Alvarado e Ronhaar: a Dendermonde fa festa l’Olanda

12.11.2023
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DENDERMONDE (Belgio) – Tanta Olanda e tanto fango. Ieri a Niel in alcuni punti se ne era accumulato di più, ma quello di oggi è stato diverso. Una costante. E soprattutto più difficile da scaricare. Non a caso oggi gli “altri” eroi sono stati i meccanici. Che gran via vai al lavaggio nella pit-lane, come l’hanno chiamata qui. Gli atleti cambiavano bici ad ogni tornata. E se avessero potuto, anche dopo mezzo giro.

Il percorso di Dendermonde, Coppa del Mondo, è di nuovo un percorso vero: sembra scorrevole, ma è duro. Non manca nulla, c’è persino un tratto di pavé. «Ma qui è un tracciato del tutto normale», ci dice il capo dell’ufficio stampa, Nico Dick.

Ancora Alvarado

La prova femminile sinceramente non è stata entusiasmante. Celyn Alvarado ha bissato, se possibile con maggior facilità, il successo di ieri. Semmai la gara delle donne è stata interessante per il ritorno di Lucinda Brand (alla prima gara della stagione) e perché ci ha aperto gli occhi sulla gestione del fango.

La componente tecnica, i setup, potevano essere decisivi. E forse per qualche collega uomo lo sono stati, come vedremo.

Comunque Alvarado è passata subito in testa e senza apparente sforzo ha fatto il vuoto. Era quasi più impegnata a controllare i dati sull’orologio al polso (cambiando la bici era giusto che il “computerino” stesse lì) che a tutto il resto. Dietro è stato un inseguimento a distanza, con ogni ragazza che faceva la sua gara e pensava a portare la bici al traguardo. 

Alle spalle di Alvarado e Brand, l’ottima Zoe Backsted che, seppur U23, è ormai da annoverare tra le grandi interpreti (anche) del ciclocross.

Ronhaar, doppietta Olanda

Più combattuta, almeno fino a metà gara, la prova maschile. Poi Pim Ronhaar ha preso il largo. Dietro si davano i cambi per quanto possibile, ma non c’è stato nulla da fare.

Se ieri sugli ondulati di Niel il baricentro basso di Eli Iserbyt aveva fatto la differenza in positivo, oggi servivano i chili e i watt e in questo l’olandese della  Baloise-Trek-Lions non è secondo a nessuno. Iserbyt infatti ha pagato dazio. Ma su di lui torneremo, parlando anche delle sue scelte tecniche.

Con questa vittoria, Pim succede nell’albo d’oro alla doppietta del 2021 di Van Aert sul connazionale Van der Poel. Una rivincita dunque per l’Olanda. E l’inno orange risuona così due volte in questo paesino nel cuore delle Fiandre.

Setup diversi

Come accennato, i meccanici hanno avuto il loro bel da fare. Le lance delle idropulitrici hanno lavorato a più non posso.  C’è chi aveva anche quattro bici: una tra le gambe e tre nella pit-lane.

Iserbyt rispetto agli altri ha scelto una copertura non da fango estremo. Mentre quasi tutti gli altri avevano una tassellatura un filo meno fitta, quindi più estrema, che scaricava meglio e assicurava un filo in più di grip, come le gomme del vincitore: le Dugast Monsoon. Magari anche questo ha inciso.

Altro aspetto. Sbirciando tra i camper prima del via, oggi c’era una grande varietà nelle dentatura delle corone. Per gli uomini si andava dai 42 ai 44 denti per chi usava la monocorona, ma c’era anche chi aveva montato una 46. Mentre chi usava la doppia aveva il 46-39, abbiamo visto anche un 38.

Per le donne: monocorona da 40 denti, ma abbiamo notato anche una 36 denti, o una più consueta doppia 46-36.

Potenza o agilità?

Altro aspetto da valutare: oggi si è corso parecchio a piedi: oltre un minuto di bici in spalla per tornata, ancora di più per le donne. In teoria in questi casi si dovrebbe privilegiare l’agilità, quindi rapporti un po’ più corti. Eppure tra gli uomini ha vinto proprio chi aveva quella monocorona da 46 denti. Altro segno che su questo anello la potenza era fondamentale.  

Quindi chi aveva ragione? Non è facile da dire. Il discorso è davvero vasto: le scelte tecniche si accompagnano sia al percorso chiaramente, che alle caratteristiche degli atleti. Questa varietà non fa altro che stuzzicare la curiosità degli appassionati e, forse, farà ripensare qualche atleta questa sera.

Paletti fra strada e cross, ma come li concilia?

10.11.2023
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Luca Paletti è da poco tornato dall’europeo in Francia, la sua prima esperienza internazionale nel ciclocross da under 23. Il corridore della Green Project-Bardiani-CSF Faizanè ha messo alle spalle la sua prima stagione da professionista. Intorno a lui sono cambiate un po’ di cose, ma nel suo calendario è rimasto saldo il ciclocross, con obiettivi ben chiari.

«Avevo impostato insieme alla squadra – racconta Paletti – per arrivare all’europeo e poi fermarmi per una settimana e riposare. Partecipare alla spedizione continentale era il mio obiettivo negli ultimi mesi. Volevo essere convocato per fare nuove esperienze internazionali, quella in Francia sarebbe stata la mia prima tra gli under 23. Da junior ho corso spesso all’estero, partecipando a sei prove di Coppa del mondo e al mondiale».

Da metà settembre Paletti ha iniziato a lavorare per arrivare pronto all’europeo di Pontchateau 
Da metà settembre Paletti ha iniziato a lavorare per arrivare pronto all’europeo di Pontchateau 

Un anno di prova

Il salto nella categoria under 23, per quanto riguarda il ciclocross, Paletti lo aveva già fatto nell’inverno del 2022. Ma la sua stagione sul fango è stata nettamente ridotta rispetto agli anni precedenti.

«Lo scorso inverno – spiega – ho fatto solamente gare del calendario italiano, volevo correre fuoristrada, ma senza un impegno troppo elevato. Insomma, il piano era di tenermi in movimento fino al momento in cui avrei iniziato la preparazione con la Green Project per la stagione su strada.

«E’ stato un anno intenso – continua Paletti – perché ho iniziato nell’autunno del 2022 e sono arrivato fino a luglio 2023 senza mai fermarmi. Insieme alla squadra avevamo previsto un periodo di pausa dopo il Giro Next Gen, così da avere le energie per arrivare fino all’europeo dello scorso fine settimana».

La prima gara di ciclocross disputata è stata a Tarvisio il primo ottobre
La prima gara di ciclocross disputata è stata a Tarvisio il primo ottobre

Ritmi diversi

La stagione di Luca Paletti, quindi, ha vissuto di momenti “sfalsati” rispetto agli altri ragazzi della Green Project. Tuttavia la pianificazione della sua prima annata da professionista è stata studiata per essere in pari con i propri compagni nei momenti opportuni.  

«I miei compagni alla Green Project – ci spiega Paletti – si sono fermati un mese dopo rispetto a me. Dopo il Tour of Taihu Lake, in Cina a metà settembre, ho messo da parte la bici da strada e ho iniziato gli allenamenti per il ciclocross. Ho debuttato il primo ottobre a Tarvisio (in apertura foto di Alessandro Billiani), le sei corse fatte in Italia mi sono servite per arrivare pronto all’europeo. Dal quale, devo essere sincero, torno soddisfatto per quanto fatto.

«Ora mi riposo per una settimana – dice – e poi riprendo con gli allenamenti su strada fino al ritiro di Benidorm di dicembre. Penso che la mia condizione, nonostante il mese di attività in più nel cross, sarà la stessa dei miei compagni. Una volta tornato da quel blocco di lavoro riprenderò ancora la bici da cross per finire la stagione». 

Su strada Paletti (in primo piano) ha goduto dei benefici del cross nella prima parte di stagione
Su strada Paletti (in primo piano) ha goduto dei benefici del cross nella prima parte di stagione

I benefici ci sono

Il giovane corridore guidato da Rossato e Reverberi ha già avuto modo di vedere i benefici della doppia attività lo scorso inverno. Sicuramente il lavoro fatto fuoristrada mantiene il fisico attivo e pronto ai primi impegni della stagione

«Utilizzo questo metodo di gestione delle due attività da quando ero junior secondo anno – conclude Paletti – mi trovo molto bene. Ho fatto più fatica ad adattarmi ai ritmi che ho trovato su strada, in quanto molto diversi rispetto agli anni precedenti. I benefici di fare cross, invece, li ho sentiti fin dalle prime corse in Croazia, dove sono arrivato pronto. Sarà importante mantenere lo stesso equilibrio e vedere come uscirò dalla stagione del cross». 

“Mentalità Belga”, la chiave di Bramati per il cross in Nord Europa

07.11.2023
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«Avete presente quelle magliette con su scritto “mentalità belga”? Ecco, quello è ciò che serve e che si troverà andando ad un ciclocross nel Nord Europa». Luca Bramati ci porta subito nel cuore dell’articolo. Tra pochi giorni saremo in Belgio anche noi e ci tufferemo nel cuore di catini storici del cross come Niel e Dendermonde.

«Lassù è un altro sport – spiega Bramati, oggi tecnico della Alé Cycling Team – E la dimostrazione l’abbiamo avuta anche l’altro giorno al campionato europeo: un percorso veloce, con l’acqua è cambiato del tutto ed è diventato un percorso da ciclocross vero. E i nostri, a parte qualche caso, sono naufragati perché non siamo più abituati».

Il grande pubblico, componente fondamentale nei ciclocross del Nord Europa
Il grande pubblico, componente fondamentale nei ciclocross del Nord Europa
A Pont-Chateu abbiamo visto rettilinei lunghi, dislivelli, sezioni ampie, noi abbiamo anelli di fettucciato. Lassù anche questo aspetto è diverso?

Con quei percorsi del Nord se hai gamba in qualche modo emergi. Da noi c’è questa abitudine di fare le gimkane, perché di questo si tratta. Però le gimkane le fanno i bambini e quando poi vai nei percorsi veri è normale che fai fatica. Purtroppo da qualche anno è così in Italia.

Prima era tanto diverso?

Sì, decisamente. Prima c’erano i percorsi, percorsi veri. Per dire, anche Milano ai tempi della Montagnetta si correva su un percorso vero. Adesso vogliono concentrare tutta la gara in un campo da calcio ed è normale che fai le gimkane.

“Torniamo in Belgio”. Tu ci hai corso lassù. L’atleta cosa sente? Percepisce l’idea che sta disputando un evento di serie A? 

Sicuramente sì, perché correre davanti a 20.000 persone o anche di più è emozionante. Però questo dipende anche dalla freddezza dell’atleta. Ci sono degli atleti che patiscono tutto ciò, perché comunque si è anche intimoriti da una cosa del genere. E ci sono invece atleti che si esaltano a correre in mezzo alla bolgia.

Luca Bramati (classe 1968) lassù ci ha anche vinto: «Bisognava essere anche sfrontati»
Luca Bramati (classe 1968) lassù ci ha anche vinto: «Bisognava essere anche sfrontati»
A te piaceva personalmente?

Sì, sì! Mi è sempre piaciuto, anche perché ero un tipo esuberante. Non avevo paura di niente ed mi buttavo nella mischia.

E poi cambiano gli avversari: Li ci sono i “cavalli veri”, con le cosce grosse, i motori potenti e grandi abilità: com’è l’approccio mentale? Si studiano anche i corridori?

In realtà non fai in tempo a studiarli, poi dipende anche dal livello a cui sei. Se vai bene, tutto sommato qualcosa puoi fare, ma purtroppo il livello attuale degli italiani è veramente basso. Quella gente neanche la vedi in corsa.

Ma nel contesto magari sì: la preparazione, i momenti prima e dopo la gara. La ricognizione…

Ma sono attimi troppo piccoli. In quei momenti tu stesso cerchi di capire il più possibile quello che ti serve. Come affrontare quella curva, dove spingere… Io continuo a dirlo ai miei atleti che il corridore vero deve essere anche intelligente. Non può essere superficiale, perché poi non si ricorda la curva, la staccata… Uno intelligente memorizza tutti i punti dove deve mettere la ruota. Ha una certa memoria fotografica. Fateci caso: Van Aert, Van de Poel…  ogni volta che passano mettono la ruota sempre in quei 5 centimetri. Vuol dire che tu hai lucidità, che sei sveglio.

Scegliere l’abbigliamento è fondamentale secondo Bramati
Scegliere l’abbigliamento è fondamentale secondo Bramati
Ma questi sono i campioni, tutto ciò che abbiamo detto sin qui vale anche per i più giovani? Gli under 23 o gli juniores?

Loro corrono più allo sbaraglio. Non si conoscono tutti, perché corrono poco assieme… In generale sono un po’ disorientati.

E quindi sono al parco giochi o all’inferno?

Dipende… È un inferno nel parco giochi! Spesso li ho visti sballottati, spaesati. Ci sono avversari che ti passano da tutte le parti, con un’altra foga. Ci sta che sei frastornato, che non riesci a capire cosa fare. Non abbiamo sicuramente un leader neanche negli under 23.

E nella valigia cosa si mette? Giacche a vento, copriscarpe gomme da fango.

Devi avere un programma ben chiaro di ciò che devi mettere, anche in base alle tue caratteristiche. Guanti da freddo o guanti intermedi, in base a quanto lo soffri. Body pesante, body leggero sapendo di essere pronto ai cambiamenti del tempo ogni 30 secondi. Ma trenta secondi veri! All’europeo ero sull’arrivo che c’era il sole e 200 metri più in là era “buio” e pioveva. Per quanto riguarda invece i materiali, le gomme su tutto, ci pensano i meccanici. Ma come detto all’inizio serve la mentalità belga per stare lì in mezzo. Bisogna essere sfrontati.

Pontchateaux, Vanthourenhout bis. Viezzi 4° fra gli juniores

05.11.2023
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Michael Vanthourenhout ha colpito ancora al momento perfetto e ha conquistato nuovamente il campionato europeo di ciclocross, come già lo scorso anno a Namur. Con Van Aert e Van der Poel ancora fuori dai giochi, il belga ha approfittato della giornata negativa di Thibau Nys e degli errori commessi da Lars Van der Haar sul percorso scivoloso e fangoso. 

«Avevo buone gambe – ha detto Vanthourenhout – e ho dato il massimo dall’inizio alla fine. Finora la stagione non era stata buona, ma già nel Koppenbergcross mi ero sentito bene, pur non essendo riuscito a capitalizzarlo. Ma qui a Pontchateau c’era in ballo una maglia, sono venuto con fiducia e tutto ha funzionato alla perfezione. Oggi è stata la mia giornata. Ho avuto un ottimo feeling subito dopo la partenza e sono riuscito a prendere il comando abbastanza presto. Fortunatamente sono stato abbastanza forte da reggere fino alla fine».

Per Michael Vanthourenhout, 29 anni, doppietta europea dopo la vittoria del 2022 a Namur
Per Michael Vanthourenhout, 29 anni, doppietta europea dopo la vittoria del 2022 a Namur

Due azzurri al via

La gara, che vedeva al via 30 corridori con Ceolin e Bertolini unici azzurri, è stata accesa per i belgi prima da Laurens Sweeck, che è partito a cannone e poi si è fermato.

E mentre ci si chiedeva il perché di quella strategia, nel secondo giro ha attaccato il campione in carica. Nessuno poteva ancora immaginare che fosse l’attacco decisivo, probabilmente neanche lui.

«Pensavo che la sua prima metà gara fosse stata fantastica – ha detto suo cugino e allenatore della nazionale Sven Vanthourenhout – ma a dire il vero dubitavo anche che avrebbe resistito».

Stopper Iserbyt

Hanno provato a rispondere prima gli olandesi e poi i britannici, ma questa volta nel ruolo di stopper si sono ritrovati fra i piedi Iserbyt e Ronhaar. Così a metà gara ci ha provato l’olandese Lars Van der Haar, che sta attraversando un ottimo momento di forma. A quel punto tutti si aspettavano che entrasse in azione anche Thibau Nys, ma l’attesa è rimasta vana.

Van der Haar è diventato pericoloso nel quinto giro, quando Iserbyt ha forato, ma è stata una scivolata a impedirgli di rientrare sul fuggitivo, che invece ha disputato una gara impeccabile. Al settimo di otto giri, la prova si è praticamente conclusa quando Van der Haar ha avuto l’ennesima caduta.

Vanthourenhout ha così confermato il suo titolo, al secondo posto è arrivato il britannico Cameron Mason, terzo lo sfortunato Van der Haar.

U23, ancora Belgio

In questa domenica di fango e pioggia, il Belgio l’aveva già fatta da padrone fra gli under 23, su un percorso con molti colpi di scena, con passaggi fangosi che hanno costretto i corridori a superare ostacoli più insidiosi che impegnativi.

Belgi molto attesi e partiti infatti a ritmo forsennato, al pari di quello che avrebbero fatto in seguito gli elite. Il primo giro è parso una gara su strada, al punto che i primi cinque corridori al primo passaggio erano tutti belgi.

Quello che non ha fatto il percorso, lo hanno fatto gli errori. L’olandese Haverdings, forse il più atteso, al pari di Van der Haar ha messo insieme errori e rotture. E solo i francesi hanno provato a inseguire in modo organizzato quando in testa all’europeo under 23 si sono ritrovati Michels e Verstrynge, ma il loro margine si è rivelato troppo grande. Anche perché i due belgi in fuga sono compagni di squadra e non hanno avuto dubbi a collaborare sino in fondo. Solo nel finale si sono sfidati, con Michels che si è avvantaggiato approfittando di un problema meccanico del compagno ed è arrivato a braccia alzate. Il primo degli italiani è stato Filippo Agostinacchio, 15° a 3 minuti: 26 secondi meglio di Luca Paletti.

Bronzo azzurro sfiorato

Vittoria francese infine fra gli juniores, con la vittoria di Sparfel, 17 anni. Il francesino ha potuto approfittare del vantaggio preso relativamente presto, per festeggiare la sua vittoria nel sottobosco fangoso di Pontchateau. Il corridore dei Vosgi ha vinto davanti all’ungherese Zsombor Takacs, mentre al terzo posto si è piazzato un altro francese, Jules Simon.

Al quarto posto si è piazzato Stefano Viezzi, che ha lottato con Simon fino all’arrivo, vedendo sfumare il bronzo per l’inezia di un secondo. Fra i primi anche Mattia Agostinacchio, decimo a 1’14”.

Europei cross: brilla il bronzo di Sara Casasola

05.11.2023
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Potente, grintosa, con la gamba piena: Sara Casasola va a prendersi un bronzo europeo fantastico. Un bronzo che forse neanche lei si aspettava. Oggi sul bellissimo circuito di Pontchateu è stata magistrale. E poco importa che Fem Van Empel abbia demolito le sue avversarie. La gioia italiana è tutta sulle spalle di Sara Casasola.

Van Empel a mani bassi

A Pontchateu, cittadina nel Nord-Ovest della Francia, quasi sull’Atlantico, è stato ciclocross vero. Il campionato europeo femminile ha visto una corsa infangata come non accadeva da un po’. Specie per chi è abituato ad assistere al cross alle nostre latitudini e ancora di più nel finale, quando un forte acquazzone è tornato ad appesantire il terreno. L’allerta meteo e il conseguente stop di ieri, avevano “ridisegnato” il tracciato: più fango, fondo più lento, ma anche più tecnico. 

Ma al tempo stesso restava un tracciato “da gamba”: lunghi rettilinei, giusto un paio di tornanti, sede larga… si poteva passare. Un percorso ben diverso dagli stretti fettucciati italiani e sul quale bisognerebbe riflettere.

Ma torniamo a Pontchateu. In questo contesto Van Empel è andata a nozze. Una gara mai in discussione. Già dopo un paio di giri c’erano metri di vantaggio, che sono poi diventati secondi e infine minuti.

«In realtà al primo giro – ha detto la neocampionessa europea – ho avuto qualche problema: non riuscivo a prendere il ritmo, poi le cose sono migliorate e ho fatto la mia corsa. Ora mi godrò questa vittoria e per un paio di settimane mi riposerò».

Il bronzo di Sara

Ma come la fuoriclasse olandese faceva il vuoto, così Casasola recuperava. Dapprima restava in scia a mostri sacri quali Inge Van Der Heijden e Manon Bakker, poi piano piano le passava. Le altre davano sempre più di spalle, mentre la friulana filava via senza indugio, stabile, compatta e sicura sulla sua Guerciotti.

A due terzi di gara, dopo aver superato Van Der Heijden, per un po’ Casasola sembrava riuscire a mettere nel mirino addirittura Celyne Alvarado, nomi che fanno tremare solo a pronunciarli. Ma poi l’olandese rimetteva le cose in chiaro, spingendo e scavando un distacco di sicurezza. Ma al costo di rischi non da poco: imbarcate, scivolate sulle gradinate di legno, cambio di bici.

Sara invece guidava pulita. Cercava l’erba, da sempre segno di tenuta in certe situazioni, e tagliava decisa all’interno delle curve. E all’uscita spingeva bene il rapporto. Davvero un’ottima impressione e un bronzo strameritato.

Aggiungendo una nota di poesia, quando Casasola stava per tagliare il traguardo è anche spuntato un grande arcobaleno e proprio sotto l’arco colorato il cittì Pontoni le correva a fianco per incitarla, anche se ormai i giochi erano fatti. Mancava giusto l’ultima curva su sterrato, poi solo la lingua d’asfalto che portava al traguardo.

Gioia azzurra

Eva Lechner ce lo aveva detto pochi giorni fa: «Sara sta andando davvero bene». Il settimo posto in Coppa del mondo non era dunque casuale. E questo bronzo può aprire nuove prospettive.

Un bronzo che non è piaciuto del tutto agli olandesi. La stampa di Amsterdam ha parlato di: “sorprendente italiana”, “giovane inaspettata” e “l’italiana che ha interrotto l’egemonia olandese”. Visto che le top 7 erano tutte olandesi, gli Orange si aspettavano una tripletta facile facile e invece…

Sara prima di tutto complimenti. Hai guidato benissimo…

Grazie – risponde con tono raggiante – effettivamente stavo bene.

Ti aspettavi un risultato simile?

Dire che me lo aspettavo no, magari dopo i buoni tempi sul giro fatti in Coppa potevo sperare nelle cinque. Speravo più che altro in una buona giornata, ma non nel podio. Anche perché a questi livelli le migliori arrivano accanite e ben preparate.

Hai cambiato qualcosa nella tua preparazione?

Sinceramente no, semplicemente sono riuscita a fare una stagione su strada più completa, senza troppi intoppi. Quelli che invece avevo avuto lo scorso anno. Come si dice, si cresce di anno in anno e credo sia questa la motivazione del mio miglioramento.

Tempesta, allerta meteo e un percorso diverso: ti è piaciuto questo fango?

A me i tracciati così difficili non dispiacciono e anche se c’era da correre a piedi non mi spaventava perché sono sempre andata bene. Semmai c’era l’incognita del maltempo perché di fatto in Italia non abbiamo mai trovato fango, maltempo… ma sempre tutto secco. Stamattina invece, quando abbiamo provato era tutto diverso, specie dopo la gara degli under 23.

Sara Casasola (classe 1999) raggiante sull’arrivo e anche dopo
Sara Casasola (classe 1999) raggiante sull’arrivo e anche dopo
E infatti ti volevo chiedere proprio di questo e delle scelte tecniche. Con che gomme hai corso?

All’inizio pensavamo di mettere una da fango davanti e un’intermedia dietro, ma poi vedendo i ragazzi e parlando anche con Daniele (Pontoni, ndr) abbiamo deciso di non rischiare e ho montato entrambe le gomme da fango. Anche perché poi con tutta quell’acqua e quel fango non c’erano più tutti questi tratti così scorrevoli.

E poi ha anche ripreso a piovere…

Esatto. Il meteo è andato peggiorando e questa si è confermata la scelta giusta. Gli under 23 scivolavano veramente tanto.

Ultima domanda, sappiamo che sei impegnatissima in questo post gara: ma dicci la verità, ti è passata per la mente l’idea di andare a riprendere la Alvarado?

Eh sì, per un po’ ci ho anche pensato. Io ci ho provato fino all’ultimo, ho dato tutto, ma credo che nel finale i miei tempi sul giro si siano alzati un po’, mentre lei è stata costante. Forse ho pagato un po’ la mia parte centrale di gara, in cui ho spinto di più. Ma va bene così dai!

La Superlega e il curioso precedente delle Hammer Series

04.11.2023
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Ci sarà davvero una Superlega nel ciclismo? La notizia dei giorni scorsi, relativa al progetto di 5 squadre (Jumbo Visma e Soudal QuickStep come promotrici, EF Education EasyPost, Lidl-Trek e Bora Hansgrohe che hanno sposato subito l’idea) ha fatto il giro del mondo, anche perché dietro c’è il Fondo Pubblico d’Investimento dell’Arabia Saudita, che ha già ridisegnato parzialmente il calcio, portando una marea di stelle, da Ronaldo in poi a giocare nel campionato saudita e sta gettando le basi per i mondiali di calcio del 2034.

Diventerà realtà o finirà come l’omonima del calcio? Solo il tempo lo dirà, ma già in base a quel che si sa, c’è una corposa differenza. Se la Superlega calcistica si muove sempre e costantemente in antitesi, se non in contrasto con la Fifa, qui i rapporti sono ben diversi. L’Uci non si è mostrata contraria, ha anzi dato la sua disponibilità a partecipare agli incontri e quindi a discutere della sua nascita, di come far coincidere l’attività classica con quella “nuova”, soprattutto a parlare del vero tema alla base di questo progetto: la spartizione dei diritti televisivi.

La Mitchelton-Scott vincitrice delle Hammer Series 2018 sulla Quick-Step Floors. Al centro Matteo Trentin
La Mitchelton-Scott vincitrice delle Hammer Series 2018 sulla Quick-Step Floors. A sinistra, Matteo Trentin

Tutto nasce dai diritti Tv

Il tema della divisione delle entrate date dalla montagna di ore di diretta, della produzione delle immagini, in generale dei rapporti politici di forza nel ciclismo professionistico è sempre più all’ordine del giorno. Sappiamo bene che può portare anche ad autentici corto circuito come avvenuto con la triste vicenda dell’Adriatica Ionica Race, se guardiamo al nostro giardino… L’Uci non vuole affrontare la questione sul piano della mera contrapposizione e segue una strada simile a quella del passato, quando di Superlega si era già parlato, anzi… si era già fatta.

Già, perché nel ciclismo professionistico una creatura gestita direttamente dai team è un discorso vecchio, del quale si cominciò a parlare già poco dopo l’inizio del secolo. Arrivando poi a un progetto messo su carta, alla ricerca di investitori e, nel 2016, al suo lancio: le Hammer Series.

Tom Dumoulin fu uno dei corridori più ricercati dai tifosi, soprattutto nel suo Limburgo
Tom Dumoulin fu uno dei corridori più ricercati dai tifosi, soprattutto nel suo Limburgo

Vince la squadra, non l’uomo

Parlando di Superlega è quindi doveroso ricostruire la storia di questo anomalo circuito, creato da Velon, azienda britannica specializzata nel supporto digitale e nella produzione d’infodati per i team professionistici. Facendo leva sui team con cui aveva già un rapporto professionale, Velon lanciò l’idea di un circuito completamente nuovo, nelle gare, nella loro formula, nella loro stessa concezione.

Si trattava innanzitutto di una competizione a squadre, che andava quindi completamente in contrasto con la secolare cultura ciclistica dell’uomo solo al comando. Qui le classifiche erano per team, che dovevano gareggiare in 3 competizioni distinte, sempre a tappe. Ognuna di esse era divisa in tre frazioni: una per scalatori, una per velocisti e infine una cronosquadre a inseguimento.

La gara fra i grattacieli di Hong Kong. Nei progetti era già previsto l’approdo anche in Colombia
La gara fra i grattacieli di Hong Kong. Nei progetti era già previsto l’approdo anche in Colombia

Una formula innovativa

Interessante la formula, completamente lontana dal solito. Innanzitutto ogni gara era allestita su un circuito: le squadre, composte da 7 corridori, ne sceglievano fino a 5 per ogni tappa, lasciandone 2 in panchina. Ogni gara prevedeva che al passaggio sotto il traguardo si acquisivano punti, che andavano al team, con un doppio punteggio in coincidenza dell’arrivo (un po’ come su pista). I punti sarebbero poi andati a costituire un pacchetto di secondi di decalage da attribuire ai team per la frazione finale, allestita con il metodo Gundersen: partenza per prima della squadra in testa alla classifica, a seguire le altre ognuna con il distacco accumulato. Quella che fosse arrivata davanti nella tappa conclusiva si sarebbe aggiudicata la classifica.

Come venne presa questa idea dai corridori? In generale abbastanza bene, a questo proposito illuminanti furono le parole di un giovanissimo Remco Evenepoel alla vigilia del suo esordio in gara nel 2019.

«Ho visto i video delle gare su Youtube – disse – e posso affermare che mi sto preparando per una guerra… Sono ogni volta 2 ore di corsa a tutto gas, con salite forse troppo brevi per le mie caratteristiche, ma ripetute così ossessivamente che alla fine pesano tantissimo nelle gambe. I compagni dicono che questo tipo di gare è tostissimo, fra le più dure dell’intera stagione».

Evenepoel fece il suo esordio nel 2019, venendo accolto con grande enfasi
Evenepoel fece il suo esordio nel 2019, venendo accolto con grande enfasi

La crisi parte dall’Asia

Velon trovò subito spazio nel calendario attraverso tre località: Limburgo in Olanda, Stavanger in Norvegia e Hong Kong, a cui era affidata la chiusura in coincidenza con la fase asiatica del calendario. Il progetto prese subito piede, anche se le difficoltà non mancarono. Il progetto iniziò in maniera circospetta: nel 2017 si disputo solamente la gara olandese, con vittoria finale per il Team Sky.

Nel 2018 l’idea aveva preso vigore. Si cominciò a Stavanger, con la Mitchelton Scott che fece piazza pulita di successi, poi a Limburgo ci fu la reazione della Quick-Step Floor, infine la gara di Hong Kong dove la Mitchelton chiuse i conti. In terra orientale però non venne organizzata la prova per scalatori, una piccola crepa che poi, come si vedrà, si sarebbe allargata.

Il sorpasso della Jumbo Visma: la cronosquadre a inseguimento garantiva uno show d’immediata comprensione
Il sorpasso della Jumbo Visma: la cronosquadre a inseguimento garantiva uno show d’immediata comprensione

Un’altra “vittima” del Covid…

Nel 2019 infatti, dopo la tappa norvegese andata alla Jumbo-Visma (con un pressoché sconosciuto Vingegaard in squadra) e la risposta della Deceuninck-Quick Step in Olanda (con Evenepoel già protagonista), la prova asiatica venne cancellata, con trofeo finale assegnato alla Jumbo-Visma davanti a Deceuninck e Team Sunweb. Nessuno allora poteva prevederlo, ma quello fu il canto del cigno per le Hammer Series.

L’anno dopo infatti arrivò il Covid, con l’attività ufficiale compressa in tre mesi. L’impossibilità di trovare spazi nel calendario andò di pari passo con una profonda rivoluzione ciclistica. L’esplosione di Pogacar, i fari puntati addosso a Evenepoel dopo la terribile caduta al Lombardia, in generale la straordinaria crescita di attenzione verso il ciclismo da parte di gente affamata di sport dopo mesi di astinenza cambiarono le carte in tavola. E l’Uci, che di buon grado aveva comunque sopportato il nuovo circuito, poté ripartire l’anno successivo da una situazione molto più forte.

Sonny Colbrelli con Padun vinse la prova per scalatori in Olanda nel 2018
Sonny Colbrelli con Padun vinse la prova per scalatori in Olanda nel 2018

Ora si ricomincia?

Le squadre persero interesse verso quel progetto, praticamente sparito anche dalle proposte di Velon. In Asia d’altronde si continuava a non gareggiare, solamente quest’anno l’attività è tornata alla normalità. I team si sono concentrati sull’attività classica e su movimenti di mercato anche fantasiosi, vedi la fusione fra Jumbo-Visma e Soudal, che ha lasciato in piedi contatti profondi fra i propri dirigenti, ponendo le basi per nuove iniziative. Magari prendendo spunto proprio da quelle due strane edizioni, a metà fra lo sport e Giochi Senza Frontiere…

Eva Lechner torna a ruggire: 38 anni e la grinta di una ragazzina

03.11.2023
4 min
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La regina è tornata. Eva Lechner, per anni, faro del ciclocross azzurro – memorabili i suoi nove titoli nazionali consecutivi – sta iniziando la stagione del ciclocross col piede giusto. Per lei due vittorie nelle ultime due gare: Salvirola e Firenze. Per l’altoatesina, classe 1985, questa è la 14ª stagione tra le elite, ma l’entusiasmo e la serietà sono quelli di sempre (in apertura foto dal web).

Archiviata la stagione in mountain bike con il Trinx Factory Team, Lechner è passata al fango del cross con i colori della Ale Cycling Team. Lo scorso anno aveva fatto molto meno dopo la stagione in Mtb. Aveva bisogno di un periodo di stacco maggiore. Ma quest’anno la voglia di cross è tornata quella di un tempo… forse anche per questo motivo.

Lechner sul gradino più alto del podio a Firenze dove ha preceduto Rebecca Gariboldi, Giada Borghesi, Nicole Pesse e Alice Papo
Lechner sul gradino più alto del podio a Firenze dove ha preceduto Rebecca Gariboldi, Giada Borghesi, Nicole Pesse e Alice Papo
Eva, una stagione iniziata benone si può dire…

In realtà l’inizio non è stato proprio super, ma dopo cinque gare la situazione ha cominciato ad andare meglio. La mia condizione è in una fase crescente. Avevo preso un fortissimo raffreddore proprio in occasione delle prime gare e questo raffreddore lo sentivo tutto… Quindi sin qui direi bene, ma non sono ancora al top.

Come sarà la tua stagione? Cosa possiamo aspettarci?

L’idea è quella di fare bene in ogni occasione. Ho già fatto sette gare. Domenica si correrà a Modena, in pratica a casa della mia squadra, poi farò tutte le corse del Giro e le altre gare italiane, compresa la tappa di Coppa del Mondo in Val di Sole (10 dicembre, ndr).

Niente Nord Europa?

Sì, ma a dicembre. Abbiamo programmato la gara di Namur e poi dopo Natale l’idea è di fare altre gare. Dobbiamo però ancora valutare se fare avanti o indietro o restare lassù per un po’. Vediamo.

L’altoatesina in azione nel Ciclocross del Tergola, prima gara della stagione (foto Instagram – Alessandro Billiani)
L’altoatesina in azione nel Ciclocross del Tergola, prima gara della stagione (foto Instagram – Alessandro Billiani)
Eva ormai sei un’esperta, i tuoi spazi al vertice li hai sempre avuti, ma magari quest’anno senza qualche stradista tornerai ad averne ancora di più. Questo è un “peso” o uno stimolo per te?

A me non cambia nulla: faccio le mie gare e basta. Vero, sono esperta e ho la mia bella età, ma sono arrivata al punto che “posso” e non “devo”. Non devo dimostrare nulla a nessuno. Se riesco a vincere ben volentieri. Se poi sono un esempio per le giovani questo mi fa piacere. E se vado forte e insegno loro qualcosa sono contenta. Io comunque continuo a darci dentro. Continuo a dare il massimo. Insomma non sono per lo spazio ai giovani o che mi sposto. Se posso vinco!

Hai un rapporto di lungo corso con la maglia azzurra… ci pensi ai mondiali, alle convocazioni?

Questa domanda dovreste farla a PontoniSinceramente mi piacerebbe fare il mondiale, ma non sono io a decidere. Io devo solo pensare ad andare forte, poi le scelte spettano ad altri. Questi insomma non sono problemi di un’atleta, l’atleta deve cercare di dare il massimo, punto.

Chi ti piace delle italiane? Cosa te ne pare di questo primo scorcio di stagione?

Beh, c’è Sara (Casasola, ndr) che sta dimostrando belle cose. Si è visto anche da come è andata in Coppa, settima. E in quelle gare per entrare nelle prime dieci devi andare forte. Anche in Svizzera, dove il livello è molto buono, ha convinto. In generale ha un bel passo. Poi mi piace anche Lucia (Bramati, ndr) tra le under 23, anche lei è migliorata molto. E Francesca Baroni se la sta cavando bene in Belgio.

Eva con Lucia Bramati (a sinistra), ormai quasi una sorella minore
Eva con Lucia Bramati (a sinistra), ormai quasi una sorella minore
E in campo internazionale?

Ci sono le due fenomene olandesi, Fem Van Empel e Puck Pieterse che non hanno bisogno di commenti. Vanno forte su ogni tipo di percorso. Mi piace la giovane Zoe Backstedt che sta crescendo molto bene. E sono atlete di sostanza anche la lussemburghese Marie Schreiber e l’ungherese Blanka Vas, che migliora di anno in anno.

Un’ultima domanda Eva, magari in questi giorni le cose sono cambiate sul fronte del meteo, ma cosa ne pensi di questo ciclocross col nuovo clima? Una volta questa disciplina era quella del fango, della pioggia, del freddo… adesso spesso si corre con più di 25 gradi e tutto è secco.

E’ cambiato moltissimo, è vero. Fa più caldo. In passato mai avevo usato la borraccia in corsa, quest’anno sempre. E anche i percorsi. Sono più duri, più veloci, mentre io li preferisco più tecnici, con il fango.

A tu per tu con Zoe Backstedt, talento in crescita

18.10.2023
6 min
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Il primo anno fra le “grandi” si è concluso come meglio non poteva: Zoe Backstedt si è laureata campionessa europea U23 a cronometro e in quella cavalcata trionfale, chiusa con quasi un minuto sulla tedesca Niedermaier, molti hanno rivisto la Backstedt che fino allo scorso anno non lasciava che le briciole alle altre juniores, imponendo distacchi spesso abissali e mostrando una superiorità schiacciante. Forse la britannica aveva abituato troppo bene, perché molti anche fra gli addetti ai lavori, vedendola confusa nel gruppo durante la stagione non avevano mancato di far sentire le loro critiche, tacciandola di essere la classica meteora. Dimenticando la sua giovane età, la mancanza di esperienza, il necessario periodo di ambientamento.

Zoe non si è arresa, non si è disarmata. Nel team le hanno dato spazio e tempo, soprattutto da quando è arrivato suo padre, quel Magnus che un giorno, quando lei era ancora nel grembo di sua madre, trionfò nella Parigi-Roubaix. Ora però quella vittoria ha chiuso la bocca a tanti.

Per la britannica l’oro europeo a cronometro è stato la risposta a tante critiche
Per la britannica l’oro europeo a cronometro è stato la risposta a tante critiche

«La cronometro agli Europei – spiega Zoe – è stata un buon indicatore per la mia stagione ed è bello che sia arrivata poco prima dell’inizio del calendario del ciclocross. Ed è stato bello avere quella gara come qualcosa a cui puntare, per ritrovare la mia forma dopo una piccola pausa a metà stagione. Quindi sì, sono davvero felice di come è andata e felice della mia prestazione a Leuven».

Quanto è stato difficile il cambio di categoria?

Non direi che sia stato un grande cambiamento. L’unica vera differenza erano le distanze, decisamente superiori a quando correvo da junior. Quella è stata un po’ una sfida per me, ho avuto bisogno di abituarmi, ma mi sentivo abbastanza a mio agio, già all’inizio della stagione. Man mano ho sentito che andavo meglio, che i chilometri in più non erano un problema e che ero efficiente anche nel finale.

Al Simac Ladies Tour Zoe ha esordito con la Canyon/Sram, vincendo la classifica per giovani (foto Beth Duryea)
Al Simac Ladies Tour Zoe ha esordito con la Canyon/Sram, vincendo la classifica per giovani (foto Beth Duryea)
Tu sei alla Canyon/Sram da solamente un mese: che cosa ti ha spinto a cambiare a stagione in corso e che cosa hai lasciato all’EF Education Tibco?

EF Education-Tibco SVB si sarebbe fermata alla fine del 2023, quindi ho cercato per tempo un nuovo team. Dato che il 31 dicembre è proprio nel bel mezzo della stagione CX e vicino ai mondiali, abbiamo tutti concordato di fissare la nuova data contrattuale dal 1° settembre. Non è stato un gran cambiamento, piuttosto una scelta anticipata per fare in modo di non avere ulteriore pressione in un periodo importante come quello dell’attività invernale.

Da junior eri un’assoluta dominatrice in ogni disciplina, anche con una superiorità schiacciante e distacchi enormi: questo ha portato ad avere intorno a te una maggiore pressione?

No, non direi che ciò abbia portato a una maggiore pressione o meglio io ho fatto in modo di non sentirla. Andavo alle gare cercando innanzitutto di divertirmi e godermi i viaggi con i miei compagni di squadra e i miei amici. Quando mi diverto ottengo risultati. E un occhio attento se ne accorge osservando il mio stile di guida. E’ sempre stato così, il divertimento è alla base dei miei risultati. Quindi non direi che ci sia mai stata pressione intorno a me per andare a una gara per vincere o qualcosa del genere. Né le squadre me l’hanno fatta percepire.

Per Zoe è importante affrontare le gare in allegria, mitigando la pressione (foto Instagram)
Per Zoe è importante affrontare le gare in allegria, mitigando la pressione (foto Instagram)
Che cosa significa avere per direttore sportivo tuo padre? Rende i vostri rapporti più facili o più difficili?

Quando sono alle gare, non lo vedo davvero come mio padre, lo vedo come il mio capo, come il mio direttore sportivo. E’ il mio capo e ascolto qualunque cosa abbia da dire e cerco di mettere in pratica quel che chiede. Mi tratta come qualsiasi altra ciclista del team, poi a casa è un altro discorso…

Tu sei nata l’anno della sua vittoria alla Parigi-Roubaix: che cosa sai della sua storia ciclistica, hai avuto modo di vedere le sue imprese e quanto pensi sia diverso il suo ciclismo da quello di oggi?

Sono cresciuta seguendo l’ultima parte della sua carriera, quindi ho avuto molte opportunità di andare a vederlo correre. Ovviamente ero piccola quando lo guardavo, ma abbiamo rivisto le corse anni dopo, quando potevo comprendere. E mi racconta tante storie di quando correva e del divertimento che provava quando era in bicicletta. Quindi mi sento come se avessi vissuto la sua carriera attraverso le storie che ha raccontato e questo lo adoro davvero.

La britannica ha subito ripreso nel ciclocross, finendo quinta a Waterloo (USA) in Coppa (foto Instagram)
La britannica ha subito ripreso nel ciclocross, finendo quinta a Waterloo (USA) in Coppa (foto Instagram)
Ora sei tornata a correre nel ciclocross: il fatto di avere una stagione senza soste non ti pesa?

Non la vedrei come una stagione senza sosta, se devo essere onesta. Per me è un privilegio, poi devo dire che uno stacco l’ho fatto e anche oggi sono ancora a mezzo servizio, mi prendo del tempo a parte dalla bicicletta. E’ un anno intero di gare e il team mi ha aiutato a pianificare molto bene quando saranno i miei periodi di riposo e quante gare fare, la mia stagione è ben equilibrata.

Qual è fra tutte (strada, pista, ciclocross) la specialità che ti piace di più?

Probabilmente direi che amo di più il ciclocross, soprattutto quando è davvero, davvero fangoso. Quei giorni in bici sono semplicemente quelli in cui nessuno vuole davvero essere lì, ma poi tutti vogliono sentirsi parte dell’avventura nello stesso momento perché sono giornate davvero speciali. Ma poi di nuovo, amo anche le corse su strada e mi metto anche su una bici da cronometro, e adoro quei giorni. Quindi dico ciclocross. Ma se mai dovessi scegliere, non credo che potrei…

La Backstedt ha corso per due anni con l’EF Education Tibco, cambiando prima della sua dismissione
La Backstedt ha corso per due anni con l’EF Education Tibco, cambiando prima della sua dismissione
Secondo te c’è maggiore concorrenza su strada o nel ciclocross?

Sono due cose completamente diverse. E’ lo stesso sport, ma sono molto, molto diversi a modo loro. Quindi non direi che ci sia più concorrenza in uno che nell’altro. In una corsa su strada non si lotta per la vittoria all’inizio, mentre in una gara di ciclocross se sbagli tutto nei primi 5 minuti, la corsa è andata. Quindi sono due cose completamente diverse e non credo proprio di poterle paragonare. 

C’è una gara specifica che sogni di vincere nella tua carriera?

A ben guardare no. Potrei dire che mi piacerebbe vincere i mondiali come un’Olimpiade, la Roubaix come il Fiandre. La maggior parte delle gare in calendario mi piacerebbe vincerle un giorno, ma prima dobbiamo vedere cosa accadrà alla mia carriera.

Canyon Inflite CFR: la campionessa del mondo si rifà il look

07.10.2023
4 min
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La bicicletta detentrice del titolo di campione del mondo di ciclocross, la Canyon Inflite CFR, si rifà il look. Si tratta di un modello iconico per la disciplina, con cinque titoli iridati alle spalle, ma il processo di innovazione non si ferma mai. Così Canyon ha portato degli importanti aggiornamenti: il più importante è il passaggio interno dei cavi. Una scelta che porta a un design estremamente pulito. 

Canyon ha vinto cinque titoli mondiali nel ciclocross, l’ultimo con Van Der Poel a inizio 2023
Canyon ha vinto cinque titoli mondiali nel ciclocross, l’ultimo con Van Der Poel a inizio 2023

Tante migliorie

Il segreto del successo è non fermarsi mai, Canyon non si è accontentata delle vittorie ottenute con la Inflite CFR. La forcella è stata revisionata, così come l’Aerocockpit CP0018, reso regolabile in larghezza e altezza. Queste migliorie aiutano a instradare tutti i cavi, consentendo di trasportare la bicicletta senza problemi per ottenere un chiaro vantaggio competitivo sul percorso da cross. I ciclisti possono quindi allargare o stringere l’aerocockpit a seconda del percorso: più stretto per guadagnare in aerodinamica, più largo per ottenere una maggiore leva. 

Nelle competizioni di massimo livello, dove sono i dettagli a fare la differenza, tutto dev’essere perfetto. Per questo Canyon per le Inflite CFR ha scelto i movimenti centrali Ceramic Speed, per prestazioni resistenti e veloci che durano nel tempo. 

Canyon e Van Der Poel hanno portato il loro dominio anche su strada nel 2023
Canyon e Van Der Poel hanno portato il loro dominio anche su strada nel 2023

Ispirazione mondiale

La collezione 2024 delle Inflite CFR di Canyon ha a disposizione una nuova gamma di colori tra cui scegliere. Tutte scelte ispirate al mondo dei professionisti, tra cui un’esclusiva colorazione Team Alpecin-Deceuninck sull’Inflite CFR Di2 Team. 

La guidabilità della Canyon Inflite CFR è senza eguali, rapida e scattante nello stretto, ma anche capace di grandi velocità quando il percorso lo richiede, come la lunghissima volata con cui Van Der Poel si è aggiudicato il mondiale a Hoogerheide. «La maneggevolezza della Inflite – ha detto il campione del mondo in carica – è estremamente prevedibile. Una cosa che apprezzo molto in una bici da corsa».

Le opzioni per Canyon sono cinque, tra cui la Inflite CFR Team LTD con gruppo monocorona SRAM
Le opzioni per Canyon sono cinque, tra cui la Inflite CFR Team LTD con gruppo monocorona SRAM

Diversi equipaggiamenti

Canyon offre per la Inflite CFR cinque scelte diverse di equipaggiamento: due di alta gamma e altre tre di media gamma

Il primo modello di alta gamma è la Inflite CGR Di2 Team. La scelta è ricaduta sulla trasmissione Shimano Dura Ace Di2 a 12 velocità con doppia corona 36-46 e cassetta 11-34. Le ruote, in carbonio, sono le CRC 1100 Spline della linea top di DT Swiss, con misuratore di potenza Rotor Aldhu 24 Inspider integrato nella pedivella. Prezzo 7.449 euro.

Il secondo modello di alta gamma è la Inflite Team LTD che utilizza un gruppo SRAM Red one-by, quindi monocorona da 40 denti e cassetta 10-36. Misuratore di potenza Quarq integrato nella pedivella e le stesse ruote DT Swiss CRC 1100 del modello sopra. Prezzo 7.449 euro. 

I modelli di riferimento per chi si affaccia per la prima volta a questa disciplina sono tre: CF SLX8 equipaggiato con gruppo SRAM Force, con misuratore di potenza Quarq e la CF SLX 8 Di2, che monta il gruppo Shimano Ultegra Di2, con misuratore di potenza Rotor. Entrambe montano ruote a sezione profonda CRC 1400 Spline di DT Swiss. I prezzi sono rispettivamente 4.999 e 5.499 euro. 

L’ultima proposta di Canyon è la Inflite CF SL 7 eTap da 3.999 euro, dotata di una configurazione SRAM Rival eTap AXS, di un misuratore di potenza Quarq, di un veloce sistema di scanalatura DT Swiss CRC 1600.

Canyon