Tour of the Alps, a Renon il secondo timbro di Tao

18.04.2023
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RENON – «Grazie per il complimento, ma sono magro come gli altri anni. Forse sembriamo più in forma del solito quando vinciamo». Tao Geoghegan Hart ha appena vinto anche la seconda tappa del Tour of the Alps e ci risponde col sorriso in conferenza stampa quando, fra le tante considerazioni, gli facciamo notare che appare più tirato che in passato.

La condizione psicofisica del 28enne della Ineos Grenadiers parla chiaro fin da inizio stagione. Finora ha disputato solo gare a tappe ottenendo risultati e prestazioni importanti. Terzo nella generale alla Valenciana con una vittoria, sesto alla Ruta del Sol ed ancora terzo alla Tirreno-Adriatico con due podi parziali. Ora due successi su due al Tour of the Alps, diventata ormai la sua corsa in cui ha percentuali da cecchino. Sette frazioni disputate (su due partecipazioni) e quattro vittorie. Anche per questo Tao è decisamente sereno e di buon umore davanti a penne e taccuini nel post-gara.

Tao vince anche a Renon dopo il successo ad Alpbach nella prima tappa
Tao vince anche a Renon dopo il successo ad Alpbach nella prima tappa

Ieri e oggi

L’arrivo a Renon sulla pista esterna di pattinaggio della Ritten Arena, al termine di una salita spezzata in tre tronconi, è un affare a nove uomini. Tao bissa il sigillo di ieri rafforzando la maglia verde di leader grazie al solito “lavorone” della sua Ineos, anche se dopo la linea sembra contrariato per qualcosa.

«Le difficoltà tra ieri e oggi – spiega subito il vincitore del Giro d’Italia del 2020 – sono state simili. I miei compagni mi hanno aiutato a controllare la corsa, senza far prendere troppo spazio alla fuga. Sono orgoglioso di loro. D’altronde come non potrei esserlo, basta guardare chi sono i nomi. Al mio servizio, per esempio, c’è uno che ha vinto il Tour de France (riferendosi a Geraint Thomas, ndr), poi altri ragazzi che hanno vinto tanto in carriera, compreso De Plus che per me è il miglior gregario in salita. Siamo la squadra più forte ».

Dopo l’arrivo Geoghegan Hart e Haig (secondo al traguardo) si chiariscono sul finale di tappa
Dopo l’arrivo Geoghegan Hart e Haig (secondo al traguardo) si chiariscono sul finale di tappa

«Appena tagliato il traguardo – confessa Geoghegan Hart – non ero arrabbiato né con Haig (secondo al traguardo, ndr) né con nessun altro. Diciamo che gli ultimi 300 metri non mi hanno entusiasmato. Gall (austriaco della Ag2R Citroen, ndr) è caduto in curva prima che entrassimo nell’arena e mi sono un po’ spaventato. Mi è dispiaciuto perché non voglio che nessuno cada o si faccia male. Sappiamo quanto una caduta o una curva talvolta possano cambiare tutto. Mi piace tanto il Tour of the Alps e mi piace tanto la sua organizzazione ma forse questo finale non è stato il top. In ogni caso non vogliamo che sia questo episodio a sporcare una giornata perfetta».

Nelle prime due tappe del Tour of the Alps, la Ineos Grenadiers ha lavorato tanto in salita
Nelle prime due tappe del Tour of the Alps, la Ineos Grenadiers ha lavorato tanto in salita

Vista sul Giro

Appena entra in sala stampa, Tao guarda fuori dalla finestra il panorama dell’altopiano di Renon e del Massiccio dello Sciliar. Queste montagne gli piacciono proprio, ha un legame forte col Trentino-Alto Adige ma all’orizzonte c’è il Giro d’Italia, il suo obiettivo.

«Dopo il Tour of the Alps – racconta – farò qualche giorno di riposo, poi riprenderò il programma di allenamenti in vista del Giro. Adesso mi sento bene e in questi due giorni sono stato attento a non spingere a fondo. Sono stato paziente nel gestire gli ultimi chilometri e se farò altrettanto al Giro, allora credo che potrò fare molto bene. Il primo step sarà quello di passare indenne le prime dieci tappe, tra i vari eventuali problemi che possono capitare in una gara del genere. Troppo avanti di condizione? No, non direi. Stavo bene alla Tirreno come adesso, non vedo perché non dovrei stare bene anche fra un mese e per tutto maggio».

Geoghegan Hart ringrazia uno sfinito De Plus. Per Tao l’olandese è il miglior gregario in salita
Geoghegan Hart ringrazia uno sfinito De Plus. Per Tao l’olandese è il miglior gregario in salita

«Ogni gara ha la propria difficoltà – prosegue Geoghegan Hart – e noi dobbiamo essere bravi ad adattarci. Nel ciclismo moderno le corse si aprono molto prima e possono cambiare più in fretta. Adesso penso ai prossimi giorni del Tour of the Alps che non saranno semplici poi guarderò alle tappe del Giro. Preferisco studiarle più sotto data perché quando l’ho fatto con anticipo le mie aspettative sono state disattese. Ad esempio ieri su Facetime la mia fidanzata mi ha chiesto come fosse la tappa di oggi ed io le ho risposto che non era troppo impegnativa. Invece sono stato smentito, ma anche sorpreso.

«Amo il vostro Paese – conclude Tao abbozzando un italiano molto basico ma abbastanza comprensibile – perché c’è una grande cultura ciclistica. Per me Italia e ciclismo è sempre stato un binomio stretto. Il ciclismo è uno sport che regala grandi emozioni e corro sempre con l’idea di proteggere la storia di questo sport. E poi, se non lo sapete, ho una zia di Pinzolo… quindi per uno nato a Londra, potete immaginare cosa rappresentino per me questi paesaggi di montagna».

E Thomas? «Adesso è in tabella»: parola di Tosatto

06.04.2023
4 min
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Geraint Thomas è partito un po’ in sordina in questa stagione. O almeno si è visto poco e l’inglese, per la terza volta nella sua carriera punta deciso al Giro d’Italia. Tuttavia rispetto ai suoi grandi rivali da Evenepoel a Roglic, da Almeida a Vlasov, si è visto meno.

Ha anche evitato i maggiori confronti di Parigi-Nizza o Tirreno-Adriatico. Eppure il corridore della Ineos Grenadiers sembra sereno e tranquillo. E a confermare questa sensazione è Matteo Tosatto, direttore sportivo della maglia gialla 2018.

Matteo Tosatto (classe 1974) è sull’ammiraglia dal 2017
Matteo Tosatto (classe 1974) è sull’ammiraglia dal 2017
Matteo, Thomas si è visto poco in questa prima parte di stagione: come mai?

In realtà aveva iniziato presto, al Down Under e il suo programma prevedeva anche Algarve e Tirreno-Adriatico, ma di ritorno dalla trasferta australiana si è ammalato, malanni di stagione. Ma di questi tempi meglio evitare, altrimenti si rischia di contagiare anche i compagni. E poi oggi andare a correre se non si è al meglio è controproducente. A quel punto abbiamo cambiato i programmi e lo abbiamo dirottato sul Catalunya.

Anche se non ha brillato…

Non ha brillato, ma lo sapevamo. Anzi, l’idea era proprio quella di correre, ma senza fare dei mega fuorigiri. Sapevamo che avrebbe fatto fatica. Si è messo a disposizione dei compagni. Terminato il Catalunya, Geraint ha fatto due, tre giorni di scarico e poi è andato in altura.

E lo abbiamo visto sereno lassù. Tra l’altro è a Sierra Nevada, ed è la prima volta per lui…

Sì, è la prima volta che va lassù. Avevamo chiesto per il Teide, ma c’erano un po’ di problemi con le camere. E’ tutto pieno, un po’ di caos. E siccome altri dei nostri (e non solo dei nostri) erano già andati a Sierra Nevada e si erano trovati bene, abbiamo deciso di cambiare. 

E come sta andando lassù?

Bene. L’importante è che Thomas lavori con costanza, che porti a casa dei buoni blocchi e volumi di lavoro in vista del Tour of the Alps e soprattutto del Giro d’Italia.

Un selfie di Thomas in altura a Sierra Nevada con i compagni del “gruppo Giro” (foto Instagram)
Un selfie di Thomas in altura a Sierra Nevada con i compagni del “gruppo Giro” (foto Instagram)
Questo per lui è l’ultimo anno, un po’ come abbiamo “indagato” per Sagan, non è che le motivazioni vengano un po’ meno?

Non è certo che sia l’ultimo anno. Thomas ha detto: «Potrebbe essere l’ultimo anno». Quindi non si sa ancora. Io lo vedo e lo sento motivato. Sta lavorando bene, con serietà… Okay, se avesse fatto la Tirreno sarebbe stato un pelo meglio sotto ogni punto di vista, ma alla fine abbiamo sostituito la corsa dei due mari con il Catalunya, che come si è visto non è stata una corsetta!

Riguardo al Giro, farete dei sopralluoghi? Magari per le tappe delle crono?

Io sì, qualche tappa l’ho vista. Il percorso del Giro Thomas lo ha visto questo inverno su carta, lo ha studiato, ha le tappe e ha detto che gli piace e sa bene che ci sono molte insidie. Per quanto riguarda le crono in realtà, quelle vere, sono due in quanto la terza è una cronoscalata durissima. Forse faremmo un sopralluogo proprio per la crono del Lussari dopo il Tour of the Alps.

A proposito do insidie, per Thomas il Giro non è super fortunato: travolto da una moto nel 2017 e caduto su una borraccia nel 2020…

Eh, in effetti non ha dei super ricordi, ma bisogna guardare avanti, non farsi influenzare e magari sfatare questo tabù. No, no… Geraint è contento di venire al Giro, di correre in Italia, gli fa piacere gareggiare da noi. L’importante è fare un buon Giro, di arrivarci bene e senza malanni.

Thomas (classe 1986) al Down Under. Arriverà al Giro con soli 18 giorni di corsa
Thomas (classe 1986) al Down Under. Arriverà al Giro con soli 18 giorni di corsa
Al Giro avrete due capitani: Thomas, appunto, e Geoghegan Hart: come sta Tao? E come condivideranno questo ruolo di leader?

Anche Tao sta molto bene. Ha mostrato di andare forte ad inizio stagione e finalmente non ha avuto nessun intoppo invernale. Ha vinto una tappa alla Ruta de Sol e fatto bene anche alla Tirreno. Ci era anche venuta in mente l’idea di sfruttare la Tirreno, appunto, per fare bene al Catalunya, poi abbiamo preferito restare fedeli al programma originario e lavorare bene in ottica Giro.

E quindi come convivranno al Giro?

Non si pesteranno i piedi. Sono due atleti intelligenti e con un Giro così duro e con quegli avversari che ci sono, avere più carte da giocare può essere un bene. Insomma, non è un mistero che Roglic ed Evenepoel siano i favoriti e noi dovremmo essere bravi a cogliere l’occasione quando capiterà e avere due atleti di punta potrebbe giocare a nostro favore.

Quindi siete contenti, anche se nel complesso prima del Giro avrà corso poco (18 giorni di gara compreso il TOTA, ndr)?

Sì, sì. L’ho sentito proprio qualche giorno fa. E’ super felice del gruppo di Sierra Nevada, adesso procede tutto secondo programma. E’ in tabella con la condizione. Sta lavorando bene. Alternare la giusta dose di corse, di lavoro e di recupero per lui che non è più un ragazzino ed è anche un diesel sono ideali. 

L’impresa (impossibile?) di dirottare Pidcock sul Tour

12.02.2023
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Bernal non si sa quando e se tornerà ai livelli migliori. Osservandolo da vicino alla Vuelta a San Juan, la sensazione che il colombiano abbia ancora tanta strada da fare è stata piuttosto netta. Tuttavia, considerando il punto di partenza e il fatto che abbia davvero rischiato di non poter più nemmeno camminare, è superfluo dire che gli vada lasciato il tempo necessario per riallacciare tutti i fili. Nel frattempo però, cosa fa il team Ineos Grenadiers? Nel gruppo si dice che forse solo Pidcock, 23 anni, potrebbe essere all’altezza di un’investitura.

Lo squadrone dei 7 Tour, 3 Giri e una Vuelta negli ultimi 10 anni per la prima volta l’anno scorso è andato in bianco e l’assalto deciso al contratto di Evenepoel fa capire che perdere altro tempo non è una delle opzioni più gradite. Ma Lefevere sa scrivere i contratti cui tiene maggiormente, così Remco non si è mosso e forse non aveva neppure l’intenzione di farlo.

Sfogliando l’organico della squadra e i programmi stilati per il Giro ed il Tour, vedremo Geraint Thomas e probabilmente Arensman, al Giro mentre Bernal, Martinez e Pidock andranno al Tour. Della Vuelta parleranno poi.

Alla Vuelta a San Juan, Bernal ha iniziato a muovere i primi passi nella stagione
Alla Vuelta a San Juan, Bernal ha iniziato a muovere i primi passi nella stagione

Pidcock e le distrazioni

Con Dario Cioni abbiamo provato a sbirciare nelle carte della squadra britannica, per capire quali considerazioni si facciano dietro le porte chiuse sui corridori che potenzialmente potrebbero diventare grandi nelle corse di tre settimane. Il punto di inizio è Pidock, per la sensazione che ci rimase addosso vedendogli dominare il Giro d’Italia U23 nel 2020.

«Tom – dice Cioni – è uno che se ci mette la testa, potrebbe far delle belle cose. E’ uno su cui si sta lavorando, ma è vero che dal suo punto di vista lui rimane quello un po’ eclettico che vuole far tutto. Stiamo studiando sul discorso dei Giri, quindi la vostra impressione è corretta.

«E’ uno che riesce a mentalizzarsi bene sul singolo appuntamento e comunque non rinuncia alle sue mille cose. Nel senso che continuerà a fare le varie altre cose, perché comunque questo fa parte del suo essere. Come scuola, siamo sempre stati favorevoli a non snaturare completamente le attitudini dei corridori, soprattutto se arrivano a un certo livello. Per cui il pistard continua a fare pista e nel caso di Tom ci sarà ancora la mountain bike. Senza scordarsi che da questo punto di vista, Ineos ha raddoppiato prendendo Pauline Ferrand Prevot. Comunque Grenadier è un prodotto offroad, quindi non è seguire un suo capriccio, perché alla fine lui è il campione olimpico».

I mondiali d’agosto

Il calendario di Pidcock diventa quindi centrale, alla luce delle necessità di chi corre preparando il Tour de France. In questo la coincidenza fortunata del mondiale in Scozia subito dopo il Tour sarebbe per Tom il lancio ideale.

«Il mondiale infatti – spiega Cioni – è il minore dei problemi, perché facendoli dopo il Tour, avrà piena libertà. In ogni caso, Pidcock avrà un calendario molto flessibile. L’anno scorso era partito con l’idea di fare il Giro, poi era finito al Tour. Quest’anno magari, mettendo più di enfasi sul discorso Tour, si può parlare di investimento sul futuro. Da quello che abbiamo visto nel 2022 pensiamo che possa avere buone possibilità anche nelle corse a tappe. Quindi se l’anno scorso era stato un primo approccio al Tour, quest’anno sarà più strutturato, ma accanto ci saranno comunque Bernal e Martinez».

Le dinamiche di squadra

Il problema di Pidcock è la sua ritrosia apparente di farsi ingabbiare nelle logiche di una sola specialità. Vince nel cross, pur avendo ammesso di non avere il livello di Van der Poel e Van Aert. Vince nella mountain bike, al suo attivo due mondiali e le ultime Olimpiadi. Sta imparando a vincere le classiche, con una Freccia del Brabante e il secondo posto all’Amstel. E l’anno scorso, al debutto nel Tour, ha vinto sull’Alpe d’Huez.

«Alla fine anche lui – dice Cioni con il necessario realismo – dovrà inserirsi nelle dinamiche della squadra. Lui va forte in salita, ma la crono sarà un elemento su cui lavorare. L’anno scorso è stata un po’ sottovalutata per i mille impegni. Però adesso, nell’ambito della sua crescita verso il Tour, è chiaro che acquisisca importanza. Alla fine però sono progetti lunghi, bisogna avere pazienza. Non puoi fare tutto in un colpo. Diciamo che la crono fa parte probabilmente del cammino per step che abbiamo impostato».

Thomas e Hayter

Accanto a Pidcock, la Ineos Grenadiers ha altri nomi su cui lavorare. Uno, Geraint Thomas, è quello più concreto, che per il 2023 – stimato come l’anno del ritiro – ha scelto il Giro d’Italia. Gli altri tre sono Leo Hayter, Geoghegan Hart e Arensman, di cui si parlava giusto ieri con Tosatto.

«Il piccolo Hayter – spiega Cioni – è uno su cui si può ragionare in chiave grandi Giri, ma diamogli tempo perché è appena arrivato, quindi non starei ora a mettergli pressione. Suo fratello invece è talentuoso, ma lo vedo più sul fronte delle classiche. E poi c’è Arensman, che è stato preso anche per questo. Al Giro abbiamo una garanzia come Geraint Thomas, che però in teoria è all’ultimo anno e anche questo devi tenerlo in considerazione. Il Giro è stato una sua scelta e noi tendenzialmente appoggiamo le scelte dei corridori, specialmente a quel livello. Poi gli altri magari proviamo a incastrarli nei vari progetti».

Dan Martin, Pogacar e il ciclismo delle persone normali

08.11.2022
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Dopo un anno dal ritiro, Daniel Martin ha mandato alle stampe un libro dal titolo emblematico: “All’inseguimento del panda”. Il riferimento è alla Liegi del 2013, quando l’irlandese fu inseguito da un tifoso mascherato da Panda mentre era in fuga con “Purito” Rodriguez (foto di apertura).

«Vedere la parola panda nel titolo di un libro di ciclismo – ha raccontato a The Guardian al momento del lancio – se non conosci la storia, ti intriga e ti interroga. Questo trascrive lo spirito del libro, che vuole essere più leggero della maggior parte delle autobiografie che siamo abituati a vedere. Avrei voluto disegnare io un panda per la copertina, ma l’editore ha rifiutato. Temeva che sarebbe stato scambiato per un libro per bambini. Non so chi ci fosse sotto quel costume. Mi ha sempre sorpreso che nessuno mi abbia mai contattato».

Martin è nato nel 1986 ed è passato pro’ nel 2008. Ha corso con Garmin, Cannondale, Quick Step, UAE e Israel
Martin è nato nel 1986 ed è passato pro’ nel 2008. Ha corso con Garmin, Cannondale, Quick Step, UAE e Israel

Bisogno del cielo

Martin non è mai stato bellissimo in bici, ma era un grande attaccante. Ha vinto la Liegi, il Lombardia, tappe al Giro, al Tour e alla Vuelta. Suo zio è Stephen Roche, padre di suo cugino Nicholas. La sua carriera è stata anche una ripicca contro David Brailsford che non lo volle nell’allora Team Sky, quando Dan gli disse che non aveva alcuna intenzione di lasciare la strada per la pista, come ad esempio avevano accettato di fare il suo coetaneo Geraint Thomas e Wiggins prima di lui.

«Avevo bisogno del cielo – racconta – volevo sentire la pioggia e il sole sulla pelle. Volevo vedere le sagome degli alberi. Ho sempre corso per divertimento. Se ho bisogno di vivere come un monaco per essere un buon ciclista, non voglio farlo. Forse se fossi andato a Tenerife e avessi vissuto sul Teide per tre settimane prima del Tour, ogni anno sarei stato un po’ meglio. Oppure non sarei ancora innamorato del ciclismo».

Vuelta 2018, Martin con il cugino Roche. Dan ha corso alla UAE per due stagioni
Vuelta 2018, Martin con il cugino Roche. Dan ha corso alla UAE per due stagioni

Una cosa normale

Il primo colpo di martello sul cuneo che alla fine del viaggio aprirà una breccia sul ciclismo estenuante di questi tempi, ma senza puntare il dito. Si è liberi di stare al gioco o si può accettare di viverlo diversamente.

«Mio padre Neil – spiega – era un ciclista professionista. Mio zio Stephen l’ho visto più volte tagliare il tacchino che vincere corse. Quindi sono stato educato sul fatto che essere corridori non è sovrumano, è semplicemente normale. Anche se nel 2005 ero giovanissimo e lottavo per rimanere attaccato al gruppo, sapevo comunque che prima o poi sarei finito al Tour. Sin da quando ho iniziato a correre a 14 anni, mi fu detto che avevo qualcosa di speciale. Non fu facile vincere una tappa nel 2013, Sky sembrava inespugnabile. Ugualmente capii perché non ho mai voluto farne parte. Perché io amavo soprattutto lo stile offensivo delle corse».

Nel 2018, Froome vince il Giro e Thomas il Tour: il dominio del Team Sky appare inscalfibile
Nel 2018, Froome vince il Giro e Thomas il Tour: il dominio del Team Sky appare inscalfibile

Tattiche e vita

Un fatto di stile di corsa, ma anche di modello di vita. Tuttavia, ogni volta che ha parlato dei colleghi dello squadrone britannico, lo ha fatto con grande rispetto, pur rimarcando la distanza.

«Non sarei potuto diventare come loro – spiega – ugualmente penso che Thomas sia uno degli uomini più duri che abbia mai incontrato. Il sacrificio a cui si è sottoposto per sei mesi prima di vincere il Tour è incredibile. Io ero dotato fisicamente, ma avevo la capacità mentale di affrontare quel sacrificio? Non lo so. Geraint e anche Froome sono andati ben oltre le loro capacità fisiche, grazie alla capacità di essere incredibilmente concentrati».

Nel 2014, Martin ha vinto il Lombardia sul traguardo di Bergamo
Nel 2014, Martin ha vinto il Lombardia sul traguardo di Bergamo

Margini ristretti

Si può fare senza, ma dal momento che certe abitudini hanno invaso il gruppo e si sono estese a tutte le fasce di corridori, a un certo punto Martin si è sentito fuori posto.

«Ecco perché l’anno scorso ho smesso di correre – racconta – perché lo sport stava diventando troppo controllato. Avevo perso il vantaggio dell’imprevedibilità, perché ora a ogni ciclista viene detto esattamente cosa stanno facendo gli altri e le metodologie delle squadre si adeguano. Voglio essere in grado di decidere perché, quando e quale allenamento faccio e quali tattiche utilizzare. Il ciclismo che amo è anche libertà di espressione. Ora invece le corse sono piuttosto noiose da guardare, perché nessuno commette più errori. Tutti sono perfetti nell’alimentazione, l’allenamento è perfetto e manca però l’elemento umano. Le corse sono diventate prevedibili».

La crisi del Granon è stata a vantaggio di Vingegaard, ma è stata conseguenza della sfrontatezza di Pogacar
La crisi del Granon è stata a vantaggio di Vingegaard, ma è stata conseguenza della sfrontatezza di Pogacar

La crisi del Granon

Al punto che la crisi di Pogacar sul Granon è stata il vero momento forte del Tour 2022. Merito a Vingegaard, ma soprattutto a Tadej che in qualche modo… se l’è cercata.

«La gente dice che quella tappa è stata la migliore corsa di sempre – spiega – ma è ugualmente merito di Pogacar. E’ la mina vagante che attacca ogni volta che ne ha voglia, mentre il resto della corsa è programmato e controllato. Pogacar torna all’idea del ciclismo romantico, ma allo stesso tempo ha il peso della squadra. E la UAE Emirates si sta già preparando per il futuro, anche se Pogacar ha solo 24 anni. Quindi la questione di quanto potrà durare è già sul tavolo. Normalmente si sarebbe detto che ha davanti altri 10 anni, ma ci sono in arrivo giovani fortisssimi, pronti per sostituirlo alla prima difficoltà. Ho sentito storie di sedicenni che facevano 30 ore di allenamento a settimana. Stanno già lavorando come dei professionisti incalliti».

Martin si è ritirato a fine 2021, ma quello stesso anno ha vinto la tappa di Sega di Ala al Giro
Martin si è ritirato a fine 2021, ma quello stesso anno ha vinto la tappa di Sega di Ala al Giro

Come Aru e Dumoulin

Quanto si può durare andando avanti così? Non esiste una regola assoluta. Probabilmente i caratteri meno fragili rischiano di cedere, altri tengono duro e sapremo solo col tempo se le carriere saranno più brevi.

«Dumoulin – dice – ha continuato a correre negli ultimi due anni, ma non era lo stesso. Si è sostanzialmente ritirato due anni fa a 29 anni. Anche Fabio Aru, un talento incredibile, si è ritirato a 30 anni. Questi ragazzi hanno sostenuto questo enorme impegno e sacrificio. Erano giovani corridori fenomenali, ma sono stati schiacciati. Va bene per chi in cambio di questa vita viene pagato con somme pazzesche, come Pogacar. Ma i gregari guadagnano potenzialmente meno di quanto avrebbero preso 10 anni fa, in cambio di sacrifici raddoppiati.

«Guardo le mie foto da neoprofessionista nel 2008. Avevo 22 anni, ne dimostravo 15. Nel ciclismo moderno mi sarebbe stato permesso il tempo per svilupparmi? Sono stato fortunato che una volta fosse possibile andare in bicicletta alle proprie condizioni e con il sorriso sulle labbra».

Attenti, un Thomas così forte non si vedeva da tanto

07.07.2022
5 min
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«Mi sento bene ad esser sincero – dice Thomas sui rulli – è stato bello vedere che il gruppo era ormai piccolo e abbiamo provato a fare qualcosa. Non avevo pianificato di cadere, ma è successo. Pidcock era con me e mi ha aiutato a rientrare, è bravissimo in queste cose. Qualche volta è inevitabile, sappiamo che qualche volta può succedere ed è successo, ma alla fine sarebbe potuto finire peggio. Non ho realizzato che ci fosse pure Roglic, mentre ho visto Jack Haig per terra e ho cercato di rimettermi subito in piedi e finire bene la corsa».

Dopo l’arrivo della tappa di ieri sul pavé, Thomas parla con Ellingworth e Van Baarle
Dopo l’arrivo della tappa di ieri sul pavé, Thomas parla con Ellingworth e Van Baarle

Rilassato e fresco

La tappa del pavé è finita da poco e il corridore della Ineos Grenadiers gira le gambe su rulli che cigolano e un po’ lo fanno ridere e un po’ chiede al meccanico che li faccia smettere. I compagni arrivano alla spicciolata. Van Baarle, il vincitore della Roubaix, si ferma più a lungo degli altri e ai due si avvicina anche Rod Ellingworth, il capo della performance del Team Ineos Grenadiers. Confabulano. E quando si sono chiariti, l’olandese sale sul pullman, mentre Geraint continua a girare e di colpo fa un cenno ai giornalisti rimasti ad aspettarlo.

Racconta la sua storia in tre battute, non oltre. Ma sorride e appare super sereno. E questo, a capo di una tappa così dura, è sinonimo di freschezza e buon umore.

Pidcock ha aiutato Thomas a rientrare dopo la caduta ed è arrivato con lui a 1’04” assieme a Yates
Pidcock ha aiutato Thomas a rientrare dopo la caduta ed è arrivato con lui a 1’04” assieme a Yates

Parliamo col capo

A guardarlo da vicino si ha la sensazione che il gallese abbia la testa libera e di conseguenza le gambe forti. A questi livelli si può dare per scontato che il grande atleta abbia valori di eccellenza, soprattutto uno così che ha vinto un Tour e qualche titolo fra mondiali e Olimpiadi. Il fatto è che spesso quei valori non riescono ad esprimerli. E forse essere in un Team Ineos non più condannato a vincere il Tour, ha permesso a Geraint di arrivarci con la leggerezza necessaria per andare forte divertendosi.

Per questo appena lui sale sul pullman, ci avviciniamo a Ellingworth, che lo guidava sin dai tempi della pista. E sorridendo gli diciamo che sembra di vedere il Nibali leggero del Giro. Partito senza pressioni e arrivato a un passo dal podio.

«Credo che Geraint stia proprio bene – conferma – lo si può vedere. Basta vedere i numeri e la sua mentalità. Negli anni ha acquisito molta esperienza, credo ne abbia viste tante. Una corsa come il Tour si costruisce giorno dopo giorno e lui ha fatto bene tutto l’anno. Il suo impegno con la squadra è stato bellissimo. E trovo molto bello sentirgli dire che quest’anno alle corse si sta divertendo». 

Ancora una volta la sensazione, parlando con Ellingworth, di una rifondazione nel Team Ineos
Ancora una volta la sensazione, parlando con Ellingworth, di una rifondazione nel Team Ineos
Il Tour insomma è solo la fine del cammino?

E’ un piacere lavorare con lui, ma non c’è solo lui. Ci sono un sacco di bei ragazzi, sono insieme in questo viaggio da dicembre. E’ un bel gruppo che si impegna molto l’uno per l’altro. Sì, ci sono proprio delle belle vibrazioni.

Pensi che il paragone con il Nibali del Giro sia giusto?

Probabilmente Thomas corre con lo stesso atteggiamento. Credo che anche lui abbia il rispetto del gruppo, perché ha già vinto il Tour e non ha niente da perdere. E’ certamente più grande di età ed è più saggio di quando ha iniziato, ma penso che stia facendo proprio bene anche in questo gruppo così giovane. Abbiamo anche due nuovi allenatori che stanno lavorando bene, anche Nibali ha cambiato preparatore, giusto? Ci stiamo muovendo, abbiamo idee nuove.

Thomas ha vinto il Tour nel 2018, subito dopo la grande vittoria di Froome al Giro
Thomas ha vinto il Tour nel 2018, subito dopo la grande vittoria di Froome al Giro
Al Villaggio si incontra spesso Wiggins, Froome è appena passato con la sua nuova maglia. Thomas è l’ultimo di quel gruppo, che cosa sta cambiando nel team?

Alla fine la gente va avanti. Alcuni smettono, altri vanno altrove. Alcuni fanno affidamento sulla propria esperienza e continuano, come Froome. Ragazzi così non li dimentichi, ma ci sono stati molti cambiamenti negli anni. Competere è competere e devi adattarti. Devi essere scaltro e credo che Thomas, ma anche Martinez e Pidcock faranno bene.

Richard Carapaz secondo al Giro: «Non si può sempre vincere»
Richard Carapaz secondo al Giro: «Non si può sempre vincere»
Avete sempre vinto almeno un grande Giro all’anno. Il Giro è andato, restano Tour e Vuelta…

Abbiamo sempre detto negli anni che siamo una squadra di corse a tappe, è il nostro principale target. Abbiamo sempre voluto vincere un grande Giro. E’ la storia da cui veniamo, quello che abbiamo sempre fatto. Carapaz è arrivato secondo al Giro quest’anno, credo che abbia fatto un’ottima gara. La squadra ha fatto un’ottima gara. Siamo stati battuti da Hindley davvero per poco, alla fine questo è lo sport. Si tratta di competere e credo che ogni squadra provi il massimo per cercare di vincere. Non le possiamo vincere tutte, ma certamente l’obiettivo è quello. E come conseguenza, vincere.

Nuova Bolide, ultimo test al Giro di Svizzera

21.06.2022
6 min
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Fu Fausto Pinarello per primo, commentando la Dogma F con cui Richard Carapaz aveva appena vinto il titolo olimpico su strada a Tokyo, ad anticipare che fosse allo studio anche una nuova bici da crono che avrebbe preso il posto della plurititolata Bolide, lanciata nel 2013 e affidata a Bradley Wiggins, che ne fece bella mostra al Giro d’Italia. Sulla nuova struttura sarebbe nata e nascerà verosimilmente anche la bici da inseguimento per la nazionale, che sulla Bolide ha conquistato titoli iridati e olimpici nelle prove individuali e a squadre. Sarà anche base per la bici del record dell’Ora di Filippo Ganna?

Nella crono di Villars al Romandia, Thomas aveva ancora la vecchia Bolide
Nella crono di Villars al Romandia, Thomas aveva ancora la vecchia Bolide

Per Thomas e Martinez

Come succede sempre in questa fase della stagione che porta al Tour, alle corse bisogna tenere l’occhio… acceso ed è stato così che al Giro di Svizzera la nuova bici da crono è uscita dal garage del Team Ineos Grenadiers per Geraint Thomas e Dani Martinez. Neppure Ganna al Delfinato l’aveva ricevuta, pur vincendo la crono, probabilmente perché la novità è arrivata proprio nelle ultime ore. E mentre in altri casi il prototipo viene mascherato con una colorazione neutra, in questo Pinarello non ha fatto nulla perché la bici passasse inosservata. Perché è vero che la colorazione camouflage scelta potrebbe mascherare alcune soluzioni geometriche, ma d’altra parte era impossibile non accorgersi della differenza: di fatto l’unico tratto in comune con la nuova bici parrebbe essere il manubrio personalizzato stampato di 3D che è sempre stato il punto di forza degli atleti Pinarello. 

Ganna ha vinto la crono del Delfinato, 11 giorni prima del debutto della nuova bici, con la solita Bolide
Ganna ha vinto la crono del Delfinato, 11 giorni prima del debutto della nuova bici, con la solita Bolide

Arrivano i dischi

Quelle che seguono sono osservazioni derivate per lo più dall’osservazione delle foto, in attesa di poter avere la bici tra le mani, verosimilmente nella prima tappa del Tour a Copenhagen. Pertanto la prima differenza che salta agli occhi è l’adozione dei freni a disco, eliminando il gap già colmato su strada con la Dogma F. Che poi i dischi abbiano anche una convenienza aerodinamica è da dimostrare. Secondo esperti più qualificati di noi, non costituiscono causa di aumento delle resistenze.

Fra le conseguenze più immediate del passaggio ai freni a disco, c’è l’eliminazione delle sagome con cui il freno anteriore e posteriore venivano integrato al tubo di sterzo e al carro posteriore. Il tubo sterzo sembra ora più stretto, mentre il nuovo disegno del carro non propone alcun tipo di accorgimento nella parte superiore, giacché il freno si trova in prossimità del mozzo.

Il tubo di sterzo, che ormai tubo non è nel senso stretto, ha uno schiacciamento aerodinamico e una profondità superiore che conferisce rigidità e probabilmente migliora la penetrazione.

Nuova forcella

Cambia la forcella, i cui foderi sono schiacciati e di conseguenza più larghi, mentre la ruota si avvicina la tubo obliquo, la cui sagomatura risulta essere più accentuata rispetto a quanto fosse già sulla Bolide. In prossimità delle punte della forcella permangono le linguette aerodinamiche rivolte verso la parte posteriore, la cui dimensione sembra in linea rispetto al modello precedente e forse superiore rispetto alla Dogma F da strada. Ma in questo caso il dettaglio andrebbe misurato: la valutazione visiva non può bastare.

Allo stesso modo, cambia il tubo orizzontale. Se nella Bolide era tendenzialmente… orizzontale, con un minimo valore di sloping, in questo caso esso risulta ben più inclinato. Il tubo stesso appare più schiacciato e piatto.

Nuova Bolide anche per Dani Martinez, che farà classifica al Tour
Nuova Bolide anche per Dani Martinez, che farà classifica al Tour

A misura di ruota

Come già accennato e valutato visivamente, in attesa del riscontro del calibro, anche il tubo obliquo è stato ridisegnato: la sagomatura è più accentuata e le sue dimensioni sono più simili al tubo corrispondente sulla Dogma F, di cui la nuova Bolide sembra essere la diretta emanazione. La conseguenza più immediata di ciò, unitamente al fatto che lo stesso tubo sembri avere una sezione inferiore, è che nella parte bassa il telaio sia totalmente nella sagoma della ruota anteriore, che fende l’aria a tutto vantaggio dell’aerodinamica.

A questo dato si aggiunge la sensazione, condivisa anche da altri osservatori, che la scatola del movimento centrale sia stata ridisegnata e collocata più in alto rispetto alla vecchia Bolide, ma quanto a questo potrebbe trarre in errore il nuovo disegno del carro.

Piantone slim

Evidentemente nuovo anche il piantone, che in apparenza ha la coda tronca come pure sulla Dogma F, il cui andamento è molto più semplice e meno… gotico, stante la scomparsa come si diceva del piccolo spoiler che copriva il freno posteriore. E’ ugualmente accentuata la sua svasatura, atta ad avvicinare il centro della ruota posteriore al movimento centrale.

Cambiati di conseguenza anche i foderi posteriori. Il disegno del carro è di evidente derivazione dalla Dogma F. Anche se osservando la vecchia Bolide e rimuovendo la sagoma dello spoiler del freno, si nota come anche la Bolide avesse già lo stesso disegno, con i foderi ora più sottili che si congiungono al piantone ben sotto rispetto al nodo della sella.

Due reggisella diversi

Osservando le bici di Thomas e Martinez, saltano all’occhio anche due diversi tubi reggisella, che permettono diverse inclinazioni. Non potendo personalizzare al 100% gli stampi monoscocca del telaio, si interviene sui componenti per ottenere il miglior fitting dell’atleta sulla bici.

Figlia della Dogma F

Insomma, allo stesso modo in cui la vecchia Bolide aveva parecchi tratti in comune con la F12, ecco che la nuova bici da crono (scopriremo presto se avrà un nome diverso) sembra essere derivata direttamente dalla Dogma F. Abbiamo approfondito in altra sede il discorso sugli investimenti necessari per ottenere bici da crono aerodinamiche. Il progetto in questione appare totalmente nuovo, i concetti che lo hanno ispirato sono in linea con la più recente ispirazione di casa Pinarello.

Evenepoel, l’apprezzabile arte dell’autocritica

20.06.2022
5 min
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Remco Evenepoel si è tolto di dosso i panni di Superman, ma sta lavorando (bene) per indossarli nuovamente. La vittoria della Liegi gli ha ridato fiducia. Il Tour of Norway, con tre tappe vinte su sei, ha confermato che la strada è giusta. Mentre in Svizzera (11° a 4’04” da Thomas) il belga ha conquistato l’ultima crono, ma ha capito che il livello WorldTour in mezzo a quelli che lavorano per la maglia gialla è un’altra cosa. Il suo obiettivo è la Vuelta e sarebbe stato preoccupante essere già al pari di chi fra dieci giorni sarà in lizza per il Tour.

«Tre secondi di vantaggio su Thomas e undici su Kung – ha commentato dopo la vittoria di ieri – sono un bel risultato, l’importante è aver vinto, non il distacco. Tuttavia il più grande avversario è stato il caldo. Terribile. Non sono nemmeno stato in grado di seguire la tabella che ci eravamo dati. Nelle crono, ero già arrivato secondo alla Tirreno e ai Paesi Baschi: vincere è meglio. Soprattutto dopo una settimana faticosa, in cui non ho pedalato al mio massimo livello e ho subìto parecchie lezioni lungo la strada».

A lezione da Thomas

Qualcuno non lo sopportava, perché dopo ogni bel risultato “sbruffoneggiava” da calciatore qual è sempre stato, senza considerare che avesse appena vent’anni. E il belga, che nel frattempo ne ha compiuti 22, ha rimesso i piedi sulla terra.

«Mi riferisco principalmente alla tappa di Novazzano (foto di apertura, ndr) – ha spiegato ai giornalisti il campioncino belga – quando ho perso più di due minuti, su un percorso che ricordava le corse delle Ardenne. Ero troppo rilassato. Pensavo che gli uomini di classifica avrebbero tenuto la corsa e poi Matthews o uno come lui avrebbe vinto lo sprint. Abbiamo sbagliato tutto. Ci siamo concessi un giorno di riposo totale, mentre avremmo dovuto prendere l’iniziativa, così io non avrei perso due minuti e sarei salito sul podio.

«Sotto questo aspetto devo ancora imparare molto da un corridore come Geraint Thomas. Ha sempre la corsa in pugno, è aggressivo e vigile, mentre io quel giorno non ero nemmeno preparato per sopportare il caldo. Ho persino sbagliato a scegliere il casco: dopo l’arrivo ci si poteva friggere sopra un uovo. Non ho nemmeno chiesto di avere del ghiaccio, perché non pensavo fosse necessario. Lo sbaglio più grande della mia carriera. Fortunatamente, imparo velocemente. Non commetterò più gli stessi errori».

Geraint Thomas è sempre stato fra i primi 4 dello Svizzera e nella crono ha conquistato la vittoria
Geraint Thomas è sempre stato fra i primi 4 dello Svizzera e nella crono ha conquistato la vittoria

Le energie sprecate

Zero scuse. Qualcuno avrebbe potuto intervenire, ma il ragazzo si è preso tutte le responsabilità e guarda avanti. Pagina voltata, il giusto atteggiamento. Lucido anche nel commentare il distacco sui traguardi in salita di Mosaalp e Malbun: rispettivamente 3’06” da Denz e 2’30” da Pinot.

«Quei tre minuti – ha spiegato – non mi preoccupano molto. Era la prima volta che salivo sopra i 2.000 metri in gara dopo il ritiro in altura. Questa volta sono stato anche abbastanza intelligente da portare impacchi di ghiaccio (ridendo, ndr). Mi sono accorto però che sopra i 1.800 metri non ho avuto l’accelerazione di corridori come Thomas e Higuita. Forse dopo il Giro di Norvegia sono arrivato al Giro di Svizzera un po’ stanco. Ho recuperato completamente solo alla fine della settimana ed è un’altra lezione. Se mai vorrò vincere queste corse, dovrò gestirmi diversamente

Dopo il Tour of Norway, Evenepoel ha fatto show alla Gullegem Koerse, buttando via un bel po’ di energie
Dopo il Tour of Norway, Evenepoel ha fatto show alla Gullegem Koerse, buttando via un bel po’ di energie

«Devo risparmiare quanta più energia possibile. Sempre e ovunque. Per Thomas è automatico, io devo impararlo. Dopo la Norvegia ho vinto la Gullegem Koerse. Ho esagerato. Ho fatto una cronometro di 170 chilometri e solo dopo mi sono reso conto di aver corso per ore a wattaggi folli. E’ stato stupido, uno spreco di energia. Per questo, visto il passaggio a vuoto di Novazzano, abbiamo deciso di togliere la Vuelta a Burgos dal programma. Voglio essere il più fresco possibile per la Vuelta».

Obiettivo Vuelta

Ora lo aspettano il campionato belga a cronometro, in cui l’anno scorso fu bruciato da Lampaert nonostante pochi giorni prima avesse vinto lui la crono al Giro del Belgio. Poi verrà il campionato belga su strada, quindi Remco tirerà i remi in barca, per preparare l’assalto alla Vuelta.

«Stacco per una settimana – ha riso – nulla di troppo. Starò accanto a “Oumi” (Oumaima Rayane, la sua compagna, ndr) durante gli esami. Durante l’ultimo stage in altura, lei ha cucinato per me, temo che ora sia arrivato il mio turno. Poi farò un altro ritiro in quota, quindi San Sebastian, un altro breve ritiro, e poi finalmente sarà tempo della Vuelta».

Martinez 2022

Da spalla di Bernal a leader per il Tour. E’ il “nuovo” Martinez

15.04.2022
5 min
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Mentre Daniel Felipe Martinez indossava il simbolo del primato, nella premiazione conclusiva del Giro dei Paesi Baschi, gli occhi dei dirigenti della Ineos Grenadiers brillavano di una luce particolare, che non si vedeva da tempo. Quella luce che si era spenta all’improvviso un giorno di gennaio, quando dalla Colombia arrivavano notizie e soprattutto foto spaventose, legate all’incidente di Egan Bernal. Sembrava, allora, che tutti i piani della squadra fossero finiti nella spazzatura, oggi lo spirito è ben diverso, non solo per le incoraggianti notizie che arrivano dal vincitore del Giro 2021 (per il quale però serve ancora tanta pazienza), ma anche per la voglia di rivalsa che tutta la squadra ci sta mettendo, Martinez in primis.

La vittoria in terra basca, la decima nella carriera del 25enne colombiano, potrebbe aprirgli nuove prospettive. Sin da subito si è cominciato a pensare a lui come punta della squadra britannica per il Tour e l’investitura ufficiale è arrivata da chi il Tour l’ha vinto, Geraint Thomas: «In Francia saranno lui e Yates i leader della squadra, quelli deputati alla caccia alla maglia gialla». Fino a poche settimane fa nessuno si sarebbe aspettato simili parole, ma il Martinez di oggi è ben diverso da quello di allora.

Martinez Zamudio 2022
La volata vincente di Martinez a Zamudio, ma la conquista dei Paesi Baschi verrà in seguito
Martinez Zamudio 2022
La volata vincente di Martinez a Zamudio, ma la conquista dei Paesi Baschi verrà in seguito

Corti il primo a credere in lui

Professionista dal 2015, Martinez inizialmente ha gravitato in ambienti nostrani (anche se non in quanto a licenza delle sue squadre), prima con la Colombia di Claudio Corti, poi con il Wilier Triestina-Southeast con cui ha corso il suo primo Giro d’Italia nel 2017. L’anno dopo, passato all’EF Education First, ha chiuso terzo il Giro di California e concluso il suo primo Tour de France, nel 2019 sono iniziate ad arrivare le prime vittorie e pian piano esse sono diventate di peso sempre maggiore: il Delfinato 2020 (anche grazie al ritiro all’ultima tappa di Roglic), la tappa di Puy Mary al Tour dello stesso anno e appunto il Giro dei Paesi Baschi 2022, con una vittoria di tappa battendo in uno sprint accesissimo un certo Julian Alaphilippe.

Questi i numeri, ma c’è altro. Martinez è sempre stato un corridore da prove a tappe, si è visto sin dai suoi inizi sull’onda della tradizione colombiana: non dimentichiamo che viene da Bogotà, ha sempre vissuto in altura e questo gli ha dato un passaporto fisiologico di prim’ordine. Pian piano però ha acuito le sue doti di resistenza, fino al bellissimo Giro d’Italia dello scorso anno, chiuso al 5° posto dopo aver corso come scudiero della maglia rosa Bernal: «Ho lavorato tanto per questo e mi accorgo che nell’ultima settimana non perdo più brillantezza come avveniva prima, anzi». Al di là dei compiti di squadra, Martinez infatti ha guadagnato posizioni nelle frazioni finali e la cosa non è passata inosservata.

Martinez Bernal 2021
Una foto già storica: Martinez incita e scuote Bernal in crisi. Grazie a lui Egan salverà la rosa
Martinez Bernal 2021
Una foto già storica: Martinez incita e scuote Bernal in crisi. Grazie a lui Egan salverà la rosa

Che urla, su per Sega di Ala…

C’è un giorno, nel Giro 2021, che resta scolpito nella pietra ed è la tappa di Sega di Ala. In quella frazione si è visto anche il carattere e la forza d’animo di Martinez. L’attacco di Simon Yates sembrava poter riaprire il Giro, Bernal improvvisamente era andato in crisi.

Martinez, da buon compagno, si è messo davanti e ha iniziato a pilotarlo, ma non solo con le azioni. Quei metri, quei chilometri sono diventati un lungo viaggio per i due con i ruoli che improvvidamente si sono invertiti, con Martinez che incitava il compagno e non gli ha fatto mancare anche qualche urlo, qualche parolaccia per scuoterlo da quell’apatia che sembrava averlo avvolto.

Avrebbe potuto fare di più in classifica senza essere condizionato dagli obblighi di squadra? Senza di lui Bernal avrebbe vinto ugualmente? Martinez ha sempre evitato di guardare ai “se”: «Egan ha vinto grazie a se stesso, alle sue capacità, non a me, io ho solo aiutato in un momento di difficoltà».

Martinez crono
Per il 25enne di Bogotà 3 titoli nazionali e uno panamericano contro il tempo
Martinez crono
Per il 25enne di Bogotà 3 titoli nazionali e uno panamericano contro il tempo

L’imboscata a Evenepoel

Da allora è passato tempo, alla Ineos hanno fronteggiato vere tempeste dalle quali solo ora iniziano a riemergere e guardano al colombiano quasi come a un salvatore. Uno che sa come muoversi e al Giro dei Paesi Baschi si è visto abbondantemente. Intanto per la sua condotta in gara, per come ha saputo mettere in crisi Evenepoel: «L’idea era di rendere l’ultima tappa davvero dura già prima della salita finale, per prosciugare il serbatoio di energie del belga». Una tattica che ha pagato, con Evenepoel che si sentiva abbastanza sicuro della vittoria alla partenza della frazione finale ma che alla fine ha pagato dazio.

Non c’è però solo questo. Martinez ha dimostrato di sapersi muovere, anche eticamente. Quando Enric Mas è volato via oltre il guardrail, l’incidente ha formato un buco che poteva vanificare ogni prospettiva e lì Martinez si è messo a lavorare proprio con Evenepoel per ricucire la corsa. Rimesse le cose a posto, il colombiano ha ricominciato a lavorare contro il belga, come era giusto che fosse.

Martinez 2016
Daniel Felipe Martinez è nato il 25 aprile 1996. E’ pro’ dal 2015, l’anno dopo era già al Giro
Martinez 2016
Daniel Felipe Martinez è nato il 25 aprile 1996. E’ pro’ dal 2015, l’anno dopo era già al Giro

Pogacar? Già battuto…

Molto si discuterà se Martinez potrà essere una valida alternativa a Pogacar al Tour, ma mettendo insieme gli indizi la risposta sembra essere positiva: in fin dei conti è l’unico non Jumbo Visma che è stato capace di battere lo sloveno in una corsa a tappe (Delfinato 2020); oltre alle sue capacità in salita ha dimostrato di non essere per nulla fermo a cronometro (tre volte campione nazionale e campione panamericano junior); il suo rendimento nei grandi giri è andato sempre migliorando. Da qui a dire che vincerà ce ne corre, ma certamente, se si cerca un’alternativa alla sfida tutta slovena alla Grande Boucle, bisogna guardare anche nella sua direzione.

Da Cavendish a Pozzovivo, tutti quelli in attesa di contratto

29.10.2021
5 min
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Probabilmente a breve firmeranno, ma certo fa un certo effetto rendersi conto che certi corridori che (ciascuno nel suo ambito) hanno fatto la storia, non abbiano ancora firmato il contratto per la prossima stagione. Anche se lo hanno annunciato. Anche se la stretta di mano li ha mandati sereni in vacanza. L’Equipe di oggi si è messa a ragionare sui corridori in cerca di sistemazione, ma la verità è che il computo complessivo è ben più cospicuo. Quello che stupisce è appunto la caratura dei personaggi. I francesi a dire il vero hanno inserito nel mazzo anche Valverde, che tuttavia ha rinnovato con Movistar, annunciando anche che il 2022 sarà la sua ultima stagione in gruppo.

Cavendish in sospeso

E’ ancora in attesa di sapere qualcosa Mark Cavendish, con 156 vittorie da professionista e il record eguagliato di 34 tappe al Tour de France, con tanto di toccante abbraccio con Eddy Merckx. Lo scorso anno il suo arrivo alla Deceuninck-Quick Step fu coperto da uno sponsor portato in dote e probabilmente nessuno poteva aspettarsi che il velocista abulico delle ultime stagioni ritrovasse la verve per vincere 10 corse, fra qui 4 tappe al Tour. Ovviamente adesso gli è venuta voglia di continuare con lo squadrone belga, ma il prolungamento tarda a essere ufficializzato perché le nuove pretese di Mark avrebbero complicato le discussioni.

Thomas avrebbe lasciato la Ineos, ma finirà col restare a… casa
Thomas avrebbe lasciato la Ineos, ma finirà col restare a… casa

Si è ragionato parecchio, ad esempio, sul post carriera del corridore, che vorrebbe assicurarsi un posto nello staff della squadra.

«Vuole rimanere coinvolto con noi – ha detto Patrick Lefevere – e questo mi sembra abbastanza negoziabile».

Tuttavia il grande capo ha anche precisato che al Tour del 2022 il suo velocista di punta sarà Fabio Jakobsen e che Cavendish non lo accompagnerà. A Cavendish i conti tornano? Se è vero, come ci disse Petacchi salutandone il ritorno al top, che la vera differenza nelle motivazioni per Mark la fa proprio la Grande Boucle, sapere in partenza che non vi prenderà parte gli permetterà di lavorare bene? Forse sì. D’altra parte non doveva andare neppure quest’anno, poi i guai di Bennett e le relative tensioni con la squadra, gli hanno permesso di vivere il lieto fine che pochi si aspettavano. Forse neppure lui.

Thomas non si muove

Ancora oltre la Manica, ma questa volta con un gallese che il Tour de France l’ha vinto: Geraint Thomas. La sua situazione si dovrebbe definire a breve, dopo che lo stesso corridore aveva ventilato l’eventualità di cambiare maglia. E la Ineos, dato che “G” non ha concluso per infortuni e cadute il Giro del 2020 e l’ultimo Tour, aveva detto che non avrebbe contrastato le eventuali offerte che avesse ricevuto.

Alla Ineos Grenadiers approda anche Viviani, contratto da firmare e tante belle prospettive
Alla Ineos Grenadiers approda anche Viviani, contratto da firmare e tante belle prospettive

Thomas è stato così avvicinato dalla Cofidis, poi dalla Qhubeka NextHash sulla cui sopravvivenza in attività si nutre più di qualche dubbio. Finirà probabilmente che il vincitore del Tour 2018 rimarrà alla Ineos, ricordando che la sua vittoria al Romandia 2021 lo aveva segnalato nuovamente tra i più forti in gruppo.

La sensazione, parlando di lui con Adriano Malori nelle scorse settimane, è tuttavia che sia arrivato al limite della sopportazione della ferrea disciplina che ha consentito a tanti corridori di quel team di raggiungere i risultati più importanti. Probabilmente in quel gruppo tutti lo sanno, come sanno anche che potrebbe essere rischioso incentrare tutto su Bernal e Carapaz e sfidare apertamente Pogacar e Roglic: meglio avere qualche alternativa.

La rincorsa di Viviani

Poi c’è Viviani, anche se sappiamo che andrà alla Ineos Grenadiers e anche lui ce l’ha confermato qualche settimana fa prima del Giro del Veneto. Ma mai come questa volta il suo contratto è stato laborioso da siglare.

Dopo un anno e mezzo senza vincere, Elia ha vissuto una piccola rinascita dopo le Olimpiadi, con quattro vittorie in Francia e finalmente il mondiale dell’eliminazione di recente a Roubaix.

Mark Padun, rivelazione al Delfinato 2021, rimane al Team Bahrain Victorious?
Mark Padun, rivelazione al Delfinato 2021, rimane al Team Bahrain Victorious?

Le prime voci lo avevano visto all’Astana, ma in quella fase della stagione Vinokourov non aveva ancora riavuto il potere di firma. Poi alla Deceuninck-Quick Step, dove Lefevere non era però parso davvero convinto. Si era parlato persino di Eolo-Kometa, ricordate? Il contratto con la Ineos è quasi un ritorno a casa. Alla corte di Brailsford, Viviani ha vinto le Olimpiadi e se ne andò perché in quel Team Sky non c’era tanto posto per i velocisti, avendo in Froome e Thomas le star indiscusse del Tour. Bernal e Carapaz, come già detto per Thomas, non danno forse le stesse garanzie, per cui Viviani sarà il velocista di punta (fintanto che Ethan Hayter salirà un altro scalino) e avrà accesso a tutte le gare più importanti in calendario.

In ansia per Pozzo

Questi i più grandi, anche se rimangono per il momento senza contratto anche Omar Fraile, 31 anni, campione spagnolo e Mark Padun, 25 anni, rivelazione dell’ultimo Delfinato e poi interprete di una Vuelta abbastanza anonima.

Ha appena trovato… casa Davide Villella (team WorldTour, annuncio prossima settimana), mentre fa fatica a trovare sistemazione un veterano come Rojas. In cerca di sistemazione Liam Bertazzo, iridato del quartetto. E tornando sul fronte dei veterani, siamo un po’ in apprensione per Domenico Pozzovivo: anche lui probabilmente continuerebbe alla Qhubeka-Nexthash, ma è davvero difficile riuscire a capire se il team andrà avanti.

La scadenza, per loro come per tutti, era quella di fine ottobre, ma pagando una penale ogni giorno il termine si può far slittare. Anche se prima o poi l’Uci dovrà avere in mano tutta la documentazione necessaria…