Quattro continenti in un mese: il viaggio infinito di Honoré

16.10.2025
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Nell’era del padrone assoluto Tadej Pogacar e dell’invincibile Uae Emirates, la miglior difesa è l’attacco. Mikkel Honoré non è uno che si tira indietro e nelle ultime settimane ha trasformato il suo pensiero sulla strada. Smaltito il Covid che l’aveva debilitato a metà stagione, il danese della EF Education-EasyPost si è lanciato senza timore nel primo mondiale africano, pilotando il connazionale Mattias Skjelmose a un passo dal podio. Poi ancora si è messo in luce nelle classiche italiane, provando l’assolo al Giro dell’Emilia tra le due ali di folla del San Luca e di nuovo con un’azione alla Bernocchi.

La gamba sarebbe stata buona per l’amato Lombardia, ma il fitto calendario e le esigenze del team di fare punti l’hanno dirottato verso il Tour of Guanxi. Prima di fiondarsi in aeroporto accompagnato dalla moglie Marilisa e partire alla volta della Cina, il ventottenne di Fredericia ci ha raccontato delle ultime, intense settimane in giro per il mondo. 

Tour of Slovenia 2024, Michel Honoré, sua moglie Marilisa
E’ stata la moglie Marilisa ad accompagnare in tutta fretta Honoré a Malpensa per la partenza inattesa verso la Cina
Tour of Slovenia 2024, Michel Honoré, sua moglie Marilisa
E’ stata la moglie Marilisa ad accompagnare in tutta fretta Honoré a Malpensa per la partenza inattesa verso la Cina
Sei pronto a una nuova sfida in un altro continente?

Devo dire in effetti che in questo finale di stagione non mi sono fatto mancare nulla: prima il Canada, poi il mondiale in Rwanda, il ritorno in Europa e ora l’Asia. La logistica è un po’ complessa, ma mi sento molto bene, per cui sono fiducioso. Sarà interessante vedere come reagisce il fisico a tutti questi viaggi, perché quattro continenti in un mese non è proprio una passeggiata.

Con la condizione che hai mostrato non hai un po’ di rammarico di esserti perso il Lombardia?

Sinceramente un po’ sì, perché è la mia gara preferita sin da bambino ed è quella di casa. Ho vissuto due anni a Bergamo e sei anni a Melide, in Svizzera, a 10 chilometri da Como: quindi sono tutte strade che conosco ed è davvero speciale. Poi è la corsa in cui si celebra il nuovo campione del mondo, anche se oramai da un paio d’anni resta lo stesso. 

Che cosa ti aspetti dalla trasferta cinese?

Sulla carta dovrei essere io il capitano, per cui spero di far un bel risultato. Finalmente, ho ritrovato il mio equilibrio, che mi mancava da qualche stagione. Da diverse settimane sentivo che girava tutto bene. In realtà, ero in forma anche al Giro della Polonia, ma poi ho preso il Covid e sono stato otto giorni senza bici che mi hanno costretto a ripartire da zero. In Canada ho ritrovato buone sensazioni, a Montréal ho attaccato un po’ di volte e fatto andare via Powless. Avrei potuto ottenere un buon risultato anche io, solo che sull’ultima curva sono caduto. Infatti, ci sono state proteste come alla Vuelta e io sono scivolato per la pittura gettata sull’asfalto che si è attaccata alla gomma e mi ha fatto perdere aderenza. 

Giro dell'Emilia 2025, attacco di Mikel Honoré sul muro di San Luca
L’attacco di Honoré al Giro dell’Emilia è stato il tentativo di sottrarsi alla legge di Del Toro
Giro dell'Emilia 2025, attacco di Mikel Honoré sul muro di San Luca
L’attacco di Honoré al Giro dell’Emilia è stato il tentativo di sottrarsi alla legge di Del Toro
E l’avventura iridata in Rwanda?

E’ sempre un onore rappresentare la Danimarca e per me quella del mondiale è una delle settimane più belle dell’anno. Mi sono allenato a San Marino, facendo sessioni specifiche, simulazioni gara e dietro-moto. E’ stato tutto bellissimo, anche per la grande atmosfera che abbiamo trovato. Tutti avevano tanti pregiudizi e cattivi pensieri, ma è stata una esperienza bellissima. Gente straordinaria, strade in ottimo stato, tutto ha funzionato come doveva.

E voi danesi siete andati davvero forte…

Abbiamo corso bene tutti dal chilometro zero e penso che siamo stati la squadra più organizzata e strutturata: il risultato si è visto, gli unici con due corridori nei primi dodici. Io ho anticipato lo scatto, così da permettere a Skjelmose di stare a ruota per poi avere le energie per seguire l’attacco successivo di Remco. In un mondiale del genere, ogni piccolo dettaglio faceva davvero la differenza. Mattias era contento del risultato, anche se la medaglia è sfuggita davvero di poco. Però, quando a batterti sono corridori più forti di te, non puoi far nulla, per cui eravamo contentissimi della nostra prestazione. 

Avversari per un giorno, compagni tutto l’anno: te l’aspettavi Ben Healy sul podio coi due alieni?

So che aveva il mondiale in testa da un bel po’, diciamo subito dopo l’ottimo Tour che ha fatto. Lui è un corridore molto bravo in questi appuntamenti, per cui devo dire che per me non è stata una sorpresa vederlo col bronzo al collo. Certo, forse in tanti aspettavano Del Toro, ma avevo i miei dubbi su Isaac perché una corsa con così tanti chilometri e quel dislivello tremendo, alla sua età, era qualcosa di totalmente nuovo.

Campionati del mondo Kigali 2025, Remco Evenepoel, Ben Healy, Mattias Skjelmose
Il lavoro di Honoré ai mondiali ha permesso a Skjemose di giocarsi il podio con Evenepoel e Healy
Campionati del mondo Kigali 2025, Remco Evenepoel, Ben Healy, Mattias Skjelmose
Il lavoro di Honoré ai mondiali ha permesso a Skjemose di giocarsi il podio con Evenepoel e Healy
Tornando sulla Danimarca, pensi che sia l’età dell’oro per il vostro ciclismo?

Stiamo andando fortissimo. Anche per questo, essere il corridore danese con più mondiali consecutivi da pro’ (sei, ndr) come mi ha fatto notare un giornalista del mio Paese, è davvero qualcosa di unico per me. Tengo duro da Imola e spero di esserci anche negli anni prossimi perché ci aspettano bei percorsi, a partire dal Canada che conosco molto bene. La fortuna è che, qualunque sia il percorso, possiamo schierare una squadra molto forte che lotti per la vittoria. Non a caso siamo secondi nella classifica mondiale.

Sei convinto che anche Vingegaard possa dire la sua in una gara di un giorno?

Senza dubbio. Non mi ha sorpreso che abbia faticato all’europeo, perché dopo aver corso Tour e Vuelta da capitano, è normale che il fisico presenti il conto. Jonas è un fenomeno, ma quello che fa Tadej è veramente di un altro livello, ha una classe superiore. Pogacar corre tutte le gare per tutto l’anno, è sempre lì, ha una testa e una passione che lo spingono a imprese incredibili. La differenza è anche a livello di squadra perché Jonas è un po’ sacrificato nelle classiche dalle strategie della Visma, che nelle corse di un giorno punta su fuoriclasse come Van Aert e preferiscono preservarlo per il Tour, che è sempre l’obiettivo numero uno. Capisco la loro decisione, anche se ovviamente il pubblico vorrebbe sempre vedere il duello Pogacar-Vingegaard.

Pedina preziosa per il successo di Powless contro i tre Visma alla Dwars door Vlaanderen, poi ancora gregario instancabile per il podio di Carapaz al Giro: nel 2026 ti vedi anche più libero da compiti in qualche corsa?

Assolutamente sì e ne parleremo a fine stagione. Ci ho messo tanto tempo a ritrovare questo colpo di pedale e ora non spero più, sono sicuro che l’anno prossimo mi vedrete più protagonista. All’Emilia ho provato un po’ l’impossibile perché tutti sapevamo che Del Toro avrebbe vinto, ma non mi piaceva stare lì ad aspettare uno scenario scontato. Ogni tanto bisogna sognare e tentare il tutto per tutto: se mi fosse venuto un corridore Uae a ruota, magari saremmo potuti andare al traguardo e magari mi giocavo il successo o almeno facevo un podio. 

Campionati europei Drome et Ardeche 2025, alla partenza Tadej Pogacar, Remco Evenepoel, Jonas Vingegaard, Joao Almeida
Gli europei hanno proposto il confronto fra Pogacar e Vingegaard per la prima volta in una gara di campionato
Ti sembra che tanti si siano arresi alla legge Pogacar-Del Toro?

Esatto e si è visto anche al Gran Piemonte. Bisogna osare un po’ di più ed inventarsi qualcosa. All’Emilia sapevo che è impossibile anticipare le operazioni perché non c’era un metro di pianura che ti regalasse secondi, era tutta salita e discesa: mi piace rischiare e giocarmi tutte le carte, a costo anche di perdere una possibile top 10. Comunque, mi porto tante buone sensazioni per l’anno prossimo.

Il tuo sogno?

Le classiche delle pietre in primavera come il Fiandre, ma soprattutto la Sanremo. E’ una gara che mi piace un sacco e in cui voglio dimostrare di poter far bene. Ma prima, vediamo come andrà in Cina.

Il meraviglioso Tour di Ben Healy, raccontato da Wegelius 

31.07.2025
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Questa primavera, al termine della stagione delle classiche, avevamo parlato con Charly Wegelius per capire assieme a lui dove potesse arrivare il suo corridore più battagliero ed estroso, Ben Healy. Non sono passati nemmeno tre mesi e l’irlandese ha conquistato il nono posto al Tour, una vittoria di tappa (un’altra sfiorata), ha indossato la maglia gialla e a Parigi ha vinto il premio di super combattivo.

Non male, per uno che alla partenza doveva puntare solo a dei traguardi parziali. Ora che i – meritatissimi – festeggiamenti sono passati abbiamo contattato di nuovo Wegelius per tirare le somme di questo straordinario Tour de France.  

Charly Wegelius, DS della EF Education-EasyPost, è da anni in questo gruppo, quando ancora era Cannondale
Charly Wegelius, DS della EF Education-EasyPost, è da anni in questo gruppo, quando ancora era Cannondale
Charly, un Tour oltre ogni aspettativa?

Le aspettative erano quelle, perché è giusto che siano sempre alte. Ma poi nel ciclismo sono più le volte in cui non raggiungi gli obiettivi che quando li raggiungi. Se prendi le 23 squadre che erano al via tutte avevano l’obiettivo di vincere una tappa, ma il problema è che le tappe disponibili sono solo 21… Se non sbaglio alla fine 14 squadre sono rimaste senza una vittoria. Quindi siamo molto soddisfatti, anche se poi si diventa rapidamente viziati, e l’unica cosa che poteva andare meglio era vincere sul Ventoux. Ma appunto, non è il caso di lamentarsi troppo.

Ad inizio maggio ci avevi detto che Healy avrebbe puntato a delle tappe e non alla classifica. Alla fine ha fatto questo e quello

Vista l’assenza di Richie (Carapaz, ndr) siamo partiti concentrati al 100 per cento sulle tappe. Poi Ben ha vinto la tappa con un distacco importante e si è trovato con la maglia gialla. Quando poi l’ha persa ci siamo accorti che c’erano delle scelte da fare. Se fosse rimasto troppo vicino in classifica non avrebbe più avuto  l’opportunità di muoversi per le tappe. Quindi abbiamo deciso che avrebbe fatto la cronoscalata piano, appunto per uscire di classifica.

Il corridore irlandese ha indossato la maglia gialla al termine della decima tappa, dopo una fuga eccezionale
Il corridore irlandese ha indossato la maglia gialla al termine della decima tappa, dopo una fuga eccezionale
Però poi non è andata esattamente così…

Perché Ben non ce l’ha fatta ad andare piano. Mentre pedalava si guardava in giro, si godeva il panorama e le montagne, ma aveva un gamba impressionante e quindi alla fine non ha perso tanto tempo. E il fatto è che al Tour anche se sei 12° o 13° è difficile che ti lascino libertà, perché lì conta ogni piazzamento. Nonostante tutto abbiamo gestito bene la situazione e poi è riuscito a muoversi come voleva.

Quella maglia gialla, così inaspettata, cos’ha voluto dire per la squadra? 

E’ sempre una gioia immensa, perché è il simbolo più potente che c’è nel ciclismo. Non voglio sottovalutare quello che ha fatto Carapaz a Torino (quando l’ecuadoregno ha indossato la gialla al termine della terza tappa, ndr), ma stavolta è stato diverso. L’ha presa dopo 10 giorni di gara e in un modo clamoroso, portando in giro i compagni di fuga per 40 chilometri, qualcosa di davvero straordinario. La nostra storia al Tour è una piccola storia, quella di una squadra che va contro il senso del ciclismo moderno che è sempre più robotico, iper calcolato. I commenti positivi della gente vanno in questa direzione, ci dicono che siamo una boccata d’aria, andiamo controcorrente, ci inventiamo delle cose. E questo smonta un po’ l’idea che in questo ciclismo non ci sia più spazio per qualcosa che definirei “artistico”.

Oltre alla tappa di Vire Normandie, Healy ha sfiorato la vittoria anche sul Mont Ventoux
Oltre alla tappa di Vire Normandie, Healy ha sfiorato la vittoria anche sul Mont Ventoux
Torniamo ad Healy. Cambia qualcosa nella testa di un corridore dopo un 9° posto al Tour?

Se Ben possa essere un corridore da classifica è una curiosità che sia che lui che noi abbiamo sempre avuto. L’idea era di sperimentare nelle gare più corte del WorldTour. In primavera volevamo provare ai Paesi Baschi e poi al Delfinato, ma entrambe le volte per diversi motivi ci sono stati dei problemi. Così ci siamo trovati direttamente al Tour. Però bisogna anche dire che occorre un po’ di precauzione, di realismo, perché un conto è essere costanti ogni giorno, un altro è entrare e uscire di classifica con le fughe. Io forse trovo un po’ trovo noioso stare tutto il Tour nella penombra, senza guizzi, a fare i calcoli per un piazzamento.

Infatti c’è il pericolo che se Healy pensasse solo alla classifica perderebbe quello spirito battagliero che lo fa amare tanto dai tifosi?

A livello sportivo e tecnico fare 6° o 7° è un risultato di assoluto valore, non c’è dubbio. Ma a livello di storia che si racconta, di una squadra o di un corridore, è la cosa più noiosa che ci sia. Anche gli addetti ai lavori dopo qualche tempo fanno fatica a ricordarsi chi è arrivato quarto. Penso che il ciclismo ci perda se la paura di essere sconfitti è più grande della voglia di provare a vincere. Il lusso che ho io è che il nostro capo vuole che ci proviamo sempre, anzi l’unica cosa che lo fa arrabbiare è se non ci tentiamo qualcosa. Anche allo sponsor non dispiace se poi perdiamo, l’importante è che facciamo di tutto per correre con cuore e con coraggio. Secondo me è questo è il bello del ciclismo.  

Grande soddisfazione fino alla fine, con il premio di super combattivo del Tour sul podio di Parigi
Grande soddisfazione fino alla fine, con il premio di super combattivo del Tour sul podio di Parigi
Quindi Ben rimane più un corridore da classiche secondo te?

Non lo vedo come una cosa o bianca o nera. Lui potrebbe puntare alla classifica, ma a modo suo. La realtà è che niente rimane mai fermo. Ha bisogno di essere stimolato, anche perché ogni mese e ogni anno diventa più marcato dagli altri e il suo modo di correre non può essere lo stesso. Noi vogliamo accompagnare Ben nella sua carriera, e non solo dirigerlo, cerchiamo di avere dei progetti che lo sfidino. Quindi magari sì, in futuro proverà a fare classifica, ma sempre a modo suo, senza impedirgli di essere quello che è.

Quali sono le prossime gare in cui lo vedremo, la Vuelta?

No, ora un po’ di riposo poi punterà al Mondiale e al Giro di Lombardia. Ora però ci godiamo questo momento, questo successo, e poi vedremo per il futuro. Che sarà comunque sempre all’attacco. 

Alla scoperta di Ben Healy, con Charly Wegelius

03.05.2025
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Con il terzo posto alla scorsa Liegi-Bastogne-Liegi, Ben Healy ha conquistato il suo primo podio in una Monumento. Un risultato arrivato dopo tre stagioni in cui abbiamo imparato a conoscerlo e a riconoscerlo: sempre in fuga, sempre all’attacco, con quella testa leggermente piegata sulla sinistra.

Nel 2023 si è rivelato al mondo con un 2° posto all’Amstel Gold Race e un 4° alla Liegi, e da quel momento non ha smesso di crescere e stupire. Ma chi è davvero Ben Healy? E dove può arrivare ora che, a 25 anni, è nella piena maturità? L’abbiamo chiesto al suo direttore sportivo all’EF Education-EasyPost, Charly Wegelius.

L’inglese Charles Wegelius (classe 1978) è dal 2017 a capo dello staff della EF Education-EasyPost
L’inglese Charles Wegelius (classe 1978) è il diesse della EF Education-EasyPost
Charles, ci racconti com’è stato il tuo primo impatto con Healy?

Aveva già fatto ottimi risultati come dilettante e per questo lo abbiamo voluto con noi. Nel primo anno abbiamo deciso di farlo correre senza cercare picchi di forma specifici per poter decidere un programma misto, in modo da capire dove inquadrarlo nel ciclismo di questo livello. La stagione successiva (2023, ndr) abbiamo puntato più specificatamente sulle gare di un giorno. Quell’anno cadde a febbraio e mi ricordo che fece dei lavori impressionanti sui rulli, al punto che poco dopo riuscì ad arrivare 2° all’Amstel dietro Pogacar e disputare un ottimo Giro d’Italia. Proprio in virtù di quell’esperienza, in questa stagione abbiamo cercato di ricreare una programmazione simile al 2023, e per ora direi che sta funzionando.

Quindi avete capito presto di avere tra le mani un corridore di qualità?

Tutti i corridori che arrivano in una squadra come la nostra hanno grandi qualità, ma poi bisogna capire come farle fruttare. Dopo aver visto quello che Ben ha fatto già il primo anno, quando come dicevo abbiamo evitato di fare lavori specifici, ci ha convinti del suo valore. A quel punto non ci voleva un genio a capire che con una preparazione mirata sarebbe solo migliorato. E infatti così è stato.

Ben Healy all’ultima Liegi attacca con sua caratteristica andatura, finirà 3° dietro Pogacar e Ciccone
Ben Healy all’ultima Liegi attacca con sua caratteristica andatura, finirà 3° dietro Pogacar e Ciccone
Torniamo al 2025. Quali saranno gli obiettivi dopo la primavera?

Ora si prenderà un periodo di pausa dalle gare e preparerà il Tour. Poi punteremo ai mondiali e poi alle classiche di fine stagione in Italia.

Al Tour si concentrerà sulle tappe o proverà a fare classifica?

La classifica per ora la scartiamo, perché vorrebbe dire fare una gara anonima e precludersi obiettivi più grandi. Per lui in questo momento conviene uscire di classifica e puntare a qualche tappa specifica, magari meno del solito, ma in maniera più precisa. Anche se non è facile con lui, perché ha sempre tanta voglia di attaccare. Potrebbe anche pensare alla maglia a pois, ma quello si vedrà al momento in base a come andrà la corsa. Certo per uno come Ben resta un obiettivo possibile.

All’Amstel Gold Race del 2023 Healy è riuscito a staccare un campione come Pidcock
All’Amstel Gold Race del 2023 Healy è riuscito a staccare un campione come Pidcock
Hai detto che non sempre è facile tenerlo fermo. Quel modo di correre è quello che l’ha fatto amare fin da subito dai tifosi.

Sì, questa è una sua caratteristica, ma non vuol dire che sia un cavallo pazzo, anzi. E’ consapevole sia delle sue capacità che dei limiti, e corre di conseguenza. Per fortuna di tutti, il risultato è che spesso questo crea delle gare molto divertenti, ma c’è sempre un pensiero dietro. Lui sa che può mantenere delle velocità alte per molto tempo e il ciclismo di oggi ti obbliga a partire da lontano, ad anticipare, anche perché lui non ha un grande spunto in volata e quindi sa che deve arrivare da solo.

Per ora l’abbiamo visto in azione nelle classiche. Un giorno credi che potrà puntare alla classifica in un Grande Giro?

Non vogliamo scartare nulla, perché sta crescendo ancora. Prima o poi vorremmo provare a fare classifica in una corsa di una settimana e da lì vedere come va. Quando ci sarà spazio proveremo a sperimentare e capiremo assieme. Non penso che abbia già raggiunto i suoi limiti fisici. E se non ci fosse Pogacar…

Alla Liegi 2025 per la seconda volta l’irlandese ha condiviso il podio con Pogacar
Alla Liegi 2025 per la seconda volta l’irlandese ha condiviso il podio con Pogacar
A proposito di Pogacar, abbiamo visto quel simpatico siparietto al termine della Liegi, quando Healy gli ha chiesto quando ha intenzione di ritirarsi. Pensando già in ottica Lombardia, come si fa a battere questo Pogacar, anticipando gli attacchi sempre di più?

Il problema è che non solo lui è fortissimo, ma ha una squadra di altissimo livello. Bisogna prendere atto della sua superiorità e accettare il fatto che la sua presenza cambia anche tatticamente la corsa. Ma non bisogna darsi per vinti prima di partire, anche lui è un essere umano e noi ci proveremo sempre. Come con la pioggia o con il sole c’è la tendenza a pensare che quello che abbiamo di fronte durerà per sempre, ma non è così. Arriverà il momento in cui anche Pogacar sarà battuto, in cui ci sarà uno spiraglio di luce, e quel giorno Ben sarà pronto.

Veniamo al Ben Healy corridore e uomo, ci racconti che tipo è?

E’ un ragazzo molto tranquillo, non è uno che alza la voce, ha una buona anima, pensa sempre tanto prima di parlare. Ha cervello, capisce quello che gli succede attorno. Fuori dalla sua bolla, per esempio è uno di quei corridori che nota tutto il lavoro che fa lo staff per lui. Quando ci parli devi essere preparato anche tu, perché conosce bene gli aspetti tecnici del ciclismo, come l’aerodinamica e la meccanica. Direi che in generale è molto facile lavorare con lui.

Al Giro 2023 Healy ha vinto a Fossombrone la sua prima corsa nel WT. Quest’anno riuscirà a fare sua anche una tappa al Tour?
Al Giro 2023 Healy ha vinto a Fossombrone la sua prima corsa nel WT. Quest’anno riuscirà a fare sua anche una tappa al Tour?
Con il terzo posto alla Liegi Healy è entrato di diritto nel novero dei più forti corridori al mondo nelle classiche da scalatori. Oltre alla gambe quanto conta il carattere per raggiungere questi livelli?

Direi che ci sono tanti corridori molto forti, ma spesso quello che distingue quelli che hanno un livello superiore è la mentalità. Tutti fanno sforzi e sacrifici, ma quelli superiori hanno un carattere differente. Hanno qualcosa di diverso, una determinazione, una consapevolezza, che si vede ancora di più nelle gare di un giorno. Perché sai che quelle poche ore si concentrano magari mesi di lavoro e devi avere una mentalità particolare per non farti prendere dall’ansia e dare il meglio di te. Lì, in quel momento.
Mio padre lavorava con i cavalli e mi diceva che i più forti avevano un carattere speciale che notava subito. Secondo me con i corridori è simile, i campioni hanno qualcosa di particolare che li differenzia dagli altri. E Ben rientra sicuramente in questa categoria.

LAB71 SuperSix EVO Team Edition: la bici dei pro’, per tutti

30.01.2025
3 min
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Cannondale ed EF Pro Cycling celebrano nel 2025 i dieci anni della loro partnership, e per festeggiare hanno appena lanciato sul mercato la LAB71 SuperSix EVO Team Edition.

Una bici che permette rispondere ad una domanda che ogni amatore, prima o poi, si è fatto: quanto andrei forte se avessi la stessa bici professionisti? La LAB71 SuperSix EVO Team Edition è infatti l’esatta replica del mezzo che utilizzeranno Carapaz, Asgreen & Co. in questa stagione. 

LAB71 SuperSix EVO Team Edition è la replica esatta, in componenti e design, della bici della EF Pro Cycling per il 2025
LAB71 SuperSix EVO Team Edition è la replica della bici della EF Pro Cycling per il 2025

Componentistica top di gamma 

In una bici pensata per i pro’ non c’è spazio per i compromessi e la LAB71 SuperSix EVO Team Edition è una sintesi di tutto il meglio disponibile in casa Cannondale. Il telaio è in carbonio Serie 0 ultraleggero e il cockpit è il Cannondale SystemBar R-One full carbon sviluppato con MomoDesign.

Le ruote sono le Vision Metron 60 SL e la sella è la Fizik Vento Argo Adaptive 00 con binari in carbonio. Il gruppo è il top di gamma Shimano, il Dura Ace Di2 9200 a 12v (con pacco pignoni 11-30), a cui si aggiunge una chicca: la guarnitura in carbonio (52-36) FSA Powerbox K-Force Team Edition, con misuratore di potenza integrato e movimento centrale ceramico.

Dal gruppo alle ruote fino alla sella e gli pneumatici, ogni componente della bici è il meglio disponibile sul mercato
Dal gruppo alle ruote fino alla sella e gli pneumatici, ogni componente della bici è il meglio disponibile sul mercato

Design celebrativo

Si è detto che però questa è anche una bici celebrativa, oltre che performante. Il design della LAB71 SuperSix EVO Team Edition si basa sui colori della EF Pro Cycling, con in più un dettaglio particolare. Alla fine del tubo obliquo, appena sopra il movimento centrale, è stato infatti inserito il numero 10 disegnato con i colori che riprendono la storia della collaborazione.

Si va dal classico verde-Cannondale fino all’attuale rosa della squadra, passando per le varie sfumature che si sono susseguite nel corso delle varie stagioni. Insomma non solo una bici da professionisti, anche una bici da collezione.

Il logo celebra i 10 anni della collaborazione tra Cannondale e la squadra
Il logo celebra i 10 anni della collaborazione tra Cannondale e la squadra

Allestimenti e prezzi 

La LAB71 SuperSix EVO Team Edition è disponibile sia come bici completa (qui tutte le specifiche) che come frame kit che comprende telaio, forcella, reggisella e serie sterzo. Le taglie sono sei, dalla 48 alla 61. Infine i prezzi che sono, giocoforza, da pro: 14.499 euro per la bici completa e 5.999 euro per il frame kit.

Cannondale

Carapaz corre deciso verso il Giro. Inverno top e grandi stimoli

28.01.2025
5 min
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«Ho studiato il percorso del Giro d’Italia e credo che sia particolarmente adatto alle mie caratteristiche». Ha parlato diretto, schietto e senza mezze misure Richard Carapaz. Tutto è successo qualche giorno fa in Ecuador, quando ha indetto una conferenza stampa per presentare di fatto la sua stagione. Poche ore dopo, l’ecuadoriano ha preso un volo ed è arrivato in Europa (in apertura foto di @albertserrataco).

Questa è una stagione decisamente importante per Carapaz. Il suo 2024 si può archiviare con un segno positivo senza dubbio: al Tour de France ha vestito la maglia gialla e si è portato a casa quella a pois. Un risultato più che sufficiente a salvare una stagione, ma il rendimento, almeno nella prima parte europea dell’anno, non è stato alla sua altezza. La “Locomotora del Carchi” ha stravinto a gennaio e febbraio in Sud America, ma poi ha avuto qualche problema fisico. Ora le cose, sembra, stiano andando diversamente.

Primo luglio 2024, a Torino Richard Carapaz si veste di giallo. Venti giorno dopo a Nizza sfoggerà la maglia a pois
Primo luglio 2024, a Torino Carapaz si veste di giallo. Venti giorno dopo a Nizza sfoggerà la maglia a pois

Come nel 2022

Il calendario agonistico di Carapaz avrà inizio con l’Étoile de Bessèges, a partire dalla prossima settimana. Di fatto, si tratta di un programma quasi identico a quello del 2022, esclusi i campionati nazionali, quando fu secondo al Giro d’Italia dietro a Jai Hindley. Quell’anno, un po’ inaspettatamente, Richard crollò nel finale del Fedaia, nonostante le pendenze e l’altitudine fossero teoricamente a lui favorevoli.

Il suo cammino di avvicinamento alla corsa rosa sarà un crescendo di condizione: Bessèges, poi Strade Bianche, Tirreno-Adriatico e Volta a Catalunya. A quel punto seguirà una prima pausa agonistica. Per lui un mese di allenamenti in altura, prima delle Ardenne. Forse…

«Potrei fare anche la Liegi – ha detto il campione olimpico di Tokyo – valuteremo più in là». Al momento, la Doyenne è nella lista delle gare a cui Carapaz dovrebbe partecipare. Assieme alle Strade Bianche, sarebbe l’unica corsa di un giorno in programma prima del Giro.

«Dopo il Catalunya – ha spiegato il suo direttore sportivo, Juan Manuel Garate – andremo in ritiro a Sierra Nevada. Forse Richard potrebbe tornare in Ecuador. Se tutto andrà per il meglio, scendere dall’altura, fare la Liegi e poi il Giro sarebbe il top. Ma se la classica belga dovesse interferire con la preparazione ottimale per il Giro, non avremo problemi a saltarla».

Se le previsioni saranno confermate, Carapaz affronterebbe il Giro con 19 giorni di corsa nelle gambe. Un numero non esagerato rispetto al passato, ma piuttosto alto se confrontato con i suoi rivali per la generale: Roglic dovrebbe arrivare in Albania con una dozzina di giorni, Gee con dieci, Landa con undici.

Nel 2019 Carapaz vinse il Giro: fu uno dei primissimi grandi trionfi sportivi per il suo Paese. Da lì Richard ha avuto una popolarità enorme

Carapaz e il Giro

Il legame tra Carapaz e il Giro è forte, così come è forte il legame tra il Sud America e la nostra corsa. Negli ultimi anni, specialmente la scorsa estate al Tour ma nelle tappe italiane, si è vista una comunità ecuadoriana sempre numerosa e presente. Segno che lo sport, il ciclismo e il Giro sono molto seguiti.

È proprio sulle strade del Giro che la stella di Carapaz è esplosa definitivamente. Era il 2019 quando uscì in maglia rosa dalle Alpi Occidentali e si prese la generale una settimana dopo. Da allora sono passati sei anni, ma in bacheca Richard ha aggiunto altri tre podi nei grandi tre Giri. Ora vuole tornare a vincere. E l’occasione è (quasi) perfetta: il percorso e il parterre sono ideali.

«Mi piace molto il percorso del Giro – ha detto Carapaz – in particolare la terza settimana. È davvero dura, con salite lunghe, e sono convinto che lotteremo per il titolo. Del resto, lì abbiamo già fatto bene! In più, penso che quest’anno la mia EF Education-EasyPost sia una squadra molto solida, e questo è uno dei fattori che può aiutarmi a rivincere il Giro. Sì, rivoglio la maglia rosa. Sogno di riportarla in Ecuador».

Secondo Garate Carapaz ha passato un inverno molto buono e sereno sulle strade di casa (foto @albertserrataco)
Secondo Garate Carapaz ha passato un inverno molto buono e sereno sulle strade di casa (foto @albertserrataco)

Parla Garate

Carapaz si è riposato bene. Lo scorso anno, a causa di un problema di salute della figlia, è tornato in Ecuador subito dopo la Vuelta saltando il mondiale. Questo gli ha permesso di recuperare a fondo, un aspetto sottolineato sia da lui stesso che da Garate.

«Credo – ha ripreso il diesse spagnolo – che Richard abbia passato il miglior inverno da quando è con noi. Non ha mai avuto problemi di salute, si è sempre allenato e la sua condizione è stata un crescendo. Ha fatto un inverno davvero solido.

«Per quanto riguarda il resto del suo cammino, il nostro obiettivo è il Giro. E tutto, anche la Liegi, ruota intorno a questo. Anche la decisione di non fare i sopralluoghi, almeno direttamente con il corridore. Ormai il più delle volte quando vai a vedere una tappa di montagna trovi un passo chiuso. Quindi riscendi in macchina, ti sposti dall’altra parte della valle, risali in bici… Alla fine vedi e non vedi».

Carapaz e lo stesso Garate ci sono sembrati molto motivati. L’operazione Giro è già partita. In questi giorni, Richard si trova nella sua residenza europea a Monaco. Con Garate si sente quasi ogni giorno. «Anche se io – confida Garate – non lo chiamo spessissimo. L’importante è che si senta con il suo coach: so che le cose vanno bene e va bene così».

Il 2025 di Carapaz è chiaro: al Giro per la generale, al Tour per le tappe, e poi il lungo stacco che potrebbe portarlo al mondiale in Rwanda. Un mondiale che lo stuzzica parecchio. Il percorso è duro, simile a quello delle Olimpiadi di Tokyo, ma più impegnativo e ad alta quota. L’occasione è troppo ghiotta anche se di mezzo c’è la querelle ormai annosa con la Federciclismo di Quito. Ma questa è un’altra storia, prima… sotto con il Giro.

Ghiaccio bollente: la storia da film di Faulkner, oro di Parigi

05.08.2024
5 min
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PARIGI (Francia) – Ghiaccio bollente. Non è Grace Kelly, peraltro figlia di un canottiere tre volte oro olimpico (Jake Kelly, due ori ad Anversa 1920 e uno a Parigi 1924), ma la vittoria di Kristen Faulkner è un film. Ghiaccio che si stacca, come lei ha staccato Marianne Vos, Lotte Kopecky e Blanka Vas, andando a vincere una prova cui non doveva nemmeno partecipare. E’ entrata in squadra un mese fa solo perché Taylor Knibb ha preferito nuotare nell’acqua della Senna e dedicarsi al triathlon. D’altra parte entrare a corsa già iniziata non spaventa Kristen, che lo aveva già fatto a suo tempo per entrare nel mondo del ciclismo.

Un arrivo inatteso per tutti, forse anche per Faulkner, incredula sulla linea
Un arrivo inatteso per tutti, forse anche per Faulkner, incredula sulla linea

Una scelta di vita

Ha iniziato nel 2017, a 25 anni, senza però lasciare il suo lavoro nel private equity. La sua storia racconta che in quel periodo a New York per la prima volta lei, ingegnere con laurea conseguita ad Harvard, prova una bici da competizione. Ottiene i primi risultati e arriva la decisione di lasciare il lavoro e di provarci seriamente. Non torna indietro neanche dopo una caduta con commozione cerebrale nel 2022, una tibia fratturata e un coagulo di sangue in un polmone dopo essere stata investita da un’automobile nel 2023.

Non era una sedentaria, aveva praticato nuoto e canottaggio (come il padre di Grace Kelly), ma da lì a diventare ciclista professionista troppo ghiaccio doveva sciogliersi sotto i ponti dell’Alaska. Invece ce l’ha fatta ed è campionessa olimpica.

Sul podio, l’oro di Kristen Faulkner, davanti all’eterna Marianne Vos e l’iridata Lotte Kopecky
Sul podio, l’oro di Kristen Faulkner, davanti all’eterna Marianne Vos e l’iridata Lotte Kopecky

L’importante è rischiare

«A 8 anni guardavo le Olimpiadi di Sydney in tv – racconta – e mi dicevo che volevo esserci anch’io». L’importante è partecipare, ma cosa si prova a vincere una medaglia d’oro? «Non lo so, ditemi voi cosa è successo», dice in conferenza stampa con gli occhi che le brillano. «Sto ancora guardando il tabellone con la classifica. E mi chiedo come sia possibile che il mio nome stia lì».

E’ possibile perché è stata fredda come il ghiaccio, attaccando nel momento giusto e dopo alcune cadute. Solo che stavolta non è rimasta coinvolta nell’incidente che a 45 chilometri dall’arrivo ha spezzato il gruppo e condizionato la gara di alcune favorite, tra cui la compagna di squadra Chloe Dygert. E dopo l’ultima scalata di Montmartre, dove erano appostati i suoi genitori, Kristen ha colto il momento giusto per lasciarsi indietro tutte. E così, quarant’anni dopo la vittoria di Connie Carpenter-Phinney a Los Angeles 1984 (madre a sua volta di Taylor Phinney, a lungo corridore professionista), l’oro torna agli Stati Uniti.

E’ stata Faulkner a riportare Kopecky sulle prime: si vedeva che avesse una marcia in più
E’ stata Faulkner a riportare Kopecky sulle prime: si vedeva che avesse una marcia in più

L’attacco giusto

Fredda come il ghiaccio, si diceva: «Sapevo che dovevo attaccare in quel momento, dopo aver ripreso le due che erano in testa. Con me c’erano ragazze veloci, che non erano disposte a collaborare tra loro. Se avessi preso un piccolo vantaggio probabilmente loro sarebbero rimaste a lottare per il secondo posto». Così è stato, si è staccata come un pezzo di ghiaccio e se n’è andata. Non s’è mai voltata indietro e per tenere la concentrazione: «Ho contato fino a 10 per 10 volte, finché non ho raggiunto il traguardo».

Non ha fatto gesti eclatanti alla Evenepoel, «perché troppe volte ho visto atlete perdere gare quando pensavano di averle già vinte». Poco dopo l’ha raggiunta anche la sfortunata compagna di squadra Dygert, ma ha pensato solo a Kristen: «Ha fatto un ultimo giro fantastico. Quest’anno ha dimostrato più volte di essere brava a vincere con queste azioni. Sono super felice per lei, è grandioso. Se l’è meritata, se riesce a fare queste cose è frutto del suo lavoro in pista».

Con la famiglia e l’oro olimpico ai piedi della Tour Eiffel, per l’immaginario americano un quadro indimenticabile
Con la famiglia e l’oro olimpico ai piedi della Tour Eiffel, per l’immaginario americano un quadro indimenticabile

Adesso il quartetto

Già, la pista. Era questo il motivo per cui Kristen doveva essere a Parigi, per partecipare all’inseguimento a squadre. Le era stato detto di non stancarsi troppo in strada, a meno che non ne valesse la pena. Eccome se ne valeva. Tra pochi giorni la rivedremo nel quartetto americano, a caccia di un altro oro. E magari questi diventeranno i Giochi in cui chi vince la prova in linea vince pure un altro oro. Lei ci proverà, come ci ha provato a Montmartre, rischiando.

«Ho lavorato nell’alta finanza – sorride – so che il rischio può portare a grandi vittorie. E il mio percorso mi ha insegnato che non è mai troppo tardi per buttarsi in qualcosa».

Il passato è ancora dentro di lei e il passato, come diceva un altro Faulkner, lo scrittore William, non è mai passato. E il futuro, oltre il ciclismo? «Voglio scalare l’Everest e trascorrere tempo con i monaci buddisti». Prima o poi lo farà, perché non è mai troppo tardi per avverare i sogni. «Ma questo, l’oro olimpico, era il mio sogno più grande e finalmente si è avverato».

Per inseguirlo, ha rischiato. E forse qualche anno fa, quando ha deciso, non è stata fredda come in gara, come il ghiaccio. «Ma mi sono resa conto che lo scenario peggiore non era essere al verde o senza lavoro», ha raccontato nel podcast Choose the Hard Way nel 2023. «Lo scenario peggiore era avere 80 anni e pensare: “Peccato non averci provato”». E quando l’ha pensato il ghiaccio dell’Alaska è diventato bollente.

La gialla di Carapaz, progettata e raggiunta. Ecuador in festa

02.07.2024
6 min
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TORINO – Tutta l’America Latina in visibilio nel nome di Richard Carapaz. Il campione olimpico di Tokyo 2020 ha un rapporto speciale con Torino. E dopo averci sfrecciato in rosa il 21 maggio di due anni fa, ieri ha coronato il lungo inseguimento giallo, regalandosi una giornata storica non soltanto per l’Ecuador ma per l’intero Continente.

Dopo la maglia conquistata quasi per sbaglio da Tadej Pogacar a Bologna, ne arriva una cercata, voluta e sudata nel primo arrivo per ruote veloci nonché la tappa più lunga di questo Tour (230,8 km). Nell’arzigogolata classifica dopo le prime due tappe, erano ben quattro e a pari tempo i pretendenti al simbolo del primato. Oltre all’asso sloveno c’erano Remco Evenepoel, Jonas Vingegaard e appunto Carapaz. Quest’ultimo, con la rabbia ancora in corpo per l’esclusione dai Giochi di Parigi 2024 da campione uscente, era per tanti il candidato numero uno a indossare la maglia tanto ambita. E così è andata con il quattordicesimo posto nella tappa vinta da Biniam Girmay.

«Richard, ma sei in maglia?», gli chiediamo pochi metri dopo lo sprint. Lui ribatte: «Credo di sì», ma al tempo stesso fa segno di aspettare e butta giù alcuni orsetti gommosi. Poi arriva l’ufficialità e comincia la festa. «Good job, guys» il messaggio di un euforico Carapaz al traguardo, dopo la conferma che la missione era compiuta e prima di abbracciare il campione portoghese Rui Costa, tutti i compagni che arrivano alla spicciolata, artefici dell’impresa corale.

Carapaz è 14° all’arrivo: sta realizzando proprio ora di aver preso la maglia gialla
Carapaz è 14° all’arrivo: sta realizzando proprio ora di aver preso la maglia gialla

Il piano giallo

A pilotarlo fuori dal traffico nel concitato finale, evitando la caduta ai – 2 km è stato Marijn Van der Berg (13°) che, mentre defatica sui rulli, rivive quegli istanti con noi: «Ho provato a tirargli la volata – dice – è stato qualcosa di nuovo trovarsi lì davanti con uomo di classifica alle tue spalle, ma è stato spettacolare e penso che Richard fosse super felice di quello che abbiamo come squadra».

Poi, racconta il piano maglia gialla: «Al mattino, prima della partenza da Piacenza, abbiamo cominciato a studiare come prenderla e abbiamo fatto di tutto perché diventasse realtà. Avere la maglia gialla è super speciale. Ovviamente, tutti sognano di conquistarla in prima persona, ma se la indossa un tuo compagno, la senti davvero vicino ed è qualcosa di pazzesco. Siamo stati uniti come squadra e ora speriamo di tenerla per un po’, anche se ci aspetta subito una giornata molto dura, ma ci proveremo».

L’irlandese Ben Healy gli fa eco: «Ce l’abbiamo fatta, siamo andati a tutto gas e ci siamo riusciti. Il mio lavoro è stato meno tattico e più di fatica perché è arrivato ben lontano dal traguardo, ma credo che faremo un po’ di festa ora. Sarà bello vedere Richard vestito di giallo».

Una festa di paese

Il diesse della EF Procycling Charly Wegelius racconta ancora: «Dopo la grande prestazione di Richie a Bologna, abbiamo guardato la classifica. Sapevamo che in caso di parità, si sarebbe guardata la somma dei piazzamenti. Valeva la pena lavorare per un obiettivo di questo calibro, ma sapevamo che in un arrivo così concitato allo sprint poteva succedere di tutto».

E a chi mormora che Pogacar volesse comunque cedere la maglia, ribatte: «Abbiamo fatto il nostro lavoro senza pensare a chi la voleva lasciare. Ora teniamo i piedi per terra e cercheremo di difenderla, ma sarà la strada a parlare».

I tifosi al motorhome fucsia attendono il loro beniamino e fanno un gran fracasso. «Eravamo a Verona quando ha trionfato al Giro 2019. Ora siamo qui per questa festa gialla che proseguiremo a Pinerolo, acclamandolo alla partenza della quarta tappa», racconta Osvaldo, originario di Ambato, ma oramai trapiantato a Torino, e a capo della curva ecuadoregna.

Attorno al bus della squadra americana si sono radunati tifosi provenienti anche da Panama, Costa Rica, Colombia tutti uniti nella festa della Locomotiva del Carchi. Accanto al costaricano Ricardo e alla panamense Argelia si fa largo Josè, ecuadoregno arrivato da Varese, che fa da capocoro col suo megafono e poi ci racconta. «Sono originario di Milagro – dice – ma oramai vivo qui ed è fantastico averlo visto raggiungere questa maglia storica. Ora speriamo che vinca il Tour».

Il sogno giallo

Il bus della squadra se ne va, non c’è nemmeno la troupe di Netflix a immortalare questo giorno storico perché oggi aveva la giornata libera. Però Johannes Mansson, video e social manager della squadra ci assicura che la nuova maglia gialla è in arrivo ed è pronto a filmare tutto. La strada viene riaperta e comincia a ripopolarsi di macchine, scendono le prime gocce di pioggia, ma ecco che alle 18,11 compare un puntino giallo in lontananza e si sente musica latina nell’aria.

I tifosi rimasti in via Filadelfia, proprio davanti allo Stadio Olimpico Grande Torino, vengono ricompensati dalla visione paradisiaca. Richard sorride a tanto affetto e ci concede qualche battuta: «Mi sto godendo questo momento unico. Ho sempre sognato di portare questa maglia, è davvero speciale e non potete capire quanto sono felice in questo momento».

Il pullman è andato in hotel: Carapaz tornerà su questo van della squadra
Il pullman è andato in hotel: Carapaz tornerà su questo van della squadra

Torino porta bene

Torino gli ha regalato un’altra giornata magica, da aggiungere al cassetto dei ricordi: «E’ una bella casualità. Passai proprio qui da leader del Giro nel 2022 e ora guardate, sono qui vestito di giallo».

E’ il primo sudamericano a indossare tutte le tre maglie dei Grandi Giri in carriera, lui sorride e replica: «Sono molto contento di questo». E chissà che non ci torni l’anno prossimo nel capoluogo piemontese che dice bene ai ciclisti dell’Ecuador. Lo aveva già dimostrato l’accoppiata tappa e maglia di Jhonathan Narvaez (preferito a Carapaz per l’imminente Olimpiade) nella prima tappa dello scorso Giro. Torino, infatti, ospiterà anche la grande partenza della Vuelta nell’agosto del 2025 come confermato ieri da più fronti istituzionali per un tris inedito.

Sul calore proveniente da ogni angolo del Centro e Sud America, commenta: «E’ qualcosa di splendido rappresentare insieme questi Paesi e vedere che il ciclismo sta crescendo anche lì. È una grande cosa e mi rende molto felice». La dedica? «E’ per la famiglia, perché soltanto loro sanno quanti sacrifici ho fatto e quanto tempo passo lontano da casa. I miei figli quando saranno grandi potranno rendersi conto di quello che ho fatto e sono questi gli sforzi che vale la pena fare». 

Johannes carica la bici sul tetto, le porte si chiudono, ma il tripudio latino-americano prosegue per le strade torinesi: «Carapaz-Carapaz-Carapaz». Un ritornello che travolgerà anche Pinerolo in un altro abbraccio giallo prima che la corsa lasci l’Italia.

Bettiol fa la foto al suo Tour. Ne esce con gamba e speranza

30.07.2022
5 min
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Quando lo raggiungiamo, Alberto Bettiol è su un taxi. Sta andando all’aeroporto che lo condurrà a San Sebastian, dove oggi correrà la classica basca.

Il toscano della EF Education-EasyPost è reduce dal Tour de France. Un Tour che non gli ha regalato la gioia della vittoria ma che lascia speranze, almeno secondo noi. E tutto sommato anche secondo il diretto interessato.

A Megeve per Alberto Bettiol la consolazione del numero rosso
A Megeve per Alberto Bettiol la consolazione del numero rosso

Il bilancio francese

«In effetti questo Tour – spiega Bettiol – mi lascia belle sensazioni e belle prestazioni. Il fatto di essere riuscito ad arrivare davanti non era così scontato.

«Di certo riparto con più fiducia in me stesso. E con più fiducia nel lavorare e nel lavoro fatto. Quando passi un anno ad allenarti e non hai risultati, credetemi, che non è facile. Posso prendere la preparazione con tutt’altro approccio».

Sin qui Alberto aveva dato piccoli segnali solo al Giro di Svizzera. La sua primavera era stata costellata nuovamente da problemi di salute, questa volta legati al Covid. Non solo è andato bene Bettiol, ma è andato bene in una grande corsa a tappe e in qualche modo lui stesso ne è sorpreso.

«Certo, perché di fatto io lo scorso anno ho smesso di correre a luglio. Agosto, settembre e ottobre non mi sono allenato e non era detto che sarei potuto essere competitivo in un grande Giro. Ti serve continuità, specie per la seconda e terza settimana. E invece ne sono uscito bene».

A Losanna il quinto posto, per Bettiol è stato il momento che ha segnato la svolta
A Losanna il quinto posto, per Bettiol è stato il momento che ha segnato la svolta

La svolta di Losanna 

Un corridore per sentirsi al meglio deve superare dei passaggi obbligati: fare una buona preparazione, sapere di stare bene fisicamente, di essere in linea col peso… però perché tutto funzioni serve una scintilla. Quella scintilla Bettiol l’ha avuta nel giorno di Losanna, quando fu quinto.

«Credo che quello – racconta Alberto – sia stato un momento importante. Sin lì avevamo avuto Cort in maglia a pois, prima ancora non avevamo preso al maglia gialla solo perché Pogacar aveva vinto a Longwy, in più dovevo stare vicino a Uran e Powless.

«Quel giorno invece la squadra mi ha dato fiducia, i compagni avrebbero lavorato per me. Io ho risposto presente. Ho detto loro che stavo bene. Magari mi ero visto poco da fuori, ma ero andato bene. Nella tappa del pavé per esempio avevo lavorato per Uran. Poi chiaro che su quell’arrivo con Pogacar e Van Aert in quelle condizioni vincere sarebbe stato quasi impossibile».

Il momento in cui a Mende aveva per un attimo staccato anche Matthews (che si nota alle sue spalle)
Il momento in cui a Mende aveva per un attimo staccato anche Matthews (che si nota alle sue spalle)

Errori o emozioni

Due fughe, e di quelle buone, Bettiol le aveva azzeccate. Tatticamente secondo Garzelli nelle sue pagelle non era stato impeccabile. Soprattutto in occasione della vittoria di Cort, mentre lo stesso Garzelli dava più colpe al team nel giorno in cui Alberto fu secondo alle spalle di Matthews.

«Durante un grande Giro – ribatte Bettiol – è difficile essere sempre lucidi al massimo. Bisogna ritrovarcisi in corsa. Certi momenti sono fatti anche di emozioni, di voglia di vincere. In ammiraglia ci credevano più di me.

«Nel giorno di Matthews, mentalmente mi rivedevo la tappa di Stradella quando saltato Cavagna andavo a vincere. E così avevo fatto con lui. Invece ho trovato un corridore più forte di me, che ha resistito di più. Quel giorno ha vinto il più bravo, non il più forte. Ha stretto i denti, ci ha creduto. Spero di batterlo in Australia a casa sua… (il riferimento è ai mondiali di Wollongong, ndr).

«Riguardo alla tattica, non è vero che Powless non mi ha aiutato. Anzi, si era staccato, è rientrato ed è andato a tirare poco prima dell’ultimo strappo. Per quanto riguarda Uran, non è mai stato troppo bene in questo Tour e anche io certe volte, ho lavorato per lui convinto di non essere al top. Poi mi giravo ed eravamo rimasti in tre. E lo stesso Rigo mi ha detto: “Oh, ma guarda che vai forte”. E’ difficile da dentro».

Nel complesso per Bettiol si tratta di un buon Tour de France. Il toscano molto attivo anche a Parigi
Nel complesso per Bettiol si tratta di un buon Tour de France. Il toscano molto attivo anche a Parigi

Verso San Sebastian…

E la prima occasione per tornare ad esultare, Bettiol ce l’avrà questo sabato nella gara basca. Il toscano l’ha già affrontata una volta. Era il 2017 e ottenne un buon sesto posto. Anche in quella occasione veniva dal Tour.

«Un po’ l’hanno indurita – riprende Bettiol – non c’è più solo la Jaizkibel. Normalmente è più una classica per scalatori e simili, che per cacciatori di classiche vere e proprie. Però ci arrivo bene: non sono stanco, non ho malanni vari, mi sento in salute e consapevole di aver fatto un buon Tour quindi si può fare bene».

Un paio di giorni fa per esempio, Alberto è uscito con Simon Clarke, con Cataldo e Chirico. Ha fatto quattro ore e mezza e stavo benone. Poi certo, l’allenamento è una cosa, la corsa un’altra. Bisogna stare bene nel giorno della gara e azzeccare il momento giusto.

Bettiol e Trentin (alla sua ruota), ma anche Nizzolo, Pasqualon e Ballerini sono i “pesi massimi” della nazionale di Bennati
Bettiol e Trentin (alla sua ruota), ma anche Nizzolo, Pasqualon e Ballerini sono i “pesi massimi” della nazionale di Bennati

E verso il mondiale

Prima Bettiol ha detto una frase che ci ha riempito di grinta. Ci riferiamo al grido di battaglia lanciato non tanto a Matthews ma sul mondiale.

«Il mondiale un obiettivo? Certo che lo è. C’è sempre stato dentro di me e da quando Bennati è tornato dal sopralluogo ci sentiamo un giorno sì e uno no.

«A vederlo da qua sembra non perfetto per me, forse è un po’ troppo facile. Sembra un mondiale stile Bergen… però è un mondiale. Qualche strappo c’è, la corsa è lunga ed una vera classica. Ho un sacco di voglia di farlo, visto che sono due anni che manco. E poi abbiamo un bel gruppo e ci conosciamo da anni. Trentin che sta riprendendo ed è andato in fuga. Nizzolo e Ballerini che hanno vinto…». 

Morton 2022

La corsa di Lachlan Morton, nata da uno sguardo

27.03.2022
5 min
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24 febbraio. La Gran Camino prende il via quel giorno. Nell’hotel dell’EF Pro Cycling i corridori scendono per la colazione. Lachlan Morton sta parlando con Mark Padun, le solite chiacchiere di prima mattina, tra qualche battuta e buoni propositi. Arrivati nella sala, Lachlan continua distrattamente a parlare con il suo compagno, ma non ottiene risposta. Si volta, lo guarda e vede il suo volto impietrito, rivolto verso la Tv. Non serve parlare spagnolo, le immagini trasmesse non lasciano spazio a interpretazioni diverse da quelle del terrore. In Ucraina, nella patria del suo collega, è scoppiata la guerra, i carri armati russi sono entrati. Le sirene delle varie città emettono quel suono che si sperava ormai dimenticato, rimasto solo nella memoria dei più anziani.

La corsa non è più la stessa. Lachlan, che interpreta queste gare a tappe più per dare una mano ai compagni e preparare le sue avventure solitarie, non guarda mai al cronometro e spesso finisce ultimo. Questa volta ancora di più: quattro giorni dopo il suo distacco finale sarà superiore all’ora e un quarto, ma c’è una ragione. La sua mente non riesce a scacciare quelle immagini, a cui se ne aggiungono altre, ogni sera, ogni volta che si pone davanti alla Tv o meglio, ogni volta che guarda il suo smartphone, perché la sua quotidianità, la nostra è cambiata.

Morton Gran Camino 2022
Nel corso della Gran Camino la mente è lontana e matura l’idea di una nuova avventura
Morton Gran Camino 2022
Nel corso della Gran Camino la mente è lontana e matura l’idea di una nuova avventura

Pedalare per dare una mano

«Non posso stare a guardare – pensa il trentenne australiano – sento che devo fare qualcosa». Ne parla con i suoi dirigenti e col passare dei giorni, con la timeline della guerra che diventa sempre più un bollettino di stermini, di fuga della gente dalle proprie case, di esodo biblico verso l’occidente viene l’idea: raggiungere quei luoghi in bici, fare di una nuova avventura qualcosa che possa non solo essere un simbolo, ma anche qualcosa di utile, una raccolta fondi per aiutare la popolazione in fuga.

Nei giorni successivi, Lachlan si prepara come mai aveva fatto, con una dedizione, una concentrazione straordinaria. D’altronde sa che quello che sta per affrontare è anche diverso da quel che ha sempre fatto: la sua idea è partire da Monaco di Baviera e viaggiare, viaggiare, viaggiare fino a raggiungere il confine fra la Polonia e l’Ucraina, esattamente quella porta che per tanti significa salvezza, fuga dalle bombe e dalla devastazione.

Morton Germania 2022
Nella solitudine della Germania, verso un traguardo lontano, per raccogliere fondi per i rifugiati ucraini
Morton Germania 2022
Nella solitudine della Germania, verso un traguardo lontano, per raccogliere fondi per i rifugiati ucraini

19 marzo. 23 giorni dopo l’invasione. La guerra va avanti: le truppe russe nonostante le uccisioni e le distruzioni non sono riusciti a realizzare quella “guerra lampo” che era stata preventivata. L’Ucraina resiste, incassa. Zelenski, il presidente ex comico che ora ha dipinta sul volto la tragedia del suo popolo, appare in videoconferenza davanti a tutti i parlamenti, in tutte le occasioni possibili per chiedere aiuto. Sono le 5 di mattina. Lachlan attacca gli scarpini, controlla la bici e ripensa ad alcune di quelle parole: «Io non sono un politico, non sono un esperto, non so come andrà a finire. Posso solo fare quel che so fare per aiutare la gente e questo mi darà la benzina per arrivare».

Fa freddo lungo la strada. Lachlan è figlio dei nostri tempi, comunica via social e la sua idea si diffonde presto. Il passa parola funziona e man mano, in ogni città attraversata, trova sostegno, gente che lo incita, chi sale in bici e lo accompagna. Non ha tanto cibo con sé e ogni tanto qualche anima pia gli fornisce qualcosa di caldo. Trova anche chi gli offre l’opportunità di fare una doccia calda: «Stai facendo una cosa bella, ma anche difficile”. “Questo? Non è difficile. Non è niente in confronto a persone che hanno perso tutto, la cui vita è racchiusa in una piccola borsa con quel poco che hanno potuto portare via. Spero che il nostro mondo, chi condivide i valori del ciclismo possa dare una mano».

Morton Ucraina 2022
In tanti hanno accompagnato Morton: su Instagram li ha immortalati, anche con simboli forti
Morton Ucraina 2022
In tanti hanno accompagnato Morton: su Instagram li ha immortalati, anche con simboli forti

Un fondo in aiuto dei rifugiati

Pedalando, Lachlan controlla continuamente il flusso di denaro che affluisce sul fondo a sostegno della sua impresa e che andrà a favore dei rifugiati. L’obiettivo era raggiungere i 50 mila dollari, ma con i like che aumentano a dismisura, aumenta anche l’ammontare del denaro raccolto, quasi che ogni pedalata porti monete. E allora forza, di notte e di giorno, ora dopo ora, senza fermarsi.

Lachlan lascia la Germania, attraversa quasi d’un soffio la Repubblica Ceka, entra in Polonia e dopo 43 ore senza un minuto di sonno, stanco e infreddolito, arriva a Korczova-Krakovets. E’ notte fonda, alla frontiera però non si ferma il flusso di gente che entra dalla vicina Ucraina. Chi con mezzi di fortuna, chi a piedi, spingendo carrozzine, donne che hanno lasciato i loro uomini a casa a combattere. Lachlan si ferma: è difficile ricacciare indietro le lacrime, soffocare quel dolore fitto che sente nel cuore ormai da troppi giorni.

Morton Polonia 2022
Il mattino dopo l’arrivo, avvicinato da tanti curiosi, pensando a quel che avviene oltreconfine
Morton Polonia 2022
Il mattino dopo l’arrivo, avvicinato da tanti curiosi, pensando a quel che avviene oltreconfine

«La guerra ci riguarda tutti»

I giornalisti si avvicinano, qualcuno ha saputo della sua impresa. «La mia idea è far capire che la guerra non è un problema lontano per nessuno – afferma – I conflitti sono sempre a portata di bicicletta, in tutto il mondo. Ho parlato con tanta gente in questi due giorni, pedalando abbiamo confrontato le nostre idee. Non ci sono ragioni, idee, giustificazioni per esseri umani che vanno contro altri esseri umani e se con la mia impresa sarò riuscito a farlo capire a qualcuno, avrò già ottenuto qualcosa».

E qualcosa Lachlan Morton lo ha davvero ottenuto: il suo fondo ha superato i 200 mila dollari, ai quali la sua squadra, insieme alla Cannondale e alla Rapha hanno aggiunto altri 100 mila dollari e il fondo è ancora aperto e, a giorni di distanza, continua a funzionare e raccogliere aiuti (chi vuole contribuire può farlo qui). La guerra non si è fermata, la corsa di Lachlan ha raggiunto il suo traguardo, il primo, perché difficilmente, finché la follia continuerà ad aleggiare sulle nostre teste, l’australiano si arrenderà. Proprio come chi difende la sua casa, i suoi valori, la sua vita.