Juniores, anche in Francia il livello si alza…

05.03.2023
6 min
Salva

Il viaggio in Francia con gli juniores del CPS Professional Team è stata un’occasione per “toccare dal vivo” ciò di cui spesso parliamo: come lavorano e com’è il movimento giovanile all’estero. Ed in effetti qualche differenza c’è.

Alcune le abbiamo captate noi stessi semplicemente osservando quanto accadeva: infrastrutture organizzative snelle, ogni ragazzo ha la sua bici, poco gioco di squadra… Altre differenze ce hanno rivelate i direttori sportivi con cui abbiamo parlato: la presenza di “squadre federali” e squadre satellite, il progetto scuola. E in comune? Anche in Francia la categoria juniores sta vivendo una rapida evoluzione.

Manu Cordoba con i suoi ragazzi della Occitaine Cyclisme Formation
Manu Cordoba con i suoi ragazzi della Occitaine Cyclisme Formation

Cordoba, diesse OCF

Manu Cordoba è il direttore sportivo dell’Occitan Cyclisme Formation Juniores con lui partiamo appunto dalla questione dell’importanza di questa categoria, la prima internazionale.

«E’ la categoria più importante – spiega Cordoba – I bambini sono spugne e certe cose le imparano dai piccoli, ma la categoria juniores consente loro di convalidare tutto ciò che hanno appreso prima. In questa fase subentrano infrastrutture tecniche, conoscenze e figure professionali che gli insegnano il mestiere del ciclista». 

«Oggi molti ragazzi sono captati direttamente dai grandi team, ma credo che se ne sia anche abusato. Abbiamo degradato la categoria U23 in Francia perché oggi uno junior corre come fosse un trentenne o un quasi pro’, mentre la categoria U23 può permettere a tutti gli juniores che non sono maturi di crescere e quindi di passare. Oggi (riferito alla Challenge Anthony Perez, ndr) abbiamo 160 ragazzi, ma il prossimo anno ce ne saranno 80 nella categoria superiore. E perdiamo tesserati. Questo anche perché le gare U23 dovrebbero essere vere gare U23 e non gare elite».

Codoba passa poi agli allenamenti, l’altra sfera su cui ci siamo concentrati.

«Non abbiamo un ritiro fisso e non seguo giornalmente i miei ragazzi, ma cerchiamo di fare degli stage. Per esempio veniamo da un training camp in Spagna e magari questa estate ne faremo uno in montagna, Sono momenti di apprendimento e non solo di preparazione.

«Voglio portare i ragazzi alle gare tutti allo stesso livello. Cerco di lavorare in modo equo con tutti. Per me il gruppo è centrale. Oggi molti diesse isolano i corridori meno forti e perdiamo questo senso di gruppo. La bici mi ha insegnato molti valori e voglio condividerli con tutti: quelli bravi e quelli meno bravi, più ricchi e meno ricchi…».

Michel Puntous, della Haute-Garonne. Dietro a questa squadra federale c’è anche il supporto di Specialized Francia
Michel Puntous, della Haute-Garonne. Dietro a questa squadra federale c’è anche il supporto di Specialized Francia

Puntous, Haute-Garonne

A Cordoba segue Michel Puntous, diesse dell’Haute-Garonne, una squadra federale che raccoglie e ha rapporti con diversi team.

«La categoria juniores – spiega Puntous – si sta sviluppando anche in Francia. Noi dell’Haute-Garonne abbiamo questa categoria da 10 anni e da 4 abbiamo creato una squadra di livello internazionale. Andiamo all’estero: Belgio, Spagna… Questa estate abbiamo ottenuto un invito per una corsa in Austria. In tutto faremo 20-22 gare internazionali».

«Prima i migliori juniores andavano in club di divisione nazionale come Aix-en-Provence o Vendée, ora invece vanno direttamente nei team di sviluppo delle squadre professionistiche. Personalmente, ho fatto passare 14 corridori. 

«Non abbiamo un filo diretto con le squadre professionistiche, ma abbiamo una buona rete a livello di comitato dipartimentale che a sua volta ci mette in contatto con le squadre pro’. Ma vale anche il contrario: molti ragazzi vogliono venire da noi. Per esempio quest’anno avevamo 6 posti e 30 candidati. E ci siamo posti un limite di due ragazzi stranieri».

Il dipartimento dell’Haute-Garonne nel Sud-Ovest, rappresenta un grande serbatoio ciclistico per la Francia.

«Non abbiamo un ritiro. Alcuni ragazzi che vivono vicini nei pressi di Tolosa si allenano insieme. Tutti vivono a casa coi genitori anche perché hanno la scuola. Ciò che vogliamo è che abbiano un doppio progetto sportivo e scolastico. A 18 anni ottengono il diploma di maturità (un anno prima rispetto a noi, ndr) e fino ad allora cerchiamo di allenarli senza strafare e oggi ci sono gli strumenti per farlo con potenziometri, piattaforme preparatori.

«I ragazzi devono imparare il mestiere e avere dei margini di miglioramento per quando passeranno. Il nostro obiettivo: prepararli per l’altissimo livello, non essere professionisti da junior. Se imponi loro troppi vincoli sin da adesso, come il nutrizionista, poi come faranno?».

Con Puntous si parla anche di tattiche. Lui dirige una squadra importante e avevamo notato che dopo il primo giorno di gara non c’era stato un grosso gioco di squadra.

«In Francia è complicato farli correre da squadra! Sono pochissimi i team che corrono con un leader. La filosofia è spesso individuale e anche io sostanzialmente la penso così. Voglio dare una possibilità a tutti. Non voglio avere solo uno o due leader e gli altri ragazzi che sono lì solo per loro.

«Poi è anche vero che da due anni a questa parte i ragazzi spesso ci chiedono di designare un leader. Più che altro perché hanno una tattica più chiara. Però non chiudiamo a nessuno. Ripeto, in questi due anni di categoria non voglio bloccare un corridore che magari non ha grandi mezzi e dirgli: “Non avrai mai la tua possibilità».

Xavier Bernat con due ragazzi della As Villemur Cyclisme
Xavier Bernat con due ragazzi della As Villemur Cyclisme

Bernat, Villemur Cyclisme

Xavier Bernat è invece l’organizzatore della due giorni francese, lui dirige la As Villemur Cyclisme, una squadra più piccola e che rientra in quella rete di team satelliti della Haute Garonne.

«In Francia – dice Bernat – la categoria juniores è diventata fondamentale. Ci sono corridori che passano subito alle “Conti” e possono diventare professionisti. Ora chiediamo a questi ragazzi di essere ad un alto livello. Guardate il vincitore di ieri (Giuliano, ndr): erano tre settimane che ogni weekend faceva delle corse con gli elite. E nell’ultima di queste gare è arrivato con il gruppo di testa. La cosa dura è che se non ottengono dei buoni risultati per loro il ciclismo è finito: non trovano un posto nella categoria successiva (come da noi, ndr)».

«Per quanto riguarda la gestione quotidiana dei ragazzi, anche noi non abbiamo un ritiro fisso. Siamo una piccola squadra e facciamo due stage l’anno qui in zona. Ognuno ha il suo preparatore. Anche perché spesso venendo da altre squadre erano legati ad esso e quasi non vogliono venire se non continua a seguirli».

«Abbiamo dei corridori del nostro team che fanno la spola con il team Haute-Garonne, che è una squadra della Federazione. I ragazzi hanno 17-18 anni e non tutti possono andare a correre ogni fine settimana con loro che fanno un’attività più internazionale. Pertanto stiliamo un calendario parallelo: chi può va con loro, chi non può resta a correre con noi. Andiamo d’accordo. Quest’anno per esempio faremo la Liegi Juniores, c’è una buona collaborazione con la Federazione».

La Pomme Marseille, Boggianti parla in inglese con uno atleta giapponese prima del via della Ronde Besseriane
La Pomme Marseille, Boggianti parla in inglese con uno atleta giapponese prima del via della Ronde Besseriane

Boggianti, Pomme Marseille

Jean Michel Boggianti è intento a parlare con i ragazzi de La Pomme-Marseille quando ci avviciniamo per parlare con lui. La sua è una delle squadre più blasonate di Francia.

«In Francia – dice Boggianti – investiamo molte risorse sui giovani perché il ciclismo si sta evolvendo e sempre più juniores stanno diventando professionisti. Cerchiamo di fargli prendere gli automatismi per il mondo dei pro’. Non abbiamo un nostro nutrizionista, ma organizziamo di tanto in tanto degli incontri con mental coach, preparatori, nutrizionisti…».

«In Pomme abbiamo un progetto, un programma di lavoro doppio: uno sportivo e uno scolastico. Per noi l’obiettivo è che i ragazzi abbiano successo, ma non per forza nel ciclismo. Se non avranno una carriera con la bici, che abbiano qualcosa a cui aggrapparsi e quindi che portino avanti il loro percorso di studi. Per questo abbiamo un centro di formazione dove sono fissi, dove dormono, e tre volte a settimana si allenano con noi. I ragazzi vanno a scuola e noi li andiamo a prendere quelle tre volte a settimana.

«Sono 9 ragazzi su 17 che portano avanti questo progetto sport-studio. In Provenza, il nostro dipartimento, vi accedono solo quando hanno raggiunto buoni risultati. Sono classificati come sportivi di alto livello e quindi beneficiano della scuola di sviluppo e ottengono una borsa di studio».

A Boggianti chiediamo se hanno dei fili diretti con le squadre pro’.

«Delle relazioni con i team pro’ ci sono: vedi EF Education-EasyPost o Soudal-Quick Step, ma ci sono soprattutto gli agenti (procuratori, ndr) che vengono da noi per individuare gli atleti». 

Diario dalla Francia. Si torna a casa con una vittoria!

26.02.2023
6 min
Salva

Terzo giorno di trasferta in Francia per i ragazzi del CPS Professional Team. Inaspettatamente sembra sia passato un secolo da quando siamo partiti. Ogni cosa ha già assunto una sua normalità. Almeno in apparenza. La colazione, i rumori, ciò che c’è da mangiare, le abitudini di tutti. Tutto è come in una famiglia.

Il sole splende. Le colline sono più verdi che mai. Il padrone di casa, un signore di mezza età calvo e taciturno, gironzola curioso per la casa. Pensava che gliel’avremmo riconsegnata di buonora, ma così non è. Pertanto dopo qualche convenevole, se ne va dai vicini. Intanto inizia ad alzarsi una leggera brezza.

«Coppi chi?»

A mente fredda si ragiona sulla corsa di ieri ed emergono due cose: che la gambe ci sono e che bisogna correre più compatti.

E su questo punto Gianluca Oddone e Andrea Bardelli impostano la riunione. Riunione che da ieri sera è stata posticipata a questa mattina. I ragazzi erano stanchi e si era andati un po’ troppo lunghi. E poi, tutto sommato, meglio parlare appunto con la mente fredda. Senza l’adrenalina della gara.

Luciano Cordone invece si incarica più di tutti di riordinare la casa. Tutti noi dovremmo a lui un grazie speciale. Intanto, fatta la riunione e assegnati i ruoli, si ammazza il tempo in attesa del pranzo tra giochi online e un simpatico “Questionary” sui campioni del passato. Oddone mostra delle vecchie foto ai ragazzi. Gli suggerisce qualche indizio e loro cercano di indovinare. Ma invano…

“L’apoteosi”? Quando scambiano Freddy Maertens con Freddy Mercury e Fausto Coppi con Fausto MasnadaPer loro il corridore più “antico” è Gianni Bugno! Ogni volta spunta lui.

Ma in fin dei conti c’è poco da stupirsi, questi ragazzi sono nati che Pantani – lui si che lo conoscono – era morto da un anno o due… 

Sale il vento

Si va alla corsa. Il tracciato della Ronde Bessieraine, seconda frazione della Challenge Anthony Perez (per ironia della sorte Perez – Cofidis – oggi ha vinto alla Faun Drome Classic, dovrebbe essere meno duro di quello di ieri. Dovrebbe… L’altimetria lo è in effetti, solo che le strade su queste colline basse e arrotondate, sono scoperte e in cresta il vento è parecchio forte.

E comunque non mancano strappate che sfiorano il 20 per cento neanche oggi. 

Prima del via si scambiano due chiacchiere con la Pomme Marseille, tra le squadre più importanti di Francia. Il loro diesse ammette che l’attacco di ieri al secondo giro dei CPS Professional Team aveva fatto rivedere i piani ai suoi atleti. A quel punto avevano deciso di correre sulle ruote e di attendere le mosse degli italiani. Come abbiamo scritto anche ieri: i CPS avevano mostrato i muscoli con troppo anticipo. 

“Pizzini” volanti

Se il vento ci mette lo zampino, ancora di più ce lo mette lo strappo principale. Fatto sta che la tattica del mattino ben presto è rivista. Ma andare in ammiraglia non è facile e le radioline non ci sono. 

Quindi come si fa per comunicare con i ragazzi? Con i foglietti! In pratica dei “pizzini”. Dal furgone Bardelli prende un pezzo di carta, una penna e appunta il da fare ai suoi atleti. Farsetti, che ha corso ieri, lo segue e oggi tocca a lui fornire assistenza.

Bardelli lo manda 50 metri avanti sulla strada, rispetto alla sua posizione, per avvertire i compagni in corsa: «Ragazzi, il “Bard” vi dà il foglietto». E di solito a prenderlo è Tommaso Bambagioni, il regista in corsa, il più scaltro e uno dei due leader designati. L’altro è Matthias Schwarzbacher o Gabriele De Fabritiis, a seconda di come staranno.

Victoire en France

I ragazzi prendono i foglietti ed eseguono alla lettera. Fuori c’è una pericolosissima fuga di quattro atleti e bisogna tenerla a tiro. Così quattro dei CPS vanno in testa a tirare.

E i ragazzi di Oddone chiudono eccome. Le trenate di De Fabritiis, Di Zio, Rolando e Shyrin ricompattano il gruppo. All’ultima tornata vanno via in otto: tutti i migliori. Come da copione ci sono dentro i due leader, Bambagioni e Schwarzbacher.

Se la giocano alla grande. Matthias parte ai 500 metri, “Bamba” controlla il gruppetto. E’ fatta! Primo e terzo…

Scattano i commenti dopogara. Gli abbracci. I selfie. I complimenti reciproci. L’inno d’Italia nel furgone. Le mani congelate che neanche si riesce a togliere il casco. Il vento in cresta che li faceva pedalare di traverso. O quello contro in valle «che a tutta andavi a 33 all’ora». E’ festa!

«Abbiamo corso da squadra», lo dicono tutti. E ora si riparte dalla Francia, carichi di gioia, con un trofeo in più nel bagagliaio e un’esperienza preziosa in tasca. Un’esperienza che resterà indelebile in questi ragazzi.

Diario dalla Francia. La gamba c’è, domani si attacca

25.02.2023
6 min
Salva

Villemur sur Tarn, Francia. Oggi si corre. E lo si capisce subito. Rispetto a ieri in casa si respira un filo in più di tensione, specialmente in coloro che devono gareggiare appunto. I ragazzi del CPS Professional Team fremono.

La casa pulsa, ma è meno rumorosa. C’è concentrazione ed è normale. Anzi, è giusto. In fin dei conti è la prima corsa dell’anno e per di più, essendo in Francia, si gareggia contro avversari che non si conoscono: due incognite mica da ridere.

La tensione sale

Però i ragazzi non perdono il buonumore. Neanche quando aprono la porta e scoprono che di fuori c’è un freddo cane. I quattro atleti, Joan Rolando, Gabriele De Fabritiis, Simone Di Zio e Tommaso Bambagioni che devono correre domani infatti devono andare alla scoperta del percorso. E si sa che pedalare così non è il massimo della vita. Sul vetro del furgone c’è un dito di ghiaccio.

Restiamo in casa. Noi lavoriamo, gli altri sono piuttosto silenziosi, ammazzano il tempo giocando a scacchi sullo smartphone, gironzolando tra una stanza e l’altra… Si aspetta il pranzo. 

Compagni totali

In questa attesa dopo un’oretta abbondante rientrano i quattro in avanscoperta. Tremano e si fiondano nel camino. Ci mettono mani e piedi. «Ad un certo punto – dice Rolando – sembrava fosse calata la nebbia. Siamo scesi in un punto più umido. Le lenti degli occhiali si sono appannate e quando col dito sono andato per pulirle è venuta via una crosta di ghiaccio». Dopo questa, chi deve correre è ufficialmente nel pallone!

Tutti collaborano. Chi fa la pasta, chi lava i piatti. Mangia prima chi corre, poi agli altri. E questa collaborazione si fa più forte una volta arrivati al ritrovo. Con i quattro che supportano gli altri sei: gli montano i numeri sulle bici e gli fanno persino i massaggi. 

Senza contare il tifo in gara. L’hanno vissuta in prima persona. «Bravi, bravi. Sono davanti. Compatti, da vera squadra», esclama De Fabritiis.

Figurone CPS

La gara è come da noi. Il ritrovo, la riunione dei diesse richiamata con un urlo dalla giudice. E’ il bello del ciclismo giovanile e genuino. Il CPS Professional Team si piazza proprio in prossimità della riunione dei diesse. Tutti devono passare di lì e tutti notano le bici uguali. «Colnagò! Bon velò», dicono i francesi. Forse più colpiti dal fatto che le bici fossero tutte uguali, piuttosto che dal modello. In Francia ognuno corre con la propria bici.

E il figurone qui in Francia lo hanno fatto anche in corsa, almeno in parte. «Oh ma qui sono matti: vanno piano sugli strappi e a tutta in discesa. Comunque si vedeva che eravamo i più forti», ha detto Russo appena dopo la corsa.

E tutto sommato ha ragione. Solo che lo hanno “dimostrato troppo” e nel momento sbagliato della corsa. Insomma hanno scoperto le carte e quando c’è stato un attacco tutti gli altri li aspettavano al varco.

Errori di gioventù. La cosa che fa sorridere è che Dario Giuliano, nome italiano ma francese di fatto, ha fatto esplodere il suo vantaggio proprio nei 3 chilometri di “terra di nessuno” indicati da Bardelli nella riunione della vigilia. Poi i CPS hanno provato a chiudere, ma ormai era tardi. 

Le risposte però sono state positive. Le gambe c’erano. Un ragazzino come Lorenzo Finn alla prima da juniores è stato protagonista. Il più deluso è forse Matthias Schwarzbacher, 15°, colui che alla vigilia voleva attaccare. Ma una gara corposa l’hanno fatta anche Tommaso Farsetti e Danil Shyrin: sempre nel vivo della corsa. «Dovevamo parlarci di più», ammette Farsetti nel viaggio di rientro verso la casa.

Dario Giuliano (classe 2005) da solo al traguardo. La Mapei Classic è sua
Dario Giuliano (classe 2005) da solo al traguardo. La Mapei Classic è sua

Sognando Nibali

Ma in tutto ciò, mentre si pensa e ripensa su quanto accaduto e mentre si aspetta il debriefing per la corsa andata e la riunione per quella che verrà, merita due parole il vincitore, Dario Giuliano.

Quando a due giri e mezzo dall’arrivo è scattato, gli altri ragazzi del CPS a bordo strada hanno subito commentato la sua pedalata potente: «Avete visto “raga”, quanto spingeva. Ed era pure a bocca chiusa».

Quando Giuliano taglia il traguardo ha tutto il tempo di godersi l’arrivo della prima frazione della  Challenge Anthony Perez.

«Era la prima volta che arrivavo da solo in una gara – dice Giuliano – e infatti ho avuto un po’ paura che succedesse qualcosa. Conoscevo i distacchi, lo vedovo dalla modo e me li dava l’ammiraglia. E conoscevo anche questa corsa. Io vivo verso i Pirenei, a 200 chilometri da qui, ma la mia squadra (la Cyclisme Comminges – Garonne, ndr) non è di questa zona. Lo scorso anno avevo fatto settimo e volevo fare bene. Certo, non pensavo di vincere»

«Il mio nome italiano? Mio nonno era di Cuneo. Capisco qualche parola d’italiano ma non lo parlo. Però il mio corridore preferito è italiano. Anzi, era: Vincenzo Nibali». 

Intanto mentre pubblichiamo questo articolo in casa CPS si mangia. Un riso fumante per i ragazzi, un buon rosso per noi grandi. E via a sognare altri traguardi. E con le gambe di oggi si può sognare eccome…

“Attaque de Rolland”, ma l’uomo delle fughe ha detto stop

30.12.2022
5 min
Salva

La vicenda che ha portato alla cancellazione della B&B Hotels Ktm è costata un’improvvisa fine di carriera per Pierre Rolland (nella foto di apertura di Aurelien Vialatte), che appende la bici al chiodo a 36 anni. Un corridore con alle spalle 16 anni di professionismo, conditi da 14 vittorie. Ma non sono tanto o solo queste a rendere la notizia del suo addio diversa dalle altre. Rolland non è stato un corridore comune, per molti aspetti.

Innanzitutto, per capire la sua importanza, Rolland va collocato nel tempo. Passato molto giovane, il corridore di Gien si collocò in un periodo davvero difficile per il ciclismo transalpino. Erano molti anni che si attendeva un ciclista capace di vincere il Tour e questa attesa ammantava ogni nuovo talento di un profondo carico di responsabilità. Nei primi anni, Rolland diede nuova linfa a queste aspettative, con piazzamenti di livello (la vittoria nella classifica degli scalatori al Criterium del Delfinato 2008 che gli valse anche la convocazione per le Olimpiadi di Pechino) fino ad accompagnare nel 2011 il grande sogno di Thomas Voeckler di vincere la Grande Boucle.

Alla B&B dal 2020, Pierre paga la crisi del team. Chiude con 14 vittorie, tra cui 2 al Tour
Alla B&B dal 2020, Pierre paga la crisi del team. Chiude con 14 vittorie, tra cui 2 al Tour

In fuga solamente per vincere

Il giorno della tappa dell’Alpe d’Huez, Rolland era al fianco della maglia gialla, a due sole frazioni dal termine. Voeckler è sempre stato un ciclista molto presente a se stesso e a un certo punto disse al più giovane compagno di non trattenersi e andare per la sua strada. Rolland partì all’attacco infiammando i cronisti locali: staccò Contador e Sanchez, non due qualunque e conquistò una delle frazioni più iconiche della corsa francese, condendola con la vittoria della classifica per i giovani.

Poteva, anzi doveva essere il suo trampolino di lancio. Ma i tempi non erano ancora maturi (e a ben guardare non lo sono ancora, se l’ultimo francese vincitore della corsa di casa resta Bernard Hinault nel 1985…) e Rolland se ne rese presto conto. Era approdato alla Cannondale per fare classifica, fu un passaggio non senza contraccolpi, a cominciare dal fatto di essere costretto a imparare l’inglese. Nel frattempo però qualcosa stava cambiando nel suo modo di correre. Forse era nato tutto da quella fuga all’Alpe d’Huez: «Non sarei mai andato in fuga per essere secondo o terzo – aveva affermato subito dopo la conquista del traguardo – quando sono partito avevo in mente solo la vittoria e nulla mi avrebbe fermato».

L’azione decisiva sull’Alpe d’Huez. Contador prova a tenerlo, ma il francese andrà via di forza
L’azione decisiva sull’Alpe d’Huez. Contador prova a tenerlo, ma il francese andrà via di forza

Il capolavoro del Giro 2017

Fuga. Rolland ha messo un po’ da parte le sue ambizioni di classifica per diventare uomo da fughe. Per certi versi in tal modo è riuscito a sopravvivere all’ascensione di nuovi talenti e non parliamo solo dei vari Pogacar, Van Aert e compagnia cantando, ma anche in casa, vedi il pluriridato Alaphilippe. Ma c’era qualcosa in più. Per Rolland la fuga “era” il ciclismo, dava un significato al tutto. Non vogliamo scomodare la filosofia (c’è Guillaume Martin per quello…), ma per il transalpino andare in fuga era una sorta di sfida alla sorte: ci sarà la spinta giusta del vento? Il gruppo si coalizzerà o le beghe interne daranno via libera? La strada sarà quella giusta per compiere l’impresa? Ogni volta una scommessa, ogni volta una lotteria del destino. Ma già essere lì a gettare i dadi sul tavolo era un successo, vivere quell’attesa per il responso.

Nel 2017 Rolland compie il capolavoro, che dà un senso a questa nuova dimensione: nella tappa di Canazei al Giro d’Italia se ne va alla partenza insieme ad altri 23, nessuno gli dà credito (e come si potrebbe…), tutti pensano alla classica fuga ripresa dal gruppo quando si farà sul serio, invece Rolland resta lì e a 8 chilometri dal traguardo piazza la stoccata decisiva, con 24” su Rui Costa, già battuto una settimana prima da Fraile. Il destino sa essere anche beffardo…

La vittoria autoritaria di Rolland a Canazei, Giro d’Italia 2017. L’apoteosi per chi ama le fughe come lui
La vittoria autoritaria di Rolland a Canazei, Giro d’Italia 2017. L’apoteosi per chi ama le fughe come lui

Pensate ai disoccupati della B&B

Rolland avrebbe anche potuto continuare. Voleva farlo, ma poi ha riflettuto. In fin dei conti, la carriera gli aveva già dato quel che chiedeva: «Posso chiudere a buon livello e non in fondo al gruppo, dimenticato. Il futuro è una pagina tutta da scrivere, forse rimarrò nell’ambiente, i progetti ci sono e devono solo essere messi in pratica. Ad esempio potrei rimanere nell’ambiente dedicandomi alle prove un po’ più lunghe, le ultra. Pedalare mi piace ancora e mi piacerà sempre».

Quando le prime voci sul dissesto della B&B erano iniziate a circolare, qualche team aveva anche tentato un approccio, ma Rolland aveva risposto garbatamente: «Ho consigliato a tutti coloro che mi chiamavano di puntare su un collega più giovane, uno di quelli che avrebbe dovuto condividere con me l’avventura del team di Pineau e si è ritrovato senza lavoro. Io una sistemazione la trovo, anche se non agonistica, anche se non più in questo mondo di corridori che ho frequentato per anni girando il pianeta».

Rolland, miglior giovane al Tour 2011, con gli altri vincitori, Sanchez, Cavendish e Evans
Rolland, miglior giovane al Tour 2011, con Sanchez, primo fra gli scalatori

L’importanza dei tifosi

L’ultimo pensiero nel mettere da parte bici, maglietta, casco e quant’altro è stato per i tifosi: «Ci tengo a ringraziarli, coloro che mi hanno sostenuto per tutta la mia carriera, che hanno appoggiato le mie scelte e per le strade urlavano il mio nome: “Attaque de Pierre Rolland” era diventato quasi un mantra, lanciato da L’Equipe e che i tifosi avevano preso come slogan. Mi dispiacerà non sentirlo più…».

Lo sponsor sparisce, Pineau affonda: un film già visto

07.12.2022
5 min
Salva

Emanuele Galbusera fu profeta involontario. «La battaglia storica – disse nell’intervista di metà ottobre – è sempre stata quella di patrimonializzare e responsabilizzare le società sportive, perché abbiano più certezze e non dipendano solo dagli sponsor».

L’obiettivo non è stato raggiunto, quantomeno non da tutti. Così nel giro di pochi mesi, il ciclismo professionistico ha visto svanire due squadre che, in rapporto alla loro grandezza, ne hanno fatto la storia recente. La Drone Hopper di Savio e Bellini e da ultimo la B&B Hotels di Jerome Pineau, che la scorsa settimana all’improvviso ha parlato con i suoi corridori per dirgli che erano liberi di trovarsi un’altra squadra per la prossima stagione.

Promesse mancate

Da una parte lo sponsor dei droni: una startup che ha fatto il passo più lungo della gamba e che, a quanto si è capito, potrebbe aver pagato (almeno finché lo ha fatto) con i fondi europei ricevuti per lo sviluppo aziendale. Di mezzo ci sono andati Savio e anche RCS Sport, che a quanto si dice a Drone Hopper avrebbe voluto fare ricorso per progetti legati al Giro.

Sulla sponda francese invece a venir meno sarebbe stato un grosso sponsor da 15 milioni l’anno. I più informati hanno parlato del Gruppo LVMH per gli uomini e di Sephora per le donne, che aveva ingolosito l’ex professionista francese. Pineau aveva messo in tavola un progetto importante, che prevedeva anche la nascita di un team femminile e l’ingaggio di Mark Cavendish come faro, con Maximilian Richeze al suo fianco. Invece alla fine non se ne farà nulla.

Rolland è arrivato nella squadra di Pineau dal 2019 e avrebbe avuto il contratto fino al 2023
Rolland è arrivato nella squadra di Pineau dal 2019 e avrebbe avuto il contratto fino al 2023

La vecchia strada

La stampa francese sta approfondendo, in attesa che Pineau si decida a raccontare la sua versione: cosa che non farà prima di aver presentato all’UCI il dossier completo. Non certo quello che si aspettava di produrre.

Ad attrarre Pineau sarebbero stati stati i suoi rapporti con Didier Quillot, ex direttore generale esecutivo della Professional Football League e responsabile del contratto per i diritti televisivi del gruppo Mediapro. E’ indubbio che con una simile introduzione, si siano aperte tante porte, che però non hanno prodotti gli esiti sperati. L’errore di Pineau, preso da tanta enfasi, è stato anche quello di lasciare la strada vecchia per la nuova. Ha infatti tagliato i ponti con la Regione Bretagna, che aveva sostenuto finanziariamente la sua avventura ciclistica sin dagli esordi, e si è trovato con l’acqua alla gola.

L’ultima vittoria 2022 del team è arrivata alla CRO Race per mano di Laurance, sul nostro Milan
L’ultima vittoria 2022 del team è arrivata alla CRO Race per mano di Laurance, sul nostro Milan

Cosa fa B&B?

Nonostante le difficoltà siano improvvisamente divenute evidenti, i corridori hanno continuato a restare vicino al loro team manager. Pierre Rolland e lo stesso Mozzato, nonostante avessero parecchie richieste, hanno continuato ad avere fiducia, fino a quando è stato evidente che avrebbero fatto meglio a trovarsi una sistemazione

I corridori sotto contratto erano circa una ventina, cui va aggiunto tutto il personale, nel momento della stagione in cui i budget sono ormai tutti assegnati. Pineau starebbe ora cercando di creare una continental, come fatto da Savio, per tornare fra i grandi dal 2024. Ma a questo punto il rischio è che proprio lo sponsor B&B Hotels, che tanto era parso interessato al team femminile, possa decidere di non proseguire, dato che di certo come continental le porte del Tour saranno chiuse.

Per Mozzato potrebbero aprirsi le porte di una WorldTour: si parla dell’interessamento di Trek e Arkea (foto Instagram)
Per Mozzato potrebbero aprirsi le porte di una WorldTour: si parla dell’interessamento di Trek e Arkea (foto Instagram)

Il destino di Mozzato

Quelli che sono riusciti ad accasarsi sono davvero pochi. Koretzky ha firmato con la Bora-Hansgrohe. Bonnamour, rivelazione del Tour 2021 che curiosamente non ha un procuratore, sarebbe vicino alla firma. Laurance, secondo a Plouay, potrebbe approdare alla Soudal-Quick Step, mentre Rolland sarebbe vicino al mentore di sempre, Bernaudeau e al suo sponsor Total Energies. 

Nel mazzo c’è anche Luca Mozzato, che si sta allenando mentre il suo manager è al lavoro per risolvere la situazione. Le voci di mercato, per ora ancora confuse, hanno parlato di interessamenti da parte della Trek-Segafredo e della Arkea-Samsic, che con l’arrivo delle bici Bianchi potrebbe gradire la presenza del terzo miglior italiano del 2022. Ma anche per Mozzato, il finale della storia è ancora tutto da scrivere.

Christophe Laporte: un grande anno verso Parigi 2024

18.10.2022
5 min
Salva

E’ un po’ il destino dei mondiali di ciclismo. Passano i giorni e ci si ricorda del vincitore, molto meno di chi lo ha accompagnato sul podio. Il fatto è che quello di Christophe Laporte è un secondo posto di spessore, definirlo il “primo dei battuti” come storicamente si fa nell’ambiente sarebbe riduttivo se non addirittura errato. Perché quel secondo posto, seppur lontano dal dominante Evenepoel, ha grandi significati che sfociano nel passato e nel futuro.

Il francese della Jumbo-Visma, approdato quest’anno nella corazzata olandese, è stato una delle grandi sorprese dell’anno, innanzitutto perché ha portato a casa qualcosa come 5 vittorie, poi perché ha saputo ritagliarsi uno spazio importante in una formazione, quella piena di big, che non era scontato. Nell’anno delle sfortune e delle difficoltà dell’ex iridato Alaphilippe, il quasi trentenne di La Seyne sur Mer si è sostituito al popolare LouLou mantenendo il ciclismo transalpino in prima pagina. Chiusa la stagione con la Parigi-Tours, Laporte si è sottoposto di buon grado alle nostre domande.

L’ultima vittoria della stagione, al Memorial Vandenbroucke. Per lui 5 successi e 12 Top 10
L’ultima vittoria della stagione, al Memorial Vandenbroucke. Per lui 5 successi e 12 Top 10
Come giudichi questo tuo primo anno alla Jumbo-Visma?

Decisamente positivo, oltre le mie aspettative. Ci sono stati molti momenti davvero speciali, credo di poter dire di aver lasciato il segno in generale in una stagione eccezionale per il mio team.

Molti pensavano al tuo arrivo che avresti fatto da supporto ai capitani, invece hai recitato un ruolo primario, soprattutto nelle corse in linea. Con che spirito sei entrato in squadra e che accoglienza hai trovato?

Tutto è nato al primo approccio con i dirigenti del team. Avevo chiesto espressamente se dovevo entrare come un semplice gregario o avrei avuto anche i miei spazi, era un fattore importante per la mia scelta considerando che non sono un ragazzino e ogni decisione non è detto abbia margini di cambiamenti. Questi spazi mi erano stati garantiti e alla fine mi sono stati dati anche oltre le mie speranze, ho avuto un ruolo centrale sia come finalizzatore, ma anche, anzi soprattutto in supporto ai capitani. Era importante per me poter puntare con decisione alle classiche e la squadra mi ha supportato nella maniera migliore.

Il francese con Vingegaard e Van Aert. Il clima nel team è per lui l’arma in più
Il francese con Vingegaard e Van Aert. Il clima nel team è per lui l’arma in più
Visti i risultati di questa stagione, hai mai pensato che in un altro team avresti avuto maggiore libertà, soprattutto nei grandi giri?

No, ho potuto avere le mie possibilità ma soprattutto ho potuto gioire dei successi dei compagni. Abbiamo lavorato bene tutti insieme. Poi vincere una tappa al Tour de France per un francese vale tantissimo.

Laporte è un grande interprete delle classiche, ma ha le caratteristiche per poter far bene anche nelle corse a tappe?

Stando alla Jumbo Visma non è un problema, le mie caratteristiche sono quelle di un corridore da corse di un giorno, abbiamo molti capitani per le gare a tappe come Roglic, Vingegaard, anche Van Aert, alla classifica pensano loro e io posso dare loro un aiuto, ma io sono contento degli spazi che mi sono ritagliato. Ci potranno anche essere occasioni per far bene, al Giro di Danimarca credo di averlo dimostrato, certamente non può essere il Tour de France, almeno non per la classifica. Credo comunque che posso ancora crescere e impratichirmi nella gestione del team per una breve corsa a tappe. Il mio obiettivo restano però le classiche. 

L’abbraccio con Van Aert all’arrivo di Cahors, Tour ’22. Una vittoria in “stile Laporte”
L’abbraccio con Van Aert all’arrivo di Cahors, Tour ’22. Una vittoria in “stile Laporte”
Torniamo a Wollongong: l’argento mondiale lo vedi come una medaglia guadagnata o un’occasione perduta?

Su questo non ho dubbi, una medaglia d’argento è una medaglia conquistata. Quando sali sul palco significa che hai vinto qualche cosa, al mondiale essere sul podio è un grande risultato, c’è stato solo un corridore che ha fatto meglio, tutto qua. Alla fine ero contento e credo che si sia visto.

Visti i tuoi risultati, ora molti in Francia sognano un tuo trionfo a Parigi 2024. Alle Olimpiadi ci stai pensando e che valore hanno per te?

Assolutamente sì, sono un obiettivo primario. Partecipare alle Olimpiadi è il sogno di tutti, figuriamoci poterlo fare a Parigi per un francese come me. Ci sto pensando e so che posso far bene. Per ora il mio pensiero è guadagnarmi la selezione, ma poi certamente partirò con un preciso obiettivo in mente, trasformare un sogno in realtà, perché è quella corsa che può contraddistinguere un’intera carriera, è la più importante di tutte.

Laporte con Evenepoel e Matthews. Ai mondiali ha vinto lo sprint dei battuti a 2’21” da Remco
Laporte con Evenepoel e Matthews. Ai mondiali ha vinto lo sprint dei battuti a 2’21” da Remco
La Francia ha vissuto nel ciclismo su strada una lunghissima crisi, ora con te, Alaphilippe e molti altri è tornata protagonista: che cosa è cambiato?

Non parlerei proprio di crisi nel ciclismo su strada perché nel corso degli anni ci sono sempre stati corridori molto buoni. Forse non siamo il Belgio che vive di ciclismo, ma se guardate bene ora abbiamo una bella generazione di campioni. Molti però vedono solo il fatto che siamo tutti orientati verso le classiche e non ci sono grandi specialisti per i giri di tre settimane. Il Tour de France manca ai nostri corridori da decenni e questo pesa. Le cose però sono convinto che stiano cambiando, dagli junior stanno uscendo fuori autentici talenti per le corse a tappe e quindi il ricambio non mancherà. Il ciclismo francese ha davanti a sé un gran bel futuro e io nonostante i miei 29 anni voglio farne parte.

Axel Zingle dalla A alla Z. Conosciamolo meglio con Damiani

08.04.2022
6 min
Salva

C’è un giovane francese di cui ci aveva parlato Roberto Damiani, il suo diesse, in termini più che positivi quasi due mesi fa. E noi incuriositi vorremmo sapere tutto di questo ragazzo. Dalla A alla Z, è il proprio il caso di dire. Stiamo parlando di Axel Zingle, ventitreenne della Cofidis in rampa di lancio in questa prima parte di 2022.

Per la verità ha già spiccato il suo primo volo verso la vittoria il 1° aprile conquistando La Route Adélie de Vitré (foto in apertura, ne abbiamo già parlato a proposito di Samuele Manfredi), semi-classica che si corre sulle strade nervose della Bretagna. E qualche giorno dopo, alla prima tappa del Circuite de la Sarthe (in programma dal 4 all’8 aprile), ha sfiorato il bis chiudendo terzo dietro Mads Pedersen (Trek-Segafredo) e Benoit Cosnefroy (Ag2R-Citroen).

L’emozione della prima

«Sono super felice – ha dichiarato Zingle, nativo di Mulhouse – aspettavo con impazienza il mio primo successo tra i pro’. Abbiamo fatto una grande corsa collettiva. Il nostro team si è preso le proprie responsabilità, tutti hanno dato il massimo ed io nel finale ho dovuto solo attaccare. E’ ancora più bello vincere con stile, in questo modo. Conosco sia Dorian che Valentin (rispettivamente Godon e Ferron, secondo e terzo, ndr) e sapevo che potevo essere più veloce di loro. Non ho esitato molto, sono partito ai 250 metri e non mi sono più girato. Questa vittoria mi permette di raggiungere un nuovo livello e spero di continuare così».

Se davvero ora Zingle – già campione francese negli U23 nel 2020 – abbia raggiunto un nuovo livello lo abbiamo chiesto a Damiani, che in lui vede un atleta di prospettiva e che ci aveva consigliato di seguirlo con attenzione.

Roberto come lo avete individuato?

Sono stati i miei colleghi francesi che lo avevano visionato quando correva tra gli U23 nel Centre Cycliste d’Etupes. Nel 2020 ha fatto uno stage con la Nippo Delko e l’anno scorso con noi, dopo che ce lo avevano proposto. Onestamente non lo conoscevo però ad agosto ce l’ho avuto al Tour Poitou-Charentes ed ho subito avuto una buona impressione. Ho visto che quando gli abbiamo chiesto un certo tipo di supporto alla squadra lo ha fatto senza problemi. Addirittura, quando lo abbiamo lasciato libero da vari compiti, nel finale nell’ultima tappa (dove si è piazzato sesto, ndr) era là davanti con una bella dose di personalità. Non è stato difficile fargli il contratto per il 2022.

Com’è stata la sua vittoria?

Vitrè è una corsa poco conosciuta in Italia ma di buon livello. Si disputa su un circuito nervoso da ripetere otto volte e fa parte della Coupe de France, challenge molto sentita dai francesi. Lì ha confermato quanto vi avevo detto di lui la volta scorsa. Oltre a sapersi gestire e tenere le prime posizioni sui vari strappi, ha fatto una grande volata battendo un rivale tosto come Godon. Quel giorno abbiamo fatto un buon controllo della gara ed abbiamo piazzato quinto Anthony Perez che è stato il nostro regista nel finale. E’ stato lui che ha suggerito ad Axel di partire in contropiede.

Anche il terzo posto a La Sarthe vale tanto…

Anche lì è partito un gruppetto, addirittura a quasi 70 chilometri dal traguardo. Anche per stessa ammissione di Pedersen è stata una tappa bella dura, con lotta fin dalle prime battute, come capita ormai sempre più frequentemente. Il fatto di essere in mezzo a corridori come il danese, Cosnefroy, Ganna e tanti altri è stata un’altra dimostrazione di grande personalità. Anche se è una parola negativa, per me Axel ha quell’egoismo buono e sano di quei corridori che corrono per vincere. Quando la gara entra nel vivo, e lui è presente, non ha problemi né ad aiutare i compagni né ad andare a cercare la vittoria in prima persona.

E quest’anno come sta andando, vittoria a parte?

Finora ha svolto un buon lavoro per la squadra al Saudi Tour e al Tour de Provence. Quando ha avuto carta libera ha cercato di sfruttare al meglio le occasioni centrando anche due settimi posti. Ha avuto qualche problema di salute, si è ammalato ad inizio marzo. Peccato, perché volevamo fargli fare Laigueglia e Tirreno-Adriatico, quest’ultima poteva essere ideale per le sue caratteristiche. Quando è rientrato ha mostrato le sue qualità da uomo da classiche vallonate.

Che calendario avete previsto per lui dopo questi risultati?

Ne dovremo parlare fra noi tecnici e preparatori, ma penso che per lui sia una buona occasione correre gare come la Freccia Vallone. Tra le classiche delle Ardenne è quella più indicata per inserire giovani come lui. Un po’ per il percorso impegnativo, un po’ perché non essendo più di 200 chilometri ti dà la possibilità di farlo crescere in modo graduale. Perché l’errore imperativo, nel processo di crescita dei giovani che stanno andando bene, è quello di fargli fare troppo poco o troppo in generale. La capacità di gestire bene un giovane sta in questo equilibrio. Poi potrebbe disputare anche la Liegi per capire che tipo di gara è e per fare esperienza. Anzi vi dirò di più…

Spiegaci pure…

Per me, per le sue caratteristiche e per come si sta evolvendo la Milano-Sanremo, nei prossimi anni potrebbe essere un corridore protagonista su Cipressa e Poggio. Infatti se non si fosse ammalato, quest’anno lo avremmo portato alla Classicissima per fargliela provare. In allenamento è una cosa, in corsa è un’altra. Queste grandi classiche prima vanno conosciute. Qui prendi le botte ed impari mentre nelle gare più adatte a te vai dentro per fare risultato.

Axel che tipo è?

E’ un ragazzo tanto tranquillo giù dalla bici quanto determinato in corsa. Non ha particolari grilli per la testa. La sua determinazione sta nel fatto che lui sa che si sta giocando delle buone opportunità in questi mesi e lo sta facendo al meglio. Di lui mi piace molto, lo ripeto, che ha quella giusta aggressività agonistica che non fa mai male. Inoltre come succede per tanti ha un passato da ciclocrossista e biker (due medaglie europee da junior nel 2016 e da U23 nella Mtb ha corso col Team Absolute Absalon, ndr) e queste esperienze tornano sempre utili.

Hai avuto tanti corridori nella tua carriera, chi ti ricorda a grandi linee?

Non è mai bello fare paragoni perché è sempre difficile però per caratteristiche il primo che mi viene in mente è Diego Ulissi. Tra l’altro proprio quando eravamo assieme alla Lampre, gli avevamo fatto fare la Freccia Vallone con l’idea di fargli fare risultato, dove infatti fece nono (era il 2012, ndr). Forse Axel è un po’ più potente di lui ma ognuno poi ha le sue caratteristiche.

Hubert e la Arkea-Samsic nell’anticamera di un anno decisivo

26.01.2022
4 min
Salva

Dicono che Emmanuel Hubert sia un tipo strano, ma quando ci parli ti rendi conto che la stranezza sia probabilmente nell’essere poco francese, se non per l’orgoglio. Così ora che la Qhubeka ha cessato di esistere e per la Arkea-Samsic si è aperto un varco importante nelle gare WorldTour, il bretone di Saint Malo ha iniziato a ricambiare i… complimenti ricevuti da chi sui social ha sempre guardato il suo team con sufficienza.

«Vogliamo puntare al massimo delle vittorie – ha detto a L’Equipe – piuttosto che al nono posto. Partire con ambizioni è importante e 15 vittorie non sono un obiettivo esagerato per una squadra come la Arkéa-Samsic. Non è apparenza, come annunciare che vincerai una tappa del Tour de France. Piuttosto è importante che il messaggio ora passi anche ai corridori».

Emmanuel Hubert, classe 1970, è stato corridore dal 1994 al 1997 (foto Arkea-Samsic)
Emmanuel Hubert, classe 1970, è stato corridore dal 1994 al 1997 (foto Arkea-Samsic)

«Non li conosco più come un tempo – ha continuato – per via delle mie responsabilità manageriali. Non ho il tempo di seguirli in prima persona, ma questi sono i problemi che deve affrontare un imprenditore. Una squadra di ciclismo oggi si presenta come una vera e propria azienda. Al di là delle questioni sportive che restano alla base del nostro impegno, ci sono anche enormi questioni finanziarie. E’ cambiato tutto».

Quintana isolato

La squadra francese è diventata l’approdo di parecchi grossi nomi, da Quintana a Bouhanni, passando per Warren Barguil. Grossi nomi, certo, ma in attesa di rilancio, allettati anche dalle generose proposte economiche.

Quintana finora non ha reso per quanto ci si aspettava, ma ha aiutato la squadra a progredire
Quintana finora non ha reso per quanto ci si aspettava, ma ha aiutato la squadra a progredire

«Forse davvero versiamo loro un sacco di soldi – ha spiegato – ma questo non toglie la voglia di vincere le gare, ne sono convinto. Ne ho parlato con Nairo (Quintana, ndr) e anche se ha già un palmares importante, so che vuole sempre di più. Certo, parlando di lui, magari non ha vinto come ci si aspettava. Il 2020 è stato all’altezza delle aspettative, il 2021 un po’ meno, anche a causa dei due interventi alle ginocchia. Tuttavia ci ha fatto progredire.

«Grazie a lui – ha spiegato Hubert – siamo diventati più professionali. Ma il vero problema è che venendo da noi ha dovuto scendere di livello. Logisticamente certo, perché non abbiamo la stessa struttura di Movistar. Ma anche perché non ha trovato la stessa abnegazione tra i suoi compagni di squadra. Mi dispiace ammetterlo, ma la dedizione di un compagno di squadra spagnolo per il suo leader non ha nulla a che vedere con quella di un compagno di squadra francese. Per avere successo, Nairo dovrebbe avere un team veramente dedito alla sua causa e quattro o cinque corridori al suo servizio esclusivo».

Dieci podi per Bouhanni nel 2021, qui l’ultimo di stagione: 2° nel Gp Jef Scherens dietro Bonifazio
Dieci podi per Bouhanni nel 2021, qui l’ultimo di stagione: 2° nel Gp Jef Scherens dietro Bonifazio

Riscatto Bouhanni

E mentre da questa parte delle Alpi siamo tutti curiosi di conoscere lo sviluppo del giovane Verre, l’attenzione della stampa francese si focalizza anche su Nacer Bouhanni, ai cui problemi si sono aggiunte la caduta e la commozione cerebrale di 5 giorni fa per una caduta in allenamento. 

«Normalmente avrebbe dovuto portarci una decina di vittorie all’anno – ha detto ancora Hubert – ed è il motivo per cui lo abbiamo preso. Gliene ho parlato di recente e lui ne è consapevole. In sua difesa, la stagione si è complicata con la squalifica dopo il gesto pericoloso al GP di Cholet (il francese è stato fermato per due mesi dall’UCI per condotta pericolosa allo sprint, ndr) e adesso la caduta. Con un po’ di fortuna avrebbe poi potuto vincere una tappa del Tour. Ma non è con i se che si riempie la bacheca dei trofei…».

Social violenti

Perciò il 2022 dovrebbe e a suo avviso potrà essere un anno di riscatto importante, per togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Se non altro per rimandare al mittente le critiche anonime di chi spara a zero sul web.

Lui è Donovan Grondin, classe 2000, iridato a Roubaix nello scratch (foto Arkea-Samsic)
Lui è Donovan Grondin, classe 2000, iridato a Roubaix nello scratch (foto Arkea-Samsic)

«Sui social – ha detto Hubert – molti si scatenano in modo anonimo, ma con parole molto difficili da accettare. Spesso è ingiusto per quello che siamo e l’impegno che ci mettiamo. Abbiamo vissuto molto male lo scoppio di odio razzista contro Bouhanni la scorsa primavera dopo l’incidente dello sprint a Cholet. E’ stata una grande sofferenza. Ma mi fa altrettanto male leggere i messaggi violenti che riguardano le altre squadre. Preferirei di gran lunga che mi dicessero in faccia che abbiamo una squadra di merda e che così potrei spiegare tutta la difficoltà di esistere ai massimi livelli».

In punta dei piedi da Germani, fra ambizioni e futuro

23.01.2022
8 min
Salva

La statua di Tommaso d’Aquino dal monte scruta la valle. Dicono che l’abbiano fatta con il naso troppo grande, ma anche le mani non scherzano. Germani fa strada e in meno di mezza giornata ci racconta di sé, del ciclismo, della sua famiglia e del paese che ama da morire.

Roccasecca, ottomila abitanti in provincia di Frosinone, paese natale del santo. Un po’ sopra verso il castello e gli altri sotto, verso la stazione. Rispettivamente Spaccapret e Ciauttegl. Lorenzo oltre a vestire la maglia della Groupama FDJ Continental, appartiene orgogliosamente a quelli giù in basso. Ma chi è Germani e perché siamo venuti fin qui?

A Roccasecca nel 1225 è nato di San Tommaso d’Aquino
Qui è nato San Tommaso d’Aquino, teologo, nel 1225

Subito in Francia

Con tre vittorie al primo anno da junior alla Work Service e due al secondo, 1,80 per 62 chili, il laziale è passato nella continental francese, in cui i corridori sono equiparati ai professionisti, per cui sono assunti dal gruppo sportivo e, in quanto dipendenti, hanno anche il versamento dei contributi.

«Quando ho finito gli juniores – dice – l’idea fissa era di andare all’estero e sono contento della scelta. Non sarei mai passato professionista direttamente. Tre anni da U23 vorrei farli e quando ne avrò 21 sarò pronto per salire un altro gradino. Certo, se non hai agganci, allora firmi subito. Ma se puoi scegliere di firmare per passare dopo altri due anni, allora permetti al fisico di formarsi meglio, vieni comunque pagato e ti versano i contributi, metti insieme più esperienza e hai un anno in più per imparare e semmai sbagliare. Perché quando poi vai di là, gli errori iniziano a contarli…».

Migrante a 16 anni

Il suo mondo è parallelo alla via Casilina. C’è la casa dei genitori, Barbara e Maurizio, e c’è la casa dei nonni, Rina e Luigi, in cui per stare più vicino alla scuola vivono il fratello Matteo e Rocky, il cagnolino trovato in allenamento e strappato da un casolare in cui avrebbe fatto una brutta fine. In mezzo c’è uno spaccato di ricordi e sapori radicati profondamente. Forse perché per seguire il sogno di diventare un campione, a 16 anni dovette andarsene di casa e prese la residenza a Massa. Per correre e finire il liceo scientifico: al Sud si studia bene, ma non si corre.

Lui cominciò in una squadra di amatori per seguire il padre Maurizio, poi corse alla Civitavecchiese di Roberto Petito, alla Velo Sport di Mario Morsilli e poi da junior passò alla Work Service.

«Quando lo dissi a lei – sorride all’indirizzo della madre che si commuove e annuisce – si mise a piangere. Singhiozzava e chiedeva chi mi avrebbe lavato i panni e fatto fa mangiare, ma io ormai avevo deciso. Andai su grazie a Bongiorni, Mario Mosti e Berti e sono stato benissimo. In proporzione è stato meno complicato andare in Francia, anche se stare tanto lontano con il Covid non è stato semplice.

«E fra poco si riparte. Da marzo ci vorranno tutti in ritiro a Besancon e su piove sempre, non come qua. Porterò la macchina di mia madre, altrimenti fare la spesa con bici e zainetto è un supplizio. Quest’anno ho ripreso prima perché ho finito presto a causa dell’incidente. Ho fatto insieme riabilitazione e preparazione anche grazie a Stefano Bellucci, il fisioterapista di fiducia, che lavora nel centro di Gerardo Palmisano a Monte San Giovanni Campano, vicino Sora».

Lorenzo cucina da sé i suoi piatti, ma spesso lo fa anche per la famiglia. Lo chef di casa però è papà Maurizio
Lorenzo cucina da sé i suoi piatti, ma spesso lo fa anche per la famiglia. Lo chef di casa però è papà Maurizio

Luci e campanello

L’incidente avvenne il 13 settembre, dopo il Tour du Pays de Montbeliard chiuso al secondo posto nella generale e con un secondo di tappa. Per essere un ragazzo al primo anno, che nel 2019 aveva subito per giunta la frattura del femore, il 2021 stava diventando promettente come meglio non si poteva. Era in bici con un gruppetto di domenica mattina presto, perché poi sarebbe andato a un matrimonio, quando un’auto prima li ha superati rischiando di buttarli giù. Poi ha pensato bene di inchiodargli davanti, facendolo cadere. Lo strappo muscolare ha interessato la gamba già fratturata al primo anno da junior, ma per fortuna non si è spinto fino all’osso e non ci sono state calcificazioni.

«Sulla bici ho sempre la lucina dietro – dice – e quando serve anche quella davanti. Sul manubrio ho il campanello, sempre meglio che girare con il fischietto. Qua il problema è la Casilina, in cui gli automobilisti sono distratti e a volte non pensano che se ti stringono troppo, rischiano di buttarti giù. Fra corridori a volte ci tocchiamo i manubri, gli amatori invece hanno paura e stanno più larghi. Per questo di solito evito i gruppi numerosi».

Quindi si riparte, ma dove si va?

Spero lontano. Il ciclismo e lo sport di vertice in generale sono un fatto di genetica e di testa. Non penso minimamente di essere arrivato, ma quelli che hanno già smesso è perché non avevano doti o non hanno retto a livello mentale. Però apprezzo più chi smette a 19 anni e inizia a cercare un lavoro, di quelli che continuano a oltranza. Se vuoi viverci, non puoi essere uno qualunque. Anche perché se sei un ciclista e anche sei un fenomeno, guadagnerai sempre meno di sportivi di altre discipline. Quanto avrebbe guadagnato Nibali se fosse stato un calciatore di vertice?

Che cosa hai capito da questo primo anno?

Le mie caratteristiche. A inizio anno non le conoscevo bene. Invece alla fine della prima stagione, ho capito che sono predisposto fisicamente e mentalmente. Posso avere il mio spazio in questo mondo e quando sto bene, posso essere anche competitivo. A fine stagione stavo bene davvero. Entravo in gara convinto di poter lasciare il segno, con la stessa consapevolezza che avevo da junior. Il passare delle corse ti permette di conoscerti e di conoscere gli avversari, imparando a valutarli.

Quali sono dunque le tue caratteristiche?

In Francia mi avevano preso come scalatore, sul sito della squadra c’è scritto questo. Io non ne sono mai stato sicuro, ma mi reputo un corridore per corse dure, ma non con salite da un’ora. Strappi non troppo brevi e gare che alla fine diventano selettive. Mi piace quando rimaniamo in pochi (il sorriso si illumina, ndr).

Il 2022 sarà il secondo anno alla Groupama FDJ Conti: il finale di 2021 prima dell’incidente è stato notevole
Questo sarà il secondo anno alla Groupama FDJ Conti: il finale di 2021 prima dell’incidente è stato notevole
Il prossimo sarà un anno importante?

Decisamente sì. Al primo fai esperienza, al secondo rimani giovane, ma puoi provare a dire la tua. Vorrei fare la Liegi U23 e il Tour de Bretagne, che mi è rimasto sul groppone. La fine del 2021 può essere stata un assaggio di quello che verrà. Ho fatto una sola volta esperienza nella WorldTour, ma capiterà ancora. Ci ripetono spesso che se anche non sei subito vincente, ma hai qualità, ti fanno crescere e passare lo stesso.

Come si lavora con i francesi?

Abbiamo tre allenatori, il mio si chiama Joseph. Lui fa i programmi, dividendo fra bici e palestra. E quando siamo su, viene anche lui per seguire i nostri allenamenti e le cose funzionano meglio. Abbiamo nel dropbox un Training Book che contiene il piano della settimana, fra lavori di soglia, forza, riposo, distanze. C’è scritto quando devi usare i rulli e le zone fisiologiche di allenamento. Ogni giorno carichiamo i dati sulla piattaforma Intranet FDJ comune a continental e WorldTour. Lì dentro si può trovare cosa hanno fatto i singoli, più varie news della squadra. Ci sono le misure delle bici, puoi caricare i Covid test, trovi i documenti, i programmi, le comunicazioni.

Dove vivete?

Siamo tutti in appartamenti separati, sullo stesso piano ma divisi. Ognuno la sua cucina, poi magari capita che si mangi tutti insieme nella sala grande. Ripenso a quando eravamo in ritiro da juniores, che si cucinava insieme e c’era il bagno in comune. Su a nord sono più freddi, qua mi prendevano sempre in giro col fatto che fossi il terrone della squadra, ma lo trovavo divertente.

Ultimi giorni a casa, poi per Germani sarà tempo di andare in Francia, dove riceverà anche la nuova Lapierre
A breve Germani tornerà in Francia, dove riceverà anche la nuova Lapierre
Due mondi diversi…

Come fra compagni di scuola e compagni di lavoro. C’è più distacco…

Cosa dici di Madiot?

L’ho visto l’anno scorso in ritiro ad Alassio. Venne per conoscerci e fece uno dei suoi discorsi motivazionali da brividi, come li vedete su Youtube. Poi ci ha fatto presentare uno ad uno e io allora non parlavo francese e zoppicavo in inglese. Diventai rosso pomodoro, però alla fine lo feci. Adesso parlo bene sia francese sia inglese, tanto che i direttori sportivi a volte mi indicano come esempio. Credo che Marc verrà di nuovo a Calpe a febbraio.

Sembri molto attaccato alla tua terra…

Lo sono. Roccasecca mi è sempre stata a cuore sin da quando ero piccolo. Ogni volta che torno, è sempre bello. Ci sono gli amici. C’è il gruppo di allenamento. Un amico dice che sono come Valverde, che si allena con gli amatori della sua zona. Mi piace la compagnia, chiacchierare. Mi piacciono le mie salite, i miei percorsi. Quando torno è speciale, ma il tempo passa sempre troppo in fretta.

Il camino è a casa dei nonni, dove i fratelli Germani trascorrono parecchio tempo
Il camino è a casa dei nonni, dove i fratelli Germani trascorrono parecchio tempo

Cibo, sì grazie

Lorenzo cucina da sé i suoi pasti. Dice di non avere problemi col cibo, anche se nei primi tempi da junior, la tentazione di non mangiare per essere più magro l’aveva assalito. Dice che nelle squadre italiane è pieno di vecchi direttori che agitano teorie più vecchie di loro in materia di leggerezza e carboidrati. All’estero non è così, in Francia mangiano e vanno forte. Così anche lui mangia, consuma e va forte.

«Gli piacciono soprattutto le verdure – dice davanti al camino sua nonna Rina, mentre nonno Luigi annuisce – tutte quelle che produciamo su in campagna».

E’ uno di quei pomeriggi che non te ne andresti mai. Usciamo dalla casa con un sacchetto di olive, pomodorini e uova di quella campagna da favola di cui abbiamo tanto sentito parlare. Ora è tempo di pensare alle corse. E la curiosità di riallacciare il filo con Lorenzo ormai sta per esplodere.

San Tommaso dal monte lancia l’ultimo sguardo, il suo naso è veramente grande. Ci viene in mente una frase che il santo era solito ripetere: «Conosciti, accettati, superati». Forse senza saperlo, Lorenzo ne ha fatto il suo stile di vita.