Il motore dell’Australia. Welsford ha riscosso il suo credito

28.08.2024
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Anche Villa, analizzando i recenti Giochi Olimpici di Parigi 2024, ha riconosciuto che Sam Welsford sia stato l’arma in più del quartetto australiano verso oro e record del mondo. Un motore straordinario, all’altezza del Ganna di Tokyo 2021, che ha regalato il massimo ai Wallabies. Per ottenere l’alloro olimpico, il corridore della Red Bull-Bora Hansgrohe ha rinunciato a tanto, fatto grossi sacrifici, messo in freezer la sua carriera su strada proprio perché c’era un appuntamento con la storia al quale non poteva mancare.

I giorni di Parigi sono passati, Welsford ancora non ha ripreso la sua attività (lo farà oggi al Renewi Tour in Belgio) ma sente ancora nell’aria quell’elettricità che ha portato il suo oro, uno dei più belli dell’eccezionale spedizione australiana a Parigi, capace di cogliere il terzo posto nel medagliere contro ogni pronostico.

Welsford con Bleddyn, Leahy e O’Brien, i nuovi primatisti mondiali del quartetto
Welsford con Bleddyn, Leahy e O’Brien, i nuovi primatisti mondiali del quartetto
Quando sei stato coinvolto nel progetto del quartetto olimpico e qual è stata la differenza principale rispetto all’Australia degli scorsi anni che vi ha portato all’oro e al record?

E’ stata una scelta positiva. Ero stato argento a Rio 2016 e bronzo a Tokyo tre anni fa, in cuor mio ho sempre saputo che volevo tornare e provare a ottenere quella benedetta medaglia d’oro. A Tokyo era stato un disastro nelle qualificazioni che ci aveva messo subito fuori gioco. Dovevamo riscattarci. E così abbiamo ricominciato ad allenarci, ma prima ci siamo presi un po’ di tempo lontano dalla pista. E’ come se ci fossimo disintossicati. Abbiamo ripreso quest’anno con un’idea chiara in mente. Abbiamo fatto la Nations Cup come gara di preparazione, di costruzione della squadra insieme e poi abbiamo fatto un sacco di lavoro a Maiorca, concentrandoci in maniera quasi monacale. Poi ad Anadia in Portogallo per fare davvero quel lavoro specifico che ci serviva e siamo arrivati a Parigi al massimo, consci che potevamo farlo.

Tu hai smesso di correre su strada a metà giugno: è stato un problema per il team non poter contare su di te?

All’inizio della stagione ero andato molto bene, ma sapevo che non poteva durare, dovevo pensare a che cosa serve per essere campioni in pista, a quel tipo di allenamento diverso dalla strada. Il piano con la squadra era avere un buon blocco di gare prima del lavoro specifico e poi rivederci dopo Parigi. In Slovenia ero già con la mente verso il quartetto, era stata una gara anche molto severa, arcigna. Devo dire grazie al team che mi ha supportato nel mio sogno. Ora sono concentrato per fare comunque un buon finale di stagione. Nel team d’altro canto sanno anche che la pista è molto utile per il mio sprint.

Per il ventottenne australiano l’oro è stata una sorta di liberazione dopo il pasticcio di Tokyo
Per il ventottenne australiano l’oro è stata una sorta di liberazione dopo il pasticcio di Tokyo
Avevi iniziato la stagione in maniera trionfale al Santos Tour Down Under: come giudichi la prima parte dell’anno su strada?

Penso che vincere nel mio Paese d’origine, la gara di casa ad Adelaide, sia stato super speciale e vincerne poi tre sia stato incredibile. Ero davvero entusiasta della stagione che stavamo iniziando. E’ stato sicuramente uno dei miei momenti salienti dell’anno. Un velocista che vince tre volte nella stessa gara non accade spesso, quando succede devi goderti il momento.

Ti vedi più come corridore su strada o su pista?

Ora sono probabilmente più uno stradista. L’oro di Parigi non cambia quello che sono. Ora voglio avere la mia carriera e credo che alla mia età ora posso essere uno dei migliori velocisti nel gruppo, giocare  le mie carte nei Grandi Giri, Ma per farlo dovevo chiudere un cerchio e ringrazio i tecnici per avermi permesso di farlo con quella medaglia d’oro.

Una delle tre tappe vinte al Santos Tour Down Under, dove aveva mostrato una grande potenza
Una delle tre tappe vinte al Santos Tour Down Under, dove aveva mostrato una grande potenza
Tornando alla preparazione per Parigi, quanto è stato importante potersi allenare senza distrazioni derivanti dall’attività su strada?

Un equilibrio c’è sempre stato, non credo nella divisione netta delle carriere. È più come se dovessi fare un po’ di entrambe le cose. Anche senza gareggiare su pista, allenarcisi sopra è importante, soprattutto per la forza che un velocista deve avere. Non è solo questione di forma fisica generale, ma di cura del motore, per così dire. Soprattutto se fai le volate di gruppo che ho fatto io. La pista ti abitua a sforzi brevi e intensi che creano molta fatica neurale. Sono stancanti, più dell’allenamento su strada, stai tranquillo che il giorno dopo non te la senti di fare 4 ore su strada…  Ma in realtà è molto importante per il processo di passaggio, per lavorare sull’ultimo minuto di questa gara, quello decisivo.

Welsford insieme a O’Brien nella madison, chiusa al 12° posto con un senso di appagamento
Welsford insieme a O’Brien nella madison, chiusa al 12° posto con un senso di appagamento
Qual era la nazione che più temevate sulla strada verso l’oro?

Difficile dire. Sapevamo che c’era tanto equilibrio, con Italia, Gran Bretagna, Danimarca, temevamo anche i cugini neozelandesi. Impossibile prevedere prima che cosa sarebbe successo, noi sapevamo solo che dovevamo essere al massimo e non sbagliare, questa volta… Perché non avremmo avuto un’altra occasione. Devo però confessare che guardavo l’Italia e mi faceva impressione, sapevo che erano una squadra davvero buona e che Ganna stava andando bene. Sarebbe stata una minaccia davvero grande. Sai, sono sempre super per le Olimpiadi e sono stati campioni del mondo di recente, quindi sapevamo che erano anche loro al massimo, ma dovevamo guardare a noi stessi.

Molti ti giudicano come uno degli sprinter più forti del ciclismo attuale: è un ruolo che ti piace o pensi di avere anche altre caratteristiche?

Essere un velocista a me piace. È qualcosa in cui penso di essere abbastanza bravo. Con la giusta preparazione, penso che possa essere abbastanza veloce, all’altezza degli altri di primissimo piano. Fortunatamente negli ultimi due anni sono andato migliorando lentamente, ma non ho ancora raggiunto i livelli che penso di avere. D’altronde le corse sono cambiate, ora sprinter puri non ci sono più, devi saper tenere anche in salita. Su questi terreni collinari, che sono difficili per me perché ovviamente sono piuttosto pesante, posso e devo ancora migliorare.

Brillante a inizio stagione, l’australiano si era già messo d’accordo con il team per una lunga assenza
Brillante a inizio stagione, l’australiano si era già messo d’accordo con il team per una lunga assenza
Tu hai già il contratto per il prossimo anno: ti dedicherai ancora alla pista nel 2025?

Sai, ci ho pensato. E’ difficile dirlo ora. Per me, penso che sia importante che restituisca qualcosa al team. Mi concentro sulla strada e mostro loro quanto posso essere bravo. Se avrò una stagione davvero buona l’anno prossimo, penso che sia davvero positivo per la squadra e per mostrare cosa so fare. Penso di essere in quella fase della carriera in cui devi decidere cosa vuoi fare. Magari potrebbe essere utile fare qualche Sei Giorni, qualche uscita a fine anno. Ma non di più.

Lo schiaffo dell’Australia, il quartetto sbanda

07.08.2024
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SANT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – La botta fa male e non può essere altrimenti. L’Australia non solo toglie il record del mondo all’Italia, ma lo fa anche nella sfida diretta. Soprattutto, toglie ai campioni in carica la possibilità di riconfermarsi. Ci si giocherà il bronzo contro la Danimarca. Sarà la replica della finale di Tokyo e anche questo è un dato: erano le migliori, hanno fatto un passo indietro. Se non nelle prestazioni, nella classifica. Le due cose vanno distinte. Il Ct Marco Villa lo dice subito.

«Noi abbiamo fatto il nostro. Sono andati forte gli australiani – spiega – di fronte a un 3’40″730 bisogna dire bravi a loro. Non me l’aspettavo su questa pista, se ci sono riusciti hanno fatto una cosa eccezionale. La prestazione dell’Italia c’è stata, Jonathan è stato grandissimo. Purtroppo non è servito. I ragazzi sono andati in pista determinati per battere l’Australia, forse nel finale si sono un po’ demoralizzati».

L’Australia va in finale per l’oro facendo il record del mondo in semifinale: 3’40″730
L’Australia va in finale per l’oro facendo il record del mondo in semifinale: 3’40″730
Ora sarà importante confermarsi sul podio olimpico.

Ho grande fiducia in questo gruppo. Ma ci sono anche gli avversari e non sempre basta dare il 100 per cento. Il giorno prima avevamo fatto un buon tempo, poi lo abbiamo migliorato. Non basta per lottare per l’oro, basta per una finale per il bronzo che non era facile da raggiungere. Quando ho visto che la Nuova Zelanda era sul 3’43” ho tremato. Ieri ha sbagliato gara, oggi è andata forte, ha sfruttato la scia del Belgio. La formula è così e può portare a far sì che magari dal gruppo che va dalla quinta all’ottava del giorno prima esca fuori qualcuno che spariglia le carte. E se avessimo sbagliato qualcosina avremmo compromesso anche la finale per il terzo posto. Siamo stati bravi a parare il colpo e adesso ci giochiamo una medaglia.

In questi tre anni gli altri hanno fatto più progressi di noi.

Ho visto che qualcuno ci ha copiato. Hayter fa i tre giri finali, è ciò che era Ganna a Tokyo per noi. Welsford nell’Australia fa lo stesso. Ci hanno copiato un po’ tutti e hanno anche migliorato i materiali. Sapevamo che dovevamo stare al passo e migliorare anche noi. E siamo migliorati, ma gli altri sono stati più forti.

E’ migliorato anche il quartetto femminile, che ha battuto il record italiano, ma è atteso da un turno proibitivo.

La Nuova Zelanda in campo femminile era la favorita in partenza e lo ha dimostrato. Oggi (ieri, ndr) non abbiamo schierato Elisa Balsamo, questa volta proviamo con lei. Non ha avuto un avvicinamento facile e di conseguenza quando non riesci a lavorare tutte insieme qualcosa manca. Abbiamo questo appuntamento, Elisa ci è arrivata con un infortunio. Pensava di uscire bene dal Giro d’Italia e invece ne è uscita malata, ha saltato l’unica settimana in cui potevamo stare insieme. Ha fatto due prove che mi danno fiducia sul poterla schierare. Non so ancora al posto di chi, parlerò con le ragazze.

Che valutazione si può fare di chi ha fatto le prove su strada?

La scusante della strada non deve esserci più. Abbiamo visto la campionessa olimpica su strada (Kristen Faulkner, ndr) far parte del quartetto e non era certo solo lei. Siamo stati noi a indirizzare un po’ tutti su questa via e adesso gli altri ci seguono. Hayter è qua, non ha fatto le gare su strada, ma tre settimane fa ha vinto il campionato nazionale su strada e si è allenato sul quartetto. Dedicarsi alla pista non mi sembra così invalidante, ecco.

Milan avrebbe potuto partecipare alla gara su strada?

A me non sembrava una gara per lui. Ma se insistete, va bene: poteva farla.

Tra Australia e Gran Bretagna, chi è la favorita?

Direi Australia. Ho visto la Gran Bretagna in difficoltà e oggi ha cambiato un uomo. Spero che abbiano avuto la scusa medica giusta, dato che lo ha fatto anche la Francia. Avevo capito che la sostituzione si poteva fare solo in casi eccezionali e con adeguata valutazione medica. Ho visto il francese sostituito che camminava tranquillamente, sembrava star bene.

Consonni: cuore, testa e gambe

La sensazione è agrodolce, c’è poco da fare. Emerge anche parlando con gli atleti. Simone Consonni è il più positivo. «Da campioni olimpici in carica – dice – volevamo difendere il titolo. Sinceramente l’Australia ci ha sorpresi, complimenti a loro. Ci abbiamo messo cuore, testa e gambe. Non è bastato, ma siamo in una finale per il bronzo. Dobbiamo smaltire la delusione ed essere cattivi contro la Danimarca, ma non sarà facile.

«La nostra prestazione è stata di qualità, ma forse era meglio fare peggio e raggiungere la finale. Siamo migliorati rispetto a Tokyo, però c’è stata un’Australia incredibile. Non abbiamo rimorsi. Abbiamo dato tutto. Siamo all’Olimpiade, è una cosa diversa. E’ un palcoscenico eccezionale, lo abbiamo visto su strada. Si lavora al top per limare i dettagli e si è visto quanto il livello medio si sia incrementato».

Villa e Lamon: i due sono gli unici ad aver pensato soltanto alla pista
Villa e Lamon: i due sono gli unici ad aver pensato soltanto alla pista

L’amarezza di Lamon

Francesco Lamon è il più deluso: «Non mi interessano i tempi – dice – mi dispiace non aver vinto e non poter lottare per l’oro. Ora pensiamo a domani (oggi, ndr) e a portare a casa il bronzo. Non è un oro come speravamo, ma abbiamo fatto del nostro meglio e gli australiani sono stati superiori. Bravi loro. Sono contento di essere qui a giocarmi la medaglia con i miei compagni e colgo l’occasione per ringraziarli. Siamo migliorati, poi entrano in campo tanti fattori e l’Australia ci ha sorpreso. Non abbiamo sentito il peso dell’essere campioni in carica, anzi, ci ha dato molta forza. Non è servito».

Ganna, 100 watt in più

Filippo Ganna cerca di mantenere equilibrio: «Sapevamo che l’Australia era forte. Oggi abbiamo dato il cento per cento – dice – non è bastato per batterli. Hanno fatto un tempo incredibile, 3’40”. Ora proveremo a prendere il bronzo, dando il massimo, come sempre. La qualità della prestazione c’è stata, io ho fatto 100 watt in più rispetto a Tokyo.

«Non bisogna essere delusi, abbiamo la coscienza a posto e abbiamo fatto tutto ciò che potevamo. E’ uno dei primi quartetti dove arrivo provatissimo, non ho nulla da recriminare. Magari con la Danimarca cercheremo di allungare il rapporto, anche se non l’abbiamo mai provato, vedremo».

Vedremo chi andrà sul podio.

Tesfatsion, il lavoro aumenta: il 2024 serve per crescere

05.02.2024
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La seconda stagione nelle fila della Lidl-Trek, per Natnael Tesfatsion, è iniziata dall’Australia. L’eritreo ha corso tutte le gare nella terra dei canguri, cogliendo due secondi posti. Il primo alla Down Under Classic, mentre il secondo alla Cadel Evans Great Ocean Road Race. Due squilli, niente di clamoroso, ma abbastanza per indagare su come Tesfatsion si affacci alla seconda stagione nel WorldTour. Il suo preparatore è il basco Aritz Arberas, proprio con lui parliamo della crescita del giovane Tesfatsion. 

«Natnael – ci racconta Arberas – è tornato in Eritrea dopo la fine delle corse in Australia. Io sono sul Teide con i leader e gli scalatori, ma di comune accordo lui è andato a casa. Può allenarsi tranquillamente in quota e farlo in un posto comodo è sicuramente meglio. Mi occupo della sua preparazione da questo inverno e abbiamo iniziato a lavorare subito forte (prima Tesfatsion lavorava con Josu Larrazabal, ndr)».

La stagione di Tesfatsion è partita dall’Australia qui al Down Under Classic
La stagione di Tesfatsion è partita dall’Australia qui al Down Under Classic
Che tipo di corridore hai trovato?

Sappiamo che ha talento, è quel tipo di atleta che ogni sforzo che deve fare gli riesce bene. Si tratta di un ragazzo giovane (Tesfatsion ha 24 anni, ndr), per noi è un investimento a lungo termine. L’idea è di migliorare piano piano, non solo nel fisico, ma in tutto. 

Cioè?

Dobbiamo dargli un po’ di organizzazione, c’è un programma da seguire, ma si devono prendere le misure con le sue abitudini, in modo tale da rendere gli allenamenti sempre più efficienti. 

E’ difficile coordinare gli allenamenti quando è così lontano dall’Europa?

Leggermente, ma questo non ci impedisce di lavorare al meglio. Vive un Paese diverso, con una cultura differente, ma non ci sono grandi problemi. A volte non ha la connessione, ma sono “ostacoli” che si aggirano facilmente. Magari, invece di sentirci giornalmente, gli mando il programma dei prossimi due o tre giorni. Gli ho anche detto che voglio organizzare un training camp in Eritrea (dice con una risata, ndr).

Il primo anno alla Lidl-Trek è servito per ambientarsi nel WorldTour
Il primo anno alla Lidl-Trek è servito per ambientarsi nel WorldTour
E lui che cosa ti risponde?

Mi dice: «Parce non è possibile, le strade non sono buone, manca internet. Non è semplice». Mi chiama Parce, che è un modo dei colombiani di chiamarsi in maniera amichevole, la prima volta che mi ha chiamato così mi ha fatto ridere (un termine ereditato quando ancora correva in Drone-Hopper, ndr).

Pensi che in Eritrea riesca ad allenarsi al meglio?

Sì, non ho dubbi. Poi quando viene in Europa vive in Italia, a Lucca. Stare a casa sua gli fa bene al morale, si allena meglio e con più spirito. Per tutti i ciclisti che vivono lontano è così. 

Qual è la cosa di cui ha più bisogno per crescere e migliorare?

Deve fare un maggior numero di ore di allenamento. Ha un buono sprint, è potente e forte, ma la capacità aerobica è da migliorare. La sfida più grande con lui è riuscire a coordinare al meglio la sua carriera tra i periodi in Eritrea e quelli in Italia. Perché a casa vive in quota, anche questo dettaglio va preso in considerazione. 

Siete partiti presto con la stagione, che 2024 deve essere per Tesfatsion?

L’idea di partire dall’Australia c’era fin da subito, quindi in inverno abbiamo lavorato molto, per arrivare pronti al 100 per cento. A novembre abbiamo fatto tanta base aerobica, poi a dicembre abbiamo inserito il ritmo gara, alzando i giri. Per quel che è il livello fisico mostrato in Australia siamo soddisfatti, è mancato il risultato, ma poco importa. Tesfatsion sta bene. 

Il 2023 gli è servito per ambientarsi nel WorldTour, ora serve fare un passo ulteriore…

Conosce il livello delle gare e degli avversari, ha ben chiari i riferimenti per essere competitivo. Deve progredire nella crescita, ma Natnael ha ben chiaro in testa che questo è un anno importante. 

L’eritreo è dotato di un grande sprint e tanta forza, deve migliorare la parte aerobica
L’eritreo è dotato di un grande sprint e tanta forza, deve migliorare la parte aerobica
La sua migliore qualità?

E’ un vincente, un cacciatore, quando può si fa trovare pronto. Lui è uno di quei corridori che, se c’è da provare a vincere o una situazione è aperta, ci si butta. 

E dove deve migliorare?

Deve diventare più solido, più forte. Sono sicuro che ci riuscirà, il tempo e gli allenamenti daranno i loro frutti. Ora è tutto in mano mia (conclude con una risata, ndr).

Plapp, primo vincitore 2024 con un pizzico di nostalgia

19.01.2024
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A Luke Plapp un primato non potrà toglierglielo più nessuno, anche se a causa di una caduta è stato costretto a ritirarsi dal Tour Down Uder. E’ stato lui il primo vincitore di questo 2024, essendosi aggiudicato lo scorso 4 gennaio il titolo nazionale australiano contro il tempo. Non pago di ciò, ha colto anche un clamoroso tris consecutivo nella prova su strada, bagnando così nel migliore dei modi il suo approdo alla Jayco AlUla. Cinque titoli nazionali non sono davvero poco per un corridore di appena 23 anni, autore di un profondo cambiamento nella sua carriera lasciando dopo tre anni i fasti della Ineos Grenadiers.

Plapp al traguardo del campionato nazionale, indicando con le dita i tre titoli consecutivi. Con lui Chris Harper
Plapp al traguardo del campionato nazionale, indicando con le dita i tre titoli consecutivi

La sua terza vittoria consecutiva ha smosso l’interesse dei media nazionali e non solo tanto che il team, alla vigilia della partenza del Tour Down Under, ha dovuto organizzare un incontro con la stampa ad Adelaide. Nel frattempo però, a dispetto della distanza siderale fra l’Italia e l’Australia, Plapp ha trovato il tempo per rispondere ad alcune domande in esclusiva, in modo da poterlo conoscere meglio e capire a che punto è della sua carriera.

Quanto è importante per te essere in un team come la Jayco-AlUla a forte impronta australiana?

E’ davvero speciale. Sento che è una squadra perfetta per me. Penso che mi capiscano come persona, sanno cosa significhi essere australiano. E sono decisamente super, super felice di far parte di questa squadra. La sensazione è quella di svegliarmi ogni mattina e andare a una gara con un grosso sorriso sul viso, per questo non vedo l’ora di affrontare già il prossimo viaggio con la squadra.

Dopo il titolo nazionale, Plapp è partito al Tour Down Under, ritirandosi dopo 3 tappe per una caduta
Dopo il titolo nazionale, Plapp è partito al Tour Down Under, ritirandosi dopo 3 tappe per una caduta
Che cosa ti hanno lasciato gli anni alla Ineos Grenadiers?

Penso che Ineos sia uno dei team più professionali e trasformare un corridore specializzato sulla pista in uno stradista è stato un passaggio fondamentale per me del quale sarò sempre grato al team britannico e ai suoi tecnici. Ho imparato tanto da gente del calibro di Thomas e Swift e penso di essere un ciclista migliore proprio grazie al tempo che ho trascorso lì. Ma ora è il momento per me di provare a sfruttare le mie opportunità, salire di livello.

Il cambio di squadra significa anche nuove responsabilità, avrai più chance di vittoria e posizioni da leader?

Sì, penso di avere molta più leadership in questa squadra, molte opportunità e spero che negli oltre quattro anni che sarò qui, potrò diventare un leader per i grandi Giri. E’ un cammino lungo, so di apparire molto ambizioso ma credo che in questo ambiente ho tutto a disposizione per dimostrare che valgo quest’affermazione.

Il corridore di Melbourne ha chiuso al 95° posto la Vuelta 2022, lavorando per Rodriguez e Carapaz
Il corridore di Melbourne ha chiuso al 95° posto la Vuelta 2022, lavorando per Rodriguez e Carapaz
A maggio esordirai al Giro d’Italia: lo ritieni più difficile della Vuelta completata nel 2022?

Quella spagnola è stata sicuramente la gara più dura della mia vita. Sono entrato nella prima settimana che ero molto sottotono, ma l’ho comunque conclusa mostrando di avere molta resilienza. Ho imparato tanto in quelle tre settimane del 2022, quindi spero di essere preparato per questo Giro, di essere nella migliore forma possibile e di lasciare davvero il segno nella gara. Penso di essere cresciuto molto da allora, di non essere più lo stesso Plapp. Quindi non vedo l’ora di affrontare il Giro e spero di avere molto più successo di quello che ho avuto in terra iberica.

Che ruolo assumerai?

Difficile dirlo ora che siamo a inizio stagione, vedremo come andrà evolvendosi e quali saranno alcuni obiettivi realistici. Per ora sono solo concentrato sull’arrivare lì nella migliore forma possibile e poi parleremo con la squadra e capiremo se si tratta di andare a caccia di tappe o poter recitare un ruolo più compiuto pensando alla classifica generale o magari di aiutare anche Ewan negli sprint. Solo il tempo potrà chiarire quali potranno essere i target nelle tre settimane italiane.

Il 23enne, qui nella conferenza stampa pre Tour Down Under, è stato 2° all’ultimo Uae Tour
Il 23enne, qui nella conferenza stampa pre Tour Down Under, è stato 2° all’ultimo Uae Tour
Che tipo di corridore ritieni di essere, più adatto alle corse a tappe o alle classiche?

Penso che la mia dimensione siano le gare a tappe di una settimana, dove posso sfruttare le mie qualità a cronometro e poter migliorare sempre più il mio rendimento in salita, in modo da poter emergere classifica generale.

Tu hai esperienza su pista: ci sono possibilità di vederti nel quartetto australiano per i Giochi Olimpici?

No, non farò parte della formazione australiana su pista ai Giochi Olimpici. Il gruppo è già stato costituito e i tecnici stanno lavorando su quello per Parigi. Mi dispiace, era un’opportunità ma dovendo fare una scelta è giusto che mi concentri sulla strada e sulla mia crescita in essa.

Il quartetto australiano bronzo a Tokyo 2020, con Plapp, O’Brien, Porter e Welsford
Il quartetto australiano bronzo a Tokyo 2020, con Plapp, O’Brien, Porter e Welsford
L’Australia ha una grande tradizione nel team pursuit ma negli ultimi anni ha perso qualche posizione: secondo te da che cosa dipende?

Penso che sia nel nostro sangue ed è ciò che facciamo quando cresciamo. Dietro i successi australiani al massimo livello c’è un enorme lavoro nelle categorie giovanili, la pista è una vera e propria scuola per noi, ci passiamo tutti. E’ sicuramente una mia passione e mi piace farne parte, essere stato nel quartetto di Tokyo è stato un grande onore e porterò quell’esperienza nel cuore. Mi spiace non essere più della partita: guarderò i ragazzi e farò il tifo per loro, con un pizzico di malinconia perché essere fra quei magnifici quattro è un po’ il sogno di tutti noi.

Buratti il primo inverno con la Bahrain e l’esordio al Down Under

17.01.2024
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Nicolò Buratti risponde al telefono mentre si trova dall’altra parte del mondo, in Australia. Ieri è iniziato il Tour Down Under, la nostra chiamata, però, risale alla vigilia della prima corsa WorldTour della stagione. Appena Buratti alza la cornetta va in scena un simpatico siparietto: «Buonasera» ci dice lui. Noi con un sorriso gli rispondiamo «Buongiorno» facendogli notare che la giornata in Italia è appena cominciata. Battute a parte il discorso passa subito alla stagione che sta per iniziare, la prima iniziata fin da subito nelle fila della Bahrain Victorious

«Sto bene – ci racconta Buratti – siamo venuti ad Adelaide presto, il 2 gennaio. Ci siamo presi due settimane per adattarci al clima e al fuso orario. Abbiamo assaggiato la competizione al Criterium del 12 gennaio e finalmente inizia la stagione. Dico “finalmente” perché sono due settimane che stiamo qui e non vedevo l’ora di iniziare».

L’inverno 2023 è stato il primo in maglia Bahrain per Buratti, dopo il suo arrivo nel team ad aprile dello stesso anno
L’inverno 2023 è stato il primo in maglia Bahrain per Buratti, dopo il suo arrivo nel team ad aprile dello stesso anno

Clima australiano

«Ero già stato in Australia per i mondiali – dice Buratti – ma era differente. Si trattava di una corsa in linea e tutto era più caotico. In questi giorni mi sono goduto di più l’ambiente: il mare, il caldo e tutto quello che c’è. Passare dal freddo di casa ai 30-35 gradi non è male, pedalare in pantaloncini è una bella goduria. Siamo andati a fare un bagno nell’Oceano, abbiamo visitato una riserva naturale dove abbiamo visto canguri e altri animali tipici. Anche i paesaggi sono particolari e belli. Adelaide è una grande città, ma a misura di ciclista, in più a una decina di chilometri fuori dal centro ci sono colline e paesaggi molto belli dove pedalare».

Nelle due settimane passate in Australia prima del Down Under è stato sfruttato anche per vivere il territorio
Nelle due settimane passate in Australia prima del Down Under è stato sfruttato anche per vivere il territorio
Hai finito la stagione tardi, in Giappone, e già riparti… 

Vero, ma ho staccato il giusto, per due settimane. Poi piano piano ho rincominciato, in modo tale da arrivare preparato al ritiro di dicembre. Il Tour Down Under non era nei piani, facevo parte delle riserve, ma una volta in ritiro mi hanno avvisato che avrei corso. Non c’è stato troppo preavviso ma sono soddisfatto di come sto. 

La preparazione è cambiata?

Chiaramente è stata modificata in relazione a questo appuntamento. Ora sarei dovuto essere al ritiro in Spagna, ma essere qui non mi dispiace, anzi. Per essere pronto alla gara ho alzato un po’ i ritmi in allenamento, aumentando il carico di lavoro. 

Che inverno è stato, visto che era il primo in maglia Bahrain…

Buono, a dicembre abbiamo lavorato bene. Conoscevo tutti, avendo fatto tre quarti di stagione con la Bahrain nel 2023. Però partire da zero è un’altra cosa. A livello di allenamenti ho aumentato le ore rispetto allo scorso inverno. Per essere pronto al Tour Down Under ho fatto più intensità in un periodo nel quale non ero abituato. 

Una pedalata al mare in pantaloncini e maglietta, mentre in Italia le temperature sono vicine agli 0 gradi
Una pedalata al mare in pantaloncini e maglietta, mentre in Italia le temperature sono vicine agli 0 gradi
Com’è stato?

Non mi sono trovato male, non ero abituato e quindi facevo molta più fatica anche a wattaggi bassi. Poi mi sono adattato e mi sento bene, pronto. 

Meglio essere in corsa o al ritiro?

All’inizio ero preoccupato nel venire qui senza troppo preavviso, la notizia è arrivata velocemente e avevo paura mi precludesse un po’ i prossimi impegni. Invece devo dire che sono sereno. Sono qui al caldo, corro e la cosa non mi dispiace affatto. 

Sul braccio sinistro i segni della caduta di Buratti durante la prima tappa del Tour Down Under
Sul braccio sinistro i segni della caduta di Buratti durante la prima tappa del Tour Down Under
Che aspettative hai per il Tour Down Under?

So che la condizione non sarà al 100 per cento, ma non sono preoccupato. Dovrò stringere i denti, consapevole che non punterò a risultati particolari. La corsa è impegnativa, è un categoria WorldTour. Si andrà forte, ma le distanze sono contenute: si rimane intorno ai 140 chilometri per tappa. Sforzi da 3 ore o 3 ore e mezza. 

La gamba com’era dopo il Criterium?

Buona, per quel che può valere una gara di un’ora. Siamo andati a tutta e sono soddisfatto di come ho risposto. Ora tocca pedalare e guardare avanti, il 2024 è appena iniziato.

P.S. Durante la prima tappa del Tour Down Under, Buratti è stato vittima di una caduta negli ultimi 10 chilometri. «Una scivolata in discesa – ci ha detto – ho qualche escoriazione e un po’ di botte ma nulla di grave. Lo possiamo definire un incidente del mestiere (dice ridendo, ndr). E’ stata una prima tappa molto calda, con media di 40 gradi e massime di 45. Questo ha reso il tutto più difficile, i ritmi non sono stati elevati, ma il caldo ha comunque inciso sulla fatica».

Viviani: tappa negli USA prima della ripartenza dall’Australia

03.12.2023
5 min
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Elia Viviani è in viaggio verso Milano, oggi (giovedì per chi legge) ha degli appuntamenti che cascano proprio in una di quelle giornate uggiose d’autunno, dove la luce non passa dalle spesse nuvole grigie. Niente a che vedere con le soleggiate giornate vissute negli Stati Uniti, tra Las Vegas e Los Angeles

«Prima ho un evento di Garmin – racconta dalla macchina – e poi sono ospite in una trasmissione radio. Sono partito presto, verso le 8 e anche a Monaco c’era brutto tempo, quindi questi impegni cascano bene (dice scherzando, ndr)».

Elia Viviani ha chiuso la stagione vincendo una tappa al Tour of Guangxi
Elia Viviani ha chiuso la stagione vincendo una tappa al Tour of Guangxi

Poche vacanze

La stagione del velocista della Ineos è finita tardi, ad ottobre inoltrato con il Tour of Guangxi, dove ha conquistato la vittoria nella prima tappa. Una volta rientrato è stato il tempo di mettersi l’abito, c’erano un po’ di matrimoni ai quali non si poteva mancare.

«Prima quello di Simone Consonni con Alice – dice – poi quello tra Elisa e Jacopo (Longo Borghini e Mosca, ndr). Ci siamo divertiti un sacco, ma Elena (Cecchini, ndr) ed io non siamo riusciti a fare una vera e propria vacanza. Siamo andati una sola settimana a Sharm El Sheik e niente più. Considerando che io inizio la stagione in Australia a gennaio, il tempo a disposizione era davvero poco. In più sempre in Australia dal 2 al 4 febbraio c’è una tappa di Coppa del mondo su pista. E’ stata una mia decisione quella di finire tardi e iniziare presto, con l’avanzare degli anni ho visto che è meglio non staccare troppo, due settimane sono perfette».

Ti abbiamo visto pedalare insieme a Elena negli Stati Uniti, ma prima eravate al Gran Premio di Formula Uno a Las Vegas…

Sì, diciamo che abbiamo unito l’utile al dilettevole. C’era questa possibilità di andare a vedere il Gran Premio a Las Vegas, una volta concretizzata abbiamo deciso di portarci dietro anche le bici per allenarci. Ero ancora in quel periodo di preparazione dove non si fanno lavori specifici, ma tante ore a bassa intensità. 

Che esperienza è stata quella del mondo della Formula Uno?

Non eravamo mai stati a vedere una gara, nonostante abitiamo a Monaco. E’ nata questa occasione grazie a degli amici che lavorano in questo mondo e abbiamo colto la palla al balzo. Sia Elena che io conosciamo il fisioterapista di Fernando Alonso, Fabrizio Borra, e anche Stefano Domenicali, capo della Formula Uno, che ringraziamo dell’esperienza. C’è stato tanto spazio per lo sport, ma altrettanto per lo spettacolo. Las Vegas era piena di personaggi famosi come Rihanna e David Beckham. Tra qualifiche e gare, gli spettacoli erano continui. Concerti, fuochi d’artificio e tutto il resto…

Due giorni di immersione totale?

Assolutamente, siamo stati anche nel box dell’Alfa Romeo grazie a Tiffany Cromwell che è stata compagna di squadra di Elena ed è la fidanzata del pilota Valtteri Bottas. Abbiamo vissuto le qualifiche da dentro, con le cuffie, respirando l’atmosfera della pista. Qualche meccanico mi ha anche riconosciuto ed ha voluto fare delle foto con me.

Nel ciclismo mai visto una cosa simile?

Un evento che si avvicina tanto a quello che abbiamo vissuto a Las Vegas è la Sei Giorni di Gand, dove oltre alla corsa il pubblico vive tanti momenti diversi. Su strada, probabilmente, vi direi il Giro delle Fiandre. Anche in quel caso la corsa passa più volte sulle stesse strade e l’organizzazione mette in piedi delle hospitality incredibili. E nell’ora di attesa della corsa vanno in scena spettacoli e tanto altro. 

Viviani e Cecchini hanno approfittato per pedalare su strade nuove: quelle intorno a Los Angeles
Viviani e Cecchini hanno approfittato per pedalare su strade nuove: quelle intorno a Los Angeles
Finita la gara avete attaccato una settimana di pedalate, com’è stato?

Bellissimo, davvero. Ci siamo spostati a Los Angeles, dove nel 2013 ero stato con la Cannondale per una presentazione del team. In più alcuni miei compagni di squadra vanno spesso lì durante le vacanze, infatti abbiamo incontrato Thomas ed abbiamo pedalato insieme. I percorsi sono incredibilmente belli, la ciclabile di Venice Beach è da cartolina. Poi bastava spostarsi verso l’interno e non c’era nemmeno traffico. Elena ed io ci siamo ripromessi di fare due settimane a pedalare da quelle parti.

Gli allenamenti come procedono?

Bene, da settimana scorsa ho cambiato passo. Il primo periodo, da inizio novembre al 20, ho fatto un aumento progressivo di ore con intensità basse. Anche in America ho aggiunto qualche salita alle uscite, ma fatta in maniera blanda. Dal 20 novembre al 4 dicembre, data in cui partirò per il ritiro, ho aumentato il ritmo ma non troppo. Ho tre blocchi di lavoro che mi serviranno per cambiare marcia.

Cecchini e Viviani a ruota di Thomas alla scoperta delle strade intorno a Los Angeles
Cecchini e Viviani a ruota di Thomas alla scoperta delle strade intorno a Los Angeles
Nello stesso periodo c’è stato il ritiro a Noto della nazionale di pista, tu e Villa vi eravate confrontati su una tua possibile assenza?

Al ritiro di Noto non era presente nessuno dei corridori principali, era un ritrovo per gettare le basi della strada, riservato in particolare alle donne, ai ragazzi U23 e quelli che militano nelle continental. Anche nei ritiri di dicembre noi corridori dei team WT passeremo più tempo con le squadre. Il primo ritrovo dove siamo chiamati tutti ad essere presenti è quello prima di Natale, dal 20 al 23 dicembre. In quel caso Villa non ammetterà assenze.

Artuso: «Al Tour abbiamo visto il miglior Hindley»

26.07.2023
4 min
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Uno dei corridori sui quali si era posta maggiore attenzione, per quanto riguarda l’ultimo Tour de France, era Jai Hindley. L’australiano della Bora-Hansgrohe, vincitore del Giro d’Italia 2022, era atteso a questo importante banco di prova. Con Paolo Artuso, preparatore del team tedesco, avevamo parlato del tema legato ai giorni di corsa. Così, guardando la classifica del Tour, che ha visto Hindley piazzarsi in settima posizione finale, abbiamo contato i giorni di corsa fatti. L’australiano ha messo in cascina, prima della Grande Boucle, 40 giorni di gara, rispetto a numeri più contenuti degli altri corridori. 

Nella tappa numero cinque Hindley ha centrato la fuga, ha vinto la tappa e preso la maglia gialla, persa il giorno dopo a Cambasque
Nella quinta tappa Hindley ha centrato la fuga, ha vinto la tappa e preso la maglia gialla, persa il giorno dopo a Cambasque

Partenza dall’Australia

Il calendario di Hindley si è aperto nel mese di gennaio, dall’Australia, casa sua. Debutto alla Schwalbe Classic e poi ritorno al Tour Down Under, dopo due anni di assenza. Fin dopo la conquista della maglia rosa, Hindley, si era lasciato andare dicendo che sentiva parecchio la mancanza di casa. Normale per un corridore che da anni non tornava in Australia, così a gennaio, appena è stato possibile, ha preso un aereo in direzione Perth. 

«Ci aveva manifestato questa volontà fin da subito – dice Artuso – d’altronde era da prima del Covid che non vedeva la sua famiglia. Abbiamo così deciso di improntare la stagione partendo proprio dall’Australia e “modificando” la sua preparazione».

Hindley ha iniziato la sua stagione al Tour Down Under dopo due anni di assenza
Hindley ha iniziato la sua stagione al Tour Down Under dopo due anni di assenza
In che modo?

Niente training camp con la squadra a gennaio, ma le cinque tappe del Tour Down Under (più la Schwalbe Classic e la Cadel Evans Great Ocean Road Race, ndr). A febbraio si è fermato, ha fatto tanti giorni di allenamento, ed è tornato in gara all’Algarve.

Partendo così presto però Hindley è arrivato al Tour de France con 40 giorni di corsa, il doppio rispetto a Vingegaard, Pogacar e Rodriguez…

Premetto che nella preparazione di Hidley non cambieremmo nulla. Era chiaro che la sua presenza al Tour non poteva essere legata ad un tentativo di vittoria, i primi due sono di un altro livello. Il primo in particolare (Vingegaard, ndr). L’obiettivo era quello di lottare per il podio e fino alla caduta era in gioco. 

Rodriguez, diretto rivale per il podio, è stato quello che ha corso di meno, 20 giorni.

Il suo caso è interessante, fino a giugno aveva messo insieme solo 11 giorni di corsa. Poi sul podio ci è finito Adam Yates, che ha corso più di Rodriguez. Se devo dire un nome che mi ha sorpreso, dico proprio lui. Ma da questo punto di vista a livello tecnico si è capita una cosa importante.

Il passaggio al Catalunya è stato ritenuto più adatto, per tipo di percorso e salite
Il passaggio al Catalunya è stato ritenuto più adatto, per tipo di percorso e salite
Quale?

Che per performare al meglio serve arrivare freschi sia a livello fisico sia a livello mentale. Il futuro va sempre più verso un corridore che corre meno e si allena molto, soprattutto in altura. In allenamento sei tu che gestisci i tuoi impegni, come e quanto spingere e tutte le altre variabili. In gara sei più preda degli eventi. 

Il fatto di aver iniziato così presto, quindi, non ha influenzato negativamente Hindley?

Secondo me no, anzi. L’essere tornato a casa gli ha fatto bene, sicuramente ha potuto smorzare lo stress e riposare. Dal punto di vista fisico nemmeno, perché i numeri di Jai erano gli stessi del Giro dello scorso anno. Il livello di gare che c’era in Australia non era di certo elevato, e lui non è arrivato al massimo. Abbiamo usato la corsa di casa proprio come un allenamento. 

Hindley al Tour ha replicato i numeri che gli hanno permesso di conquistare la maglia rosa nel 2022
Hindley al Tour ha replicato i numeri che gli hanno permesso di conquistare la maglia rosa nel 2022
Poi però è andato alla Vuelta Algarve, alla Tirreno e al Catalunya, mettendo più fatica nelle gambe rispetto agli avversari. 

L’unica cosa che si potrebbe fare, forse, è ricalibrare leggermente gli appuntamenti. Inizialmente doveva fare i Baschi, ma il percorso del Catalunya era più adatto e con lui abbiamo deciso di correre lì. 

Al Giro lo scorso anno arrivava con 26 giorni di corsa, sicuramente più fresco e riposato…

Giro e Tour sono totalmente diversi. I mesi che precedono la corsa rosa sono pochi ed il percorso di avvicinamento è pressoché unico. Al Tour no, nei primi dieci abbiamo visto altrettanti metodi di approccio. Hindley al Tour è arrivato pronto, i numeri lo dicono, tutto si corre al limite e gli imprevisti ci sono. La caduta lo ha sicuramente influenzato, anche Rodriguez ha subito una brutta caduta perdendo la possibilità di lottare per il podio.

Si parte da Australia e Argentina: come cambia la preparazione?

08.01.2023
5 min
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Tra pochi giorni si riparte, la stagione 2023 inizierà, come non succedeva da due anni, dall’Australia e l’Argentina. Con il calendario che torna nuovamente a dimensioni pre-Covid cambiano, o meglio tornano, i vecchi sistemi di preparazione. Arrivare pronti a gennaio non è semplice, ce lo ha spiegato anche Ulissi presentandoci il Santos Tour Down Under. Come organizzano la preparazione le varie squadre, in che modo gli allenatori lavorano per ottimizzare i carichi di lavoro? Paolo Slongo, tecnico della Trek-Segafredo ci aiuta a comporre questo puzzle.

Al ritiro di Calpe a dicembre, Slongo con Elisa Longo Borghini, che segue da parecchi anni
Al ritiro di Calpe a dicembre, Slongo con Elisa Longo Borghini, che segue da parecchi anni

Obiettivi diversi

Ormai nel ciclismo si lavora per programmi, gettare delle basi fin dall’inverno è molto importante. D’altronde le case si costruiscono da fondamenta solide. 

«Il discorso ruota intorno a due punti – esordisce Paolo Slongo – il primo è capire gli obiettivi della squadra. Il Tour Down Under e la Vuelta a San Juan sono corse importanti, iniziano a dare i primi punti. In secondo luogo i team devono fare i conti anche con i corridori a disposizione. C’è chi punta a fare bene in quelle corse, come Porte quando era con noi. Ci sono anche corridori che non hanno obiettivi di classifica ma ripartono per fare chilometri e giorni di gara. Se si guarda ai dati che Porte registrava al Down Under si capisce come fosse già estremamente competitivo. Sono numeri che altri corridori facevano solo da marzo in poi».

Durante il ritiro di dicembre la Trek-Segafredo ha diviso i propri corridori in quattro gruppi, a cui si aggiunge il quinto delle donne
Nel ritiro di dicembre la Trek ha diviso i corridori in quattro gruppi, a cui si aggiunge il quinto delle donne

Programmazione da lontano

Lo stesso Diego Ulissi, nel corso della nostra precedente intervista, ci aveva raccontato come la sua presenza in Australia fosse programmata già da ottobre, prima ancora di chiudere la stagione. 

«E’ vero – riprende Slongo – anche noi in Trek dopo il Giro di Lombardia facciamo una riunione per decidere le prime gare della stagione che verrà. Si sentono prima i ragazzi e si cerca di capire chi è motivato per partire fin da subito e chi no. Noi membri dello staff possiamo dare un parere su chi debba iniziare a correre prima, ma se il corridore non è convinto si rischia di fare un lavoro controproducente. Solitamente si mandano a queste corse i corridori che, per un motivo o per l’altro, hanno terminato la stagione anzitempo».

Chi come Baroncini ha interrotto prima la stagione riparte a correre da subito, Filippo sarà in Australia
Chi come Baroncini ha interrotto prima la stagione riparte a correre da subito, Filippo sarà in Australia

Gruppi differenti

Da qui nascono le esigenze di squadra, lo staff programma il primo ritiro, ed il precedente lavoro a casa, in base al calendario dell’atleta. 

«Quando si parte a correre da gennaio – spiega il preparatore della Trek – si gettano le basi fin dai primi giorni di novembre. L’atleta è chiamato a fare tanta base fin da subito per poi accelerare quando si va in ritiro a dicembre. Chi, al contrario, inizia a correre a febbraio riprende la bici praticamente un mese dopo e lavora molto meno a casa. Questa differenziazione è dovuta al fatto che il mondo del ciclismo è cambiato, dieci anni fa si arrivava alle prime corse meno preparati e si costruiva la condizione in corsa».

I corridori come Ciccone che faranno il Giro avranno un inizio più soft e cominceranno a correre più avanti
I corridori come Ciccone che faranno il Giro avranno un inizio più soft e cominceranno a correre più avanti

Gestione del ritiro

Quando si prende l’aereo per volare al caldo nei primi ritiri in terra spagnola il lavoro è ormai già ben avviato, o meglio programmato. Gli atleti, a seconda delle esigenze delle squadre, vengono divisi in gruppi. Nicola Conci ci aveva spiegato che la Alpecin divide i corridori in tre gruppi: velocisti, uomini delle Classiche e scalatori. 

«In Trek – ci racconta Slongo – i gruppi di lavoro sono quattro: velocisti, corridori delle classiche, chi fa il Giro ed infine i giovani o convalescenti da vari infortuni. Un altro esempio che posso fare è legato anche alle nazionalità: da noi in Trek ci sono tanti danesi, da loro fa molto freddo e fanno fatica ad allenarsi, quindi mandarli a correre in Australia o Argentina è utile per lavorare meglio».

Tiberi segue il percorso di crescita e per la prima volta andrà a correre fuori dall’Europa
Tiberi segue il percorso di crescita e per la prima volta andrà a correre fuori dall’Europa

Gli allenamenti

Cerchiamo di capire, infine, come si differenziano quindi i vari giorni di allenamento. 

«Chi corre in Australia ed Argentina – conclude Slongo – arriva al ritiro di dicembre con un livello di preparazione più alto. Loro fanno un tipo di lavoro più mirato, di maggiore intensità: soglia, fuori soglia ed anche piccole gare da 4-5 chilometri in salita. Insomma li si abitua al ritmo gara. Il gruppo delle classiche, che iniziano a febbraio, lavora anche lui sulla qualità ma per molte meno ore, questi inizieranno a “spingere” nel ritiro di gennaio. I corridori più difficili da gestire sono quelli che corrono al Giro d’Italia. Non possono spingere forte fin da subito per non entrare in condizione troppo presto. Diciamo che il loro primo obiettivo è la Tirreno-Adriatico.

«I ragazzi con in programma il Tour de France, invece, sono più semplici da gestire, loro si “autogestiscono”. Chi vuole partire forte fin da subito può correre in Australia o Argentina, anche perché avrà il tempo di riposarsi e recuperare energie successivamente. Altri corridori con in programma il Tour preferiscono correre nelle Ardenne e riposarsi nel periodo di maggio».

Con Ulissi nei segreti del Tour Down Under che riparte

05.01.2023
5 min
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Dopo due anni di stop ripartirà il Tour Down Under, la prima corsa di livello WorldTour della stagione. Si tratta di una gara a tappe che ha sempre condito l’ultima metà di gennaio, che ha come cornice le strade ed i colori dell’Australia Meridionale. Regione non lontana da Wollongong teatro degli ultimi mondiali di ciclismo. 

Chi con la corsa australiana ha costruito un buon feeling è Diego Ulissi, il toscano nei suoi ormai 13 anni di carriera ha collezionato degli ottimi piazzamenti. Terzo nel 2014, quinto nel 2017, quarto nel 2018 ed infine secondo nel 2020. Quest’ultimo è il miglior risultato ottenuto da Ulissi in Australia.

L’ultimo vincitore del Tour Down Under, nel 2020, è stato Richie Porte
L’ultimo vincitore del Tour Down Under, nel 2020, è stato Richie Porte

A ruota di Ulissi

Il corridore della UAE Emirates ci porta con sé tra i ricordi e le curiosità del Tour Down Under. Una corsa che si gioca sempre sul filo dei secondi dato che il percorso non presenta grandi difficoltà altimetriche.

«Il Down Under – spiega dalla sua calda toscana Ulissi – è fondamentalmente una delle gare meglio organizzate a livello mondiale. E’ sempre stato un piacere andarci, anche se il viaggio è davvero lungo. Il clima è bellissimo, soleggiato e parecchio caldo (in Australia ora è estate, ndr). Il fuso orario è tosto da assorbire quindi è meglio andare lì il prima possibile così da adattarsi al nuovo ritmo di vita. Si tratta della prima gara WorldTour, quindi ci sono tanti punti in ballo ed un grande livello di competizione. Una corsa come il Tour Down Under si programma già dal finale della stagione precedente».

Giacomo Nizzolo, Tour Down Under 2020
Nel 2020 l’unica vittoria italiana è arrivata grazie allo sprint vincente di Giacomo Nizzolo
Giacomo Nizzolo, Tour Down Under 2020
Nel 2020 l’unica vittoria italiana è arrivata grazie allo sprint vincente di Giacomo Nizzolo

Il percorso

Fino al 2020, l’ultima volta in cui si è disputato, il Tour Down Under prevedeva sei tappe con un percorso sempre mosso. Quest’anno le tappe sono sempre sei, ma è stato aggiunto un prologo iniziale di sei chilometri che si correrà nella città di Adelaide

«Non sono presenti grandi salite lungo le varie tappe – riprende Ulissi – di conseguenza i distacchi si mantengono minimi. Diventano importanti i piazzamenti, nel 2020 sono arrivato a pari tempo con altri tre corridori (Dennis, Geschke, Van Baarle, ndr) ed ho guadagnato il secondo posto in classifica generale grazie ai piazzamenti. Questo per dire che se si vuole fare classifica al Tour Down Under bisogna arrivare preparati e correre sempre nelle prime posizioni del gruppo.

«Quest’anno, con l’aggiunta di un prologo all’inizio – continua Ulissi – che di conseguenza toglie una tappa in linea, aumenterà l’importanza degli abbuoni e dei piazzamenti. Una cronometro all’esordio, anche se di sei chilometri, è pur sempre un fattore determinante. Perdere quindici o venti secondi può escludere alcuni corridori dalla lotta per la vittoria finale».

In una corsa come il Tour Down Under bisogna sempre farsi trovare pronti, anche pochi secondi possono essere determinanti
In una corsa come il Down Under non si possono perdere nemmeno pochi secondi, bisogna correre davanti

La grande assente: Willunga

Rispetto alle edizioni prima della pandemia il Tour Down Under ha perso il suo “giudice” ovvero la salita di Willunga. Non una grande ascesa come la intendiamo noi ma comunque un bel trampolino di lancio per tentare di scavare un solco, seppur minimo, in classifica generale. Per aumentarne l’importanza la salita di Willunga era inserita nell’ultima o penultima tappa. 

«E’ sempre stata la salita più lunga del Tour Down Under – dice – che inevitabilmente decideva le sorti della classifica generale. Richie Porte è il re di quella salita (il tasmaniano dal 2014 al 2020 non è mai uscito dai primi due sul traguardo di Willunga, sei vittorie ed un secondo posto, ndr). Si tratta di un’ascesa di quattro chilometri con punte massime all’otto per cento, gli ultimi cinquecento metri sono praticamente piani, è una salita da rapportone».

La salita di Willunga è terreno di caccia del tasmaniano, per lui in 8 anni ben 6 vittorie
La salita di Willunga è terreno di caccia del tasmaniano, per lui in 8 anni ben 6 vittorie

I corridori di casa

Nelle ventidue edizioni del Tour Down Under i corridori di casa si sono aggiudicati per tredici volte la classifica finale. Un dato che evidenzia come questa corsa sia fondamentale per il movimento ciclistico del Paese. 

«E’ molto difficile equiparare lo stato di forma dei corridori australiani – conferma Ulissi – si allenano su quelle strade da mesi. In più il caldo incide, noi andiamo a fare la preparazione in Spagna ma per la maggior parte del tempo ci alleniamo al freddo. Il percorso non è difficile ma è un continuo sali e scendi, in più i corridori australiani sono spinti anche da una grande motivazione. Si tratta della gara di casa ed una delle poche che ci sono nel loro Paese, quindi hanno voglia di mettersi in mostra».

Il pubblico australiano si è sempre presentato il gran numero sulle strade della corsa
Il pubblico australiano si è sempre presentato il gran numero sulle strade della corsa

Logistica

In una corsa dall’altra parte del mondo è importante arrivare sempre con una grande organizzazione, sia per quanto riguarda gli hotel che gli spostamenti.

«In Australia ci siamo sempre trovati benissimo – conclude Ulissi – le tappe si svolgono sempre nella stessa zona intorno ad Adelaide. L’hotel dove si alloggia è sempre lo stesso, non cambia mai per tutta la durata della corsa e questo è una grande comodità. Siccome le tappe si svolgevano sempre nella zona di Adelaide gli spostamenti tra hotel e partenza o arrivo e hotel li abbiamo quasi sempre fatti in bici. E’ un bel modo per evitare stress e per aggiungere chilometri nelle gambe. Le tappe sono sempre abbastanza corte, intorno ai 150 chilometri e quindi mettere qualche ora in più non è male».