Christophe Laporte

Laporte, l’anno più duro e un podio che vale una rinascita

16.10.2025
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E’ stato un anno complicato, quasi da dimenticare, per Christophe Laporte. Il corridore della Visma-Lease a Bike ha vissuto la stagione più sfortunata della sua carriera. Il francese, reduce da un 2023 di altissimo livello, nel 2024 ha passato una stagione altalenante e quest’anno addirittura è stato più tempo a curarsi che a correre. Pensate, appena sedici giorni di gara fino a ieri.

Il primo numero di dorsale dell’anno Laporte l’aveva appuntato il 17 agosto alla Classica di Amburgo, e domenica scorsa ha ritrovato il sorriso con un bellissimo secondo posto dietro al nostro Matteo Trentin. Un podio che sa di liberazione, ma anche di ripartenza.

Christophe Laporte al prologo notturno del Tour of Holland, in scena in questi giorni
Christophe Laporte al prologo notturno del Tour of Holland, in scena in questi giorni

Stagione nata male

Tutto è iniziato già in primavera, quando Laporte si è visto costretto a rinunciare alle Classiche che lo avevano consacrato tra i migliori interpreti del Nord. A fermarlo è stato un virus che ha messo a dura prova il suo fisico e la sua serenità. Il francese ha dovuto dare forfait per tutte le Monumento e non solo, a partire dalla E3 Saxo Classic e dalla Gand-Wevelgem, due corse che nel 2023 lo avevano visto protagonista.

Laporte ha spiegato quanto sia stato pesante affrontare quei mesi di inattività: «E’ stato il periodo più difficile della mia carriera. Non riuscivo a capire cosa avessi, il corpo non rispondeva. Ogni volta che provavo ad aumentare il carico, tornavano stanchezza e dolori. Non avevo energia, né fiducia». In pratica Laporte ha contratto nell’ordine: prima il citomegalovirus, che lo ha fermato a lungo. E quando stava per riprendersi ecco la varicella. Questo lo ha tenuto lontano anche dal Tour de France.

La Visma-Lease a Bike a quel punto ha preferito non rischiare, fermandolo del tutto e consentendogli di recuperare completamente. Una scelta obbligata – non scontata per un atleta di tale portata – ma dolorosa, perché significava dire addio a tutta la prima parte di stagione, proprio nel momento in cui si entrava nel vivo.

Mentre i suoi compagni lottavano con gli eterni rivali della UAE Emirates, lui era a Sierra Nevada a ricostruire almeno il finale di stagione. Il rientro è così slittato ad agosto inoltrato, con un lavoro di riabilitazione graduale e tanta pazienza, nella speranza di ritrovare finalmente le sensazioni giuste.

In tutto ciò, i tecnici della Visma hanno tenuto la bocca serrata limitandosi a dire che, trattandosi di problemi di salute, Christophe non era ancora guarito, prima, e che stava lavorando, poi.

Parigi-Tours 2025, Matteo Trentin vince per la terza volta, battendo Christophe Laporte
Parigi-Tours: Trentin precede uno stanchissimo, ma soddisfatto, Laporte
Parigi-Tours 2025, Matteo Trentin vince per la terza volta, battendo Christophe Laporte
Parigi-Tours: Trentin precede uno stanchissimo, ma soddisfatto, Laporte

La luce dopo il buio

Il ritorno in gruppo è arrivato, come detto, il 17 agosto alla Classica di Amburgo: ben 315 giorni dall’ultima corsa. Poi ecco la gran fatica al Renewi Tour. Ma alla Binche-Chimay-Binche, Laporte ha colto già un incoraggiante terzo posto, segnale che la condizione stava finalmente tornando. La conferma più bella è arrivata a Tours, con quel podio che ha sancito il suo vero ritorno.

Alla Parigi-Tours Laporte ha lottato fino alla fine con Matteo Trentin, arrendendosi solo per pochi metri. Tra l’altro era anche il campione uscente.

«Quando finisci secondo o terzo c’è sempre un po’ di delusione – ha raccontato Laporte – ma stavolta è stato diverso. Stavolta posso guardare alla mia gara con soddisfazione. Nel finale ero isolato, ma ho saputo rispondere bene agli attacchi. Alla fine ho deciso di muovermi io, e siamo riusciti a chiudere il gap. In volata ho sentito arrivare i crampi e non potevo spingere più forte per questo ho dovuto fare lo sprint da seduto. Ho dato tutto, ma Matteo è stato semplicemente più forte. Sono contento della mia forma in questo autunno».

Christophe Laporte
L’ex campione europeo era partito bene. In ritiro andava benone e veniva da un gran finale di stagione (foto Visma-Lease a Bike)
Christophe Laporte
L’ex campione europeo era partito bene. In ritiro andava benone e veniva da un gran finale di stagione (foto Visma-Lease a Bike)

Testa già al 2026

Laporte non si nasconde: l’obiettivo è tornare il prima possibile al livello che aveva raggiunto tra il 2022 e il 2023. Per farlo, la parola d’ordine è una sola: correre. In questi giorni il francese ha ripreso il ritmo delle competizioni e sta disputando il Tour of Holland con l’intenzione di accumulare chilometri e sensazioni positive. Non punta ai risultati, ma alla continuità: ogni gara deve essere un passo verso il 2026.

La Visma-Lease a Bike ha bisogno dei suoi uomini più forti per ricostruire la leadership e affrontare con nuove ambizioni la prossima stagione. Laporte e Van Aert restano i pilastri della squadra nelle Classiche, e i tecnici contano su di loro per riportare il team ai vertici dopo un 2025, sì buono, ma non dei soliti standard a cui ci avevano abituato.

Il francese guarda avanti con serenità: «Adesso voglio solo stare bene, fare il mio lavoro e accumulare corse. Ogni giorno in sella mi avvicina al livello che conosco. Dopo tutto quello che ho passato, poter di nuovo lottare per un podio è già una vittoria. Adesso, anche in vista del prossimo anno, l’importante è correre e trovare costanza».

Dal Tour a Parigi senza la radio: il nervosismo di Remco

10.08.2024
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Ultime battute della corsa in linea maschile alle Olimpiadi di Parigi 2024. Sulla salita di Montmartre Remco Evenepoel ha piazzato la sua stoccata decisiva. E’ in fuga solitaria, il vantaggio è subito lievitato nei confronti di Madouas. Ma lui non lo sa: la moto con la lavagna è dietro, le radio non si possono usare. Il belga parla concitatamente con la moto del cameraman televisivo indicando nervosamente il polso: «Quanto ho di vantaggio?» chiede senza risposta. Prima c’era stata la foratura. La grande paura. Che non avrebbe provato, sapendo il baratro che aveva scavato…

Evenepoel chiede notizie alla moto, indicando il polso. Ma Madouas era lontano (immagine tv)
Evenepoel chiede notizie alla moto, indicando il polso. Ma Madouas era lontano (immagine tv)

Radio, sì o no?

La gara olimpica ha riproposto la vecchia questione del correre con o senza le radio di collegamento con l’ammiraglia. Diciamoci la verità: la polemica legata a questo aspetto, venata di nostalgia per il bel tempo che fu, risulta un po’ stantia. E’ vero però che una gara vissuta senza questo ausilio tecnologico è molto diversa da quelle a cui siamo abituati.

Davide Bramati, che di Remco è il diesse e condivide con lui gran parte della stagione, ha vissuto con grande interesse, anche se da spettatore, la gara a cinque cerchi e anche lui è rimasto colpito da questo aspetto passato da molte parti in second’ordine.

Lo stop di Remco per la foratura, attimi concitati non conoscendo il vantaggio (immagine tv)
Lo stop di Remco per la foratura, attimi concitati non conoscendo il vantaggio (immagine tv)

«Si vedeva – dice – che i corridori erano un po’ spaesati. Noi siamo abituati a correre in una certa maniera, quando poi ti trovi nelle gare titolate con una situazione diversa, è tutto più difficile. Sicuramente, avesse saputo il vantaggio, Remco avrebbe vissuto la foratura con meno stress, ma bisogna comprenderlo, rischiava di vedere vanificato il sogno di una vita».

Quel che è avvenuto ha riaperto il dibattito e tu che hai esperienza anche del “ciclismo precedente”, che cosa ne pensi?

Ogni corridore disputa 70-80 corse l’anno, quasi nella totalità con le radio, trovo un controsenso che poi ci siano questi eventi che si effettuino senza. O sempre, o mai. Il ciclismo è uno, le regole devono essere sempre le stesse. Non averle cambia molto soprattutto a livello tattico. Un aspetto che pochi hanno considerato: a Parigi le squadre che avevano il contingente di 3 o 4 corridori, avevano bisogno di riferimenti, uno dei corridori si rivolgeva all’ammiraglia chiamata davanti. Moltiplicate ciò per più squadre e più casi. Io dico che a livello di sicurezza è stato un pericolo non di poco conto…

Bramati con Evenepoel in una foto di inizio 2023, con la maglia iridata di Wollongong 2022
Bramati con Evenepoel in una foto di inizio 2023, con la maglia iridata di Wollongong 2022
Molti rimpiangono il passato…

E’ pleonastico, è come dire che si stava meglio quando non c’erano i telefonini. Ma ci sono, fanno parte della nostra vita di adesso. E’ chiaro che tutto cambia, fa parte del gioco. Le radio hanno una grande utilità in termini di sicurezza, hai subito la percezione di quel che avviene con una caduta, una foratura. La loro funzione primaria è questa. Mettiamola così: un diesse senza radio è come avere un allenatore di calcio a bordo campo che non può dare alcuna indicazione ai suoi. Ha senso?

Tu però conosci e hai vissuto il “prima”…

Se parliamo dal punto di vista tattico, non è che poi abbiano avuto questa grande innovazione. Semplicemente studiavi il percorso con grande attenzione e davi prima le indicazioni, poi si comunicava in corsa tramite i compagni che venivano all’ammiraglia o ai rifornimenti. E’ indubbiamente meglio adesso, c’è meno confusione in corsa e i corridori sono messi in condizione di dare il 100 per cento. Ma io porrei l’accento sull’aspetto sicurezza, anche perché rispetto a prima le strade sono cambiate. Pensate solo che nel Bergamasco quando correvo io le rotonde si contavano sulle dita di una mano, ora ce ne saranno 300… E poi dossi, spartitraffico… I corridori vanno messi in condizione di pedalare in sicurezza. All’ultimo Tour è vero che c’è stata la caduta costata la corsa a Roglic, ma il numero di incidenti si è molto ridotto rispetto al passato.

La volata valsa il bronzo a Laporte. Ma il francese non conosceva la situazione di classifica
La volata valsa il bronzo a Laporte. Ma il francese non conosceva la situazione di classifica
C’è anche un’altra differenza rispetto al passato: oggi le tv trasmettono le corse nella loro integralità e chi è in ammiraglia ha un occhio in più a disposizione…

E’ vero fino a un certo punto. Sicuramente in passato, quando si era fortunati si aveva la diretta dell’ultima ora/ora e mezza, oggi le corse vengono proposte nella loro integralità. Ma se per chi è a casa è un vantaggio, per noi in ammiraglia cambia poco anche perché pochi si accorgono che non c’è una percezione immediata, ogni accadimento lo cogli sempre con un po’ di secondi di ritardo. Avere la voce diretta dal gruppo, per ogni singolo evento, è per noi responsabili del team molto importante. Anche il web aiuta sì, ma non dà l’istantaneità di quanto avviene e a noi serve sapere tutto subito, per il bene dei ragazzi.

Doppio oro, Parigi ai suoi piedi: mai visto Remco così felice

03.08.2024
6 min
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PARIGI (Francia) – Sono i Giochi di Remco Evenepoel. Una settimana fa vinceva la cronometro, ora vince la prova in linea. E’ il primo, tra gli uomini, a vincere l’oro sia nella prova in linea sia a cronometro nella stessa edizione dei Giochi. Era capitato solo a Leontien van Moorsel nel 2000. Raggiunge Paolo Bettini, Hennie Kuiper ed Ercole Baldini nel ristretto gruppo di ciclisti capaci di vincere sia l’oro mondiale sia quello olimpico.

Sono i Giochi e così Remco gioca. «Qualcuno ha qualcosa da mangiare?», chiede appena si siede in una sala stampa che è un cinema. E cinema sia. Dalla platea gli arrivano due merendine che lui coglie al volo (non al primo colpo) e addenta famelico. Lo sforzo è stato grande, la gara è stata lunga e dura. «Ma non me ne lamento», preciserà alla fine. E ci mancherebbe.

Vittoria arrivata con lo scatto decisivo sull’ultima salita. Era questo il piano?

Sapevamo che quelle salite, nel circuito finale, potevano essere il punto in cui si sarebbe decisa la corsa. La pendenza mi ha ricordato quella di Wollongong (dove Evenepoel è diventato campione del mondo nel 2022, ndr). Leggermente meno ripida, ma più lunga. Ho subito visto che avevo un distacco serio e non c’è stata una reazione immediata nel gruppo dietro di me. Per fortuna, Wout e Jasper (Van Aert e Styuven, ndr) non c’erano, quindi si è creata immediatamente una situazione ideale. Sono partito nel momento tipico per me: quando la gara si fa dura. In quel momento la media si era alzata, ho pensato che potesse essere l’occasione giusta. Valentin (Madouas, ndr) ed io avevamo trenta o quaranta secondi di vantaggio, lui mi sembrava stare molto bene. Se lo avessi staccato lì, avrei vinto. Ed è andata così. Sì, il piano più o meno era questo.

C’è stato anche il brivido. Una foratura a 3,8 chilometri dall’arrivo che ti ha costretto a cambiare la bici.

Ho preso un ciottolo di pavè e ho subito messo piede a terra. Per fortuna la macchina era dietro di me, dato che avevo un minuto di vantaggio. In quel momento sono diventato un po’ nervoso. Soprattutto perché pensavo che il vantaggio potesse diminuire molto. La situazione non mi era molto chiara. Poi mi hanno detto che avevo un minuto. E mi hanno anche confermato che non era successo niente e che dovevo semplicemente godermi il momento. Ma non potevo esserne abbastanza sicuro.

E’ un anno incredibile per te.

Si, molto speciale. Questa vittoria è il punto più alto, ha un sapore particolare. Sono molto felice di aver vinto l’oro olimpico per la mia Nazione, per i tanti tifosi che c’erano oggi sulle strade. Un ambiente veramente incredibile. E’ stato bello farlo davanti alla mia famiglia e con le persone che mi vogliono bene. Loro sanno quanto era importante per me questa stagione. Penso di aver raggiunto i miei obiettivi sia al Tour sia con queste due vittorie olimpiche. E’ stato qualcosa di straordinario: credo che questo sia stato il mese più bello della mia carriera (sorride, ndr).

Prima di salire sul podio eri commosso. 

Era troppo per me. Soprattutto quando mi è stata data l’altra medaglia d’oro da appendere al collo da mia moglie Oumi. Se l’è portata con sé tutto il giorno e così abbiamo potuto fare questa foto con entrambi gli ori. E’ stata una sua idea. Bellissimo, mi sono sentito come Michael Phelps!

La gioia sul gradino più alto del podio: caro Remco, è tutto vero
La gioia sul gradino più alto del podio: caro Remco, è tutto vero
Il piano gara qual era?

La gara doveva essere resa dura. Ecco perché ho chiesto a Tiesj Benoot di accelerare. Forse all’inizio il suo forcing è parso eccessivo, ma ripensandoci oggi non ho nulla di cui lamentarmi.

E l’attacco di Van der Poel?

Non l’ho visto. Stavo ancora lottando con il freno anteriore e avevo bisogno di un po’ d’acqua in più. Non ero molto agitato. Poi ho visto che non era molto lontano, ho controllato Pedersen e ne ho approfittato andando al massimo. E’ lì che ho messo in tavola la mia prima carta vincente.

Van der Poel non è parso all’altezza della sua fama. Qui con Van Aert, davanti alla gente di Montmartre
Van der Poel non è parso all’altezza della sua fama. Qui con Van Aert, davanti alla gente di Montmartre
Si tornano a fare paragoni con Eddy Merckx.

Sono stato molto contento che sia venuto a salutarmi e ad abbracciarmi. Ma non voglio fare paragoni, sono epoche differenti, mondi differenti. Lui è stato il numero uno, non solo per il ciclismo. E’ tra i più grandi nello sport. Ha vinto tantissimo, io penso alla mia carriera.

Com’è stata la settimana dopo la cronometro?

Molto rilassata. Domenica non ho pedalato, lunedì e martedì pochi chilometri, mercoledì un giro più lungo, poi solo cose tranquille, per essere sicuro di essere al meglio in questa occasione.

Sull’arrivo ti sei fermato e hai allargato le braccia…

Volevo godermi il momento. E così mi è venuto da fare questo gesto, proprio sotto la torre Eiffel. Non sono certo il primo ad aver fatto cose del genere, spero vi sia piaciuto. Volevo godermi al massimo questo momento. Me lo sono meritato e sono contento di festeggiarlo con il mio team, la mia famiglia, con chi mi vuole bene. E ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato, oltre che la mia squadra. Ognuno ha fatto la sua parte, siamo stati tutti molto bravi.

Cosa ti senti di dire ai giovani che vogliono iniziare a fare ciclismo?

Sognate. Se sognate, potete raggiungere i vostri sogni. Fate le cose giuste, circondatevi delle persone giuste. E’ molto importante avere intorno chi pensa solo al tuo bene.

E il futuro? 

Vedremo (ride, ndr). Probabilmente stanotte non dormirò. Per il momento mi godo “solo’ il mio terzo posto al Tour e queste due medaglie d’oro (ride ancora, ndr). La mia stagione è stata comunque un successo.

Voeckler (come Bennati) conta i nomi per Parigi

30.04.2024
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Mancano poche ore al Giro, ma in questa primavera che annuncia l’estate e ne porta il calore, occorre tenere lo sguardo anche sullo scenario olimpico. Nei giorni scorsi abbiamo lasciato intravedere quel che potrebbe accadere nella squadra italiana a Parigi, con Viviani iscritto come stradista per consegnare un uomo in più a Villa. In questo modo Bennati, che ha da scegliere appena tre uomini, dovrà ridurre la selezione a due nomi. La causa olimpica viene prima, ma per l’Italia e la sua storia tutto ciò suona alquanto insolito.

Lenny Martinez è stato finora uno dei francesi più vittoriosi (4 successi), ma a Parigi non ci sarà
Lenny Martinez è stato finora uno dei francesi più vittoriosi (4 successi), ma a Parigi non ci sarà

Quattro nomi di Francia

In Francia le cose vanno diversamente, con i transalpini che hanno vissuto la stagione delle stranezze nel 2021 a Tokyo. Tre anni fa, Alaphilippe si rifiutò di andare alle Olimpiadi per l’imminente nascita di suo figlio Nino. Mentre Cavagna, convocato principalmente per la crono, neppure finse di essere interessato alla strada e si ritirò dopo appena pochi chilometri. Insomma, Thomas Voeckler dovrebbe essere tranquillo, invece fa fatica a individuare i quattro nomi (uno più di noi) con cui i francesi correranno a Parigi.

«La primavera – spiega il cittì transalpino (in apertura foto Instagram con Sagan) – non mi ha rassicurato. Abbiamo fatto delle ottime prestazioni, ma vista l’altimetria della corsa olimpica, non basteranno per vincere una medaglia. Lenny Martinez, che ha vinto tanto e bene, non ci sarà perché il percorso non è fatto per le sue qualità. Non saremo i migliori in partenza, perché per tutti i più grandi del gruppo i Giochi sono diventati una priorità. Van Aert era pronto a rinunciare al Tour per vincere l’oro: una cosa impossibile due o tre Olimpiadi fa. Correremo in quattro, ma non saremo nella lista dei favoriti».

Laporte è campione europeo in carica, ma finora non è parso in grande spolvero
Laporte è campione europeo in carica, ma finora non è parso in grande spolvero

Corridori spenti

Non sono poi molti i nomi dei grandi corridori francesi, quantomeno quelli in grado di giocarsi una corsa come quella olimpica. E le due carte migliori – Laporte e Valentin Madouas ai Giochi – escono da un periodo non proprio fortunato.

«Dobbiamo capire che questa corsa olimpica – ha aggiunto Voeckler a L’Equipe – sarà unica. Non sarà una classica, una tappa del Tour, un sesto Monumento o un’altra Coppa del mondo. Sarà speciale. Avremo quattro corridori in un gruppo di 90 per oltre 270 chilometri. Nulla sarà impossibile, ma è scontato che non vincerà uno scalatore. Sento molte critiche sulle dimensioni ridotte del gruppo, ma la cosa mi diverte. Questi sono i Giochi, non vuole essere una gara normale. Ho la mia idea di come affronteremo questa gara olimpica. Montmartre sarà un divertimento, ma arriverà dopo oltre 200 chilometri di corsa, come il Poggio alla Milano-San Remo, ma senza una squadra a proteggerti. Sono già stato a vedere il circuito diverse volte e lo farò ancora, perché è difficilissimo capire la difficoltà di questo circuito finale».

Madouas è stato terzo al Fiandre del 2022: se in forma può essere una carta importante per Voeckler
Madouas è stato terzo al Fiandre del 2022: se in forma può essere una carta importante per Voeckler

Corsa imprevedibile

L’ultima medaglia olimpica italiana su strada resta quella di Bettini ad Atene 2004. Paolo vinse dodici anni dopo Fabio Casartelli a Barcellona, quando curiosamente si corse ugualmente in tre. L’ultima volta che la Francia conquistò medaglie, furono quella d’oro a squadre e quella d’argento di Geyre, a Melbourne 1956 quando l’oro in linea andò a Baldini.

Parigi con il nuovo volto imposto dal CIO al ciclismo sarà una parentesi anomala nello scenario internazionale. Questo farà sì che la corsa possa risolversi al primo attacco deciso o aspettare l’ingresso nel circuito di Montmartre. Nessuno potrà controllarla, per questo i tecnici si prenderanno tutto il tempo possibile. Si tratterà di pescare i più vincenti, metterli insieme e sperare che si riconoscano l’uno con l’altro.

Voeckler tecnico? La stessa fame di quando correva

04.10.2023
5 min
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Alzi la mano chi avrebbe mai immaginato che il Voeckler casinista e sempre in fuga sarebbe diventato un giorno uno dei tecnici più vincenti del mondo. I suoi scatti. Le smorfie quasi fastidiose. Le polemiche. Oggi il tecnico dei francesi che ha da poco vinto a Drenthe il campionato europeo con Laporte e con la staffetta mista, sfoggia un aplomb quasi britannico. Viene meno solo nei momenti ad alta intensità e quando commenta le corse dalla moto della televisione. In quel caso però non viene mai presentato come commissario tecnico, ma come ex atleta e opinionista.

«Mi sarebbe piaciuto – ammette Voeckler, 44 anni, professionista dal 2001 al 2017 – essere forte come i ragazzi di oggi. Il livello dei francesi non è lo stesso dei miei tempi. Adesso vanno in corsa atleti ai massimi livelli mondiali, quindi per me è meno complicato immaginare delle strategie. Invece quando andavo ai mondiali da corridore, l’unico modo perché potessero vederci era andare in fuga. Non eravamo alla stessa altezza, non so dire il perché. So che quando ho accettato di fare il tecnico della Federazione francese di ciclismo, mi sono messo in testa di dimostrare che non siamo secondi a nessuno».

Alaphippe, uno-due

La storia inizia nel 2020, proprio agli europei. La corsa va a Nizzolo, fresco campione italiano, ma alle sue spalle si piazza Picard, a sua volta campione di Francia. A Imola, poche settimane dopo, Alaphilippe vince il mondiale. A volte si tende ad attribuire tutto il merito al campione, ma la Francia spaccata degli anni precedenti di colpo sembra una corazzata.

L’anno dopo l’europeo si corre a Trento, con Colbrelli che resiste a Evenepoel in salita e poi lo batte in volata. Terzo arriva un francese, Benoit Cosnefroy. Poche settimane dopo, ai mondiali di Leuven, fa festa ancora Alaphilippe.

«Francamente Julian non aveva bisogno di me – sorride – innanzitutto perché non ero io a pedalare. Il mio ruolo è stato quello di formare un gruppo unito attorno a lui, come pure per Cosnefroy agli europei di Trento, quando tutta la squadra ha lavorato per lui senza fare domande. Certo avere un rapporto di fiducia con il leader mi ha facilitato. E’ successo a volte che Julian non capisse una mia scelta, ma io sono rimasto fermo e me ne sono preso la responsabilità. A parte questo, Julian non è mai esigente, a volte la sua mitezza è quasi imbarazzante visto il suo status di campione».

Alaphilippe Imola 2020
L’attacco decisivo di Julian Alaphilippe a Imola 2020: primo mondiale francese dal 1997
Alaphilippe Imola 2020
L’attacco decisivo di Julian Alaphilippe a Imola 2020: primo mondiale francese dal 1997

Due argenti che bruciano

Si prosegue a Monaco 2022, con un europeo piatto per velocisti. Sembra disegnato per Fabio Jakobsen, che infatti vince. Tuttavia alle sue spalle si piazza Arnaud Demare, che coglie l’argento. Quando a settembre si vola in Australia, il piano di Voeckler sarebbe anche garibaldino, ma l’attacco di Evenepoel fa saltare ogni punto di riferimento. Per fortuna del cittì, ci pensa Laporte che coglie il secondo posto.

«Quel giorno Evenepoel era ingiocabile – ricorda con una metafora tennistica – e io ci ho messo un po’ a capire che non sono io a pedalare. Non riesco a scaricare lo stress, per questo il mattino prima del mondiale andai a correre per 8 chilometri, perché ero sveglio molto presto. I ragazzi sono con me, si fidano. Sicuramente mi vedono ancora come un corridore e il fatto di essere presente a molte gare anche per la televisione aiuta nelle relazioni. Sono giovane per essere pensionato, parliamo come fra corridori, tutti insieme nella stanza. Anche se ci sono momenti solenni, non sono al di sopra di loro e loro ovviamente lo sentono».

Il guizzo di Laporte

A Glasgow non è andata un granché, eppure Voeckler è tornato a casa con l’argento del Mixed Team Relay alle spalle della Svizzera e l’ha trasformato in oro agli europei di Drenthe. In più nella sfida olandese è arrivato l’oro inaspettato nella prova su strada, grazie a Laporte che non si è piegato alla rimonta di Van Aert.

«Costruire la squadra giusta – spiega Voeckler – è come un puzzle, un processo lungo. Più si avvicina la data, più cerco di convincermi che la prima idea sia quella giusta. Non bisogna cedere alla tentazione di cambiare tutto all’ultimo momento, meglio pensarci prima, in base al percorso e ai programmi dei corridori. Alcuni sanno da tempo che conterò su di loro, altri invece vengono informati molto più avanti, in modo che si avvicinino serenamente. Ho la stessa malizia di quando correvo, tentare di essere più furbi dei rivali fa parte del gioco. E poi, tirate le somme, si studia la tattica. Non chiederò ai miei corridori di correre allo stesso modo se Van Aert e Pogacar ci sono oppure no. Il percorso è una cosa, lo scenario di gara è un’altra…».

Laporte campione, ma perché Van Aert ancora secondo?

24.09.2023
5 min
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Difficile dire se in questa serata che saluta l’autunno ci sia da stupirsi più per la vittoria di Laporte all’europeo, per l’ennesima sconfitta di Van Aert o per il podio completamente occupato da corridori della Jumbo-Visma. Allo stesso modo in cui ieri le atlete della olandese SD Worx hanno dominato la prova in linea delle donne, quest’oggi un altro team dei Paesi Bassi ha schiacciato la concorrenza. E trattandosi di un campionato europeo corso per loro sulle strade di casa, c’è da capire che si possa parlare a buon titolo di dominio olandese. Anche se oggi il vincitore è francese, ma ha cambiato decisamente passo da quando è approdato nella squadra giallonera.

Christophe Laporte ha attaccato quando l’ultima caduta del giorno, quella causata dal tedesco Heiduk, ha tagliato fuori dalla lotta metà gruppo di testa, compresi Trentin e Ganna. Il francese ha avuto la scelta di tempo e il coraggio per tirare dritto, con lo stesso piglio che ieri ha consegnato la gara delle donne alla olandese Bredewold. Senza mai voltarsi, Laporte sembrava avere il destino segnato quando ai 200 metri De Lie gli ha portato sotto il gigantesco Van Aert. Sembrava un finale già scritto.

Christophe Laporte è nato nel 1992, è alto 1,91 e pesa 76 chili. E’ pro’ dal 2014. Eccolo all’arrivo di Col du Vam
Christophe Laporte è nato nel 1992, è alto 1,91 e pesa 76 chili. E’ pro’ dal 2014. Eccolo all’arrivo di Col du Vam

Rimonta strozzata

Van Aert infatti è scattato con l’olandese Kooij a ruota. Ha guadagnato metro su metro nel ripido arrivo di Col du Vam. Ha affiancato Laporte. E quando non mancava che la pedalata decisiva, il belga si è seduto. L’altro se ne è accorto e ha rilanciato proprio nel momento in cui anche Van Aert ha trovato la forza per rialzarsi. Risultato: primo Laporte, secondo Van Aert, terzo Kooij. Come già alla Vuelta, podio tutto Jumbo-Visma, ma con attori diversi. Mentre al quarto posto Arnaud De Lie si è messo in un angolo a chiedersi se non avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi.

«Questa maglia è molto bella – dice il francese – dovrò abituarmi. Sono molto orgoglioso. La squadra ha fatto un ottimo lavoro mettendomi in buone condizioni. Mi sentivo bene, ho provato e ha funzionato. Ne è valsa la pena. Ho sempre sognato di cantare la Marsigliese sul podio con i miei amici. La dedico alla squadra francese e a Nathan Van Hooydonck, che sarà contento per me. Non sono mai stato neppure campione francese, sono davvero molto felice. E sono felice di condividere questo podio con Wout e Olav».

Peso psicologico

Van Aert però probabilmente non è altrettanto allegro. Lo abbiamo visto sorridere in alcune inquadrature prima del podio, poi tornava a guardare il vuoto. Avevamo sentito ieri le sue parole sul fatto di lottare sempre e dei suoi dubbi dopo tanti piazzamenti, ma è davvero credibile che un campione così forte si faccia scivolare addosso certi colpi? Già un’altra volta quest’anno era finito dietro a Laporte: nella Gand-Wevelgem che in modo insolito (e a questo punto poco opportuno) aveva deciso di lasciargli vincere.

«Avevo concordato con De Lie – spiega nella zona mista – che avremmo giocato la mia carta. Penso che anche lui abbia capito che dei due oggi ero il più forte. E’ stata una buona decisione, ma Arnaud (De Lie, ndr) ha inseguito così forte per chiudere su Laporte, che non sono più riuscito a saltarlo. Abbiamo sottovalutato quanto gli fosse rimasto. Forse l’errore è stato che davanti non ci fosse uno di noi due al posto di Laporte, questo sì. 

«Durante le corse non penso che potrei fare secondo – aggiunge e riflette – ma è una constatazione che adesso non posso negare e ovviamente questo in qualche modo agisce nella mia testa. Cerco di vincere ogni gara, oggi ho corso per questo ed è il motivo per cui ho sentimenti contrastanti. Da un lato è bello essere sempre davanti, quest’anno semplicemente non riesco a vincere. Resto fiducioso che in futuro le cose andranno diversamente (il prossimo impegno titolato di Van Aert potrebbe essere il mondiale gravel di inizio ottobre, ndr)».

De Lie è arrivato fortissimo all’europeo. Ha lavorato per Van Aert, ma forse avrebbe potuto fare lui il finale
De Lie è arrivato fortissimo all’europeo. Ha lavorato per Van Aert, ma forse avrebbe potuto fare lui il finale

La saggezza di De Lie

Cosa dice De Lie? Il ragazzone di Libramont, che sogna di comprarsi una fattoria ed è arrivato agli europei con la vittoria di Quebec City, si guarda bene dal fare polemiche. Sa stare al suo posto e conferma le scelte del finale.

«Possiamo dire che sia venuta una corsa davvero dura – spiega – ho parlato con Wout a cinque chilometri dal traguardo. Gli ho detto: “E’ buona per te”. Era l’occasione giusta per regalargli un bel titolo, ma sfortunatamente è arrivato secondo dietro ad un fortissimo Laporte. Non l’ho visto partire, ero troppo indietro, forse altrimenti lo avrei seguito. Guardando indietro, forse avrei anche avuto le gambe per vincere, ma non ne sono certo. Semmai potremmo aver iniziato lo sprint un po’ troppo presto, ma la sensazione era che altrimenti Laporte non lo avremmo più visto. E così è stato».

L’evoluzione di Laporte, l’occhio dell’ex diesse Damiani

02.04.2023
4 min
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Christophe Laporte. E’ lui uno dei personaggi del momento. Il corridore della Jumbo-Visma sta crescendo sempre di più. Ormai è a pieno titolo un big. La consacrazione è avvenuta nel team olandese, ma la base ha radici francesi. La base è firmata Cofidis.

Roberto Damiani Laporte lo ha diretto in passato. E conosce molto bene sia l’atleta che l’uomo. Con il suo aiuto dunque, conosciamo meglio il corridore che è ormai ben più della semplice ombra di Wout Van Aert.

Roberto Damiani (classe 1959) ha diretto Laporte per quattro stagioni (foto Instagram)
Roberto Damiani (classe 1959) ha diretto Laporte per quattro stagioni (foto Instagram)
Roberto, Laporte…

Non mi sorprende affatto – ci precede Damiani – di quel che sta facendo. Ho lavorato con lui quattro anni ed era già in Cofidis da quattro. Certamente le sue prestazioni attuali sono frutto dell’ultimo lavoro fatto, della sua maturità ma tutto questo viene dal lavoro fatto prima in Cofidis.

E che lavoro è stato?

Un lavoro graduale. Quando lui è arrivato in Cofidis veniva dalla mountain bike, fu una scoperta del settore giovanile della nostra squadra. Iniziò come apripista di Bouhanni. Poi nel 2019 gli fu data carta bianca per le volate e vinse nove corse. Okay, si può dire che non erano corse di altissimo livello, e cavolate simili, perché vincere non è mai facile, ma furono pur sempre nove corse. Non una o due.

Quindi non ti stupisce…

Che Laporte vinca delle corse lo trovo normale, che vinca delle corse importanti fa piacere. Ha l’età giusta, la maturazione fisica e mentale. Poi sono più contento se vince un Cofidis! Ma in alternativa fa piacere che vinca lui, che oltre ad essere un bravo atleta è anche una brava persona.

Laporte da apripista a “carnefice” di Bouhanni, fu poi un jolly per Viviani
Christophe Laporte vince la prima tappa all’Etoile de Besseges 2021 davanti a Nacer Bouhanni
Dopo la Gand-Wevelegem un giornalista ha chiesto a Laporte se non avesse perso del tempo in Cofidis. Lui ha risposto di no e che è stata un’esperienza molto importante. Cosa ne pensi?

Ho sentito qualcosa di simile anche da parte di alcuni tecnici. Che dire: è facile prendere un corridore dalla Cofidis e poi mandarlo forte. E’ vero. Ed è vero perché con noi creano un’ottima base. Lavorano bene. Noi rispettiamo, forse a volte anche più del dovuto, i nostri corridori, il loro processo di crescita, abbiamo modi sin troppo gentili e ci schieriamo dalla parte dell’atleta, ma come si dice in medicina “ante non nuocere” e mai esageriamo con i carichi di lavoro. In Jumbo-Visma hanno approfittato di questo lavoro, della maturazione della persona e ora lo mettono in evidenza. Se un giornalista pensa che Laporte da noi abbia perso tempo, pensate il tempo che ha perso quel giornalista a fare il suo mestiere…

Heijboer, capo della performance della Jumbo-Visma, ci ha detto che non solo si ritrovato un super corridore, cosa che in parte lo aveva sorpreso, ma anche un leader. Anche in Cofidis era un leader oppure il “fiore doveva germogliare”?

Diciamo che spesso lo è stato. Quello che ho notato io è che è stato molto professionale, super corretto. Era stato preso per tirare, anche quando era meno giovane lo ha fatto mettendosi al servizio di Viviani. Christophe capì bene l’investimento che fu Elia per la Cofidis e non battè ciglio. Neanche durante un Tour de France. Lui, francese, eseguì gli ordini di squadra alla lettera. E anche per questo oggi mi fa piacere vederlo vincere.

Ci sta. Parole non banali…

Semmai fu un leader silenzioso. E comunque chi vince nove corse in un anno un leader lo diventa. Solo che nonostante quei successi si mise sempre a disposizione della squadra.

Per Damiani, Laporte (classe 1992) potrà essere protagonista già alla prossima Roubaix, nonostante i presumibili ordini di scuderia
Per Damiani, Laporte (classe 1992) potrà essere protagonista già alla prossima Roubaix, nonostante i presumibili ordini di scuderia
Guardiamo avanti: ha ancora dei margini secondo te?

Beh, adesso è ad un livello alto… molto alto. In queste gare del Nord può fare molto e può essere protagonista. E io credo che potrà essere in primo piano anche alla Parigi-Roubaix, pur stando in quella squadra con Van Aert. Ricordo che arrivò sesto con noi in una Roubaix.

C’è qualcosa che ti ha colpito di questo atleta? Qualcosa che ricordi in modo particolare?

Come ho accennato: la sua correttezza, specie nei confronti di Viviani. E poi un suo cambiamento.

Quale?

Pochi giorni fa ho letto che gli pesa non poco il fatto di stare via da casa. E in effetti ricordo che dopo il Covid forzammo un po’ la mano per portarlo in altura. Faceva fatica a stare fuori anche un solo giorno in più. Adesso invece lo sento parlare di ritiri, di tre settimane di altura… Questa evoluzione fa parte della maturazione di una persona. Quando dico che a volte imporsi alla lunga paga e che siamo buoni! Capisco bene il sacrificio di stare lontano da casa, di lasciare i figli piccoli, ma i sacrifici danno i loro frutti. Christophe lo ha capito. Fare l’altura non è una moda.

«Ai meno dieci, Wout mi ha chiesto se volessi vincere»

29.03.2023
5 min
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«A dieci chilometri dall’arrivo – ha raccontato Laporte nella conferenza stampa di Wevelgem – Wout mi ha chiesto se volessi vincere. Credo che conoscesse la risposta. Quello che avevamo fatto nel 2022 al GP E3 (identico arrivo, ma primo Van Aert, ndr) era stato magnifico. Ne parlavamo qualche giorno prima, dicendo che difficilmente sarebbe successo ancora. Invece alla Gand lo abbiamo fatto nuovamente».

L’arrivo mano nella mano fa pensare ad Harelbeke 2022, ma anche alla Liegi 2002 con Bettini e Garzelli
L’arrivo mano nella mano fa pensare ad Harelbeke 2022, ma anche alla Liegi 2002 con Bettini e Garzelli

Da cacciatori a prede

Il dominio del Team Jumbo-Visma, culminato con l’assolo di Christophe Laporte e Wout Van Aert alla Gand-Wevelgem, ha irretito il gruppo e il pubblico. Le reazioni sono state di vario colore. Dal trionfalismo dei tifosi, alla constatazione degli osservatori che in mancanza di rivali come Van der Poel o Pogacar, Van Aert e soci non hanno avversari. Il divario effettivamente è innegabile e nelle parole dei manager dello squadrone olandese traspare la voglia di fare anche di più.

«Abbiamo ancora bisogno di un grande budget – ha spiegato il team manager Merijn Zeeman a L’Equipe – perché i buoni corridori diventano sempre più costosi. Da questo punto di vista, dovremmo essere strutturalmente tra i primi cinque team del World Tour. Ma non ci siamo ancora…»

«Siamo partiti per diventare come la Ineos durante il periodo estivo – gli ha fatto eco il grande capo Richard Plugge – e la Quick-Step in primavera. Ci stiamo ancora lavorando, siamo passati dal periodo dell’apprendistato al copiare, ma ora dobbiamo arrivare alla fase successiva. Questa è la nostra sfida e dobbiamo fare ancora meglio e trovare il modo di riuscirci. Ma al momento ci troviamo in una posizione che non conosciamo davvero. Non siamo più i cacciatori, ora siamo le prede».

A Wollongong, Laporte ha centrato l’argento dietro Evenepoel: eccoli sul podio con Matthews
A Wollongong, Laporte ha centrato l’argento dietro Evenepoel: eccoli sul podio con Matthews

Spirito di gruppo

Quello che traspare sono la continua ricerca e la cura dei dettagli: tratti comuni a tutti gli squadroni che nel corso degli anni, anche grazie a budget più importanti di altri, sono riusciti a dominare la scena. I soldi però non bastano: se così fosse, altri team riuscirebbero a vincere con più corridori anziché sempre con il solito.

«Ho appena compiuto 30 anni – dice Laporte, spiegando i suo momento – è ora che devo fare il mio palmares. Questo gruppo è fantastico perché fra noi c’è il piacere di veder vincere i compagni. Io sono super felice di vedere Van Aert vincere grandi gare, come lo sono stato per Van Baarle all’Het Nieuwsblad e Benoot a Kuurne. E sono sempre stato felice per loro perché sapevo che prima o poi sarebbe toccato anche a me».

Nato in Cofidis

Siccome non è scritto da nessuna parte che i vincitori abbiano sempre ragione, la scelta di Van Aert di lasciar vincere il compagno, gli è valsa qualche illustre… forchettata, come ad esempio quella di Merckx. Il Cannibale ha infatti precisato che lui non lo avrebbe mai fatto. Per contro, si è levato alto anche il coro di chi invece ha applaudito. Di certo questa voglia di condividere gioia e vittorie deve essere ben radicata nell’animo dei corridori, se è vero che Laporte non è stato in grado di seguire Van Aert sul Kemmelberg, ma è stato atteso.

E così il francese, che nelle dichiarazioni di inizio anno è stato descritto come un leader, negli ultimi mesi ha visto arrivare nella sua bacheca una tappa al Tour, il secondo posto al mondiale e ora la vittoria in una grande classica fiamminga.

«Risultati che mi sono costati sacrifici soprattutto sul piano familiare – ha spiegato con riferimento alla compagna Marion e i due figli – ma che hanno premiato il lavoro che faccio tutti i giorni. Il mio ciclismo è cambiato molto da quando gareggiavo in mountain bike e andavo in bici senza pensare al resto. Sono felicissimo di essere arrivato in questa squadra, ma ho potuto farlo grazie ai miei anni nella Cofidis, che sono stati molto buoni. Non ho rimpianti. E’ stato lì che ho imparato a diventare un professionista e grazie a questa esperienza, ho potuto rivendicare il mio status in Jumbo-Visma».

Le parole di Laporte confermano il grande affiatamento fra compagni di squadra: qui l’abbraccio con Wout Van Aert
Le parole di Laporte confermano il grande affiatamento fra compagni di squadra

Impatto psicologico

E qui il salto di qualità è stato palese. Si potrebbe obiettare che la vittoria ottenuta a questo modo non sia delle più esaltanti: l’arrivo solitario o uno sprint le avrebbero tolto il senso del regalo, anche se nelle parole del vincitore e nella pubblica opinione è stato proprio il regalo a renderla più importante.

«Sono molto contento – ha spiegato Laporte – di essere arrivato in questa squadra. Qui ho scoperto i ritiri di tre settimane in altura, le nuove bici che vanno veloci. I piani nutrizionali precisi alla caloria. La mia mente ha retto bene il passaggio in una delle squadre più forti del mondo. Ho sofferto la lontananza dalla famiglia. Mio figlio è nato il giorno di Natale e non è stato facile stargli lontano durante il ritiro di febbraio sul Teide. Ho superato tutto perché in cuor mio so che sto vivendo uno dei miei sogni di bambino».

Uno-due Jumbo: Laporte e Van Aert si prendono la Gand

26.03.2023
5 min
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Uno-due. Wout Van Aert, Christophe Laporte. E’ bastata una sgasata, apparentemente neanche mostruosa sul Kemmelberg e i due Jumbo-Visma hanno salutato tutti. La Gand-Wevelegem di fatto si è decisa a poco più di 50 chilometri dall’arrivo.

Sembra quasi che il maltempo al Nord aspetti le corse per palesarsi, per renderle più mitiche e tradizionali. La pioggia, il freddo e a tratti anche un po’ di vento non sono mancati nei 261 chilometri in questa “quasi monumento”.

Un solo corridore

Senza Van der Poel, che cova il bis al Fiandre e si nasconde, ecco che tutti i fari sono puntati sul “Wout nazionale”, tanto più che Remco Evenepoel non c’è e se la “spassa” al sole della Spagna. La corsa si accende sin da subito. Tra gli attaccanti della prima ora anche Greg Van Avermaet.

La Gand è una sorta di Amstel Gold Race delle Fiandre e nel suo dedalo di stradine e cambi di direzione è facile restare coinvolti in una caduta, come è successo a Filippo Ganna. Per ora non sembra nulla di grave, se non una forte contusione ad un ginocchio. Ma quel che avevamo scritto giusto questa mattina, riguardo al saltare la Ronde, per non mettere a rischio la Roubaix si è puntualmente verificato.

Il Belgio si stringe dunque intorno a Van Aert e lui non delude i suoi connazionali. Lo aspettano sotto la pioggia. Lo applaudono, lo filmano con gli smartphone mentre le nuvolette escono dalla bocca. E lui spesso la bocca ce l’ha chiusa. 

Su un muro al 17% Van Aert piega ma non spezza Laporte. I due hanno fatto uno crono a coppie
Su un muro al 17% Van Aert piega ma non spezza Laporte. I due hanno fatto uno crono a coppie

Wout il buono

Pedala composto, potente come nei giorni migliori. Lui un filo più agile di Laporte. Su uno dei muri ad un tratto toglie di ruota anche il compagno francese. E se ne accorge. Non molla subito – vuol far vedere chi è il più forte – tuttavia non affonda il colpo e in cima lo aspetta.

E lo aspetta anche perché okay che è Van Aert, ma mancano ancora parecchi chilometri all’arrivo. I due vanno via di comune accordo. Belli. Spianati sulle loro Cervélo. Il distacco continua ad aumentare in modo costante ma regolare. E arriva a toccare 2’15”.

Dietro si muovono un po’ come degli juniores. Tirano a momenti. Scattano. Ineos Grenadiers e Bahrain-Victorius ci provano un po’ di più, ma alla fine è questione di gambe. E i due Jumbo ne hanno di più. Amen.

Il chilometro finale è una lunga – forse anche troppo – parata. I due si parlano. Si abbracciano, si riparlano. Si riabbracciano, si voltano a guardare l’ammiraglia che lampeggia nel grigio pomeriggio belga. Alla fine la ruota che taglia per prima la linea è quella di Laporte. Ma la gioia del Belgio non è strozzata. Wout ha vinto lo stesso.

«Siamo andati “full gas” fino ai -10 dall’arrivo – ha detto Van Aert – quando era chiaro che avremmo vinto. Io ho alzato le braccia al cielo venerdì e ho gli occhi puntati sui prossimi obiettivi (si legga Giro delle Fiandre, ndr). Posso dire che fare la Gand è stata una buona scelta», quest’ultima frase era la risposta a chi lo incalzava sul fatto che VdP era rimasto a riposarsi.

«La vittoria di Christophe è stata una decisione facile. Ne parlavamo giusto qualche giorno fa: pensavamo che un nuovo arrivo in parata non sarebbe mai più accaduto, visti i livelli elevati che ci sono, e invece… Tutto questo è frutto del duro lavoro di squadra».

Laporte ringrazia

Laporte intanto gioisce e anche lui torna ai dieci chilometri dal traguardo: «Lì Wout mi ha chiesto se volevo vincere. Penso che conoscesse già la risposta! È davvero incredibile. Wout è stato più forte di me oggi, quindi devo a lui questa vittoria a lui. Vincere una classica e una tappa al Tour era il mio sogno sin da bambino. Ora l’ho realizzato. Questa vittoria è per mia moglie e i miei due figli. Sono stanco, ho sofferto ma sono anche molto felice».

«La nostra tattica? Volevamo accelerare al secondo passaggio sul Kemmelberg e l’abbiamo fatto – ha detto il francese – anche se mancavano 52 chilometri. Da lì abbiamo dato tutto fino alla fine. Ho fatto di tutto per restare con Wout. Era davvero forte oggi. Sono felice di condividere questo successo con lui».