campionati del mondo pista 2025, Santiago del Cile, Martina Alzini, Chiara Consonni

Il viaggio di Alzini verso l’oro, un anno sulle montagne russe

31.10.2025
6 min
Salva

Il giorno dopo essere tornata dal mondiale di Santiago del Cile, in cui ha conquistato l’oro nel quartetto, Martina Alzini ha preparato un’altra valigia ed è partita per Barcellona. E’ qui che la raggiungiamo, in un momento di pausa in cui parlare della fresca vittoria è un bel modo per farsi qualche risata. C’era anche lei nel 2022 a Parigi, quando per la prima volta nella loro storia le azzurre conquistarono il titolo dell’inseguimento a squadre. Quella volta uscivano dal sesto posto alle Olimpiadi di Tokyo, questa volta dal quarto di Parigi, che in proporzione ha bruciato molto di più. Non è stato per caso infatti che le italiane si siano guardate in faccia e a Santiago del Cile abbiano voluto esserci a tutti i costi. C’era una delusione da lavare con la vittoria e così è stato.

Anche in Cile, sul gradino più alto del podio l’espressione di Alzini è fra il rabbioso e il commosso, mentre le altre hanno facce da cartone animato e tutte a ridere come nel giorno più bello della loro vita. Però questa volta Martina ha uno scatto d’orgoglio e sottolinea ridendo la differenza.

«In parte è vero – ride – ma ci tengo a precisare che nel 2022 ero io quella che piangeva più di tutte, invece a questo giro il primato è della Ventu (Federica Venturelli, ndr). Infatti il video che più è diventato virale è quello in cui le dico: “Ma cosa piangi?” e ridendo la strattono. Ci tengo a precisare che è un video di affetto, uno scherzo. Nel 2022 mi sono ritrovata io nella stessa situazione di incredulità al mio primo mondiale elite. Per cui mi sono rivista tantissimo nella sua commozione ed è bello vedere come ogni ragazza reagisce a certe emozioni…».

Il debutto di Venturelli è stato baciato dalla vittoria: l'emozione è palpabile
Venturelli piange per il primo mondiale conquistato fra le elite e Alzini scherza: «Ma che cosa piangi?!»
Non è un caso che Federica abbia detto che nel quartetto sei quella che l’ha presa sotto la sua ala, la sua mamma sportiva…

E’ vero, secondo me perché le ho raccontato che in squadra (la Cofidis, ndr) ho lo stesso ruolo con Julie Bego, che ha vent’anni come lei. Sono due giovani rivali, ma si ammirano molto e in certi atteggiamenti di Federica rivedo Julie. Mi rendo anche conto che in certe situazioni mi scatta l’istinto della sorella maggiore. Non diciamo della mamma, perché poi mi sento vecchia (ride, ndr). Però sì, ormai per lei sono “mamma Marti”.

E’ facile per una ragazza tanto giovane entrare in un quartetto che si conosce da così tanto tempo?

No, di facile non c’è niente. Non è facile neppure per noi rimanerci. Il livello e la qualità sono altissime e secondo me i risultati e le varie conferme sono frutto di un lavoro scrupoloso. Penso che quest’anno sia stata una delle edizioni del mondiale che abbiamo preparato con più costanza e regolarità: non sono io a dirlo, ma tutte le volte che ci siamo trovati insieme a Montichiari. Federica ha avuto tanti impegni. E’ stata via tanto tra i mondiali in Rwanda e gli europei su strada. Però mi ha stupito che quando ha girato con noi, l’ho vista quasi senza timore, fiduciosa di quello che può fare. La sua strada è ancora molto lunga, ma non sta a me a raccontare il talento che ha. Lo dimostra da sola.

Hai dichiarato che in questo gruppo nessuno è indispensabile, per cui chi corre è davvero al massimo della forma.

E’ una cosa che mi piace tantissimo. Io stessa mi sono ritrovata in questa situazione all’Olimpiade un anno fa. Pensare 4-5 anni fa di vincere un mondiale del quartetto sembrava un sogno, invece con questo gruppo abbiamo dimostrato che dove non arriva una, arriva un’altra e ci si completa. Secondo me il bello di dire che tutte sono utili e nessuna è indispensabile è che siamo tutte utili alla causa. Sappiamo anche noi che dobbiamo tenere sempre i piedi per terra. Per me questo è fondamentale. Ho l’onore di lavorare con delle campionesse olimpiche, con cui tra l’altro siamo amiche anche al di fuori dell’ambiente. L’anno scorso siamo andate in vacanze insieme, però quando si lavora, si lavora. E tutte con i piedi ben piantati a terra: ogni volta che inizia un quartetto, riparti da zero. I titoli restano, ma al primo posto deve esserci sempre l’umiltà.

Partenza della Roubaix, Alzini e Consonni che due mesi prima hanno vinto gli europei di Zolder nel quartetto
Partenza della Roubaix, Alzini e Consonni che due mesi prima hanno vinto gli europei di Zolder nel quartetto
Partenza della Roubaix, Alzini e Consonni che due mesi prima hanno vinto gli europei di Zolder nel quartetto
Partenza della Roubaix, Alzini e Consonni che due mesi prima hanno vinto gli europei di Zolder nel quartetto
Una mentalità che c’è sempre stata?

Ad eccezione di Federica, abbiamo la fortuna di avere più o meno tutte la stessa età. E’ un gruppo di lavoro nato tanto tempo fa e questo per me è una grande forza. Se anche qualcuno si è trovato in difficoltà, il gruppo lo ha trascinato. Per cui mi sento di dire che è un progetto partito tantissimo tempo fa, che sta continuando. Ed è una grande fortuna che ci si voglia bene e che non abbiamo mai avuto particolari problemi tra di noi.

Dopo il quarto posto di Parigi, c’era davvero la voglia di rifarsi?

Penso di parlare a nome di tutte: sul piano del risultato, il quartetto di Parigi è stato una delusione, ciascuno per ragioni diverse. C’è chi si è riscattato subito, come Vittoria e Chiara (Guazzini e Cosonni, ndr), che alla fine hanno concluso l’esperienza olimpica con un oro. C’è chi come Martina (Fidanza, ndr) ha detto di avere passato un periodo negativo e la capisco bene. Per quanto mi riguarda, credo che il 2024 sia stato una stagione no e giuro che ho passato tutto l’inverno cercando di azzerare tutto e tirare fuori la cattiveria agonistica che all’Olimpiade non c’è stata. Volevo reagire a quella brutta esperienza, questo era chiaro. Tutti dicono che questo mondiale è il primo tassello verso Los Angeles. Io penso che sia una via di mezzo. Da un lato, è un cerchio che si chiude, per dire: «Cavolo, ecco, questo è il nostro valore, quindi punto e a capo». Dall’altro, è uno sguardo verso il futuro, per dire: «Ci sono delle novità, c’è una nuova giovane, ma ci siamo anche noi». E’ bello e motivante.

Di quali novità parli?

Nel mio caso, la novità è il ruolo che ho ricoperto in questo quartetto. Ho fatto la seconda frazionista, mentre di solito partivo oppure ero la terza. Mi diverte cambiare, non lo vedo come un motivo di stress, bensì come proprio una motivazione.

Missione compiuta, il mondiale è italiano: secondo titolo per le azzurre dopo quello del 2022
Missione compiuta, il mondiale è italiano: secondo titolo per le azzurre dopo quello del 2022. Alzini seconda da destra
Missione compiuta, il mondiale è italiano: secondo titolo per le azzurre dopo quello del 2022
Missione compiuta, il mondiale è italiano: secondo titolo per le azzurre dopo quello del 2022. Alzini seconda da destra
Per cui il mondiale è stato la ciliegina su una stagione che sei riuscita a raddrizzare?

Il 2025 mi è piaciuto, ma è stato una stagione roller coaster (le montagne russe, ndr). Siamo partite vincendo il quartetto all’europeo di Zolder. Poi mi sono fermata perché avevo due costole rotte a causa della caduta al UAE Tour. E’ stata una stagione condizionata da infortuni di cui non avevo mai sofferto prima. La frattura della scapola a metà anno, che mi ha tenuto per due mesi e mezzo fuori dalle gare. Però tirando ora una linea, ammetto che forse stare ferma per tutto quel tempo e aver ripreso da zero ha portato anche qualcosa di positivo. A ottobre, non mi sono sentita super affaticata o particolarmente stanca, quindi mi piace sempre trovare il positivo nelle cose.

Nel frattempo la Cofidis ha sostituito Cedric Vasseur nel ruolo di team manager, come l’avete vissuta?

Ci hanno mandato una mail. Abbiamo partecipato a una call su Zoom dove hanno annunciato il nuovo capo, Raphael Jeune, che già conoscevo perché era responsabile del marketing di Look. Forse ora è presto per parlare, ma le prime impressioni sono state positive. E’ venuto a trovarci nelle gare in Italia, ha passato molto tempo con ognuno di noi a parlarne, cercare di conoscerci. Mi piace il suo approccio, il suo modo di fare che sicuramente l’anno prossimo ripartirà da zero per tutti quanti. E come dicevo, ripartire da zero spesso è il modo migliore per fare bene.

Campionati del mondo pista, Santiago del Cile 2025, inseguimento a squadre femminile, oro Italia: Federica Venturelli, Vittoria Guazzini, Martina Alzini, Martina Fidanza, Chiara Consonni

Rileggiamo con la più piccola (Venturelli) l’oro del quartetto

27.10.2025
6 min
Salva

Non succedeva da Parigi 2022, quando il quartetto delle ragazze rifilò 2”112 alla Gran Bretagna e conquistò uno storico oro mondiale. Uscivano dalla delusione del quarto posto alle Olimpiadi di Tokyo e quel risultato confermò la sensazione di Villa che il gruppo avesse l’oro nel destino. Venerdì scorso a Santiago del Cile le azzurre l’hanno fatto ancora e ancora una volta dopo il quarto posto di Parigi. La sola differenza era l’assenza di Elisa Balsamo, sostituita dalla debuttante Federica Venturelli. Facile immaginare che il loro traguardo ora siano le Olimpiadi di Los Angeles, messe nel mirino in una sorta di patto d’onore fra guerriere.

«La pista ha veramente il mio cuore – ha detto Vittoria Guazzini – poi so che la strada ha il suo fascino e spero un giorno di togliermi le soddisfazioni anche lì. Infatti devo ringraziare la squadra perché non ha mai detto di no alla pista, sanno che mi fa bene anche mentalmente».

«Secondo me è il bello di questa nazionale – le ha fatto eco Martina Alzini – e ciò che ci fa crescere sempre di più è che tutte siamo utili, ma nessuno è indispensabile. Magari per alcuni suona un po’ triste, ma in verità ha tanto significato. Vuol dire che ognuno di noi al massimo della forma è veramente un componente importante di questo gruppo».

Il debutto di Venturelli

Prima di Parigi, Venturelli si era già allenata con il quartetto: una sorta di sparring partner mandata fra le grandi per conoscerle e apprenderne i segreti. Vista la sua crescita, Bragato e Villa si erano messi in mente di inserirla fra le quattro per gli europei di Zolder a febbraio, ma la ripresa dall’ennesimo infortunio era stata più lunga del previsto. Al punto che quest’anno Federica ha ripreso a correre a fine maggio, e l’esperimento era stato rimandato. Che cosa ha rappresentato per lei vincere questo mondiale al primo assaggio con le grandi, in un finale di stagione impegnativo che l’aveva già vista primeggiare fra le under 23 anche a cronometro?

«E’ stato un finale di stagione bello intenso – sorride – anche da prima dei mondiali di Kigali, perché ho fatto l’Avenir a fine agosto, poi ho fatto l’Ardeche, quindi il mondiale strada, gli europei strada e adesso questi su pista. In pratica non sono a casa da metà agosto e pensare che un tempo ora avrei cominciato col ciclocross. Ora si stacca (ieri sera Federica ha chiuso al settimo posto la corsa a punti, ndr).

«Sabato non ero contenta di come ho corso l’inseguimento. Non tanto per il risultato, perché sapevo che avevo davanti tre giganti della disciplina e andavano il doppio di me. La delusione è stata personale, non tanto per il risultato, quanto perché ho gestito davvero male la qualifica e ho fatto un tempo non molto soddisfacente per me. Un secondo peggio del tempo che avevo fatto in qualifica all’Europeo U23 di Anadia, dove andavo la metà di adesso. In finale avrei voluto fare un tempo migliore, per cui mi è dispiaciuto essere ripresa così presto e non aver finito la prova».

Vittoria Guazzini, ancora in piedi, è la quarta a entrare in azione: una trascinatrice come Ganna fra gli uomini
Vittoria Guazzini, ancora in piedi, è la quarta a entrare in azione: una trascinatrice come Ganna fra gli uomini
Vittoria Guazzini, ancora in piedi, è la quarta a entrare in azione: una trascinatrice come Ganna fra gli uomini
Vittoria Guazzini, ancora in piedi, è la quarta a entrare in azione: una trascinatrice come Ganna fra gli uomini
Era un po’ che giravi attorno al quartetto, che effetto fa vincere l’oro al debutto?

Dal punto di vista personale è stata una sorpresa, perché ovviamente non mi immaginavo di vincere un oro già alla prima partecipazione. Potevo sperare in una medaglia, ma sapevo anche di avere intorno a me un gruppo fantastico. Ragazze che vanno tutte fortissimo e quindi avevo la fiducia che mi avrebbero trascinato verso un buon risultato.

Ecco, parliamo proprio di questo gruppo fantastico. Che cosa ci puoi dire per descrivere le tue compagne di mondiale? Iniziamo da Vittoria Guazzini, ad esempio…

Sicuramente lei nel quartetto, visto il ruolo che ha come quarta, è la leader che ci trascina tutte all’arrivo, anche quando siamo tutte senza forza.

Diciamo Guazzini e subito pensiamo a Chiara Consonni, visto che sono campionesse olimpiche della madison e a Santiago hanno preso il bronzo.

Chiara ha corso un turno di qualificazione, di lei possiamo dire che è la più pazzerella, però aiuta sempre a tenere il morale alto in tutte le situazioni.

Nella foto del podio, voi sorridete, invece Martina Alzini ha quasi un ruggito sul volto…

Per me Martina è forse il principale riferimento, quella da cui mi sono sentita accolta meglio. Umanamente, come consigli, mi ha sempre aiutato e quindi mi sento particolarmente vicina a lei. Mi fa un po’ da mamma e mi aiuta in tutti i momenti difficili.

Federica Venturelli si era già allenata col quartetto: il debutto con l'oro mondiale era al di sopra delle sue attese
Federica Venturelli si era già allenata col quartetto, ma il debutto con l’oro mondiale era al di sopra delle sue attese
Federica Venturelli si era già allenata col quartetto: il debutto con l'oro mondiale era al di sopra delle sue attese
Federica Venturelli si era già allenata col quartetto, ma il debutto con l’oro mondiale era al di sopra delle sue attese
E poi c’è l’altra Martina, la Fidanza…

E’ difficile trovare sempre aggettivi diversi per tutte, però anche Martina è super determinata, super disponibile per tutto. Mi trovo bene con tutte queste ragazze del quartetto.

Loro di te hanno detto di aver apprezzato la serenità che hai saputo trasmettere.

Sono contenta di aver dato questa impressione. Tante volte sono in ansia, però sorprendentemente per questo quartetto ero più tranquilla. Probabilmente perché sapevo di poter contare sulle altre ragazze, per cui sapevo di dover solo fare il mio e che potevo stare tranquilla al loro fianco.

E’ stato difficile entrare nei meccanismi di un quartetto già collaudato?

Sicuramente ci vuole tempo, però in questi due anni il tempo l’ho avuto. E quindi sono felice finalmente di essere riuscita a fare una gara insieme a loro e di essere stata accolta bene.

Si può fare una classifica fra le tente medaglie di questa stagione?

Sicuramente la prima maglia iridata del quartetto fra le elite è quella più emozionante, sicuramente molto speciale. Le altre medaglie sono molto belle, però comunque quelle delle crono individuali erano sempre a livello under 23. Mentre quella del Team Relay era comunque un europeo e non un mondiale. E soprattutto non era un oro, quindi sicuramente l’oro del quartetto è stata la medaglia più preziosa e il modo per chiudere bene la stagione.

Marco Villa, tornato in pista dopo mondiali ed europei su strada, conferma il tocco vincente
Marco Villa, tornato in pista dopo mondiali ed europei su strada, conferma il tocco vincente
Marco Villa, tornato in pista dopo mondiali ed europei su strada, conferma il tocco vincente
Marco Villa, tornato in pista dopo mondiali ed europei su strada, conferma il tocco vincente

La chiusura per Villa

La chiusura spetta a Marco Villa, tornato in pista dopo il debutto su strada, mentre Diego Bragato è rimasto a casa per accogliere sua figlia Azzurra nata proprio in questi giorni.

«Vincere il quartetto, specialità olimpica – dice – con un gruppo giovane e l’inserimento di Venturelli è un bel segnale per i prossimi tre anni, in vista della qualifica olimpica e poi delle Olimpiadi. Non dimentichiamo anche le ragazze che non sono venute qua, perché quest’anno hanno dedicato l’annata alla strada, come Balsamo e Paternoster. Abbiamo anche delle junior che hanno fatto risultati e cercheremo di inserirle. Nelle gare di gruppo dobbiamo migliorare, ma il potenziale c’è. Venturelli in primis ha dimostrato di avere qualità, dobbiamo migliorare un po’ la gestione dello sforzo, ma ci arriveremo.

«Nella madison ormai abbiamo una buona scuola, un buon livello. Stiamo confermando il titolo olimpico. In alcune prove si poteva correre meglio, ma non tutte sono giudicabili per una serie di motivi. Sono contento di questo mondiale, che resterà indimenticabile per l’addio di Elia (Viviani, ndr). E stato emozionante e ha confermato quale professionista sia, quale cecchino di risultati, come il suo palmares dimostra».

Campionati dle mondo pista, Santiago del Cile 2025, Elia Viviani

Gigante Viviani, oro mondiale all’ultima gara. Fatta la storia

26.10.2025
4 min
Salva

Santiago del Cile è diventato provincia d’Italia. Prima con l’oro del quartetto femminile e poi con l’esultanza di quelle stesse ragazze alla balaustra per celebrare il terzo oro nell’eliminazione di Elia Viviani allultima corsa. Le braccia incrociate per significare che il dado è tratto mentre girava in pista hanno dato l’esatta dimensione di una vittoria che ricorda quella di Cancellara nella crono di Rio 2016. Elia Viviani voleva chiudere con una medaglia in pista e porterà a casa un’altra maglia iridata, il modo più bello per dire basta e andarsene senza rimpiangere di non averci provato per l’ultima volta.

«L’anno scorso – racconta – quando ancora cercavo squadra a febbraio, era questo che intendevo. Volevo dimostrare di essere ancora al livello di poter vincere su strada e l’ho fatto. Essere in un Grande Giro e comportarmi bene, come ho fatto alla Vuelta. Chiudere la mia carriera con un mondiale, con una maglia iridata addosso, è qualcosa di fantastico. Mi ritiro dal top, è quello che volevo e che speravo. Quindi sì, possiamo davvero dire che questo è il finale perfetto».

Il gesto dlle braccia incrociate è la conferma che il viaggio si ferma qui, ma con l'oro al collo
Il gesto delle braccia incrociate è la conferma che il viaggio si ferma qui, ma con l’oro al collo
Il gesto dlle braccia incrociate è la conferma che il viaggio si ferma qui, ma con l'oro al collo
Il gesto delle braccia incrociate è la conferma che il viaggio si ferma qui, ma con l’oro al collo

Nervoso prima del via

Ha corso da campione, ammettendo di aver conosciuto prima del via un insolito nervosismo. Poi in gara tutto ha funzionato come doveva e lo sprint finale non ha avuto storia, al punto da potersi rialzare ben prima della riga, indicando l’avvicinamento alla vittoria. Con Elia è esplosa la gioia di tutto il parterre azzurro. Anzi, è parsa superiore la voglia di celebrare dei suoi compagni, vestiti con la maglia intitolata The Last Dance del Profeta. Dio solo sa però quante emozioni aveva dentro Viviani durante quei giri da campione del mondo.

«Continuo a ripetere che il mio più grande orgoglio – dice – è proprio aver creato questo movimento insieme a Marco Villa e a tutti quelli che hanno lavorato per portare tutte queste medaglie e campioni al ciclismo su pista. Mi sento di dirgli di credere nei sogni, di puntare in alto perché lavorando duro ci si arriva, proprio come ho fatto io. Crederci e sognare in grande perché solo così si raggiungono i grandi risultati. Abbiamo visto che dopo di me sono arrivate tante medaglie dalle ragazze. L’oro olimpico della madison, il quartetto che è stato l’apoteosi degli ultimi anni. E altri ragazzi continuano ad arrivare.

«Salvoldi ha curato bene il movimento giovanile, le ragazze di Villa e Bragato sono giovani e portano ancora tanti risultati. Abbiamo un bel futuro davanti e soprattutto ora abbiamo una struttura, abbiamo una Federazione che ci crede e che lavora per questo. Sicuramente c’è sempre del lavoro da fare nelle categorie giovanili e cercheremo di farlo».

In quel plurale c’è forse un assaggio del suo futuro, che non aveva escluso nell’incontro con i media prima di partire per il Cile. Per ora il suo orizzonte è la cena con tutta la nazionale e poi le meritate vacanze con Elena Cecchini, volata in Cile per sostenerlo nell’ultima battaglia. Da stasera sarà soltanto lei il corridore di casa, ma è dolce per Elia Viviani ritirarsi portando nel cuore l’ultimo oro e la sensazione di essersene andato da vincitore.

Le somme di Salvoldi

Il conteggio finale di Dino Salvoldi, partito per il Cile senza farsi grandi illusioni, è molto più roseo ora che i mondiali si sono conclusi.

«Il bilancio di questi mondiali – ragiona Dino Salvoldi, cittì degli uomini – si conclude come meglio non si poteva. Con una vittoria emozionante di Elia, una vittoria di gran classe. E come ultima gara, nella madison con due ragazzi del 2005 in un gruppo di mostri della specialità, avevamo l’obiettivo di portarla a termine e migliorare la tecnica. Ci siamo riusciti, anche se abbiamo visto come e dove dobbiamo lavorare, dove sono i margini di miglioramento. Però sono soddisfatto, bravi anche a Stella e a Sierra.

«Per quello che riguarda i giorni precedenti, il discorso sarebbe fin troppo lungo. Sinteticamente posso dire che torniamo con un po’ di rammarico nell’inseguimento a squadre e in quello individuale. Siamo arrivati molto molto vicini alla medaglia di bronzo, pur con la consapevolezza prima di partire di avere un gap che sul campo si è dimostrato meno ampio di quello che pensavamo e quindi possiamo essere ottimisti. Abbiamo corso con ragazzi molto giovani come Grimod e Sierra. Bisogna avere il coraggio di schierarli e di prepararli con la giusta umiltà e serenità. Però se non gli creiamo l’opportunità di una prima volta e la rimandiamo nel tempo, ci troviamo con atleti maturi senza l’esperienza internazionale e quindi il gap rimarrà tale».

Deborah Piana, gravel Sardinia World Series (foto Simon Wilkinson/SWpix.com)

Mondiali gravel: per l’Italia solo le donne. Sentiamo Pontoni

09.10.2025
5 min
Salva


E’ ormai alle porte il mondiale gravel 2025, che si disputerà sabato e domenica nella regione di Zuid-Limburg, nei Paesi Bassi. Il percorso, con partenza da Beek e arrivo a Maastricht, proporrà un anello di 131 chilometri per le donne e 180 per gli uomini. Si tratta di un percorso molto mosso, con salite brevi ma incisive e tratti di fondo scorrevole. La parte in asfalto è corposa: si parla del 50 per cento..

In vista di questa rassegna iridata, abbiamo intervistato Daniele Pontoni, commissario tecnico della nazionale italiana di ciclocross e gravel, per fare il punto sulla spedizione azzurra: ambizioni, difficoltà e tattiche di gara. La prima notizia è che non schiereremo la squadra maschile, ma solo quella femminile. E non certo per colpa del cittì, il quale, anzi, ha lottato non poco per trovare gli uomini adatti.

Daniele Pontoni, cittì per ciclocross e gravel
Daniele Pontoni, cittì per ciclocross e gravel
Quindi, Daniele, ci siamo…

Dopo un europeo tutto sommato buono, ci siamo fatti vedere. Adesso arriviamo al mondiale con parecchia speranza tra le ragazze… La nazionale uomini non ci sarà. C’è solo la nazionale donne, composta da: Silvia Persico, Letizia Borghesi, Maria Giulia Confalonieri, Giada Specia ed Emma Piana. Quindi un mix di ragazze prevalentemente abituate a correre su strada. E qualcuna con provenienza dalla MTB.

Parli ovviamente di Specia e Piana…

Qualcuna, come Silvia Persico, ha “fatto tutto” nella sua carriera, mentre Giada si è appena avvicinata: è arrivata quarta in questa specialità agli europei e si è guadagnata la convocazione, così come Deborah Piana, che proviene dal mondo Marathon e tra l’altro ha vinto una prova delle Gravel World Series in Sardegna (in apertura, foto Simon Wilkinson/SWpix.com).

Vista la sua attitudine con il ciclocross, Silvia Persico è un punto fermo per Pontoni
Vista la sua attitudine con il ciclocross, Silvia Persico è un punto fermo per Pontoni
E degli uomini cosa ci dici? Come mai l’Italia non sarà presente?

Per quanto riguarda gli uomini, non avevamo né il numero né una nazionale all’altezza per partecipare. Nelle ultime settimane si sono verificate defezioni e rischiavamo di schierare un team non competitivo. Ho quindi deciso di concentrare questa rassegna solo sulla nazionale femminile.

Un po’ dispiace perché qualche interprete ci poteva stare, ma immagino le tue difficoltà nel chiedere corridori alle squadre, specie a fine stagione tra calendari fitti e lotta a i punti…

In effetti è stato molto complicato. Io spero che dal 2027, avendo anche un punteggio ufficiale in questa specialità, le cose siano un po’ diverse e diventino meno faticose. Così è tosta. Comunque, come dico sempre: faccio con quello che ho e da questo cerco di tirar fuori il meglio. Arriviamo da un europeo che è andato bene, anzi direi che è stato ottimo. Abbiamo conquistato una maglia continentale (con Magnaldi, ndr), due quarti posti e un quinto. Tra l’altro un quarto e un quinto erano tra gli uomini… Pertanto arriviamo in Olanda con la voglia di fare bene. Sono convinto che abbiamo le ragazze per ben figurare anche qui.

Che percorso troveranno le ragazze, Daniele?

Finora non l’ho ancora visto in bici, lo valuterò quest’oggi in prima persona. Ho raccolto informazioni su carta e da chi ci ha già girato, in pratica da Elena Cecchini, tramite Lorena Wiebes. Il percorso del Limburgo è diverso dall’europeo e anche meno adatto alle nostre: sia come terreno sia come altimetria. All’europeo c’erano salite e discese che mettevano davvero alla prova gli atleti. Qui sarà tecnicamente più facile. Ci saranno salite brevi, qualcuna all’inizio, qualcuna alla fine. Da percorrere per due giri e mezzo. Il fondo è molto più scorrevole rispetto all’europeo di Avezzano, per cui mi aspetto un tracciato simile a quello della scorsa edizione, seppure con qualche difficoltà altimetrica in più rispetto al Mondiale di Leuven 2024.

gravel, Giada Specia
Un’atleta come Giada Specia avrebbe gradito un tracciato più tecnico. All’europeo di Avezzano è giunta 4ª
gravel, Giada Specia
Un’atleta come Giada Specia avrebbe gradito un tracciato più tecnico. All’europeo di Avezzano è giunta 4ª
Chi vedi favorita tra le nostre?

Sicuramente Silvia Persico è la più adatta. Ma come ho detto, abbiamo cinque ragazze importanti. Ho già una mezza idea di tattica: come impostare la corsa e come distribuire compiti. sarà importante correre da squadra e su questo percorso si può fare. Non siamo molte, però. Se ne avessi avute sei avrei preferito. Andiamo là con la pancia carica per portare a casa un bel risultato.

E le favorite in assoluto?

Si dice che le favorite “d’obbligo” siano Lorena Wiebes e Marianne Vos, ma nulla è scontato. Essere outsider spesso è un vantaggio: non hai nulla da perdere, affronti la gara con meno pressione. E credetemi, con il gruppo che ho, a livello nervoso siamo leggeri, ma motivati.

Cosa ti porta a dire questo?

Perché è un gruppo affiatato. Chi vi entra si integra subito: questo è un marchio di fabbrica, sia per gli uomini che per le donne, soprattutto in questa specialità, il gravel.

E’ anche merito tuo che sai trasmettere la grinta. La grinta di Pontoni è proverbiale…

Io cerco di amalgamare e cerco sempre di trasmettere alle atlete la mia grinta. La squadra è anche lo staff: gli interpreti in gara sono le ragazze che in questi anni hanno dato soddisfazioni. Io continuo a vivere la corsa come se fossi un’atleta, cercando di far percepire alle ragazze che la loro forza debba essere la maglia azzurra. Quella maglia non la indossa nessuna altra. Solo loro. E già indossandola si sente qualcosa di speciale.

Limburgo 2025, mondiale gravel
Un passaggio del percorso che si annuncia veloce (foto Zuid-Limburg)
Limburgo 2025, mondiale gravel
Un passaggio del percorso che si annuncia veloce (foto Zuid-Limburg)
Passiamo agli aspetti tecnici, Daniele: cosa prevedi a livello di gomme?

Molto dipenderà anche dal meteo, che sembra essere incerto. In generale però mi sento di dire che non useremo gomme molto tassellate, magari qualche piccolo “tappino” laterale e una sezione centrale molto scorrevole. Valuteremo domani per le varie mescole e tipologie di gomme, anche perché ogni atleta corre con le gomme del team e sono diverse. Credo useremo pneumatici da 38, 40 o 42 millimetri, più probabilmente le 40.

E i rapporti, rispetto all’europeo?

Chi ha doppia opterà per la doppia avrà un 34-50 con un 10-36 dietro. Chi avrà la monocorona suppongo opterà per 42 con una scala posteriore alquanto generosa.

Pedali da strada o da MTB?

Bella domanda. Vediamo il test del percorso, ma credo che sceglieremo i pedali da strada, se non ci saranno tratti in cui bisognerà scendere a piedi. All’Europeo tutti e tutte li hanno usati da strada. Se non bisogna camminare, la scarpa da strada ti dà qualcosa in più in termini di spinta.

Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Tadej Pogacar tra la folla in salita

EDITORIALE / Percorsi troppo duri o Pogacar troppo forte?

06.10.2025
4 min
Salva

La lunghezza del mondiale e la sua durezza. Nei giorni di Kigali si è fatto un gran parlare del fatto che soltanto trenta corridori avessero finito la corsa: dove sta lo spettacolo? I 267,5 chilometri a 1.600 metri di quota e per giunta all’Equatore erano probabilmente troppi. Avrebbero potuto tirare via una cinquantina di chilometri e il risultato non sarebbe cambiato: Pogacar campione del mondo. Condivisibile o meno, probabilmente l’assunto è giusto. Va fatto notare, che se l’organizzazione non avesse fermato gli atleti staccati, al traguardo ne sarebbero arrivati di più. Ma cambia poco.

La controprova si è avuta ieri ai campionati europei in Drome et Ardeche. Corsa di 202,5 chilometri: lo stesso vincitore e appena 17 corridori all’arrivo. Considerando che Pogacar è rimasto da solo a 77 chilometri dall’arrivo, vogliamo dire che sarebbe bastato un percorso di 125 chilometri? Questa è chiaramente una provocazione, ma ci permette di fare una premessa e due osservazioni in materia di calendario e di eccezionalità di questa fase storica.

Campionati del mondo Kigali 2025 strada professionisti, attacco Isaac Del Toro, Tadej Pogacar, Juan Ajuso
La grande selezione dei mondiali di Kigali sarebbe stata identica anche con 50 chilometri in meno? Probabilmente sì
Campionati del mondo Kigali 2025 strada professionisti, attacco Isaac Del Toro, Tadej Pogacar, Juan Ajuso
La grande selezione dei mondiali di Kigali sarebbe stata identica anche con 50 chilometri in meno? Probabilmente sì

Il mondiale ad agosto

La premessa: non cadiamo nell’errore di parametrare tutto sull’anomalia di Pogacar. Tadej vincerebbe anche se le gare avessero un chilometraggio minore, per tutti gli altri c’è una bella differenza fra 200 e 250 chilometri. Detto questo, se serve per rendere il ciclismo più spettacolare, lasciando i Monumenti alle distanze originali, nulla vieta di ragionare su durata e lunghezza. Flanders Classics si è unita a Cycling Unlimited e ha preso in mano l’organizzazione del Giro di Svizzera. Hanno ridotto i giorni di gara, equiparando quelli degli uomini a quelli delle donne: lo spettacolo non cambierà. Un errore? Proviamo e poi valutiamo.

Il calendario. Se il mondiale è davvero una corsa importante, è tempo di riportarlo ad agosto, com’era fino al 1994. C’erano i corridori che uscivano bene dal Tour e quelli che si erano preparati dopo il Giro. Era un ciclismo meno veloce dell’attuale e a maggior ragione prevedere ancora il mondiale a fine settembre, con corridori spremuti come limoni dall’intera stagione e dalla Vuelta, è fare un torto alla gara più rappresentativa dell’UCI. Nessuno dei corridori della Vuelta ha fatto bene a Kigali, ad eccezione di Ciccone.

Altra annotazione sul calendario è che troviamo sciocco aver ravvicinato così tanto i mondiali e gli europei, proponendo per giunta percorsi pressoché identici. Lo hanno fatto notare sia Pogacar sia Evenepoel, ci meravigliamo che non lo capiscano i padroni del ciclismo, nonostante lo sfoggio di scienza con cui modificano ogni cosa senza chiedere riscontri. Ma questo non avviene per caso e ci porta alla seconda considerazione sull’eccezionalità di questa fase storica.

Evenepoel campione europeo della crono dopo aver vinto il mondiale: questa maglia nel 2026 non la vedrà nessuno
Evenepoel campione europeo della crono dopo aver vinto il mondiale: questa maglia nel 2026 non la vedrà nessuno

Pogacar, la testa e le gambe

Tutti vogliono Pogacar in fuga. E’ come avere la possibilità di scritturare il cantante più in voga e puntare sempre e soltanto su quello che vende più dischi. Chiaramente gli sponsor sono più contenti di… vestire una sua vittoria, piuttosto che quella di un velocista. Eppure è anche un fatto di opportunità. Sapevano tutti che in caso di vittoria dello sloveno il prossimo anno non avremmo visto la maglia di campione europeo sulle strade del mondo, come accadrà con quella di campione della crono conquistata da Evenepoel. Evidentemente il ritorno della vittoria di ieri copre anche il prezzo della scomparsa del simbolo.

Il periodo è eccezionale perché tolto Pogacar, le corse avrebbero uno sviluppo ben più normale. Il gruppetto uscito compatto dal Mount Kigali sarebbe entrato nel circuito finale del mondiale e si sarebbe giocato la corsa con altri equilibri. Ma qui non stiamo dicendo che non vogliamo Pogacar in azione, semplicemente sarebbe interessante se gli rendessero la vita meno facile. Che noia erano i Tour de France con le crono da 60 chilometri per favorire Indurain? Se gli organizzatori lavorassero per amore del ciclismo e dello spettacolo, disegnerebbero percorsi aperti a più soluzioni, dimostrando anche un rispetto superiore per il resto del gruppo. Per i corridori africani in Rwanda, ad esempio. Per il resto del gruppo agli europei. Pogacar vincerebbe lo stesso, però magari per farlo dovrebbe usare anche la tattica e non dovrebbe accontentarsi solo delle gambe.

Van der Poel fa sette, Agostinacchio ci regala un’impresa

02.02.2025
6 min
Salva

Finisce che nel giorno in cui tutti attendevano Van der Poel e Van Aert, il ricordo più bello dei mondiali di Leivin ha lo sguardo allegro, commosso e anche divertito di Mattia Agostinacchio, campione del mondo juniores di ciclocross, già campione d’Europa. E se la gara dei grandi ha confermato un copione così prevedibile da non essere particolarmente emozionante (per i non olandesi e i non tifosi di Van der Poel), la rincorsa dell’azzurro al titolo mondiale è stata rocambolesca come si addice a un’impresa.

«Sono partito anche bene – dice Agostinacchio sorridendo – direi in seconda posizione. Poi però me ne sono successe di tutti i colori, pur consapevole, avendo visto il percorso, che non si dovesse commettere il minimo errore. Ho rotto una scarpa. Mi si è abbassata la punta della sella. Ho bucato due volte. Però non ho mai mollato. E quando ho visto che all’inizio dell’ultimo giro avevo 10-15 secondi dal francese, mi sono detto: adesso o mai più».

Le ultime gare di Coppa non erano state il massimo per Agostinacchio: l’emozione ora è fortissima
Le ultime gare di Coppa non erano state il massimo per Agostinacchio: l’emozione ora è fortissima

Le parole di Pontoni

Questa è la storia di un giorno che Agostinacchio farà fatica a dimenticare, venuto dopo la delusione per la Coppa del mondo sfumata in extremis. Ma Pontoni ci aveva visto lungo, prevedendo che quella rabbia sarebbe stata benzina sul fuoco per il giorno di Lievin.

«Con Daniele ho un buonissimo rapporto – va avanti Agostinacchio – ed è capitato più di una volta che mi abbia ricordato i miei valori, anche quando ero io il primo a dimenticarli. Ero molto dispiaciuto per la Coppa, ma dentro di me sapevo che la forma continuasse a essere buona. C’è voluto un giorno per mandare via la delusione, poi ho spazzato via tutto e ho messo la testa sul mondiale».

Il fango ha reso le rampe più ripide scivolose e poco pedalabili: Agostinacchio non ama queste condizioni
Il fango ha reso le rampe più ripide scivolose e poco pedalabili: Agostinacchio non ama queste condizioni

L’ultimo giro a tutta

Peccato per la brutta sorpresa quando, arrivato in questo spicchio di Francia al confine con il Belgio, si è reso conto che il percorso disegnato dai francesi non gli piacesse neanche un po’ e ancor meno gli andava a genio il fango.

«I primi giri che vi abbiamo fatto sopra – sorride Agostinacchio – non mi hanno dato sensazioni buonissime, perché il fango non mi piace proprio. Però era quello e lo abbiamo affrontato, con le scelte tecniche che avevamo deciso alla vigilia e senza cambiare nulla per il giorno di gara. Se cambi proprio il giorno del mondiale, rischi di combinare dei disastri. Quando siamo arrivati all’ultimo giro e ho deciso di attaccare il francese, non mi sono messo a pensare a un punto in particolare. Si doveva fare la differenza su ogni metro. Per cui, quando l’ho preso e poi l’ho staccato, non mi sono più voltato sino alla fine. I francesi mi sono simpatici, anche quelli con cui mi trovo a lottare. In realtà credo di avere buoni rapporti con tutti…».

Oltre la sofferenza

E’ stata la gara più combattuta, ben più di quella degli elite. Il cittì Pontoni è d’accordo e tira le somme, dicendosi soddisfatto e fregandosi le mani per il domani che ci attende e anche per il dopodomani. Gli accenniamo le parole di Mattia sul suo ruolo di fine psicologo.

«A volte Mattia – dice Pontoni – ha bisogno di supporto psicologico più che del resto. Ha gambe e tecnica da vendere. Solo che come i grandi campioni, si spaventa e ha paura di essere giudicato dall’esterno. Va stimolato, anche se oggi c’erano poche cose che potevi dirgli. Sapevo che dovevamo crederci fino in fondo, perché aveva fatto la stessa rimonta a Zonhoven. Non ha ancora 18 anni, ma ha una qualità rara. Quando arriva al limite, riesce a varcarlo per i secondi necessari a fare la differenza. Oggi all’inizio dell’ultimo giro ha visto il fondo del barile, era ormai al buio, ma è riuscito ad andare oltre, aprendosi un portone. Oltre a lui, sono andati bene tutti gli altri. Grigolini, ma anche Pezzo Rosola che senza la caduta sarebbe finito nei cinque, al pari di Giorgia Pellizotti che era da medaglia. Grande gara anche di Viezzi, che al primo anno mi ha davvero colpito e bellissimo il Team Relay, specialità che mi piace tantissimo. Riparto soddisfatto, grato al mio staff, al team performance e alla presenza del presidente Dagnoni e di Roberto Amadio. Ci ha fatto piacere averli con noi e sono stati uno stimolo ulteriore».

Le chiavi del successo

Quando ha tagliato la linea di arrivo e anche ora che ci stiamo parlando, la sensazione è che Mattia Agostinacchio, 17 enne di Aosta, non si sia reso conto di cosa abbia combinato. Pur avendo vinto già il campionato europeo e avendo quasi portato a casa la Coppa del mondo, il mondiale è un obiettivo così alto da far tremare le gambe.

«Se tre mesi fa mi avessero detto dove sarei arrivato – ammette con un sorriso – non ci avrei creduto. Penso che la chiave di volta siano stati la maturazione atletica e gli allenamenti, ma da qui a pensare che avrei vinto il mondiale, il passo è lungo. Per questo faccio fatica a dire a cosa pensassi tagliando il traguardo e nemmeno mi ricordo chi sia stata la prima persona che ho visto. C’era tutto lo staff. Poi ricordo di aver salutato mio padre, che era qui a Lievin, ho chiamato mia madre e mio fratello che non sono potuti venire. Ho chiamato il mio procuratore. Sul podio ero emozionato, ma c’è una foto con la mano sugli occhi in cui stavo ridendo, non piangevo. Adesso però si torna a casa. Domani lo passo tutto nel letto a dormire. Poi mi riposo e solo poi penserò alla stagione su strada con la Trevigliese. Una cosa per volta, però. Oggi ho vinto il mondiale di ciclocross».

EDITORIALE / Cara UCI, le regole non sono a senso unico

23.09.2024
5 min
Salva

ZURIGO (Svizzera) – Funziona tutto così bene, che ti stupisci davanti alle imperfezioni immotivate. Abbiamo vinto lo scetticismo tutto italiano circa l’impiego dei mezzi pubblici per spostarci dall’hotel alle sedi di gara. In realtà non ci sono grandi alternative. L’UCI ha stabilito che alla stampa non spettino contrassegni per le auto e che le navette in partenza dalla sala stampa siano riservate soltanto ai fotografi. Perciò è bastato fare di conto e realizzare che avere i trasporti gratuiti (grazie a un bollino sull’accredito) è un bel passo avanti rispetto ai parcheggi del centro che costano 8-9 euro l’ora. Gli autobus e i treni d’altra parte arrivano e partono con precisione… svizzera. La bicicletta è usata spesso in ogni sua formulazione, incluse le cargo bike per il trasporto dei bambini. Per andare a scuola o al parco. Funziona tutto. Per questo stupiscono alcuni dettagli dell’organizzazione iridata su cui l’UCI ha chiuso apparentemente gli occhi.

Zurigo ha accolto i mondiali con temperature ancora miti e una buona partecipazione
Zurigo ha accolto i mondiali con temperature ancora miti e una buona partecipazione

La verifica delle bici

Ieri alla partenza della crono donne elite da Gossau e anche in queste ore per gli under 23 e per il paraciclismo, il parcheggio dei team si trovava a un chilometro e mezzo dal punto di verifica delle biciclette. Il parcheggio si trova in alto, la verifica in basso vicino alla rampa di partenza. In mezzo una bella salita, che i meccanici hanno percorso spingendo le bici e i tandem. Se una cosa del genere fosse stata semplicemente proposta al Giro d’Italia o qualsiasi altra gara in Italia, è certo che gli organizzatori avrebbero ricevuto il warning degli ispettori dell’UCI.

E a proposito di misure, tra le novità tecniche dell’anno, che ha costretto i meccanici azzurri a metter mano alla bici di Vittoria Guazzini, c’è che i computerini rientrano nella misura dell’inclinazione delle appendici. Se le appendici sono a posto, ma il computerino – su cui è impossibile appoggiarsi – sporge di mezzo centimetro, la bici non è a posto.

La discesa sul lago

Si va avanti con le cronometro e ieri abbiamo visto e sentito dei rischi che si sono corsi lungo l’ultima discesa. In quel tratto in cui si sfiorano i 100 all’ora, la strada si stringe all’improvviso, il fondo stradale è parecchio irregolare, la pendenza è a doppia cifra e in fondo ci si infila sotto un arco di pietra.

Marco Velo si era accorto che il tratto fosse pericoloso sin da quando venne con gli altri tecnici azzurri a visionare il percorso della crono, ma nulla nel frattempo è cambiato. E quando i tecnici azzurri nella riunione tecnica hanno fatto presenti le loro perplessità, si sono sentiti rispondere da Laurent Bezault, ex corridore e ora UCI Road Master, che nessuno prima di loro avesse sollevato la questione. Ha però aggiunto che avrebbe posizionato sul percorso degli addetti alla sicurezza, incaricati di raccomandare ai corridori di rallentare. Suggerire di rallentare in una gara che si gioca sui secondi, in cui si parte forte e si arriva a tutta?

E’ insolito. Come è insolito che debbano essere le squadre a segnalare la pericolosità di un passaggio e non sia la commissione tecnica che approva i percorsi a valutare l’anomalia. In ogni caso, i corridori in coro hanno ribadito lo stesso punto di vista, senza che questo abbia lasciato apparentemente traccia nelle valutazioni ufficiali.

Andreoli e Totò al traguardo. Il cittì Addesi si è raccomandato di affrontare quel tratto con prudenza (foto FCI)
Andreoli e Totò al traguardo. Il cittì Addesi si è raccomandato di affrontare quel tratto con prudenza (foto FCI)

I mondiali per tutti

Nell’intervista pubblicata ieri a Vittorio Podestà, il campione di paraciclismo ritirato nel 2021 ha rilevato un dettaglio niente affatto trascurabile. «L’organizzazione di un così grande evento aperto ad atleti con prestazioni così diverse – ha detto ad Alberto Dolfin – è portata a scegliere percorsi non completamente a fuoco per alcune categorie. Nei campionati del mondo esclusivamente per il paraciclismo non accade».

Su quella stessa discesa a ben vedere stanno correndo anche i tandem, che hanno davanti un atleta normodotato e dietro un non vedente, che subisce le asperità della strada. Nel tandem frena uno solo, ma il peso è doppio. Anche loro hanno la posteriore lenticolare e l’anteriore ad alto profilo. Visto il percorso, il cittì azzurro Addesi si è raccomandato di correre in sicurezza, pensando soprattutto alla prova su strada. Va bene essere costretti a disegnare percorsi non completamente a fuoco, ma siamo certi che far passare i tandem su quel tratto di strada (su cui oggi pende anche l’incognita della pioggia) fosse inevitabile?

Il mondiale di Zurigo va avanti con le prove contro il tempo. Finora lo spettacolo è stato di altissimo livello. Gli organizzatori hanno fatto un lavoro impeccabile e magari quelli appena spiegati saranno i soli due scivoloni di dieci giorni al top.

Ci può stare, nessuno è perfetto: per questo ci sono quelli deputati a controllare, ma questa volta gli uomini dell’UCI sono restati immobili. Quella discesa andava tolta, allo stesso modo in cui dai percorsi di tante gare in passato sono stati eliminati passaggi pericolosi. Il perché non sia accaduto cercheremo di capirlo stasera, tornando in treno verso il nostro albergo.

Moser: «Lotta iridata a due, ma occhio a VdP e Alaphilippe»

21.09.2024
5 min
Salva

Inizia domani, con le prove a cronometro, la rassegna iridata del 2024. Pensando al grande giorno della gara elite maschile è davvero difficile immaginarsi uno scontro che non veda come protagonisti Tadej Pogacar e Remco Evenepoel. Davvero troppa la differenza fra i due dimostrata al Tour e alle Olimpiadi. E anche per questo il mondiale di Zurigo sarà un po’ la resa dei conti tra questi due fenomeni.

Tuttavia un terzo incomodo potrebbe esserci. E se sì, chi sarà? Non sarebbe la prima volta che tra i due litiganti, il terzo goda… o ci metta lo zampino. Di questo “terzo incomodo” abbiamo parlato con Moreno Moser, ex corridore e oggi uno dei commentatori di Eurosport.

Oltre a commentare per Eurosport, Moser (classe 1990) ha svolto delle mansioni per Rcs Sport
Oltre a commentare per Eurosport, Moser (classe 1990) ha svolto delle mansioni per Rcs Sport
Moreno, chi può essere dunque un terzo uomo che a Zurigo su strada se la può giocare con Pogacar e Remco?

Al pari con loro nessuno: sarò categorico, ma davvero non c’è nessuno a quel livello. Semmai appena sotto questi due atleti ci metto Primoz Roglic, lui potrebbe giocare d’astuzia. Se devo allargare il discorso, essendo un mondiale duro direi che sono in ballo un po’ tutti quelli che hanno fatto la Vuelta. Quindi potrebbe fare bene anche gente come O’Connor, Mas…. ma quando dico loro intendo che possono dare fastidio.

Un nome sul banco te lo gettiamo noi: Marc Hirschi….

In effetti è un bel po’ che non perde una corsa e certamente va annoverato, anche se non ha fatto la Vuelta. Però a questo punto se c’è Hirschi allora dico che oltre a quei due, c’è un’incognita: Mathieu Van der Poel.

Dici? Non è un po’ duro per lui?

E’ vero: è duro. Ma le salite non sono super lunghe e non scordiamoci che lui si sa nascondere e preparare alla grande. Guardate che europeo che ha corso, quanto andava forte. Forse ha esagerato perché non aveva nulla da perdere.

Van der Poel, campione in carica, potrà essere la vera incognita a Zurigo
Van der Poel, campione in carica, potrà essere la vera incognita a Zurigo
Pensi che abbia esagerato anche per fare la gamba in una corsa comunque molto lunga in vista del mondiale?

I suoi attacchi non erano quelli di uno che è lì per allenarsi. Certo, ha provato a correre da protagonista, davanti per poi vedere quel che succedeva. Una cosa è certa: contro gente come Pogacar o Remco servono i super motori.

Insomma discorso a due?

In questo momento è davvero difficile battere uno come Tadej e trovare dei nomi che possano davvero fargli spavento. Se non succede qualcosa di particolare è difficile che qualcuno possa batterlo. E anche nello scontro con Evenepoel lo vedo favorito. Anche perché per la prima volta Remco non avrà neanche Van Aert al suo fianco: la pressione e i giochi di squadra del Belgio saranno tutti su di lui e per lui. Remco spesso vince attaccando da lontano, lontano… ma non credo che possa farlo al mondiale. Se si trova con Tadej, via da solo non ci va. Sì, può provarci, ma la vedo difficile.

Insomma la tua idea è chiara: Pogacar favorito, Remco primo e forse unico contendente, e poi c’è l’incognita Van der Poel.

Esatto. VdP non lo metto né tra gli outsider, né tra i favoriti. Lui è una mina vagante, anche perché bisognerà vedere come correranno. Fatti questi tre nomi: nell’ordine ci sono: Alaphilippe, Roglic, Pello Bilbao, Hirschi, Jorgenson (nella foto di apertura vicino ad Alaphilippe), Skjelmose. Anche le gare canadesi hanno detto molto sugli stati di forma.

Hirschi corre in casa: è motivato e in grande forma. In un mondiale altrettando duro, quello di Imola 2020, è arrivato terzo
Hirschi corre in casa: è motivato e in grande forma. In un mondiale altrettando duro, quello di Imola 2020, è arrivato terzo
Alaphilippe lo metti molto in alto: perché?

Perché in Canada, come detto, Alaphilippe si è mosso bene, un po’ forse anche per dargli un po’ di fiducia e poi perché è un corridore esperto che certe gare le sa affrontare. Mi dà più garanzie di altri avendo già vinto due mondiali.

Hirschi: correre in casa sarà più una spinta o una pressione per lui?

Credo che questo ragazzo saprà gestire bene la pressione…

Prima hai accennato al modo di correre: come si dovrebbe gareggiare per battere Pogacar e Remco?

Sicuramente provando a sfruttare la squadra e provare da lontano… Ma lontano, lontano: tipo a 100 e passa dall’arrivo. Deve essere proprio qualcosa di diverso, d’inaspettato. Magari va via un gruppetto di dieci buoni atleti e uno dei nomi fatti riesce ad inserirsi. Poi magari chiudere diventa complicato, tanto più che Mohoric, l’unico vero uomo che nel finale poteva tirare per Pogacar, non ci sarà…

Dici che Tratnik, uomo di Roglic, non lo farà? 

No, no anche lui… è serio. Ma io intendevo più nelle fasi calde.

Potrebbe essere il compagno Roglic il vero nemico di Pogacar? Eccoli con la maglia della Slovenia al mondiale di Imola 2020
Potrebbe essere il compagno Roglic il vero nemico di Pogacar? Eccoli con la maglia della Slovenia al mondiale di Imola 2020
Ecco, a proposito di Slovenia. Come la vedi con due capitani super: Roglic e Pogacar?

Eh – sospira Moser – Roglic potrebbe essere il grande problema di Pogacar. Se in quell’azione di quel drappello che dicevamo c’è dentro Primoz, dietro Tadej non tira. La fuga va via e poi magari Roglic neanche vince. Se fossi in Pogacar, Roglic me lo terrei vicino e lo farei tiare per me.

Ma questo non spetta al tecnico sloveno?

Io penso che se vuole si fa quel che dice Pogacar. Se fossi il tecnico sloveno darei totale appoggio a Pogacar. Anche perché Roglic è forte, magari è in giornata e stacca tutti, ma gli capita spesso anche di non esserlo, di scivolare… non dà poi tutte queste garanzie. Non è come Remco con Van Aert, che comunque le corse le sa vincere.

Bennati, terzo mondiale: l’Italia di Ciccone, Tiberi e Ulissi

20.09.2024
8 min
Salva

Bennati racconta che la lista degli uomini per Zurigo era piuttosto lunga. Ha aspettato la Vuelta e le prove canadesi. E a quel punto, chiusa la parentesi degli europei, ha affinato la ricerca e tirato fuori i nove nomi per i mondiali del 29 settembre. Bagioli. Cattaneo. Ciccone. Frigo. Rota. Tiberi. Ulissi. Zambanini. Zana. Uno di loro sarà riserva.

In questi giorni un post di Alberto Bettiol conferma che il toscano si sia tirato fuori dalla mischia. Nonostante fosse anche andato a vedere il percorso, Alberto ha sentito di non avere le gambe giuste, ne ha parlato con il cittì e alla fine ha rinunciato. Un esempio per tutti i corridori, fa capire Bennati, che forse discende dalle sue stesse parole quando affrontammo insieme la disamina della corsa di Parigi.

«Un Bettiol al 100 per cento – ragiona Bennati – fa sempre comodo in una nazionale. Ho apprezzato il suo ragionamento, che può essere di esempio per chiunque si trovi in una situazione simile. Dopo questo passaggio, è nata la squadra. Non c’è un capitano designato. Ci sono corridori importanti, è una squadra omogenea e ambiziosa. Più o meno tutti possono aspirare a fare qualcosa di buono, a patto di essere uniti e avere un obiettivo chiaro. Dovremo correre da squadra e spero che saremo capaci di far divertire la gente. Non possiamo permetterci di aspettare il finale quando si muovono i grossi calibri…».

Per Bennati, il mondiale di Tiberi sarà un obiettivo, ma anche un investimento
Per Bennati, il mondiale di Tiberi sarà un obiettivo, ma anche un investimento
In effetti pensare di sfidare Pogacar, Evenepoel, forse Van der Poel e magari Roglic potrebbe sembrare un’impresona…

Credo che sarà difficile utilizzare tutti in fase di attacco. Vedremo come si metteranno le cose, però magari qualcuno dovrà sacrificarsi prima e altri si ritroveranno ad aspettare il finale. Penso che Tiberi e Ciccone potrebbero provare a tenere l’ultimo o il penultimo giro, quando si muoveranno quelli forti. In una situazione secca come la gara di un giorno, in salita non vanno tanto più piano.

Allora ti chiediamo di spiegarci le tue scelte: Bagioli, ad esempio. Forse è l’uomo da classiche più di tutti gli altri, ma quest’anno non ha brillato…

E’ vero, i risultati non sono stati dalla sua parte. Poi, come era già successo al mio primo mondiale, gli ho dato il Canada come ultimo test. Nel 2022 fece terzo a Montreal, quest’anno è andato ugualmente molto forte. Non si è piazzato, però mi hanno detto tutti che andava forte e soprattutto facile. E’ arrivato davanti. Ci ho parlato un mese fa. Gli ho chiesto se avesse mollato o pensasse di esserci per il finale di stagione e lui mi ha detto di essere motivato. Per questo mi sono sentito di dargli fiducia, perché ritengo che sia un corridore importante per questo tipo di corse. Va forte in salita e tra tutti quelli che ho convocato, sicuramente insieme a Diego Ulissi, è il più veloce.

Bagioli si è guadagnato la convocazione dopo le prove nelle gare canadesi
Bagioli si è guadagnato la convocazione dopo le prove nelle gare canadesi
Parliamo di Diego, allora, e della solita storia che nelle corse lunghe si spegne.

Secondo me non dobbiamo più pensarci. Diego ha 35 anni, è più maturo e penso che ci sia sempre una prima volta in cui dimostrare di essere all’altezza. E poi diciamo una cosa sui mondiali che abbiamo fatto insieme: lui era fra quelli chiamati prima di tutti ad aprire la corsa, chiunque alla fine sarebbe stato stanco. Stamattina ho letto che Ulissi sarà capitano, ma facciamo chiarezza sul termine. Il capitano non è per forza quello che fa risultato. Diego in questo mondiale sarà il capitano, il regista in corsa insieme a Cattaneo. Però secondo me possiamo utilizzarlo in vari modi. Come regista, appunto, e come attaccante da metà gara in poi. Ulissi nella fuga giusta può preoccupare ben più di un avversario. E poi qualche anno fa anche lui vinse in Canada.

Al Giro del Lussemburgo stiamo vedendo un Tiberi in palla. Oggi c’è una tappa dura che potrebbe essere un bel test per Zurigo?

Anzitutto credo sia giusto che Tiberi ci sia a questo mondiale. Soprattutto in prospettiva, è giusto che faccia esperienza e inizi ad assaporare questo tipo di emozioni. Anche perché, pensando al mondiale del prossimo anno, in Rwanda si correrà in quota e potrebbe essere una sfida tra quelli che si giocano i Grandi Giri. Attenzione però, quest’anno non verrà per fare la comparsa, io conto che possa essere tra i protagonisti.

Ulissi ha già corso sette mondiali da pro’, dopo averne vinti due da junior
Ulissi ha già corso sette mondiali da pro’, dopo averne vinti due da junior
Zambanini è stato il miglior italiano in entrambe le prove del Canada, in che ruolo lo immagini?

Per lui vale lo stesso discorso di Tiberi. E’ un corridore giovane e quest’anno ha avuto una stagione continua, è andato forte dall’inizio e va ancora molto bene. Credo che stia raggiungendo il suo picco di forma e mi sembrava giusto portarlo. Non sappiamo fin dove può arrivare. Da giovane aveva fatto qualche risultato, ma non era sicuramente tra i più forti. Sta vivendo una crescita graduale che mi piace e come ragazzo credo che sia molto valido.

Allora adesso parliamo di Ciccone, che si è ritirato dalla Vuelta e poi non lo abbiamo più visto…

Si è ritirato perché aveva un dolore al ginocchio, però dopo aver fatto qualche giorno di stacco è ripartito. Siamo rimasti sempre in contatto. Giulio è sempre stato super motivato per questo mondiale. Ovviamente non abbiamo il riscontro delle competizioni, però mi ha detto che preferisce preparare un appuntamento così importante allenandosi, piuttosto che andando a correre. E infatti sta facendo un grande lavoro con Bartoli. Non è andato in altura, perché non c’erano i tempi tecnici, per cui si è allenato a casa.

Zambanini continua a crescere: nelle prove canadesi è stato il primo italiano
Zambanini continua a crescere: nelle prove canadesi è stato il primo italiano
Un altro nella stessa situazione è Rota: anche lui ritirato alla Vuelta, poi volato in Canada. Ricordiamo il bel mondiale di Wollongong…

Rota sarà a Zurigo perché ho la certezza che sia motivato e mi fido di quello che mi dice. Me l’ha dimostrato negli anni scorsi. Alla Vuelta stava andando bene poi purtroppo è caduto e anche lui ha avuto male al ginocchio. Ha fatto una settimana di recupero, si è ripreparato ed è andato in Canada. Non è stato brillantissimo, non è arrivato davanti come Bagioli, però ha una condizione in crescita e ritengo che sia un corridore solido per questo tipo di competizione. Io credo che possa svolgere il ruolo che gli darò, come ha sempre fatto. E’ uno dei miei uomini di fiducia e ho voluto dargli fiducia anche quest’anno.

Rispetto alle convocazioni di una volta, in cui c’erano le indicative, sembra che ora molto si basi sul dialogo e sulla condivisione delle preparazioni.

Sì, deve esserci molto dialogo perché il ciclismo da questo punto di vista è cambiato, grazie ai nuovi metodi di allenamento. Anche a me viene difficile perché vengo da un altro periodo in cui i corridori avevano bisogno di fare più gare di avvicinamento per preparare l’appuntamento. Ho fatto fatica a entrare in questa ottica, però adesso obiettivamente le cose funzionano così. E’ anche soggettivo. Bettiol appartiene a una generazione un po’ più vicina alla mia e ha bisogno di correre prima di arrivare all’appuntamento. Invece la maggior parte di quelli che ci sono adesso e sono più giovani, preferiscono correre meno e prepararsi meglio.

Per Rota il terzo mondiale sui tre nella gestione Bennati: la fiducia è al massimo
Per Rota il terzo mondiale sui tre nella gestione Bennati: la fiducia è al massimo
Quale ruolo immagini per Cattaneo?

Me lo posso giocare in vari modi. Magari non mi può dare garanzia di risultato, però per tirare o entrare in fuga e aiutare un compagno, può fare il lavoro di due. Mattia sta andando particolarmente forte, anche perché quest’anno è stato fermo a lungo e adesso è carico di energie. Alla Vuelta è andato benissimo e sono convinto che al mondiale sarà una pedina davvero fondamentale per tutto il gruppo. E’ un corridore esperto, vede la corsa e sa gestire tante situazioni che fanno parte del suo repertorio perché è abituato a lavorare per i grandi campioni. Accanto a lui potrebbe muoversi Marco Frigo, anche lui reduce dalla Vuelta. E’ uno che non ha paura di far fatica e abbiamo visto che sa anche inserirsi nelle fughe.

E poi c’è Zana, che portasti al tuo primo mondiale per rispetto verso la maglia tricolore, attirandoti anche qualche critica.

Se trova la giornata giusta, Pippo può arrivare davanti. Alla Vuelta ha fatto un bel secondo di tappa, però mi aspettavo che ci riprovasse. A fine Vuelta non ero tanto sicuro di convocarlo, finché ho parlato con Pinotti che è il suo preparatore. Gli ho detto che mi sarebbe piaciuto vederlo in una gara dopo la Vuelta, per capire se ne fosse uscito davvero bene. E così all’ultimo lo hanno inserito al Matteotti e mi hanno confermato tutti che ha fatto due belle sparate. E’ rientrato su un’azione davanti e poi ha tirato la volata a De Pretto, però non cercavo il risultato quanto la conferma che la condizione ci fosse.

Zurigo sarà il terzo mondiale di cittì Bennati, dopo Wollongong e Glasgow
Zurigo sarà il terzo mondiale di cittì Bennati, dopo Wollongong e Glasgow
Ultima cosa, non marginale, ancora una volta correranno senza avere le radio. Il tuo ruolo di fatto si ferma alla riunione del mattino e alle poche info che eventualmente puoi fargli arrivare…

Non avere la radio agli europei, vedergli fare quello che avevamo deciso di non fare e non poter intervenite è stato frustrante. Non poter dare indicazioni in tempo reale per me è deprimente. Sono convinto che avere la radio e guidare la squadra in tempo reale contro un corridore come Pogacar sarebbe già difficile, ma almeno ti darebbe la tranquillità di essere presente. Perché in certe situazioni non è solo una questione di gambe, ma anche di convinzione. Puoi cogliere l’attimo oppure gestire delle situazioni che da terra non puoi gestire e non puoi nemmeno cambiare. Puoi mettere chi vuoi lungo il percorso, ma cosa gli comunichi? Il tempo, il distacco, oppure quando hai un minuto di ritardo gli dici di andare a tutta per rientrare? Sono messaggi che più o meno lasciano il tempo che trovano. Qualcosa puoi fare, però è sempre molto complicato.

Quando partite?

Giovedì ci troviamo a Lomazzo, in provincia di Como. Facciamo un giretto al pomeriggio e il giorno dopo andiamo su in autostrada.