Lunigiana al via: tra donne, uomini e lo spettacolo di Genova

30.08.2025
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Con la presentazione della corsa femminile avvenuta ieri sera presso la Poliartigiana Srl, nel comune di Arcola, in provincia di La Spezia, è iniziato il Giro della Lunigiana. La Corsa dei Futuri Campioni vedrà prima la gara riservata alle donne, in atto il 2 e il 3 settembre. La sera stessa tutta la carovana dell’organizzazione si sposterà a Lerici, città che ormai da qualche anno ospita la presentazione dei team per la gara maschile. 

E’ facile capire che le ultime ore per Lucio Petacchi, direttore del Giro della Lunigiana, siano state frenetiche. Lo abbiamo intercettato mentre in macchina si spostava da un appuntamento all’altro, e nei brevi ritagli di tempo siamo riusciti a farci raccontare gli ultimi pensieri prima che il tutto parta in maniera ufficiale. 

Iniziano le donne

La macchina organizzativa del Giro della Lunigiana non si è mai fermata, è un vortice continuo capace di raccogliere e riempire tutti i mesi che separano una manifestazione con l’altra. Questa corsa dedicata alla categoria juniores è giunta alla sua 49ª edizione e da quattro anni si è affiancata la gara femminile.

«Martedì 2 settembre – racconta Lucio Petacchi in uno dei pochi momenti di calma – inizierà la quarta edizione del Giro della Lunigiana Donne. Anche in questo caso il format è rimasto invariato, due tappe in altrettanti giorni per decretare chi erediterà la maglia verde dalla vincitrice dello scorso anno: Erja Bianchi».

Il Giro della Lunigiana Donne è giunto quest’anno alla sua quarta edizione (foto Instagram)
Il Giro della Lunigiana Donne è giunto quest’anno alla sua quarta edizione (foto Instagram)
Come procede lo sviluppo della Corsa delle Future Campionesse?

La gara femminile in queste edizioni ha avuto una crescita esponenziale a livello di numeri. Eravamo partiti bene nel 2022 e ora siamo già a oltre ottanta atlete al via. Aggiungere questa corsa è stato un qualcosa di innovativo, arrivato grazie anche all’input della Federazione e noi siamo stati felici di allargare il nostro impegno anche al ciclismo femminile. 

Quanto è cambiato l’impegno in questi anni per la tua squadra?

Sicuramente è aumentato, ma quando si organizza un evento di primo livello come il Giro della Lunigiana la voglia di crescere non può mancare mai. Ci siamo rimboccati le maniche e ci siamo messi al lavoro per far sì che anche questa gara prendesse subito il verso giusto

La Corsa dei Futuri Campioni ha raccolto enormi consensi negli anni da parte delle amministrazioni comunali
La Corsa dei Futuri Campioni ha raccolto enormi consensi negli anni da parte delle amministrazioni comunali
Le sedi di partenza e arrivo sono le stesse degli uomini?

Quando andiamo a presentare il nostro progetto alle varie amministrazioni comunali e agli enti portiamo entrambe le manifestazioni. E’ difficile pensare di farle arrivare nelle stesse località, ma abbiamo sempre ricevuto risposte positive. Quest’anno la corsa femminile, nella tappa inaugurale, ripercorrerà il circuito della prima tappa del Giro della Lunigiana del 1975, l’edizione numero uno della Corsa dei Futuri Campioni.

Le forze per gestire il doppio impegno sono aumentate?

Gli uomini che mettiamo in campo sono sempre gli stessi, con la differenza che ora chiediamo loro due giorni in più. Sono tutti volontari e a loro va un grandissimo grazie, perché lavorano senza sosta per sei giorni consecutivi. Senza considerare tutta la parte di preparativi e allestimento. 

Questa la presentazione 49° Giro della Lunigiana, dove è stata svelata anche l’iconica partenza da Piazza de Ferrari
Questa la presentazione 49° Giro della Lunigiana, dove è stata svelata anche l’iconica partenza da Piazza de Ferrari
Si può pensare di far crescere ancora la corsa femminile?

Ora la gara è di livello nazionale, per farla crescere servirebbe capire quali passi fare per portarla allo stesso livello di quella maschile. L’obiettivo e la speranza deve essere quello di fare sempre meglio. Non è un lavoro semplice ma abbiamo un territorio sensibile e capace di rispondere a ogni nostra richiesta. La Regione Liguria ha messo il suo patrocinio anche per la corsa femminile e questo è una grande soddisfazione per noi.

Liguria che ospiterà anche la grande partenza da Genova per la corsa maschile…

Da Piazza de Ferrari. Penso sia la prima volta per una corsa di ciclismo, direi un evento storico del quale siamo estremamente orgogliosi. L’emozione è altissima, e credo sia un bel riconoscimento per il lavoro di tutti. Come lo è il fatto di avere alla partenza la Rappresentativa del Giappone, cosa che dona un tocco di internazionalità in più alla nostra corsa.

Ayuso contro Frigo, scontro fra due rabbie diverse

29.08.2025
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Sul traguardo di Cerler, Ayuso si tappa le orecchie. Dite pure tutto quello che vi pare, io non voglio starvi a sentire. Lo spagnolo è arrivato alla Vuelta con i favori del pronostico, messo dentro al posto di Pogacar, quasi a sottolineare che con Tadej non avrà più a che fare. Leader con Almeida, difficile dire se con qualche diritto di prelazione. Sta di fatto che ieri ad Andorra, sul primo arrivo in salita nemmeno troppo crudele, Juan è tornato in hotel con quasi 12 minuti di passivo. Poche gambe o la voglia di prendere le distanze dalla coppia e fare la sua corsa nonostante tutto?

Nella fuga con Ayuso viaggiava anche Marco Frigo, alla Vuelta per puntare alle tappe
Nella fuga con Ayuso viaggiava anche Marco Frigo, alla Vuelta per puntare alle tappe

La Bahrain rinunciataria

Non parlate, non vi sento. Così Ayuso ha attaccato sulla prima salita e ha fatto un’ora da solo, prima che lo raggiungessero gli altri fuggitivi. Ha pedalato con loro, girato con loro, condiviso con loro la fatica. Ma quando mancavano 9 chilometri all’arrivo e al suo fianco c’era soltanto Marco Frigo, Ayuso si è scosso e l’ha lasciato lì.

«Ho trovato il peggiore con cui andare in fuga – ammette Frigo – sappiamo tutti che corridore sia Ayuso. Quando ho visto attaccare lui e Vine, ho capito che saremmo potuti arrivare. Dietro era chiaro che la Bahrain Victorious non avrebbe tirato fino all’ultima salita, per poi mettere la vittoria in palio, sapendo che il suo uomo in maglia è vulnerabile. Questo ci ha dato fiducia sul fatto di arrivare. Bisognava essere in fuga e penso che sia stata una delle giornate più dure per esserci. Detto in gergo ciclistico, la salita iniziale l’abbiamo ben spianata».

Il gruppo ha lasciato andare: la Bahrain non aveva interesse a cucire sulla fuga
Il gruppo ha lasciato andare: la Bahrain non aveva interesse a cucire sulla fuga

500 metri di sforzo inutile

Nel gruppetto all’attacco, quando sulla penultima salita Jay Vine ha provato l’allungo, Frigo deve aver pensato che l’australiano avrebbe rifatto quel che gli era riuscito ieri ad Andorra. Attacco in cima alla salita, discesa da kamikaze e scalata finale in testa fino al traguardo.

«In realtà poteva essere pericoloso – conferma il vicentino della Israel Premiertech – che lui andasse avanti e dietro rimanesse un gruppetto con Ayuso che non collaborava. Per questo ho deciso di andargli dietro e in un attimo in discesa e poi nella valle avremmo potuto guadagnare un minuto. Ovviamente poi abbiamo capito che lavorava per Ayuso e in quel momento m’è venuta anche la frustrazione di aver fatto 500 metri a tutta per prenderlo e non è servito a niente».

Quando la vittoria di Ayuso era al sicuro, Almeida ha fatto il forcing: con lui Vingegaard e Ciccone
Quando la vittoria di Ayuso era al sicuro, Almeida ha fatto il forcing: con lui Vingegaard e Ciccone

Cinque chili di differenza

Ayuso ha attaccato e Frigo l’ha seguito. La salita finale andava avanti a gradoni su cui i cinque chili di differenza fra Ayuso e Frigo (65 lo spagnolo, 70 l’italiano) rischiavano di trasformarsi in un altro step difficile da sormontare.

«Sono sincero – spiega Frigo – quando ha attaccato ai piedi della salita, io stavo bene e per questo sono riuscito a tornare sotto. Anche quando tiravamo, mi sono messo a collaborare perché credevo di stare bene e avevo buone sensazioni. Però alla fine, forse lui un po’ ha bleffato, non lo so. Sta di fatto che quando ha fatto il secondo attacco, mi ha lasciato lì. Ho cercato di prendere il mio ritmo e per un po’ sono riuscito a tenerlo a tiro, però pian piano mi stavo spegnendo. Ho visto che stava entrando García e sapevo che poteva darmi una mano, però intanto Ayuso è diventato imprendibile. C’è da dire che probabilmente lì davanti, dopo Pedersen, io ero quello più pesante. Nella salita c’erano dei punti in cui si poteva respirare, ma quando tirava in su, diventava bella ripida e ovviamente il mio peso e la mia altezza non mi hanno aiutato…».

L’amarezza di Frigo

Dice e sottolinea di voler tenere la testa sulla Vuelta, senza nulla che porti via la concentrazione. Anche il mondiale e l’europeo, se ci saranno, si affronteranno dopo la corsa spagnola. Dopo la cronosquadre in cui per una protesta pro Palestina la squadra è stata rallentata, la sera Marco avrebbe avuto voglia di mollare. Lo ha detto ai microfoni di Andrea Berton e lo ripete ora qui con noi.

«Superare quello che è successo nella cronosquadre – dice – è stato pesante, sono sincero che la pietra sopra non ce l’ho ancora messa. Proprio perché forse è stata l’escalation di una situazione che forse mi portavo avanti da un po’ e mi ha messo davanti alla realtà com’è. Per metterci la pietra sopra ci vorrà del tempo oppure bisognerà prendere altre decisioni. Però intanto devo concentrarmi ed è quello che sto provando a fare e che probabilmente oggi sono riuscito a fare meglio di ieri. Pensare che sono qui alla Vuelta e concentrarmi su me stesso, sui sacrifici che ho fatto per avere questa gamba e non sprecarla solo perché ci sono persone che ignorano la situazione e il fatto che la nostra squadra sia una realtà privata».

Dalla cronosquadre, non sono stati giorni facili per Frigo, che spiega perché
Dalla cronosquadre, non sono stati giorni facili per Frigo, che spiega perché

Domenica si riprova

E se di Vuelta si deve parlare, l’analisi riparte brevemente dal secondo posto dietro Ayuso. Per capire se un secondo posto è la più grande delle beffe o comunque va bene.

«Ho già fatto secondo anche l’anno scorso – ricorda Frigo – dietro a Ben O’Connor in forma strabiliante. Io conosco bene le mie potenzialità e fare secondo dietro Ayuso è comunque un buon risultato, segno che la gamba c’è. Magari bisogna giocarla in un modo diverso, su una salita finale meno ripida in cui la pendenza non mi sfavorisca. Oggi tanti scalatori che erano in fuga me li sono messi dietro, quindi su un finale un po’ meno pendente o con un arrivo in pianura, avrei potuto giocarmela diversamente».

Ha appena… disegnato la tappa di domenica a Estación de Esquí de Valdezcaray e c’è da scommettere che lo troveremo davanti ancora una volta. Per stasera intanto è arrivato il momento di rispondere ai messaggi da casa, dopo che per quasi un’ora il telefono in questa valle che conduce all’hotel è rimasto isolato dal mondo.

Ad Apeldoorn nasce la velocità rosa. Quaranta traccia la via

29.08.2025
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Ivan Quaranta ci sta facendo l’abitudine, ai ritorni trionfali dalle grandi manifestazioni giovanili e chiaramente si attende che presto la lunga scia si trascini anche alle prove dei grandi. Intanto però la rassegna iridata juniores di Apeldoorn gli (e ci) ha regalato una clamorosa sorpresa, un’inversione di tendenza con il gruppo delle ragazze azzurre che ha dominato il settore velocità con ben 3 ori, più il bronzo di quella che a conti fatti è stata la mattatrice della rassegna: Matilde Cenci.

Risultati che per certi versi cambiano le prospettive con cui viene visto il lavoro di Quaranta, a cui la Federciclismo aveva affidato, subito dopo Tokyo 2021, di far risorgere un settore storico per tutto il ciclismo italiano che era completamente caduto nel dimenticatoio. Ora non solo abbiamo un gruppo di Under 23 dalle grandi prospettive, ma anche le ragazze lanciano segnali importanti.

Quaranta con il presidente federale Dagnoni e le ragazze del team sprint, autrici di un’impresa storica
Quaranta con il presidente federale Dagnoni e le ragazze del team sprint, autrici di un’impresa storica

«Siamo riusciti a fare un bel gruppo – afferma il tecnico azzurro – Questi risultati sorprendono fino a un certo punto perché questo gruppo donne nasce sulla scia delle imprese di Miriam Vece, della sua rincorsa e storica partecipazione ai Giochi di Parigi. Questa cosa è stata importante per le ragazze giovani che hanno iniziato a interessarsi, a chiedere, a partecipare. Alla fine con lei a fare da apripista, queste ragazze hanno trovato una via di espressione e poi, quando puoi lavorare con quelle forti, è tutto più facile e cresci prima».

Capita spesso che interagiscano con Miriam?

Tantissimo. Lei spesso le consiglia, quasi mi dà una mano nella loro cura. Scherzando dicevo che ad Apeldoorn l’hanno stalkerizzata, per la gran quantità di telefonate e messaggi nel corso della rassegna…

Delle tre medaglie d’oro quale ti ha sorpreso di più?

Il chilometro da fermo, quella davvero non me l’aspettavo perché non essendo prova olimpica non la prepariamo nello specifico. Ma come è successo al maschile, con Bianchi che ha dimostrato di essere competitivo a livello mondiale, abbiamo dimostrato che anche fra le ragazze si può seguire la stessa strada.

Le vittorie in Olanda rappresentano la base per un nuovo lavoro, teso alla qualificazione olimpica anche nella velocità femminile
Le vittorie in Olanda rappresentano la base per un nuovo lavoro, teso alla qualificazione olimpica anche nella velocità femminile
Nella vittoria della velocità a squadre spicca il fatto che nel terzetto c’era anche Agata Campana che è una specialista della strada, quindi c’è una composizione un po’ diversa rispetto a quella classica della squadra maschile.

Agata ha dimostrato di avere delle ottime attitudini per questa disciplina. Nel Team sprint la terza come al maschile è l’elemento che ha un po’ più fondo. Anche Bianchi è un chilometrista che si allena anche tanto su strada, quindi è una dove la commistione è possibile. Consideriamo anche che a livello junior non c’è ancora quell’iperspecializzalizzazione che giocoforza interverrà più avanti. Tornando alla Campana, lei mi è stata utilissima perché rispetto alla Fiscarelli ha fatto un paio di decimi peggio come terza frazione, però a me è servita tanto per togliere una prova alla Fiscarelli. Quelle energie se le è ritrovate in finale, mentre in qualificazione abbiamo perso pochissimo, nel cambio ci abbiamo guadagnato tutti. Agata è stata bravissima nel svolgere il suo compito e adeguarsi.

Chi è Matilde Cenci?

Una ragazza forte – risponde Quaranta – che ha un passato da stradista e da allieva è stata anche campionessa italiana della madison, oltre a vincere su strada. Una ragazza veloce, forte, seria, che ha dedicato praticamente la vita a questo sport, pensate che è da gennaio che è in ritiro. E quindi è una ragazza su cui sicuramente si può puntare, lei come la Trevisan per il futuro. Entrambe l’anno prossimo passeranno di categoria, potranno correre con le Elite e inserendo la Vece nel team sprint potrebbe già essere una formazione capace di entrare nelle prime 8 a livello mondiale.

Per la veneta la grande gioia nel chilometro da fermo, tra tutti il più inatteso
Per la veneta la grande gioia nel chilometro da fermo, tra tutti il più inatteso
Si sa che in campo maschile ci vuole tempo per maturare, lo stiamo vedendo con la generazione dei Predomo, Minuta e gli altri. Per le donne è diverso, si matura prima, si arriva prima ai vertici?

C’è una differenza fisiologica. La donna matura prima anche fisicamente, quindi può iniziare prima a fare certi tipi di lavori, abbiamo un guadagno di un paio d’anni per poter fare certi lavori in palestra rispetto a un uomo e sono molto più redditizi. Perché? Appunto perché il sistema ormonale è già quasi completato. Faccio un esempio: la Cenci ha sfiorato il record del mondo del chilometro facendo 1’08”. La Fidanza, senza nessuna preparazione specifica, ha fatto 1’05”. Certamente servirà del tempo, dovremo lavorare senza fretta, sapendo però che vincere 3 titoli mondiali su 4 in palio non è una roba da poco.

Los Angeles per queste ragazze arriva troppo presto?

Io dico di no, dico che ce la possiamo giocare. Quando hai una Vece che è quarta nel ranking mondiale, una Trevisan che parte in 19”3 che già di per sé t’inserisce nelle prime 10 squadre al mondo, una Cenci che ti vince il chilometro sfiorando il record del mondo e conquistando il keirin facendo un giro e mezzo in testa, con un terzetto così si può anche pensare in grande. Bisogna lavorarci, fare allenamenti specifici insieme e li faremo. Inizieremo dopo il mondiale e già all’europeo 2026 conto che presenteremo la squadra. Lì sapremo qualcosa di più, se il progetto sarà realizzabile in tempi brevi, ma io sono convinto di sì.

La Cenci sul gradino più alto del podio nel keirin, battendo la colombiana Hernandez (foto Uci)
La Cenci sul gradino più alto del podio nel keirin, battendo la colombiana Hernandez (foto Uci)
I maschi sono passati un po’ sottotraccia, senza squilli…

Il team sprint ha chiuso al quarto posto, con una partecipazione di 16 terzetti – chiarisce Quaranta – Ghirelli nel Keirin ha vinto la finalina per il 7° posto ed è un primo anno. Cosumano ha fatto la seconda miglior prestazione come primo frazionista del team sprint di tutto il mondiale e anche lui è un primo anno. Melotti è stato bronzo all’europeo ma al mondiale era un po’ in calo. Sì, diciamo un po’ sottotono rispetto alle aspettative, però il materiale umano su cui poter lavorare c’è.

E i grandi?

Loro avevano una settimana di scarico mentre ero ad Apeldoorn, ora riprendiamo il lavoro verso i mondiali per continuare a progredire. Adesso stiamo preparando il mondiale sperando di entrare nelle 8 e dovremmo avere i tempi per poterlo fare. Siamo ancora in crescita, abbiamo ancora dei margini di miglioramento data la giovane età degli atleti e le possibilità di aggiornamento dei materiali e lavorando sulle posizioni dei corridori, per migliorare l’aerodinamica.

Il muro dei 43 secondi è raggiungibile?

Sì e penso che poterlo abbattere sia anche  qualcosa che si realizzerà quanto prima. Chissà, magari già in Cile visto che la pista mi dicono essere molto veloce…

Alla Vuelta con Hindley, parole e gambe da leader ritrovato

29.08.2025
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Dietro al sorriso di Jai Hindley si nasconde una gran voglia di tornare a stupire. Tutti guardano Vingegaard o si interrogano sul dualismo in casa Uae, ma zitto zitto il vincitore del Giro d’Italia 2022 si sta ritagliando un ruolo in questa Vuelta e sogna di arrampicarsi fino al podio di Madrid.

Le prime frazioni ci hanno restituito l’australiano che avevamo imparato a conoscere sulle nostre strade con il secondo posto del 2020 e l’apoteosi rosa di due anni dopo all’Arena di Verona. Sembra superato l’incidente nella tremenda sesta tappa del Giro dello scorso maggio (poi neutralizzata dalla giuria) che l’aveva costretto a un lungo recupero. Tant’è che proprio in questi giorni di Vuelta è arrivata anche l’attesa convocazione in nazionale per i mondiali in Rwanda. Ulteriore testimonianza di una gamba convincente.

E’ il 29 maggio del 2022 quando nell’Arena di Verona Hindley festeggia la vittoria del Giro con l’allora Bora-Hansgrohe
E’ il 29 maggio del 2022 quando nell’Arena di Verona Hindley festeggia la vittoria del Giro con l’allora Bora-Hansgrohe

Talento ritrovato

La Red Bull-Bora-Hansgrohe si è assicurata per gli anni a venire Remco Evenepoel, così da tamponare anche un eventuale ritiro nelle prossime due stagioni di Primoz Roglic, che ai media sloveni ha confessato il desidero di tornare agli sport invernali. Ritrovare un Hindley al top può ulteriormente rafforzare la corazzata tedesca per il 2026 e aprire più scenari.

«Ritornare a fare il capitano – comincia a raccontare il ventinovenne di Perth – è bello. Abbiamo tanti leader e tanti ottimi corridori in squadra, per cui bisogna cogliere l’occasione quando si presenta. Aspettavo la Vuelta da inizio anno perché sapevo che avrei avuto spazio. E’ stato davvero brutto essere costretti a lasciare così presto il Giro a causa di una caduta. Da quel momento ho cercato di riprendermi e concentrarmi per arrivare con la miglior forma a questo appuntamento».

La partenza da Torino ha gasato Hindley, che ama l’Italia essendo stato anche U23 in Abruzzo
La partenza da Torino ha gasato Hindley, che ama l’Italia essendo stato anche U23 in Abruzzo

La guardia italiana

A Limone Piemonte la Red Bull ha lanciato Pelizzari per provare a scardinare le certezze di Vingegaard. Il piano non è riuscito, ma ha dimostrato che il sesto posto al Giro del ventunenne marchigiano, che ieri ad Andorra ha invece conquistato la maglia bianca, è soltanto l’inizio. «Jai lo vedo tranquillo – dice Pellizzari – è sereno. Ama l’Italia per cui l’inizio di Vuelta nel nostro Paese l’ha caricato e noi crediamo molto in lui».

Accanto a lui, Aleotti e Sobrero compongono la guardia italiana del leader. Nella cronosquadre, Sobrero è stato vittima di un’altra caduta (la sua ruota anteriore ha toccato quella di Aleotti), ma i raggi in ospedale hanno scongiurato il peggio. Il risultato di squadra a Figueres, al netto dell’incidente, è stato confortante, con appena 12 secondi persi dalla Uae della strana coppia Almeida-Ayuso e appena quattro dalla Visma di Vingegaard.

Della guardia italiana di Hindley alla Vuelta fanno parte Pellizzari e Aleotti (con lui in apertura) e anche Sobrero
Della guardia italiana di Hindley alla Vuelta fanno parte Pellizzari e Aleotti (con lui in apertura) e anche Sobrero

Futuri sposi

«Abbiamo tre italiani giovani e forti», prosegue Hindley. «Giulio ha un grande talento e sono certo che sarà una delle stelle del vostro movimento ciclistico per il futuro. In più, è anche un bravissimo ragazzo, così come Matteo e Giovanni, che sono sempre molto disponibili».

Anche se poi in zona mista si nasconde dietro il più sicuro inglese, Jai capisce l’italiano, che viene talvolta utilizzato in corsa in casa Red Bull. D’altronde, la promessa sposa ed ex ciclista a livello giovanile Martina Centomo è lombarda: i due convoleranno a nozze al termine della stagione, a novembre. Ed è stata proprio la futura signora Hindley a raccontarci qualche retroscena, dopo aver terminato l’impegno con l’organizzazione per la partenza italiana della Vuelta (ha tradotto in inglese per le tv internazionali la team presentation di Torino) ed essere tornata in modalità tifosa sia alla cronosquadre sia nell’arrivo in salita in Andorra.

«Fa il timido – rivela Martina – ma a volte l’italiano lo parla e si sforza. Anzi, proprio l’altro giorno, uno dei tecnici mi ha detto che anche in radio l’ha utilizzato per segnalare un pericolo. Dicendo: occhio a sinistra».

Giro 2025, Hindley con Martina, sua futura moglie. E’ il giorno prima della caduta e del ritiro
Giro 2025, Hindley con Martina, sua futura moglie. E’ il giorno prima della caduta e del ritiro

Lei che lo vede da vicino, conferma le nostre buone impressioni: «Nonostante la sfortunata caduta di Matteo, il risultato della cronosquadre ha evidenziato che sono un team molto affiatato. Jai l’ho visto ricaricato e, dall’altro lato, anche rilassato e sicuro di sé e del lavoro che ha fatto per arrivare al meglio in questa Vuelta. In più, è contentissimo della convocazione mondiale, perché sarà leader anche lì».

L’intervento al naso

Insomma, per il podio bisognerà fare i conti con la voglia di riscatto dell’australiano che oramai è anche un po’ italiano. «In pochi lo considerano in chiave classifica finale – continua Martina – forse anche per le sfortune che ha avuto di recente, ma lo vedo finalmente tornato al top.

«Lo scorso anno è stato un calvario, perché è sempre stato ammalato tra una gara e l’altra. Non è riuscito a dar seguito al buon terzo posto della Tirreno-Adriatico (dietro a Vingegaard e Ayuso, ndr). Così, a fine stagione, si è sottoposto a un’operazione per sistemare il setto nasale deviato, visto che poi lui soffre di parecchie allergie di stagione. E devo dire che quest’anno ne ha tratto i benefici».

Il 2024 si era aperto con il terzo podio alla Tirreno dietro Vingegaard e Ayuso, poi Hindley ha dovuto operarsi al setto nasale
Il 2024 si era aperto con il terzo podio alla Tirreno dietro Vingegaard e Ayuso, poi Hindley ha dovuto operarsi al setto nasale

Resettato al 100 per cento

Hindley ha dimostrato anche una grande resilienza, quando la sfortuna si è messa di nuovo di traverso con la caduta al Giro, come conferma la compagna.

«Ricordo com’era conciato quando sono andato a trovarlo in ospedale – ricorda Martina – appena mi sono liberata dagli impegni di lavoro con Rcs al Giro. Ha avuto un sacco di aiuto dalla squadra e poi è dovuto stare una settimana a casa dei miei genitori in provincia di Varese perché non poteva muoversi. Poi ha continuato con la riabilitazione suggerita dal team, al Red Bull Athlete Performance Center in Austria, sia dal punto di vista fisico sia mentale. Era molto giù di morale dopo quanto accaduto. Vedeva i suoi sforzi vanificati da un incidente di corsa, ma si è tirato su le maniche e si è preparato al meglio per la Vuelta. Tra riabilitazione, fisioterapia e attenzione alla nutrizione, l’hanno resettato al 100 per cento e da luglio era pronto per l’allenamento in quota a Livigno».

Il 4° posto della Red Bull-Bora nella cronosquadre di Figueres, a 12″ dalla UAE Emirates, parla di una squadra molto unita
Il 4° posto della Red Bull-Bora nella cronosquadre di Figueres, a 12″ dalla UAE Emirates, parla di una squadra molto unita

Voglia di podio

Jai non si tira indietro e fissa l’obiettivo: «Il percorso della Vuelta propone diverse opportunità per attaccare e tanti begli arrivi in salita in cui posso far bene. Più che una singola tappa, la priorità è sempre un bel piazzamento nella classifica finale. Vingegaard è in grande forma e abbiamo visto come ha vinto a Limone, rientrando persino dopo una caduta: chapeau! Comunque, noi combatteremo ogni giorno e vedremo che risultato verrà fuori».

Delle due precedenti partecipazioni spagnole, il miglior risultato resta il nono posto del 2022, quando a trionfare fu il futuro compagno Remco. Vediamo se la Vuelta italiana lo riporterà sul podio di un Grande Giro. 

Amadio: «Non mancano gli atleti, serve attrarre investimenti»

29.08.2025
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Roberto Amadio in questi giorni si sta alternando tra il lavoro per la Federazione, i risultati ottenuti e le gare che si stanno correndo. In pista la campagna di Apeldoorn e Anadia ha regalato tanti successi, mentre alla Vuelta i nostri atleti si stanno facendo vedere con insistenza. Poi c’è il Tour de l’Avenir, che da ieri è entrato nelle due giornate più dure con le tappe di montagna (in apertura foto Instagram/Tour de l’Avenir). 

«I nomi ci sono – ci anticipa il team manager della Federazione – basta guardare i risultati ottenuti alla Vuelta e prima. La pista si è confermato uno dei fiori all’occhiello del nostro movimento, e anche tra gli under 23 e gli juniores siamo messi bene. Sento parlare di crisi del ciclismo giovanile italiano, dipende da quale punto di vista si guarda il tutto».

I recenti mondiali juniores di Apeldoorn hanno dimostrato che il settore pista è sempre più forte (foto FCI)
I recenti mondiali juniores di Apeldoorn hanno dimostrato che il settore pista è sempre più forte (foto FCI)

Devo team

La riflessione di Amadio anticipa le nostre domande, così ci troviamo subito la strada aperta per instaurare un discorso partito nei giorni del Giro Next Gen e che fa seguito all’editoriale uscito lunedì 25 agosto. Lo spunto per iniziare a parlare di tutto questo arrivò con le parole di Roberto Bressan nel pomeriggio in cui Jakob Omrzel, sloveno del team Bahrain Victorious Development (ex CFT Friuli), ha vinto il Giro Next Gen. «Per noi del CTF – ci disse – diventare devo team era ormai un passo necessario per non scomparire».

«E’ una rivoluzione – commenta Amadio – nata dall’UCI, organo che sta al di sopra delle varie Federazioni nazionali. L’avvento dei team WorldTour e dei devo team è stato un passaggio fondamentale nell’evoluzione del ciclismo. Il fatto che le squadre di vertice possano avere la loro formazione continental (di fatto questo è un devo team, ndr) e che si possano scambiare i corridori ha reso difficile la vita ai nostri team continental che non hanno questa possibilità di sbocco».

La vittoria di Ciccone a San Sebastian, un successo in una corsa di primo livello che mancava da tempo
La vittoria di Ciccone a San Sebastian, un successo in una corsa di primo livello che mancava da tempo
Un ragazzo è attratto dall’idea di correre nei devo team

E’ normale sia così, per ambizioni e per occasioni. Ma questo è un discorso che ha investito tutte le Federazioni. L’Italia è stata maggiormente colpita da tale processo perché ha un sistema basato su formazioni nazionali e regionali. In qualche modo anche Francia e Spagna avevano un sistema simile al nostro.

Con l’eccezione di avere team WorldTour?

Questo fa un’enorme differenza. La Francia ha cinque squadre al massimo livello tra i professionisti, e ognuna di loro ha un devo team. Praticamente hanno più posti che corridori. Quello che è mancato a noi è avere una formazione WorldTour capace di costruire un sistema di sviluppo appetibile. I nostri ragazzi vanno all’estero, non li perdiamo ma sicuramente diventa difficile seguirli. La Federazione però ha fatto tanto. 

In che modo?

A livello juniores e under 23 proponiamo un calendario internazionale importante nel quale corriamo gran parte delle prove di Nations Cup. Oltre a fare attività è anche un modo per permettere ai nostri atleti di correre gare di primo livello. Non è facile riuscire a coordinare il lavoro insieme agli altri team.

Anche perché ci si trova a parlare con squadre di altri Paesi che non hanno a cuore l’interesse della nostra Federazione.

Certamente con loro (i devo team, ndr) il dialogo diventa difficile. Ci troviamo a parlare con tante teste diverse e organizzare gli impegni in modo da avere i corridori è sempre più complicato, in particolare con gli under 23. Per quanto riguarda gli juniores il dialogo è più facile.

La Federazione ha lavorato duramente per permettere agli atleti di tutte le squadre (continental e club) di fare esperienza internazionale (foto Tomasz Smietana)
La Federazione ha lavorato duramente per permettere agli atleti di tutte le squadre (continental e club) di fare esperienza internazionale (foto Tomasz Smietana)
Il rischio è che il prossimo salto porti all’indebolimento delle Federazioni, si dice che dal 2026 il Tour de l’Avenir diventerà una gara per team. 

Noi ci auguriamo di no, questo potrebbe portare a un minor numero di atleti italiani al via. Magari rimarrà lo stesso ma non avranno modo di correre da protagonisti. Servirebbe rafforzare le nostre squadre, ad esempio la scelta di Bevilacqua (MBH Bank-Ballan-CSB, ndr) di diventare professional è lodevole. Non essendo un devo team e non riuscendo ad attrarre corridori di primo livello hanno deciso di fare un salto importante. 

MBH Bank, Biesse-Carrera, CTF, sono squadre che hanno fatto un salto grazie a investimenti stranieri. Da fuori vedono le nostre qualità e investono, da dentro questa cosa non arriva.

Manca la volontà di investire, deve muoversi qualcosa anche a livello politico. Anzi, soprattutto a livello politico. E’ un problema che attanaglia tutto il sistema sport in Italia, serve una politica di defiscalizzazione. Senza questa, e con la crisi economica che viviamo, è difficile pensare a un progetto a lungo termine. 

Stiamo vivendo la stessa cosa di qualche decennio fa: gli sponsor scappano. 

Negli anni 2000 avevamo undici formazioni di alto livello e bastavano budget da 5 o 6 milioni di euro. Quando la spesa si è alzata sono spariti gli investimenti. La stessa cosa la vivono ora le formazioni continental. Qualche anno fa serviva 1 milione di euro per fare una squadra, ora il prezzo è raddoppiato. 

Serve chi riesca a mettere tutti sotto lo stesso tetto?

Serve che le varie Federazioni e il CONI trovino un modo per aumentare gli investimenti e le sponsorizzazioni. Inoltre la nuova legge sulle ASD ha sì regolarizzato tutto ma ha peggiorato la qualità della vita alle piccole realtà che vivevano di volontariato. Il tema centrale è questo, attrarre risorse.

Mondiali ed europei: straordinari in vista per Longo Borghini

29.08.2025
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Marco Velo sta seguendo il Tour de l’Avenir delle ragazze. Il conto alla rovescia dei mondiali è scattato da un pezzo. La recente apertura a un organico completo per le elite e (ad ora) la presenza di una under 23 nella gara a loro dedicata, rende l’osservazione del cittì molto dettagliata. Gli europei molto duri appena una settimana dopo impone una suddivisione attenta dei nomi, in base alle attitudini. Ma se Marco Villa può prevedere due gruppi distinti, per le ragazze la scelta è più obbligata e passa per un solo nome: quello di Elisa Longo Borghini.

«Beato lui che ha questa abbondanza – sorride Velo – io dovrò confermare l’80 per cento del blocco. Non ho tante ragazze per percorsi simili, per cui chi fa il mondiale sa che poi potrebbe fare anche l’europeo. Si rientra il lunedì mattina all’alba e chi fa la strada il mercoledì deve partire, perché il sabato si corre».

Velo è il cittì delle donne. Fino allo scorso anno era il tecnico delle crono: qui con Affini agli europei vinti ad Hasselt
Velo è il cittì delle donne. Fino allo scorso anno era il tecnico delle crono: qui con Affini agli europei vinti ad Hasselt
Si è detto che Elisa Longo Borghini sarà il nome di riferimento…

Le ragazze che fanno il mondiale sono state informate, però adesso è prematuro fare i nomi. Longo Borghini sarà il faro della nazionale, detto questo l’europeo e il mondiale hanno due percorsi che le piacciono tantissimo e che sono alla sua portata. Lei sa benissimo di avere questa responsabilità, ma è un’atleta che sa reggere queste pressioni. Lo ha dimostrato in tutti gli anni della sua carriera (in apertura l’arrivo della campionessa italiana nella Kreiz Breizh Elites Féminin vinta ieri a Callac, in Francia, ndr).

Chi corre la strada dovrà fare anche le crono? Longo Borghini non sembra intenzionata a farla.

Le cronometro da quest’anno sono una faccenda di Villa. Lei ad oggi non dovrebbe fare la crono, ma non so se Marco riuscirà a convincerla. Io non ho alcuna preclusione, perché arrivo dal settore crono. Con Marco ci siamo parlati e si arriverà alla decisione più giusta per tutti.

Che cosa sai del percorso della strada?

L’Europeo siamo andati a vederlo dopo la tappa di Valence al Tour, la seconda vinta da Milan. Per il mondiale invece non siamo andati, però sono riuscito ad avere dettagli precisi della salita. Non dico metro per metro, ma almeno cento metri per cento metri. Con Stefano Di Santo, l’ingegnere che fa le mappe del Giro d’Italia, abbiamo incrociato tutti i profili Strava della gara che hanno fatto sul percorso a inizio stagione e sono usciti dettagli delle salite del circuito finale. Le donne e gli under 23 lo faranno per undici volte. E’ un percorso duro, sono salite non durissime e non lunghe. Parliamo di 5-6 minuti, però una dietro l’altra, con un dislivello vicino ai 3.000 metri. Forse un po’ meno dei 3.200 che dichiara l’UCI.

Dopo aver annunciato di non voler correre il mondiale, Pauline Ferrand Prevot è tornata sui suoi passi
Dopo aver annunciato di non voler correre il mondiale, Pauline Ferrand Prevot è tornata sui suoi passi
E’ tanto più duro di Zurigo?

E’ disposto diversamente. Zurigo aveva salite più lunghe, queste sono più corte: sono 11 giri e quindi il dislivello è superiore. In più a Zurigo c’erano dei tempi di recupero maggiori. Quando arrivavi al lungolago, c’erano 4 chilometri di pianura. A Kigali è diverso, è molto più tecnico, più nervoso, oltre ad essere un mondiale lungo. Sono circa 165 chilometri.

La presenza di Pauline Ferrand Prevot è una brutta notizia oppure si poteva pensare che sarebbe venuta?

Forse non è il suo percorso, ma ho visto che nella prima tappa del Tour, ha accelerato ed è rimasta da sola. Se ci sarà una corsa dura, sarà una brutta cliente. Ci sarà da vedere se avrà recuperato dopo un Tour che secondo me per lei è stato estenuante. Il tempo per recuperare c’è tutto, però guardando gli uomini, non sempre chi è uscito dalla Vuelta al mondiale ha fatto la differenza. Il Grande Giro ti dà resistenza, ma ti toglie un po’ di potenza.

Per mondiali ed europei l’idea è di avere un solo leader o ci sarà un piano B?

Andremo con ragazze che hanno fatto bene altrove, ma è anche vero che al massimo livello non abbiamo grosse alternative al piano A. Sicuramente, come ho detto prima, la mia idea è quella di far correre tutte per una.

Silvia Persico, decisiva per il Giro di Longo Borghini, ha al suo attivo il bronzo ai mondiali 2022
Silvia Persico, decisiva per il Giro di Longo Borghini, ha al suo attivo il bronzo ai mondiali 2022
Più duro l’europeo oppure il mondiale?

Il mondiale non l’ho visto, se non su carta. Invece l’europeo è veramente duro. Sono due percorsi impegnativi, anche troppo, mentre secondo me bastava parlarsi e trovare un punto di incontro. Sapendo che ci sarebbe stato un mondiale tanto duro, si poteva immaginare un europeo che premiasse un altro tipo di corridore. Senza contare che se Pogacar li vincesse entrambi, nessuno vedrebbe la maglia di campione europeo. Forse non si sono resi bene conto della durezza dell’europeo. Quando siamo stati intervistati dopo il sopralluogo di luglio e abbiamo detto che ci è sembrato durissimo, ci hanno telefonato per dirci che avevamo esagerato.

Vine vince, Fortunato fiuta la vetta e punta al mondiale

28.08.2025
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C’era aria di fuga stamattina, spiega Lorenzo Fortunato, terzo sul traguardo di Andorra dopo un’azione lunga 162 chilometri. Una vita. C’è appena il tempo che la bandierina si abbassi e dalla testa del gruppo schizzano via i dieci che, ancora ignari, andranno a giocarsi la tappa.

La partenza è in salita sul Coll de Sentigosa (11,4 chilometri al 4,1 per cento) e ad avvantaggiarsi sono Vine, Castrillo, Vervaeke, Garofoli, Debruyne, Ryan, Shaw, Armirail, Traen e Fortunato. Traen, che indossa la maglia della Bahrain Victorious è quello messo meglio in classifica generale (58’’ dietro Vingegaard), poi Armirail, Vervaeke e appunto Fortunato (a 1’43’’). 

«Era una giornata brutta, di pioggia – racconta il bolognese della XDS Astana – perfetta per le fughe, anche perché Vingegaard voleva lasciare la maglia. A lui interessa averla a Madrid. Vine ha attaccato in discesa e non sono riuscito a seguirlo. Se proprio vogliamo dire, poteva starci un secondo posto. Era il primo arrivo in salita, volevo arrivare nei dieci e l’ho fatto, quindi sono soddisfatto. Bicchiere mezzo pieno, va bene così!».

La salita preferita di Vine

Fortunato dice bene: Vingegaard ha deciso di lasciar andare la maglia e così il vantaggio dei primi lievita fino ai 6’30”, quando la corsa entra ad Andorra e mancano 35 chilometri all’arrivo. E proprio mentre si scala l’Alto de la Comella e in testa al gruppo alcune squadre iniziano a forzare i tempi, Jay Vine decide di non voler rischiare e attacca prima dello scollinamento. Poi si butta in discesa come una furia. Quando si presenta ai piedi della salita finale, che è lunga 9,6 chilometri e ha pendenza media del 6,3 per cento, ha un minuto di vantaggio sugli inseguitori.

«Conosco queste strade abbastanza bene – spiega l’australiano del UAE Team Emiratesvivo appena sotto la collina e la Comella è la mia salita preferita in tutta Andorra. Normalmente mi sarebbe piaciuto rendere la corsa più dura, ma con il vento contrario è stato difficile convincere i ragazzi a fare di più. Così ho deciso di andare in cima e sfruttare la discesa bagnata. Ho pensato che fosse l’occasione per tentare ed è andata bene».

Il tempo che la tappa partisse e la fuga ha preso il largo. Dentro anche Garofoli e Fortunato
Il tempo che la tappa partisse e la fuga ha preso il largo. Dentro anche Garofoli e Fortunato

L’ombra dell’Angliru

Fortunato ci riproverà. Venerdì prossimo c’è una salita che lo chiama: l’Alto de Angliru. Per il corridore diventato celebre nel 2021 per la vittoria dello Zoncolan è un richiamo (quasi) irresistibile.

«Non ci ho mai corso – dice Fortunato – ho fatto altre gare nelle Asturie, però mai lassù. E’ una salita simile allo Zoncolan, però in un contesto di corsa totalmente differente. La gamba è simile a quella del Giro, anche se dopo Burgos non sono stato tanto bene. Però oggi andavo, ero lì davanti, quindi un po’ alla volta torno su. Oggi puntavo alla tappa però ho cercato di fare gli sprint per la maglia a pois risparmiando la gamba e ho preso un po’ di punti. Cerco di tenere il piede in più scarpe per il momento, poi vediamo con l’andare dei giorni come andrà».

Il sogno del mondiale

Andorra ha spiegato chi comanda: Almeida e Ayuso hanno già diviso il loro cammino. Ayuso viene staccato ai meno 6 dall’arrivo e scivola indietro a quasi 12 minuti, mentre Almeida resta davanti con Vingegaard e gli altri uomini della classifica che da stasera è rivoluzionata e chissà per quanto. Traen ha la maglia rossa con 31″ su Armirail e 1’01” su Fortunato, che guarda la Vuelta e intanto immagina anche scenari futuri. Anche perché le parole di Marco Villa sulle prossime nazionali lasciano più di uno spiraglio aperto.

«Intanto pensiamo alla Vuelta – dice infatti – poi spero di essere convocato al mondiale, vediamo come esco di qua. Adesso ho mal di gambe, ma dopo la tappa è normale: sono convinto di recuperare e fare la corsa anche domani. Sarà un’altra giornata dura e vediamo come andrà. Sarà difficile andare in fuga. Oggi sono riuscito perché avevo abbastanza distacco, domani parto da terzo il classifica e vediamo come andrà. Prendere la maglia rossa? Perché no… (sorride: alla Vuelta anche i sogni a volte si avverano, ndr)».

Il ritorno di De Lie e la forza di uscire dal momento buio

28.08.2025
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L’immagine del ritorno alla vittoria per Arnaud De Lie si divide in due momenti a distanza di pochi secondi, forse attimi. In quel breve lasso di tempo, superata la linea del traguardo di Leuven nell’ultima tappa del Renewi Tour, il Toro di Lecheret è tornato a incornare gli avversari. Nell’arena di casa i panni del torero li ha vestiti Mathieu Van Der Poel, il quale ha scelto la corsa a tappe belga come ultimo trampolino di lancio prima di andare a caccia del titolo iridato in mountain bike. 

Podio finale Renewi Tour 2025, vincitore Arnaud De Lie, secondo Mathieu Van Der Poel e terzo Tim Wellens (RhodePhoto)
Podio finale Renewi Tour 2025, vincitore Arnaud De Lie, secondo Mathieu Van Der Poel e terzo Tim Wellens (RhodePhoto)

La mente e le gambe

Una vittoria a testa per i due contendenti alla classifica finale e solamente tre secondi a separarli. De Lie ha vinto il Renewi Tour grazie agli abbuoni. Ma sarebbe meglio dire che non ha perso grazie alla grinta e alla voglia di soffrire oltre i limiti. Sull’arrivo dell’iconico Muur Geraardsbergen il belga è stato l’unico a tenere le ruote di Van Der Poel. Uno sforzo brutale che lo ha costretto a due minuti di totale apnea prima di tornare a sorridere (in apertura nella foto di RhodePhoto).

«Penso ci siano diversi aspetti da considerare – ci racconta Nikola Maes, diesse della Lotto Cycling che ha seguito la corsa in ammiraglia – nel periodo delle Classiche (dalle quali è stato escluso, ndr) De Lie non ha dato il meglio di sé. Ha fatto quello che doveva fare, ma se il corpo non è completamente pronto per l’allenamento e la mente non è al 100 per cento è quasi impossibile crescere fino alla forma migliore. E penso che avesse alcuni problemi personali che doveva risolvere. La squadra lo ha sostenuto in tutto, ma alla fine dei conti è il corridore che deve cambiare».

«De Lie – continua – si è assunto alcune responsabilità dopo quel periodo e ha capito cosa stesse succedendo, cosa stava andando storto».

L’attimo in cui De Lie realizza di essere tornato alla vittoria e di aver fatto suo il Renewi Tour (RhodePhoto)
L’attimo in cui De Lie realizza di essere tornato alla vittoria e di aver fatto suo il Renewi Tour (RhodePhoto)
E’ stato capace di ripartire…

De Lie è ancora un ragazzo giovane, è con noi da molto tempo ma ha solamente 23 anni e sta ancora imparando tanto. Si trova nella fase di apprendimento della sua carriera e ogni anno mette un tassello in più. A essere sinceri lo abbiamo visto tornare dal Tour de France con una mentalità nuova. Dopo le difficoltà della prima settimana ha ritrovato una grande forza mentale e la fiducia di credere in se stesso. Alla fine dei conti puoi parlare quanto vuoi, ma sono le prestazioni che ti danno la fiducia per vincere le gare o per competere di nuovo con i migliori. 

Cosa non stava funzionando?

È difficile individuare il problema. De Lie è un corridore, ma prima di tutto è una persona. In un periodo come quello delle Classiche tutto deve funzionare al meglio prima di andare a fare certe corse. Durante l’inverno non era tutto al 100 per cento. Arnaud (De Lie, ndr) voleva essere al meglio, non possiamo dire che fosse carente o che se la prendesse comoda. Ha lavorato sodo ma non ci sono garanzie, non è con la scienza che ottieni tutto, ci sono anche aspetti umani da considerare. 

Il Toro di Lecheret si era già lanciato in uno sprint nella prima tappa arrivando secondo alle spalle di Merlier (RhodePhoto)
Il Toro di Lecheret si era già lanciato in uno sprint nella prima tappa arrivando secondo alle spalle di Merlier (RhodePhoto)
Era una questione di testa?

Penso che la parte mentale abbia avuto un ruolo, sicuramente. Perché alla fine è il pulsante del motore che ti farà performare o meno. Il suo stato mentale in quel momento non era al massimo, ed era una cosa che doveva risolvere principalmente da solo. Posso solo congratularmi con lui per averlo capito e per il modo in cui ha ritrovato la concentrazione, la fame e la voglia di lavorare sodo per un obiettivo. Se mi chiedete cosa è andato storto non lo saprei dire, è più complesso di un semplice errore di programmazione.

Come siete ripartiti dopo quel momento buio?

Lo abbiamo affidato a un nuovo allenatore, è passato da un preparatore esterno ad allenarsi con Kobe Vermeire, uno dei membri del nostro staff. Non avevamo dubbi sulle qualità dell’atleta, ma sapevamo che sarebbe stato un lavoro a metà. Solo ripartendo da zero avrebbe potuto raggiungere un certo livello. Al Tour è scattata la molla e ha avuto la conferma che la strada intrapresa era quella giusta. Vedere De Lie migliorare durante una corsa a tappe difficile come il Tour ci ha fatto capire che ha qualità incredibili. E se non fa nulla di anormale, direi che riuscirà sempre a risalire la china. E questo è anche ciò su cui ha puntato la squadra.

Sul muro di Geraardsbergen De Lie è stato l’unico a resistere ai colpi di Van Der Poel
Perché si è cambiato preparatore?

Lo scorso anno c’erano alcuni problemi con l’allenatore interno al team che lo seguiva, così gli abbiamo dato fiducia nel trovarne uno esterno. Tutto stava andando bene, però la squadra vuole avere un certo controllo sui suoi corridori, soprattutto quelli di primo piano. Nel periodo delle Classiche abbiamo fatto una bella chiacchierata con De Lie e, in accordo con lui, abbiamo cambiato. Questo non vuol dire che si riparte da zero, la sua crescita e il suo cammino sono continuati.  

L’arrivo a Geraardsbergen e la vittoria a Leuven ci hanno mostrato un De Lie di nuovo capace di sostenere certe sfide…

Dopo quelle due giornate ha avuto un momento di “decompressione”. Specialmente al termine del Renewi Tour, a Leuven. De Lie ci ha sempre abituati a buoni risultati, anche durante questa stagione, ma gli avversari al Renewi Tour erano di un’altra caratura, pensiamo al solo Van Der Poel. Sul muro di Geraardsbergen ha tenuto botta e nell’ultima tappa ha vinto. Arnaud nella sua forma migliore può competere al livello di quei corridori.

Eccoli i due contendenti alla vittoria finale che se ne vanno, alle loro spalle spunta Wellens (foto Rhode Photos)
Eccoli i due contendenti alla vittoria finale che se ne vanno, alle loro spalle spunta Wellens (foto Rhode Photos)
Torniamo a marzo, quando lo avete fermato, ti saresti mai aspettato di rivederlo davanti così presto?

Sì. Ed è quello che hanno detto i miei colleghi durante il Tour. Lo stato mentale di De Lie era ripristinato, avevamo di nuovo il vecchio Arnauld: che ride, che si sente bene, ascolta, dà suggerimenti e parla molto. Era completamente diverso da quello che avevamo visto durante le Classiche. 

E’ tornato se stesso?

Definirei quei comportamenti come tipici di un corridore che si sente bene nel proprio corpo rispetto a uno che si sente perso. Qualsiasi atleta che non si sente al meglio tenderà a isolarsi, smetterà di comunicare, di ridere e diventerà più introverso. Quando l’ho rivisto ad Amburgo era un ragazzo, anzi un uomo diverso. Aveva recuperato la concentrazione. 

Non è un caso che De Lie sia tornato al successo sulle strade di casa, dove ha ritrovato l’abbraccio del proprio pubblico (RhodePhoto)
Non è un caso che De Lie sia tornato al successo sulle strade di casa, dove ha ritrovato l’abbraccio del proprio pubblico (RhodePhoto)
Il fatto che sia tornato alla vittoria sulle sue strade, in Belgio, non può essere un caso…

Ha un ottimo rapporto e un ottimo feeling con questo tipo di gare. E l’intera corsa ruotava attorno alle tappe di Geraardsbergen e Leuven. C’è da dire che lo scorso anno, proprio a Geraardsbergen, aveva vinto. Mentalmente il legame con la gara c’era già, oltre al fatto che gli addice. Essere riuscito a battere rivali di altissimo livello come Van Der Poel e Wellens non farà altro che dargli più fiducia e confermargli che nei suoi giorni migliori può competere con questi corridori. Inoltre c’erano i suoi genitori e la sua fidanzata a seguirlo, questo ha giocato un ruolo importante. 

Ora però serve mantenere la concentrazione.

Saprà farlo, abbiamo ancora alcune gare importanti come Bretagne Classic, Quebec e Montreal. Sono abbastanza fiducioso che la sua concentrazione rimarrà buona e adeguata fino alla fine della stagione.

I primi nomi e la MBH Bank prende forma: il progetto di Bevilacqua

28.08.2025
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Notizie che escono a strappi, per assecondare strategie di comunicazione più o meno efficaci. Così ad esempio per raccontarvi la storia di Fiorelli alla Visma-Lease a Bike abbiamo dovuto attendere più di un mese e altri articoli sono pronti in attesa del semaforo verde. La nascita della professional MBH Bank-Ballan-CSB è un work in progress che ogni giorno si arricchisce di nuovi tasselli. Martedì ad esempio è uscita la notizia dell’ingaggio di Masnada, Persico e Fancellu, come durante l’estate era filtrato il ritorno di Fabio Felline. Doppio ritorno per lui: in gruppo dopo un ritiro di cui era poco convinto e nel gruppo di Villa d’Almè da cui era arrivato al professionismo.

La MBH Bank-Ballan-CSB sarà una professional affiliata in Ungheria, che ha dovuto pedalare in salita per due anni prima di vedere la luce. Lo scopo di Antonio Bevilacqua e del suo team è sempre stato dall’inizio quello di portare al professionismo i giovani cresciuti nella continental, recuperando semmai qualcuno di quelli che, usciti dal loro vivaio, fosse in scadenza di contratto. Ne parliamo con Bevilacqua, per un primo punto che immancabilmente si aggiornerà nelle prossime settimane.

Antonio, finalmente si parte?

Dovevamo farlo già dallo scorso anno, però non c’erano i tempi giusti. Abbiamo fatto le cose più con calma e adesso partiamo. L’intenzione era sempre di continuare con una realtà giovane, come abbiamo sempre fatto e inserendo qualche corridore di esperienza, possibilmente fra quelli che hanno già corso con noi.

Avevate un elenco oppure avete visto chi c’era sul mercato?

Abbiamo cercato chi era in scadenza di contratto, tenendo anche conto delle nostre possibilità. Non possiamo pretendere di prendere Ganna e Consonni, oppure Ciccone. Il momento è difficile, il sistema dei punti rende tutto complicato, ma cercheremo di entrare in punta di piedi e di crescere piano piano.

Persico è giovane ed ha i suoi margini, Masnada ha attraversato stagioni difficili, che cosa ti aspetti?

Fausto ha avuto sempre dei problemi. Soprattutto quelli al sottosella, ma si è operato e adesso è a posto. Per noi sarà un faro, in più abita vicino a noi ed è un bravissimo ragazzo. Sicuramente sarà fondamentale anche in corsa per i giovani. Questo è l’obiettivo. Col tipo di corse che faremo, potrebbe anche essere competitivo, ne sono sicuro.

Quest’anno Persico corre nella Wagner Bazin WB, nel 2024 con la Bingoal aveva vinto al Tour of Qinghai Lake
Quest’anno Persico corre nella Wagner Bazin WB, nel 2024 con la Bingoal aveva vinto al Tour of Qinghai Lake
Ci sarà anche Felline: è utile, avendo una squadra giovane, avere qualcuno che sappia come muoversi?

E’ importante, anche se qualche corsa l’abbiamo già fatta anche noi. Il nostro sarà un calendario un po’ diverso, non andremo a fare il Delfinato, il Giro di Svizzera o la Terreno-Adriatico, quindi il prossimo anno sarà un primo passo per crescere. E’ un’esperienza nuova, qualcosa che io ho già vissuto, però intanto partiamo e vediamo di affrontare questo salto nel migliore dei modi.

Alcuni fra i vostri attuali under 23 passeranno nella nuova squadra?

Stiamo vedendo, però la maggior parte sì. L’obiettivo era quello di portare per primi loro. Nespoli a dire la verità è stato richiesto anche da un’altra squadra, ma confido che rimanga. Come lui c’è Bracalente e anche Chesini e Masciarelli, che ha vinto il Liberazione e si è meritato l’occasione. La nostra realtà è giovane, sono ragazzi di valore e quindi gli diamo la possibilità di continuare. Ovviamente avremo anche 4-5 ungheresi, perché lo scopo dello sponsor è far crescere anche loro. In tutto dovremmo arrivare a 20 corridori.

Quale livello hanno questi ragazzi ungheresi?

Ne abbiamo uno giovane, molto forte, che ha fatto quinto al Liberazione e si chiama Takács Zsombor Tamás. Lui ha numeri veramente buoni. Fa cross e mountain bike, sono sicuro che possa fare qualcosa di buono. Ce ne sono altri due buonini che seguiremo proprio per sviluppare il ciclismo ungherese. Si era provato anche a prendere qualche grosso nome come Attila Valter, ma i tempi non sarebbero stati maturi e abbiamo preferito fare un passo per volta.

La vittoria al Liberazione – dedicata al papà di Gianluca Valoti – vale un posto anche per Masciarelli (foto Simone Lombi)
La vittoria al Liberazione – dedicata al papà di Gianluca Valoti – vale un posto anche per Masciarelli (foto Simone Lombi)
Continuerete con le biciclette Cinelli?

Stiamo definendo, ma probabilmente sarà così. Siamo insieme da cinque anni, ci hanno trattato sempre bene e vogliono crescere. Stiamo definendo proprio in questi giorni.

Ci saranno altri professionisti che potrebbero entrare in ballo?

Onestamente penso di sì, ma ci siamo imposti di aspettare. Sono sicuro che fra un po’ di tempo ci sarà qualche nome di peso che avrà la curiosità di venire a vedere. La fusione fra Intermarché e Lotto o il futuro della Arkea provocherà degli assestamenti e magari arriverà qualche bel nome che potremo prendere. Abbiamo parlato anche con Verre, poi ci siamo fermati. Non abbiamo dieci posti da riempire, saranno cinque, per cui vale la pena aspettare ancora un po’.

Cosa ricordi del tuo primo anno fra i professionisti con il Team Colpack assieme a Stanga?

Che andammo al Giro e vincemmo una tappa, lottando anche con le unghie. Adesso è tutto diverso, ma ci tengo a dire che abbiamo sempre lavorato bene. Saremo un bel gruppo, con Valoti, Di Leo, Martinelli, Miozzo e il sottoscritto in ammiraglia e un altro forse in arrivo. Abbiamo gli allenatori e la nutrizionista. Sarà un’avventura e noi ci proviamo, ma con un’accortezza.

Bevilacqua assieme a Davide Martinelli: con Di Leo e Miozzo formano la struttura tecnica della MBH Bank-Ballan-CSB
Bevilacqua assieme a Davide Martinelli: con Di Leo e Miozzo formano la struttura tecnica della MBH Bank-Ballan-CSB
Quale?

A livello mentale vorrei che almeno all’inizio fosse una squadra come una volta, in cui il clima sia familiare e il rapporto umano. Non voglio comunicare con le mail e non vedere mai i corridori. Faremo il nostro calendario, che sarà popolato spero delle corse italiane, quelle che abbiamo già fatto. Il Giro d’Abruzzo, il Coppi e Bartali, la Milano-Torino. Adesso faremo il Toscana, Peccioli, l’Emilia. C’è tutto quello che serve, ma magari conviene che ci risentiamo. Vedrete che qualcosa di nuovo verrà fuori di sicuro.