Conci non molla. Ora Danimarca e Germania (soprattutto)

17.08.2023
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Nicola Conci è impegnato al Giro di Danimarca. Il corridore della Alpecin-Deceuninck sembra finalmente stare bene e aver trovato la continuità di cui tanto aveva bisogno.

Lo avevamo lasciato ad inizio anno con una valigia piena di sogni e buoni propositi, ma ancora una volta la sfortuna, che non è affatto cieca, lo ha colpito. E gli aveva compromesso di fatto il maggiore obiettivo dell’anno: il Giro d’Italia.

Nicola Conci (classe 1997) è alla sesta stagione da professionista
Nicola, come stai?

Ora meglio. Ho ripreso al Giro di Polonia ed è stata una prima corsa dopo un lungo periodo tranquillo, senza aver fatto gare a luglio. Mi è mancato qualcosina nel finale delle prime tappe, quelle più importanti o comunque più adatte a me, però è stata un’ottima prova in vista del prosieguo della stagione.

E cosa prevede il tuo calendario?

Giro di Danimarca, poi il Giro di Germania, poi ancora le due corse di un giorno in Canada – Quebec e Montreal – e a seguire tutto il blocco delle corse italiane. Le possibilità per far bene non mancano.

Nicola, ci eravamo lasciati a febbraio con una lunga intervista piena di buoni propositi. Tutto sommato, la preparazione per il Giro era iniziata in maniera lineare. Poi che cosa è successo?

In questa prima parte di stagione non sono stato fortunatissimo. Ero partito abbastanza bene in Algarve. Mi sentivo bene ed ero fiducioso, ho anche ottenuto un paio di top 10. Poi abbiamo fatto un lungo ritiro e per un mese non ho corso e sono arrivato un po’ sottotono al Catalunya e forse l’ho pagato. Lì mi sono  anche ammalato. Ai baschi sono durato qualche giorno, poi mi sono dovuto ritirare. Dopo i Baschi sono andato di nuovo in altura, ma mi sono ammalato nuovamente.

Al Giro d’Italia appena sei tappe per Conci, una fuga nel giorno di Lago Laceno e poi il Covid. Un peccato. Ci aveva lavorato moltissimo
Al Giro d’Italia appena sei tappe, una fuga nel giorno di Lago Laceno e poi il Covid
Forse eri già un po’ debilitato…

Ero sul Teide, ma non ero al top. Poi al Giro mi sono ammalato una seconda volta consecutiva, questa volta con il Covid. Ci ero andato tranquillo, pensando di aver superato ormai l’influenza, ma non era così. A dimostrazione che Covid ed influenza sono due cose diverse. Sensazioni fisiche diverse. Con il test positivo mi sono dovuto ritirare e ho dovuto osservare un periodo di riposo.

Al Giro hai fatto una settimana, poi però eri al Delfinato. Si pensava al Tour?

No, ho fatto il Delfinato giusto per fare qualche giorno di corsa in vista dell’italiano. A quel punto ho fatto un reset pieno, pensando appunto a questa seconda parte di stagione.

Non è facile, ce ne rendiamo conto. Venivi dal caso Gazprom e ancora una stagione travagliata: come si fa a tenere duro?

Eh già, ripensandoci non è facile perché appunto l’anno scorso c’è stata la cosa della Gazprom. L’anno prima l’operazione all’arteria iliaca, problema che a sua volta persisteva da anni. Da quando sono professionista non sono riuscito a fare una stagione senza problemi. Come si fa mi chiedete? Si pensa sempre un po’ al giorno stesso, alla prossima corsa… ma il tempo passa. Io non posso far altro che lavorare e concentrarmi sull’immediato futuro.

Conci (in primo piano) alla Volta ao Algarve: aveva ottenuto un incoraggiante 7° posto in una delle tappe più dure
Conci (in primo piano) alla Volta ao Algarve: aveva ottenuto un incoraggiante 7° posto in una delle tappe più dure
Il problema oggi non è tanto stare male una volta o due. Questo gruppo sembra un treno in corsa. Ogni volta che ci si rientra dopo uno stop si finisce in un vagone dietro. Ma alla fine i vagoni finiscono…

Vero, come dicono un po’ tutti, sembra che dal 2020 sia cambiato qualcosa nella mentalità dei corridori. Ormai o si arriva iper preparati a tutte le corse o non si può più neanche partire. La corsa per allenarsi non esiste più. Adesso i valori che fai a febbraio all’Algarve sono gli stessi che fai al Giro d’Italia e al Tour de France. Poi, ovvio, in Algarve fai una salita forte e ci sono 20 corridori davanti, al Tour de France ce ne sono 80. Però quei numeri stellari devi sempre farli se vuoi stare lì… almeno nella media.

Sei in scadenza di contratto: si muove qualcosa? C’è idea di restare alla Alpecin?

Qualcosa si muove, l’idea è di restare. Stiamo parlando da un po’, ma ancora non c’è niente di definitivo. Intanto cerco di far bene e poi vedremo.

Hai nominato una bella lista di corse all’orizzonte e, ci sentiamo di aggiungere, per fortuna. Tra queste ce n’è qualcuna che ti piace di più? Qualcuna che può essere adatta a te?

Sicuramente il Giro di Germania. Penso sia più adatto rispetto al Danimarca, dove magari aiuterò di più la squadra. Magari in Germania avrò un po’ più di spazio, ma anche Quebec e Montreal sono due corse di un giorno abbastanza impegnative. Magari riuscirò a mettermi in luce lì, anche in vista di tutte le corse italiane che seguiranno. Bene o male le nostre corse sono tutte abbastanza buone per me.

E anche la tua motivazione sembra buona, dai…

Sì, si… quella c’è!

Crono: perché schiena e muscoli posteriori sono tanto importanti?

17.08.2023
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Parlando con i corridori ma anche i tecnici, è emerso come la schiena e la muscolatura posteriore giochino un ruolo fondamentale nella posizione della crono. Tutta questa catena, dalle spalle ai polpacci, è chiamata fortemente in causa. E lo è sia per la spinta che per l’equilibrio.

Diego Bragato, responsabile del Settore Performance della Fci, conferma tutto ciò. Lui lavora moltissimo con i ragazzi della pista e del quartetto i quali, ovviamente, hanno una posizione da crono piuttosto estrema. Ma anche sulla strada non si è certo da meno. Mattia Cattaneo, per esempio, dedica molto tempo alla muscolatura della schiena. E lui stesso ci spiegava come grazie a certi lavori specifici riuscisse ad adottare una posizione più estrema con relativa facilità.

Diego, gli atleti ci dicevano che a crono la parte posteriore della muscolatura e della schiena contano moltissimo. Incide anche nella guida. E’ così?

E’ vero, ma direi che è tutta la parte centrale del corpo e non solo quella posteriore che gioca un ruolo fondamentale nel gesto della pedala e in particolare della pedalata a crono.

Perché?

Perché una muscolatura tonica stabilizza l’atleta sulla bici. E un ciclista più stabile guadagna due volte. Una muscolatura forte stabilizza le spinte sui pedali, soprattutto quando si hanno posizioni estreme e si spingono i rapporti lunghi di oggi. Se il “core” è dunque forte, il bacino è più stabile e c’è meno dispersione di forza. Insomma, si spinge di più. Secondo aspetto: un atleta più forte e stabile evita d’innescare una serie di problematiche secondarie come infiammazioni, dolori…

Che poi è un po’ quello che giusto ieri ci diceva Yankee Germano, parlando dell’arretramento più corto anche sulle bici da strada…

Le posizioni a crono invece sono più estreme. Devi essere più flessibile, quindi avere una mobilità maggiore, ma anche più stabile… E conciliare le due cose non è facile.

Squat (in foto, dal web) e stacchi sono ideali anche per i glutei
Squat (in foto, dal web) e stacchi sono ideali anche per i glutei
E allora quali sono i muscoli più chiamati in causa nella crono?

I primi restano i quadricipiti, ma cresce l’apporto del grande gluteo e di tutta la parte dorsale. Sia per il discorso delle spinte che della guida.

Come ci si lavora dunque?

Con esercizi a corpo libero, esercizi per il core. Ma proprio perché è un tema molto importante andiamo a monte. In Federazione spingiamo molto affinché su stabilità e mobilità si lavori sin da ragazzi. La mobilità è la prima cosa che dalla nascita in poi si va a perdere, pertanto va curata. Poi serve il potenziamento. Quindi i classici stacchi, lo squat… e infine la parte specifica per il core, come gli addominali.

Stacchi e squat… come li fai fare?

Io preferisco farli fare con il bilanciere libero, tanto più se l’argomento sono la crono e la stabilità. Perché stando liberi non solo devi comunque fare il tuo esercizio di forza, ma devi continuamente controllare il movimento con tutti i muscoli. Magari ho meno carico rispetto a chi lavora con i macchinari, ma farò un lavoro più completo.

Trazioni a braccia larghe per far lavorare di più la muscolatura della schiena
Trazioni a braccia larghe per far lavorare di più la muscolatura dorsale
E questi esercizi vanno bene anche per la parte posteriore?

Sì, anche se poi per bicipiti femorali e glutei si lavora pedalando: partenze da fermo, SFR… sono movimenti che ti permettono di lavorare su una spinta completa. Io le chiamo progressioni di forza.

Diego resta la parte alta: la schiena che a quanto pare serve moltissimo per l’equilibrio…

Per la schiena si fanno le classiche trazioni alla sbarra, gli esercizi a corpo libero, i dorsali… specie lavorando con ampie aperture.

Come mai con ampie aperture?

Perché una presa più larga, specie con i palmi rivolti verso l’esterno e non verso la faccia, fa sì che si usino meno i bicipiti e più i muscoli dorsali e scapolari. L’obietto di tutto questo tema alla fine è uno: trovare il miglior compromesso tra forza e una posizione estrema come quella richiesta dalla crono.

Tour du Limousin: finalmente il giorno di Mozzato

17.08.2023
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A un certo punto, dopo tanti piazzamenti e nessuna vittoria, nella testa di Luca Mozzato ha iniziato a farsi largo il dubbio di non essere un vincente. L’ultimo successo risaliva al Circuito del Porto del 2019, quando batté in volata Gomez, che all’epoca correva nella Colpack, e altri che fanno ancora fatica a guadagnarsi un posto al sole.

Per lui nel frattempo è arrivato il professionismo e con il salto di qualità, un’infinità di piazzamenti nelle mezze classiche del Nord e nelle tappe del Tour: in due anni di Grande Boucle, il vicentino è finito per sei volte nei dieci, ma di vittorie neanche parlarne. Invece ieri a Trelissac la luna ha girato nel verso giusto e Luca ha vinto la seconda tappa al Tour du Limousin. Non sarà il Tour e neanche la Roubaix, ma niente come la vittoria sa dare un senso alla fatica. E così, mentre di solito lo chiamavamo per raccontare i suoi progetti, i piazzamenti e i successi altrui, questa volta il protagonista è lui: Mozzato Luca da Arzignano, 25 anni, professionista dal 2020.

La Arkea-Samsic ha lavorato per riprendere la fuga e ha lanciato Mozzato verso la vittoria
La Arkea-Samsic ha lavorato per riprendere la fuga e ha lanciato Mozzato verso la vittoria
Non vincevi da quattro anni, c’è voluta costanza…

Intanto devo ringraziare la squadra. Sembra una cosa banale che dicono tutti, però oggi (ieri, ndr) hanno cominciato a lavorare tanto lontano dall’arrivo. Parliamo di 150 chilometri. Quando hai un leader che garantisce la vittoria, è un po’ più facile. Invece nel mio caso, insomma, il caso di un corridore che non ha mai vinto… Fare quel tipo di lavoro è perché ci si aspetta che riesca a vincere. Mi hanno dato fiducia, non era una cosa scontata.

Siete partiti per far la corsa per te?

Ci credevano quasi di più i miei compagni che io stesso. Hanno cominciato a lavorare, tenendo la fuga a tiro. Però i chilometri passavano e andare a prenderli non è stato facile. Ci siamo riusciti nel finale e a quel punto l’arrivo mi dava una mano, perché non era né troppo duro né tutto piatto. Alla fine venivano fuori le gambe e io ho trovato il momento giusto per partire, perché comunque ero messo abbastanza bene.

Qual era il momento giusto?

Ai 300 ho visto davanti a me che Cosnefroy e Askey si sono un po’ toccati e hanno perso inerzia. Così ho deciso di partire abbastanza lungo, visto il tipo di arrivo. Era quello il momento giusto.

In corsa anche la Intermarchè-Circus con Rota e Petilli, che oggi potrebbero fare la corsa a Bort les Orgues
In corsa anche la Intermarchè-Circus con Rota e Petilli, che oggi potrebbero fare la corsa a Bort les Orgues
Perché secondo te hanno deciso di fare corsa per te?

Sono uscito bene dal Tour e hanno deciso di darmi fiducia. Poi comunque qui di velocisti “di calibro” non ce ne sono tantissimi, quindi, guardando il parterre, hanno valutato che forse avevamo noi l’uomo vincente. E avranno pensato: proviamo a metterlo nelle condizioni di giocarsi la corsa.

Quanto sei più leggero stasera?

Abbastanza, anche perché comunque questa prima vittoria non è mai diventata un’ossessione, però cominciava a essere tanto tempo che non vincevo. E anche dal mio punto di vista dovevo cercare di capire che tipo di corridore sono. Essere un corridore che fa la corsa e non vince non è proprio il massimo. Non sono più giovanissimo, però mi davo ancora un paio d’anni per vedere che tipo di corridore potessi essere. E in questo paio d’anni volevo provare a giocarmi le mie carte e adesso questa vittoria aiuta.

Secondo te i tanti piazzamenti al Tour dipendevano da un fatto di fiducia o dal confronto con gente più forte?

Ho sempre pensato che mi riesce più facile piazzarmi in una corsa impegnativa, dove il livello è altissimo come al Tour, piuttosto che vincere le corsette di livello inferiore. Che poi adesso parlare di corsette… Non ce ne sono più, però mi riesce più facile tirare fuori il quinto-sesto posto in una corsa dove ci sono i fenomeni, piuttosto che vincere 3-4 corse con un parterre minore.

L’ultimo successo di Mozzato risaliva al 2019, quando vinse il Circuito del Porto da U23
L’ultimo successo di Mozzato risaliva al 2019, quando vinse il Circuito del Porto da U23
Perché?

Perché sono un corridore veloce, ma non velocissimo. Quindi i velocisti non li stacco tutti e sono quella via di mezzo che mi permette di spaziare in tanti tipi di corse, soprattutto le classiche, anche se questo finora non mi ha permesso di essere vincente.

Secondo te questa vittoria può dare qualcosa in termini di convinzione?

Sicuramente. E può fare la differenza soprattutto con gli avversari, che magari adesso vorranno venire alla mia ruota: Questo fa una grande differenza.

Da cosa hai capito di essere uscito bene dal Tour?

Mi sembrava di averlo finito e non essere proprio cotto. Ero stanco come tutti, però era una stanchezza positiva, stanchezza buona. Non ero nella situazione in cui non volevo muovermi dal letto per tre giorni. Insomma, stavo ancora relativamente bene e quindi dopo 2-3 giorni di recupero, le sensazioni in bici sono state subito buone.

Prossime tappe?

Domani (oggi, ndr) si arriva in salita. Non è un colle di montagna, però è decisamente troppo dura. Invece sul circuito di Limoges se ne può riparlare, perché magari arrivano in tanti e la corsa è giocabile. Il problema è sempre capire se il gruppo arriva a giocarsi la corsa e se io sarò ancora nel gruppo.

Al Tour du Limousin c’è anche la Eolo-Kometa, con Bais, Pietrobon, Rivi, Lonardi, Maestri, Bevilacqua e Muñoz
Al Tour du Limousin c’è anche la Eolo-Kometa, con Bais, Pietrobon, Rivi, Lonardi, Maestri, Bevilacqua e Muñoz
Anche la squadra sarà motivata a provarci, no?

Sicuramente, però il Limousin è una corsa particolarmente difficile da controllare, quindi se anche c’è la volontà, poi bisogna avere le gambe e una situazione favorevole.

Ultima cosa: il prossimo anno arriva Albanese: pensi che si inserirà bene?

Non so quello che si aspettano, ma hanno preso un bel corridore. Albanese è forte in volata e passa le salite. Per il calendario che fanno qua in Francia, può essere utilissimo. Quindi oltre a tutte le corse WorldTour che farà e che fino adesso non ha mai fatto, aggiunge potenziale a tutta la squadra.

Se stamattina ti avessero detto che stavi per vincere la tua prina corsa?

Ci avrei sperato, creduto non lo so. Diciamo che c’era una serie di concause che poteva farmi credere che ci sarei andato vicino. Ma quando uno non ha mai vinto, fa fatica a capire quale sia la giornata giusta. Però è andata bene, sono contento. Sono davvero contento.

Simoni, anno 2000: l’unico italiano ad aver domato l’Angliru

17.08.2023
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Ci sono lingue di asfalto in alcuni angoli del mondo in grado di emozionare migliaia appassionati ogni volta che vengono scalate. Una di queste è l’Angliru. Gilberto Simoni vinse in maglia Lampre nel 2000, quando aveva 29 anni e in bacheca ancora nessun Giro d’Italia. Su quella salita ha lottato con la gravità, rischiando di mettere il piede a terra su pendenze che mettono paura a qualsiasi generazione di ciclisti. 12,4 chilometri con una pendenza media del 9,8% con punte al 24%

Il 13 settembre 2023 è uno di quei giorni da segnare sul calendario. Perché la Vuelta in occasione della 17ª tappa arriverà sull’Alto de Angliru. Una punta di sadismo accompagnerà ogni appassionato alla visione di quella frazione che porterà allo stremo ogni atleta partito quel giorno. Facciamo un balzo indietro di 23 anni per salire in sella con Simoni su quelle pendenze e capire come si affronta e cosa si prova su una delle salite più temute al mondo. 

L’Angliru vanta una pendenza media del 13,6% sul tratto più duro
L’Angliru vanta una pendenza media del 13,6% sul tratto più duro
Cosa ricordi di quella giornata, emozioni e sensazioni?

Non avevo mai vinto tappe alla Vuelta. Quella dell’Angliru si può dire che mi abbia aiutato a cambiare marcia perché l’anno dopo sono riuscito a vincere il Giro d’Italia. Insomma, ho iniziato a credere ancora di più in me stesso. Quel giorno lì sono riuscito ad anticipare un po’ la corsa perché sapevo che era impossibile battere quelli della Kelme-Costa Blanca, con tutto quello che c’era di dubbioso in quegli anni. Infilatomi nella fuga, gestii bene la gara. Non avevo altre chance, così andai via solo dalla fuga.

Che tipo di salita è? 

E’ una salita che ti porta allo stremo e deve essere interpretata in modo corretto. In salite così, non si deve guardare l’avversario. Devi pensare a te stesso e trovare il tuo ritmo su quelle pendenze assurde. Se sbagli una cambiata, rischi di mettere il piede a terra. E’ un’ascesa che non perdona, quando la imbocchi hai subito il cuore in gola. 

Che rapporti montavi?

Non c’erano le compatte. Non avevo la tripla. Avevo un Campagnolo dieci velocità con il 39 davanti e dietro mi ero fatto mettere il 28 e il 29 togliendo i rapporti più duri. Questo perché sapevo che si vinceva con la scelta di quei rapporti. Mi ricordo che quelli della Kelme montavano invece una tripla. 

Nel 1999 l’Angliru fu affrontato per la prima volta, vinse Jimenez in maglia Banesto
Nel 1999 l’Angliru fu affrontato per la prima volta, vinse Jimenez in maglia Banesto
Cosa ricordi di quella salita?

C’è un rettilineo di un chilometro dove non ci sono tornati e ricordo che veramente mi scoppiavano le gambe. Stavo andando su a cinque all’ora e pensai: “Se arrivo ai quattro mi fermo”. Bastava una cambiata sbagliata e finivi per mettere il piede a terra. Con il rischio di non riuscire neanche più a ripartire. 

Per tentare di venirti a prendere Roberto Heras, che vinse quella Vuelta, fece il record della salita. Ad oggi nessuno è riuscito ancora a scendere sotto quei 41’55”.

Quelli della Kelme erano in una condizione impossibile da affrontare. Se si guardano i filmati sembrava una crono a squadre. Se si prendesse come riferimento il pezzo più duro, forse da metà in su magari si potrebbe battere. Gli scalatori di oggi sono veramente forti. Ma il tratto completo per me ha un tempo inarrivabile. 

Nonostante ciò imboccasti la salita con poco meno di sei minuti e riuscisti a conservarne due all’arrivo…

Ero in fuga da tutto il giorno. Arrivai alla salita non così riposato perché tirai parecchio anche prima. 

Vuelta 2017, Contador sull’Angliru vince la sua ultima corsa (foto Getty Images)
Vuelta 2017, Contador sull’Angliru vince la sua ultima corsa (foto Getty Images)
Da scalatore hai anche vissuto un’evoluzione tecnologica in quegli anni. Lì c’era anche una cadenza di pedalata molto più bassa.

Sì, i rapporti ti ci costringevano. Per me e i meccanici montare una tripla sarebbe stata una blasfemia, un colpo all’orgoglio. A distanza di qualche anno mi ricordo che feci lo Zoncolan sia con il 39 che con il 36. Sono due cose diverse, la pedalata, la reazione dei muscoli. Ma al limite ci si arriva in ogni caso. 

E la tua Fondriest di quell’anno che bici era? Con una bici attuale sarebbe cambiato qualcosa?

Era leggerissima, con il meccanico Pengo facemmo un lavoro incredibile. Un telaio tutto mio per le gare in salita. Bici corta e una posizione più avanzata. La grande differenza con oggi è il materiale, la mia era in alluminio. Inguidabile in discesa ,ma in salita non credo che avrei trovato così tante differenze con quelle attuali. Geometrie differenti non avrebbero inciso come invece i rapporti che hanno ora. Io pesavo 60 chili quindi l’alluminio con me riusciva a funzionare molto bene. Il peso della mia Fondriest non lo ricordo di preciso ma era al limite del regolamento. 

Come si respira su una salita così?

Sei sempre a tutta. Anche se a parte quel tratto di un chilometro, ci sono i tornanti che permettono di rilanciare e “riposarti”. Ma è un’apnea continua…

Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni l’anno successivo vinse il Giro d’Italia sempre in maglia Lampre
Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni l’anno successivo vinse il Giro d’Italia sempre in maglia Lampre
La tappa dell’Angliru come si colloca all’interno di una Vuelta?

Fa paura. Fa male. E’ una salita su cui non si fanno distacchi enormi. Questo perché tutti vanno su sfidando la pendenza senza far scorrere più di tanto la bici. E’ difficile fare attacchi e non fare fuori giri. E’ vero che se si becca la giornata storta ci si può fare male, ma con i rapporti che utilizzano oggi uno in qualche modo si salva. Se uno in crisi si trovasse ad affrontarla con i rapporti che utilizzavamo noi nel 2000 allora sì che sprofonderebbe in classifica.

Chi vedresti come favorito su una salita così? 

Direi che bene o male, tutti gli scalatori, sono favoriti. Corridori come Vingegaard o Roglic possono puntarci, ma anche Evenepoel non lo vedo così sfavorito, abbiamo visto la sua potenza. Sarà una bella sfida, difficile fare un pronostico.

Hugh Carthy è l’ultimo vincitore dell’Angliru, affrontato nel 2020
Hugh Carthy è l’ultimo vincitore dell’Angliru, affrontato nel 2020
Se dovessi dare un consiglio a un corridore che vuole vincere sull’Angliru, cosa gli diresti?

Se vogliono vincere devono fare come ho fatto io nel 2000. Evitare lo scontro diretto con i corridori di classifica e anticipare da lontano, arrivando con un distacco prezioso ai piedi della salita. C’è poco da consigliare, devi spingere quello che hai, quello che ti senti.

Se dovessi fare una classifica della salite più dure, l’Angliru dove la metteresti?

Una delle top. Anche se devo dire che quella che mi ha impressionato di più forse è Punta Veleno. E’ terribile. Però non riesco a fare una classifica. Diciamo che i numeri delle pendenze la fanno da sè. Poi si va sull’esperienza personale. Perché ci sono salite dure come Mortirolo e Zoncolan che puoi affrontare in situazioni differenti e dire che sono più o meno dure. E’ una cosa molto personale il giudizio. Lo stesso Angliru mi ricordo che nel 2003 l’ho rifatto con Casagrande ed ero in lotta per la classifica e mi fece molto più male rispetto al 2000. 

Le ambizioni della Tudor, con Trentin e Storer per crescere

16.08.2023
5 min
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In questo ciclomercato che da settimane riserva colpi ogni giorno, anche la Tudor ha fatto la sua parte. 7 nuove entrate nel team e neanche un’uscita e già questo è un segnale di rafforzamento che s’innesta in quel processo di crescita con obiettivo entrata nel WorldTour.

Parlando con Claudio Cozzi, uno dei diesse del team, si nota subito che è particolarmente soddisfatto della campagna acquisti svolta sino ad ora. Si parte dal concetto di quantità, per spiegare perché la bilancia pende completamente dalla parte degli acquisti.

Claudio Cozzi è al suo primo anno alla Tudor, ora sta guidando la squadra al PostNord Danmark Rundt
Claudio Cozzi è al suo primo anno alla Tudor, ora sta guidando la squadra al PostNord Danmark Rundt

«Nella scelta dobbiamo tenere conto che il nostro è un team che vuole crescere, che ha ambizioni, ma abbiamo visto quest’anno che con 20 effettivi non riesci a coprire il calendario come vorresti, basta un infortunio, un malessere e la coperta diventa corta. Abbiamo quindi fatto entrare nel team gente giovane e gente d’esperienza per alzare il tasso di qualità generale».

Con gli uomini che avete preso, pensi che anche gli inviti aumenteranno?

Il programma è già stato molto fitto in questo primo anno, chiaramente ci manca la partecipazione a un grande giro, ma considerando le due wild card già assegnate, i posti a disposizione sono pochissimi e privilegiano i team del posto. E’ chiaro però che se hai più cavalli nel motore anche gli organizzatori se ne accorgono e quindi qualche invito in più, da parte di gare prestigiose me lo aspetto.

Per Trentin un mondiale sfortunato. Alla Tudor avrà molte occasioni da leader
Per Trentin un mondiale sfortunato. Alla Tudor avrà molte occasioni da leader
Gli acquisti sono importanti e di nome, proprio il fatto di non avere grandi possibilità di entrare in un grande giro non rappresenta un handicap per squadre come la vostra?

Premesso che non sono io che sono andato a contattare gli atleti, c’è chi è deputato per questo, penso però che alla base della Tudor ci sia un progetto futuribile, ambizioni chiare, un’idea alla base tesa verso una crescita ai massimi livelli. Chi accetta sposa quest’idea per diventarne parte integrante, sapendo che guardiamo lontano e non solo all’immediato.

Partiamo allora nella disamina dei nomi principali partendo da Matteo Trentin

Può portare innanzitutto grande esperienza, parliamo di un ex campione europeo e argento mondiale, uomo che è emerso anche nelle classiche, che anche a Glasgow finché non è caduto era stato protagonista ed era molto promettente in quel che stava facendo. E’ un corridore di alto livello, che può farci fare anche più di uno step in avanti.

Storer vincitore del Tour de l’Ain, a conferma della sua propensione per le brevi corse a tappe
Storer vincitore del Tour de l’Ain, a conferma della sua propensione per le brevi corse a tappe
Ma lo ritieni ancora un vincente?

Io dico di sì, è uno che sa vincere, è un lottatore. Guardate quel che ha fatto al campionato italiano, su un percorso che certamente non era nelle sue caratteristiche ha lottato come un forsennato. Avrà le sue occasioni e lo appoggeremo per ottenere traguardi.

Colpisce l’ingaggio di Storer, uno dei corridori più apprezzati e vincenti nel panorama delle corse a tappe brevi, ma sorprende, tornando al discorso di prima, come abbia scelto un team con difficili prospettive di partecipazione a un grande giro…

Noi intanto siamo un team svizzero, quindi due partecipazioni importanti come al Romandia e al Giro di Svizzera sono assicurate, ma anche altre gare importanti come Tirreno-Adriatico e altre sono pressoché certe. Avrà un calendario adatto per mettersi in mostra, lui come altri ha sposato il progetto e se come tutti speriamo arriverà anche l’invito per un grande giro, si farà trovare pronto. D’altronde anche Michael ha ampi margini di miglioramento, io credo che per lui sia una grande opportunità.

Per Dainese due centri al Giro nel 2022 e ’23. Alla Tudor dividerà gli impegni con l’altro sprinter De Kleijn
Per Dainese due centri al Giro nel 2022 e ’23. Alla Tudor dividerà gli impegni con l’altro sprinter De Kleijn
Alberto Dainese rafforza il vostro comparto veloce…

Noi quest’anno abbiamo già avuto un velocista sugli scudi come Arvid De Kleijn, vincitore anche della Milano-Torino, con Dainese avremo più scelte, i due si potranno dividere, potremo coprire più eventi che è esattamente il nostro intento. Alberto è un ottimo velocista, si è ben visto al Giro 2022 e quest’anno, perché è resiliente, ossia sa emergere anche dopo due settimane di gara, anche il giorno dopo aver superato grandi montagne e non è cosa da tutti. Poi parliamo di un corridore di 25 anni, con tutta una carriera davanti.

Un altro nome da sottolineare è quello di Hannes Wilksch che viene promosso dal vostro team Development. Da molti è considerato uno dei migliori prospetti della sua generazione…

La penso anch’io così, ha fatto un grande Giro Next Gen e ora sarà al Tour de l’Avenir. E’ un ragazzo estremamente serio e molto adulto per la sua età, ho avuto modo di conoscerlo al training camp e l’ho guidato un paio di volte, sa quello che vuole.

Per Wilksch niente mondiali, per preparare al meglio il Tour de l’Avenir
Per Wilksch niente mondiali, per preparare al meglio il Tour de l’Avenir
Anche lui in prospettiva è un uomo da corse a tappe?

Io penso che ha fatto ottimi risultati ma dobbiamo metterlo nella condizione di maturare, come Storer e come tanti altri. Hannes deve anche continuare a formarsi fisicamente, dobbiamo dare tempo a lui come agli altri, senza fretta.

Voi siete ora al Giro di Danimarca, con che prospettive?

Abbiamo una squadra giovane e con un nocciolo locale, con Kamp e i fratelli Eriksson. Vogliamo guadagnarci il pane giorno dopo giorno, lo abbiamo fatto anche ieri in una tappa da tregenda, con una media di 7 forature a team. C’erano tratti dove siamo passati su un autentico pantano, soprattutto sui tratti in pavé sembrava che per terra ci fosse un lago. Tutto si deciderà nel weekend, come sempre succede. Noi forse non siamo della partita per la vittoria finale, ma certamente vogliamo farci notare.

Da Glasgow a Rotterdam, la rincorsa di ct Addesi a Parigi 2024

16.08.2023
6 min
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Oggi a Rotterdam, nel contesto degli European Para Championships (voluti dalla EPC, che sta a tutti gli sport paralimpici europei come UEC sta al ciclismo) sono iniziate anche le prove di ciclismo. Direttamente da Glasgow, dove li abbiamo incontrati, sono volati in Olanda anche alcuni atleti azzurri guidati da Pierpaolo Addesi, abruzzese classe 1976, che fino a Tokyo 2021 ha gareggiato in bici in mezzo a questi stessi ragazzi.

Come abbiamo già detto a proposito del settore pista, la concomitanza scozzese ha dato visibilità anche allo sport paralimpico. Tuttavia, mentre gli atleti di Perusini hanno gareggiato nello stesso velodromo di Ganna e compagni, gli stradisti di Addesi sono stati spediti a Dumfries, 130 chilometri a nord.

Addesi e Tarlao: per l’azzurro di Gorizia, bronzo nella prova in linea C5 (foto FCI)
Addesi e Tarlao: per l’azzurro di Gorizia, bronzo nella prova in linea C5 (foto FCI)

La staffetta di Glasgow

L’incontro col tecnico azzurro, che da quest’anno ha preso in mano tutto il settore, avviene dopo la caduta di Luca Mazzone nella staffetta a squadre, che ha visto l’Italia prima in seconda posizione e poi sparire dalle classifiche a causa dell’incidente.

«Stavano andando forte – dice Addesi – era un argento assicurato, bisognava solo gestire il vantaggio sulla terza, mentre la Francia al comando non si prendeva più. Probabilmente una distrazione, forse la curva troppo veloce. Quell’ultimo giro si poteva fare in modo più tranquillo, dato che il tempo si costruisce nel secondo, ma anche questa grande organizzazione poteva pensare di mettere qualche materasso nelle curve più pericolose? A Dumfries se non altro sugli spartitraffico al centro hanno messo i materassi. Questi ragazzi hanno una visibilità completamente diversa dalle bici. Sono in basso, quindi vedono gli ostacoli all’ultimo e a volte non li vedono neanche. Quindi forse un po’ più di attenzione in questo ci voleva».

Guardandolo nel complesso, che mondiale è stato?

Ottimo, perché a parte quest’ultima disavventura, qualche incidente di troppo con le donne H3 e H4 e qualche quarto posto che ci sta stretto, direi che è andato bene. La squadra si è comportata in modo egregio, sono stati compatti. Il risultato dell’H3 (vittoria di Mirko Testa, foto FCI in apertura, ndr), dimostra proprio che c’è un affiatamento non indifferente. Abbiamo tre personaggi molto forti nella stessa categoria, cercare di gestirli non è semplice. Invece hanno seguito le indicazioni che gli ho dato e questa cosa mi fa molto piacere perché vuol dire che si vogliono bene.

Quali indicazioni avevano?

Ho voluto risparmiare Mirko Testa, perché era un arrivo dove poteva fare differenza, e gli altri si sono messi a disposizione. Maestroni ha gestito la prima parte di gara, poi ha mollato e nell’ultimo giro si è riposato, pensando al team relay. Invece Cortini l’ha sostenuto sino in fondo ed è finita come pensavamo.

Nella gestione personale di Pierpaolo Addesi, com’è andata? Che esperienza è stata?

Questo è il primo anno con il titolo di tecnico, ma in fondo anche lo scorso anno ho gestito molto questa nazionale. Non la chiamerei seconda esperienza, perché ci sono dentro da vent’anni. Prima da atleta, per cui questo mondo lo conosco bene. E poi ho un ottimo rapporto con gli atleti, perché con tanti di loro eravamo compagni di squadra. Sicuramente ho il vantaggio, essendo stato dentro ed essendo anch’io un ex atleta paralimpico, di poter fornire qualche accorgimento in più sulla logistica e sulla gestione personale degli atleti.

Addesi e Mazzone: momento ad alta intensità emotiva dopo l’incidente: bici distrutta, l’atleta sta bene
Addesi e Mazzone: momento ad alta intensità emotiva dopo l’incidente: bici distrutta, l’atleta sta bene
Anche al di fuori delle gare?

Qui non c’è solamente da stare attenti ai percorsi, ma c’è tutto un discorso completamente diverso, a partire dall’accessibilità dei servizi degli alberghi. Quindi questa è una parte molto importante per farli stare bene.

Credi che il mondiale tutti insieme vi abbia dato più visibilità?

Sicuramente è stato una vetrina importante, perché il mondo ci guardava. Una notorietà che prima si aveva ogni quattro anni con le Paralimpiadi e che ora raddoppia. Soprattutto c’è stato molto più spazio televisivo, soprattutto per la pista. Credo che, essendo all’interno di un velodromo, seguirli sia stato più semplice. Magari, se anziché metterci così lontano dal centro di Glasgow, fossimo stati più vicini, sarebbe stato diverso. Oggi era un’occasione per pubblicizzare questo settore, ma è andata così.

Da Glasgow agli europei di Rotterdam con quale obiettivo?

Saremo forti anche lì, perché i ragazzi stanno molto bene. Abbiamo programmato la stagione in questo modo, iniziandola volutamente sotto tono. Non ho chiesto loro il 100 per cento, perché lo volevo per i mondiali e per gli europei. Diciamo che mi hanno ascoltato, perché nelle Coppe del mondo non abbiamo brillato, ma va bene.

I tandem di Andreoli-Chiesa sfiorano il podio, sesti Agostini-Gasparini (foto FCI)
I tandem di Andreoli-Chiesa sfiorano il podio, sesti Agostini-Gasparini (foto FCI)
Avete atleti di età diverse, facili da gestire?

Abbiamo una nazionale con molti giovani, adesso possiamo dirlo. Ragazzi giovani, che devono ancora crescere. Accanto ce ne sono altri molto adulti, per cui se con i giovani non possiamo pretendere troppo perché hanno appena iniziato, con gli adulti non possiamo pretendere che siano al top per tutto l’anno. L’età non è dalla loro parte, quindi i picchi di forma non possono essere tanti. Ne servivano due, uno a Glasgow e uno a Rotterdam. E grazie a questa pianificazione, abbiamo ottenuto secondo me dei risultati importanti nell’anno pre-olimpico, in cui il livello è altissimo. Portare a casa 15 medaglie su strada e le 4 su pista credo che sia stato un eccellente risultato.

Da qui alle Olimpiadi, quale pensi che sarà il cammino?

Da settembre in poi, vorrei prima inquadrare il discorso delle classificazioni. Per 3-4 mesi vorrei concentrarmi su questo, perché credo che fino ad oggi forse non abbiamo prestato la giusta attenzione. Magari abbiamo atleti borderline che potrebbero stare in altre categorie, mentre ho visto che in altre nazionali, soprattutto in occasione di questo mondiale, ci sono stati molti passaggi di categoria verso il basso, quindi in classi più favorevoli. Questo naturalmente mi fa pensare che anche noi dobbiamo muoverci in questo senso. Però adesso serve anche staccare…

Gli europei paralimpici si stanno svolgendo a Rotterdam dal 6 agosto e si concluderanno il 20
Gli europei paralimpici si stanno svolgendo a Rotterdam dal 6 agosto e si concluderanno il 20
Dopo Livigno, i mondiali e ora gli europei: un’estate impegnativa?

Molto, ma dopo gli europei sarà già il tempo per programmare la prossima stagione a livello di ritiri. Il prossimo anno ci saranno tre Coppe del mondo e il mondiale su pista che daranno punti per le Paralimpiadi, cosa che non è mai successa. I punti si chiudevano al 31 dicembre dell’anno precedente, invece quest’anno hanno inserito queste altre prove. Saranno quattro appuntamenti importanti e dobbiamo darci da fare perché se arrivassimo troppo indietro, perderemmo posti e questo non lo voglio di certo. 

Arretramento al minimo: selle avanti per cercare più watt

16.08.2023
5 min
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Selle sempre più avanti e arretramento sempre minore. Non è la prima volta che più o meno indirettamente parliamo di questo argomento, ma ritrovandoci in mezzo al gruppo ci si rende conto nel concreto quanto questa tendenza sia forte. E vada a crescere.

Abbiamo notato selle il cui carro era tutto spostato in avanti. In alcuni casi abbiamo visto persino reggisella con l’off-set al contrario, cioè con la curva rivolta verso lanteriore. E quando le stesse selle non erano del tutto avanti o il corridore era molto alto, utilizzava il telaio più piccolo fra le due misure tra cui poteva scegliere.

Più corti

Alle nostre sensazioni abbiamo fatto seguire le testimonianze di un paio di meccanici e un massaggiatore.

«I biomeccanici – dice Maurizio Da Rin Zanco, meccanico della UAE Emirates– oggi cambiano le posizioni. Io sono un meccanico ed eseguo quel che mi dicono gli atleti e le schede che mi fanno avere i biomeccanici, non saprei dire un perché preciso e specifico. Ma i biomeccanici hanno numeri e sensori, secondo cui è meglio cambiare e ridurre l’arretramento.

«E così noto anche corridori che per dieci anni hanno utilizzato la stessa messa in sella, adesso pedalano “più corti”. Tim Wellens, per esempio, è arrivato da noi quest’anno e dopo molto tempo ha cambiato la posizione. Ed è più corto».

«Mi capita di fare interventi anche durante l’anno. In generale il baricentro si è spostato in avanti e in qualche caso allungo anche l’attacco. In tutto ciò i brevilinei si trovano meglio, mentre i corridori più altri “scompensano” un po’ e non hanno un super feeling con la guida. Almeno così riferiscono gli atleti, però spingono di più e quindi mantengono ugualmente questa posizione nuova».

Meno di 5 cm

Fausto Oppici, meccanico della Soudal-Quick Step, entra ancora più nel dettaglio: «E’ sicuramente vero che le posizioni sono cambiate e che si pedala molto più sulla pedaliera, ma almeno da quel che vedo io a seguito di questo avanzamento non sono cambiate le lunghezze degli attacchi manubrio. C’è proprio una posizione più raccolta, più compatta. Queste sono le indicazioni che ci arrivano dalle schede che ci vengono proposte ad inizio anno dai biomeccanici».

Ma di fatto quanto è cambiato l’arretramento? E’ sempre delicato parlare di numeri, ma lo stesso Oppici prova a dare una stima. Secondo lui fino a qualche anno fa magari si era sui 7-8 centimetri, oggi si è scesi a 5 centimetri. «E – aggiunge Oppici – anche di meno. Sempre più spesso si arriva a 4 centimetri».

Va da sé che la vecchia regola del ginocchio in linea con l’asse del pedale quando questo era in avanti parallelo al terreno è ormai acqua passata.

Ma perché si pedala più avanti? Per spingere di più, chiaramente. Si vanno a reclutare altri watt da esprimere sui pedali. Ma tutto ciò ha un costo. Un costo muscolare. Con un arretramento maggiore si utilizzano di più più i grandi muscoli, su tutti il quadricipite, ma anche il grande gluteo.

La posizione è un po’ meno comoda e infatti emergono determinati dolori. Ne avevamo parlato con Fred Morini.

Germano “simula” la posizione in bici. L’incontro fra gli indici è il bacino, fulcro delle leve superiori (busto) e di quelle inferiori (gambe)
Germano “simula” la posizione i bici. L’incontro fra gli indici è il bacino, fulcro delle leve superiori (busto) e di quelle inferiori (gambe)

Muscolatura posteriore

Cosa succede al fisico dunque con queste posizioni più compatte? Restiamo in casa Soudal-Quick Step e a risponderci è il massaggiatore Yankee Germano, che tra l’altro pedala molto e ama sperimentare. Pertanto la sua esperienza è doppia.

«Le posizioni più corte – spiega Germano – portano ad utilizzare di più i muscoli come il quadricipite, ma chiamano in causa anche il bicipite femorale (il muscolo posteriore della coscia, ndr). Molto più che in passato. Chiudendosi di più gli angoli questo muscolo è chiamato ad un accorciamento e un allungamento maggiori.

«Non a caso rispetto a qualche anno fa lo devo trattare di più. Lo trovo più contratto, in quanto ha svolto un lavoro maggiore. E la stessa cosa vale, seppur in modo minore, per il gluteo».

Ma non è tutto. Germano fa un’analisi più generale e molto interessante che riguarda l’intera posizione più raccolta. Con arretramento minore e attacchi manubrio della stessa misura, il corridore “si alza” e questo comporta dell’altro.

«Anche le muscolature della schiena e degli addominali sono chiamate ad un diverso lavoro – va avanti Germano – Io sono appassionato di meccanica, ho fatto anche degli studi in merito. Con le posizioni più corte e pedalando più sulla pedaliera, il bacino che in questo caso è il fulcro delle leve, è meno stabile.

«Prima stando più allungati e distesi sul tubo orizzontale, tutto il corpo era più stabile, la sua “base d’appoggio” era maggiore e certa muscolatura poteva restare più sciolta. Adesso per mantenere la stessa stabilità i ragazzi chiamano in causa di più addome e schiena. E infatti ci lavorano di più».

La Pool Cantù in Belgio. Racconto di un’avventura

16.08.2023
4 min
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Quando un team juniores affronta una trasferta all’estero è sempre una notizia. Il Pool Cantù 1999 ha affrontato un viaggio in Belgio per la 57esima edizione dell’Auber Thimister Stavelot, prova a tappe di 3 giorni che per i ragazzi del sodalizio lombardo è stato non solo una corsa, ma una vera scuola di vita. Loris Ferrari, il diesse al seguito, ha raccolto tante impressioni partendo da un assunto: in gare del genere i risultati sono sì importanti, ma è l’esperienza in se stessa che conta davvero.

«Questa era la terza volta che partecipavamo alla gara – racconta Ferrari – precedentemente vi prendeva parte la rappresentativa lombarda. Un nostro dirigente conosceva bene gli organizzatori così abbiamo preso il loro posto, da tre anni a questa parte. Noi programmiamo due trasferte all’estero ogni anno: una in Olanda a fine maggio e questa».

Cedric Keppens (BEL) vince l’ultima tappa e la classifica finale. Travella 31° a 3’41” (foto Facebook/Auber Thimister Stavelot)
Cedric Keppens (BEL) vince l’ultima tappa e la classifica finale. Travella 31° a 3’41” (foto Facebook/Auber Thimister Stavelot)
Che valore ha quest’evento?

Già il fatto di essere in Belgio che è un po’ una delle roccaforti del ciclismo varrebbe da solo la trasferta, ma per loro questa prova è come il Lunigiana per noi, un evento di riferimento assoluto. E’ la gara principale in quella zona del Belgio, lo scorso anno avevano partecipato tanti campioni nazionali per far capire la sua importanza. Quest’anno ha sofferto la concorrenza con i mondiali che si svolgevano lo stesso fine settimana, ma c’erano comunque tantissime compagini straniere, anche da Australia e Usa.

Che tipi di percorsi avete trovato?

Quelli classici delle Ardenne, anche questo è servito molto ai ragazzi per crescere. Non c’è praticamente mai pianura. Le prime due tappe avevano dislivelli da 1.500 metri, l’ultima addirittura 2.400 metri, con all’intero alcune epiche salite della Liegi-Bastogne-Liegi come lo Stockeu. Non è un caso se nel suo albo d’oro recente c’è gente come Kelderman, Gaudu, Evenepoel

I passaggi su pavé sono stati difficoltosi per la pioggia. Qui Christian Sanfilippo (foto Facebook/Auber Thimister Stavelot)
I passaggi su pavé sono stati difficoltosi per la pioggia. Qui Christian Sanfilippo (foto Facebook/Auber Thimister Stavelot)
Che impressione ne hanno ricavato i ragazzi?

La cosa che mi dicevano tutti è che è un mondo completamente diverso dal nostro. Sapevano che sarebbero andati incontro a una gara molto difficile ed erano preparati, fisicamente e mentalmente. Nella prima tappa solo una caduta a meno di 2 chilometri dal traguardo ci ha impedito di ottenere qualcosa d’importante. Come si è visto nella seconda, erano fuggiti in 7 e non sono più stati raggiunti ma Fiorin ha vinto la volata del gruppo. Nel complesso comunque abbiamo ottenuto 3 piazzamenti nella Top 10 con Grimod, Fiorin e Travella, è un buon bilancio.

Nell’ultima tappa però ben 4 su 6 si sono ritirati…

Era una tappa “troppo belga”. Fiorin e Ferrario, quelli meno a loro agio con questo clima, hanno mollato quasi subito, Bonalda ha rotto una ruota con l’ammiraglia lontana, Grimod stava morendo di freddo, lo abbiamo fermato noi.

La volata del secondo giorno, Fiorin sulla destra coglie il 7° posto (foto Facebook/Auber Thimister Stavelot)
La volata del secondo giorno, Fiorin sulla destra coglie il 7° posto (foto Facebook/Auber Thimister Stavelot)
Quanti eravate in trasferta?

Sei corridori e altrettanti d’accompagnamento tra massaggiatori, meccanici e io che sovrintendevo il tutto. Avevamo un’auto e un furgone. I ragazzi all’andata sono arrivati in aereo, al ritorno ci siamo stretti e siamo partiti tutti insieme. La logistica era molto curata: eravamo in un appartamento che gestivamo autonomamente, favoriti anche dal fatto che le tappe erano tutte vicine. Rispetto alla soluzione dell’albergo era preferibile.

Che atmosfera avete trovato?

Bellissima quando si dice che questa è la patria del ciclismo hanno ragione, trovi gente entusiasta ogni giorno. I ragazzini venivano a chiedere borracce e selfie, i ragazzi dicevano che si sentivano quasi dei professionisti… Era qualcosa di contagioso.

Per i ragazzi lombardi sempre tanto affetto da parte dei locali, qualcosa che è rimasto nel cuore (foto Facebook/Auber Thimister Stavelot)
Per i lombardi sempre tanto affetto da parte dei locali (foto Facebook/Auber Thimister Stavelot)
In Italia di corse a tappe per juniores ce ne sono pochissime. E’ forse questa mancanza di esperienza che i nostri pagano quando vanno all’estero?

Un po’ sì, per fortuna si è corso ai ripari da quest’anno, togliendo quel vincolo di far partecipare i ragazzi a sole due corse di più giorni, quando vediamo che all’estero fanno quasi solo quello. Gli organizzatori pian piano si stanno facendo avanti, vedi il Giro del Veneto. E le gare alle quali abbiamo partecipato avevano un livello ottimo. Ci vorrà un pochino di tempo, ma sono sicuro che quel gap verrà presto colmato.

Tiberi a tutta Spagna. Crescono le ambizioni per la Vuelta

16.08.2023
4 min
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Dopo un ottimo Tour de Pologne, Antonio Tiberi fa rotta sulla Vuelta. E viaggia verso la Spagna non solo con l’obiettivo di fare esperienza. L’atleta della Bahrain-Victorious può iniziare a testarsi. Magari a fare classifica, come si dice in gergo. Probabilmente non a certi livelli, ma il laziale non è il tipo che segue la filosofia del “sono giovane, c’è tempo”. Anche perché quel tempo ormai è quasi passato: Antonio ha solo 22 anni, ma è professionista già da tre.

Tiberi doveva fare anche la Vuelta Burgos, iniziata ieri, ma un piccolo risentimento (tendinite) post Polonia ha indotto il ciociaro e il suo staff a saltare questo “antipasto” del grande Giro spagnolo. Nulla di preoccupante. Uno stop precauzionale, dicono dalla Bahrain. Antonio ha fatto delle terapie e si sta allenando regolarmente.

Tiberi si è integrato benissimo con la nuova squadra. Eccolo pancia a terra in Polonia per Mohoric
Tiberi si è integrato benissimo con la nuova squadra. Eccolo pancia a terra in Polonia per Mohoric
Antonio, si va in Spagna dunque…

E’ il mio secondo grande Giro. Feci la Vuelta giusto l’anno scorso. Credo di aver vissuto un buon avvicinamento: prima l’altura a Livigno, poi il Tour de Pologne, quindi la Vuelta. In Polonia ho faticato un po’. Alla fine non correvo dai campionati italiani e mi serviva mettere un po’ di fatica nelle gambe.

Un buon lavoro…

Eh sì. Dopo il Polonia sono stato a casa una decina di giorni e poi sarei partito subito per la Spagna. Però devo ammettere che a me piace. Mi trovo bene, anche nei ritiri mi sento a mio agio, quindi no problem!

Sei arrivato in questo team a stagione inoltrata, ma da quel che ci hanno detto e da come ti abbiamo visto nei contorni del Tour de Pologne sembra che tu ti sia integrato alla grande. E anche sul fronte delle prestazioni ti sei subito mostrato all’altezza tanto che ti volevano portare al Tour. E’ così?

E’ vero, l’inserimento è stato subito ottimo sia con lo staff che con i ragazzi. Del Tour de France si era parlato. C’è stata questa possibilità per qualche giorno, però è anche vero che ero appena arrivato, che ero fermo da tre mesi e mi serviva un po’ di ritmo. Ne abbiamo parlato anche con il preparatore, Bartoli, e alla fine siamo rimasti sul programma originario.

In ritiro il laziale ha avuto modo di conoscere meglio i suoi compagni: uno su tutti, Caruso (foto Instagram)
In ritiro il laziale ha avuto modo di conoscere meglio i suoi compagni: uno su tutti, Caruso (foto Instagram)
Sei stato in altura con il team, lassù vi siete concentrati anche sulla crono, tanto più che la Vuelta partirà con una cronosquadre, o avete fatto l’altura classica con tanta base?

Non solo base. Abbiamo fatto anche qualche allenamento tirato. A volte partivano quei 5′-10′ di “ignoranza”! Con Damiano e Zambanini ci si stuzzicava… Più che altro guardavamo i Kom su Strava e cercavamo di batterli.

A proposito di Damiano Caruso. E’ stato lui a dirci che era il momento di lasciare spazio ai più giovani come te e Buitrago per la classifica della Vuelta.

Con Damiano mi sto trovando bene. Non lo conoscevo molto, ma a Livigno ho avuto modo di stargli più vicino. Ha tanta esperienza e la cosa che mi ha colpito è che la differenza di età non si sente: è estroverso, sul pezzo…

Ma sei pronto a fare il leader?

Alla fine non ho un obiettivo preciso. So cosa vuol dire affrontare un grande Giro e dopo un anno comunque non disputato al 100 per cento, in cui sono stato parecchio fermo, non posso partire e dire di puntare alla classifica. Però mai dire mai. Vediamo come si mette, vediamo come risponde il fisico e cerchiamo di fare il meglio possibile.

Nonostante sia un cronoman, nella crono del Polonia Tiberi non ha spinto troppo. Aveva già fastidio al tendine d’Achille e ha preferito non rischiare
Nonostante sia un cronoman, nella crono del Polonia Tiberi non ha spinto troppo. Aveva già fastidio al tendine d’Achille e ha preferito non rischiare
Okay, ma proverai a tenere?

Sì, sì… A tenere ci si prova. 

Hai detto di sapere cosa significhi fare un grande Giro: ebbene, cosa vuol dire?

Che devi arrivarci parecchio in condizione. Il dispendio energetico e mentale è tanto, tantissimo. Ho notato che la squadra può fare tanto la differenza e su questo punto sono tranquillo. So che saremo competitivi. Il lavoro in Polonia è stato importante. Per me era fondamentale correre. Damiano ed io eravamo i due uomini per i finali in appoggio a Mohoric che, uscendo dal Tour, aveva la miglior condizione.

Dai Antonio, facciamo un po’ di fantaciclismo. Ti ritrovi in classifica alla Vuelta con Roglic, Evenepoel, Vingegaard… chi temi di più?

Dico Roglic. Vingegaard viene dal Tour, Remco l’ha vinta l’hanno scorso, mentre Primoz vorrà la rivincita su Remco, senza contare che la Vuelta è “casa sua”. Per me se la giocheranno loro.

E il tuo quasi coetaneo Ayuso?

Lo vedo più sul podio, poi… mai dire mai. Ma se mi chiedete una scala di valori dico: Roglic, Remco, Ayuso.