastica carriera. E un grazie speciale a mia moglie, che mi ha sostenuto per tutti questi anni”.

Dumoulin (31 anni) ha corso il Giro ma si è ritirato nel corso della 14ª tappa. Doveva chiudere la carriera a Wollongong
Dumoulin (31 anni) ha corso il Giro ma si è ritirato nel corso della 14ª tappa. Doveva chiudere la carriera a Wollongong

Giovanni a te…

Anche Giovanni avrebbe dovuto lasciare a fine stagione, ma in primavera dopo l’ennesima difficoltà ha detto basta. E per questo non c’è stato bisogno di fargli neanche una domanda. Visconti è partito. L’argomento gli sta a cuore e, come detto, lo ha capito.

«Tom, come me, aveva un contratto fino a fine anno e poteva ancora guadagnare dei soldi e nel suo caso immagino anche dei “bei soldi”. Ma quando nella mente subentrano certi pensieri vuol dire ormai vai a scavare dei pezzi di vita. Tu sai che il tuo livello non lo raggiungerai più…».

«Le persone attorno ti dicono di ripensarci, di non mollare, che è un momento, ma non è così. Anche io come lui lo scorso anno ci ero passato. Era luglio per me (Dumoulin aveva preso un periodo di pausa ad inizio stagione, ndr): avevo detto basta. Le persone vicine mi dicevano: “Dai Giovanni che poi passa” e lì per lì la voglia ti torna anche. Pensi che tutto sommato sia la cosa giusta da fare, che smettere in quel momento sia sbagliato e riparti. Forse è anche paura di affrontare una nuova vita, non ci si sente pronti.

«Ma io ero arrivato. Dicevo a mia moglie che non avrei voluto pedalare per un solo centimetro in più, che a pensare di fare solo un chilometro di gara mi sentivo male. E quando è così vuol dire che stai scavando dentro te stesso. E’ un massacro. Rosicchi qualcosa che non c’è più e quello che stai facendo non è più ciclismo».

Le parole di Visconti sono forti, ma rendono benissimo l’idea e il travaglio dell’atleta e dell’uomo. Perché poi è inevitabile che le due cose si fondano.

Nell’ultimo anno Dumoulin su strada non è mai stato davvero competitivo. Miglior piazzamento il 4° posto a Potenza al Giro
Nell’ultimo anno Dumoulin su strada non è mai stato davvero competitivo. Miglior piazzamento il 4° posto a Potenza al Giro

«Serbatoio vuoto»

Il passaggio chiave secondo Visconti è quando il corridore della Jumbo-Visma parla di “serbatoio vuoto”. Giovanni ha parlato di livello top che l’atleta sa di non poter più raggiungere. E quando si ha questa consapevolezza perché continuare? Per i soldi, okay… ma non è così facile, almeno nel ciclismo.

«Io – spiega Giovanni – non sarei più arrivato al mio massimo, lo sapevo. Come sapevo che con il ciclismo attuale il mio top non era più sufficiente, in più non avevo la testa per raggiungere il mio livello. Figuriamoci dunque come ero messo… A quel punto quando ho rinunciato mi sono sentito libero».

«Anche Tom non aveva altra scelta. In bici ormai sembrava una mummia. La prima volta magari si era convinto di aver sbagliato ed è tornato, in più aveva attorno uno squadrone a supportarlo. Ma quando lui dice: “Non c’è più niente nel mio serbatoio” vuol dire che è finita.

«Puoi anche allenarti bene, fare chilometri su chilometri, lavori, altura… ma quel serbatoio tanto non si riempie più, perché è la testa che non lo fa riempire. E’ la testa che comanda… E anche lo stipendio non basta più come giustificazione per andare avanti».

Dopo aver ripreso a pedalare in primavera, la scorsa estate Dumoulin aveva vinto l’argento nella crono olimpica
Dopo aver ripreso a pedalare in primavera, la scorsa estate Dumoulin aveva vinto l’argento nella crono olimpica

Pedalare con la paura

«Ad un certo punto poi – va avanti Visconti – ti vengono dei dubbi. Inizi ad avere paura del gruppo, delle cadute, pensi alla famiglia. In cuor tuo hai già deciso di smettere. Anche fare una gara in più ti fa riflettere. E poi magari proprio in quella “corsa in più” succede qualcosa che non doveva succedere: non ha senso.

«E poi, ragazzi, adesso rispetto a quello di qualche anno fa, il ciclismo è un altro sport. Almeno a certi livelli. Continuare in questo contesto è ancora più difficile».

A questo punto però incalziamo Visconti facendogli notare che già lo scorso anno Dumoulin era tornato e aveva anche conquistato l’argento nella cronometro olimpica. Ma Visco ribatte senza indugio.

«Non mi stupisce – dice il siciliano – che lo abbia conquistato, perché comunque parliamo di un corridore fortissimo, con una classe immensa, ma lo ha conquistato in una crono. Una gara in cui è solo, solo con se stesso e senza il gruppo intorno. Ma su strada non c’è più stato un solo giorno in cui si è potuto dire: è tornato Dumoulin».

A testa alta

Alla fine dunque, e anche Visconti è d’accordo, il “primo stop” in questi casi è una tappa necessaria per arrivare all’addio definitivo. E’ quella che poi ti fa smettere senza rimpianti, ripensamenti o dubbi.

«La ripresa dopo il primo addio – spiega Visconti – è il dubbio che ti devi togliere. E quello che poi elimina ogni ripensamento, ogni incertezza successiva, anche se mancano “solo” due mesi al termine della stagione. Andare avanti in certe condizioni non ha senso. Io non ho mai avuto un ripensamento, nonostante le difficoltà della vita da persona normale.

«Tom è stato realista, lucido (e non è facile, ndr). Ha detto a se stesso: “Io non sono in grado di continuare”. E per me è stato un campione anche in questo. Non è facile ammetterlo, ma lui è uscito di scena nel modo giusto, soprattutto nei confronti di sé stesso. E per questo lo ammiro. Può andare in giro ancora di più a testa alta».

Fiorelli al Sibiu Tour riparte dalle dritte di Visconti

03.07.2022
4 min
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Il Sibiu Tour, la corsa che lo scorso anno vide il duello fra Aru e Aleotti (l’emiliano è in gara per difendere il successo del 2021), poi sarà tempo di staccare la spina e riflettere. Filippo Fiorelli in Romania c’è andato anche per provare a sbloccare la stagione, che finora l’ha visto tante volte fra i primi dieci e solo raramente, come una maledizione, a giocarsi la corsa. L’azione ai campionati italiani in compagnia di Baroncini ha acceso però una luce diversa e dato un senso alle parole di Giovanni Visconti, che proprio alla vigilia del tricolore gli aveva suggerito di sganciarsi dalla mentalità del velocista e osare di più.

«Giovanni me lo ha sempre detto – conferma Fiorelli dall’hotel di Sibiu, città della Transilvania – di cambiare modo di correre. Con i velocisti non riesco a spuntarla, quindi l’idea di anticiparli c’è. Come all’italiano. Sapevo che quelli davanti ormai non si prendevano e ho colto l’occasione per mettermi in luce. Lanciare magari un segnale al cittì della nazionale e vedere cosa sarebbe venuto fuori».

Ecco, appunto, i velocisti: tu non lo sei mai stato…

E neanche mi reputo tale. Solo che in squadra non lo abbiamo, i direttori sportivi sanno che sono veloce, che guido bene la bici e che mi butto, così finisco spesso a fare le volate. Da dilettante non ho mai fatto quelle di gruppo. I miei risultati li ho sempre fatti diversamente.

Andare in fuga, quelle che Visconti ha chiamato le «fughe stanche»…

Ci provo, non sto sempre ad aspettare. La fregatura è che, sapendo di essere veloce, la tentazione di restare in gruppo effettivamente c’è e non mi muovo. Ai campionati italiani ha attaccatoo Zana e ha preso la fuga giusta. Se fossero entrati altri corridori, sarei dovuto andare anche io.

Al Giro di Slovenia ha provato a entrare in qualche fuga: è la via giusta per tornare a vincere
Al Giro di Slovenia ha provato a entrare in qualche fuga: è la via giusta per tornare a vincere
Non vincere rende nervosi?

L’anno scorso ho vinto subito (il Trofeo Porec, il 7 marzo, ndr), ma nel frattempo sono un anno più grande e non ho più alzato le braccia, quando magari mi sarei aspettato di farlo. A discolpa, c’è che la prima parte di stagione è stata sfortunata, fra Covid e altri problemi di salute. Quando ho recuperato, ho fatto parecchi piazzamenti, come quello di Bagheria al Giro di Sicilia. Sarebbe stata la giornata perfetta, è venuto un terzo posto.

Al Sibiu Tour ci saranno occasioni?

Ieri c’è stato il prologo di 2,3 chilometri. Oggi una tappa con salita in partenza: se si riesce a non perdere troppo, potrebbe arrivare una volata ristretta. Domani arrivo in salita. Martedì due semitappe. Cronoscalata al mattino e tappa corta il pomeriggio che potrebbe finire in volata. Quindi se va bene, ci sono oggi e martedì.

Fiorelli ha 27 anni ed è professionista dal 2020
Fiorelli ha 27 anni ed è professionista dal 2020
E poi?

E poi stacco, ho già 56 giorni di corsa che non sono pochi. Un po’ perché è tempo di recuperare per impostare il resto della stagione e un po’ perché non ci sono altre corse e la squadra si ferma.

Che cosa significherà preparare il resto della stagione?

Andrò in Sicilia per qualche giorno di vacanza, poi in altura per riprendere la preparazione, non so ancora dove. Nella seconda parte ci sono corse in cui ho sempre fatto bene, su tutte il Tour du Limousin.

Verso l’Etna, assieme a Conci. Come il trentino, Fiorelli è allenato da Alberati (foto Instagram)
Verso l’Etna, assieme a Conci. Come il trentino, Fiorelli è allenato da Alberati (foto Instagram)
Hai parlato di Bennati…

Ci sono corse come gli europei che si addicono a corridori veloci come me (la gara dei pro’ si svolgerà a Monaco il 21 agosto su percorso pianeggiante, ndr). Dalle sue dichiarazioni, posso pensare che abbia notato la mia azione ai campionati italiani e ammetto che l’idea di vestire per una volta la maglia azzurra mi stuzzica parecchio. Daniele sa che mi farei trovare pronto, ma certo sta a me far vedere di essere all’altezza. Per questo ascolterò Visconti e le vacanze dureranno il tempo giusto. C’è tanto lavoro da fare.

Visconti a Fiorelli: una volata… stanca per sbloccarsi

25.06.2022
4 min
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All’alba di domenica, Visconti prenderà un aereo per la Puglia e ai campionati italiani farà un test ai microfoni della RAI accanto ad Andrea De Luca. Senza girarci troppo attorno, per il siciliano di San Baronto non si tratta di una corsa come le altre. Quella maglia gli ha dato una dimensione e ciascuna delle tre volte in cui l’ha conquistata ha segnato l’inizio di un nuovo capitolo.

Fiorelli e Visconti hanno affrontato insieme la preparazione invernale in Sicilia, legando molto
Fiorelli e Visconti hanno affrontato insieme la preparazione invernale in Sicilia, legando molto

Al lavoro per Fiorelli

Il racconto di come si sia conclusa la sua carriera è ormai noto, ma prima ancora di sapere del suo impegno con la tivù di Stato, ci era venuta voglia di sentirlo. Volevamo che desse qualche consiglio al… fratellino Fiorelli, accanto al quale aveva immaginato di vivere un diverso 2022 e che nella corsa pugliese potrebbe trovare il giorno perfetto. Ne è nato un viaggio interessante nel correre dell’altro palermitano, che nel frattempo è diventato un suo ottimo amico.

«Fiore va forte – comincia Visconti – ma in gara gliene succede sempre una, oppure perde l’attimo. E’ stato 2-3 giorni a casa mia e l’ho martellato. “Devi rischiare – gli ho detto – non puoi aspettare la fine per giocarti la corsa con i più forti. Non ce l’hai ancora quella forza. Devi fare quello che a te sembra sbagliato”. Lui può vincere le volate, ma le volate… stanche come facevo io. Quelle di gruppi ridotti all’osso».

Al Norvegia ha provato qualche fuga: secondo Visconti è questo il giusto atteggiamento
Al Norvegia ha provato qualche fuga: secondo Visconti è questo il giusto atteggiamento
Ti sembra che sappia fare solo corsa di testa?

Prendiamo il Norvegia. Gli ho chiesto perché nell’ultima tappa sia partito lungo, poi si sia rimesso in gruppo ai 300 metri e alla fine abbia finito quinto. “Hai la certezza di poter battere Kristoff nel testa a testa?”. Deve capire che per sbloccarsi deve rischiare e che non è facile vincere facendo tutte le cose alla perfezione.

Il campionato italiano potrebbe essere l’occasione?

Ci stiamo arrivando senza sapere chi ci sarà. Alcuni dei più adatti hanno già detto che non andranno. Gente come Vendrame, oppure Bettiol e Oldani. Potrebbe essere davvero il suo percorso, perché non dovrebbe esserlo in una gara secca in cui ti giochi tutto? Ma deve stare attento a quello che succede da lontano, non ragionare da velocista che aspetta la volata.

Ad Alberobello con anticipo per provare un circuito che gli si addice molto (foto Instagram)
Ad Alberobello con anticipo per provare un circuito che gli si addice molto (foto Instagram)
Lo stesso concetto espresso da Viviani…

E infatti mi ricorda preciso il campionato italiano che vinse Elia a Darfo Boario Terme. Uno strappo solo, un caldo bestiale, fuga da lontano e corsa finita. Non ci sono squadre compatte. Le piccole mandano gli uomini in fuga, sono poche quelle che corrono attorno a un leader. A me successe, ma stavo bene e credettero nelle mie possibilità. Se va via il gruppetto ed entrano quelli buoni, deve esserci anche lui.

Perché aspettare i finali, per paura, pigrizia, poca fiducia?

Certo non pigrizia. Filippo ha grinta e cattiveria di arrivare. Mi ricorda il Visconti piccolino che aveva tanta rabbia. Sembra che abbia paura di buttare energie e questo lo limita. Corre in modo anonimo e alla fine la gente si chiede dove sia finito. Deve levarsi di dosso quella paura, non ha niente da perdere. Per una volta provi a correre così. Perché se poi si trova davanti, è tanto cattivo. A volte gli chiedo come faccia a limare così tanto.

In volata contro Conci allo Slovenia, lottando per il 6° posto nell’ultima tappa
In volata contro Conci allo Slovenia, lottando per il 6° posto nell’ultima tappa
Come fa?

E’ una necessità. Arrivare a giocarsi la volata con le WorldTour che fanno un altro sport non è facile. Devi essere furbo e bravo a infilarti negli spazi che ti lasciano. Lui in quei momenti dice di vedere tutto al rallentatore. E’ nel suo habitat, vede i pericoli e li schiva (le stesse parole le usò Angelo Furlan in un’intervista sull’essere velocisti, ndr).

Ti dispiace non essere lì a guidarlo?

E’ il mio rammarico di fine carriera. Almeno una volta avrei voluto sbloccarlo, ma non sono stato in grado. Però ci vediamo spesso. Parliamo. Siamo rimasti molto legati. Gli dico le cose in faccia. Deve rischiare. C’è ancora un gradino da salire per diventare grandi.

«Vincenzo, io ti capisco». Parla (dal cuore) l’amico Visconti

12.05.2022
5 min
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Sarà bello fra qualche tempo incontrarli sulla cima di Lamporecchio, nella Toscana che li ha uniti dopo che la Sicilia gli ha dato la vita, davanti a una birra e con le bici poggiate al muro. Giovanni e Vincenzo, Visconti e Nibali. Due nomi che hanno pedalato accanto per una vita e che hanno scelto di ritirarsi nella stessa stagione.

«Quando ho annunciato che stavo smettendo – dice Visconti – Vincenzo mi ha chiamato e aveva qualcosa di strano nella voce. Credo che anche lui stesse vivendo un momento difficile…».

Al Giro del 2013, Giovanni vince sul Galibier, Vincenzo consolida la rosa
Al Giro del 2013, Giovanni vince sul Galibier, Vincenzo consolida la rosa

Giovanni è appena rientrato a casa da tre giorni al Giro d’Italia, portando in giro per la Sicilia il marchio MCipollini di cui è testimonial e raccogliendo a ogni tappa splendide dimostrazioni di affetto. E ieri che il suo rivale di sempre, poi diventato amico e comunque accomunato da una storia simile, ha annunciato che a fine anno smetterà di correre, quello che li ha sempre uniti è diventato anche più forte.

Te lo aspettavi?

Non avevo collegato il fatto che la tappa arrivasse a Messina e che potesse essere un bel momento. Ma sì, avevo capito che si stesse avvicinando anche il suo tempo.

Hai parlato di un momento difficile.

A Vincenzo ho sempre invidiato la capacità di fregarsene di tutto, di farsele scivolare addosso. Però provo a mettermi nei suoi panni. Negli ultimi tempi potrebbe aver pensato: “Io sono Vincenzo Nibali, ho vinto quello che ho vinto, perché devo subire tutte queste critiche?”. E’ sempre andato forte, ma ultimamente i risultati arrivavano meno. La gente ti dice di tenere duro, ma non sa da quanto tempo uno è lì che ci pensa e ripensa. Il mio travaglio interiore è durato due anni, chissà lui da quanto ci riflette.

Insieme in azzurro a Geeolong 2010, nel primo anno del cittì Bettini
Insieme in azzurro a Geeolong 2010, nel primo anno del cittì Bettini
Perché tante critiche?

Lo trovo incredibile. Cosa vogliono chiedergli ancora? Ha 37 anni, non pensano sia normale che ci siano atleti giovani che vanno più forte? E’ assurdo come attorno a lui si sia concentrato lo stesso gruppo di persone che prima ha sminuito le sue vittorie, attribuendole alle cadute degli avversari. E adesso che non vince perché il tempo è passato, lo attaccano ancora. Giuro che lo capisco Vincenzo.

La sensazione è che nel dirlo si sia tolto un peso.

Un peso enorme, anche se forse sarà difficile convivere con questa cosa sino alla fine dell’anno. Spero che adesso cominceranno a volergli nuovamente bene ed elogiarlo, perché pur avendo deciso di smettere, sarà sempre lì a onorare le corse. E poi diciamoci una cosa…

Che cosa?

Uno come lui non può smettere da oggi a domani, come magari ho fatto io. Se ti chiami Nibali, se sei Vincenzo Nibali hai la squadra che poggia su di te e dei contratti con gli sponsor. La gente la fa facile, ma non si tratta di scendere di sella e chiuderla lì.

Insieme in azzurro anche al Memorial Pantani del 2015, sulla via dei mondiali di Richmond
Insieme in azzurro anche al Memorial Pantani del 2015, sulla via dei mondiali di Richmond
Credi che essersi tolto quel peso gli permetterà di correre questo Giro divertendosi di più?

Forse sarà più tranquillo e, come ha detto anche lui, riuscirà a divertirsi. Spero solo che esca ancora un po’ dalla classifica, perché le gambe per arrivare nei dieci le ha di certo. Solo che penso sarebbe più bello nell’ultimo Giro della carriera riuscire a tagliare un traguardo con le braccia al cielo piuttosto che lottare per arrivare quinto.

Ha parlato di voglia di stare più in famiglia.

Poi sarà finalmente più libero e potrà divertirsi ad andare in bici. Ma come sintesi, credo che la cosa da dire sia una e una sola.

Quale?

Io sono fiero di aver diviso tutta la mia carriera con lui. Contro e assieme. E in futuro sarà anche bello ricordarlo, perché Vincenzo Nibali è la storia del ciclismo e io a modo mio l’ho vissuta con lui. Abbiamo cominciato la carriera insieme. E poi, come ho già detto altre volte, lui si è avviato verso un altro pianeta (in apertura, i due sono assieme nel Tour del 2014 vinto dal messinese, ndr). Ci siamo stuzzicati e motivati a vicenda e negli ultimi tempi mi è capitato anche di difenderlo da tutte quelle critiche ingiuste. Perché quando è troppo, è troppo. Ora spero che possa godersi quel che resta del suo viaggio nel ciclismo.

Hanno corso insieme al Team Bahrain-Merida nel 2017 e nel 2018. Qui al Giro del primo anno
Hanno corso insieme al Team Bahrain-Merida nel 2017 e nel 2018. Qui al Giro del primo anno
Sai qual è l’altra cosa da dire?

No, qual è?

Che alla fine voi avrete mollato, invece Pozzovivo sarà ancora lì a lottare almeno per un altro anno. Della squadra di Verona (dei mondiali U23 del 2004), Domenico si rivelerà il più longevo.

Scoppia a ridere. E’ stato un onore raccontare le loro carriere, anche noi ne siamo fieri. E magari quel giorno, se lo vorranno, ci siederemo accanto ordinando un’altra birra. Rinfrescando i ricordi o parlando volentieri anche d’altro.