Le parole di Ludovico Crescioli, che passerà professionista con i colori della Polti-Kometa (dal 2025 Team Polti Visit Malta) riguardo al corso ACCPI pensato proprio per chi come lui entrerà nel mondo dei grandi sono rimaste in testa. Il toscano ha descritto la giornata introduttiva, passata a Milano, come una prima infarinatura di quello che sarà. Si è parlato di tanti aspetti, non ultimo quello psicologico. In questo campo è intervenuta Elisabetta Borgia, psicologa dello sport. Nel suo discorso ha toccato punti interessanti, come quelli legati al porsi i giusti obiettivi per non rimanere schiacciati da una macchina che per alcuni potrebbe essere ancora troppo grande.
Sempre più giovani
L’età media dei ragazzi che diventano professionisti si abbassa, è un dato di fatto. A fronte di gambe già forti per correre Classiche Monumento o Grandi Giri ci sono personalità ancora da formare.
«Per quanto un ragazzo possa andare forte – spiega Elisabetta Borgia – quando diventa professionista compie un salto verso l’ignoto. La riflessione giusta che si deve fare è legata a quali possano essere le sfide giuste per un giovane atleta. Quello che si vede spesso è che i ragazzi sono iperstimolati e focalizzati sul proprio cammino di crescita. Il mio consiglio è stato quello di cercare, all’interno delle varie squadre, delle figure che possano guidarli e restargli accanto».
Che obiettivi si pongono?
A breve termine e legati spesso al risultato. Molti pensano: «Mi alleno due mesi in questo modo così alla prossima gara posso vincere». Ma non è sempre così, soprattutto quando si diventa professionisti. Le gare cambiano, diventano più lunghe e impegnative. Gli avversari sono forti. Non sempre allenarsi al massimo porta il risultato sperato, ma fa parte del cammino.
Il tuo consiglio qual è stato?
Di cercare obiettivi realistici e sfidanti che siano totalmente concentrati su loro stessi. Non per egoismo, ma perché sia un cammino di crescita personale. Non guardare agli altri, soprattutto se il paragone viene fatto con corridori esperti e che corrono da anni in questo mondo. I primi mesi sono quelli più complicati e se ci si paragona agli altri si mettono ancora più in evidenza le difficoltà.
Come mai i primi mesi sono difficili?
Già il primo ritiro è sempre uno schock. Cambia tutto: da come ti approcci ai coach, allo staff e ai compagni. Senti di entrare in una nuova dimensione rispetto a quello che eri abituato a vivere prima. La cosa importante è trovare il giusto equilibrio, anche se non è mai semplice.
Anche se arrivano con la giusta motivazione?
Non credo di aver mai trovato un ragazzo poco motivato o che non sia disposto a fare qualcosa in più per migliorare. Anzi, il rischio maggiore è che il ciclismo e la crescita diventino un’ossessione. La maggior parte delle volte la delusione per un obiettivo non raggiunto arriva perché ci si è posti male il traguardo.
Cioè?
Se metto l’asticella troppo in alto il rischio è di non saltarla. All’inizio del loro cammino da professionisti devono ragionare a lungo termine. Quello che dico loro è di cercare ciò che serve loro per crescere e migliorare. Se riescono a farlo anche il debriefing diventa un momento di crescita.
Cos’è?
Il momento in cui si ragiona su cosa mi aspetto, cosa ho fatto per raggiungere l’obiettivo e cosa avrei potuto fare meglio.
I ragazzi diventano professionisti sempre più giovani, c’è il modo di tutelarli.
A mio avviso sì. Innanzitutto i devo team nascono per avere un passaggio intermedio tra la categoria under 23 e il WorldTour. Un giovane atleta ha la giusta prospettiva di crescita, lo staff e il modo in cui si lavora è professionale ma non così tanto come tra i professionisti. Si tratta di fare un passo intermedio che colma un gap che per qualcuno potrebbe essere troppo ampio. Questo, in particolare, se passano da juniores a professionisti.
Il corso però è dedicato ai neo professionisti, quindi il salto è già stato fatto…
Ogni squadra ha degli psicologi oppure delle figure di riferimento per questi ragazzi. Possono essere anche i diesse o qualche coach. Ci sono persone in grado di avere la giusta sensibilità per comprendere lo stato emotivo dell’atleta. La crescita tecnica va di pari passo a quella professionale e atletica.
Quando parli con i ragazzi cosa noti?
Che c’è una necessità evolutiva del ciclismo, in ragazzi under 23 corrono e vanno forte, spesso questo accade anche tra gli juniores. Alcuni fanno numeri che permettono loro di poter vincere tra i professionisti, ma non rappresentano la media. Il percorso di crescita deve essere proporzionato all’età. Non ci sono solo i watt, ma un progresso generale. Te ne accorgi nei faccia a faccia, sono forti ma hanno le stesse insicurezze di ogni adolescente. D’altronde lo sono ancora.