Hofstetter 2022

Hofstetter, la parabola vincente di un “non vincente”

25.03.2022
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Le Samyn 2020. La gara si è appena conclusa e il vincitore, Hugo Hofstetter, piange a dirotto. Non riesce proprio a fermarsi, tanto che chi gli è intorno inizia a preoccuparsi: «Hugo, perché piangi così?». «Voi non capite… Vincere è così difficile e io non sono un vincente. Per questo sono felice, perché per vincere ho dovuto lavorare davvero tantissimo». Prima di quella corsa aveva vinto solo una volta, una tappa al Tour de l’Ain 2018, dopo non vincerà più, almeno finora.

Perché allora portarlo agli onori della ribalta? Qualche giorno fa il sito specializzato Pro Cycling Stats, che archivia tutti i numeri statistici riguardanti il mondo delle due ruote, ha twittato una domanda: «Lo sapete chi è l’unico corridore che arriva sempre nella Top 10?». Il nome era il suo ed effettivamente, andando a leggere la sua scheda, la sua costanza di risultati è impressionante: quest’anno, su 21 giorni di gara, c’è riuscito 11 volte, di cui ben 8 consecutive, tra classiche belghe e Volta a Catalunya, con 3 secondi posti e 4 terzi.

Hofstetter bimbo
Hugo Hofstetter è nato il 13 febbraio 1994. E’ professionista dal 2015
Hofstetter bimbo
Hugo Hofstetter è nato il 13 febbraio 1994. E’ professionista dal 2015

Un patrimonio per molti team

Qualche giorno fa si parlava dell’importanza di un corridore, soprattutto un velocista, per una squadra: il team ha bisogno di corridori vincenti, si diceva, perché sono quelli che danno immagine. E’ vero da un certo punto di vista, ma proviamo a guardare l’altro lato della medaglia. Molte squadre hanno oggi bisogno di punti, per poter restare nel World Tour o riuscire a entrarci. E per simili team uno come Hofstetter è una vena d’oro, che porta carrettate di punti. All’Arkea Samsic lo sanno bene, lo hanno prelevato dall’Israel Start Up per questo e ogni settimana si fanno i loro conti, sapendo che ogni euro versato sul suo stipendio è speso bene.

Hofstetter ha trovato la sua dimensione e non è poco per uno che è arrivato al ciclismo molto tardi e che è passato pro’ a 22 anni. Prima, aveva fatto di tutto, dal calcio alla scherma, dall’atletica persino alla danza. Poi però ha pensato che la scelta giusta l’aveva fatta sua sorella Margot, appassionata di ciclismo e seguendola se ne è innamorato anche lui. Ma ha capito subito che doveva cercarsi un ruolo che non era certo quello del campione.

Garçon, champagne per tutti…

Beh, qualche vittoria l’aveva ottenuta anche lui, in fin dei conti nel 2013 è stato proprio Hofstetter a iscrivere il suo nume nell’albo d’oro del campionato francese fra i dilettanti. Quel giorno ci credeva, aveva persino scommesso alla vigilia con i suoi compagni: «Se vinco verso champagne da bere a tutti». Alla sera, carta di credito alla mano, al bistrot ha offerto da bere a tutti, versando dalla bottiglia di sua mano…

Dicevamo però che campione, di quelli che vincono e si guadagnano le prime pagine dei giornali, non è un ruolo che gli confaceva. A Hugo però sono venuti utili gli insegnamenti che ha appreso appena entrato nel mondo delle due ruote: quando è passato fra gli Under 23 si è accorto innanzitutto che gli altri andavano molto più veloci di lui. Perché? Perché si allenavano molto di più e in maniera molto più concreta. Ma non basta: ha capito anche che, proprio per questa sua mancanza, non conosceva davvero i suoi limiti.

Hofstetter Marie 2021
Il corridore di Altkirch con la sua compagna Marie a cui ha dedicato un tatuaggio
Hofstetter Marie 2021
Il corridore di Altkirch con la sua compagna Marie a cui ha dedicato un tatuaggio

La bici, uno strumento musicale

Si è messo a lavorare di brutto, ma anche a riflettere. Quando è passato pro’, sapendo ormai quali erano i suoi limiti, ha capito che doveva lavorare sodo a ogni gara, ma non come il solito capitano. Poteva ritagliarsi un ruolo diverso, quello dell’eterno piazzato. Perché ci sono squadre che lo avrebbero cercato proprio per questa sua caratteristica, come si cerca la figurina rara nella collezione degli album o il giocatore che nel Fantacalcio ti assicura sempre la sufficienza piena.

Nel 2018 è stato per ben 24 volte tra i primi 10 e alla fine della stagione ha portato a casa sia la Coupe de France che l’Europe Tour. Molti addetti ai lavori si sono accorti di lui rimanendo sorpresi da questo suo modo di interpretare il ciclismo. Certamente non ortodosso, certamente poco attraente dal punto di vista della fantasia, ma estremamente redditizio.

Così si è cominciato a scavare, hanno iniziato a fermarlo a fine corsa, a chiedergli qualcosa e le sue risposte non sono mai banali, sono sempre frutto di ragionamenti. Non arriviamo alle filosofie di Guillaume Martin, ma le sue parole spesso fanno pensare, soprattutto il profondo giudizio che dà del ciclismo: «E’ la mia vita e la bici è il mio strumento musicale, che mi permette di esprimermi anche meglio delle parole.

Hofstetter Samyn 2022
Il corridore dell’Arkea Samsic all’attacco a Le Samyn 2022 al fianco di Trentin, che lo batterà allo sprint
Hofstetter Samyn 2022
Il corridore dell’Arkea Samsic all’attacco a Le Samyn 2022

La grande sfida con Trentin

«Devo tutto al ciclismo, perché mi ha dato una strada da percorrere per diventare l’uomo che sono. Mi ha insegnato i valori giusti, come il rigore e la disciplina senza i quali non vai da nessuna parte. Mi ha reso indipendente, economicamente ma non solo. Mi ha fatto diventare una persona degna, per questo onoro la bici ogni giorno, a ogni gara, perché al termine di ognuna di esse voglio sentirmi in pace con la coscienza per aver dato tutto quel che potevo».

Certo, il gusto della vittoria gli piacerebbe riassaporarlo. Ci ha provato spesso, ad esempio di nuovo all’ultima Le Samyn, ma si è trovato di fronte un Matteo Trentin che aveva forse ancora più fame di vittorie: «Eravamo i due che avevano lavorato di più perché quella fuga andasse in porto. Nella volata sono rimasto bloccato per un secondo e ho perso l’attimo giusto, ma forse era lui il più forte ed è stato giusto così». Le parole di un “non vincente”, che però nel ciclismo attuale ha tutti i diritti di esserci.

Dall’esempio di Verre, riflessioni sul passaggio tra i pro’

22.09.2021
5 min
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Alessandro Verre, under 23 di secondo anno passato a fine 2020 dal Team Casillo alla Colpack-Ballan, diventerà professionista il prossimo anno alla Arkea-Samsic con contratto triennale. Il piccolo lucano, molto forte in salita, è stato in alcuni momenti una delle note liete della stagione. Ha vinto tre volte. A Corsanico, nella tappa di Pollein al Val d’Aosta e al Trofeo Città di Meldola, ottenendo inoltre alcuni piazzamenti interessanti. Secondo le logiche del ciclismo di un tempo, quello in cui si cresceva nella squadra dei dilettanti per essere pronti al grande salto, dopo un primo anno così convincente, prima del passaggio avrebbe avuto bisogno di un’altra stagione per consolidarsi. Secondo le logiche del ciclismo di oggi e vedendo lo sport come un lavoro, perché non dovrebbe passare?

Alessandro Verre vince il Trofeo Città di Meldola: è il 18 aprile, prima vittoria stagionale
Alessandro Verre vince il Trofeo Città di Meldola: è il 18 aprile, prima vittoria stagionale

Non ancora vent’anni

Verre compirà 20 anni il prossimo 17 novembre. E’ forte in salita, ma al confronto con compagni già maturi come Baroncini e Gazzoli avrebbe forse bisogno di formarsi ancora.

«A chi lo avrà il prossimo anno – dice il suo direttore sportivo Antonio Bevilacqua – suggerirei di seguirlo con più attenzione negli allenamenti, di parlarci più di quello che si fa abitualmente con un corridore esperto. Lui è forte e talentuoso e per la preparazione si fa seguire da Pino Toni. Magari continuerà a lavorarci ancora. E’ stato un po’ una sorpresa il fatto che abbia deciso di passare, avrebbe potuto fare qualche corsa tra i professionisti anche con noi, ma ha deciso così e per questo gli facciamo i migliori auguri».

Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana. Le sue considerazioni sul passaggio sono molto interessanti
Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia. Le sue considerazioni sul passaggio sono interessanti

Una corsa sfrenata

Verre per gli allenamenti lo segue Pino Toni, si diceva. E a lui ci rivolgiamo per capire se il ragazzo sia veramente pronto per il passaggio.

«Analizziamo i fatti – dice – i procuratori iniziano a collaborare con ragazzi sempre più giovani e chiaramente devono immetterli nel mercato del lavoro. Li propongono alle squadre a discapito di quelli che ci sono già. I posti nel mondo del professionismo sono quelli, per mettere dentro uno nuovo, tolgo spazio a uno che c’è già, che sia mio o di un altro. Il lenzuolo è corto. E magari ragazzi che hanno fatto solo due anni di professionismo e non hanno avuto i risultati che ci si aspettava, ragazzi su cui le squadre potrebbero investire ancora, si ritrovano senza lavoro. Io mi domando, l’atleta che smette è stato “bruciato” dalla precocità atletica o dalla ricerca sfrenata del fuoriclasse? Tutti vogliono proporre il giovane perché sperano di avere il Pogacar e il Bernal che a 20-22 anni vince il Tour. Quindi bruciano quelli passati prima».

Alessandro Verre è uno scalatore molto forte: classe 2001, compirà 20 anni a novembre
Alessandro Verre è uno scalatore molto forte: classe 2001, compirà 20 anni a novembre

Caccia al fenomeno

Il sistema è chiaro, il meccanismo sotto gli occhi di tutti. Se le continental protestano, si ritrovano contro i procuratori che ormai presidiano il fronte e hanno sui corridori maggior ascendente rispetto ai direttori sportivi. E così il meccanismo che si è messo in moto a fine 2018, quando Evenepoel ha sbalordito il mondo, va avanti a tutto vapore.

«Io spero che fra qualche anno cambierà – dice ancora Bevilacqua – perché non tutti sono fenomeni. E magari anche le squadre dei professionisti ci penseranno bene prima di prendere così tanti ragazzini. La sensazione però è che abbiano tutti paura di perdere il fenomeno, per cui continuano a farli firmare giovanissimi. Mi chiedo se chi investe nelle squadre continental o quelle dei dilettanti andrà avanti a oltranza, sapendo che basta un piazzamento per perdere il corridore su cui ha investito».

Lo staff tecnico della Colpack-Ballan al gran completo, con Valoti, Rossella Di Leo, Ayuso, Antonio Bevilacqua e Flavio Miozzo
Lo staff tecnico della Colpack-Ballan al gran completo, con Valoti, Rossella Di Leo, Ayuso, Antonio Bevilacqua e Flavio Miozzo

L’età giusta

A un certo punto, insomma, ti rendi conto che lo standardi per il passaggio al professionismo non dipende dal livello tecnico raggiunto e dalla maturazione dell’atleta, bensì dalla capacità del mercato di assorbire nuovi atleti a scapito degli altri.

«A che età si è pronti per andare a lavorare? E’ un dilemma – riprende Toni – è chiaro che se le squadre continental ti dessero la tranquillità di uno stipendio, anche Verre potrebbe restare ancora nella categoria con i giusti stimoli. Ma come fai a suggerirgli di fare un altro anno con un rimborso spese se di là ti propongono uno stipendio superiore a quello di un impiegato di banca? Se lo seguirò ancora? Non lo so, abbiamo lavorato benissimo e c’è stima di entrambi, ma quando sei professionista devi anche attenerti a quello che ti scrivono sul contratto, per cui vedremo. Difficile dire se sia troppo giovane per passare, ma di sicuro ormai è diventato tutta una corsa al ribasso. Magari c’è anche un aspetto economico, nel senso che un corridore giovane ti costa sicuramente meno e ha meno pretese. La storia dice che tanti si sono bruciati, ma tanti sono andati avanti. Magari arriveranno ai 32-33 anni e poi smetteranno, l’importante è che abbiano preso dal ciclismo quello che potevano, prima di entrare per tempo nel mondo del lavoro».

Verre all’Arkea. «I tempi cambiano, ho colto l’occasione»

28.08.2021
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La notizia era arrivata durante il Tour de l’Avenir, quando anche noi eravamo in Francia: Alessandro Verre passerà professionista con l’Arkea Samsic. Un passaggio, quello del corridore della Colpack Ballan, che ci ha sorpreso visto che non si tratta una destinazione consueta per i giovani italiani, ma potremmo dire per i corridori nostrani in generale, visto che solo Diego Rosa ne fa parte (ed è in scadenza di contratto). Pertanto, se vogliamo, c’è ancora più curiosità.

Alessandro Verre vince il Trofeo Città di Meldola, il suo primo trionfo stagionale
Alessandro Verre vince il Trofeo Città di Meldola, il suo primo trionfo stagionale
Alessandro, cosa ci dici di questo passaggio?

Non è che ci abbia pensato più di tanto: ho scelto e via. Adesso la priorità è finire la stagione. Ora però sono più tranquillo e il prossimo anno si vedrà. E’ tutto da scoprire.

Come mai hai scelto l’Arkea?

Perché è stata l’unica squadra che mi ha fatto una proposta convincente in merito alla mia crescita personale. Penso sia la squadra giusta per me: né troppo grande, né troppo piccola. Un team dove potrò avere i miei spazi. Assieme al mio procuratore Acquadro abbiamo scelto quello che crediamo essere il meglio. 

C’è già qualcuno che conosci?

A dire il vero no. Barguil, Quintana… i grandi nomi sì, ma personalmente non conosco nessuno.

Che ambiente ti aspetti di vivere?

Sicuramente sarà tutto un altro mondo, si ricomincerà tutto da zero. E se all’Avenir mi è sembrato che volavano dal prossimo anno sarà sempre così! 

Hai già parlato con qualcuno della squadra?

Sì. Con il team manager (che in realtà sono due: Emmanuel Hubert e Guillaume Letanneur, ndr). Io parlato con Hubert e con gli addetti stampa. Poi ripeto, adesso sto pensando a finire la stagione e restare concentrato.

Come è andata la trattativa?

Abbiamo concluso tutto prima del del Tour de l’Avenir e sono sincero: alla fine l’Arkea è stata l’unica squadra tra le tante che si sono proposte a mettere nero su bianco. Sì, tante proposte, tante parole… io ho cercato di cogliere l’occasione. Anche perché, sapete, adesso in Italia sta cambiando un po’ il movimento. Vedi gli juniores che passano direttamente al professionismo, passano tutti molto giovani e magari fare un altro anno tra gli under poteva quasi diventare rischioso. Metti un infortunio in inverno, una caduta o una mononucleosi per dire… poteva diventare un bel problema per il futuro.

Verre, classe 2001, è un ottimo scalatore e anche a crono si difende
Alessandro Verre, classe 2001, è un ottimo scalatore e anche a crono si difende
Hai detto di aver avuto più offerte, come mai non hai scelto una WorldTour?

Perché mi piace il progetto dell’Arkea e a volte è meglio andare in squadre piccole, che poi piccole non sono visto il calendario che fa l’Arkea, che in una WorldTour vera e propria. Posso crescere meglio.

Quando dici progetto cosa intendi?

Eh – ride Verre – non posso dirlo…

Beh, proviamo a rispondere noi stessi. Si vocifera, come ormai succede da un po’, che il team francese possa fare il salto nella prima fascia, il WorldTour appunto. E che, a prescindere da questo salto o meno, possa finalmente prendere parte al Giro d’Italia, tanto più che quest’anno ci è andata molto vicina. In tal senso la presenza di un italiano fa gioco alla squadra transalpina.

Noi intanto aspettiamo il lucano di Marsicovetere tra i grandi. Siamo curiosi di vederlo all’opera. Il motore c’è, la grinta anche, ex biker e ciclocrossista sa guidare anche molto bene… Forse gli manca un po’ di costanza, ma magari senza l’assillo di dover dimostrare tutto subito la potrà trovare. Intanto in tasca ha un biennale. Verre è un bel patrimonio del nostro ciclismo: speriamo che l’Arkea lo tuteli bene.

Dov’è finito Diego Rosa? Corre poco. E su Aru dice che…

17.08.2021
4 min
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Prima il controllo antidoping alle 6,30 e di conseguenza Diego Rosa è uscito in bici prima del solito. A quel punto, rientrato a casa, è salito in auto con sua moglie Alessandra e il figlio Elia e se ne sono andati a prendere un po’ di fresco a Isola 2000. Detto questo, dove fosse finito il piemontese di stanza a Monaco era un bel mistero, che ci siamo proposti di svelare.

Il suo calendario 2021 è stato ricco fino a giugno, poi lasciata alle spalle la Settimana Italiana in Sardegna, i tempi fra una corsa e l’altra si sono dilatati. Tanto che la prossima corsa si svolgerà fra quattro settimane e la successiva dopo un buco di tre, prima di addentare le gare italiane. Almeno quelle cui l’Arkea-Samsic è stata accettata. Avendo declinato l’invito per il Giro di Sicilia, pare che non saranno al via di Gran Piemonte e Milano-Torino.

Nonostante le intenzioni, quest’anno Diego Rosa ha corso pochissimo con Quintana. Qui nelle Asturie
Nonostante le intenzioni, quest’anno Diego Rosa ha corso pochissimo con Quintana. Qui nelle Asturie

Il piano B

Il piano A prevedeva che Diego avrebbe corso assieme a Nairo Quintana, il piano B prevede la ricerca di un contratto per il 2022 con quella strana sensazione di essere ad agosto senza sapere che cosa si farà nella prossima stagione. Nel frattempo, un po’ per ingannare l’attesa e un po’ perché a Burgos il corridore che l’ha tirato giù gli ha sfasciato la bici da strada, Diego ha ripreso ad allenarsi con la mountain bike.

«E devo dire – sorride – che sto riscoprendo un mondo, vengono fuori dei grandi allenamenti anche divertenti. Ho idea che continuerò a usarla anche dopo. L’allenatore della squadra mi segue come può, ma è chiaro che mentre gli altri corrono, io devo cercare di simulare a casa un bel ritmo. Ci vorrebbe qualcuno per fare dietro moto tutti i giorni, ma chi ce l’ha?».

Alla partenza del Mont Ventoux Denivele Challenge, chiuso da Diego Rosa al 37° posto
Alla partenza del Mont Ventoux Denivele Challenge, chiuso da Diego Rosa al 37° posto

Aru che lascia

La curiosa piega della sua carriera iniziò quando lasciò l’Astana, la magica Astana che con Nibali, Aru e Landa scrisse grandi pagine di ciclismo fino al 2016. Diego fu uno dei primi ad andarsene, probabilmente avendo capito che non avrebbe trovato grandi spazi per sé e nel 2017 approdò al Team Sky.

«Alla Vuelta a Burgos – racconta – ho scambiato poche parole con Aru, così quando ho letto il suo annuncio sono caduto dal pero. Non è una decisione facile, dopo che sei riuscito a rimetterti in sesto. Devi avere le palle e sono contento per lui se ha capito che questa è l’unica via per essere felice. Il gruppo Astana si è sciolto come succede sempre. Eravamo tutti amici da una vita, ma si sapeva che Fabio e Vincenzo avessero offerte per andare via. Magari quella scelta non ha sistemato la carriera, ma ha messo a posto la vita. Abbiamo fatto delle scelte, poi ognuno ha continuato per la sua strada».

Alla Freccia Vallone 2021, in fuga con Vervaecke e Velasco
Alla Freccia Vallone 2021, in fuga con Vervaecke

Alti e bassi

Partecipare al Giro di Sicilia gli avrebbe fatto gola, ma pare che il problema fosse logistico, per la troppa vicinanza in calendario della corsa successiva e la difficoltà nello spostare i mezzi. 

«Per cui – dice – l’ultima corsa di stagione potrebbe essere il Lombardia, cui partecipiamo grazie alla classifica Uci. Devo dire che in questa situazione ho un po’ di alti e bassi. Certi giorni dico che potrei smettere, ma mi darebbe fastidio uscire così, quasi di nascosto. Stiamo valutando varie situazioni, ma a quelli cui ho parlato ho chiesto prima di vedere il programma e poi l’ingaggio. Vorrei correre ancora, ma non voglio farlo a tutti i costi. Perciò ora mi organizzo con la mountain bike per passare le prossime tre settimane. E per il resto sto bene. La vita a Monaco procede bene, la famiglia gode di ottima salute. Magari ci vediamo alle corse italiane di fine stagione…».

Ultimate CF SLX 8 Disc TDF: la Canyon per il Tour de France

30.06.2021
3 min
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Per omaggiare al meglio la Grande Boucle e coerente con la sua creatività, Canyon presenta un modello speciale in edizione limitata: la Ultimate CF SLX 8 Disc TDF.

Il marchio tedesco, che fornisce le bici alla Arkea-Samsic e alla Alpecin-Fenix (squadre invitate grazie alle wild card), ha deciso di intervenire su un telaio di classe mondiale che ha già vinto tre grandi Giri e due campionati del mondo. E ha scelto di farlo proprio per la corsa francese.

Ecco la Canyon in edizione speciale per il Tour: solo 108 esemplari
Ecco la Canyon in edizione speciale per il Tour: solo 108 esemplari

Onore al Tour

Il Tour de France è la più grande finestra che permette di affacciarsi sul mondo del ciclismo, con collegamenti dalle radio e televisioni di tutto il mondo, con centinaia di giornalisti collegati. E’ l’evento ciclistico annuale più importante al mondo ed il più importante tra i grandi Giri, tre settimane dove tutto è possibile, con l’iconico arrivo a Parigi sugli Champs Elysèes, la passerella finale che ogni corridore ambisce percorrere.

Il riferimento sul telaio della CF SLX 8 Disc TDF resta al gioco delle carte
Il riferimento sul telaio della CF SLX 8 Disc TDF resta al gioco delle carte

Come Joker

Il disegno sulla Ultimate CF SLX 8 Disc TDF ha una fantasia particolare, infatti il motivo del telaio è quello di un mazzo di carte, con il simbolo del Joker sul tubo centrale (foto di apertura). Simbolo che sembra richiamare anche un ermellino stilizzato, per rendere omaggio alla regione di partenza, la Bretagna.

E’ stato un momento speciale per il team locale dell’Arkea-Samsic, infatti la squadra fondata a Rennes ha avuto l’onore di sfoggiare questo particolare modello di bici sulle strade di casa. Il corridore che ha avuto il privilegio di portarla in corsa è stato Elie Gesbert, atleta bretone della squadra.

La scelta di questo motivo come disegno del telaio è un richiamo alla tradizione del gioco delle carte nel mondo del ciclismo, infatti ai tempi di Eddy Merckx i corridori passavano gran parte del tempo libero praticando questo passatempo.

La Arkea-Samsic ha concesso l’onore di guidarla a Gesbert
La Arkea-Samsic ha concesso l’onore di guidarla a Gesbert

Montaggio Sram

L’allestimento sulla Ultimate CF SLX 8 Disc TDF vede il gruppo è lo Sram Force eTap AXS disc a 12 velocità, è di Sram anche il misuratore di potenza, supportato dal leggero ed ergonomico cockpit in carbonio CP10 sviluppato da Canyon, le ruote sono le DT Swiss ARC 1400 Dicut con cerchi da 50 mm, anch’esse in carbonio.

Solo 108 esemplari

In occasione dell’edizione numero 108 del Tour de France, solo 108 biciclette Ultimate CF SLX 8 Disc TDF saranno disponibili alla vendita da oggi sul sito di Canyon. In regalo la bici sarà fornita con uno speciale mazzo di carte disegnato dalla casa tedesca, con lo stesso motivo raffigurato sul telaio della bici.

Un’idea simpatica ed innovativa, con un occhio rivolto al passato e l’altro al futuro, un modello che rende omaggio alla tradizione per celebrare al meglio la Grand Départ di Brest.

www.canyon.com

La faticosa rincorsa di Nairo Quintana

27.04.2021
4 min
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Un doppio intervento alle ginocchia a ottobre, poi due mesi di rieducazione e soltanto a gennaio Nairo Quintana è riuscito a tornare in bicicletta e iniziare la sua rincorsa a piccoli passi. Non certo il modo migliore per iniziare la preparazione invernale e per questo sin dalle prime uscite, il colombiano ha dovuto stringere i denti. Anche se sulle salite il modo di mettere fuori il naso l’ha pure trovato. Il bello di quando hai un talento speciale è che in apparenza ti viene tutto facile.

Con il fratello e il piccolo Santiago Umba, suo pupillo e compaesano, che corre alla Androni
Con il piccolo Santiago Umba, suo pupillo, che corre alla Androni

Debutto affrettato

Quintana infatti ha debuttato al Tour de la Provence, chiudendo al 9° posto. E’ stato poi 4° a Larciano e in una Tirreno-Adriatico di grande fatica, ha comunque strappato il quinto posto a Prati di Tivo. Ma la condizione che arriva in fretta, altrettanto rapidamente se ne va. Per cui al Catalunya s’è trattato solo di stringere i denti e accumulare fatica e lavoro, mentre al Tour of the Alps, grazie a una fuga c’è scappato il quarto posto di tappa a Pieve di Bono, nella tappa vinta da Pello Bilbao.

«Come sempre – ha detto quel giorno sul traguardo – speravo in qualcosa di più. Mi sono difeso meglio in discesa che in salita. Mi sentivo a mio agio e sono riuscito a superare diversi corridori. Non sono nelle migliori condizioni fisiche possibili. Sto cercando di completare questa rincorsa. Non c’è niente di sbagliato nel lavoro di squadra, in pianura o in montagna. Sono stati tutti fantastici. Alla fine, toccava a me riportare il risultato concreto di questo lavoro. Mi dispiace un po’ di non aver vinto perché speriamo tutti in una vittoria. Stiamo andando avanti, continueremo a lavorare».

Quarto a Pieve di Bono, dopo un gran lavoro della Arkea-Samsic
Quarto a Pieve di Bono, dopo un gran lavoro della Arkea-Samsic

L’istinto è quello di vincere, ma non si può ignorare il fatto che queste prime corse siano state il tentativo improbabile di costruire la base cui altri hanno lavorato sin da dicembre, una rincorsa che avrebbe meritato un miglior appoggio.

Come vanno le ginocchia?

Vanno un po’ meglio, ormai il processo di recupero è terminato e si sta chiudendo anche questo primo ciclo di competizioni, che è stato un inizio abbastanza difficile. Però tutto sommato sto bene.

Un’occhiata alla bici prima di partire: la Arkea corre su Canyon
Un’occhiata alla bici prima di partire: la Arkea corre su Canyon
In pratica hai costruito la base correndo?

Ho cominciato a gennaio con i primi allenamenti. Sono arrivato alle gare come in una rincorsa, con molta fretta e molta pressione. E il ritmo di gara è stato abbastanza alto, per cui non è stato facile sostenerlo e usarlo per fare dei lavori utili. Ma era necessario cominciare. Per fare la base che non ho fatto nella stagione invernale.

Perché non fare il Romandia?

Perché ho chiesto abbastanza al mio fisico. Per cui ora farò qualche altra piccola corsa (si parla della Vuelta Asturias, che parte il 30 aprile) e poi riposerò un poco. Quindi inizieremo la preparazione del Tour de France.

Un chiarimento con Carthy, compagno di fuga, alla fine del Tour fo the Alps
Un chiarimento con Carthy, compagno di fuga, alla fine del Tour fo the Alps
Tornerai in Colombia?

Stiamo vedendo se andare a casa, per il tema Covid, o se restare qui. In ogni caso farò lo stesso tipo di lavoro e anche quello andrà inquadrato. Dobbiamo preparare il Tour, sapendo che a causa di un percorso un po’ troppo veloce, per me sarà difficile lottare per la classifica generale. Però serve ottimismo, andiamo per fare bene.

E poi le Olimpiadi?

Mi piace tutto di questa idea e mi piace anche il percorso. Sono le prime Olimpiadi che faccio per il mio Paese e voglio fare bene. Stiamo uscendo da un’epoca difficile, però a poco a poco va passando. Speriamo nell’estate di portare qualche gioia.

Due biker alla Freccia! Rosa e Velasco nella fuga di ieri

22.04.2021
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Scusate, ma la Freccia Vallone non era una corsa su strada? E allora cosa ci facevano ieri due biker in fuga? A parte gli scherzi, il destino ha voluto che Simone Velasco e Diego Rosa, entrambi con un importante passato nella mountain bike, si ritrovassero in testa alla classica belga. I due sono stati fuori per 150 chilometri, più o meno.

E così, osservati speciali durante la corsa, li abbiamo acciuffati nel dopo gara. In cima al Muro d’Huy la strada spiana e lì i corridori sfilano per tornare con la strada “parallela” nei bus a valle. 

Simone Velasco (25 anni) è alle prime esperienze tra le Ardenne
Simone Velasco (25 anni) è alle prime esperienze tra le Ardenne

Debutto con fuga

Il primo è Velasco. Raggiungiamo l’elbano, mentre un massaggiatore gli passa una bottiglietta d’acqua e gli spiega come raggiungere i pullman appunto.

«Al momento – dice Simone – so che non posso ancora reggere i migliori su questi arrivi e quindi ci ho provato anticipando. Siamo andati fortissimo tutto il giorno in fuga. Io ho fatto il meglio che potevo, poi mi sono mancate un po’ di gambe nell’ultimo giro, ma ci stava. Avevo speso tanto. 

«Guardiamo avanti, alla Liegi. Tenteremo di attaccare di nuovo. E poi, ragazzi, prima o poi arriverà anche il nostro momento. Comunque è sempre un onore fare queste corse».

Velasco è soddisfatto. Per il corridore della Gazprom-RusVelo si tratta del debutto nella Campagna del Nord e nelle Ardenne. E’ venuto qui per fare il trittico. Amstel e Freccia in qualche modo le ha messe nel sacco, adesso tocca alla più dura, alla Liegi-Bastogne-Liegi.

«E’ la mia prima volta quassù – riprende Velasco – e devo prenderci un po’ le misure. Oggi è stata dura ma anche domenica scorsa sul Cauberg non è stata da meno. Infatti adesso voglio recuperare per bene in vista della Liegi, perché vi assicuro che sono morto! Domani voglio un po’, un bel po’, di relax. Anche perché poi venerdì andremo a provare il percorso di domenica prossima».

Rosa e Velasco protagonisti alla Freccia 2021
Rosa e Velasco protagonisti alla Freccia 2021

Chiacchiera da biker

Intanto proprio davanti a noi sfila Diego Rosa. Lo chiamiamo a gran voce. E Simone ci fa: «E’ biker anche lui! E oggi siamo stati compagni di fuga».

Diego si ferma, gira la bici e ci raggiunge. Nel frattempo Velasco ci confida: «Diego ha detto che mi deve una birra da un litro, lo aspetterò!».

Finalmente arriva il corridore dell’Arkea Samsic al quale chiediamo subito perché è in debito di una birra. «E’ vero gliela devo – ammette Rosa – ma solo se mi restituisce la maglia che gli ho messo in ammiraglia! Una bella birretta, stasera non ce la toglie nessuno di sicuro…». In pratica Velasco ha fatto un favore a Rosa facendogli lasciare una maglia che si era tolto nella propria ammiraglia.

In questo intermezzo molto da biker vista la birra, cogliamo l’occasione per chiedere a Rosa se anche lui come Velasco ad ottobre farà il mondiale Marathon. Diego però cambia espressione. Si fa serio e ribatte a Simone. «Perché tu fai il mondiale marathon?». L’elbano annuisce con la testa e ammette che ci vuol provare. Tanto più che si corre sui sentieri di casa, a Capoliveri, proprio all’Elba. A questo punto Rosa gli fa un paio di domande. Evidentemente la cosa lo stuzzica.

Diego Rosa (32 anni) in azione sul muro d’Huy
Diego Rosa (32 anni) in azione sul muro d’Huy

Rosa, la condizione e il Giro

Ma torniamo alla Freccia e sentiamo il piemontese.

«Abbiamo fatto una “specorata” oggi… (“specorare” in gergo significa fare molta fatica, ndr). Devo andare a vedere ancora i dati, ma credo che siamo andati davvero forte in fuga – dice Rosa, esattamente come Velasco – Cosa aggiungere: c’è gente più forte di noi.

«La fuga non era in programma. L’idea era di muoversi nel circuito finale. Poi invece mi sono ritrovato in un gruppo grande davanti, ho visto che dietro facevano fatica a rientrare nonostante fossero tutti in fila indiana e ho pensato: qui ci lasciano andare. Ci siamo mossi una volta sola, sia io che “Simo”. C’è stata un po’ di guerra prima, per entrare in quel gruppo davanti. Ma va bene così, come diceva un vecchio diesse italiano: il vento in faccia fa gamba. Speriamo abbia ragione!

«Io sono alla ricerca condizione. Con questa fuga mi sono fatto gran bel regalo e poi con una giornata come oggi, con il sole, queste gare sono ancora più belle. Purtroppo si sente la mancanza di corse del 2020. L’anno scorso ho fatto davvero pochissimi giorni di gara tra il Covid e la caduta al Tour. Ci vuole un po’ di tempo. Solo adesso sto trovando un po’ di continuità con le gare».

Con Diego si parla anche del Giro d’Italia. La sua Arkea è stata vicino ad ottenere l’invito e lui stesso ci aveva fatto più di un pensierino.

«Ci sono rimasto davvero male quando ho saputo che eravamo fuori. Ci tenevo tanto a tornare al Giro. Saremmo stati una squadra molto competitiva, di sicuro la più competitiva tra le professional. Abbiamo dovuto ricambiare i programmi e adesso siamo un po’ in balìa del calendario. Almeno sono contento che ci siano squadre italiane. A bocce ferme poi ci ho ripensato. Alla fine noi il Tour lo facciamo ed è giusto che tutti abbiano le loro possibilità».

Rosa: «Se ci invitano preparo il Giro in Colombia»

30.01.2021
4 min
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Il mattino di Diego Rosa è quello di tanti padri di famiglia, che si svegliano presto, danno una mano alla moglie nel preparare i due bimbi, in questo caso Noah di 3 anni ed Elia di 4 mesi, poi si cambiano e vanno al lavoro. La sola differenza è che il lavoro del piemontese di stanza a Monaco si svolge sulle strade assolate del Principato, dove a parte la prima settimana di gennaio, non sono mai scesi sotto i 18 gradi. Oggi però è una vigilia importante, perché domani finalmente si comincia con il Gp La Marseillaise, calcio di inizio di una stagione che fa già lo slalom tra un annullamento e l’altro.

«Qua – sorride amaramente – siamo tutte le sere davanti al notiziario col terrore che Macron parli e annunci un altro lockdown. E a quel punto non sappiamo che cosa succederà. Ha detto che lo sport professionistico non avrà arresti, ma il ciclismo è sempre particolare da controllare. Noi corridori abbiamo lavorato come al solito, potendo uscire. Io di solito vado da solo, anche perché sono tutti in ritiro o con i loro compagni. Ma mi rendo conto che per le squadre ogni volta è un rimescolare piani…».

Diego Rosa con Claudio Chiappucci all’Etoile de Bessegens del 2020
Rosa con Chiappucci all’Etoile de Bessegens del 2020
Quest’anno nel mirino e anche nel cuore dovrebbe esserci il Giro?

Stiamo aspettando le wild card con una certa apprensione. Attesa su attesa. L’Arkea-Samsic ha dimostrato di avere l’organico per fare due grandi Giri, per cui l’idea sarebbe di fare il Giro con Quintana e un gruppo di scalatori. Poi andare al Tour ugualmente con Nairo, ma a quel punto quattro uomini per Bouhanni che vuole togliersi le sue soddisfazioni. Tanto al Tour non siamo noi a dover controllare la corsa e il percorso è meno duro del 2020.

A questo punto, sta tutto a capire quando arriveranno gli inviti…

Siamo una squadra piccola, se ci chiamano dobbiamo dire grazie. So che è stata chiesta la possibilità di avere una wild card in più, per cui credo che, avuta questa risposta, le renderanno note. In assenza della squadra aggiuntiva, per i team italiani la vedo complicata. L’ho provato sulla mia pelle con l’Androni, quando fare il Giro era una vera garanzia di sopravvivenza.

A Monaco, Rosa è riuscito ad allenarsi sempre al caldo
A Monaco, Rosa è riuscito ad allenarsi sempre al caldo
Avete fatto qualche ritiro nel frattempo?

Due. Uno a dicembre qui in zona Cannes, in un hotel solo per noi. Eravamo tutti, abbiamo preso il materiale, fatto le foto e sbrigato la parte burocratica. Poi uno in Spagna a gennaio, zona Altea, in cui però non c’erano i sudamericani. Si trattava solo di allenarsi, gli hanno risparmiato il viaggio.

Hai pensato di tornare in Colombia come nel 2020, oppure hai desistito per il Covid?

L’idea era di andare, in effetti. Abbiamo rinunciato per il rischio che chiudessero qualche confine e rimanessimo bloccati o per la necessità di fare la quarantena al rientro. Viaggiare col bimbo così piccolo non sarebbe stato un problema. Ma intanto, dovendo fare un ritiro in altura fra Sanremo e Ardenne, si stava pensando di andarci a fine marzo. Si sta bene, si lavora alla grande.

A proposito di sudamericani, come stanno Nairo e le sue ginocchia operate?

L’ho sentito pochi giorni fa, mi ha detto che le cicatrici sono ormai fatte e ha ricominciato a lavorare sul serio. Quando arriverà qua, sarà un po’ più indietro, ma c’è tutto il tempo. Con lui parliamo raramente di lavoro. Un po’ perché quando stacchiamo, lo facciamo davvero. E nelle occasioni in cui parliamo, ci scambiamo racconti di vita familiare, sui figli. Poco ciclismo…

Il porgetto Arkea, aspettando le wild card, prevede il Giro con Quintana
Il porgetto Arkea, aspettando le wild card, prevede il Giro con Quintana
Questo significa essere sereni: come va con l’inchiesta francese?

Cosa dire? Hanno aperto un’indagine e pare non abbiano trovato nulla. Sarebbe bello ci fosse un comunicato in cui, al pari di quando il caso è venuto fuori, si annunciasse che è chiuso. E’ giusto che controllino, ma in squadra respiro serenità, in un ambiente più piccolo in cui mi sono davvero ritrovato.

Il tuo programma?

Dopo il debutto di domani, di corsa in Italia. Laigueglia. Strade Bianche. Tirreno. Sanremo. Altura. Ardenne e Giro.

Se vi invitano ci sarai anche tu, dunque?

Senza neanche mezzo dubbio. Manco da due anni, non vedo l’ora di tornarci.

Diego Rosa

Diego Rosa c’è ancora. E pensa alle classiche

13.12.2020
6 min
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«E’ stato più complicato il mese dopo la frattura che la rottura della clavicola stessa. Avevo un braccio legato e con l’altro cullavo mio figlio appena nato», la scena fa un po’ sorridere. Una scena che aveva come protagonista Diego Rosa.

Il corridore piemontese negli ultimi anni era un po’ sparito dai radar. E pure era uno degli scalatori più forti, sempre in prima linea per i suoi capitani e a volte anche per se stesso. Tre anni nella Ineos-Grenadiers (nei primi due era ancora Sky) però si sono rivelati un boomerang. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire come è andata con l’ex biker.

Diego, partiamo da dove ci siamo lasciati questa estate e cioè dalla caduta del Tour…

Eh, ho rotto la clavicola in cinque parti e il recupero è stato più lungo del previsto. Mi hanno operato a Torino e mi hanno messo la classica staffa di metallo. Adesso però sto bene. Con una stagione molto corta è bastata una caduta e ho finito prima. E poi, ragazzi, era la prima volta che mi rompevo. E’ successo a 31 anni.

Diego Rosa alla Strade Bianche 2020
Diego Rosa
Diego Rosa alla Strade Bianche 2020
Hai parlato di tuo figlio, quanto incide nella vita di un corridore? Quanto lo fa maturare?

Quello di cui ho parlato era Noah, il secondo, ne ho anche un altro, Elia. All’inizio avevo un po’ paura e invece devo dire che si compensa bene con la vita da atleta. Prima pensavo solo al mio lavoro e alla bici, adesso invece non ho più tempi morti. Sì, togli qualcosa al riposo ma lo fai con piacere. Poi devo dire che mia moglie Alessandra ha capito al 110% che mestiere faccio e mi ha aiutato molto, la notte si alza lei. Allenarsi dopo le notti in bianco non è il massimo.

Come sei arrivato all’Arkea-Samsic?

Tramite il mio procuratore Acquadro. Lui che seguiva Nairo (Quintana, ndr) mi disse di questo progetto. A me è sembrato interessante per rilanciarmi. Nel team dov’ero andavo a scendere anziché a salire. E poi volevo una squadra dove la mia voce avesse peso, dove fossi ascoltato. Ho parlato con i manager della Arkea, ho visto che avevamo le stesse idee e dopo mezz’ora ci siamo stretti la mano. 

E quali erano queste idee?

Tornare ad avere qualcuno che mi desse fiducia e responsabilità. Loro avevano molti giovani cercavano qualcuno più esperto e la cosa mi stuzzicava.

Hai parlato di rilanciare. Ma cosa è successo in quei tre anni alla Sky/Ineos?

E’ una squadra piena di campioni e non ho reso come dovevo. Ho seguito i loro metodi, ho fatto quello che mi hanno chiesto, ma evidentemente con me non ha funzionato. Io non riuscivo ad adeguarmi. Non era il mio ambiente. Avevo poco spazio e quando c’era dovevo sgomitare con gli altri per andare alle corse. Così mi sono ritrovato a fare il quintultimo uomo in salita, quando ero abituato a fare l’ultimo. E man mano la squadra perdeva fiducia in me, così alla fine tiravo in pianura e nelle corse meno importanti.

Cosa intendi quando dici che hai seguito il loro metodo? Che non era il tuo ambiente?

Il ciclismo è tutto globalizzato, ma c’è chi si allena in un modo e chi in un altro. Italiani e spagnoli hanno un approccio molto più tranquillo, gli inglesi sono metodici, diversi. Noi facciamo la base, tanto medio, la soglia e i fuorigiri. Io stando a Monaco uscivo tutti i giorni con la squadra, in pratica era come se fossi sempre in ritiro. E non capivo gli allenamenti, totalmente diversi dai nostri: lunghissimi a ritmo super blando, uscite brevi e intense… Non li capivo e soprattutto non credevo in quello che facevo. Poi ripeto, non dico che non funzionino, guarda tutto quello che vincono! Dico che non hanno funzionato con me, che non mi sono adattato. Inoltre non parlavo troppo l’inglese all’inizio e il mio preparatore era australiano, vi lascio immaginare come comunicavamo… Adesso all’Arkea mi hanno affidato ad un ds, Yvon Caer, che parla italiano convinti che io non sapessi il francese, ma, stavolta li ho fregati io!

Scusa ma Cioni non ti poteva aiutare?

Ero con altri preparatori, quando sono arrivato da lui ormai era tardi. La squadra non mi vedeva più. Negli ultimi anni non ho più fatto un grande Giro, non avevo neanche più un programma. E io stesso avevo perso fiducia.

Diego Rosa
Diego Rosa e Davide Formolo, i due sono vicini di casa
Diego Rosa
Diego Rosa e Davide Formolo, i due sono vicini di casa
Insomma tre anni brutti…

Più che brutti, un’esperienza direi…

E cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Che mi sono ritrovato in un team di giovani e con Quintana in maglia di leader in queste gare più piccole francesi e loro non sapevano come fare per gestire la corsa, come chiudere le fughe. E così io ho preso in mano la situazione.

Oggi chi ti segue?

Un preparatore della Arkea. Mi piace: io gli dico le mie idee e lui mi corregge.

La cosa sembra funzionare: sei partito bene a Majorca e avevi colto una top ten alla Strade Bianche…

Sì, ho ripreso da corse di un livello un pelo più basso per ripartire a tutta. Poi ci hanno fermato e… ciao! La seconda parte di stagione era tutta incentrata sul Tour de France e infatti il decimo posto alla Strade Bianche era molto buono. Al Tour avrei dovuto fare la prima settimana a salvare la gamba, per dare tutto nella terza, invece non ho concluso neanche la prima. Ma quel che conta è che in corsa finalmente ero presente, il morale c’era. La squadra mi ha dato responsabilità e io ho ritrovato il piacere di correre e fare la vita.

Com’è il rapporto con Quintana?

Ci siamo conosciuti l’anno scorso quando abbiamo saputo che avremmo corso insieme. Siamo stati tre settimane da lui in Colombia con tutta la famiglia. Siamo stati benissimo. In gara è molto esigente, vuole stare davanti, ma è sempre rispettoso. Ho corso con quasi tutti i capitani del gruppo e ormai so cosa vogliono.

Senti ma in Colombia siete stati anche in Mtb, visto che Nairo laggiù la usa spesso?

No, cavolo! Sapete, sono due anni che non tocco una Mtb. L’ultima volta sono rientrato a casa con la maglia stracciata tanto che mi vergognavo ad attraversare Montecarlo in quelle condizioni! Il fatto è che ho ancora la testa da biker, ma non ho più la stessa sensibilità e m’impunto su ogni roccia. Così no: sai come andavi, vedi come vai e vorresti buttarla al mare! La riprenderò quando potrò andare come dico io.

Cosa hai fatto dopo lo stop al Tour e nel recupero?

Un mese di poltrona. Potevo dormire solo così. Vedevo la tv fino alle 4 del mattino. Successivamente è arrivato il mio fisioterapista, Carlo Ranieri che lavora nell’atletica, e con lui in 10 giorni abbiamo fatto di tutto. Poi sono andato a correre, a nuotare… Ogni giorno uno sport diverso, adesso però solo bici, altrimenti sarei diventato un triatleta!

Potevi andare a nuotare con Formolo…

Davide è nella porta qui accanto alla mia. Mi ha detto di andare insieme. Io sono agli inizi, lui va forte. Per fortuna il mare è diventato grosso e non si può nuotare! 

Che 2021 ci possiamo aspettare?

Il calendario lo definiremo a breve. Una riunione su Zoom però l’abbiamo fatta. Dovrei essere leader per le classiche di un giorno e poi si vedrà per le gare a tappe. Ma non abbiamo un programma definitivo, anche perché dobbiamo attendere gli inviti nei grandi Giri. Mi piacerebbe fare bene le Ardenne e la Strade Bianche. E anche San Sebastian che per un motivo o per un altro non ho mai corso.

E se dovessero invitarvi al Giro, ti piacerebbe tornare? Oppure meglio il Tour?

Preferisco centomila volte il Giro