Tiberi è pronto: «Ultimi dettagli e poi si parte per la Vuelta»

06.08.2022
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Antonio Tiberi plana verso la Vuelta Espana, sua prima grande corsa a tappe, una bella prima esperienza per un ragazzo giovane ma che si è meritato la convocazione sul campo. Appena 21 anni, con alle spalle già una stagione tra i professionisti in casa Trek Segafredo.

Si è costruito questi buoni risultati grazie alla costanza del lavoro fatto lo scorso anno. Tanti piccoli gradini che lo hanno portato vicino al bordo, pronto per spiccare il volo e planare sulla Vuelta. 

Tiberi si è guadagnato la convocazione alla Vuelta grazie alla costante crescita, il passo decisivo la vittoria al Tour de Hongrie
Tiberi ha vissuto una crescita costante, il passo decisivo è stato la vittoria al Tour de Hongrie

In cerca del ritmo

Antonio lo incontriamo al Tour de Pologne e approfittiamo della sua gentilezza e disponibilità per parlarci quasi ogni giorno. D’altronde il bello delle corse è poter guardare i corridori negli occhi, cogliendo ogni smorfia del loro volto.

«E’ stata la prima gara dopo un periodo di assenza dalle corse – dice – l’ultima corsa era stata il campionato italiano. Nel mezzo c’è stato il classico periodo di altura dove si è lavorato per richiamare la condizione.

«In Polonia mi sono riabituato ai ritmi di gara. Agli sforzi massimali che in allenamento ovviamente non riesci a fare. Sfrutto questa gara per avvicinarmi al meglio alla Vuelta».

Al Polonia il corridore laziale (classe 2001) ha rifinito la condizione per la Vuelta
Al Polonia il corridore laziale (classe 2001) ha rifinito la condizione per la Vuelta

Gli ultimi passi

Prima di partire alla volta di Utrecht (quest’anno le prime tre tappe della Vuelta si correranno in Olanda) Tiberi ha mosso gli ultimi passi per arrivare pronto e carico. 

«Ad essere sincero – dice Antonio – ho fatto anche un po’ di stacco, per recuperare le energie, fisiche e mentali, tre settimane di corsa non le ho mai fatte, è un bel banco di prova. Il fatto di aver intensificato gli allenamenti, soprattutto quelli lunghi e di aver fatto un bel po’ di corse a tappe mi ha aiutato. E’ la prima esperienza, si impara anche facendo. Poi sono andato in altura dove ho fatto lavori di qualità, con qualche salita ma anche tanta cronometro (il laziale ha vinto il mondiale di specialità nello Yorkshire, nel 2019, categoria juniores, ndr).

«Qui in Polonia ho fatto un po’ di lavori di rifinitura. E poi… Si parte! Non sono ancora in preda all’emozione. Ci penserò sicuramente da oggi, cioè nelle tre settimane tra la fine del Tour de Pologne e l’inizio della Vuelta».

Antonio ha curato molto anche la cronometro, una disciplina che gli piace molto e con la quale si è tolto grandi soddisfazioni
Antonio ha curato molto anche la cronometro, una disciplina che gli piace molto

Obiettivi e ambizioni

Parlare di ambizioni e di obiettivi può sembrare paradossale, ma un corridore professionista, in quanto tale, si pone dei traguardi da raggiungere, proporzionali all’età e alle capacità.

«Non abbiamo ancora parlato nello specifico di quel che farò – spiega Tiberi – la squadra mi ha già accennato che dovrò andare lì con la massima tranquillità. Questo è anche uno degli aspetti positivi del team, mi lasciano lo spazio per crescere e fare esperienza, senza pressioni.

«Il fatto di aver lavorato abbastanza sulla crono in altura è dovuto un po’ al fatto che ce ne saranno due belle lunghe in Spagna (54 chilometri complessivi, ndr). Poi è una disciplina che mi piace molto, di conseguenza cerco sempre di curarla un po’. E infatti speravo di fare bene nella cronoscalata».

Purtroppo, proprio nella cronometro, Tiberi è stato vittima di una caduta che ne ha compromesso la prestazione finale.

«Oltre ad avermi lasciato dei bei segni sul corpo – dice Tiberi – ho dei segni sulle gambe, un bell’ematoma sulla schiena ed uno anche sul fianco. Speriamo non comprometta il mio avvicinamento alla Vuelta, ma c’è tempo per rimettersi in sesto»

Il ritorno in gara di Antonio prosegue spedito, qui dopo l’arrivo della terza tappa vinta da Higuita
Il ritorno in gara di Antonio prosegue spedito, qui dopo l’arrivo della terza tappa vinta da Higuita

Pendenze toste

Nell’arrivo della terza tappa del Tour de Pologne, Sergio Higuita ci aveva raccontato come le pendenze incontrate sullo strappo finale (1,5 chilometri con punte al 13 per cento) siano molto simili a quelle che si troveranno alla Vuelta. Motivo per cui molti corridori che correranno la corsa a tappe iberica, passano dalla Polonia per affinare la gamba. Come si è trovato Tiberi su queste pendenze?

«Allora diciamo che mi trovo anche abbastanza bene – ride per un attimo e poi risponde – ma su salite un po’ più lunghe. Con strappi così brevi e sforzi massimali un po’ li soffro perché sono strappi adatti a gente esplosiva.

«La Polonia è stata un bel banco di prova, ci sono tanti corridori competitivi e forti. Vi faccio un esempio: nella tappa che dice Higuita (la terza, ndr) l’anno scorso ho fatto 21° a 25 secondi dal primo. Ieri sulla stessa salita sono arrivato 34° sempre a 25 secondi. Però va bene anche così, sono venuto qui per fare un po’ di fuori giri e di fatica. Nei giorni che mi separeranno tra la fine del Tour de Pologne e la Vuelta non farò molto a livello di preparazione, oramai il più è fatto».

Tiberi: un giovane alle prese con il suo primo grande Giro

13.06.2022
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Dopo aver messo nel sacco la prima vittoria da professionista, Antonio Tiberi guarda avanti. Non si ferma e sul suo orizzonte si profila la Vuelta Espana, un’altra grande prima per il laziale della Trek-Segafredo.

L’iridato juniores a crono 2019 ha appena finito il Delfinato. Corsa che a quanto pare ha aggiunto un altro tassello alla sua carriera. E che in qualche modo fa parte del lungo cammino che lo porterà alla Vuelta. 

Ecco, vogliamo sapere in che modo sta andando incontro al primo grande Giro. 

Quest’anno la Trek-Segafredo ha deciso di alzare il livello delle corse a cui ha preso parte Antonio. Eccolo al Delfinato
Quest’anno la Trek-Segafredo ha deciso di alzare il livello delle corse a cui ha preso parte Antonio. Eccolo al Delfinato
E per questo, Antonio, partiamo proprio dal Delfinato: come è andata?

Un po’ stanco! Ma tutto sommato non male per il livello che c’era. Credo che proprio per la qualità media dei partecipanti sia stata la corsa più impegnativa che ho fatto, ma lo Svizzera e il Romandia dell’anno scorso sono stati più duri. Forse anche perché avevo una condizione più bassa.

Antonio, fra un paio di mesi inizia la Vuelta. Come l’approccerai? Stai cambiando qualcosa nella preparazione?

Direi che è cambiato molto quest’anno, a partire dalle ore di allenamento che sono aumentate e anche dalle gare di avvicinamento. Rispetto all’anno scorso ho fatto corse di livello maggiore e questo per avvicinarmi al meglio alla Vuelta. Per adesso non so se la farò tutta o solo metà. Questo credo che lo vedremo in corsa direttamente.

Ti spaventa l’idea di farla tutta?

No, no… io sono contento. Anche perché il mio obiettivo di corridore è quello di fare bene nelle grandi corse a tappe. Quindi sarà un modo anche per testarmi in ottica futura.

Hai parlato di ore: puoi quantificare questo aumento?

Diciamo che le doppiette, i giorni di carico per intenderci, sono diventate triplette. Prima magari facevo nell’ordine 3-4 o 4-5 ore, adesso ne faccio 5-4-5, con un giorno di scarico nel mezzo.

Rispetto allo scorso anno sono cresciute le ore di allenamento per Tiberi
Rispetto allo scorso anno sono cresciute le ore di allenamento per Tiberi
E i famosi “fuorigiri”?

Anche quell’aspetto è cambiato. Faccio più lavori di qualità: dietro moto con volate uscendo di scia, i 40”-20”.

Percepisci questo cambiamento? Se avessi dovuto fare la Vuelta l’anno scorso pensi che saresti stato pronto?

Visto il livello delle gare che sto facendo quest’anno, posso dire che non sarei stato pronto. Magari un grande Giro lo avrei fatto e, chissà, anche finito, solo che poi avrei impiegato dieci mesi per recuperarlo. Io non so se questo approccio sia meglio o no, ma posso dire che quello graduale che stiamo facendo alla Trek-Segafredo con Josu Larrazabal per me è il modo migliore. 

Il Tiberi 2022 vede la differenza rispetto al Tiberi 2021 quindi?

La differenza non solo la vedo, ma la sento. La sento in gara soprattutto. Lo scorso anno c’erano delle corse in cui mi sentivo benino, ma erano di livello più basso e poi un’altra cosa che ho notato è la costanza. L’anno scorso non avevo un rendimento costante, quest’anno c’è tutt’altro feeling. Poi la giornata no ci può stare, come mi è successo anche al Delfinato, ma di base sono molto più regolare.

Riguardo ai lavori da fare in bici, pensi che in questi mesi che ti separano dalla Vuelta farai qualcosa di diverso?

Io non ho mai fatto un grande Giro e poi non è che debba puntare ad entrare nei primi cinque della generale, non ci sarà da fare chissà quale lavoro stratosferico nel complesso. So che mi aspetta un periodo nel quale cercherò di stare particolarmente attento al recupero e all’alimentazione. E mi piace tutto questo, sono curioso: vedrò come funziona un grande Giro.

Tiberi ha concluso la crono del Delfinato (31 chilometri) al 16° posto a 1’50” da Ganna. Una buona prova per lui
Tiberi ha concluso la crono del Delfinato (31 chilometri) al 16° posto a 1’50” da Ganna. Una buona prova per lui
Hai parlato di alimentazione: cambierai qualcosa?

Cambiare no, però cercherò di stare più attento a ridosso del grande obiettivo. Non sono uno che conta i grammi, però cercherò di scegliere cibi sani, guardando alla qualità degli stessi. Insomma niente schifezze. E poi a ridosso della Vuelta mi confronterò con la nutrizionista della squadra. Ma non adesso.

Invece qual è il tuo programma? Farai l’altura immaginiamo…

Intanto penso ai campionati italiani. Io farò sia la crono che la prova in linea.

Ti sei allenato parecchio a crono?

Abbastanza. C’era da preparare anche quella del Delfinato, che tra l’altro era molto simile per percorso e distanza a quella tricolore.

Ti abbiamo interrotto: continua con il programma…

Dopo l’italiano, osserverò 4-5 giorni di recupero. Sarà un recupero totale, senza bici. Semmai la prenderò un giorno… se ne avrò voglia. Non a caso sto cercando di organizzarmi con i miei genitori per restare in Puglia per qualche giorno di vacanza subito dopo il tricolore. Poi tornerò a casa e riprenderò ad allenarmi. Farò l’altura, ma non so ancora dove. E prima della Vuelta farò anche una corsa a tappe: credo il Giro di Polonia (30 luglio-5 agosto, ndr).

Tiberi e il racconto della prima vittoria da pro’

22.05.2022
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Le occasioni arrivano sempre, basta avere pazienza e una buona dose di opportunismo per saperle cogliere. Mentre il Giro d’Italia lasciava caoticamente l’Ungheria, portando via il circus della Corsa Rosa, nel Paese magiaro arrivavano altri corridori pronti a partire per il Tour de Hongrie. Una corsa a tappe minore per caratura ma non per nomi, basti pensare che l’ha vinta Eddy Dunbar e che a giocarsi le volate c’erano Groenewegen, Viviani e Jakobsen. Tra questi nomi altisonanti si è ritagliato spazio un giovane molto promettente che milita nella Trek Segafredo: si tratta di Antonio Tiberi. Il corridore ciociaro ha conquistato la sua prima vittoria tra i professionisti nella tappa regina, l’unica con arrivo in salita. 

Tiberi è riuscito a superare Dunbar solamente negli ultimi 100 metri
Per raggiungere e superare Dunbar, Antonio ha fatto gli ultimi 500 metri “a tutta”

Una bella prima volta

La prima vittoria tra i pro’ regala sempre delle emozioni che difficilmente si riescono a rivivere. Forse perchè arriva quando meno te l’aspetti e ti giochi tutto, metro dopo metro nella tenace rincorsa al successo. 

«Fin dalle prime tappe – racconta Antonio – le sensazioni erano buone. A causa di un po’ di inesperienza, nella seconda tappa mi sono ritrovato nei ventagli e ho perso 12 minuti dai primi. Nell’ultima frazione, appena è andata via la fuga, mentre eravamo in gruppo, sentivo la gamba “piena”. Dopo un’oretta di corsa, però, ho iniziato ad accusare un po’ la tensione e mi sentivo strano. Sarà perché anche lo scorso anno feci bene qui chiudendo terzo».

Nella seconda tappa Tiberi è rimasto “incastrato” nei ventagli perdendo 12 minuti
Nella seconda tappa Tiberi è rimasto “incastrato” nei ventagli perdendo 12 minuti

L’inizio della rimonta

«Più i chilometri passavano – continua – più mi sentivo stanco e debole, ma era solamente una sensazione psicologica. Anche all’imbocco dell’ultima salita sentivo di non aver l’energia per andare avanti, anche se, man mano che si saliva riuscivo a tenere tranquillamente il passo. Rimanevo sempre in fondo al gruppo, così ai meno tre mi sono detto che non potevo rischiare di staccarmi per una stupidaggine come alla seconda tappa, quindi ho rimontato un po’ di posizioni».

«Ai meno due dall’arrivo – continua Tiberi – Dunbar è partito, io sono rimasto calmo e ho mantenuto il mio passo. Dopo poco ho ripreso i corridori davanti a me, uno della Movistar (non ricordo chi) e Battistella. Una volta ripresi, ho pensato bene di scattare. Se me li fossi portato dietro avrei perso tutte le chance che avevo di vincere».

Il giovane corridore della Trek si era già messo in mostra alla Coppi e Bartali chiudendo al quinto posto la tappa di San Marino
Il giovane corridore della Trek si era già messo in mostra alla Coppi e Bartali chiudendo al quinto posto la tappa di San Marino

Una grande soddisfazione

Il racconto di Antonio è freddo, analitico, come se nella sua testa stesse ancora rivedendo le immagini della corsa.

«Agli ultimi 500 metri mi sono detto “ora o mai più” allora ho prodotto il massimo sforzo, vedevo Dunbar avvicinarsi velocemente e agli ultimi 100 metri l’ho saltato. La prima sensazione, superata la linea del traguardo, è stata quella della liberazione. Già l’anno scorso ero andato vicino alla vittoria e riuscirci ti toglie proprio un peso. Non abbiamo avuto modo di festeggiare con la squadra, anche perché la sera avevamo tutti l’aereo. In realtà anche arrivato a casa l’ho vissuta serenamente, questo lo considero un punto di partenza, non di arrivo».

Uno dei prossimi appuntamenti per Tiberi saranno i campionati italiani, dove correrà anche la cronometro
Uno dei prossimi appuntamenti per Tiberi saranno i campionati italiani, dove correrà anche la cronometro

Il secondo anno tra i pro’

Antonio è al suo secondo anno tra i professionisti, è giovane, tra poco più di un mese, il 24 giugno, compirà 21 anni. Le sensazioni che prova a correre con i grandi sono vive, ricche di emozioni e vive tutto con la consapevolezza che il lavoro da fare è molto, ma la strada imboccata è quella giusta.

«Alla Trek mi trovo bene – dice – concedono a tutti il giusto tempo per maturare e raggiungere il proprio livello. Nella prima parte di stagione sono andato abbastanza forte, mi ritengo soddisfatto. La cosa che mi ha dato maggior consapevolezza è il gareggiare con i più grandi e vedere fino a che punto riesco a tenere. La Coppi e Bartali da questo punto di vista è stato un bel banco di prova, le cose da imparare sono ancora tante, basti pensare ai ventagli che mi hanno tagliato fuori in Ungheria. Un’altra delle cose belle della Trek è che facendomi correre queste gare minori, mi permette di imparare. Così quando sono nelle corse più importanti posso mettere in pratica tutto.

«Nella seconda parte di stagione uno degli obiettivi principali era il Tour de Hongrie. Ora mi attende un breve periodo di riposo e poi andrò al Delfinato, un bel banco di prova anche quello. Ci saranno tutti i corridori che prepareranno il Tour de France, si andrà forte. Se tutto andrà bene potrei debuttare alla Vuelta, sarebbe il mio primo grande Giro. Non c’è ancora nulla di certo, ma la speranza è di riuscire a meritarmi la convocazione».

Passaggi precoci, un danno per i ragazzi: parola dei diesse

30.04.2022
7 min
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Corridori che passano troppo giovani, o quantomeno che non sono pronti: non è la prima volta che ne parliamo. Ma visti gli ultimi casi, vedi Trainini, Romano… vale la pena ritornarci. Diversi ragazzi come loro, per scelta o per “demeriti” in quanto non erano maturi, hanno smesso.

Senza contare poi i campioncini che sembrava dovessero spaccare il mondo e che invece stanno faticando più del previsto. Cerchiamo di fare il punto con alcuni diesse del settore U23 che hanno sottomano questi ragazzi.

Antonio Bevilacqua è uno degli storici tecnici alla corte di Beppe Colleoni (foto Colpack)
Antonio Bevilacqua è uno degli storici tecnici alla corte di Beppe Colleoni (foto Colpack)

Parola a Bevilacqua

Partiamo da Antonio Bevilacqua, della Colpack-Ballan. Bevilacqua ne ha visti di corridori nella sua lunghissima carriera, in bici prima e in ammiraglia poi.

«Sono tutti alla ricerca del Pogacar e dell’Evenepoel – dice Bevilacqua – Noi abbiamo avuto Antonio Tiberi e Andrea Piccolo, anche se lui va detto che è rimasto impigliato nel caso Gazprom, però stanno attraversando delle difficoltà. Un anno con noi e sono subito passati. Nella storia c’è stata qualche eccezione di ragazzi che sono passati precocemente, ma adesso sembra essere la norma. E infatti ormai conviene andare forte da juniores. Li alleni come bestie, vanno forte e passano pro’. Ma chi facciamo passare? Non certo un corridore formato».

«Tutti, team e procuratori, hanno paura. La frase ricorrente è: questo è forte, se non lo prendi tu, lo prende qualcun altro. E quando è così alla lunga anche la nostra continental non ha più senso di esistere. Il bello e lo scopo di una squadra come la nostra era di introdurre i ragazzi al professionismo con gradualità. Portarli a fare un Laigueglia, un Coppi e Bartali, un Larciano… Oggi vincono una corsa e via: campioni, professionisti. Quando passai io avevo nel sacco 6 vittorie, 11 secondi posti e quasi mi vergognavo. 

«Certo, il ciclismo è cambiato da allora e oggettivamente i giovani vanno più forte, ma resta le necessità di tempo per farli maturare».

Tiberi 2021
Per Bevilacqua, Tiberi sarebbe dovuto passare alla Trek-Segafredo un anno dopo: avrebbe accusato meno il salto di categoria
Tiberi 2021
Per Bevilacqua, Tiberi sarebbe dovuto passare alla Trek-Segafredo un anno dopo: avrebbe accusato meno il salto di categoria

Tiberi? Arriverà

«Torniamo a Tiberi – riprende Bevilacqua – Un anno in più gli avrebbe fatto bene. Premesso che Antonio è un ottimo corridore e verrà fuori, ma se fosse rimasto con noi per un’altra stagione avrebbe fatto un programma di gare importante con i pro’ e magari avrebbe vinto un Giro del Belvedere. E sarebbe passato anche in altro modo. Sarebbe stato subito vincente e magari avrebbe anche guadagnato di più. Perché se vinci da giovane, guadagni di più. Dal mio punto di vista non avrebbe perso un anno, ma lo avrebbe guadagnato».

«Perché poi un ragazzo che fa fatica in tutto, nei risultati, ad ambientarsi… alla fine rischia di perdere stimoli, di disamorarsi. L’ultimo dei nostri grandi che è rimasto quattro anni con noi è stato Consonni».

Luciano Rui, colonna portante della squadra veneta (foto Scanferla)
Luciano Rui, colonna portante della squadra veneta (foto Scanferla)

Il pensiero di Rui

Da un veterano dell’ammiraglia all’altro: Luciano “Ciano” Rui, della Zalf Euromobil Desirée Fior. Anche lui ha le idee chiare.

«E’ il solito discorso che sostengo da tempo – dice Rui – non puoi andare all’università senza prima aver fatto le medie e le superiori. Poi uno si laurea pure, ma uno, non cento. Per me ancora oggi si dovrebbero fare come minimo due o tre anni tra gli under. Devo dire che quasi tutti i miei ragazzi hanno osservato questo periodo. Sì, magari firmavano al secondo o al primo anno, ma poi restavano con noi ancora una stagione».

«In merito a questo discorso mi viene in mente Nicola Boem, uno dei ragazzi più talentuosi che abbia mai avuto. Ad un certo punto c’è stata fretta di farlo passare, anche se aveva fatto due anni con noi, ma poi una volta tra i pro’ non gli è piaciuto quel mondo. Lui aveva anche un carattere particolare, derivante da una situazione familiare non facile e di là non lo hanno capito. Andava accompagnato, ma c’era fretta di risultati. E così ha smesso. E non si tratta di squadre WorldTour o meno. Si tratta di passare in team che credano in te».

«Tra i pro’ sei solo. L’atleta che deve passare non deve solo essere pronto fisicamente ma anche mentalmente. Adesso ho Alberto Bruttomesso, un primo anno che ha già vinto tre corse. Se ne vince un’altra vedrai cosa succede. Lo avvicineranno e gli diranno che deve passare subito. Dobbiamo imparare a convivere con i procuratori, ma ci vorrebbe più sinergia fra tutti: team dilettantistici, procuratori e squadre dei pro’».

Per Pozzovivo una lunga gavetta alla Zalf prima di passare, ma è ancora in gruppo (e tra gli italiani migliori)
Per Pozzovivo una lunga gavetta alla Zalf prima di passare, ma è ancora in gruppo (e tra gli italiani migliori)

Pozzovivo un esempio

«Una volta prima di passare si doveva fare il militare- dice Rui – E non era cosa da poco. Passava un altro anno, finivi che ne avevi 20 e avevi una testa diversa rispetto a quando ne avevi 18-19, un’altra visione di vita. Oggi passano da ragazzini e quanto durano? Secondo voi perché Daniel Oss o Domenico Pozzovivo sono ancora lì? Pozzo con noi ha fatto cinque anni, Oss quattro. Daniel quando incontra i corridori della Zalf ancora gli dice: “Ciano è stato il mio maestro di vita”. 

«E poi è semplice: un ragazzo raggiunge la sua maturazione ormonale e quindi di equilibrio mentale tra i 24 e 26 anni. Sono dati medico-scientifici, supportati dal parere degli psicologi».

Leonardo Scarselli, da anni dirige i ragazzi della Maltinti
Leonardo Scarselli, da anni dirige i ragazzi della Maltinti

Scarselli…

Leonardo Scarselli è uno dei diesse della Maltinti Lampadari, storica U23 toscana. Anche a quelle latitudini si è verificato più di un caso di passaggi precoci, il più eclatante è stato quello di Daniel Savini. Due vittorie al primo anno, quattro al secondo e via alla Bardiani Csf Faizanè. Adesso, dopo due anni col Greenteam, milita nella Mg.K-Vis, squadra continental. 

«Io – dice Scarselli – penso che ci sia troppa esasperazione nelle categorie giovanili. Soprattutto tra gli juniores i ragazzi spesso non sono gestiti nella maniera più corretta nei confronti della loro crescita. A 17 anni gli fai fare dei carichi di lavoro che vanno al di là di quel che può supportare il loro fisico alla lunga. Poi sono giovani, si allenano e vanno forte. Ma come esplodono si spengono».

«Senza fare nomi, in passato ne ho avute di delusioni. Ragazzi anche che avevano vestito la maglia azzurra da juniores e poi si sono persi».

«Se avrei fatto passare Savini? Assolutamente no. Non era pronto dal punto di vista mentale, non si tratta solo di quello fisico. Non aveva quella maturazione che richiede il mondo dei pro’, una maturazione che è essenziale. E infatti ecco le conseguenze… Perdi il primo anno, perdi il secondo e alla fine perdi anche la fiducia: quella in te stesso e quella da parte del team».

Daniel Savini (classe 1997) passato alla Bardiani adesso milita nella continental Mg.K-Vis
Daniel Savini (classe 1997) passato alla Bardiani adesso milita nella continental Mg.K-Vis

E il caso Savini

Quando Scarselli parla di maturazione per il mondo dei pro’ si riferisce alle responsabilità, agli orari, all’alimentazione. Insomma alle cose concrete.

«Parlo di orari, di puntualità da rispettare, all’invio dei dati degli allenamenti – spiega Scarselli – Per esempio all’epoca chiesi a Zanatta (allora diesse alla Bardiani, ndr) come andasse il mio corridore e lui mi disse che ogni volta c’era una scusa per non inviare i files, in ritiro si era presentato sovrappeso… era partito col piede sbagliato. E infatti lo avrebbero fatto correre quando si sarebbe rimesso in sesto».

«Mi dispiace, perché Daniel poteva essere davvero un buon corridore. Un anno in più tra gli U23, tanto più con l’accordo con i Reverberi in tasca, gli avrebbe fatto bene per quella quotidianità che poi è quella che ti fa fare la differenza nel bene o nel male nel professionismo. In squadra con noi avrebbe avuto delle persone che magari gli sarebbero andate contro. Gli avrebbero parlato a brutto muso nel caso non avesse fatto le cose a modo. Ma se poi ero il solo a pensarla così…

«Io ho fatto il corridore, la mia esperienza conta, sono stato anche in team importanti come la Quick Step, so come funzionano le cose di là».

Johannessen e Tiberi, storia di scelte diverse

08.02.2022
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Entrano nella stessa inquadratura: uno bello a fuoco davanti con il braccio destro alzato, l’altro dietro, ancora ingobbito, a strappare il terzo posto di giornata. Tobias Johannessen, norvegese di 22 anni, vincitore dell’ultimo Tour de l’Avenir, neoprofessionista. Antonio Tiberi, italiano di 20 anni, campione del mondo juniores della crono nel 2019, secondo anno da professionista. Succedeva sabato, merita un approfondimento.

E’ l’eterna disputa fra educatori sull’opportunità o meno di andare a scuola un anno prima. E siccome non se ne viene a capo e a seconda dei casi la “primina” è un vantaggio o una condanna, anche il beneficio di anticipare o meno il passaggio al professionismo resta legato ai casi e se ne potrà parlare a pensione raggiunta. I due sono entrambi lì, sulla cima del Mont Bouquet, salita di 4,6 chilometri con dislivello di 437 metri e pendenza media del 9,5 per cento, dalla cui cima si vedono le torri di Avignone. E questo è un fatto.

L’Etoile de Besseges ha inaugurato la seconda stagione da pro’ di Antonio Tiberi
L’Etoile de Besseges ha inaugurato la seconda stagione da pro’ di Antonio Tiberi

Poca strada

Tobias Johannessen ha scoperto il ciclismo su strada solo la scorsa stagione perché, fino ad allora, con il fratello gemello Anders (7° al Tour de l’Avenir), passava il tempo lungo i fiordi norvegesi in mountain bike (ha vinto il bronzo ai mondiali juniores 2016) o la bici da ciclocross.

«Le strade di casa sono piuttosto pianeggianti – spiega – e abbiamo imparato ad andare in salita grazie alla mountain bike lungo i sentieri non asfaltati. Tuttavia non so ancora che tipo di corridore sono veramente. Questo è quello che devo cercare di scoprire. E’ solo il mio secondo anno su strada e tutte queste gare sono nuove per me».

Alla fine, Johannessen ha conquistato la maglia dei giovani e il 3° posto
Alla fine, Johannessen ha conquistato la maglia dei giovani e il 3° posto

Buone sensazioni

Antonio Tiberi al confronto mastica strada e chilometri da tempo, pur essendo dei due il più giovane: nato nel Lazio, formato in Toscana e arrivato nel WorldTour con la Trek-Segafredo dopo un assaggio di under 23 con il Team Colpack. In Italia si fa presto ad appendere etichette e già nei suoi confronti c’è chi ne ha confezionate alcune troppe frettolose. Il ragazzo è giovanissimo e avendo scelto di anticipare tutto, sta ora facendo i passi giusti.

«Sono molto soddisfatto del risultato di oggi – ha confermato dopo il traguardo – ma soprattutto delle sensazioni che ho avuto. Ho sentito un salto di qualità tangibile rispetto alla scorsa stagione, mi sentivo perfettamente a mio agio tra i big. Era una sensazione che mi era mancata l’anno scorso e averla nella prima gara dell’anno mi dà grande fiducia per i prossimi appuntamenti».

Ai 400 metri, Tiberi, che era da poco rientrato, ha provato ad andarsene da solo
Ai 400 metri, Tiberi, che era da poco rientrato, ha provato ad andarsene da solo

Più solido

Innegabile che, malgrado la minore esperienza, i due anni in più diano a Johannessen una diversa consistenza fisica. Al Tour de l’Avenir si è mangiato con astuzia e classe un predestinato come Rodriguez e il nostro Zana. La sua squadra, la professional danese Uno-X, è sponsorizzata da una compagnia che distribuisce benzina low cost e punta a salire nel WorldTour a partire dal prossimo anno. Ad ora sogna e pensa di meritare l’invito al Tour de France, che parte proprio dalla Danimarca. Anche se, a rigor di logica, ASO darà la precedenza alle francesi TotalEnergies e B&B Hotels.

«Avevo visto che era una bella salita per me – ha detto Johannessen dopo il traguardo – sapevo che avremmo dovuto attaccare per vincere. Questa corsa è stata una bella esperienza. A parte aver perso terreno il primo giorno, poi sono arrivato per due volte terzo e alla fine ho vinto».

Mentalità vincente

Tiberi continua a crescere per gradi, convinto in modo coerente del percorso scelto. Un terzo posto lo aveva centrato anche nel 2021 nell’impronunciabile arrivo in salita di Gyöngyös-Kékestető al Giro di Ungheria, che poi gli era valso anche lo stesso piazzamento sul podio finale.

«Il nostro obiettivo per la giornata – ha detto al traguardo – era aiutare Skujins a rimanere tra i primi dieci in classifica. Quando siamo arrivati ai piedi della salita finale, le mie sensazioni erano ancora molto buone e mi sono detto: “Proviamoci!”. Ero in mezzo al gruppo e mi è costato del tempo per recuperare. Quando sono arrivato davanti, ho avuto solo un momento per respirare prima di saltare sulle ruote di Johannessen e Vine. A 400 metri, sull’ultima rampa dura, ho dato il massimo, cercando di andare in solitaria per vincere. Non ha funzionato, ma sono comunque molto contento. L’Etoile de Besseges è stato un crescendo per me. Giorno dopo giorno mi sono sentito sempre meglio. Domani c’è la cronometro, la mia specialità: un’altra occasione per fare bene». 

Alla prossima

E la crono infatti ha sorriso più all’italiano, 10° a 23″ da Ganna, che al norvegese, 15° a 34″. I due ora proseguiranno lungo il calendario deciso per loro dai rispettivi tecnici, ma non mancheranno occasioni prossime di confronto. E se la stampa francese è convinta che la Norvegia abbia trovato in Johannessen un uomo da affiancare ai giovani prodigi che ad ora spopolano nel ciclismo, perché non dovremmo pensare di averne uno quasi pronto anche noi? Due anni di differenza a questi livelli non sono esattamente uno scherzo…

Amadori: «Rivedremo in nazionale Tiberi e Piccolo»

11.11.2021
5 min
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Marino Amadori resta al comando degli under 23. Avendo sulle spalle 11 anni da professionista, 10 anni da direttore sportivo e 17 da tecnico federale (fra donne e under 23), poco di quello che gli succede attorno lo scuote. Basta sapersi adeguare, fare al meglio il proprio mestiere e il resto viene da sé. Così, reduce anche lui dalla due giorni organizzativa di Milano e ancor prima dalla vittoria iridata con Baroncini (foto di apertura), inizia a stendere il lenzuolo della prossima annata chiedendosi se poi sia davvero cambiato il mondo.

«E’ stata una cosa buona – dice – con un’impostazione molto organizzata fra noi tecnici. Si era fatto qualcosa di simile in passato, ma mai con tutti i settori presenti. Per l’attività non è cambiato nulla, abbiamo parlato dei programmi che vorremmo fare e adesso aspettiamo la valutazione del Consiglio federale».

Tiberi 2019
Antonio Tiberi è stato iridato juniores a cronometro nel 2019, non era a Bruges per scelte ormai abbandonate
Tiberi 2019
Il laziale Tiberi, iridato juniores a crono nel 2019, non era a Bruges per scelte ormai abbandonate

Tiberi e i mondiali

Ai mondiali, alla vigilia della crono, ci eravamo confrontati con Marino sul tema affrontato in un editoriale: perché Tiberi non era stato convocato per la cronometro under 23? Seppure ci fossimo trovati d’accordo sul principio della valorizzazione del giovane talento e sul bene che gli avrebbe fatto riassaporare l’adrenalina di un mondiale, dopo aver vinto quello da junior nel 2019, Amadori aveva lasciato capire che la politica di non convocare atleti professionisti era stata adottata dall’alto e a quella si era attenuto. Mentre Amadio, poco distante ma ancora non nel pieno delle sue funzioni, aveva precisato che, volendo, Amadori avrebbe potuto convocarlo. Si era in piena transizione, ora le cose seguono un corso diverso.

Felline fu convocato ai mondiali U23 del 2012, ma non la visse troppo bene
Felline fu convocato ai mondiali U23 del 2012, ma non la visse troppo bene
Oggi convocheresti Tiberi?

Amadio è propenso a questa strada. La categoria Uci riguarda atleti dai 18 ai 22 anni, senza riferimenti allo status contrattuale. Potendo fare il mondiale, anche noi andremo alla partenza con la squadra più attrezzata. Prima non era così scontato. Per cui valuteremo il percorso e gli atleti che avremo a disposizione. Però non c’è nulla di scontato. Ricordate Felline?

Mondiali under 23 di Limburgo 2012…

Esatto, il professionista io l’ho convocato. Aveva vinto il Memorial Pantani la settimana prima, ma venne su quasi infastidito perché voleva correre il mondiale dei pro’ e non fece proprio una gran corsa. Questo per dire che se anche prendi un corridore di un certo livello, bisogna che sia motivato. Il nome non basta.

La collaborazione fra Amadori e Salvoldi proverà a invertire la tendenza di bruciare le tappe
La collaborazione fra Amadori e Salvoldi proverà a invertire la tendenza di bruciare le tappe
Il fatto che si valuti la fascia d’età ti permette di selezionare anche quelli che da juniores vanno tra i pro’. Cosa pensi di questa tendenza?

Non è il massimo. La gente non capisce che di Remco Evenepoel c’è solo lui. Questo qui non è uno junior che andava forte. E’ uno che ha vinto tutte le tappe del Lunigiana e tutte le gare a tappe cui ha partecipato nel 2018. Che ha vinto gli europei strada e crono e poi i mondiali strada e crono. Ora mi dite quanti di quelli che stanno passando direttamente professionisti hanno avuto risultati appena simili? Per crescere c’è bisogno di salire un gradino alla volta.

Ora gli juniores sono stati affidati a Salvoldi, ci sarà collaborazione con lui per cercare di raddrizzare la cultura di squadre, atleti e famiglie?

Sicuramente sarà il primo punto, ma è qualcosa che si faceva anche prima.

Si parla molto del pool di esperti che faranno da supporto trasversale ai tecnici federali.

Confermo, daranno consigli e aggiornamenti al settore che si rivolgerà a loro. Sono più aggiornati di noi su metodologie e sistemi e ci terranno aggiornati su aspetti grazie ai quali guadagnare i piccoli margini per fare la differenza.

In che modo sarà strutturata la stagione internazionale degli under 23?

Sostanzialmente ruoterà attorno alla Coppa delle Nazioni, anche se ha solo 4 tappe, ai Giochi del Mediterraneo in Algeria a luglio, gli europei ad Anadia in Portogallo e i mondiali in Australia.

E le crono le seguirà Velo.

Con la massima collaborazione, provando a inserire elementi giovani perché facciano esperienza. Valuteremo i nomi. Ci sono under 23 che hanno fatto bene da juniores, sui quali bisognerà lavorare per tenerli nel giro della nazionale. E’ importantissimo per corridori come Tiberi, Milan e lo stesso Piccolo sapere che il filo con la maglia azzurra non si interrompe. Anche perché alcuni passano tanto presto e poi rischiano di perdere contatto.

In questo c’è il vero elemento di novità…

E’ il nostro indirizzo. Non escludo di convocare presto Piccolo e credo che saranno esperienze utili ad esempio anche a uno come Verre, che è passato secondo me troppo presto. Capisco il discorso economico, ma nel professionismo bisogna pensare a lungo termine. Noi cercheremo di stare vicini ai nostri ragazzi.

EDITORIALE / Perché Tiberi non ha corso la crono under 23?

20.09.2021
4 min
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Ai mondiali di Harrogate, facendosi notare per un rocambolesco cambio di bici nei primi metri di corsa, Antonio Tiberi portò a casa l’oro della crono juniores. Un grande risultato che faceva immaginare un futuro radioso sia per la sua carriera di club, sia ovviamente in nazionale. Uno che vince l’oro da junior te lo aspetti in azzurro anche da under 23. Ti aspetti che i tecnici federali se lo contendano, lo seguano, lo mettano al centro di un progetto che lo porterà negli anni successivi a giocarsi il titolo fra i grandi.

Il 2020 è stato l’anno balordo che tutti ricordiamo, per cui gli under 23 non hanno avuto vetrine internazionali. Quest’anno qualche segnale fra i grandi Tiberi lo ha lanciato e giusto la scorsa settimana ha centrato un nono posto nella cronometro dello Skoda Tour of Luxembourg. E allora perché non è stato convocato per i mondiali under 23 della crono in Belgio? Perché non è stato organizzato per lui un piano di avvicinamento alle sfide di Bruges? E perché, volendo ampliare l’angolazione, non è stato portato al Tour de l’Avenir? 

Prima del via, Baroncini parlava di bici con Irizar e De Kort della Trek: l’anno prossimo sarà ai mondiali della crono?
Prima del via, Baroncini parlava di bici con Irizar e De Kort della Trek: l’anno prossimo sarà ai mondiali della crono?

Nessuna regola

L’Unione ciclistica internazionale non ha regole che impediscano agli atleti WorldTour di essere convocati, vige pertanto una sorta di blocco tutto italiano, per cui si preferisce puntare sugli atleti delle continental e delle squadre di dilettanti, aprendo al massimo la porta a quelli che provengono dalle professional, come confermano le ripetute convocazioni di Zana. Filosofia rispettabile, ma non condivisibile. Tiberi non avrebbe il diritto (sportivo) di continuare a crescere nella specialità con la quale ha reso grande il suo Paese? E non avrebbe lo stesso diritto Filippo Baroncini, che giusto oggi ha ottenuto il nono posto fra gli under 23, anche se dal prossimo anno sarà anche lui alla Trek-Segafredo?

Struttura unica

Per ammissione di Roberto Amadio, responsabile delle nazionali, con la sua organizzazione sportiva l’Italia rappresenta un’eccezione. E questo, ad avviso di chi scrive, rischia di penalizzare i nostri atleti se la Federazione per prima non deciderà di recitare nuovamente un ruolo da protagonista. Il punto forse è fare chiarezza su quale debba essere l’atteggiamento delle nazionali giovanili in questo Paese, culla del ciclismo e capace allo stesso tempo di aggrovigliarsi su se stesso, perdendo occasioni d’oro.

Come abbiamo già visto analizzando la situazione degli juniores, il tecnico federale fa il selezionatore e sta ai direttori sportivi preparare gli atleti. Un cambiamento introdotto quando il Centro Studi distribuì in giro la preziosa qualifica e ritenne che la Federazione potesse lavarsi le mani della preparazione degli atleti di interesse azzurro. I direttori sportivi sarebbero stati in grado, si disse, di gestire la preparazione dei ragazzi. Solo che, senza il filtro e la vigilanza federale, alcuni lo hanno fatto con l’ottica di farli crescere e altri avendo come unica stella polare il risultato.

Tiberi ha vinto il mondiale della crono nel 2019 nello Yorkshire. Qui con il tecnico De Candido
Tiberi ha vinto il mondiale della crono nel 2019 nello Yorkshire. Qui con il tecnico De Candido

Dubbio under 23

Che cosa si deve fare fra gli under 23? L’atleta che conquista un titolo mondiale va considerato un capitale dell’intero movimento nazionale e come tale gestito a quattro mani, fra il club e la Federazione? Oppure si volta la pagina e ci si lascia alle spalle la preziosa occasione di farlo crescere perché un domani porti a casa altre medaglie? Basterebbe semplicemente dirsi chiaramente quali siano gli obiettivi e attenersi alla normativa internazionale. Tutto il resto complica le cose e non rende giustizia ai corridori. Affrontare un mondiale contro i pari età è il solo modo per crescere ed è la chiave grazie alla quale la Federazione può monitorare gli step di crescita dei suoi atleti. Limitarsi a selezionarli, avendo identiche possibilità di vincere o perdere, non è gratificante per nessuno. Un tecnico federale dovrebbe avere il diritto, la possibilità e soprattutto la voglia di fare di più.

Masnada e Ciccone, due scontenti nella fornace di Imola

20.06.2021
3 min
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Fa così caldo, che quando Masnada si versa una bottiglietta in testa, fai fatica a capire dove cominci l’acqua e dove invece finisca il sudore. Il gruppetto degli inseguitori deve ancora arrivare, sono i minuti a caldo del dopo corsa. Fausto è seduto su una rotonda e recupera la regolarità del respiro, ma davanti agli occhi gli scorrono le fasi finali di corsa. Pensare che a Livigno negli ultimi giorni si era anche allenato con Colbrelli e forse proprio averlo visto all’opera sta rendendo lo smacco del secondo posto meno pesante da digerire. Poi in un secondo passano Colbrelli di ritorno verso il podio e Nibali e Ciccone verso i pullman, nel segno di una polemica che monta. E Fausto resta lì seduto a raffreddarsi, mentre la fila degli scontenti si allunga. E finalmente comincia a parlare.

Il forcing di Masnada sulla Galisterna non è bastato per staccare Colbrelli
Il forcing di Masnada sulla Galisterna non è bastato per staccare Colbrelli

Difficile controllare

La corsa l’ha accesa lui. Mentre davanti Affini macinava i chilometri e dava la dimensione della sua grande forza, come un lampo dal gruppo si avvantaggiava una maglia azzurra della Deceuninck-Quick Step: quella di Masnada.

«Il percorso era difficile da controllare – dice con un filo di voce – eravamo rimasti uno per squadra e uno scatto poteva fare la differenza. Per questo mi sono avvantaggiato, ma Sonny ha dimostrato di essere il corridore più forte non solo in Italia, ma di tutto il WorldTour. In salita ho provato a staccarlo, ma se non facevo il mio passo regolare, finisce che mi staccava lui. E’ un mese che non correvo, ero andato a Livigno per cercare di migliorare la mia condizione, ma alla fine mi sono reso conto di non avere le gambe per fare la differenza. Il tendine del ginocchio ha retto bene, non mi ha dato fastidio. Vediamo come starà domattina…».

Ciccone ha qualcosa da recriminare, convinto che con Oss sarebbe potuto rientrare: gli uomini Trek sono scontenti
Ciccone ha qualcosa da recriminare, convinto che con Oss sarebbe potuto rientrare: gli uomini Trek sono scontenti

Polemica Trek

Nel gruppo alle sue spalle qualcosa deve essere successo. Quando ne è uscito Colbrelli, il distacco era di 21 secondi, era prevedibile che i numeri uno sarebbero piombati sui primi. Invece di colpo hanno cominciato a parlare, gesticolare, perdere tempo e terreno. E così nel breve tempo fra Mazzolano e Galisterna, il distacco è salito sopra il minuto e poi ha continuato ad aumentare.

Si è detto che il problema fosse l’assenza di radioline e di informazioni, ma qualcosa di insolito è successo e in parte è stato svelato dalle parole di Ciccone dopo il traguardo. L’abruzzese è colui che ha dato fuoco alle polveri e che poi si è mosso con Daniel Oss, anche se sulla sua azione è calato il maglio degli inseguitori: Nibali fra loro. E se prima magari Giulio non avrebbe detto nulla, la consapevolezza che a fine stagione il siciliano cambierà squadra potrebbe aver reso meno digeribile il suo inseguimento.

«In salita stavo bene – dice Ciccone – ma si è creata la solita situazione di tatticismi. Con Daniel Oss stavo rientrando ed eravamo arrivati a 15 secondi dal gruppetto, li avevamo nel mirino ed ero certo che in salita li avrei ripresi. Invece dietro hanno chiuso e così facendo hanno riportato sotto gli altri. Forse Vincenzo ha preferito chiudere perché si sentiva più sicuro così, ma alla fine stavamo bene entrambi ed entrambi siamo scontenti e non abbiamo portato a casa niente».

Tiberi, Svizzera sfortunato e la telecronaca della caduta

20.06.2021
4 min
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Anche se in fondo probabilmente lo sapeva già, Antonio Tiberi ha sperimentato sulla sua pelle che l’adattamento al livello WorldTour non è una passeggiata. E così se prima la Settimana Coppi e Bartali gli aveva dato la prima top 10 di tappa nel giorno di San Marino e il Giro di Ungheria a seguire il primo podio da professionista, con un terzo posto che sa di buono, il Giro di Svizzera ha preteso un rispetto superiore. Non che Antonio non ne avesse, il ragazzo ha la testa sulle spalle, ma era partito per fare la sua classifica e ha scoperto che non sempre a quel livello le ciambelle riescono col buco.

Caduta in diretta

Così quando è caduto nella sesta tappa, che da Fiesch portava il gruppo a Disentis Sedrun, se ne è fatto una ragione. E il suo racconto è l’emblema della capacità dei corridori di immedesimarsi nelle storie di cui sono protagonisti.

«Era finita la prima salita – dice – facevo parte di un gruppetto che rimontava. In realtà eravamo in un tratto che spianava e poi iniziava la discesa. Arrivavo in velocità e non mi aspettavo quella curva secca a destra. Ho pensato di frenare, ma mi sono reso conto che se avessi inchiodato sarei volato di sotto. Allora ho mollato i freni. Andavo forte e sono andato verso un guardrail. Sono caduto e ho pensato di abbracciarlo. L’ho stretto proprio fra braccio e fianco. Per questo ho battuto la scapola e mi sono procurato una lesione muscolare, che sta andando a posto solo adesso. Ma per fortuna l’ho fatto. Mi sa che se non lo prendevo, volavo di sotto. Sarà durato tutto 5 secondi, ma se ci penso lo rivivo al rallentatore…».

Nel giorno della caduta con Serrano, al Giro di Svizzera
Nel giorno della caduta con Serrano, al Giro di Svizzera

Settimo al tricolore

Come parziale risarcimento, è arrivato però il settimo posto nella crono tricolore di Faenza (foto di apertura). Il distacco di 3’47” sembrerebbe piuttosto quello di un tappone dolomitico, ma è pur vero che cronometro di quella distanza non se ne fanno più. Nemmeno ai mondiali, tanto che Ganna lo scorso anno vinse sulle stesse strade la prova iridata sulla distanza però di 31,3 chilometri. E soprattutto non faceva così caldo.

«E’ stata una bella combinazione di caldo e salite – racconta – grande caldo, parecchio afoso, e un percorso lungo e duro. Era la prima volta che facevo una crono così lunga e così impegnativa. Alla fine sono anche riuscito a spingere bene, ma ormai il finale era già scritto. Poi ho avuto l’inconveniente di perdere la borraccia dopo 15 chilometri. E’ saltata su una buca ed è stata veramente dura. Diciamo che ho fatto una bella esperienza».

Meglio a Faenza

In proporzione però è andato meglio a Faenza che nella crono inaugurale dello Svizzera a Frauenfeld, con un passivo di 1’12” sui 10,9 chilometri domati da Kung.

«Sinceramente mi trovo meglio nelle crono lunghe – ammette – e quella dello Svizzera era l’aspetto peggiore delle crono per me. Era bagnata, molto tecnica e breve. E nelle crono tecniche dove ci sono da fare tanti rilanci e brevi non mi trovo bene. Vado meglio col ritmo regolare nelle crono di resistenza. Ci lavoro tanto, anche quando sono a casa. La bici da crono la uso spesso, a volte anche quando faccio scarico, per tenere il fisico abituato alla posizione».

Tero sul podio del Giro di Ungheria dietro Howson e Hermans
Tero sul podio del Giro di Ungheria dietro Howson e Hermans

Svizzera sfortunato

Il suo Giro di Svizzera si è fermato invece in quel modo piuttosto brusco, anche se doveva essere la prima corsa a tappe in cui mettersi alla prova, approfittando delle due cronometro.

«Niente – sorride mestamente – è andato come volevo. In nulla. Sono stato parecchio sfortunato, con due cadute. Una purtroppo non per colpa mia, l’altra invece…. Però sulle salite è andata abbastanza bene. Il ritmo era parecchio alto. Per cui all’inizio le sensazioni erano di sofferenza. E’ una cosa mia, di genetica. All’inizio di uno sforzo mi servono 4-5 minuti per prendere il ritmo, poi mi scaldo e va bene. Forse però è arrivato il momento di fermarsi un pochino. Finisco questo campionato italiano e poi a luglio starò a casa a tirare il fiato, poi riprenderò con il Giro di Polonia e il Tour de l’Ain. E magari la seconda parte di stagione avrà un gusto migliore».