Venerdì sera, nel corso della classica Serata del Grande Ciclismo di Pesaro, durante un momento di salotto condotto da Luca Gregorio e Riccardo Magrini, il microfono è finito in mano a Gianmarco Garofoli, che non ci ha pensato due volte. Agganciandosi alle parole di Magrini, che parlava della difficoltà del ciclismo italiano, il corridore marchigiano della Soudal Quick Step, ha piazzato uno scatto deciso.
«Non è vero che il ciclismo italiano è in difficoltà – ha detto – ci sono tanti corridori forti che ottengono ottimi risultati. Davanti a tutti ci sono Pogacar e pochi altri, ma subito dietro ci siamo noi. Solo che chi racconta le corse non lo dice. Si parla sempre degli stessi, di quanto sia forte Pogacar e gli altri è come se non ci fossero. Faccio un esempio: Alessandro Verre. E’ arrivato secondo nella tappa regina del Giro d’Italia, ma nessuno ne ha parlato».
Magrini ha replicato che non è vero e che nessuno ricorda nemmeno chi abbia vinto la tappa di Sestriere. Aveva ragione: abbiamo avuto bisogno di ricorrere al web per ricordare il nome di Chris Harper e a maggior ragione – viene da dire – si sarebbe potuto dedicare più spazio a Verre. E con la disputa che è andata avanti ancora per qualche minuto, a noi è venuto di fare una considerazione che, dopo la vittoria di Sinner a Torino e la figuraccia della nazionale di calcio a Milano, ha preso maggiore consistenza.
La serata del Grande Ciclismo si è svolta a Pesaro, organizzata dai primi due a sinistra: Giacono Rossi e Maurizio RadiLa serata del Grande Ciclismo si è svolta a Pesaro, organizzata dai primi due a sinistra: Giacono Rossi e Maurizio Radi
I soliti due al comando
Sinner e Alcaraz sono davanti a tutti come Pogacar e Vingegaard: alle loro spalle c’è il vuoto. La sola differenza è che Sinner è italiano: basta questo perché i risultati dei giocatori alle sue spalle diventino immensi. Non vogliamo dire che non siano ottimi atleti, ma avendo vinto negli ultimi due anni tornei di seconda schiera (ATP Tour 250), probabilmente non avrebbero tanta eco mediatica se là davanti al posto di Sinner ci fosse un giocatore non italiano. Si parla tanto di Jasmine Paolini, senza rendersi conto che un’Elisa Longo Borghini vale cento volte di più.
Se con Pogacar ci fosse un italiano di pari livello, come per magia i risultati di Ciccone, Scaroni, Ganna, Milan, Viviani, Trentin e Vendrame sarebbero raccontati con altra enfasi. Questo perché i grandi media vivono di iperboli: l’ordinario non esiste e di conseguenza scompare. Anche al di fuori della diretta, si preferisce fare pagine e minuti su Pogacar, cadendo in esaltazioni anche ripetitive, piuttosto che approfondire quello che c’è dietro. Una vecchia storia da cui difficilmente usciremo, motivo di dibattiti estenuanti che hanno spinto noi a intraprendere una linea diversa e che comprensibilmente possono diventare causa di frustrazione per gli atleti… invisibili.
Secondo a Sestriere nella 20ª tappa del Giro, Verre è per Garofoli l’emblena del corridore ignorato da parte dei mediaSecondo a Sestriere nella 20ª tappa del Giro, Verre è per Garofoli l’emblena del corridore ignorato da parte dei media
La WorldTour italiana… nel calcio
Che cosa dovremmo dire allora del calcio italiano, se il ciclismo è in crisi? Non si vince la Champions League dal 2010, quando l’Inter vinse anche il mondiale per club. E bisogna ringraziare l’Atalanta che nel 2024 vinse la UEFA Europa League, perché andando a ritroso per vedere un’altra vittoria italiana bisogna risalire al 1999 del Parma. Nel 2006 l’Italia ha vinto i mondiali di calcio. Nel 2010 e nel 2014 è stata eliminata al primo turno. Mentre nel 2018 e nel 2022 non si è qualificata. E dopo la sconfitta di ieri con la Norvegia, rischia grosso anche questa volta.
Eppure si riempiono pagine e palinsesti di campioni stranieri, che sventolano le bandiere delle squadre di casa nostra, senza pensare (probabilmente) che proprio grazie a tale colonialismo, i giocatori italiani hanno perso consistenza e qualità. Servirebbe anche a loro una WorldTour italiana, che avesse il coraggio di investire seriamente sul vivaio?
Ciccone ha vissuto un 2025 più continuo, sia pure con incidenti. Qui primo a San SebastianCiccone ha vissuto un 2025 più continuo, sia pure con incidenti. Qui primo a San Sebastian
Continuità cercasi
Garofoli ha ragione? Restando sul dato oggettivo e sportivo, probabilmente sì. Ma poiché il pubblico dello sport italiano prima di essere competente è soprattutto tifoso, in mancanza di continuità e grandi vittorie, si continuerà a sostenere che il ciclismo italiano sia in crisi. La continuità fa la differenza, su questo aveva ragione Magrini. Il Ciccone di quest’anno ha dato un seguito al podio del Lombardia 2024 e se non si fosse ammalato dopo i mondiali, probabilmente avrebbe continuato nella serie. Altri invece si sono affacciati alla porta dei grandi e poi sono spariti.
E’ importante dare al pubblico dei riferimenti. Pellizzari per la salita. Ciccone per le classiche. Milan per le volate. Scaroni e Ballerini per altre classiche. Se tutto questo diventerà un’abitudine, sarà più difficile ignorare certe prestazioni e l’arrivo di giovani interessanti come Finn verrà inquadrato in un movimento già di per sé florido. I problemi esistono. Il livello giovanile è in forte difficoltà. Ma se proprio qualcuno ha voglia si sparare sulla Croce Rossa, guardi verso il calcio. Se noi siamo in crisi, loro come sono messi?
La tendinite non arriva per caso. Al di là di qualche predisposizione, deriva da un difetto dei materiali o di posizione. E poi ci sono i sovraccarichi
Il 2025 di Alessandro Verre, ciclisticamente parlando, è finito prima del previsto a causa di una caduta tanto sfortunata quanto fortunata allo stesso tempo. Durante uno degli ultimi allenamenti della stagione, al termine di una Vuelta corsa all’attacco, una buca a 300 metri da casa gli ha fatto scivolare le mani dal manubrio. Da lì la caduta, la scapola e due costole rotte. Tanto dolore e la fine anticipata delle corse, ma fortunatamente nessuna complicazione ulteriore.
«Dovevo prendere parte alla Cro Race – racconta il corridore lucano – e al Lombardia, ma ho dovuto saltare entrambi. E’ stato un periodo strano perché di colpo mi sono trovato forzatamente in “vacanza” mentre gli altri correvano. Il giorno del Lombardia (il 12 ottobre scorso, ndr) è stato quello in cui sono tornato sui rulli per muovere un po’ le gambe».
Alessandro Verre durante l’ultima Vuelta ha indossato per qualche tappa la maglia pois dedicata ai GPMAlessandro Verre durante l’ultima Vuelta ha indossato per qualche tappa la maglia pois dedicata ai GPM
Sicuramente un ottobre diverso…
Sì anche perché con una scapola e due costole rotte non avevo modo di fare le mie solite vacanze. Sono rimasto a casa, a riposo completo. Durante l’inverno è difficile che io rimanga fermo completamente, tra camminate e gite ho sempre fatto qualcosa. Quest’anno con il braccio immobilizzato non potevo fare nulla, nemmeno guidare per spostarmi da casa.
Adesso hai ripreso?
Stavo aspettando che aprisse la palestra, da una settimana e mezzo ho iniziato la preparazione ma in maniera abbastanza tranquilla. Adesso sto ancora evitando esercizi di carico come il bilanciere, per non gravare troppo sulla scapola, preferisco usare i macchinari.
Verre in azione sul Colle delle Finestre durante la 20ª tappa del Giro 2025, terminata al secondo postoVerre in azione sul Colle delle Finestre durante la 20ª tappa del Giro 2025, terminata al secondo posto
Un finale indesiderato, ma per il resto che stagione è stata?
Ho capito tante cose, in generale che la salute deve essere sempre al primo posto. E’ inutile inseguire una condizione se non si ha modo di raggiungere un buon livello. Dopo l’Australia, a inizio anno e al Giro è stato così. Inoltre ho avuto il Covid dopo il Giro di Polonia, mi ero negativizzato ma ho fatto parecchia fatica a tornare in forma.
Devo essere sincero: no. Forse si è notata maggiormente a fine stagione, quando si era capito che per il prossimo anno non si erano trovate soluzioni utili. Durante tutto l’anno il team ha sempre manifestato una certa fiducia nel poter risolvere la cosa. Io ero comunque in scadenza di contratto, di conseguenza stavo cercando una sistemazione in vista del 2026.
L’Arkea B&B Hotels ha lottato fino all’ultimo per riuscire a proseguire con l’attività (foto Getty)L’Arkea B&B Hotels ha lottato fino all’ultimo per riuscire a proseguire con l’attività (foto Getty)
Come l’hai vissuta questa ricerca?
Dopo il Giro (concluso con il secondo posto nella tappa del Sestriere, ndr) sembravano esserci tante squadre interessate. Ma poi non si è concretizzato nulla, magari anche perché è mancata continuità di prestazioni da parte mia.
Sono felice di tornare dove sono stato bene, l’ambiente lo conosco e da parte loro ho visto una gran voglia di crescere. Mi fa piacere anche entrare a far parte di una realtà in continuo sviluppo, dove potrò lavorare con gente nuova e ambiziosa. Il team sa cosa vuole e io so quel che cercano da me. Penso e credo che i risultati possono arrivare lavorando bene e uniti.
Hai mai pensato di aver lasciato la Colpack troppo presto?
Ci ho pensato, ma non credo di essere diventato professionista troppo presto. Alla fine sono andato a correre in una formazione professional che mi ha fatto crescere anno dopo anno. Nella mia prima stagione non ho praticamente fatto gare di categoria WorldTour, è stato un cammino progressivo. Senza considerare che il professionismo è un treno che passa una volta sola nella vita.
Verre torna e vestire i colori della Colpack, ora diventata MBH Bank-Ballan-Csb, che dal 2026 sarà professionalVerre torna e vestire i colori della Colpack, ora diventata MBH Bank-Ballan-Csb, che dal 2026 sarà professional
Ti sei sentito di salire al volo?
Quando è arrivata la chiamata mi hanno contattato per i risultati ottenuti, chi mi avrebbe mai garantito che sarei riuscito a replicarli? Inoltre ho avuto quattro anni per dimostrare di essermi meritato il passaggio. Ero anche l’unico italiano in una squadra straniera, a volte aver qualcuno con cui parlare e scambiare idee può essere utile.
C’è voglia di ripartire e dimostrare il tuo valore?
Assolutamente, a gennaio faremo un primo ritiro in Spagna e già ora voglio fare un bell’inverno in cui gettare delle solide basi. Non ho fretta, mi godo ancora un po’ di tranquillità prima di rimettermi in gioco.
Kevin Vauquelin è stato uno dei personaggi del Tour de France. Tanto più perché francese, ha riscosso grande attenzione mediatica. Per dieci giorni si è quasi giocato il podio e la maglia bianca, poi le cose si sono fatte più complicate per l’atleta della Arkea-B&B Hotels. E dicendo Arkéa, la mente va subito all’italiano che da più anni milita nel team bretone: Alessandro Verre.
Il lucano sta iniziando il Tour de Pologne ed è uno dei ragazzi che è stato vicino a Vauquelin sia durante la stagione che nei primi tempi in squadra. Entrambi infatti sono classe 2001. Ed entrambi sono arrivati all’Arkea nel 2022, anche se Vauquelin era già da tempo nell’orbita del team, avendovi fatto esperienze da stagista. Per di più, anche lui è normanno, dunque non lontano dalla sede dell’Arkea.
Con l’aiuto di Verre cerchiamo quindi di saperne di più su questo atleta, che tra l’altro proprio nei giorni post Tour si è fratturato il perone mentre scendeva le scale con le valigie in mano. Una vera sfortuna.
Alessandro Verre è all’Arkea B&B Hotels da quattro stagioni (foto Instagram)Alessandro Verre è all’Arkea B&B Hotels da quattro stagioni (foto Instagram)
Partiamo da te, Alessandro. E’ un bel po’ che non corri…
Eh sì, non corro dal Tour de Suisse e da oggi inizia per me questa seconda metà di stagione con il Polonia.
E come stai? Con che obiettivi parti al Polonia?
Come sto lo scopriamo da oggi, spero di star bene. C’è stata questa grande pausa estiva durante la quale abbiamo ricaricato un po’ la testa, più che altro. E chiaramente ho recuperato fisicamente.
Quanto è stato importante resettare tutto, sfruttando però la condizione con cui sei uscito dal Giro?
Alla fine tanto buona, poi, questa condizione non era. Mi aspettavo che il Giro d’Italia mi lasciasse quel qualcosa in più, come è stato un po’ lo scorso anno, anche perché lo avevo finito bene, però non è stato così. Anche in Svizzera, dopo due settimane, ero veramente molto stanco e mi sono ritirato, nonostante quella corsa fosse divenuta molto importante per noi, visto che avevo la maglia di leader con Kevin Vauquelin. Quindi c’era del lavoro da fare per difenderla.
C’è l’ipotesi Vuelta per te?
Sono scaramantico e non mi va di dirlo! Diciamo che in questo Polonia ci giochiamo molto circa la mia presenza in Spagna… Come vi ho detto in passato, la Vuelta è una corsa che veramente voglio fare. E’ quella che reputo più adatta a me.
In Francia la popolarità di Vauquelin è schizzata alle stelle dopo il Tour (foto ASO/Charly Lopez)In Francia la popolarità di Vauquelin è schizzata alle stelle dopo il Tour (foto ASO/Charly Lopez)
Quest’anno poi ha un percorso durissimo. Sembra essere il Regno degli scalatori…
E per di più parte anche dall’Italia. Però fino a che non è ufficiale non ci penso, semmai ci andrò avrò tempo per studiare il percorso.
Invece, Alessandro, hai parlato di Vauquelin allo Svizzera? Ci sei stato a contatto quest’anno, in particolar modo proprio nella corsa elvetica. Partiamo dalla persona: che ragazzo è Kevin?
E’ un bravissimo ragazzo e quest’anno è cambiato tanto rispetto agli anni scorsi. Kevin è diventato un vero leader. Lo vedi da come parla al gruppo e in gruppo. E più in generale dai suoi comportamenti si nota che ha acquisito molta fiducia in se stesso.
E’ cambiato da questo inverno o è stato un passaggio graduale?
Penso comunque sia stato un passaggio graduale di anno in anno. Kevin non lo stiamo scoprendo adesso, magari quest’anno al Tour si è messo molto in luce, ma non è da poco che va forte. Sì, dalla prima parte dell’estate fino al Tour è andato forte in modo particolare.
Chiaro…
Io avevo fatto con lui già altre corse a metà stagione, verso aprile, e andava bene ma era differente. Dallo Svizzera invece ho trovato una persona completamente diversa. E mi riferisco proprio dal punto di vista mentale.
Tour de Suisse: Verre in testa a tirare per capitan Vauquelin in maglia bianca (foto Getty)Tour de Suisse: Verre in testa a tirare per capitan Vauquelin in maglia bianca (foto Getty)
Come te lo spieghi questo salto di personalità, questo cambiamento?
Non lo so di preciso perché non sto con lui così tanto tempo anche fuori dalle corse, probabilmente sarà anche merito dello staff che ha attorno. Ha anche dei professionisti esterni che lo supportano… Insomma un insieme di cose che hanno accresciuto la sua fiducia. Ma in generale è cambiato. Per esempio penso ai ritiri di qualche tempo fa. Era più esuberante, anche in discesa. E non nascondo che in qualche occasione è anche caduto, mettendo a rischio tutto quanto il lavoro fatto. Invece adesso è più maturo, si è calmato… e si vede!
Invece, da un punto di vista del corridore? Questo ragazzo inizia ad avere un buon palmarès: due volte secondo alla Freccia Vallone, una tappa al Tour, podio finale al Tour de Suisse… Corre a testa alta e petto in fuori anche contro i grandi.
Eh sì, anche al Tour si è visto. E per me si è visto soprattutto negli ultimi giorni, quando era in difficoltà.Dove non arrivava con le gambe, ci arrivava con la testa e la tenacia. Lo vedevo e notavo come si gestiva. E infatti, nonostante perdesse qualcosa, il giorno dopo era pronto a ripartire da capo.
Secondo te che corridore è: cacciatore di tappe e classiche o uomo da Grandi Giri?
C’era questo dubbio nella terza settimana, diciamo dai Pirenei in poi, dove le salite erano più lunghe e meno adatte alle sue caratteristiche. Però ha dimostrato di sapersi difendere. Certo, magari non è all’altezza degli “alieni”, però ha dimostrato di poter stare davanti al Tour: non è cosa da poco. Poi sicuramente è più adatto a quei generi di arrivi come la Freccia appunto o nelle classiche dove le salite sono brevi ed esplosive. E poi c’è anche da dire un’altra cosa.
Vauquelin sul “suo” Mur de Bretagne. Ad oggi il francese è senza dubbio più adatto alle classicheVauquelin sul “suo” Mur de Bretagne. Ad oggi il francese è senza dubbio più adatto alle classiche
Prego…
Kevin va forte a cronometro, si sa difendere molto bene. E se dovesse iniziare a lavorarci in modo specifico potrebbe essere un vantaggio per lui…
Specie se, come sembra, cambierà squadra e dovrebbe andare alla Ineos Grenadiers (manca giusto l’ufficialità)…
Dalle voci che girano… ma non sono cose che mi riguardano. Di certo potrà provare ad impegnarsi sulle tre settimane. Ma questo dipenderà sempre da lui e dalle scelte che farà la squadra, qualunque essa sia, in cui si ritroverà. Ha le carte in regola per fare quel passo in avanti, mettiamola così.
E come persona?
E’ simpatico, scherza… Poi siamo coetanei. Ma come ho detto prima, da quest’anno soprattutto mi sta colpendo proprio il suo atteggiamento, il modo in cui ti parla. Anche con me: il giorno che mi sono ritirato in Svizzera, quando stavo male e lui aveva la maglia che dovevamo difendere, è venuto da me e mi fa: «Alessandro, stai tranquillo, non è successo niente». Aveva visto che ero dispiaciuto, ma anche che ci avevo provato.
Il primo rinforzo per la MBH Bank-Ballan di quest’anno, con un occhio sul prossimo, è un ragazzo di 35 anni che corse con la UC Bergamasca-Colpack nel 2009 vincendo fra le altre il Giro delle Valli Cuneesi. Mise a segno una fuga in alta montagna che gli consegnò la classifica e un biglietto per il professionismo con la Footon-Servetto. Aveva vent’anni e lo portarono al Tour. Quando Fabio Felline si è ritirato alla fine del 2024, pochi e lui per primo erano convinti che fosse arrivato il momento di fermarsi. Così quando parlando con Davide Martinelli è uscita l’idea di correre ancora un po’ nella squadra che il prossimo anno sarà professional, la risposta è stata affermativa ed entusiasta.
«Felline – dice Gianluca Valoti, diesse della squadra – aveva iniziato a collaborare con Davide Martinelli per i training camp che organizza. Si è sempre allenato ed era chiaro che avesse ancora voglia di correre. Solo che non c’erano posti liberi e noi come continental non possiamo avere più di 20 corridori. Poi è venuto fuori che Gabriele Casalini avrebbe smesso e allora abbiamo proposto a Fabio e allo sponsor di entrare da quest’anno e lui ha accettato».
Un periodo di prova in continental per un atleta che ha corso fino a ieri nel WorldTour per convincere lo sponsor ungherese dell’opportunità di prenderlo nella professional. Di certo è la dimostrazione che Felline avrebbe continuato ben volentieri a correre e che probabilmente la mancata riconferma sia stata un fulmine a ciel sereno.
Felline aveva salutato il ciclismo professionistico al Motovelodromo di Torino, poco convinto di doversi ritirareFelline aveva salutato il ciclismo professionistico al Motovelodromo di Torino, poco convinto di doversi ritirare
Con Verre a Sestriere
Valoti racconta, ancora poche parole su Felline e si prosegue nel discorso. Lo avevamo incontrato per caso all’arrivo di Sestriere del Giro d’Italia, quando il “suo” Verre si era… destato azzeccando una giornata da scalatore vero. Gli chiedemmo se lo avrebbe ripreso in squadra l’anno prossimo. «Ne parlavo con Antonio giusto ieri sera – aveva detto con riferimento al suo collega Bevilacqua – e gli ho detto che se avesse fatto una bella tappa, gli avremmo proposto di tornare».
Verre era seduto sull’asfalto con la schiena sulla transenna. Ansimando, con dolori in ogni parte del corpo, ma un sorriso stampato sul volto che parlava della immensa soddisfazione di essere stato per un giorno al suo livello. Valoti lo guardava e poi lo perdemmo di vista. Quando un paio di giorni fa lo abbiamo richiamato, scoprendo proprio nella circostanza la novità Felline, lo scopo era proprio ragionare su quali suoi ex corridori vedrebbe volentieri nella squadra che il prossimo anno sbarcherà nel professionismo.
«Ma quelli che potrebbero – ha detto ridendo – sono pochi, perché costano un po’ tanto, nel senso buono ovviamente. Gli ho sempre detto: ”Adesso passi il professionista, devi solo pensare a guadagnare il più possibile per sistemarti la vita”. Ce ne sono pochi che sono liberi, per fortuna».
Sestriere, due settimane fa: sul Colle delle Finestre il risveglio del vero VerreSestriere, due settimane fa: sul Colle delle Finestre il risveglio del vero Verre
Ma sono tutti valorizzati al punto giusto? Verre ad esempio, tra sfortune e incomprensioni, alla Arkea ha spesso dovuto adeguarsi a scelte insolite.
Al primo anno era l’Alessandro che conoscevamo. E’ partito subito bene, si faceva sentire, entrava nel vivo della corsa, ha fatto qualche piazzamento. Poi si è un po’ smarrito. E’ stato sfortunato per due anni, invece quest’anno si è fatto vedere di più. Al Giro, forse è l’unico della squadra ad aver lasciato un segno.
E’ dipeso dal fatto che non fosse pronto per passare o che non abbia trovato l’ambiente giusto?
Ci sono corridori che hanno bisogno di un certo tipo di comunicazione per andar forte. Spesso accusano le squadre italiane di coccolarli troppo, ma voglio vedere se alla UAE Emirates non coccolano Pogacar, Del Toro o lo stesso Ayuso. Anzi forse a Juan bisogna stare dietro più che a Pogacar, perché Tadej ha i risultati che gli tengono alto il morale. Invece gli altri corridoi hanno bisogno di risultati e di un aiuto in più. Sono giovani e hanno bisogno di persone di riferimento, non solo di mail e whatsapp. Hanno vent’anni, sono ancora dei ragazzini.
Facciamo noi un nome: Masnada è uno con cui si potrebbe lavorare bene?
Secondo me sì. Fausto ha avuto tanti problemi ed è stato in ottime squadre, seguito bene. Però, conoscendolo sin da quando era un ragazzo, secondo me ha bisogno di una squadra familiare e di persone capaci di stargli vicino in modo diverso. Ripeto: viene da squadre importantissime dove è stato gestito in modo perfetto. Però, ritorniamo sempre lì: sono ragazzi che magari hanno bisogno di una parola in più, di una pacca sulla spalla.
C’è qualcuno che ti piacerebbe riavere tra le mani?
Il gruppo pista, che era affiatatissimo. Lamon, Boscaro, Ganna, Consonni… Andavano forte, vincevano, però nello stesso tempo ci divertivamo.
Gp Citta di Boscochiesanuova 2015, Masnada pilota Ciccone: nel giro di due anni saranno entrambi pro’ (photors.it)Gp Citta di Boscochiesanuova 2015, Masnada pilota Ciccone: nel giro di due anni saranno entrambi pro’ (photors.it)
Invece degli under 23 della squadra 2025 qualcuno passerà professionista?
L’intenzione è quella di tenere ancora un gruppo di under 23, soprattutto visti i risultati recenti di Vesco e Bracalente, che sono riusciti a vincere corse internazionali. Essendo ancora under 23, ci piacerebbe portarli al professionismo. Quest’anno abbiamo 20 corridori e tutti sicuramente non riusciremo a farli passare, però penso che una parte la porteremo con noi. E poi preferisco tenermi i ragazzi che conosco da due o tre anni, che prenderne altri che non conosciamo.
Alcuni di quelli che avete portato avanti hanno smesso poco dopo essere passati o non sono riusciti a fare il salto. Vengono in mente in ordine sparso i nomi di Gidas Umbri, Zaccanti oppure Trainini.
Sicuramente ci sono dei ragazzi che hanno abbandonato e potevano far bene. Va detto però anche che qualcuno è portato maggiormente a fare sacrifici e tener duro, nel senso di fare una vita da atleta adeguata, e invece qualcuno che al posto di fare l’ora di allenamento in più ne fa una in meno. Il ciclismo non è per tutti. Dispiace sempre quando un corridore smette, però purtroppo le cose vanno così.
Alcuni di quelli che sono passati con le stimmate del campione fanno fatica a trovare la loro dimensione: uno forse è lo stesso Verre.
Secondo me dopo tre anni da professionista, riesci a capire qual è il tuo ruolo. Ne parlavo durante il Giro al telefono con Baroncini e si diceva esattamente questo: dopo tre anni capisci se puoi ancora vincere o se ti conviene fare il gregario. Io penso che Verre in questi anni abbia capito dove può arrivare o dove può migliorare. Certamente a tutti i ragazzi fa gola il WorldTour, però devono anche capire che in una squadra ci sono 30 corridori, fra cui 10-15 corridori con delle qualità superiori, quindi entrare nella prima squadra diventa difficile. E alla fine rischi che per stare nella grande squadra ti ritrovi a fare un’attività di livello inferiore. Se invece accetti di correre in una squadra più piccola, magari riesci ad avere un calendario più programmabile e forse le cose potrebbero andare in modo diverso.
Nel 2021 per Verre, qui con Valoti, il sesto posto al Giro d’Italia U23 vinto dal compagno Ayuso, poi il passaggio all’ArkeaNel 2021 per Verre, qui con Valoti, il sesto posto al Giro d’Italia U23 vinto dal compagno Ayuso, poi il passaggio all’Arkea
Quando Verre passò, l’Arkea era ancora una professional, ma forse Alessandro aveva ancora qualcosa da fare tra gli under 23?
Per noi fu un piccolo dispiacere, perché avere un ragazzino come Verre al terzo anno dopo avergli visto fare sesto in classifica al Giro d’Italia, ci avrebbe permesso di fare con lui una programmazione importante. Aveva tutte la possibilità di diventare professionista, non era certo all’ultima spiaggia. Invece ha deciso di passare subito e nessuno poteva sapere quale fosse la cosa migliore o quale la peggiore. Anche adesso gli juniores che passano non possono sapere se gli andrà bene oppure no. Alessandro ha visto passare Tiberi, poi Ayuso e Baroncini, ha trovato l’opportunità ed è stato giusto che abbia fatto la sua scelta. L’offerta era vantaggiosa e in certi casi anche per le famiglie è difficile rinunciare a cuor leggero a certi contratti.
Avete già cominciato a sondare il mercato?
Fino ad ora non ci siamo mossi tanto, l’arrivo di Felline è un test interessante. Abbiamo dei contatti con qualche corridore, però siamo in attesa di vedere cosa fanno le WorldTour e poi inizieremo a fare anche noi i nostri passi.
Anche se la carovana del Giro d’Italia è sempre quella e per 21 giorni – in realtà, tra riposi e vigilia si arriva a 28 – viaggia tutta insieme, non sempre ci si incontra tanto è grande e tanti sono gli impegni. E noi Alessandro Verre lo abbiamo finalmente incrociato giusto la mattina di Verres (il gioco di parole è del tutto casuale!).
Un ragazzo che conosciamo da tempo, che abbiamo visto crescere, che abbiamo seguito persino nella più bella nazionale under 23 di Marino Amadori: quella che lottava con Filippo Zana all’Avenir e vinceva il mondiale a Leuven con Baroncini. E così il piacere è stato reciproco.
Quanto calore per Verre, eccolo firmare uno striscione che riprendeva il noto slogan di un liquore lucano… come lui (foto @sof.flum)Quanto calore per Verre, eccolo firmare uno striscione che riprendeva il noto slogan di un liquore lucano… come lui (foto @sof.flum)
Quella voce impressionante
E’ stata la stessa voglia di Alessandro Verre di confidarsi. «Quando sono stato male, ragazzi. La mattina di Bormio, sul bus avevo il fiatone solo a prepararmi – raccontava il lucano della Arkéa-B&B Hotels – non riuscivo proprio a respirare. Ho pensato: oggi non la finisco. E quindi che sarei tornato a casa».
Mentre Alessandro parlava ci dirigevamo insieme verso la partenza della tappa. Lui verso il gruppo, noi verso la nostra macchina, entrambi in direzione Sestriere. Parlava, ma la sua voce era quella tipica di chi ha un raffreddore importante, una voce nasale. Non il suo solito timbro. Ecco perché fino a quel momento il lucano si era visto poco in corsa. Aveva fatto più cicli di antibiotici.
Ma da lì a poche ore la sua corsa rosa sarebbe cambiata. Avrebbe preso tutt’altro indirizzo, passando da un Giro “anonimo” – almeno per chi non sapeva – a un Giro da combattente vero.
Per due terzi di Giro Verre ha avuto a che fare con raffreddore, tosse e antibiotici. Anche per questo è stata importante la sua reazione (foto Instagram)Per due terzi di Giro Verre ha avuto a che fare con raffreddore, tosse e antibiotici. Anche per questo è stata importante la sua reazione (foto Instagram)
Verre presente
Verre va in fuga. Sulle salite della 20ª tappa il gruppo si assottiglia fino a scatenare la bagarre definitiva sul Colle delle Finestre. Scappano in due: lui e Harper. Poi l’australiano prenderà il largo. Dietro Wout Van Aertprima e Simon Yatespoi riprenderanno tutti i fuggitivi, tranne loro due.
All’arrivo, quel pianto liberatorio e forse anche delle risposte che sono arrivate proprio in extremis. E che vi abbiamo raccontato in presa diretta mentre tutti davano l’assalto a Simon Yates, re del Giro, e a Isaac Del Toro, il grande sconfitto.
«Abbiamo sparato le ultime cartucce – diceva Verre – le ultime energie che c’erano. Anche se non è una vittoria, per me vale come una vittoria. E anche per la squadra: tutti sanno il periodo difficile che stiamo vivendo in Arkea-B&B Hotels». Con grandi probabilità la squadra bretone sarà costretta a chiudere i battenti. Sembra addirittura che il team manager Huber abbia dato il via libera ai suoi corridori in vista del 2026.
«Questa bella prestazione – riprende Verre – perciò va a tutti: alla squadra, alla mia famiglia, ai miei amici. Quel mio pianto era dunque di rabbia».
Verre (classe 2001) all’arrivo del SestriereVerre (classe 2001) all’arrivo del Sestriere
Una salita durissima
«Prima del Colle delle Finestre mi sentivo benissimo, solo che questa salita non è stata adatta a me. E non tanto per lo sterrato (Verre viene dalla mtb, ndr) ma perché era davvero troppo lunga. Non sono abituato a salite di un’ora e passa.
Nonostante tutto avevo un po’ di fiducia, ma negli ultimi metri sull’asfalto ho capito che si sarebbe fatto difficile. Ho cercato subito di prendere il ritmo di Harper. Poi, quando ho visto che stavo per andare in crisi, ho cercato di gestire e salire al mio ritmo. Ma in quegli ultimi dieci chilometri la salita era interminabile. Infinita».
Al netto delle difficoltà della Arkéa, Verre sarebbe stato comunque in scadenza di contratto. Pertanto, essersi messo in mostra in una frazione tanto dura e sul palcoscenico del Giro è stato importante. Ma soprattutto quell’azione gli ha dato la fiducia anche per la seconda parte di stagione.
L’arrivo in parta di Roma con un poliziotto in moto da una parte e l’ex compagno di fuga, Martin Marcellusi, dall’altraL’arrivo in parta di Roma con un poliziotto in moto da una parte…E l’ex compagno di fuga, Martin Marcellusi, dall’altra
Da Sestriere a Roma
E guarda caso, il giorno dopo lo abbiamo ritrovato in fuga persino nel circuito di Roma, non certo il suo terreno, visto che parliamo di un atleta che sfiora i 60 chili ed è uno scalatore. Ma quando poi la testa si sblocca, anche le gambe si sbloccano… specie se il peggio del raffreddore e degli antibiotici inizia a essere alle spalle. Quel tentativo ci è piaciuto da matti. Una gran bella reazione. E’ stato come dire: «Io ci sono. Io sono questo, non quello delle tappe precedenti».
«Quello del Sestriere – dice Verre – è stato il mio primo podio tra i professionisti. Se penso che qualche giorno prima volevo andare a casa…».
«La fuga di Roma? E’ stata più per divertimento e anche per confermare quanto avevo fatto il giorno prima. Chiaramente sapevamo che il gruppo non ci avrebbe lasciato troppo spazio, però è andata. Nella riunione sul bus, quasi quasi sono stato io per primo – e poi i miei compagni – a proporla. Ho visto che stavo bene e ci ho provato».
In questi giorni Verre sta proseguendo la sua fase di recupero. Niente bici. Poi inizierà il lavoro verso il Tour de Suisse e il campionato italiano… magari per dare una mano, insieme a Giosuè Epis a Luca Mozzato.
SESTRIERE – Cominciamo dalla fine. Da quando abbiamo chiesto a Chris Harper, vincitore di tappa, che cosa rappresenti per lui il successo di oggi e se sia contento per Simon Yates che fino allo scorso anno era un suo compagno di squadra e che dietro al palco ha abbracciato calorosamente.
«Per me è fantastico – ha detto – non avrei potuto chiedere di meglio per la mia carriera. Ho avuto alti e bassi durante le tre settimane, quindi è bello finire con una nota così positiva. Sono stato compagno di squadra di Simon negli ultimi due anni e ho fatto molte gare per supportare lui e le sue ambizioni di classifica generale. Mi sono allenato molto anche con lui e so quanto sia talentuoso. Sapevo che è in grado di vincere i Grandi Giri e sono quasi più felice di vederlo in rosa che di aver vinto la tappa. Sono super felice per lui. Vorrei essere stato ancora suo compagno di squadra per aiutarlo a ottenere un risultato come questo, che certamente merita».
L’abbraccio fra Yates e Harper nel retropalco: i due hanno corso insieme (immagine Instagram)L’abbraccio fra Yates e Harper nel retropalco: i due hanno corso insieme (immagine Instagram)
Due tappe australiane
Per la Jayco-AlUlaarriva a Sestriere la seconda vittoria di tappa di questo Giro, iniziato fra i malumori per l’esclusione di Alessandro De Marchi e la rimozione di Matthew White da capo della struttura tecnica. Si faceva fatica a cogliere l’anima della squadra, ma alla fine sono stati due corridori australiani a lasciare il segno, come probabilmente era giusto che fosse. Luke Plapp a Castelraimondo e Chris Harper, appunto, a Sestriere nell’ultima tappa di montagna.
Lui ha 30 anni e il volto scavato e reso scuro dalla barba. E’ incredulo, perché mai gli era capitato di centrare una vittoria così importante. In qualche modo il suo successo di oggi ricorda quello di Prodhomme nella tappa di ieri: entrambi grandicelli, entrambi gregari ed entrambi protagonisti di lunghe fughe portate all’arrivo.
Chris Harper, 30 anni, 1,85 per 67 kg, è nato a Melbourne ed è pro’ dal 2020Chris Harper, 30 anni, 1,85 per 67 kg, è nato a Melbourne ed è pro’ dal 2020
Quando sei partito stamattina, immaginavi di vincere a capo di una fuga così lunga?
No, non proprio. L’idea era di lavorare per la fuga, ma non ero nemmeno sicuro che la fuga sarebbe arrivata al traguardo. Pensavo che, con la grande battaglia per la classifica generale, uno dei corridori più forti ci avrebbe ripreso e avrebbe vinto la tappa. Ma quando mi sono trovato in un gruppo così forte e poi abbiamo avuto quel grande vantaggio, ho impostato il mio ritmo fino a restare da solo. A quel punto si trattava solo di arrivare in fondo e non esplodere.
Si apre la porta scorrevole, un gran baccano di tacchette sul pavimento di lamiera. Entra Hepburn, connazionale, compagno di squadra e amico. Harper già aveva iniziato a sorridere avendolo visto salire le scale. Si avvicina al tavolo, l’altro si alza. Si abbracciano. Dicono parole incomprensibili e poi Hepburn si allontana, declinando l’invito scherzoso a fare lui qualche domanda.
Alla fine siete arrivati sul Finestre, quando hai iniziato a credere di potercela fare?
Arrivarci non è stato semplice, abbiamo impostato un ritmo piuttosto sostenuto per arrivare ai piedi della salita. Il primo a muoversi è stato Remy Rochas della Groupama e io l’ho seguitro. Poi si sono aggiunti degli altri corridori e a quel punto ho deciso di attaccare e solo Verre è riuscito a seguirmi. Per un po’ siamo andati in due, poi ho pensato che fosse meglio andare al mio ritmo fino in cima. In una salita così lunga e dura è decisiva la gestione dello sforzo. Per cui una volta che mi sono liberato, si è trattato di mantenere lo sforzo sotto controllo. Avevo ancora abbastanza forze per arrivare al traguardo.
Soltanto Verre ha resistito per un po’ al forcing di Harper: per il lucano una giornata magnificaHarper ha fatto della sua fuga una saggia gestione dello sforzoSoltanto Verre ha resistito per un po’ al forcing di Harper: per il lucano una giornata magnificaHarper ha fatto della sua fuga una saggia gestione dello sforzo
Ti sei accorto dalle voci del pubblico o ti hanno detto via radio di quello che stava accadendo alle tue spalle?
Sul Finestre, il mio direttore sportivo mi teneva aggiornato sui distacchi, dicendomi quanto fossero indietro i corridori della classifica generale. Poi ho sentito alla radio che Simon Yates era solo con un vantaggio piuttosto consistente. Infine dopo il Finestre, andando verso valle, sapevo che Simon stava facendo un’impresa e questo mi rendeva nervoso, perché la strada da fare era ancora tanta. Temevo che il distacco potesse ridursi rapidamente, ma sono contento di essere riuscito a resistere.
Dalla strada iniziano ad aumentare i cori, probabilmente Yates è in arrivo. Ai piedi del palco, Isaac Del Toro parla con l’addetto stampa della UAE Emirates. Alle spalle del podio si scambiano opinioni e abbracci. La vittoria di un gregario dopo l’impresa di Yates passerà certamente in secondo piano, ma il fatto che Harper per primo abbia espresso la sua gioia per l’amico renderà meno fastidioso il fatto di scrivere prima la storia della nuova maglia rosa e poi quella del vincitore di tappa.
Chi sarà l’erede di Domenico Pozzovivo? Diciamo che la foto di apertura un bell’indizio ve lo ha dato! Parliamo di scalatori, ovviamente, quei ciclisti dal fisico minuto, dal grande rapporto potenza/peso e da un’attitudine innata alle salite. Nell’attuale ciclismo, dove gli scalatori puri si vedono sempre meno, esiste qualcuno che possa raccogliere la sua eredità? Un ciclista che per caratteristiche fisiche e tecniche possa avvicinarsi al lucano?
Lo abbiamo chiesto direttamente a Domenico. Con i suoi 165 centimetri per 53 chili e vent’anni di carriera da professionista, Pozzovivo è stato un grimpeur amato ovunque. Il tifo sulle strade del Giro d’Italia, ma non solo, lo ha dimostrato.
Domenico Pozzovivo (classe 1982) ha disputato l’ultimo Giro nel 2024. Quanto calore per luiPozzovivo (classe 1982) ha disputato l’ultimo Giro nel 2024. Quanto calore per lui
Domenico, chi può essere il tuo erede per misure, mentalità e modo di affrontare la salita? Tu eri uno scalatore puro, puro e non è facile trovarne come te…
Eh già, ma penso che sia anche una fortuna per loro! Assomigliarmi solo in parte può essere un vantaggio, oggi gli scalatori devono avere anche altre caratteristiche. Poi dire a un giovane che deve fare vent’anni di carriera come la mia è una grande responsabilità. Se ci limitiamo a parametri semplici come altezza e peso, Matteo Fabbro sembrava il più tagliato per questa successione. Ho pedalato vicino a lui e vedevo come affrontava le salite, il tipo di rapporti che spingeva. Ma non c’è solo lui…
Sulla spalla di chi altro appoggi la lama della spada?
Senza andare troppo lontano, nella mia regione c’è Alessandro Verre. Anche lui mi somiglia parecchio rispetto ai parametri fisici (e anche nella meticolosità, ndr). Con la differenza che Alessandro ha anche uno spunto più esplosivo rispetto a me, venendo anche dal ciclocross. Si alza un po’ di più sui pedali. Le misure antropometriche sono simili alle mie e potrebbe davvero essere uno scalatore puro di alto livello. Deve insistere e continuare a lavorare.
Tra i suoi eredi il lucano vedeva anche Fabbro (167 cm per 52 kg). Il friulano però ad oggi è senza teamTra i suoi eredi il lucano vedeva anche Fabbro (167 cm per 52 kg). Il friulano però ad oggi è senza team
Lo scalatore puro è una figura che sta scomparendo?
Pochi anni fa c’è stata l’ondata dei colombiani che aveva riportato in auge questo tipo di corridori. Se dovessi dire chi mi assomigliava di più, tra loro ce n’erano tantissimi. Il loro modo di pedalare e di affrontare le salite era davvero simile al mio. Adesso però ci sono meno talenti emergenti dal Sud America e lo scalatore puro sembra in disuso.
Chiaro…
Oggi si cerca un corridore più completo, che possa difendersi in uno sprint ristretto e che a cronometro non perda minuti. Il ciclismo attuale vuole atleti in grado di gestire meglio tutte le situazioni di gara, anche se questo significa rinunciare allo scalatore puro.
Essere scalatori non è solo una questione di fisico, ma anche di mentalità?
Assolutamente. Anche adesso che ho smesso di correre, se esco in bici faccio sempre almeno 400-500 metri di dislivello all’ora. Ci sono corridori che possono tranquillamente fare un giro del lago di Como, per dire, senza nemmeno arrivare a 1.000 metri di dislivello. Io non ci riuscirei, dovrei impormelo. Questo è già un segnale chiaro della differenza tra chi ha mentalità da scalatore e chi no.
Verre (169 cm per 59 kg) è cresciuto nel mito di Pozzovivo: questa investitura ad erede sembra un segno del destinoVerre (169 cm per 59 kg) è cresciuto nel mito di Pozzovivo: questa investitura ad erede sembra un segno del destino
Una volta gli scalatori limavano le viti, foravano il manubrio per risparmiare grammi…
Oggi se c’è qualcuno che in gruppo controlla ossessivamente il peso della bici e dei componenti è quasi sempre uno scalatore, perché ogni grammo fa la differenza. E oltre certi limiti pochi etti possono davvero incidere, perché in percentuale quei grammi rispetto ad un passita di 80 chili contano di più.
Hai citato Fabbro e Verre, ma ci sono altri giovani italiani o stranieri che vedi come possibili eredi?
Restando in Italia, ci sono scalatori forti, ma pochi con la mia taglia e puri. Pellizzari e Piganzoli, ad esempio, hanno una grande attitudine alla salita, ma sono più completi. Mentre tra gli stranieri, l’anno scorso mi ha colpito VanEetvelt, piccolo e ben tagliato per le salite. Ha già fatto vedere ottime cose e ha più esplosività di me. Il suo modo di pedalare anche è simile al mio.
A proposito del modo di pedalare in salita: questo sta cambiando?
Sì, e cambierà sempre di più. L’accorciamento delle pedivelle e le nuove scelte biomeccaniche portano anche lo scalatore puro a modificare il proprio stile. I corridori più alti e longilinei hanno trovato grandi vantaggi con i nuovi rapporti e una cadenza più alta, ma anche per lo scalatore puro ci sono miglioramenti. Io ho il rimpianto di aver scoperto queste filosofie biomeccaniche solo a fine carriera, senza poterci lavorare molto. Aumentare la cadenza aiuta a essere più freschi nel finale.
Giro 2022, la corsa rosa passa sulle strade di Verre e PozzovivoGiro 2022, la corsa rosa passa sulle strade di Verre e Pozzovivo
Torniamo a Verre, che consiglio daresti a Verre per crescere come scalatore?
Deve trovare la sua dimensione nei grandi Giri. Sono le lunghe salite della terza settimana a dare valore a uno scalatore. E attenzione: non è vero che la salita piaccia sempre a uno scalatore. Anche questa figura, a volte, ne ha abbastanza. E andare forte su quelle salite ti consacra come grande scalatore.
Qual è la salita iconica della tua zona che Verre dovrebbe affrontare più spesso?
Monte Viggiano. Fu affrontata anche al Giro d’Italia nella tappa di Potenza. Per l’occasione venne asfaltata, prima era una salita da capre, sia per le pendenze che per il fondo stradale. Ora è piacevole. Alessandro dovrà farsi una bella mangiata di Monte Viggiano per diventare ancora più forte.
Un anno dopo, anzi qualcosa meno. Perché la stagione 2024 di Alessandro Verre era iniziata a febbraio in Oman. Quest’anno, invece, il via del quarto anno da professionista del corridore di Marsicovetere sarà dall’Australia. Il Santos Tour Down Under si appresta a tagliare il nastro rosso del 2025, l’atmosfera si scalda e la tensione sale. Per arrivare fino a Prospect, dove partirà questa prima corsa a tappe, il viaggio è stato lungo. Le ore di differenza ci mettono davanti al fatto che, al momento della chiamata, mentre da noi è mattina per Verre e compagni è ora di cena.
«Fino a ora tutto bene – racconta il corridore dell’Arkea B&B Hotels – oggi (ieri per chi legge, ndr) abbiamo fatto la prima uscita. L’Australia è calda, sicuramente più dell’Italia. Anche se a casa, in Basilicata, negli ultimi giorni siamo arrivati ad avere 10/15 gradi. Addirittura, negli ultimi giorni del 2024 mi sono allenato in pantaloncini. Vero che qui ora ce ne sono comunque 35 di gradi.
Per Verre il 2025 sarà il quarto anno con l’Arkea, il primo come professional e gli altri come team WT (foto Instagram)Per Verre il 2025 sarà il quarto anno con l’Arkea, il primo come professional e gli altri come team WT (foto Instagram)
Qualcosa di nuovo
La quarta stagione da professionista sarà importante per Alessandro Verre, che dovrà trovare la via giusta per crescere. Rispetto al suo primo anno nel team francese sono cambiate tante cose, nel 2022 tutto aveva il sapore della novità. Ora non si smette di imparare ma serve anche raccogliere quanto seminato.
«Come sto – riprende – lo scopriremo tra una settimana. Tutto sommato mi sento bene, ma il primo ritiro di solito non dà grandi conferme o smentite. Si ha il paragone con i compagni di squadra ma ognuno arriva in condizioni diverse. In generale si fa tanto fondo rispetto a lavori specifici. Anche se, in questo 2025 noi del gruppo Australia ci allenavamo tutti insieme con un programma rivolto all’intensità. Un’altra cosa che è cambiata riguarda gli esercizi a bassa cadenza, abbiamo ridotto le rpm per aumentare la coppia e quindi la forza pura».
I corridori impegnati al Tour Down Under hanno svolto un lavoro specifico per arrivare pronti all’appuntamentoI corridori impegnati al Tour Down Under hanno svolto un lavoro specifico per arrivare pronti all’appuntamento
Che pausa di fine stagione è stata?
Un po’ particolare, non ho mai fatto una vera e propria pausa, mi sono sempre tenuto in movimento andando anche in mountain bike. Poi, quando era il momento di riprendere, ho avuto il Covid. Era metà novembre. Mi sono dovuto fermare per cinque giorni, fino a quando mi sono negativizzato. Ho fatto il tampone per scrupolo personale, non stavo bene e parlando con mio padre, che stava male anche lui, abbiamo deciso di controllare.
Eri in scadenza a fine 2024, c’è stato un momento in cui questa cosa ti ha impensierito?
No, sono sempre stato tranquillo. Con la squadra stavamo parlando del rinnovo da maggio. La cosa ha un po’ rallentato a causa dei problemi economici del team, ma la firma è arrivata al Lombardia. Poi un mese dopo è stata comunicata l’ufficialità.
Verre in questi anni da professionista ha corso due volte al Giro, ora vorrebbe fare nuove esperienzeVerre in questi anni da professionista ha corso due volte al Giro, ora vorrebbe fare nuove esperienze
Sei sempre stato sereno?
Ho capito che non posso perdere la testa, la pausa è passata bene, tanto che mi sembra ieri di aver ripreso a pedalare.
Che 2025 ti aspetti?
Sarò ripetitivo, ma voglio stare tranquillo. Non c’è bisogno di creare stress. Ogni anno si migliora, ma lo fanno anche gli altri. Vedremo quando saremo in corsa a che punto mi trovo. Da quel momento in avanti avrò chiaro cosa potrò fare per tutta la stagione. In linea di massima ho già un programma, ma aspetto la conferma del team. Posso dire che correrò in gare di altissimo livello.
Una parte fondamentale per il 2025 di Verre sarà l’attenzione ai dettagli, che potrà fare grande differenzaUna parte fondamentale per il 2025 di Verre sarà l’attenzione ai dettagli, che potrà fare grande differenza
Desideri nel cassetto?
Ho chiesto alla squadra di fare due grandi corse a tappe: Giro e Vuelta. Per il momento siamo arrivati a programmare fino a giugno. Mi piacerebbe andare in Spagna perché è una corsa che arriva a fine anno e vorrei scoprirla. Poi ho visto negli anni passati che c’è più spazio per gli attaccanti.
Che consapevolezza hai dopo tre anni da professionista?
La cosa principale dire che il livello è alto, ma sono sereno. Il 2025 sarà un anno difficile, quello che potrò fare è metterci quel pizzico di esperienza che ho maturato. Ho capito che bisogna fare attenzione alle piccole cose, come un semplice raffreddore. Per questo ho preferito fare il tampone a metà novembre e fermarmi per cinque giorni.
Lo scorso anno, Verre ha corso anche la crono tricolore: una specialità cui si dedica pensando alle corse a tappeLo scorso anno, Verre ha corso anche la crono tricolore: una specialità cui si dedica pensando alle corse a tappe
Altre cose?
Imparare a ottimizzare i viaggi, l’alimentazione quando si è lontani da casa, tante piccole accortezze che possono sempre fare la differenza.
Qual è il programma in questi giorni prima dell’inizio del Tour Down Under?
La prima uscita è stata molto tranquilla, con ritmi blandi. Anche se ho inserito delle volate per riattivare il fisico dopo il viaggio. Poi da qui a lunedì abbiamo in programma due distanze da quattro ore. Martedì riposo. Da mercoledì oltre alle ore inseriremo qualche lavoro di alta intensità, inoltre faremo delle ricognizioni delle tappe. Sabato prossimo, il 18 gennaio, ci sarà il Criterium. Un assaggio di gara prima del via che sarà il 21 gennaio.
La settimana scorsa, tagliando il traguardo di Como al Lombardia, Domenico Pozzovivo ha chiuso la sua carriera. Dopo 20 stagioni da professionista lo scalatore lucano ha detto basta. Tredici vittorie, 42 anni, tante cadute, mille problemi, ma una grinta e un cuore grosso così lo hanno reso uno dei corridori più amati in assoluto. Splendido (e doveroso) l’omaggio che il gruppo gli ha riservato a Roma nel finale del Giro d’Italia.
Pozzovivo è da tutti giudicato come un esempio. Un esempio di abnegazione, perseveranza, educazione. E fino alla fine è rimasto a livelli altissimi, proprio per questa sua devozione verso la vita da corridore.
Riallacciandoci a quell’omaggio del Giro, vi proponiamo cinque saluti di cinque personaggi che “Pozzo” ha incrociato lungo la sua carriera.
Giro del 2013, Pozzovivo trionfa a Lago Laceno. È la sua vittoria più importante e l’ha ottenuta con la maglia di ReverberiGiro del 2013, Pozzovivo trionfa a Lago Laceno. È la sua vittoria più importante e l’ha ottenuta con la maglia di Reverberi
Dall’inizio alla fine
Non possiamo non partire da Roberto Reverberi. Il manager e direttore sportivo della VF Group-Bardiani si ritrovò Domenico già nel 2005 quando iniziò la sua avventura tra i professionisti. All’epoca la sua squadra si chiamava Ceramica Panaria. Domenico vi restò otto anni e dopo 11 ci è ritornato per chiudere.
«Un ricordo del Pozzo? Tutti i rimproveri che si è preso in questi anni! All’inizio, quando era giovane, andava un po’ guidato, però professionalmente è stato il numero uno e potrebbe correre altri due anni, proprio perché si sa gestire benissimo. Vi dico questa: dopo l’ultimo Memorial Pantani è partito immediatamente per l’Etna. Voleva fare un po’ di altura per il Lombardia. Pensate che concentrazione fino alla fine».
Una volta noi stessi assistemmo ad un siparietto tra Reverberi e Pozzovivo. Si era al Cicalino, la tenuta toscana dove la squadra di Reverberi va abitualmente in ritiro. Nel pomeriggio, al termine di un allenamento, Roberto aprì il frigo e prese uno yogurt. Poco dopo arrivò Domenico. Andò al frigo e non trovò il suo yogurt. «Chi lo ha preso?». Nessuno rispondeva. Roberto rideva sotto i baffi. «Ma non fu l’unico caso. Una volta gli presi dei fiocchi di riso. Fiocchi particolari».
«La prima volta che incontrai Pozzovivo fu al Giro d’Abruzzo. Lui non era in gara. Aveva 18 anni e l’anno dopo sarebbe passato under 23. Era nella mitica Volvo di Olivano Locatelli. Pensavo fosse suo figlio. Invece Olivano mi disse: “Vedi questo ragazzino? Un giorno vincerà il Giro d’Italia”. Mi voltai ed era davvero un bambino. Sembrava avesse 13 anni. Qualche anno dopo me lo ritrovai in squadra».
Al Lombardia l’organizzazione ha regalato a Domenico e sua moglie Valentina un body-ricordo per il nascituro di casa PozzovivoAl Lombardia l’organizzazione ha regalato a Domenico e sua moglie Valentina un body-ricordo per il nascituro di casa Pozzovivo
Lo scalatore e il velocista
Un po’ come il diavolo e l’acqua santa. Uno alto e sprinter, l’altro basso e scalatore. Cosa c’entra Alessandro Petacchicon Domenico Pozzovivo? Probabilmente nulla, se non che spesso sono stati agli antipodi e protagonisti, in modo diverso, di molti Giri d’Italia e Tirreno-Adriatico.
«In effetti siamo stati due corridori completamente diversi, agli opposti direi: lui un piccolo scalatore, io un velocista alto. Però Pozzo mi è sempre piaciuto, spesso lo andavo a cercare e adesso mi è capitato di commentare le sue gare.
«Credo che Pozzovivo sia un esempio di grande professionalità e un ragazzo educatissimo. Ha dimostrato sempre di rialzarsi ad ogni difficoltà, non ha mai mollato… e ne ha avute di occasioni per dire basta. Negli ultimi anni l’abbiamo visto correre con un gomito in condizioni pessime, ma questo non lo ha scalfito. Me lo ricordo in una gara a tappe che non poteva alzarsi sui pedali proprio per il problema al gomito. Domenico è stato la personificazione della sofferenza del ciclista, di cosa vuol dire correre in bici. Credo non abbia mai avuto bisogno di un preparatore o di un nutrizionista, tanto era preparato e informato.
«Domenico deve essere l’esempio per i giovani. Magari per Pellizzari che si è ritrovato un compagno come lui: spero che Giulio ne faccia tesoro».
Gasparotto e Pozzovivo nell’arrivo della Liegi 2018. Il lucano precedette il compagno di squadra. Tra i due c’è grande rispettoGasparotto e Pozzovivo nell’arrivo della Liegi 2018. Il lucano precedette il compagno di squadra. Tra i due c’è grande rispetto
Rivale e compagno
C’è poi Enrico Gasparotto, oggi diesse della Red Bull-Bora Hansgrohe. I due sono stati compagni prima alla Bahrain e poi alla NTT. Si conoscevano da anni, da quando battagliavano tra gli under 23.
«Cosa dire su Pozzo? Siamo stati compagni di squadra, abbiamo condiviso allenamenti, camere e qualche volta i barbecue al lago a casa mia. All’inizio abbiamo avuto un rapporto di amicizia vera e profonda, poi un po’ questa si è incrinata per la storia del piazzamento alla Liegi del 2018. Lui fece quinto, io sesto passandomi sulla linea d’arrivo. Però c’è sempre stato mutuo rispetto e gli ho sempre voluto bene».
Gasparotto è stato anche un amico e confidente in qualche modo. Essendo entrambi di stanza a Lugano, Enrico è stato parecchio vicino a Domenico dopo l’ultimo grave incidente.
«Quando ha avuto l’incidente si stava allenando dalle sue parti. Lo abbiamo aiutato per farlo rientrare in Svizzera con l’eliambulanza. Passò diverse giornate in ospedale a Lugano, dove fu operato. Andavo a trovarlo e qualche volta, quando era solo, lo imboccavo in quanto non poteva muovere le braccia.
«Gli ho consigliato di non rischiare dopo il grave infortunio che ha avuto al braccio, di cercare di inventarsi qualcos’altro nella vita e di non insistere troppo col ciclismo, perché poteva essere pericoloso per lui in quelle condizioni. Magari queste cose dette in maniera brutale gli hanno fatto un po’ male, ma gliele ho dette perché non avrei mai voluto vivere un altro momento simile. Volevo fargli capire quanto era importante la vita anche dopo il ciclismo».
Il vecchio e il giovane: Fortunato Baliani ha accolto con amicizia Pozzovivo ai tempi della PanariaIl vecchio e il giovane: Fortunato Baliani ha accolto con amicizia Pozzovivo ai tempi della Panaria
Il testimone di nozze
Ricordate Fortunato Baliani? Un “gregarione”, un attaccante che non mollava la presa. Lui ha qualche anno in più di Pozzovivo, ma tra i due ci fu subito un bel feeling. Oggi Baliani gestisce una pizzeria nei pressi di Spoleto e di “Pozzo” è ancora molto amico, tanto che è stato il suo testimone di nozze.
«Conoscendolo bene, per lui questo addio è una mezza morte. So quanto ama il ciclismo e il suo mestiere. Spero possa restare nell’ambiente a differenza di me. So che lui ci tiene. Come è nata la nostra amicizia? Io l’ho accolto quando arrivò in Panaria. Facemmo un primo ritiro insieme a Fuerteventura, poi un altro e un altro ancora. Eravamo sempre in stanza insieme. E anche quando ci ritrovammo in team diversi continuammo a sentirci e a prenderci in giro.
«Gli ricordo spesso quando lo battei sul Maniva al Brixia Tour… E sì che lui in salita era molto più forte di me! Io feci primo e lui secondo. Ma gli andò bene perché vinse la generale».
Una domenica, noi stessi, incontrammo Pozzovivo in una granfondo a Rieti, non lontano da Spoleto. Gli chiedemmo cosa ci facesse da quelle parti e ci disse che ne aveva approfittato in quanto era a casa di Baliani.
«Domenico veniva spesso da me anche d’estate. Io avevo una casa a Castelluccio di Norcia e andavamo in ritiro lassù. La prima volta era il 2008. Gli piacque talmente tanto che ci tornò anche negli anni successivi».
Giro 2023: un selfie tra lucani. Verre con il suo mito…Giro 2023: un selfie tra lucani. Verre con il suo mito…
L’erede
Chiudiamo con un saluto particolare, quello di Alessandro Verre. Il corridore dell’Arkea-B&B Hotelsha tanti punti in comune con Pozzovivo a partire dalla terra di provenienza e dall’essere scalatore. In qualche modo Alessandro è cresciuto nel mito di Pozzo.
«Ho conosciuto Domenico di persona abbastanza tardi, al Laigueglia del 2022 al mio primo anno da pro’. Eravamo appena partiti e mi sentii gridare: “Uè giovane”. Iniziammo a parlare. Siamo entrambi lucani, ma non abbiamo mai avuto tante occasioni per stare assieme».
I due si sono allenati insieme per la prima volta solo lo scorso gennaio: «Era maltempo a casa mia, in Val d’Agri. Così ho deciso di andare verso il mare con la macchina per poi partire in bici da Montalbano Ionico, il suo paese di origine. Domenico era in Calabria dalla moglie e mi ha raggiunto. Quel giorno abbiamo fatto 4 ore. Nonostante non sia più un neoprofessionista ammetto che ho ancora quell’emozione nel vederlo e nello stare con lui. Il rammarico di quel giorno è che non feci nemmeno una foto ricordo.
«Un’altra cosa che mi ha colpito riguarda la sua professionalità: un fatto avvenuto durante il Giro di quest’anno. La tappa arrivava a Napoli, dove il giorno dopo avremmo fatto il riposo.In gruppo, tutti desideravano mangiare la pizza quella sera, ma quando andai da Domenico per scambiare due chiacchiere mi disse che avrebbe digiunato fino al giorno successivo, che era una sua abitudine per “pulirsi” durante i grandi Giri».
«Ammetto che in tutti questi anni da quando sono pro’ ed ho corso contro di lui, ho sempre avuto quello spirito di competizione di dover fare meglio. In fondo è stato il punto di riferimento che cercavo di copiare. In pochi hanno la sua esperienza e la sua preparazione. Quest’anno ci siamo ritrovati in ritiro sullo Stelvio. Quando ci siamo allenati insieme ho cercato di fargli più domande possibili.
«Quella che vedete sopra, è l’unica volta che gli ho chiesto di fare una foto: eravamo alla presentazione del Giro 2023. Ora che realizzo davvero, penso proprio che mi mancherà il prossimo anno».
Il covid dopo lo Svizzera, poi Pozzovivo è salito sullo Stelvio e ora è sull'Etna preparando la Vuelta. Interessante lettura della tattica di Pogacar al Tour