C’è un fattore che caratterizza la Liegi-Bastogne-Liegi e che inorgoglisce particolarmente Paolo Bettini quando si ritorna a parlare di quella classica che, fra le tante che il Grillo ha vinto, più ha identificato la sua carriera.
«La Doyenne è, insieme al Lombardia che però arriva a fine stagione – spiega il toscano, in apertura sul traguardo del 2002 – l’unica classica che davvero mette a confronto gli specialisti delle corse d’un giorno con quelli che vanno a caccia dei grandi Giri. E’ come un terreno di battaglia diverso, aperto a tutti, quel giorno ci si confronta per capire davvero chi è il più forte. Lo dice la storia, vedi Nibali che è giunto secondo o Basso che insieme a me si giocava la vittoria. E’ una sfida affascinante quanto poche altre».
Nibali è andato vicino alla Liegi del 2012, ma fu beffato da IglinskiyNibali è andato vicino alla Liegi del 2012, ma fu beffato da Iglinskiy
L’hai vinta nel 2000 e 2002: che cosa serve per emergere alla Liegi?
Deve essere il giusto connubio fra fisico e mente, come d’altronde in tutte le competizioni ciclistiche. Chi vince riesce sempre a farlo perché mette d’accordo queste due componenti. Sicuramente la Liegi è una gara completa, che va saputa interpretare.
Tatticamente è diversa dalle altre classiche?
Diciamo che è più strutturata, più definita nella sua trama, difficilmente esula dal copione stabilito alla vigilia. Sai che le prime parti della gara sono di assestamento, chi attacca all’inizio non ha speranze. La gara si accende dopo La Roche aux Faucons e la Redoute, che viene prima, dà sempre verdetti che poi, anche se non sono definitivi, hanno comunque un peso importante sul suo esito finale. Per questo servono grande condizione e testa, devi essere attento nelle fasi decisive e avere le gambe per recitare il tuo ruolo.
E’ una corsa per scalatori?
Per certi versi sì. Se si pensa che il suo dislivello totale supera i 5.000 metri, siamo in presenza di qualcosa che somiglia moltissimo a una grande tappa alpina. Per questo chi è specialista delle grandi corse a tappe qui può fare il colpaccio e Roglic lo scorso anno lo ha dimostrato. Non basta però andar bene in salita, devi essere esplosivo. Io non avrei mai potuto primeggiare sullo Stelvio o sul Pordoi, ma in quel tipo di corse mi trovavo a mio agio…
Anche Formolo è arrivato secondo a Liegi: nel 2019, dietro FuglsangAnche Formolo è arrivato secondo a Liegi: nel 2019, dietro Fuglsang
Chi identifichi come corridore italiano adatto alla Doyenne?
Il primo nome che mi viene in mente è sempre lo stesso: Vincenzo Nibali, a dispetto dell’anagrafe è proprio l’uomo fatto su misura per la Liegi, poi non so se quest’anno la correrà, ma è davvero incredibile che un corridore simile non sia nell’albo d’oro della Doyenne. In alternativa mi viene in mente Davide Formolo, che su quelle strade ha già dimostrato di poter far molto bene, proprio perché incarna le caratteristiche giuste, sia tecniche che tattiche, per emergere e finalmente tornare a far sventolare il tricolore a Liegi.
Ricordate cosa aveva detto Stefano Garzelli quando decise di concentrarsi sulle corse di un giorno? E ricordate i consigli che aveva dato a Formolo, il quale secondo lui dovrebbe fare la stessa cosa? Ebbene ne abbiamo parlato con il diretto interessato, Davide Formolo appunto.
Il veronese può puntare forte alla Tirreno-Adriatico,ma anche a molte classiche. L’anno scorso fu secondo alla Strade Bianche.Nel 2019 ha vinto il campionato italiano e pochi mesi prima era salito sul secondo gradino del podio alla Liegi.
Formolo soddisfatto, secondo alla Liegi 2019. La corsa che cambiò le sue veduteFormolo secondo alla Liegi 2019. La corsa che cambiò le sue vedute
Davide allora cosa farai: punterai alle classiche o comunque alle corse di un giorno?
Alle corse di un giorno sicuro! I risultati parlano chiaro. Nei grandi Giri mi sono sempre messo alla prova, ma spesso stando a disposizione della squadra e di qualche compagno. Il mio scopo è ancora quello.
Garzelli dice comunque che chi nasce uomo di classifica fa fatica a staccarsi da questa mentalità. Che comunque conviene restarci il più possibile e poi semmai decidere di uscirne o meno per puntare alle tappe. Cosa ne pensi?
Garzelli è un grande. Sono cresciuto guardandolo alla tv e sono lusingato che mi abbia dato dei consigli. E’ condivisibile ciò che dice. E anche a me un po’ dispiace non puntare ai grandi Giri perché penso di non avere mai avuto la possibilità di giocarmi le mie carte al 100%, negli ultimi tre anni soprattutto tra cadute e altri capitani. Alla fine sono stato leader davvero solo al Giro del 2017 quando però sono caduto nelle prime tappe. Senza quell’intoppo sarei entrato in una top 5 se non top 4, magari stando lì mi sarei giocato anche il podio. E poi sono entrato nell’età della maturazione, ma ho dovuto aiutare i compagni.
Ecco, l’età è un aspetto che a Garzelli non è sfuggito. Stefano dice che oggi se a 23-24 anni non hai già vinto un grande Giro o non sei stato lì per farlo sei tagliato fuori dalla classifica.
E’ vero, ha ragione. Il ciclismo è cambiato tantissimo. Io mi paragono a Dombrowski, che vinse il Giro Bio davanti ad Aru. Sono in squadra con lui e mi raccontava che già all’epoca aveva due bici, anche quella da crono, il preparatore personale, il potenziometro… si sapeva allenare. Non era come me, o come molti miei connazionali, che non sapeva se sbattere la testa a destra o a sinistra una volta passato pro’. In Italia, almeno ai miei tempi, passavi dal fare tre-quattro corse a settimana e a staccare gli “amici” in salita al dover programmare gli appuntamenti da professionista. Ma saper fare la vita, capire i periodi di recupero e quelli in cui devi andare forte non è facile. Dombrowski a 17 anni sapeva già tutto, noi andavamo in bici per “diletto”. Questo porta i giovani di oggi ad una maturazione fisica già a 21-22 anni.
Formolo in appoggio a Pogacar (davanti a lui) al TourFormolo in appoggio a Pogacar (davanti a lui) al Tour
Certo però che oggi la UAE Team Emirates è un super squadrone e trovare spazio non è facile sia nei grandi Giri, sia nelle corse di un giorno…
E infatti stare vicino a Tadej (Pogacar, ndr) è il mio scopo. A me chiesero di far classifica quando ero ragazzo, un qualcosa che era più grande di me. Per me non è stato come per Aru che ha avuto l’occasione di stare vicino a Nibali. Giusto un po’ Uran mi ha aiutato a crescere e per me lui resta un esempio.
Perché è importante avere vicino un capitano esperto?
Perché è una svolta: ti dà tranquillità, ti aiuta a gestire tutti i giorni, anche in allenamento.
Se nei grandi Giri c’è Pogacar, nelle corse di un giorno, almeno quelle adatte a te, c’è Hirschi che può toglierti spazio…
Uno così meglio averlo in squadra che contro! Tra l’altro ci hanno messo anche in camera insieme. Guardate la Deceuninck-Quick Step: dominava perché nei finali aveva tre uomini su dieci, una superiorità non solo qualitativa ma anche numerica. Un conto è se mi ritrovo da solo e devo correre dietro a tutti e un conto che siamo in due. Una volta ci va Hirschi e magari io resto a ruota e quando tocca a me sono più fresco.
Quindi partirai alla pari con lui?
Non dovrò lavorare per lui. Poi io comunque farò anche il Giro e quello c’è nella mia testa.
Allora non punti solo alle classiche?
Sarò capitano al Giro ed è un’opportunità che voglio sfruttare e poi andrò al Tour per aiutare Tadej. Al Giro non dico che sono all’ultima spiaggia, ma mi metto in gioco. Prima però ci sono le classiche delle Ardenne, quelle sono il primo obiettivo. Il Giro arriverà sull’onda di quelle corse.
Alessandro Covi si sblocca e trova la prima vittoria da pro' nella Vuelta Murcia. Perfetto gioco di squadra UAE. Dopo tanti piazzamenti, le braccia al cielo
I ricordi che la maggior parte della gente ha di Stefano Garzelli sono legati direttamente o indirettamente a Marco Pantani,ma ci sono scene come quella della cronoscalata del Sestriere al Giro, o le fughe in maglia verde qualche anno dopo sulle Alpi che sono tutte sue e non te le puoi scordare.
Stefano, 47 anni, oggi fa parte della squadra Rai che segue il ciclismo. E’ un commentatore tecnico, mai banale. E di questo suo non essere banale ce ne aveva parlato qualche tempo fa Roberto Amadio,quando ci disse che con la sua intelligenza il “Garzo” aveva capito che non poteva più vincere le corse tappe. E la prese bene questa cosa, nonostante il varesino fosse stato il primo a firmare per quella Liquigas che sarebbe diventata poi un “dream team” e per cui doveva far bene proprio nei grandi Giri.
Pantani, Casagrande e Garzelli, sull’Izoard al Giro 2000 vinto da Garzelli stessoPantani, Casagrande e Garzelli. Era il Giro 2000 vinto da Garzelli stesso
Stefano, partiamo da qui… E’ vero quel che ha detto Amadio?
Vero! Sia che firmai per primo, sia che mi accorsi di non poter più vincere un grande Giro. L’ho capito quando dopo metà dei grandi Giri, appunto, mi staccavo da dieci corridori. Fare 8° o 9° non portava nulla: né a me, né alla squadra.
E infatti Amadio disse che poi vincesti quasi subito la Tre Valli Varesine e altre corse di un giorno…
Sì, quelle e anche le corse a tappe più brevi, come la Tirreno. La Tre Valli per un corridore varesino è un risultato importante, ne ho vinte due, ma vinsi anche il Gp Francoforte, sfiorai San Sebastian e Liegi, vinsi diverse tappe al Giro. Sapete, a San Sebastian ancora ci penso un po’: persi da Florencio per una volata non perfetta…
Che età avevi quando decisi per la svolta verso le corse di un giorno?
Avevo 32 anni.
Stefano Garzelli, oggi è un commentatore RaiStefano Garzelli, oggi è un commentatore Rai
E questa scelta ti ha bruciato dentro o è stato un percorso naturale?
Chi è nato per le corse a tappe fa fatica ad uscire da questa mentalità. E anche nei Giri successivi l’idea era quella comunque di tener duro. E infatti poi era la squadra che mi mandava fuori classifica per cercare di vincere le tappe. La testa voleva tenere, ma poi arrivava la tappa che saltavi. A quel punto correvi giorno per giorno.
Quando hai sentito di essere stato al top della tua carriera?
Io credo di avere avuto due momenti importanti: quello della Mercatone Uno e quello della seconda parte di carriera. Lo dico sempre: con la Mercatone sono stato all’università. Sei in squadra con Pantani, hai tutti gli occhi puntati addosso. Sai che devi mettere da parte le tue ambizioni, però vedi come si lavora per il leader, come si gestisce la squadra, impari a convivere con le pressioni. Tutto quello che ho imparato l’ho appreso lì. Ed è stato, credo, il segreto che mi ha fatto correre fino a 40 anni.
C’è qualche corridore in cui oggi ti rivedi?
Nessuno. Io ero un corridore completo: ho vinto i Giri e le corse di un giorno. Direi Alaphilippe, però nelle corse a tappe ancora non ha vinto. E’ difficile trovare uno scalatore da grandi Giri che sia anche molto veloce.
E secondo te perché?
Senza dubbio perché oggi il ciclismo è più specializzato. Ai miei tempi, almeno all’inizio, non c’era il potenziometro, si andava e si lasciava molto spazio all’istinto. In più le squadre avevano 18-20 corridori e ognuno aveva più occasioni. Ora è tutto pianificato. Vediamo la Ineos Grenadiers: tutti pensano ad arrivare al 100% a quello specifico appuntamento.
Un’altro aspetto dell’intervista con Amadio che ci ha incuriosito riguarda Formolo. Il tuo ex team manager ha detto che si aspettava qualcosa di più da Davide nelle corse a tappe e che potrebbe però far bene in quelle di un giorno. Che ne dice Garzelli?
Quanti anni ha Formolo, 28 giusto? Il ciclismo è cambiato. Oggi se a 23-24 anni non ha vinto un grande Giro o non sei stato lì per farlo è difficile che tu possa avere quelle capacità in futuro. E non è solo per una questione fisica, ma anche di stress per lottare tre settimane. E Davide non si è mai giocato un grande Giro sin qui. Però dico che può far bene nelle corse di un giorno. Ha già fatto secondo alla Liegi. Fossi in lui penserei anche ad una Tirreno-Adriatico che dura una settimana e non comporta grandi stress. Andrei a caccia della maglia della montagna verde o a pois. E’ un corridore che a me piace tanto.
Liegi 2019, Formolo (dietro) terminerà secondo alle spalle di FuglsangLiegi 2019, Formolo (dietro) terminerà secondo alle spalle di Fuglsang
Che consigli daresti al Formolo corridore da corse di un giorno, per la preparazione o dal punto di vista tattico?
Per quel che riguarda la preparazione non sono io la persona giusta, ci sono allenatori che sanno il fatto loro. Dal punto di vista tattico forse gli direi di osare di più, di essere meno attendista, di rischiare anche di perdere se necessario. Ora che è in una squadra importante deve ritagliarsi gli spazi.
In effetti la UAE, è diventato un super team. Formolo rischia di dover restare “incastrato” nel treno della salita per Pogacar…
Magari sono in tanti e avrà spazio in corse differenti. Bisogna vedere il calendario. Fossi in lui punterei al Giro, sempre in ottica tappe. E per questo non dico che deve uscire di classifica per forza. Spesso quella arriva in modo inaspettato, magari entra nella fuga giusta, si trova davanti e poi si gioca il Giro. Bisogna sempre ambire alla classifica e se poi salti ti giochi le tappe, altrimenti sei tu che decidi di uscire. Certo, poi mi rendo conto che oggi certe indicazioni sono molto difficili da mettere in atto. Sono i team a decidere e i corridori hanno meno potere. Magari ci sta che alla squadra vada bene il 7° posto e al corridore no, ma quelli sono gli ordini. E’ un ciclismo molto economico. Ai miei tempi mi prendevo io il rischio, anche di sbagliare.
E hai mai sbagliato?
Sì, sì! Ricordo la tappa di Bormio 2000 al Giro del 2004, quello di Cunego. Non andavo fortissimo quell’anno e così quel giorno mi misi in testa di capovolgere il Giro (Dna “pantaniano”, ndr) e attaccai sul Gavia… ma all’inizio del Gavia! Mi ripresero ai piedi della salita finale. Se fossi rimasto a ruota avrei vinto la tappa. Non contento, il giorno dopo riprovai. C’erano da fare Mortirolo, Vivione e Presolana, scattai sul Mortirlo e vinsi… Però erano decisioni che venivano dal corridore e questo oggi manca. E’ la spontaneità dell’atleta in un mondo molto “quadrato”.
Stefano Garzelli stremato verso il Rifugio Gardeccia al Giro del 2011 (foto/La Presse)Stefano Garzelli stremato verso il Rifugio Gardeccia nel 2011 (foto/La Presse)
Che ricordi! Una delle tue fughe storiche fu quella verso Gardeccia, al Giro del 2011…
Ecco, vuoi l’errore? Quello!
Vai spara!
A parte che credo quella sia stata la tappa più dura della storia: quasi 240 chilometri con quasi 7.000 metri di dislivello. Ricordo che nel tendone dove ci stavamo cambiando entrò Contador e mi disse: «Es el dia mas duro de mi vida», il giorno più duro della mia vita. Io impiegai 7 ore e 28′ il gruppetto 8 ore 10′. Venendo all’errore, prendo la fuga buona con dentro molti bravi corridori tra cui Sastre e Nieve. Sul Passo Giau, Hoogerland va in fuga e mi manda all’aria i piani. Gli vado dietro e lo stacco. Sul Fedaia spendo molto e nel finale prendo una “balla”… e mi passa Nieve. Questa ancora mi brucia! Almeno però conquistai la maglia verde!
Corridori come Garzelli restano nel cuore. Attaccanti eleganti, potenti… campioni che poi ti ritrovavi anche alle classiche sia in primavera che d’estate da San Sebastian alle premondiali. Eh sì, perché poi magari volevano anche andare ai mondiali. Speriamo che Formolo possa percorrere le sue orme. Il fisico e la tenacia a Roccia non mancano…
Stefano Garzelli sarà il commentatore tecnico della RAI accanto a Pancani. Una rarità il commento di chi il Giro l'ha vinto. Allora iniziamo a parlarne
Il condominio in cui vivono insieme Valerio Conti, Davide Formolo e Tadej Pogacar sta in un quartiere di Monaco che si chiama Fontvieille e si allunga verso la Francia. Il romano, che combatte ancora con la lussazione della spalla ma è ugualmente in partenza per il primo ritiro, giura che è stato quasi per caso, ma che su quelle scale si è creata una piccola enclave della Uae Team Emirates che darà certamente i suoi frutti anche in corsa. Nel condominio a rendere il quadro più variopinto, vivono anche Diego Rosa e sua moglie Alessandra.
Il Natale ad esempio l’hanno passato in sei. La famiglia Formolo, con mamma Mirna e la piccola Chloe. E con loro Valerio, la sua compagna Michela e il cane Zoe. Pogacar non c’era, è tornato nel condominio da un paio di giorni e ha trascorso le Feste in Slovenia.
«Sarei rientrato volentieri a Roma – ammette Conti – ma avrei dovuto fare due settimane di quarantena. E a quel punto, tornare per restare chiuso in casa non aveva troppo senso. Nel frattempo ho tolto il tutore e mi sforzo di tenere la spalla vicina al corpo. Da un paio di giorni pedalo sui rulli e fra una settimana vorrei tornare in bici».
Valerio Conti ha corso il Giro d’Italia 2020 in appoggio a Diego Ulissi Conti ha corso il Giro 2020 per Ulissi
Valerio è stato stretto da un’auto contro la scarpata e gli è andata anche bene, perché invece di rompersi la spalla ha avuto la blanda lesione di un legamento, che continuerà a fargli male e a condizionarlo psicologicamente, ma alla lunga andrà perfettamente a posto.
Come va nel condominio?
I primi siamo stati Formolo e io, dato che Michela è amica di Mirna. Poi sono arrivati Tadej e la sua compagna Urska. Stiamo bene. Pur avendo allenatori diversi riusciamo a fare i nostri giri insieme e questo è importante anche per farsela passare meglio. In più spesso usciamo a cena insieme. A Natale e a Capodanno invece siamo stati insieme a Formolo, perché non si poteva uscire. Proprio come in Italia.
Com’è la zona?
Si chiama Fontvieille e sta proprio alla fine del Principato di Monaco. Due pedalate e siamo in Francia. Si esce subito da casa e non c’è traffico. Si fa una galleria che sale quasi a chiocciola e si prende la strada per allenarsi, che corre lungo il mare e porta verso il Col d’Eze verso Nizza, oppure verso l’Italia.
Mai freddo e sempre sole?
Il clima è spettacolare, meglio che a Roma. Da noi d’inverno può fare caldo, ma in certe zone dei Castelli c’è ombra e fa comunque molto freddo. Qua in un’ora di bici hai tutto quello che serve per fare i lavori specifici ed è sempre in pieno sole. Forse c’è poca pianura, ma giusto questo.
Fontvieille, ultima propaggine di Monaco verso la Francia: il condominio in cui vivono i tre si trova quiIl condominio si trova a Fontvieille, propaggine di Monaco
Quindi si può uscire di buon’ora non dovendo aspettare che l’aria si scaldi?
A dire il vero, non mi piace partire troppo presto. Diciamo che le 9,30-10 sono un orario congruo.
Di fatto da quelle parti vive mezzo gruppo del WorldTour…
E’ bello per quando ti alleni e per le cose burocratiche. Si mettono insieme tutte le esperienze e questo per la quotidianità fa una grande differenza. Ci sono parecchi compagni di squadra. Trentin sta proprio a Monaco, mentre a Bordighera ci sono Oliviero Troìa e Stake Laengen che però ha la residenza da qualche altra parte, non a Monaco e nemmeno in Norvegia.
Come va la quasi convivenza con Pogacar?
E’ semplicissima e non lo dico perché siamo compagni di squadra. Gli piace divertirsi, non fa vita di clausura. Del resto, ha 22 anni! Gli viene tutto facile. Dire che potesse vincere il Tour era un azzardo, ma visto quante tappe dure aveva vinto nel 2019 alla Vuelta? E al Tour non ha mai perso il filo della corsa e ha vinto praticamente senza squadra.
Sai già quale sarà il tuo programma di gare?
Non è ancora ben definito. Dovrei fare il Giro e Tadej il Tour, mentre saremo insieme ai Paesi Baschi. In realtà non mi dispiacerebbe fare il Tour, ma non entrambi perché sono troppo ravvicinati e a giugno avrei in programma il Giro di Slovenia. Il mio calendario fino al Giro sarà bello pieno.
Davide Formolo e Tadej Pogacar: a detta di Conti due pianeti completamente diversiFormolo e Pogacar, due pianeti diversi
Dici che in corsa aiuterà questo buon vicinato?
Al 100 per cento. Già ti impegni sempre, ma per un amico ti impegni di più. Lo vedo quando corro con Ulissi. Credo che anche stare a ruota di uno che conosci sia un vantaggio.
Nel condominio c’è anche Formolo.
Altro buon amico, ma con un’altra testa. Davide cambia idea in continuazione su tutto. E anche in corsa, il rendimento va di pari passo con il carattere. Formolo parte sempre a bomba nelle prime tappe e poi cala. Pogacar ha un gran motore, come ce ne sono altri. Ma ha un recupero straordinario, come in giro non ce ne sono. La sua forza è quella, nell’ultima settimana va sempre più forte e sapete anche perché? Perché si stressa talmente poco, che non butta via energie in pensieri e ansie.
Chi ha cucinato a Natale?
Le signore. E devo dire che si sono date da fare. A Capodanno invece hanno un po’ tirato i remi in barca. Abbiamo ordinato un hamburger enorme al ristorante romano che si chiama “Ai tre Scalini” e loro hanno fatto i dolci e le lenticchie.
Il 2021 è ricominciato sui rulli?
Ma non tantissimo. Faccio 40 minuti la mattina e 40 il pomeriggio. Ora posso poggiare la mano sul manubrio, ma sto già facendo le valigie. Vado in ritiro. E tra una settimana voglio tornare su strada.
Davide Formolo è diventato papà… e questo lo sappiamo. Lo scalatore veronese è protagonista con sua moglie Mirna e sua figlia Chloe anche sui social. Ed è sempre pronto a mettersi in gioco. Scherza, è autoironico, ma anche molto sensibile.
Via dalla Vuelta
Lo avevamo più volte sentito durante la Vuelta. In Spagna aveva un occhio sulla corsa e l’altro sul telefonino, pronto a scappare via (già in accordo con la UAE) nel caso fosse scattato l’allarme rosso del parto. E invece in un modo o nell’altro “Roccia” la Vuelta l’ha (quasi) finita.
Davide Formolo e sua moglie Mirna ancora in dolce attesaDavide Formolo e sua moglie Mirna ancora in dolce attesa
«Quasi perché l’ultimo venerdì della corsa, Mirna aveva fatto una visita e sembrava che la nascita fosse imminente e così appena arrivato sull’Alto de la Covatilla e finito i miei compiti sono scappato via. Anche perché per via del covid non c’erano più tanti voli da Madrid a Nizza. Anzi, si doveva passare per Amsterdam.
«Le ultime due settimane della Vuelta sono stato con la paura di svegliarmi la mattina e trovare la foto di mia figlia sul cellulare. Non era bello. Però dai… alla fine sono arrivato in tempo e tutto è andato bene, visto che la piccola poi si è presa qualche altro giorno dopo la fine della Vuelta. Sono riuscito ad assistere al parto. Ha fatto il tampone Mirna e poi io lo avevo rifatto all’aeroporto di Nizza. Ne avevo fatti so quanti alla Vuelta, ma era gratis e per curiosità e scrupolo ne ho fatto un’altro ancora».
Vita quotidiana
«Per ora tutto è tranquillo. Mi adeguo alle poppate. Se Chloe si sveglia alle 7,30 mi alzo, ma se si sveglia alle 6 ci rimettiamo a dormire fino alle 9 ed esco alle 10, tanto di questi periodi andare in bici tardi è anche meglio: fa più caldo. In generale mi piacerebbe esserci. Essere presente man mano che cresce e so che spesso, almeno all’inizio, mancherò.
«Pannolini? E’ più brava Mirna. Tutine? Sono… imprecazioni! Mia suocera ce ne ha regalata una con la zip. Io dico: ma perché non le fanno tutte così anziché con i bottoncini? Però, ragazzi, sono il numero uno con il latte in polvere, perché Chloe prende l’aggiunta. Abbiamo il piano cottura ad induzione e ormai ho preso le misure per la temperatura perfetta: 55” e il latte è a 35 gradi. Un cecchino!
«Le prime due settimane di notte mi alzavo anche io, poi da quando ho ripreso ad allenarmi ci pensa Mirna. Altrimenti sarebbe sempre come avere il fuso orario addosso».
Questa stessa cosa ce l’ha detta pochi giorni fa anche Diego Rosa. E quando glielo facciamo notare Davide ribatte: «Alessandra (moglie di Rosa, ndr) è stata molto carina. Ha aiutato Mirna nelle visite pre-parto e in tante altre cose. E anche quando ci siamo trasferiti qui a Montecarlo ci ha dato una mano per il trasloco».
Diego Rosa e Davide Formolo, amici e vicini di casaDiego Rosa e Davide Formolo, amici e vicini di casa
Formolo 2.0
Davide è il solito fiume in piena. La sua voce è felice e si sente.
«L’arrivo di Chloe è stato come rinascere. Sono contentissimo. Certo, tante cose sono cambiate e stanno cambiando. Prima quando non ero padre sentivo quelli che lo erano che programmavano quasi ogni cosa e io mi dicevo: ma cavolo, goditi, il momento. Adesso, invece, devi sempre prevedere un po’ tutto. Parlo del quotidiano. Lei non può parlare e sai che se piange è perché tra un po’ avrà fame. Perché dopo che ha preso i suoi 300 ml di latte avrà le coliche… Questo cambia le giornate e il modo di vivere».
Però la voglia di fare il corridore c’è sempre e quando è in sella Formolo… resta Formolo. Il ragazzo che scherza, che mena come un fabbro in salita, «ma che è anche più attento», aggiunge Davide.
«Il mio obiettivo adesso è renderla orgoglioso di me».
E dov’è che ti vedremo a braccia alzate? «Beh adesso pretendete troppo! Non so neanche che calendario farò ancora. Vi dico che mi piacerebbe molto provare a correre il Fiandre».
Questa volta Cattaneo in fuga c’è andato per arrivare e aveva trovato anche la compagnia giusta. Perché oltre al drappello degli stranieri, stando al vento si riusciva anche a fare quattro chiacchiere con Formolo e Gasparotto. Anche loro fra gli ultimi superstiti della pattuglia tricolore. Al traguardo il corridore della Deceuninck-Quick Step è arrivato infine 21° a 6’12” eppure segnali positivi se ne sono visti.
Si poteva arrivare, ma…
Ma non ci hanno lasciato tanto spazio. Sembrerà una frase fatta, però si va forte davvero.
Cattaneo e Gasparotto, tocca a loro tirareTurno in testa alla fuga per Cattaneo e Gasparotto
Avevi già fatto l’Angliru?
No, prima volta assoluta. E’ duro, ma secondo me lo Zoncolan è peggio. Oggi ho visto un chilometro davvero terrificante, quel tratto dritto al 23 per cento. Per il resto è una salita dura con dei tratti in cui respirare. Lo Zoncolan invece molla un po’ solo nella galleria e poi è di nuovo cattivo.
Che effetto fa una salita così dura senza pubblico?
Altro effetto spettrale. Il pubblico fa differenza, non senti niente, ti passa meglio. Oggi si sentivano i rumori del gruppo e quelli delle moto e delle macchine, di cui normalmente non ci accorgiamo. L’Angliru così è solo sofferenza.
Non si sono viste grandi differenze, come li vedi i primi?
Sono allo stesso livello ed è un gran bel livello. Togliendo la giornata forse non brillantissima, Roglic mi sembra il più determinato.
Il fatto che si corra di novembre abbassa le prestazioni?
Non credo, magari fosse vero. Vanno fortissimo e anche io non sto andando male. Sono venuto con tre settimane di allenamento dopo tutto il lavoro del Giro. Mi manca qualcosa, ma va sempre meglio. Noto che le salite lunghe smascherano la mancanza di fondo, ma sto crescendo e ci riprovo di certo. Domani si riposa. Veniamo da tre giorni durissimi in una Vuelta strana e durissima. Le prime tappe sono state folli, senza giorni di rodaggio. Dovendo ridurre il numero delle tappe, hanno tolto proprio i giorni di avvio. Vogliono il sangue questi spagnoli…
Davide Formolo è stato uno dei protagonisti della ripresa dopo il lockdown: secondo alla Strade Bianche, primo in una tappa del Delfinato e spesso davanti nelle altre corse cui ha preso parte. Al Tour de France stava svolgendo egregiamente il suo ruolo di gregario di lusso per Tadej Pogacar quando nella quinta tappa è caduto, si è rotto la clavicola ed è stato costretto al ritiro.
Come ha cambiato la sua stagione questo incidente? Come ha vissuto quei giorni dopo la caduta? Ce lo dice direttamente “Roccia”.
Davide, raccontaci come è andata dopo la caduta al Tour…
Sono stato fermo completamente solo quattro giorni. Poi sono subito risalito in sella però non avevo considerato una cosa: l’anestesia, dopo l’operazione. Mi ha davvero “ammazzato”. Pensate che il primo allenamento l’ho fatto sui rulli e quando ho finito sono svenuto. Mi sentivo debole nelle uscite, ma non immaginavo di stare così.
Giro del Delfinato 2020, Formolo a braccia alzate sul traguardo di S. Martin-de-BellevilleFormolo a braccia alzate al Delfinato
Una tenacia incredibile…
Eppure l’anno scorso alla Vuelta fu peggio. Mi si staccò il gluteo dall’osso. Pedalare era un disastro. E sulle buche poi, un dolore bestiale. Quando arrivai ero sfinito. Quest’anno al Tour devo dire che è stata una brutta sensazione, non mi ero mai rotto un osso, però alla fine la tappa l’ho conclusa “bene”. Guidavo con una mano sola, la destra. In cuor mio pensavo che la spalla fosse solo uscita. Mi dicevo: stasera il massaggiatore mi farà vedere le stelle, ma me la rimetterà a posto. Invece appena sono arrivato al bus tutti sono stati pessimisti.
Ecco perché ti chiamano Roccia!
Questo mondiale mi… chiamava, ci avevo messo l’anima per esserci. Poi però le cose non sono andate come immaginavo e a quel punto ho dovuto rinunciare, però volevo mantenere almeno le classiche delle Ardenne, che erano nel mio programma. Ma alla fine ho dovuto dire no anche a quelle.
Quando Davide Cassani ha eliminato i nomi dalla prima lista di 13 uomini, ha dichiarato di aver apprezzato la sincerità di chi si è chiamato fuori, il pensiero è andato a te…
Olimpiadi e mondiali sono gare che ho sempre sognato. Anche l’anno scorso dopo la Vuelta, dove ero caduto e mi sono ritirato, ho fatto di tutto per esserci. Sono andato a fare le classiche italiane, Toscana, Sabatini, Matteotti…. All’inizio non andavo, ho sofferto, poi però stavo bene e sinceramente fui amareggiato quando Davide non mi convocò.
E glielo hai detto?
Sì, con Cassani ho un bel rapporto. Sono una ragazzo sincero. Lui lo ha apprezzato e infatti quest’anno mi ha dato fiducia fino alla fine. Poi sono stato io dopo le prime uscite a dirgli che non ero in grado di correre. I dottori mi dicevano che avrei perso 4-5 settimane, io dicevo che al massimo ne avrei persa una, invece…
Oggi quasi nessuno si allena con le corse, ma tutti puntano. E’ il metodo Contador…
Come hai fatto invece ad essere subito al top dopo il lockdown?
Con il mio preparatore, Rubens Bertogliati, avevamo deciso di partire forte. Poi avrei “staccato” quasi subito, cioè avrei fatto due settimane tranquille dopo il Delfinato. Sarei andato al Tour per essere d’aiuto a Pogacar, soprattutto nella terza settimana. L’idea era di crescere durante la Grande Boucle ed essere in forma per il finale, così da aiutare Tadej e uscire bene per il mondiale e le classiche delle Ardenne.
E come hai lavorato per essere vincente al rientro?
Ho sempre fatto le mie best performance dopo l’altura e i grandi blocchi di lavoro. A me piace allenarmi. Quando va così riesco a tirare la corda il giusto, a calibrare bene le fasi intense e quelle di recupero, quando sei in corsa invece non sei tu che decidi l’andatura. E’ un po’ il ciclismo moderno. E’ il metodo Contador.
Cosa intendi?
Che oggi raramente qualcuno va alle corse per allenarsi. Squadre, atleti, sponsor nessuno lo vuole. Contador magari correva meno, ma mirava ad ogni appuntamento. Quest’inverno al Teide c’erano Roglic e la sua squadra, ebbene da lì andavano direttamente alla Parigi-Nizza senza intermezzi. A me per esempio hanno più volte proposto di fare la Challenge di Majorca (ad inizio febbraio, ndr) ma se vado lì devo fare dei lavori specifici ed intensi già a gennaio, lavori che poi servono a poco per il resto della stagione. Mi sono trovato bene invece iniziando al UAE Tour.
La caduta al Tour non ha quindi cambiato il tuo programma: niente Giro ma classiche delle Ardenne…
Sì, ci tenevo troppo. Mi piacevano troppo. Ma poi ero indietro e sono saltate anche quelle. Ho lasciato però un occhio alla Vuelta. In Spagna vorrei fare bene.
Un calendario serratissimo…
Esatto. Se tutto fosse andato secondo programma da dopo il lockdown avrei fatto due allenamenti, ma due di numero! Uno dopo il Delfinato e uno dopo il mondiale: poi o viaggi o corse.
Tadej Pogacar e Davide Formolo scherzano con Vasile Morari, meccanico della UAEFormolo scherza con Vasile Morari, meccanico UAE
Prima hai parlato di aiutare Pogacar, ma quindi questa vittoria non è stata del tutto una sorpresa come si dice, la UAE era partita con l’idea di far classifica con lo sloveno?
Beh, dopo quella sua Vuelta dello scorso anno… Lì Pogacar aveva vinto le tre tappe più dure e aveva fatto terzo nella generale. Mi è dispiaciuto non poterlo aiutare, anche perché Tadej abita due piani sotto di me e usciamo sempre insieme. Nel ritiro di Livigno questa estate siamo andati insieme ripartendo quasi da zero, stando sempre fianco a fianco in bici e fuori.
Per te quindi non è stata una sorpresa?
No. Ricordiamoci che alla Vuelta 2019 nella cronosquadre iniziale erano caduti tutti, perdendo oltre un minuto. Pogacar è un ragazzo davvero unico. Lo svegli a mezzanotte e gli dici di fare un test all’improvviso si alza e ti fa 20′ a 7 watt per chilo!
Abbastanza nascosta al Delfinato, salvata da Covi al Giro, la UAE Emirates sta lavorando lontana dai riflettori in vista del Tour. Ne parliamo con Matxin