Luci e ombre del Delfinato nella testa di Pogacar e Vingegaard

20.06.2025
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Dice Garzelli che dopo il Delfinato, Vingegaard ha capito di dover lavorare sui cambi di ritmo e che avrà le prossime due settimane in altura per mettersi a posto. Pogacar invece l’ha detto da sé: dovrà lavorare sulla crono, perché il quarto posto di Saint Peray non gli è andato giù. Al punto da essere sceso dai rulli subito dopo e aver saggiato la leggerezza della bici del rivale. Ma se questi sono stati gli esiti fisici del confronto, che cosa è rimasto nelle loro teste dopo il confronto appena vissuto? Quali sicurezze in più ne ha tratto Pogacar? E a Vingegaard è convenuto sfidarlo dopo un anno di batoste, col risultato di essersi ritrovato esattamente deve l’aveva lasciato l’ultima volta?

Sono sfumature su cui si ragiona fra amici e addetti ai lavori. E così, avendo la fortuna di poter interpellare il meglio fra gli esperti che operano nel professionismo mondiale, ci siamo rivolti a Elisabetta Borgia, psicologa e mental coach della Lidl-Trek e della nazionale, portando con noi le stesse domande.

Elisabetta Borgia fa parte dello staff performance della Team Lidl-Trek e della nazionale italiana
Elisabetta Borgia fa parte dello staff performance della Team Lidl-Trek e della nazionale italiana
Si può dire secondo lei che Vingegaard abbia preso le misure a Pogacar anche sul piano psicologico e ne sia uscito con qualche certezza in più oppure si è fatto male?

Bisogna analizzare più aspetti. Il primo è che sicuramente un campione come Vingegaard ha molto chiaro il suo piano di avvicinamento all’obiettivo, che si basa su di sé e non sugli avversari. Va da sé che lavorando sulla tua fiducia e la tua efficacia, hai bisogno di dati oggettivi, tuoi personali. Banalmente vedere che cresce l’allenamento o che cresci in base alle tempistiche che ti sei dato col coach e con la squadra. Però ogni tanto è importante avere anche delle reference esterne. Non solo tue, ma anche nel confronto con l’altro, prendendo sempre tutto con le pinze, nel senso che immagino nessuno conosca il tipo di allenamento e avvicinamento che hanno fatto al Delfinato e nessuno sappia quanto margine reale abbia l’altro.

Qualche dato ce l’hanno…

Immagino di sì, anche se non li seguo nello specifico. In ogni caso sono entrambi in altura e Vingegaard ha chiare le cose su cui migliorare per essere performante nei confronti di Pogacar. E’ sicuramente qualcosa che lo può aiutare a far uscire la parte più aggressiva e agonistica che c’è nel pensiero quando fai dei blocchi di lavoro da solo o con la squadra e che nel momento dello scontro diretto col tuo avversario esce di più. Quindi credo che Vingegaard, cosciente del valore suo e di Pogacar, dal Delfinato abbia preso soltanto il buono. Sa su cosa lavorare, se evidentemente ha previsto altro lavoro per crescere. Sappiamo che in 2-3 settimane c’è anche il rischio di arrivare ai corti, per cui da un lato è molto positivo ragionare in un’ottica di crescita, ma bisogna anche ragionare in un’ottica di calo all’interno delle tre settimane. E per questo è bene avere dei buoni punti di riferimento.

Bene i riferimenti, ma ha senso, progettando l’appuntamento più importante, cercare il confronto con uno che ultimamente ti ha sempre surclassato?

Vingegaard sta cercando di arrivare al Tour nella sua migliore espressione possibile, indipendentemente da Pogacar. Come pubblico guardiamo sempre loro due, ma chi lo dice che non arrivi un altro che non abbiamo considerato? E’ fuori discussione che nel momento in cui costruisci l’autoefficacia, quindi la fiducia nel poter far bene, parti dal lavoro che stai facendo, dei feedback che ottieni in allenamento, ma anche partendo dallo storico. Vai a vedere gli scontri precedenti e puoi anche fare il conteggio delle volte che hai vinto tu e quelle che ha vinto l’altro. E’ chiaro che devi avere una lettura di quello che è stato e contestualizzarlo. Io credo che anche per questo Vingegaard ne sia uscito consapevole di poter crescere ancora. Tre settimane sono lunghe, bisognerà che giri bene tutta una serie di cose. Avere la squadra, avere la vicinanza dei compagni giusti, far le cose come si deve, recuperare bene. Stiamo parlando di dettagli, perché nessuno a quel livello fa le cose sbagliate. Magari uno le perfeziona, le ottimizza, perché stiamo parlando di professionisti di un livello stellare. Quindi che tu lo veda o ce l’abbia nella testa, Pogacar c’è e non si dissolve.

Vingegaard è andato meglio di Pogacar nella crono, poi ha subito in salita, chiudendo in crescendo
Vingegaard è andato meglio di Pogacar nella crono, poi ha subito in salita, chiudendo in crescendo
Allora mettiamoci per un attimo nei panni di Tadej, che corre sempre per vincere. In certe dimostrazioni di forza ci sono anche dei messaggi che manda al rivale?

Certamente, ma dico una cosa. Essere quello che vince sempre, da un certo punto di vista può essere anche un limite. Prima o poi questo filotto finirà, è più probaile che finisca prima o poi piuttosto che continui all’infinito. Quindi è qualcosa che hai in testa e sai che succederà: per alcune mentalità può diventare un limite. Sai bene che se non vinci, hai perso: per te e per l’immaginario collettivo. La realtà è che la mentalità di Pogacar è proprio l’opposto. Non ha paura di perdere: ho sempre vinto, continuerò a farlo ancora.

Non ha paura di perdere, ma quando accade (come nella crono) mastica molto amaro.

Certo. E’ fuori discussione che la crono sia un elemento sempre più importante nei Grandi Giri, però lo sappiamo che non è il suo cavallo di battaglia. E’ forte, ci mancherebbe, però il pubblico se lo aspetta in altre condizioni e in altre situazioni. Nelle tappe di salita, nelle più tappe dure. Quindi davanti a quel quarto posto, avrà pensato che avrebbe potuto perdere meno. Però oltre a questo, io credo che la mentalità vincente sia proprio quella: ho visto che sono meno performante, ma studio e la prossima volta vengo e te le do. Anche il siparietto in cui va a guardare la bici di Vingegaard fa capire la sua voglia di tornare dominante: vediamo se c’è qualche dettaglio, qualcosa di diverso cui ci si possa ispirare. E questo da un certo punto di vista è la conferma del suo essere assolutamente uno che vuole vincere e fa di tutto per continuare a farlo. Non è uno che si siede, nonostante abbia vinto praticamente tutto. Continua ad avere grandi motivazioni, la cattiveria agonistica per continuare a spingere a fondo e cercare di migliorarsi, cambiare, crescere. 

Quando devi sfidare la tua bestia nera, esiste un metodo di lavoro per non farsene schiacciare?

E’ chiaro che se vai in una gara e conosci gli avversari, nella tua testa hai una potenziale classifica. Sai dove potresti posizionarti all’interno di un gruppo. E’ un’aspettativa che può diventare un’arma a doppio taglio e allora io cerco sempre di sottolineare due aspetti.

Pogacar e Vingegaard si sono sfidati al Delfinato, con lo sloveno dominante e il danese in crescita
Pogacar e Vingegaard si sono sfidati al Delfinato, con lo sloveno dominante e il danese in crescita
Quale il primo?

La necessità di partire senza memoria. E’ un po’ una provocazione: dirsi di restare nel presente, anche se fino a ieri le hai sempre buscate. Riparti con le stesse possibilità di darle, piuttosto che con la rassegnazione di prenderle ogni giorno. Devi fare sì che la testa non diventi un limite, perché se pensi che ogni giorno il rivale ti ha dato 3 minuti, sei morto. Devi riuscire a riattivare ogni giorno una nuova pellicola, sennò il rischio di vedere il solito film è altissimo. Magari si ripresenta, perché oggettivamente sei meno forte, però questo è un altro conto.

E il secondo aspetto?

Mi è successo anche in altri sport, magari in situazioni in cui hai l’atleta che cresce e che affronta grandi campioni o atleti che gli sono sempre state superiori. E allora dico ai miei atleti che l’avversario non deve avere un nome. A volte si potrebbe dare di più, ma c’è quello che in psicologia si chiama “senso di impotenza acquisito”.

Vale a dire?

Sei tu che ti dici: ci ho sempre provato e non ha funzionato perché l’altro è sempre stato superiore. Quindi se fa uno scatto, non lo segui con la stessa convinzione, come faresti se fosse un’altra persona che consideri più vicina a te in termini di livello. Per questo dico sempre di togliergli il viso e di pensare che hai davanti un avversario su cui non devi avere pregiudizi di alcun tipo. Non si lotta per il secondo posto, ma se vogliamo vincere, stringiamo i denti per seguirlo quando scatterà. E’ chiaro che stiamo parlando di due atleti di altissimo livello…

Il quarto posto nella crono del Delfinato ha infastidito Pogacar e non poco…
Il quarto posto nella crono del Delfinato ha infastidito Pogacar e non poco…
Quindi?

Quindi magari puoi focalizzarti sul fatto che sia proprio l’altro che ti fa uscire l’aggressività in più che non avresti con un altro avversario. Sono meccanismi che ti danno un click in più, permettono di accedere a qualche percentuale supplementare di grinta. Però, in linea generale, soprattutto parlando di coloro che stanno costruendo la loro efficacia e la loro fiducia, dobbiamo ragionare nell’ottica di dire che a me non interessa chi sia il mio avversario, soprattutto per quelli che sono in fase di crescita. Anno dopo anno, non sai mai quanto cresci. E magari gente che era lontanissima, l’anno dopo si avvicina molto di più. Oppure riesci a battere le persone che vedevi in televisione fino a qualche anno prima e ora sono i tuoi avversari. Se inizi a subire questo ti po di pressione, il rischio è che tu non riesca a esprimerti al 100 per cento. Sappiamo bene tutti che c’è dietro anche un aspetto mediatico, per cui per Vingegaard non si tratta solo di vincere un duello, ma di battere Pogacar. E per l’altro non solo aver vinto, ma averle suonate nuovamente a Vingegaard.

Nuovo cittì, nuova direzione: come la vivono gli atleti?

13.03.2025
5 min
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Ricordate quando a scuola cambiava il professore e da un anno all’altro si doveva ricominciare a farci la conoscenza? A volte andava bene, altre meno. Così ci siamo chiesti che cosa accada nel giro della nazionale quando cambiano i commissari tecnici e gli atleti si trovano a interagire con volti nuovi. Certo l’ambiente è piccolo e tutti si conoscono, ma lavorare insieme è un’altra cosa.

Nel team performance della Federazione lavora da anni Elisabetta Borgia, psicologa, che appartiene anche all’identico staff della Lidl-Trek. Oltre a parlare con gli atleti di motivazioni e aspetti che riguardano l’aspetto mentale della prestazione, fra i motivi di attenzione per lei c’è anche questo. Ecco perché approfittando della sua presenza alla Tirreno-Adriatico abbiamo pensato di farle alcune domande in tal senso. Dalle Olimpiadi di Tokyo sono cominciati gli avvicendamenti fra i commissari tecnici. Ad esempio le ragazze sono passate dalla guida e dal metodo di Salvoldi a quelli di Villa. Adesso accanto a Villa c’è Bragato. Quindi Velo ha sostituito Sangalli nella strada delle donne. E Villa ha preso il posto di Bennati nella strada dei pro’.

Elisabetta Borgia è una presenza fissa per gli atleti della nazionale
Elisabetta Borgia è una presenza fissa per gli atleti della nazionale
Che cosa cambia per l’atleta? Che cosa è cambiato per le donne al passaggio da Salvoldi a Villa?

Sicuramente Dino aveva un approccio definito in anticipo nei minimi dettagli a cui le ragazze aderivano. Con Villa siamo passati a dare più responsabilità alle ragazze, che nel frattempo sono cresciute e fanno parte di grandi squadre. Abbiamo lasciato loro la scelta dei giorni in cui fossero tutte presenti, mantenendo la massima disponibilità di Marco per allenamenti e collegiali in base anche agli impegni con i team. Da adesso in avanti, credo che questa idea di responsabilizzazione delle ragazze rimanga, con un’organizzazione con un occhio più a lungo termine.

Su strada le ragazze passano da Sangalli che aveva dato continuità al lavoro di Salvoldi, a Velo. Una fase da gestire?

Lo vedo come un passaggio fisiologico, non vedo degli strappi: ne parlavo in questi giorni proprio con Velo. Sicuramente per la sua personalità, Marco è una persona molto carina nei modi, molto accomodante. Cerca il rapporto personale e quindi credo che il suo approccio funzioni bene, come in realtà funzionava molto bene anche con Sangalli.

Secondo te l’atleta aspetta il tecnico al varco per conoscerlo oppure lo studia per trovare il modo di instaurare una relazione?

Non credo che lo aspetti al varco, quando piuttosto credo voglia capire quali sono i nuovi punti di riferimento e soprattutto le modalità operative. Questo è il momento in cui andiamo a ragionare su atleti e atlete professioniste, sapendo bene che è fondamentale dare un’organizzazione di massima della stagione. E’ necessario mantenere i rapporti. La comunicazione tra il CT e i vari membri del team di appartenenza diventa fondamentale affinché si possano creare dei programmi coerenti. L’obiettivo è che gli atleti vadano forte con la squadra e siano anche pronti per grandi eventi come europei e mondiali.

Marco Velo (qui con Venturelli ai mondiali 2023) passa da tecnico delle crono a responsabile della strada donne
Marco Velo (qui con Venturelli ai mondiali 2023) passa da tecnico delle crono a responsabile della strada donne
Hai parlato con Velo, qual è dunque il tuo ruolo in questa fase?

Il mio rapporto è chiaramente con gli atleti, ma sta diventando anche un ruolo di osservazione delle dinamiche. A volte mi ritrovo a fare da “consulente” per i tecnici. Inizio a diventare la memoria storica, avendo vissuto i vari passaggi ed essendo stata presente nei momenti importanti. Con Velo si ragiona sul tipo di approccio e su come vedere la stagione. Marco fa domande, è molto aperto, quindi in questa fase mi trovo a fare anche da filtro. Essendo super partes, nel senso che lavoro con tutte le discipline, riesco ad avere una visione un po’ più obiettiva, se non altro meno inserita nelle situazioni. Per cui, se richiesto, posso dare anche qualche consiglio su come approcciarsi in base alle diverse personalità degli atleti.

Avviene uno scambio di nozioni fra lo psicologo e i tecnici in base alla tua conoscenze degli atleti?

Premettiamo che ovviamente c’è il segreto professionale e poi oggettivamente con alcuni atleti lavoro in maniera più assidua e più vicina, con altri meno. Però è chiaro che, avendo la fortuna di essere in giro tutto l’anno e di vedere le atlete e gli atleti nelle gare, a prescindere dalla nazionale, ho anche l’opportunità di tenermi aggiornata. E questo certo mi offre un punto di vista privilegiato.

A proposito di assiduità, nella Lidl-Trek lavori con Elisa Balsamo, che ha lasciato la pista non senza amarezza dopo le Olimpiadi. Bragato la considera una del team, si dovrà lavorare per ricucire qualcosa?

La scelta di Elisa di non fare il mondiale pista a fine stagione è stata condivisa. E anche lei, come le altre, ha scelto di focalizzarsi di più sulla strada nell’anno post olimpico. Però sicuramente il suo ruolo è qualcosa di cui si parla con Marco e con Diego. Balsamo è sicuramente un valore aggiunto che dobbiamo riuscire a mantenere, è fuori discussione. Oltre a questo c’è tutta la fase di programmazione e valutazione delle nuove leve, fondamentale da far partire. Atleti che con una preparazione ad hoc, nei prossimi anni possono diventare riferimenti nei quartetti o altre specialità.

Bragato è il cittì della pista donne, ruolo che svolgerà con il supporto di Villa, a sua volta tecnico della strada pro’
Bragato è il cittì della pista donne, ruolo che svolgerà con il supporto di Villa, a sua volta tecnico della strada pro’
Sei parte del team performance della Federazione e dell’identica struttura nella Lidl-Trek. E’ aumentata la consapevolezza del ruolo dello psicologo?

Io mi sento assolutamente considerata in entrambi gli ambiti. Lo conferma il fatto che con la Federazione sono andata per tutta la durata delle Olimpiadi. Quindi mi sento assolutamente coinvolta, chiamata in causa anche per alcune scelte “strategiche”. Sono consapevole del ruolo che ho e mi sento assolutamente valorizzata sia in squadra che in Federazione.

Come descriveresti il tuo ruolo?

Un ruolo speculare. Faccio parte del team performance e il team performance sta lavorando molto bene, anche nella fase dei test in cui si va a individuare il talento. Si cerca di capire come aiutarlo a crescere in maniera omogenea e coerente, senza strappi. Facciamo valutazioni fisiche, ma anche di profilo mentale e emotivo. E quello, come si può ben capire, è il mio pane quotidiano.

Giovani e professionisti: qual è la chiave giusta? Ce lo dice Borgia

21.12.2024
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Le parole di Ludovico Crescioli, che passerà professionista con i colori della Polti-Kometa (dal 2025 Team Polti Visit Malta) riguardo al corso ACCPI pensato proprio per chi come lui entrerà nel mondo dei grandi sono rimaste in testa. Il toscano ha descritto la giornata introduttiva, passata a Milano, come una prima infarinatura di quello che sarà. Si è parlato di tanti aspetti, non ultimo quello psicologico. In questo campo è intervenuta Elisabetta Borgia, psicologa dello sport. Nel suo discorso ha toccato punti interessanti, come quelli legati al porsi i giusti obiettivi per non rimanere schiacciati da una macchina che per alcuni potrebbe essere ancora troppo grande

Il corso ACCPI vede ogni anno ragazzi sempre più giovani, le porte del professionismo si aprono presto
Il corso ACCPI vede ogni anno ragazzi sempre più giovani, le porte del professionismo si aprono presto

Sempre più giovani

L’età media dei ragazzi che diventano professionisti si abbassa, è un dato di fatto. A fronte di gambe già forti per correre Classiche Monumento o Grandi Giri ci sono personalità ancora da formare

«Per quanto un ragazzo possa andare forte – spiega Elisabetta Borgia – quando diventa professionista compie un salto verso l’ignoto. La riflessione giusta che si deve fare è legata a quali possano essere le sfide giuste per un giovane atleta. Quello che si vede spesso è che i ragazzi sono iperstimolati e focalizzati sul proprio cammino di crescita. Il mio consiglio è stato quello di cercare, all’interno delle varie squadre, delle figure che possano guidarli e restargli accanto».

E’ importante trovare nelle squadre delle figure di riferimento, come è stato Pellizotti per Tiberi nel 2024
E’ importante trovare nelle squadre delle figure di riferimento, come è stato Pellizotti per Tiberi nel 2024
Che obiettivi si pongono?

A breve termine e legati spesso al risultato. Molti pensano: «Mi alleno due mesi in questo modo così alla prossima gara posso vincere». Ma non è sempre così, soprattutto quando si diventa professionisti. Le gare cambiano, diventano più lunghe e impegnative. Gli avversari sono forti. Non sempre allenarsi al massimo porta il risultato sperato, ma fa parte del cammino. 

Il tuo consiglio qual è stato?

Di cercare obiettivi realistici e sfidanti che siano totalmente concentrati su loro stessi. Non per egoismo, ma perché sia un cammino di crescita personale. Non guardare agli altri, soprattutto se il paragone viene fatto con corridori esperti e che corrono da anni in questo mondo. I primi mesi sono quelli più complicati e se ci si paragona agli altri si mettono ancora più in evidenza le difficoltà. 

I giovani che passano professionisti sono sottoposti a tante pressioni e molto stress, non tutti reggono (in foto Leo Hayter)
I giovani che passano professionisti sono sottoposti a tante pressioni e molto stress, non tutti reggono (in foto Leo Hayter)
Come mai i primi mesi sono difficili?

Già il primo ritiro è sempre uno schock. Cambia tutto: da come ti approcci ai coach, allo staff e ai compagni. Senti di entrare in una nuova dimensione rispetto a quello che eri abituato a vivere prima. La cosa importante è trovare il giusto equilibrio, anche se non è mai semplice. 

Anche se arrivano con la giusta motivazione?

Non credo di aver mai trovato un ragazzo poco motivato o che non sia disposto a fare qualcosa in più per migliorare. Anzi, il rischio maggiore è che il ciclismo e la crescita diventino un’ossessione. La maggior parte delle volte la delusione per un obiettivo non raggiunto arriva perché ci si è posti male il traguardo.

Gli juniores passano direttamente nel WT, questo è Beloki che a 18 anni è arrivato nella EF Easy Post, un salto che può destabilizzare
Gli juniores passano direttamente nel WT, questo è Beloki che a 18 anni è arrivato nella EF Easy Post, un salto che può destabilizzare
Cioè?

Se metto l’asticella troppo in alto il rischio è di non saltarla. All’inizio del loro cammino da professionisti devono ragionare a lungo termine. Quello che dico loro è di cercare ciò che serve loro per crescere e migliorare. Se riescono a farlo anche il debriefing diventa un momento di crescita. 

Cos’è?

Il momento in cui si ragiona su cosa mi aspetto, cosa ho fatto per raggiungere l’obiettivo e cosa avrei potuto fare meglio. 

I ragazzi diventano professionisti sempre più giovani, c’è il modo di tutelarli.

A mio avviso sì. Innanzitutto i devo team nascono per avere un passaggio intermedio tra la categoria under 23 e il WorldTour. Un giovane atleta ha la giusta prospettiva di crescita, lo staff e il modo in cui si lavora è professionale ma non così tanto come tra i professionisti. Si tratta di fare un passo intermedio che colma un gap che per qualcuno potrebbe essere troppo ampio. Questo, in particolare, se passano da juniores a professionisti. 

La nascita dei devo team è un modo per attutire il colpo facendo entrare i ragazzi in questo mondo passo dopo passo (foto Lidl-Trek)
La nascita dei devo team è un modo per attutire il colpo facendo entrare i ragazzi in questo mondo passo dopo passo (foto Lidl-Trek)
Il corso però è dedicato ai neo professionisti, quindi il salto è già stato fatto…

Ogni squadra ha degli psicologi oppure delle figure di riferimento per questi ragazzi. Possono essere anche i diesse o qualche coach. Ci sono persone in grado di avere la giusta sensibilità per comprendere lo stato emotivo dell’atleta. La crescita tecnica va di pari passo a quella professionale e atletica. 

Quando parli con i ragazzi cosa noti?

Che c’è una necessità evolutiva del ciclismo, in ragazzi under 23 corrono e vanno forte, spesso questo accade anche tra gli juniores. Alcuni fanno numeri che permettono loro di poter vincere tra i professionisti, ma non rappresentano la media. Il percorso di crescita deve essere proporzionato all’età. Non ci sono solo i watt, ma un progresso generale. Te ne accorgi nei faccia a faccia, sono forti ma hanno le stesse insicurezze di ogni adolescente. D’altronde lo sono ancora.

Entriamo nel corso Accpi con Crescioli: lezioni, curiosità e aneddoti

09.12.2024
5 min
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Il corso dedicato ai corridori neo professionisti dell’Accpi che si è tenuto a Milano il 29 novembre era volto a introdurre i ragazzi nelle dinamiche del ciclismo, vissuto anche come un lavoro. Tra i diversi atleti che hanno partecipato c’era Ludovico Crescioli, il toscano che dalla prossima stagione correrà con la Polti-Kometa (dall’1 gennaio la squadra prenderà il nome di Polti-VisitMalta). 

«Siamo arrivati oggi in Spagna per il primo ritiro della stagione – racconta Crescioli – a Oliva, dove la squadra si raduna da qualche anno. Sono già stato a Malta qualche settimana fa con il team e ho avuto modo di conoscere qualcuno. Ora avrò modo di testare i vari materiali, vedere la bici e introdurmi pienamente in questo mondo».

Il corso Accpi 2024 si è tenuto il 29 novembre scorso
Il corso Accpi 2024 si è tenuto il 29 novembre scorso

Una giornata in classe

Negli anni la giornata dedicata ai neo professionisti ha visto un ribasso notevole dell’età media, tanti ragazzi arrivano direttamente dalla categoria juniores. E’ chiaro che in un ciclismo sempre più giovane il corso tenuto dall’Accpi diventi sempre più importante. Diventare professionisti non vuol dire correre gare di primo livello e avere materiale tecnico di alta gamma, ma è un vero e proprio lavoro, con diritti e doveri. Prima di entrare nel vortice è bene sapere cosa si trova al centro del ciclone. 

«E’ stata una giornata intera iniziata – dice Crescioli – alle 9,00 e terminata alle 17,00. Un buon corso nel quale ci hanno spiegato il mondo del professionismo. A partire dai controlli antidoping, per passare poi ai contratti e al loro funzionamento. C’è stato anche un intervento di Elisabetta Borgia, psicologa dello sport che lavora con la Federazione».

E’ intervenuta anche Elisabetta Borgia la quale ha spiegato come affrontare le sfide derivanti da questo salto di categoria
E’ intervenuta anche Elisabetta Borgia la quale ha spiegato come affrontare le sfide derivanti da questo salto di categoria
Partiamo dall’antidoping?

Ci hanno spiegato in che modo si tiene la reperibilità attraverso l’applicazione che fornisce la WADA. Ad esempio c’è una fascia di un’ora, che bisogna garantire ogni giorno, nella quale devi essere sempre reperibile. In poche parole devi farti trovare a casa, o dove alloggi in quel momento. Ogni spostamento deve essere segnalato, perché la WADA deve sapere dove dormi e in che posto sei. 

Si fa tramite cellulare?

Sì, il che rende tutto più semplice. Anche se questa è la parte più delicata del lavoro, perché non si può sbagliare di una virgola. L’applicazione ha un calendario che noi atleti dobbiamo completare di trimestre in trimestre. Ad esempio: ora i mesi che andranno da gennaio a fine marzo devono essere riempiti con i dati richiesti entro il 15 dicembre. Io so che dal 10 al 20 dicembre sono in ritiro a Oliva, quindi ho segnalato già la mia posizione per quel periodo. Chiaro che le cose possono cambiare, ma la WADA chiede comunque un preavviso. 

Cristian Salvato presidente dell’Accpi ha spiegato diritti e doveri del corridore derivanti dai contratti firmati
Cristian Salvato presidente dell’Accpi ha spiegato diritti e doveri del corridore derivanti dai contratti firmati
Come inizia questo controllo?

Ti arriva una mail che richiede di iscriversi. A me è arrivata a fine settembre, quindi era un mesetto che la utilizzavo. Però durante il corso mi sono tolto tutti i dubbi. 

Poi è intervenuta Elisabetta Borgia, giusto?

Ha parlato con noi per una mezz’ora abbondante ed è stato un intervento molto utile. Ci ha dato delle dritte su come affrontare questo grande passo

C’è stato anche spazio per parlare di sicurezza sulle strade
C’è stato anche spazio per parlare di sicurezza sulle strade
Tipo?

Ha detto di crearsi delle giuste aspettative, alla nostra portata, e di cercare una progressione graduale. Al corso c’erano tanti giovani, praticamente eravamo tutti under 23. Il mondo del ciclismo da questo punto di vista sta cambiando, e per fare in modo che ognuno trovi la propria dimensione serve avere il giusto approccio mentale. Il rischio è di cadere in loop negativi e di vivere questo sport come un peso. Poi però siamo passati anche alle cose pratiche.

Le fasi della corsa?

Marco Velo ci ha spiegato come ci si comporta in gara e ci ha insegnato come si riconosce la figura del giudice di corsa. E da chi è composta la giuria. Erroneamente pensiamo che tutti siano dei giudici, ma non è così. Insomma è diventato tutto più professionale, d’altronde ora questo è il nostro lavoro. Infine ha fatto un piccolo intervento anche Paolo Bettini.

Infine Paolo Bettini ha raccontato la sua esperienza personale, una bella lezione di vita
Infine Paolo Bettini ha raccontato la sua esperienza personale, una bella lezione di vita
Cosa vi ha detto?

CI ha raccontato la sua esperienza da neo professionista, erano altri tempi ma l’andamento è simile. Poi ha parlato della sua carriera, di come è diventato un corridore e di quando è passato professionista. E’ stata una bella lezione di vita, spontanea.

Il peso della pressione, l’addio anticipato. Parola alla psicologa

11.10.2024
5 min
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Lisa Klein (nella foto di apertura), una delle storiche componenti del quartetto tedesco arrivato a dominare il mondo, lascerà a fine stagione, in anticipo sui tempi. La campionessa teutonica ha deciso di rescindere il contratto con la Lidl Trek a soli 28 anni: «Non posso continuare a “galleggiare”. Questa stagione ho avuto tanti problemi di salute nei periodi importanti della stagione, e durante le corse sentivo di non riuscire a recuperare come volevo. Inoltre i giorni lontani da casa cominciano a diventare sempre più pesanti. La soluzione per me è di fare un passo indietro, avere meno pressione e rilassarmi».

La troppa pressione per restare nel WorldTour ricorda un tema che alle ultime Olimpiadi è emerso spesso, trasversalmente tanto fra i vari sport come fra le varie nazioni: la gestione della pressione, talmente forte da portare, come nel caso della Klein, a fare un passo indietro. Quello della tedesca è un esempio sul quale vogliamo ragionare con Elisabetta Borgia, psicologa sportiva attualmente alla Lidl Trek senza toccare l’aspetto specifico della ciclista tedesca per non invadere il segreto professionale, ma sfruttandone il pretesto.

La psicologa dello sport, Elisabetta Borgia, in forza alla Lidl-Trek (foto @SimoneArmanni)
La psicologa dello sport, Elisabetta Borgia. La gestione della pressione è un aspetto fondamentale nell’approccio agli eventi (foto @SimoneArmanni)

«Il lavoro sulla pressione si è sempre fatto – esordisce la professionista, in forza anche alla nazionale italiana – è la gestione della performance, fondamentale nell’approccio a un evento. E’ difficile regolare la propria emotività, spesso fa la differenza nella prestazione.  Bisogna lavorare sulla consapevolezza personale sapendo che ci sono atleti che facendo leva proprio sull’emotività riescono a esaltarsi nel momento che conta, altri invece soffrono».

Perché si arriva a fare un passo indietro?

Nel corso degli anni le richieste vanno sempre aumentando, da parte dell’ambiente che ci circonda ma anche dal punto di vista personale e vanno a invadere quella che è la quotidianità e tutto ciò si amplifica con l’avvicinarsi del grande evento per il quale si è lavorato tanto, si sono fatti sacrifici. Se definiamo un obiettivo molto alto la pressione arriva e va sempre aumentando, è importante saperla gestire. Se la percepiamo in maniera troppo forte, questa va a inficiare l’exploit, influisce sulla stessa qualità non solo della propria prestazione ma della vita stessa.

L’aumento dell’attenzione dei media è un fattore che influisce sulla pressione per le atlete
L’aumento dell’attenzione dei media è un fattore che influisce sulla pressione per le atlete
Influisce l’evoluzione della disciplina? Il ciclismo femminile si sta evolvendo a passi da gigante…

Sicuramente. Pensiamo ad esempio che solo 15 anni fa quando ci si allenava, si aveva il cardiofrequenzimetro al polso e si andava avanti, oggi ci sono mille device da tenere sotto controllo e questo diventa un fattore di stress mentale. Abbiamo la testa riempita di mille pensieri. Poi mettiamoci l’aspetto mediatico: siamo a continuo contatto con il mondo, i social sono una rete molto forte e non è sempre facile utilizzarli nella maniera più giusta. Si vuole apparire, ma spesso ci sono anche aspetti negativi con cui fare i conti, ad esempio la commistione fra tifosi e hater.

Il WorldTour è davvero un aggravio da questo punto di vista?

E’ normale che sia così, considerando che intorno al ciclismo è lievitato tutto, sono aumentati i budget e conseguentemente gli stipendi, ma anche la pressione, la richiesta di risultati. Tutto ciò viene vissuto in maniera particolare considerando che non siamo più nella sfera maschile.

La sindrome del burn-out colpisce principalmente le donne ì, con conseguenze fisiche e psicologiche (foto peoplechange360.it)
La sindrome del burn-out colpisce principalmente le donne ì, con conseguenze fisiche e psicologiche (foto peoplechange360.it)
Perché, c’è differenza da questo punto di vista fra i sessi?

E’ un discorso che travalica il puro aspetto ciclistico o sportivo. Parliamo di cultura, di socialità. La donna per sua natura è più legata all’aspetto relazionale, più aperta a parlare, più consapevole della propria emotività. L’universo maschile è più puntato verso la performance pura, ho un obiettivo e cerco la strada più semplice per raggiungerlo. Diciamo che ha una maggiore compartimentazione. Fra le ragazze questo è più sfumato, influenzato dai rapporti personali con compagne, avversarie, staff, ambiente che le circonda… La cooperazione ha un peso maggiore, il contesto diventa un fattore molto più importante. Le ricerche hanno evidenziato come nello sport femminile spesso intervenga la “sindrome del burn out” che porta all’esaurimento delle proprie risorse psicofisiche, influendo in maniera decisiva sul dispendio energetico fino a diventare cronica e a portare a scelte estreme come il fare un passo indietro e rinunciare.

La vicenda della Klein ha destato scalpore perché estremamente rara…

Meno di quel che si pensi. Tornando indietro con la memoria, ricordo che ci sono state molte atlete di altissimo livello a soffrirne. La stessa olimpionica di mtb Pauline Ferrand-Prevot ha vissuto periodi bui, come anche Marianne Vos, oppure la svedese Rissveds che per anni si è persa dopo la vittoria olimpica di Rio 2016. Riuscire a risollevarsi è un aspetto importante e queste atlete non sono solo la dimostrazione che si può fare, ma che le vittorie successive acquistano un maggior sapore e valore. E’ importante per questo essere capaci con il lavoro introspettivo a resettarsi.

Pauline Ferrand Prevot in lacrime dopo l’oro olimpico. Più volte è arrivata sull’orlo del ritiro
Pauline Ferrand Prevot in lacrime dopo l’oro olimpico. Più volte è arrivata sull’orlo del ritiro
Qual è allora la differenza con il passato?

Semplicemente che se ne parla di più. All’aumento della pressione corrisponde un aumento della cultura legata a questa, gli studi che si moltiplicano sul tema, un lavoro che si compie insieme a professionisti del settore. E’ un problema importante e comune che porta molti a non riuscire ad arrivare a fine stagione. Il primo passo è sempre avere la forza di condividerlo, di esternare il problema in modo da poterlo affrontare.

Tornare competitivi dopo una caduta. Questione di psicologia

15.04.2024
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Le vittorie a ripetizione di Elisa Longo Borghini e di Elisa Balsamo hanno un punto in comune e non è dato, in questo caso, dalla comune militanza nella Lidl-Trek. Entrambe le azzurre vengono da un 2023 molto difficile, contraddistinto da infortuni lunghi e complicati e da una ripresa lenta. Non sono certamente i soli casi, basti pensare sempre nel team americano il lento cammino di resurrezione di Tao Geoghegan Hart e chi vive da vicino le vite di questi campioni sa che non è tutto legato al fisico, all’allenamento, ai risultati. Molto pesa la testa, la psicologia, il come si vive questo periodo di ripresa.

La vittoria della Longo Borghini alla Freccia del Brabante. Il suo 2023 era stato fermato dalla caduta al Giro
La vittoria della Longo Borghini alla Freccia del Brabante. Il suo 2023 era stato fermato dalla caduta al Giro

Nel team un ruolo sempre più importante – lei come colleghi e colleghe negli altri team – lo svolge la dottoressa Elisabetta Borgia, che anche nel caso delle due atlete in questione è stata un supporto importante e che sa bene quanto il ritorno a livelli pari se non addirittura superiori sia un iter molto lungo e travagliato.

«Il primo passo che un atleta deve fare è l’accettazione – spiega la Borgia – Gli sportivi hanno sì una struttura mentale molto forte, che è però molto basata su un rigido cammino: c’è una strategia da seguire verso l’ottenimento dell’obiettivo, fatta di tappe che sono allenamenti e gare con una flessibilità contenuta e studiata. L’infortunio arriva e stravolge tutto, vengono cancellati i piani, tutto quello che era stato stabilito viene cancellato d’un colpo».

Elisabetta Borgia da anni collabora con il Team Lidl-Trek e ha seguito la rinascita delle azzurre
Elisabetta Borgia da anni collabora con il Team Lidl-Trek e ha seguito la rinascita delle azzurre
Che succede a quel punto?

L’istinto direbbe di studiare subito un “piano B”, ma non è così semplice. Bisogna innanzitutto porsi davanti un obiettivo nuovo, che non ha più a che vedere con le corse ma che riguarda il ritrovare la salute. E per far questo è necessario rallentare, ma questo non è nello spirito dell’agonista, che anzi vuole tornare prima possibile a gareggiare, vuole riprendere esattamente da dove si era fermato. Per questo parlo di accettazione: bisogna mettere un punto e ripartire.

E’ difficile accettare l’infortunio?

Sì, ma è soprattutto difficile accettare che quel piano che era stato fatto a inizio stagione non c’è più. Non si recupera, non si può riprendere. E’ legittimo rammaricarsene, ma bisogna guardare avanti. Bisogna saltare su un nuovo piano lasciando andare quel che è stato. Ripartendo sempre dal ristabilimento fisico. Bisogna soprattutto lasciar andare via la rabbia, che non serve e fa sprecare energie preziose.

Per Elisa Balsamo il 2024 è stato finora ben diverso dall’anno passato. Protagonista anche alle classiche
Per Elisa Balsamo il 2024 è stato finora ben diverso dall’anno passato. Protagonista anche alle classiche
Come si salta su un nuovo piano?

Intanto si comincia con la consapevolezza, l’accettazione di cui parlavamo prima. Poi il lavoro dello psicologo deve essere coadiuvato dai vertici del team. Lì serve l’impegno di tutta l’equipe, per stabilire un nuovo cammino, verso nuovi obiettivi, passando magari anche per la rielaborazione del trauma. L’atleta però deve essere consapevole, capire dove deve andare, che cosa potrà ottenere, soprattutto quanto è importante che tutto ciò avvenga nel pieno rispetto del proprio corpo, godendo della piena salute necessaria per ritrovare il proprio livello. Bisogna ricostruire tutto il viaggio.

Nel caso della Longo Borghini però assistiamo a una ragazza esperta che non aveva mai toccato simili picchi di rendimento, pur avendo un curriculum già di per sé eccezionale… Come si diventa più forti di prima?

I cinesi, parlando della resilienza, fanno l’esempio di un vaso rotto rimesso insieme con colla dorata perché diventi ancora più prezioso. Per lo sportivo è un po’ così: l’abitudine alla vittoria può anche portare a una diminuzione del desiderio di vincere. Chi viene da infortuni gravi ha invece la smania di tornare a prima. Se ben incanalata, questa foga può essere utile, può servire a conoscere più di se stessi perché noi siamo fatti anche delle nostre esperienze. Questi sono principi utili nello sport come nella vita di tutti i giorni, ma considerando il nostro ambiente, è come fare uno step up, salire di livello in un videogioco. La nostra società tende a nascondere la sofferenza, la negatività, ma è attraverso di essa che si va oltre.

Per Tao Geoghegan Hart la strada della rinascita è ancora lunga. Lo vedremo al Giro d’Italia
Per Tao Geoghegan Hart la strada della rinascita è ancora lunga. Lo vedremo al Giro d’Italia
Un infortunio può anche non essere fisico: una decisione sbagliata, un esito negativo per questione di centimetri. Spesso vicende del genere lasciano strascichi, come se ne esce?

Fondamentale è l’analisi di quello che è successo. L’errore pesa, per superarlo bisogna capire che cosa si è fatto. La gestione degli ultimi chilometri, l’avversario magari sottovalutato, cosa è andato bene e male. Ritrovandosi nella stessa situazione come si agirebbe, sapendo com’è andata? Bisogna affinare attraverso tutto ciò la nostra capacità di “problem solving”, imparare a gestire la situazione anche in presenza di forti emozioni, facendo in modo che l’attività emotiva non vada a inficiare l’applicazione logica.

E’ evidente però come, nel ciclismo come in tante altre discipline sportive, un piccolo episodio vada a intaccare la concentrazione mentale. Sono evidenti i casi di eventi che cambiano completamente il loro andamento proprio perché il protagonista ha perso la sua applicazione mentale. La concentrazione può essere allenata?

Sicuramente. La si può anche perdere. La società odierna porta a non essere concentrati quasi mai, a vivere a un livello di superficialità, questo perché abbiamo ormai un flusso d’informazioni che, secondo recenti studi, è più del doppio di quello di 10 anni fa. Siamo iperstimolati, tendiamo al multitasking quando invece il nostro cervello fa fatica a processare più informazioni per volta. La concentrazione deve essere uno stile di vita. La si può applicare anche nelle più piccole cose: mangiare, bere, guardare, insomma focalizzando i 5 sensi. Questo diventerà utilissimo anche quando saremo impegnati in corsa.

Le parole di Gregoire lette con gli occhi della psicologa

12.01.2024
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Le parole di Romain Gregoire, con le quali ha valutato la sua prima stagione da professionista, ci hanno incuriositi. Il giovanissimo francese non è stato gentile con se stesso, come forse è giusto che sia per chi ha ambizioni alte. Ma certi aspetti vanno valutati anche da un profilo psicologico. Così abbiamo chiesto ad Elisabetta Borgia, psicologa dello sport, di leggere l’intervista e di commentarla insieme a noi. 

«Bisogna partire – spiega Borgia – dagli obiettivi. I campioni, o comunque chi ha un grande talento, tende a porsi grandi traguardi. Un ruolo importante in questo caso lo ha la squadra che deve definire gli obiettivi insieme al corridore in maniera corretta. Ci si deve collocare sempre nella fascia tra il realistico e lo sfidante. Un obiettivo troppo elevato potrebbe portare a confrontarsi con una realtà diversa che non ci piace».

Gregoire è passato professionista dopo una sola stagione nelle file della squadra di sviluppo della Groupama
Gregoire è passato professionista dopo una sola stagione nelle file della squadra di sviluppo della Groupama
Gregoire ha detto di essere partito con l’idea di vincere, fin da subito.

A mio avviso il primo anno nel WorldTour puoi concentrarti su di te, sulle prestazioni e non sugli obiettivi. Chiaro che si corre per vincere, ma il grande controllo lo si ha sulle prestazioni.

Cosa ti ha colpita maggiormente delle parole di Gregoire?

Il voto: dove si è dato 7. Si è dato una valutazione bassa, da esterna posso dire che una prima stagione così, da neoprofessionista, meriterebbe un voto migliore. Però questo ci fa capire che ha una grande consapevolezza e una forte volontà. E che forse va un po’ di fretta.

Ha detto di aver avuto una stagione lineare, senza intoppi e che sapeva a quale livello fosse in ogni momento. 

Questo mi fa pensare due cose. La prima è che nonostante sia giovane ha un’enorme consapevolezza di sé. Conosce le sue sensazioni e le sa gestire: una qualità che spesso manca anche in corridori di grande esperienza. La seconda cosa è che avere una stagione senza intoppi permette di avere la sensazione di essere in controllo

Il voto è uno strumento a doppio taglio però, no?

Purtroppo o per fortuna, abbiamo standard e criteri che ci danno delle valutazioni, in tutto. Ad oggi i voti, anche scolastici, sono volti all’apprendimento, a quanto interiorizzi un argomento. Questo per salvaguardare l’autostima. Ci sono due variabili: l’autostima e l’autoefficacia. La prima riguarda la nostra identità, il modo in cui ci vediamo. L’autoefficacia, invece, riguarda il senso di padronanza verso qualcosa, come un compito o una determinata specialità. 

Al suo primo anno da professionista, Gregoire ha ottenuto 5 vittorie, nessuna di queste nel WT
Al suo primo anno da professionista ha ottenuto 5 vittorie, nessuna di queste nel WT
Gregoire non ha usato “l’attenuante” del primo anno nel WorldTour, ha detto che per lui non conta da quanti anni sei lì.

Ci sono atleti che entrano consci e senza dubbi nelle nuove avventure. C’è chi, invece, è più riflessivo. Avere delle perplessità è lecito, soprattutto nei confronti di ciò che non si conosce. Gregoire magari non aveva dati oggettivi per dire che era pronto, ma ha una personalità forte.

Nata dal fatto che per anni, nelle categorie minori, ha fatto tutto quello che voleva…

Chiaro che se nelle categorie inferiori fai il bello e il cattivo tempo, vai al salto nel professionismo sereno e aggressivo. L’autoefficacia la costruisci attraverso le esperienze passate, dosando sempre bene determinazione e motivazione. Quello che fa la differenza è l’equilibrio. Poi c’è da dire una cosa…

Il miglior risultato in gare WorldTour? Un secondo posto di tappa alla Vuelta, non abbastanza per lui
Il miglior risultato in gare WorldTour? Un secondo posto di tappa alla Vuelta, non abbastanza per lui
Quale?

Che i giovani sono in mano anche a tante variabili: crescita fisica, strutturale, di gruppo… Insomma non è semplice avere un cammino lineare. 

Gregoire, infine, ha detto che rimane deluso per non aver vinto nel WorldTour.

Riallacciandoci al discorso che non vede differenze tra chi è al primo anno da professionista e chi è già tanti anni che corre, direi che il ragionamento fila. Gli atleti costruiscono la loro self confidence e si sentono sicuri e padroni di quel che succede. Ci sono corridori che in gara, nonostante sia la prima volta, arrivano concentrati su di sé. Hanno l’approccio vincente, sono convinti, hanno la sensazione di sapere dove sono e cosa fare. E’ il caso di chi parte per vincere, sempre.

Fine stagione, quando la testa fa più differenza che mai

07.10.2023
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Il coach Notari, Elena Cecchini, Giulio Ciccone… Ciascuno di loro nelle ultime interviste ha parlato dell’importanza della testa in questa fase della stagione. Hanno quasi lasciato intendere che se la “testa gira” si può fare la differenza più che in altri periodi dell’anno. Come a dire che, anche se si è stanchi ma si ha voglia, qualcosa di buono si può combinare.

Elisabetta Borgia, psicologa dello sport della Lidl-Trek e della Federciclismo, ci ha aiutato ad approfondire il discorso.

Elisabetta Borgia, in forza alla Lidl-Trek
Elisabetta Borgia, in forza alla Lidl-Trek
Dottoressa, come dicevamo, il limite fra stanchezza e freschezza mentale può fare una differenza maggiore in questo periodo. Come se fosse più determinante che in altri momenti: perché?

Più che di freschezza, io parlerei di energie mentali. Già altre volte abbiamo usato la metafora del serbatoio che ad inizio stagione è pieno. E mantenerlo pieno è una delle sfide del ciclismo, ma oserei dire dello sport moderno. Il gioco è gestire questo serbatoio tra i vari picchi, evitando di finire senza benzina.

Perché è una sfida?

Perché le stagioni sono più lunghe, lo sport è cambiato, si viaggia di più, c’è più attenzione mediatica… In questa fase della stagione chi ha gestito meglio il serbatoio, tra i momenti di massima forma e quindi di dispendio energetico e quelli di recupero in cui lo ha riempito, riesce a fare la differenza. Mi viene in mente ad esempio un’atleta della mtb che ha avuto un infortunio durante l’anno e che è appena riuscita a vincere la sua prima prova di Coppa del mondo negli Stati Uniti. E’ arrivata a fine stagione ancora motivata e brillante. Evidentemente aver dovuto saltare delle gare, aver dovuto optare per il “Piano B”, l’ha portata a risparmiare energie che le sono risultate preziose adesso. 

Alcuni preparatori ci hanno detto come la freschezza mentale agevoli l’assimilare di alcuni lavori, quindi incida anche sull’aspetto prettamente fisico della prestazione. E’ così?

Di base è molto difficile parlare di dati fisici e aspetti mentali. Noi siamo soliti dividere i due aspetti, quello mentale e quello fisico, ma questa divisione è qualcosa di nostro, una semplificazione. In realtà noi siamo un tutt’uno. E questo vale anche per voi che scrivete. Un articolo, per quanto coinvolgente possa essere, vi viene meglio quando siete freschi, motivati, felici oppure quando dovete scriverlo di notte, annoiati, stanchi e magari un po’ malati?

Marc Hirschi deve aver ben gestito le sue energie, in questa fase della stagione è tra i più attivi e sempre nella top ten
Marc Hirschi deve aver ben gestito le sue energie, in questa fase della stagione è tra i più attivi e sempre nella top ten
Risposta scontata chiaramente

La differenza è che se hai ancora energie, riuscirai ad allenarti con efficacia, a fare la vita da atleta senza sforzi esagerati, a mangiare bene senza troppa fatica. Ma se il serbatoio è vuoto, tutto è più difficile. Poi è chiaro che a fine stagione ci sia della stanchezza psicofisica, ma è normale. Se prendiamo l’esempio del solito serbatoio, è normale che la lancetta sia sulla zona arancione, quella che precede il “rosso fisso”.

Se invece è vuoto?

E’ sintomo che la gestione non sia stata ottimale, che l’atleta non sia riuscito a riconoscere quei segnali, quei campanelli d’allarme, quei “vuoti del motore’”che anticipano lo stop. Così come non va bene se è del tutto pieno. Vuol dire che durante il percorso stagionale non ha dato abbastanza, cosa che personalmente non ho mai riscontrato. Infatti, anche nel caso si sia stati fermi per infortunio o per problemi vari, la rincorsa al rientro e la riabilitazione portano a spendere delle energie nervose. Un infortunio logora.

Prima dottoressa, hai parlato anche di viaggi. Molti atleti più o meno scherzando ci hanno detto del peso di dover ripartire alla volta delle ultime gare importanti tra Cina e Giappone. Anche quello contribuisce a svuotare il serbatoio?

I viaggi sono sicuramente un elemento di stress. Io giro parecchio e amo osservare i comportamenti e gli aeroporti sono un luogo ideale in tal senso. Si vede un po’ in tutti un certo stato di ansia. Pensateci, in aeroporto devi arrivare prima, rispettare certi orari, lasciare la macchina, non dimenticare il passaporto, imbarcare i bagagli… Questi stress valgono per chi sta andando in vacanza, figuriamoci per chi deve lavorare.

I viaggi lunghi sono uno stress e se si parte già stanchi tutto si complica
I viaggi lunghi sono uno stress, specie a fine stagione. Se si parte già stanchi tutto si complica
Chiaro…

Nel caso dei corridori il viaggio di per sé è uno stress: il fuso orario, nel mezzo perdi un allenamento, sai che quando risalirai in sella non avrai ottime sensazioni. Non gli do una connotazione negativa, è oggettivo che i viaggi stagionali siano di più che in passato e a volte sono anche di lungo raggio. Ma tutto questo fa parte di quella che io chiamo “evoluzione della specie”, vale a dire lo sport che cambia.

La soluzione qual è?

La soluzione è riuscire a modulare lo sforzo durante la stagione, essere consapevoli ed osservare i propri limiti. In questo caso avere uno staff affiatato e competente attorno può fare la differenza. Poi chiaramente non si può pensare di controllare e prevedere tutto. Ci vuole anche la flessibilità di modificare i programmi in corso d’opera, quando ci si rende conto che le cose non stanno andando nella direzione auspicata. Tornando al peso dei viaggi, un conto è andare dall’altra parte del mondo avendo fatto una bella stagione e quindi partendo tranquilli. Un conto è andarci se ancora non si ha un contratto per l’anno successivo. A quel punto Cina e Giappone diventano importantissime. Ne vale il futuro di dell’atleta stesso.

L’ansia da prestazione prima del via (e anche in gara)

20.08.2023
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Da Marlen Reusser ferma a gambe incrociate a bordo strada, agli occhi chiusi dei e delle pistard sul parquet prima della loro prova. Dalle notti insonni prima della propria gara, al batticuore nel momento clou dello sforzo. Quanti pensieri, quanti timori, quante paure… per gli atleti. Un insieme di sensazioni che ci hanno fatto parlare di ansia da prestazione.

Elisabetta Borgia è la psicologa dello sport della Federciclismo. A Glasgow ha avuto il suo bel da fare. E’ stata chiamata in causa persino dagli interpreti della Bmx, spesso considerati funamboli, “pazzi” e istrionici più dei colleghi. Con Borgia analizziamo dunque l’ansia da prestazione per gli atleti.

Nel riscaldamento spesso si vivono fasi delicate a livello mentale. Qui Borgia con Venturelli
Nel riscaldamento spesso si vivono fasi delicate a livello mentale. Qui Borgia con Venturelli
Dottoressa Borgia, a Glasgow ti hanno visto correre tra Bmx, strada, pista, Mtb, paralimpici… Quanti pensieri, quanti timori?

Il lavoro con la Federazione prende più discipline, in questo caso erano tutte insieme. Il che visto dall’esterno è tutto molto bello, da casa mi dicevano che era una piccola Olimpiade, ma da dentro non è stato semplicissimo perché c’erano delle sovrapposizioni. Parlare con i ragazzi non è stato facile.

Ti chiamavano in causa per l’imminente gara, qualche paura, qualche timore: tutto ciò lo possiamo chiamare “ansia da prestazione”?

Direi di sì. Quando ci si avvicina ad un grande evento, si è investito tanto in termini di energie e le aspettative sono sempre alte. Spesso questi appuntamenti diventano degli obiettivi per gli atleti di un certo livello e va da sé che è il momento di “quagliare”, di portare a casa qualcosa per cui si è lavorato tanto. E ci può stare che che si attivi un po’ di questa emozione in risposta ad un evento che viene percepito come potenzialmente stressante. Perché di fatto l’ansia è un’emozione.

Scendiamo un attimo nel tecnico/sanitario: che cos’è appunto l’ansia da prestazione?

L’ansia è uno stato di iperattivazione, una reazione emotiva che coinvolge sia l’aspetto cognitivo che l’aspetto fisico (somatico). Le emozioni sono l’emblema del fatto che noi siamo mente e corpo e che entrambi si condizionano vicendevolmente.

Il mondiale è l’evento in cui si deve raccogliere per il tanto lavoro fatto: la pressione sale prevedibilmente
Il mondiale è l’evento in cui si deve raccogliere per il tanto lavoro fatto: la pressione sale prevedibilmente
Tradotto in termini più pratici?

Nel momento in cui parliamo di ansia da prestazione, parliamo di questa iperattivazione legata alla necessità di portare a casa una prestazione di un certo tipo. E’ come se il nostro “motore” facesse troppi giri impedendoci di essere massimamente prestativi. Abbiamo bisogno comunque di un livello di attivazione quando siamo chiamati a dare il massimo . E’ la teoria della “inverted U” (U capovolta), tanto cara alla psicologia dello sport.

Interessante…

Si enfatizza il fatto che ci sia un livello ottimale di attivazione, di tensione (che in termini tecnici si chiama arousal). Questa ci permette di raggiungere la massima prestazione. E’ ciò che nella preistoria faceva sì che l’uomo primitivo fosse pronto a scappare, ad essere reattivo. Ma la “inverted U” dice che se non sei per nulla attivato o se sei troppo attivato, la prestazione ne risente. Pertanto quando parliamo di ansia da prestazione parliamo di quella fetta di questo “grafico” che va oltre la zona ottimale.

E i sintomi fisici?

Magari c’è chi si attiva troppo presto e quindi inizia a pensarci da giorni prima, non dorme la notte, magari ha i battiti cardiaci elevati, la respirazione è più affannosa e toracica e non diaframmatica… e di conseguenza la contrazione muscolare è molto più forte. Questo a sua volta può favorire infortuni o problemi come i crampi.

Sul piano ormonale cambia qualcosa?

Sicuramente aumentano i livelli di cortisolo e di adrenalina.

Lo stop a bordo strada durante la crono per Marlen Reusser è stata un’immagine emblematica dell’ansia da prestazione (immagine da video)
Lo stop a bordo strada durante la crono per Marlen Reusser è stata un’immagine emblematica dell’ansia da prestazione (immagine da video)
Passiamo ad esempi più concreti. Abbiamo Reusser, grande favorita per la crono, ad un certo punto ha accostato e si fermata. Ha detto che è come se avesse perso la concentrazione, non avesse più l’obiettivo di fronte a lei. Quello è un caso di ansia da prestazione? Come lo interpreti?

Inserisco questo caso in una cornice un pochino più ampia e parto dai calendari del ciclismo femminile, che sta crescendo in maniera esponenziale. Le ragazze quasi all’improvviso si ritrovano a dover affrontare delle cose che nel passato non c’erano. Parlo di calendari fitti, aspettative, pressioni, visibilità… Sono atlete grandissime, ma al tempo stesso per certi aspetti anche delle vere e proprie pioniere.

Ci sta dunque quel blackout di Reusser…

Spiace per la donna, per la persona, per l’atleta. In quei frangenti riemerge la parte umana. La tanica di energie era quasi vuota. Queste reazioni nascono da una vulnerabilità che si lega ad una stanchezza psicofisica che evidentemente è cresciuta durante la stagione. Reusser ha fatto le classiche benissimo, ha vinto la Gand, è andata fortissimo al Tour e ha vinto l’ultima crono. Tutto questo crea delle aspettative e in un calendario così fitto non c’è stato un attimo per mollare. E’ stato come se i tempi mentali non seguissero i tempi del calendario. Una continua rincorsa, senza quel momento di calo, di recupero per rimpinguare il serbatoio. E questa è una cosa nuova per le donne. Ma penso anche altro…

Cosa?

Se ha avuto lei, che è un’atleta di spicco, queste problematiche, figuriamoci le seconde linee. Quelle che fanno fatica a finire le gare. In che condizioni mentali si possono trovare in una stagione del genere?

Più ansia per i più giovani, secondo Borgia. Ma anche grazie al suo aiuto questo stato in gara proprio non emerso. Moro (foto di archivio) ne è un esempio
Più ansia per i più giovani, secondo Borgia. Ma anche grazie al suo aiuto questo stato in gara proprio non emerso. Moro (foto di archivio) ne è un esempio
Elisabetta, prima ha parlato di tanica vuota, però pochi giorni dopo Reusser è andata fortissimo nella prova in linea…

Oggi si parla molto di resilienza: ebbene questo è il tipico esempio di resilienza. Credo che dopo una “debacle” – che per me non è una debacle – ma dopo un momento di difficoltà è come se si fosse tolta di dosso tutte le pressioni. Avesse allontanato le aspettative, i pensieri brutti, e avesse chiuso il suo conflitto interiore. Dopo tutto nella crono, dal suo punto di vista qualunque risultato diverso dalla vittoria sarebbe stata una sconfitta. Un pensiero non semplicissimo con cui convivere, tanto più se arrivi all’evento già un po’ “scarica”. Lei era pronta fisicamente per vincere quella crono o comunque prestazionalmente era da podio, la forma fisica c’era e visto come ha chiuso il Tour la settimana prima. Quindi sapeva di stare bene. Nel post crono ha ricevuto feedback positivi, vicinanza da tifosi e squadra e nella gara in linea è partita più leggera. Non aveva niente da perdere.

Facciamo invece un esempio concreto di ansia da prestazione. Magari legato al gruppo degli azzurri e delle azzurre.

Più che ansia da prestazione mi viene in mente un po’ quell’ansia che nasce dalla poca consapevolezza di sé. Penso a “quell’ansietta” tipica dei più giovani che ancora non si conoscono, che non sanno leggere come stanno fino in fondo, che devono capire qual è il percorso migliore per arrivare veramente in forma ad un grande evento. Quindi mi riferisco a quell’ansia che magari ti fa fare fatica a dormire la notte prima, quell’emozione della prima volta ad un grande evento, quei dubbi rispetto alla strategia da usare, dove stare in gruppo, come gestirsi.

Difficoltà fisiologiche di gioventù insomma?

Esatto, aspetti che nella massima categoria, di uomini e donne, non ho riscontrato. Solitamente i più esperti è proprio in queste occasioni che riescono a tirare fuori il massimo.