Il ritorno di Pogacar in Canada: sorrisi e fame. L’analisi di Moser

18.09.2025
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Lo smartphone sul tavolo del ristorante, la pizza in arrivo, la compagna di fronte (immaginiamo la sua espressione) e il GP Cyclistique de Montréal da seguire… anche se non doveva commentarlo. Ebbene sì, Moreno Moser è riuscito in tutto ciò! Ma noi siamo contenti: primo perché questa è passione pura, secondo perché Moser è riuscito a vedere la corsa di Tadej Pogacar.

Con il suo occhio tecnico parliamo appunto del rientro del campione del mondo. Un rientro tanto atteso dopo il Tour de France. L’asso del UAE Team Emirates non gareggiava da 47 giorni.
Come è andata dunque la due giorni canadese di Pogacar? Che cosa ci hanno detto Quebec e Montreal?

Moreno Moser (a sinistra) con Luca Gregorio ai microfoni di Eurosport (immagini tv)
Moreno Moser (a sinistra) con Luca Gregorio ai microfoni di Eurosport (immagini tv)
Moreno, che ti è parso questo ritorno di Tadej nelle due corse canadesi?

Mi è parso alieno, come sempre. L’ho visto fare lo stesso percorso dell’anno scorso. Nel senso che anche l’anno scorso a Québec ha fatto un po’ fatica, ha attaccato sì, ma non era superiore. Quest’anno è uguale: che sia per una questione di fuso orario, che magari alla prima corsa arrivi un po’ scombussolato, che di gambe forse non rodate.

Lui ha ai detto di essere era stato male durante la settimana…

Esatto, la settimana è stato male. E questa è la dimostrazione, anche all’80 per cento Tadej è un fenomeno. A Québec è andato così così, e comunque ci ha provato, però ha fatto la gamba. E 48 ore dopo a Montréal già volava. Quindi secondo me è lo stesso identico percorso dell’anno scorso.

Avevamo lasciato un Pogacar un po’ meno sorridente del solito, come ti è parso?

Probabilmente aveva proprio bisogno di scaricare, di ricaricare le batterie, di cambiare aria. Lo stress portato da un sacco di fattori al Tour de France l’aveva un po’ spento. Secondo me ha inciso anche lo stress dei fischi. Fischi che non si sarebbe mai aspettato, per il fatto di andare troppo forte, i dubbi sulle sue performance… quella cosa lì gli ha fatto male. Però ha ricaricato le batterie ed è tornato anche a divertirsi. A Montréal mi è sembrato un corridore che aveva voglia di divertirsi, non solo di vincere. Per vincere avrebbe potuto aspettare l’ultimo giro e andare via. Invece aveva voglia di disintegrare tutti, anzi secondo me voleva proprio smorzare le voci disintegrando la corsa, anche per come l’hanno impostata come squadra.

Pogacar è tornato in gara dopo 47 giorni e si è subito mostrato in grande spolvero
Pogacar è tornato in gara dopo 47 giorni e si è subito mostrato in grande spolvero
Cosa ne pensi del gesto nei confronti del compagno di squadra McNulty?

Bellissimo. Giustissimo che l’abbia aspettato e che l’abbia lasciato vincere. Personalmente non sono per il pensiero per cui non si possano lasciare vincere le corse ai compagni in queste situazioni. Soprattutto uno come Tadej può permetterselo. Ha vinto e stravinto ogni cosa, quasi fino al punto di stufare, quindi può benissimo permettersi di far vincere una corsa a un compagno. Tra l’altro Montreal è una corsa che aveva già vinto due volte. Dal momento che vuole fare la collezione del palmarès, i doppioni non gli servono! Quindi quel gesto non mi ha stupito affatto. Mi avrebbe stupito il contrario. Stavo guardando la corsa con la mia ragazza, Valeria, e le ho detto: “Se non lo lascia vincere, butto via il telefono!”.

Quindi Pogacar è il tuo favorito per il mondiale?

Senza alcun dubbio…

Visto anche il percorso, visto il suo stato di forma o entrambe le cose?

Visto tutto! Il percorso è duro e quindi è difficile metterlo in mezzo. Su un percorso facile ci si può inventarsi qualcosa, vedi appunto Québec. O una Sanremo. Ma su un percorso duro contano le gambe e non puoi inventarti niente. Dove conta la scia, dove contano i tatticismi, può provare a fare qualcosa, ci possono essere più variabili ed incognite. Ma in un mondiale così sarà difficile.

A Montreal il campione del mondo ha lasciato la vittoria a McNulty. Di certo avrà un gregario ancora più devoto adesso
A Montreal il campione del mondo ha lasciato la vittoria a McNulty. Di certo avrà un gregario ancora più devoto adesso
I due giovani compagni, Del Toro e Ayuso, che si ritroverà contro secondo te proveranno a sfruttare il suo lavoro? Sono i più pericolosi?

Questa sarà forse la parte più interessante del mondiale. Di sicuro Juan Ayuso non gli darà una mano. Neanche Del Toro lo farà, però magari se si ritrovasse davanti e lui dietro potrebbe anche essere tra quelli che non tirano. Poi non sottovaluterei mai Remco Evenepoel.

A proposito di Remco, forse c’è più interesse per la cronometro?

Più interesse no, ma effettivamente è una sfida interessante, più combattuta. Certo che se la crono è troppo dura la specializzazione di Remco va un po’ a farsi benedire.

Però abbiamo visto che Trinca Colonel, per esempio, userà una monocorona da 60 denti, quindi sarà anche scorrevole…

Meglio così allora. Aspettiamoci una bella sfida.

C’è qualcosa che ti ha colpito del rientro di Pogacar?

Una cosa che mi ha colpito in Canada non è stato tanto di Tadej, quanto la sua squadra. Non ho mai visto una superiorità del genere. Io Montréal l’ho fatta due o tre volte, arrivando anche secondo, e posso dire che è difficile fare la differenza su quel percorso. Almeno ai miei tempi.

Moser è rimasto colpito dalla solidità e dalla fame della UAE Emirates
Moser è rimasto colpito dalla solidità e dalla fame della UAE Emirates
Spiegati meglio…

A Montréal era impensabile partire prima dell’ultimo giro. E all’ultimo giro si arrivava con tre quarti del gruppo compatto. Quando feci secondo, dopo l’ultima salita rimanemmo in venticinque. Io andai via con una “mezza fagianata” negli ultimi 3-4 chilometri su quegli stradoni. Questo per dire che non è una corsa così dura e in gruppo si sta benone. Si risparmia tanto. Vedere una squadra che si mette davanti e con soli due uomini, Wellens e Sivakov, toglie di ruota l’80 per cento del gruppo, per me è stata una roba folle.

Chiaro…

Ma poi sono famelici. Mi sembrava davvero che volessero prendersi una rivincita di due giorni prima, quando comunque avevano fatto secondo proprio con Sivakov. E a me questa fame fa impazzire, mi piace da morire vederli così cattivi. Ovvio che le gambe buone ti fanno venire voglia di partire super determinato, anche a livello di mentalità sono inquadrati: sanno quello che vogliono. L’altro “Greg” (Luca Gregorio, ndr) mi chiedeva se, considerando che la Visma-Lease a Bike ha vinto due Grandi Giri e la UAE uno, la stagione migliore l’avesse fatta la Visma. Io gli ho risposto di no. La costanza che ha avuto la UAE in quest’anno, oltre al Tour de France che da solo vale di più di tutto, è spaventosa. A volte vincono anche su più fronti nello stesso giorno.

Trinca Colonel, la vittoria de l’Ardèche fa parte del cammino

17.09.2025
6 min
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Tappa e maglia… anche quella azzurra per Monica Trinca Colonel dopo la vittoria nella frazione finale del Tour de l’Ardèche. L’atleta della Liv-AlUla-Jayco si conferma così una delle migliori del panorama nazionale. Forse colei che più è cresciuta durante la stagione e che addirittura potrebbe candidarsi ad essere l’erede di Elisa Longo Borghini, un anticipo di questa staffetta si è vista al campionato italiano.

L’Ardèche, come accennavamo, ha decretato il suo biglietto per il Rwanda, ma quel che più conta è il processo che questa ragazza sta facendo. E’ un’atleta di pura sostanza, pochi fronzoli, di cui si parla anche poco ma sulla quale si può fare affidamento. Un processo di crescita di cui abbiamo parlato con Marco Pinotti, uno dei coach della squadra australiana.

«Ero giusto in magazzino – attacca Pinotti – per preparare la bici da crono di Monica per i mondiali. Ero con i meccanici rientrati ieri dall’Ardèche. Abbiamo ragionato sul percorso dei mondiali, abbiamo fatto il “pace strategy” in base agli ultimi dati di potenza. E abbiamo cercato di definire le possibilità dei rapporti da scegliere per la prova a cronometro iridata».

Marco Pinotti, ex corridore, è oggi l’head coach della Jayco-AlUla
Marco Pinotti, ex corridore, è oggi l’head coach della Jayco-AlUla
E come vi siete orientati?

Anche se la crono non è il primo obiettivo di Trinca Colonel, è una prova importante e cerchiamo di fare il miglior risultato. Monica userà una monocorona da 60 denti, però le abbiamo lasciato l’opzione del 58, perché le informazioni che non ho sono relative alla qualità dell’asfalto, che può essere più o meno scorrevole. Abbiamo così lasciato due opzioni: la principale appunto il 60 e l’altra il 58. Dietro chiaramente avrà l’11-34. Però la scelta finale la farà là, in accordo con i tecnici della nazionale.

Marco cerchiamo invece di inquadrare bene tecnicamente questa ragazza. Che atleta è?

E’ un’atleta forte e resistente, tecnicamente molto valida. Sa guidare bene la bici, ha un alto consumo di ossigeno ed è resistente nel lungo periodo. Soprattutto in questi due anni ha costruito una resistenza alla fatica che le ha permesso di ottenere risultati importanti. Non ha picchi di potenza enormi, come le prime al mondo, ma una forte resistenza alla fatica. Nei contesti di sforzo prolungato o nelle gare dure riesce ad emergere.

La Liegi di quest’anno è stato il quadro perfetto di quanto hai appena detto. Magari si staccava ma poi rientrava…

Esatto, e lo stesso ha fatto alla Strade Bianche e in qualche altra corsa.

Quanto è cresciuta? E perché in modo così sensibile?

Perché fino a due anni fa lavorava in un negozio di ottica! La sua storia è una bella lezione per tanti. Adesso si cerca talento precoce, ma questo è un esempio che con un po’ di fortuna e tanta bravura anche a 25 anni si può debuttare ad alti livelli e fare bene. Il suo è un percorso alternativo rispetto a tanti altri.

Monica Trinca Colonel vince l’ultima tappa dell’Ardeche e conquista anche la generale. Sono i suoi primi successi da pro’ (foto Getty Images)
Monica Trinca Colonel vince l’ultima tappa dell’Ardeche e conquista anche la generale. Sono i suoi primi successi da pro’ (foto Getty Images)
Quindi ci sono margini?

Secondo me sì. Primo perché è un’atleta a tempo pieno da meno di 24 mesi. Secondo perché dallo scorso anno a quest’anno è cresciuta come valori di potenza nella prima parte di stagione. Poi tra Giro Women e Tour Femmes abbiamo avuto qualche problema. Siamo arrivati al Giro con l’idea di fare una bella corsa, ma invece ha avuto uno stop fisico che un po’ mi aspettavo… in questo suo processo di crescita generale. Ma non proprio in quei giorni. Abbiamo provato a mandarla al Tour Femmes come esperienza, per capire se potesse essere anche psicologico, invece lì abbiamo capito che i guai del Giro erano proprio fisici. Anche lì aveva gli stessi sintomi: dopo due o tre giorni di stanchezza, abbiamo deciso di fermarci.

E poi cosa avete fatto?

Abbiamo optato per uno stop netto e siamo ripartiti dalla base praticamente. Abbiamo ricostruito la seconda parte di stagione a partire dall’Ardèche, che è stato il suo rientro post Tour Femmes. Con Marco Velo si era parlato di portarla al mondiale, ma io ho detto: «Vediamo prima come va l’Ardèche», perché c’era il rischio che Monica fosse ancora stanca. I carichi erano monitorati, ma il peso psicologico si faceva sentire.

Cosa intendi?

Fino all’anno scorso correva senza grandi responsabilità. Qualsiasi risultato era un passo avanti. Quest’anno invece ha affrontato gare con il ruolo di capitana, con un confronto rispetto all’anno precedente e ha dovuto affrontare un processo diverso. All’Ardèche i numeri sono migliorati ancora rispetto a inizio stagione.

Trinca Colonel (classe 1999) quest’anno ha fatto davvero un grande exploit. Ha il contratto con la Liv anche per il 2026
Trinca Colonel (classe 1999) quest’anno ha fatto davvero un grande exploit. Ha il contratto con la Liv anche per il 2026
Tu come la vedi? Più scalatrice, donna da corse a tappe, cronoman…?

Cronoman lo è in parte, stiamo lavorando sulla posizione. Ha fondo e può andare bene nelle corse a tappe, anche se non è la scalatrice più forte. Può dire la sua nelle corse dure di un giorno come la Liegi o i campionati nazionali. E’ un’atleta di fondo che fa della continuità la sua forza.

Prima hai accennato anche all’aspetto mentale. Monica è ancora nella fase del “tutto nuovo” oppure iniziano le responsabilità? Insomma è consapevole?

Secondo me sì. Monica è una ragazza intelligente e consapevole. Sa riconoscere quando non è al meglio e affronta le difficoltà con maturità. Le responsabilità aumentano, ma deve imparare a gestirle. E’ bello che mantenga entusiasmo e che non senta troppa pressione. Ci tiene molto alle compagne e al lavoro di squadra.

Le avete affiancato qualcuna più esperta?

Mavi Garcia, che è molto esperta. Monica ha dimostrato di saper correre anche da capitana e magari al Mondiale potrà stare vicino a Longo Borghini.

L’atleta lombarda sarà in maglia azzurra ai prossimi mondiali. Farà sia la crono che la strada
L’atleta lombarda sarà in maglia azzurra ai prossimi mondiali. Farà sia la crono che la strada
E’ cresciuta come potenza rispetto all’anno scorso?

Sì, di almeno un 4 per cento su tutta la curva, rispetto al suo miglior livello dello scorso anno. Sono percentuali molto importanti a questo livello.

Avete ritoccato la posizione in bici?

L’anno scorso no. Ma quest’anno tra Giro e Tour abbiamo fatto indagini anche a livello meccanico e abbiamo trovato che aveva l’ileopsoas contratto. Una soluzione immediata è stata ridurre le pedivelle da 170 a 165 millimetri. Le usava a crono e ora anche su strada. In questo modo la gamba lavora meno chiusa.

E lei come ha reagito?

Essendo resiliente non ha sentito particolari differenze, ma ha capito che poteva aiutarla. Rivedremo la posizione con calma in inverno, per ora corre così. La risposta è stata positiva.

C’è qualcosa che vuoi aggiungere al quadro tecnico di Monica Trinca Colonel?

Bisogna essere cauti con le aspettative. Monica è un’atleta che può raccogliere ottimi risultati, ma non è scontato che la crescita sia continua. Ci saranno alti e bassi, come quest’anno tra Giro e Tour. Certi processi richiedono più tempo di quello che immaginiamo. Ha davanti ancora tanti anni, ma bisogna darle tempo, senza metterle pressione. Lei stessa non si monta la testa.

La nuova vita di Pellaud in Cina, per vincere e dirigere…

17.09.2025
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Il grande rullo dei risultati ciclistici della domenica ha ripresentato un nome del quale avevamo perso le tracce: Simon Pellaud si è aggiudicato il Tour of Binzhou, classica del calendario cinese, cogliendo il primo successo in una prova in linea nel calendario internazionale su strada della stagione dopo molti centri nel gravel, che da quest’anno è la sua attività principale.

Pellaud, corridore svizzero di origine colombiana è un vero cittadino del mondo quindi non è strano che abbia trovato casa in Cina, al Li Ning Team che è la formazione principale del grande Paese orientale. La chiamata che arriva dall’altra parte del mondo, quando l’elvetico è in una calda Pechino dove ha appena concluso la sua giornata di allenamento, è quasi un raggio di sole e si coglie dalla sua voce squillante.

Pellaud sul podio di Binzhou, dove ha vinto con 9″ sul gruppo regolato dal giapponese Arashiro (foto Instagram)
Pellaud sul podio di Binzhou, dove ha vinto con 9″ sul gruppo regolato dal giapponese Arashiro (foto Instagram)

«Qui mi sto trovando benissimo, sinceramente. Mi rispettano, faccio il calendario che voglio tutelando l’attività col gravel che è primaria in questo momento. Abbiamo una squadra spettacolare, molto forte, che vince tappe o classifiche generali in ogni occasione, quindi le cose funzionano anche perché c’è un bel ricambio, si vince un po’ tutti. Quindi sono veramente contento, felice per questa esperienza».

Che corsa era quella di Bingzhou?

Intanto non è stata la mia prima vittoria su strada, avevo già conquistato la prima tappa al Giro di Thailandia e avevo portato la maglia per 5 giorni per poi cederla al nostro velocista danese Alexander Salby, così abbiamo fatto primo e secondo nella generale. Quella di domenica era una gara piuttosto pianeggiante, sembrava essere terreno ideale per i velocisti, ma c’era un ponte, uno di quei punti lunghissimi che contraddistinguono l’Asia e lì si è fatta grande selezione, anche perché si percorreva in andata e ritorno. E’ stata una gara veramente intensa, senza alcun controllo della corsa tanto che a un certo punto pensavo fossi in una kermesse belga… Abbiamo fatto quasi 50 di media.

Da quest’anno l’elvetico è parte della Li Ning Star, team continental con ciclisti di più nazioni
Da quest’anno l’elvetico è parte della Li Ning Star, team continental con ciclisti di più nazioni
Come ti trovi alla Li Ning?

E’ la squadra numero 1 quest’anno. Non abbiamo tanti cinesi che corrono nel team ma c’è una ragione. Qui i corridori locali sono divisi per le varie province e sono gli stessi organi locali che costruiscono i team, tra l’altro si lavora soprattutto per i giochi cinesi che si svolgono ogni 4 anni, sono una sorta di Olimpiade locale e tutti i corridori nazionali sono concentrati su quelli. Quest’anno saranno in novembre, chi emergerà potrà entrare nelle Continental locali. E questo secondo me un po’ frena lo sviluppo del ciclismo locale.

Quindi l’anno prossimo le cose cambieranno…

Sì, quest’anno abbiamo corso solamente con due o tre cinesi, nel 2026 ne avremo sicuramente di più, sarà differente. Perché dal mio punto di vista anche quello è importante, per fare capire che per emergere bisogna confrontarsi il più possibile con il meglio che c’è all’estero, ancora meglio sarebbe se si potesse gareggiare in Europa.

7 gare nel gravel vinte quest’anno, compresa la tappa delle World Series in Brasile
7 gare nel gravel vinte quest’anno, compresa la tappa delle World Series in Brasile
Dopo un po’ di mesi che sei lì, pensi sia stata la scelta giusta essere andato in Cina?

Non ho nessun dubbio al riguardo, innanzitutto a livello di esperienza umana. Sto conoscendo una cultura diversa, essere qui non è certo lo stesso che venire con una squadra europea e correre solo per qualche giorno. Bisogna starci per entrare a pieno contatto con la vita locale, capire davvero che cos’è questo grande Paese. Inoltre è una grande esperienza professionale perché qui non faccio solo il corridore, ma sono una sorta di direttore sportivo in pectore, faccio io i briefing, diciamo che mi faccio le ossa in vista di un futuro che mi piacerebbe costruirmi addosso. Abbiamo corridori da Nuova Zelanda, Danimarca, Bielorussia e devo dire che mi ascoltano, mi rispettano, si affidano molto alla mia esperienza.

Tu però quest’anno stai privilegiando il gravel…

Sì, per certi versi corro su strada per essere più forte nei miei obiettivi di stagione legati al gravel. E’ importante per aumentare di livello anche in allenamento, trovare il giusto ritmo.

Pellaud insieme a Stockli forma il team gravel per la Tudor, con cui ha mantenuto il contratto
Pellaud insieme a Stockli forma il team gravel per la Tudor, con cui ha mantenuto il contratto
A proposito del gravel, come mai quando gareggi offroad cambi divisa?

Io con due contratti. La mia licenza è con la Li Ning, ho però mantenuto anche il contratto con la Tudor relativamente all’offroad, infatti faccio gare di gravel e anche di mtb, infatti la settimana scorsa, prima della corsa di Bingzohu ero negli Usa per una gara.

Ai mondiali di gravel ci sarai?

No, perché il mio obiettivo principale quest’anno è il Life Time Grand Prix, che è una serie di sei gare, le più importanti che ci sono in America, con il gran finale il 18 di ottobre. Nel gravel c’è una forte contrapposizione tra l’UCI e le altre organizzazioni che non gradiscono le regole che la federazione internazionale vuole imporre, poi a me questi mondiali quando si corrono in Europa non piacciono molto, è come correre una classica del nord, ma per quelle c’è già il ciclismo su strada…

Una curiosità per finire: tu che parli tante lingue, col cinese come te la cavi?

No, sono lontano dal dire che posso esprimermi in cinese, ci vorrebbero almeno un paio d’anni per imparare, ormai ho un’età e faccio fatica…

Majka sceglie la famiglia, ma non esclude di tornare (da diesse)

17.09.2025
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Nella sua storia di corridore, Rafal Majka ha corso per tanti capitani, ma tre sopra tutti. Contador, Sagan e Pogacar. Nulla in comune, ride il polacco che a fine anno lascerà il ciclismo, se non la determinazione nel vincere. Per loro a un certo punto ha messo via la voglia d’essere leader ed il suo è diventato il viaggio del più forte gregario del gruppo. Quello che dà la svolta alla corsa e costringe i rivali al fuorigiri. Quello cui un giorno Pogacar ha detto di calare un po’, che bastava anche meno. Tre sono state anche le squadre in cui Majka ha corso a partire dal 2011. La Saxo Bank di Bjarne Riis. La Bora Hansgrohe di Ralf Denk. Il UAE Team Emirates di Mauro Gianetti.

Da oggi, Majka è impegnato nello Skoda Tour de Luxembourg, dopo aver scortato Isaac Del Toro alla raffica di vittorie in Toscana, da Larciano a Peccioli, passando per il Giro della Toscana dedicato ad Alfredo Martini. Lo raggiungiamo prima di cena alla vigilia della corsa, con la curiosità di sapere perché ritirarsi, avendo dimostrato anche quest’anno un livello da assoluto numero uno.

Da oggi Majka è in gara al Tour of Luxembourg, dopo aver aiutato Del Toro in Toscana. Qui a Peccioli
Da oggi Majka è in gara al Tour of Luxembourg, dopo aver aiutato Del Toro in Toscana. Qui a Peccioli
Rafal, come mai?

Ho fatto una bella stagione (sorride, ndr). Anche in Polonia, Austria e le corse successive, sono sempre stato davanti. Però, ti dico la verità, avevo già deciso a gennaio e l’ho comunicato alla squadra. Avevo anche la proposta per l’anno prossimo, perché il grande Mauro (Gianetti, ndr) mi ha detto che il mio posto c’è sempre. La motivazione per andare in bici e allenarmi c’è, però la decisione è arrivata dalla famiglia, dalla voglia stare con i bimbi. Sono 24 anni che sono fuori e non è facile.

Siete stati a lungo separati?

In realtà no. A parte i primi tre anni che ho passato in Italia, poi sono stato in Polonia. Però sempre girando il mondo, più di otto mesi all’anno fuori casa. La routine normale di un corridore. Non sono ancora stanco, però voglio passare un po’ tempo con i bimbi. Vanno a scuola, hanno cinque e nove anni, il tempo passa veloce.

Ti stai abituando all’idea che sono le ultime corse?

Sto veramente bene. Dopo il Giro, abbiamo vinto ancora con Del Toro. Ho fatto il podio al Giro dell’Austria. In Polonia tutti sapevano che avrei smesso e ogni giorno è stato una festa. Poi abbiamo vinto in Toscana e Isaac volava. Adesso sono in Lussemburgo, con una squadra veramente forte. Sono contento di smettere con una squadra che è ancora prima al mondo e che vince tutto.

La UAE Emirates è solo la terza squadra di una carriera molto lunga: come mai hai cambiato così poco?

Sono stato per sei anni alla Saxo Bank che poi è diventata Tinkoff perché stavo bene e avevo sempre la fiducia. Dopo quattro anni sono diventato capitano e potevo anche aiutare Contador. Con la Bora ero un po’ più stressato, perché ero il solo capitano per le corse a tappe e dopo quattro anni ho sentito il bisogno di cambiare. Alla fine è arrivata una squadra, la Uae Emirates, in cui sapevo che c’erano un giovane di nome Pogacar. Pensavo fosse un buon corridore che avrebbe vinto una o due corse, invece mi sono ritrovato a correre con uno che vince tutto e che diventerà una leggenda. Per me è un divertimento correre con il migliore del mondo e migliore della storia. E’ veramente come una famiglia e so che mi mancherà. Perché Gianetti mi ha dato fiducia e come lui anche Matxin. Sono stati davvero cinque anni speciali.

Tre squadre e tre grandi capitani. C’è qualcosa in comune fra Contador, Sagan e Pogacar?

Tutti e tre sono forti con la testa. Impressionante la loro capacità di puntare un obiettivo. Tecnicamente Sagan è diverso dagli altri due, ma quando stava bene, poteva vincere tutto. Tre mondiali di seguito non sono una cosa normale. Anche Alberto è stato un grande campione capace di dichiarare che avrebbe vinto il Giro, il Tour o la Vuelta e poi di vincerli davvero. E poi c’è Tadej, che non dice niente, ma vince tutto. Pogacar parla meno, ma vince tanto.

Era il Giro del 2020, nel giorno di riposo nella cantina di Robert Spinazzè, quando ci dicesti che l’anno dopo saresti andato alla UAE per fare il gregario. Che cosa ti fece scegliere questa strada?

Sapevo che stavano arrivando dei giovani fortissimi. Io avevo ormai trent’anni e capii che sarebbe stato meglio diventare un buon gregario che vincere solo una o due corse all’anno. Perciò decisi di firmare per una squadra come la UAE, pur non sapendo quanto sarebbe diventato forte Pogacar.

Rafal Majka, classe 1989, è passato professionista nel 2011. Ha vinto 3 tappe al Tour (2 volte la maglia a pois), 2 tappe alla Vuelta, il Giro di Polonia
Rafal Majka, classe 1989, è passato professionista nel 2011. Ha vinto 3 tappe al Tour (2 volte la maglia a pois), 2 tappe alla Vuelta, il Giro di Polonia
E’ paragonabile lo stress del leader con quello del gregario?

C’è stress ugualmente, perché per aiutare uno così, devi essere pronto nel momento in cui serve. Però diciamo che lo sopporti meglio, se il capitano può davvero vincere tutto. E’ uno stress diverso, mi viene meglio ed è più facile correre così. Per quello avrei ancora la motivazione di continuare, perché non sono ancora un atleta sfruttato.

Al Giro di quest’anno il meccanismo UAE si è inceppato e Del Toro ha perso la maglia rosa. Che cosa è successo secondo te?

Tutti pensano che possano essere state le gambe o la testa. Io penso a un corridore di 21 anni che ha indosso la maglia rosa fino al penultimo giorno. Ho grande rispetto per Del Toro, come è chiaro che possa essergli mancata un po’ di esperienza. Però è un ragazzo forte, andrà fortissimo ai mondiali e sono certo che nei prossimi anni vincerà anche un Grande Giro.

E a proposito di giovani: che consiglio di senti di dare ad Ayuso che lascerà la squadra?

Di andare forte, andare forte e basta. Allenarsi al 100 per cento e andare forte. Perché anche Ayuso ha un talento che può sfruttare veramente bene, ovunque andrà a correre.

Sestriere, Del Toro ha appena perso la maglia rosa: Majka lo abbraccia, non si può sempre vincere
Sestriere, Del Toro ha appena perso la maglia rosa: Majka lo abbraccia, non si può sempre vincere
Tutto questo ti mancherà?

Mi mancherà tutto. Se fai la stessa cosa da quando sei giovane, è inevitabile che ti manchi quando la interrompi. Però alla fine voglio anche godermi la bici in tranquillità. Non guardare i watt e guardare invece la natura, fare chilometri con uno spirito diverso.

E’ fuori luogo aspettarsi un Majka direttore sportivo?

Volete proprio saperlo? Vi rispondo fra quattro mesi (ride, ndr), perché adesso voglio recuperare bene dopo la stagione. Lasciare tutto per quattro mesi e dopo sicuramente parleremo del futuro in questo sport, perché non voglio abbandonare del tutto un mondo che mi piace così tanto.

I cerotti nasali della Visma: facciamo un po’ di chiarezza…

17.09.2025
4 min
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Alla Vuelta non si è discusso solamente delle proteste popolari contro la presenza della Israel Premier Tech. Né si è pensato solamente a pedalare. Hanno destato scalpore le dichiarazioni di Victor Campenaerts (nella foto di apertura) che per massimizzare i marginal gains, in particolare la respirazione favorita dai cerotti nasali, ha deciso di depilarsi le narici, coinvolgendo anche alcuni compagni di squadra della Visma-Lease a Bike (ma non Vingegaard) e giustificando la sua scelta col fatto che favorendo la respirazione col naso sotto sforzo, si dà al corpo un segnale di rilassamento.

La dichiarazione di Campenaerts a proposito della depilazione interna al naso ha fatto scalpore
La dichiarazione di Campenaerts a proposito della depilazione interna al naso ha fatto scalpore

I pericoli della depilazione del naso

Una scelta sulla quale si è discusso molto con professori di otorinolaringoiatria che hanno sottolineato la pericolosità di queste scelte perché tolgono uno strumento di naturale filtraggio dell’aria, arrivando anche a mettere sotto accusa gli stessi cerotti, da tanti anni di uso comune per chi fa discipline sportive di resistenza.

Per saperne di più ci siamo rivolti a Nino Daniele, medico della Lidl-Trek squadra che utilizza normalmente i cerotti nasali: «Chiariamo innanzitutto che l’utilità dei cerotti è legata a un fatto eminentemente meccanico. Hanno una listarella in plastica all’interno del tessuto e sono adesivi, una volta incollati sul naso all’altezza delle narici, tecnicamente le allargano permettendo l’afflusso di maggiore aria. Questo nel lungo periodo, crea una condizione per cui l’atleta respira meglio e l’effetto è tanto più evidente quando esiste una deviazione del setto oppure comunque un qualche ostacolo all’interno delle cavità nasali».

Gaetano “Nino” Daniele, medico della Lidl-Trek, con un’esperienza quarantennale nel ciclismo
Gaetano “Nino” Daniele, medico della Lidl-Trek, con un’esperienza quarantennale nel ciclismo

L’opera di filtraggio dell’aria

Appare sinceramente difficile pensare a qualche controindicazione, anche perché il loro uso è ormai diffuso già dal secolo scorso: «Credo che i primi cerottini nasali risalgano agli anni Ottanta, in Italia non si trovavano e mi ricordo che eravamo andati a prenderli a Chiasso, ai tempi in cui ero con la nazionale. Stiamo parlando di 40 anni fa, quasi io tutti questi danni onestamente non li ho mai riscontrati».

Come funziona allora il passaggio dell’aria con quello che porta? «Il primo filtro, rispetto alla inalazione di contaminanti, batteri o pollini sono in prima fila i peli che abbiamo all’interno delle narici e poi ci sono i turbinati, cioè c’è tutto un sistema molto più complesso che ha la funzione di ripulire l’aria che entra dal naso».

Giulio Ciccone con il cerotto al naso, per allargare il passaggio dell’aria
Giulio Ciccone con il cerotto al naso, per allargare il passaggio dell’aria

L’azione decisiva dei turbinati

Veniamo quindi al vero nocciolo del discorso e la curiosa scelta di Campenaerts, ma Daniele tende un po’ a “smontare il caso”: «Quel video social l’ho visto anch’io, ma mi sembrava più una cosa scherzosa. Se dobbiamo parlarne seriamente, i peli come detto possono trattenere qualcosa di dimensioni un pochino più ampie, ma se parliamo di microinalanti non sono certamente i peli che interferiscono, sono i turbinati che hanno questa funzione di filtraggio e di regolazione anche in qualche modo della temperatura.

«Ci sono situazioni – prosegue Daniele – in cui magari questi turbinati sono ingrossati per qualche ragione, infiammati e possono invece creare un problema perché a volte sono causa di ostruzione, si fanno anche interventi chirurgici proprio per ridurre le loro dimensioni. Nella mia lunghissima esperienza nel mondo del ciclismo, i risultati sono assolutamente favorevoli a un miglioramento del passaggio dell’aria attraverso vie nasali, alla riduzione di quel senso di ostruzione che molti atleti lamentano, quindi non credo che l’azione di Campenaerts abbia influito più di tanto, né nel bene né nel male».

I cerotti nasali sono ormai di uno comune in moltissimi sport. Qui Alcaraz (foto Getty Images)
I cerotti nasali sono ormai di uno comune in moltissimi sport. Qui Alcaraz (foto Getty Images)

I vari tipi di cerotti

I cerottini sono usati praticamente da tutti nel ciclismo? «Sono in tanti, soprattutto ora che sono usciti in commercio questi cerottini un po’ più ampi, colorati, qualcuno ci si è messo anche a disegnarli e a renderli originali. Prima erano addirittura trasparenti, magari c’erano tanti che li usavano e neanche si vedevano. Da noi diciamo che la metà dei corridori in media li utilizza, ma fanno parte delle abitudini personali, poi magari uno che si sente il naso un po’ chiuso e si mette il cerottino svolta, perché l’effetto è proprio immediato».

Considerando la tua esperienza anche come medico di base, è dallo sport che sono stati poi utilizzati nella vita di tutti i giorni? «Sinceramente non me lo ricordo, so però che hanno benefici limitati. Molti pensano che possano essere utili per curare le apnee notturne, ma non è così. Lì ci sono lavori scientifici che dimostrano come il loro uso non sia tecnicamente sufficiente a dimostrarne l’efficacia, il problema delle apnee notturne va ben oltre le narici, riguarda il palato molle e tutta una serie di altre problematiche che non si risolvono certamente con un cerotto…».

Si va in Rwanda: logistica, hotel, mezzi e costi. Parla Amadio

17.09.2025
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Il primo mondiale africano della storia del ciclismo, un evento che da diverso tempo tiene banco e che ha fatto parlare molto. Sono state tante le incognite legate al mondiale in Rwanda, che inizierà ufficialmente il 21 settembre, ma che occupa la mente delle varie federazioni da mesi. L’Italia ci andrà con le formazioni elite, quindi donne e uomini, al gran completo. Una scelta arrivata nell’ultimo periodo figlia di alcune scelte federali volte a garantire agli atleti la miglior esperienza possibile. 

Staff contato

Si è parlato tanto di costi, sicuramente quello verso Kiigali è un viaggio lungo che mette i vari manager federali davanti a scelte logistiche importanti. L’Italia partirà questa sera con un primo gruppo tra personale e corridori, altri sono già in Africa e hanno sistemato gli ultimi dettagli (tra loro c’è Italo Mambro della FCI, in Rwanda già da ieri con i suoi colleghi per organizzare la logistica, che ci ha fornito le foto di Kigali). Chi si è occupato dei trasporti e della logistica di questo mondiale in Rwanda è Roberto Amadio, team manager della Federciclismo.

«E’ tutto pronto e prima o poi partono tutti – ci racconta Amadio – purtroppo io non sarò parte della spedizione iridata. Sarà un peccato saltare il primo mondiale africano, ma per una questione di costi è stato scelto di gestire alcune cose da casa. Alla fine conta che ci siano i corridori, quindi oltre a me resterà in Europa anche tutto il gruppo della comunicazione».

La prima parte della spedizione iridata, in partenza oggi, comprende anche i mezzi per le cronometro
La prima parte della spedizione iridata, in partenza oggi, comprende anche i mezzi per le cronometro
Una trasferta a ranghi ridotti…

Rispetto al mondiale in Svizzera ci saranno una quarantina di persone in meno e i costi saranno gli stessi. Zurigo aveva prezzi elevati essendo una delle città più care al mondo, mentre per il Rwanda hanno pesato molto gli extra e i voli.

Cosa ha influito maggiormente sulla logistica?

Le bici ovviamente, avremo una novantina di biciclette da far arrivare. In più ci sono altri materiali di ricambio come le ruote e tutta la parte dei prodotti come gel e barrette. Abbiamo suddiviso le partenze in quattro blocchi: oggi in 34 persone tra staff e atleti delle cronometro. Domani (il 18 settembre, ndr) partono altre 18 persone. Il resto del gruppo con gli atleti per le prove su strada arriverà la settimana successiva.

I costi del viaggio sono elevati, tanto hanno influito le spese extra per spedire materiali e prodotti tecnici
I costi del viaggio sono elevati, tanto hanno influito le spese extra per spedire materiali e prodotti tecnici
Andando in aereo non si può spedire tutto.

Abbiamo trovato il giusto equilibrio tra cosa era necessario trasportare e cosa si poteva anche prendere in loco. Ad esempio i lettini per i massaggi li compreremo a Kigali. Ovviamente le bici devono essere spedite e questo è stato un bel grattacapo perché ci siamo dovuti accordare con la compagnia aerea e dividere tutto il materiale su due voli. Per i soli costi extra bagaglio siamo arrivati a spendere 50.000 euro

Borgo ci parlava di uno scalo ad Addis Abeba. 

Sì, perché voliamo con Ethiopian Airlines. Lo scalo era obbligatorio ed era meglio averlo in Africa piuttosto che in Europa. Ci sono dei voli diretti verso Kigali che partono da Bruxelles e Amsterdam, ma la logistica sarebbe stata molto più complicata. 

Gli azzurri dovranno fare a meno di certi comfort, ad esempio il classico pullman non ci sarà
Gli azzurri dovranno fare a meno di certi comfort, ad esempio il classico pullman non ci sarà
Per l’hotel?

C’era stata data una lista di disponibilità, la cosa evidente è che hanno alzato i prezzi. Noi abbiamo scelto autonomamente affidandoci alla nostra referente lì, una ragazza rwandese che ci ha dato una mano. Abbiamo trovato una via di mezzo tra comodità, logistica e servizi, siamo vicini alle partenze delle prove a cronometro e su strada. Ci siamo dovuti arrangiare per quanto riguarda il cibo.

Come mai?

Perché in Rwanda ci sono molte restrizioni doganali sulla merce che può entrare o meno nel Paese. Il nostro cuoco, che è già a Kigali da un paio di giorni, ha già parlato con l’hotel per avere tutto a disposizione, ma ci siamo arrangiati con quello che si può reperire.

L’UCI fornirà alle federazioni le ammiraglie ufficiali
L’UCI fornirà alle federazioni le ammiraglie ufficiali
Ultima cosa, i mezzi?

Le ammiraglie ufficiali con tanto di portabici le fornisce l’UCI. Noi come federazione abbiamo noleggiato una decina di mezzi per gestire al meglio gli spostamenti. Niente pullman, ovviamente. Ci siamo informati per provare a noleggiare un camper visto che il clima in questi giorni era freddo, ma non ce ne sono. I ragazzi si cambieranno nelle auto o nei furgoni, come quando erano under 23 o juniores. Un po’ di spirito di adattamento non fa mai male.

Il Pellizzari scalatore. L’analisi di Pozzovivo e il nodo del fuorisella

16.09.2025
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Siamo ancora con i pensieri alla Vuelta e a quanto il giovane Giulio Pellizzari sia riuscito a farci divertire e sognare. E soprattutto a riaccendere la speranza di rivedere un italiano in lotta per un grande Giro. Ricordiamolo senza fretta… guai mettergli pressione.

Poco importa che sulla Bola del Mundo abbia pagato dazio. E’ arrivato a 6,8 chilometri dalla maglia bianca. E’ a quella distanza infatti che si è staccato da Riccitello e dagli altri. Va detto però che il rivale statunitense ha un anno in più del marchigiano: un’eternità quando si hanno 21 anni. E soprattutto uno era leader, l’altro gregario. Di lusso, ma gregario.

Noi, con l’aiuto del fine occhio di Domenico Pozzovivo, abbiamo analizzato il corridore della Red Bull-Bora in salita. Come si è comportato e sulle varie scalate. Una sorta di “foto” tecnica dello scalatore. Prima però rivediamo le salite di Pellizzari alla Vuelta.

Giro 2024, Monte Grappa scalata durissima ma senza pendenze estreme. Pellizzari va forte, ma sempre seduto. Persino Pogacar si alza sui pedali
Giro 2024, Monte Grappa scalata durissima ma senza pendenze estreme. Pellizzari va forte, ma sempre seduto. Persino Pogacar si alza sui pedali

Scalate veloci, okay

Nei primi due arrivi in salita, Limone Piemonte e Huesca La Magia, due salite molto veloci, specie quella piemontese, Pellizzari non ha avuto problemi. Lì si è andati in grandi gruppi, le velocità sono state prossime e in alcuni casi superiori ai 30 all’ora. Vale la stessa cosa verso il terzo arrivo in quota, Andorra, e il quarto, Valdezcaray.

In quello successivo, El Ferial Larra-Belagua, già più complicato, Giulio ha iniziato a mettersi in evidenza, correndo in appoggio per Jai Hindley. Su questa scalata, con pendenza media del 6,1 per cento, Pellizzari era rimasto con il gruppo dei top rider.

Le cose sono cambiate nel giorno dell’Angliru, ormai al termine della seconda settimana. Sul mostro asturiano Pellizzari a un certo punto ha perso terreno, ma con Hindley saldo al fianco di Almeida e Vingegaard si è gestito alla grandissima. Sull’Angliru Giulio si è messo di “passo” e ha sfruttato al meglio i tratti più pedalabili. Alla fine il margine ceduto a Vingegaard e Almeida era di 1’11”, quasi tutto accumulato nei durissimi tratti al 23 per cento.

Pagava qualcosa, appena 14″, anche il giorno successivo, quando si è mosso per Hindley. Lagos de Somiedo era una scalata simile alle precedenti, poco sopra il 6 per cento di pendenza media.

Pozzovivo ha definito lo stile di Pellizzari in salita (da seduto) di alto livello ormai
Pozzovivo ha definito lo stile di Pellizzari in salita (da seduto) di alto livello ormai

Terza settimana: gambe e testa

Qui ha iniziato a farsi sentire la fatica, nonostante tappe corte e qualche tratto annullato. Va ricordato che Pellizzari era al suo secondo grande Giro stagionale, affrontato per la prima volta in carriera.

Nel giorno di Castro de Herville, dove poi non si arrivò per una protesta pro Palestina, Giulio ha sofferto tantissimo sull’Alto de Prado, salita con lunghi tratti tra il 14 e il 18 per cento. Anche in questo caso però si è gestito bene, tanto che sul falsopiano prima del Gpm riusciva a ricucire il gap.

Infine il capolavoro nel giorno della vittoria. L’Alto de El Morredero è una salita irregolare, la cui pendenza media è ingannevole. Nella porzione centrale, la più dura, Pellizzari si è staccato, ha perso qualcosa, ma di nuovo è riuscito a rientrare di passo. Quando sono iniziati gli scatti, con intelligenza, ne ha piazzato uno in più quando tutti erano in pieno acido lattico. Anche lui. Questa è stata testa, parte determinante per uno scalatore.

Anche il continuo rientrare è un elemento tipico del grimpeur che in salita non molla mai e sa gestire, anzi centellinare lo sforzo grazie ad una particolare sensibilità.

Domenico Pozzovivo (classe 1983) era uno scalatore puro. Stava spesso sui pedali. Oggi è un coach preparatissimo
Domenico Pozzovivo (classe 1983) era uno scalatore puro. Stava spesso sui pedali. Oggi è un coach preparatissimo

Dal professor Pozzovivo

Da quel che si evince, il Pellizzari scalatore fa più fatica sulle salite estreme, cioè con pendenze oltre il 13-14 per cento, dove andare di passo diventa complicato. Perché? Qui interviene Domenico Pozzovivo, che tra l’altro con Pellizzari ha anche corso alla VF Group-Bardiani.

«Sarebbe interessante poter vedere i suoi file – dice Pozzovivo – ma da quel che vedo e ricordo Pellizzari procede sempre seduto e su certe pendenze invece è importante riuscire ad alzarsi sui pedali. Se guardiamo bene lo fa anche Vingegaard e persino un regolarista come Almeida. Pellizzari ha uno stile suo, che in sella gli garantisce un altissimo livello come abbiamo visto in questa Vuelta, ma certo deve imparare a fare più fuorisella. Questo potrebbe essere determinante per Giulio».

Il fuorisella da sempre identifica lo scalatore puro, anche se questa figura sta scomparendo o comunque va trasformandosi. Alla fine i fisici come quello di Pellizzari vanno per la maggiore, magari un filo più bassi ai fini dei grandi Giri.

«Lo stare più fuorisella – riprende Pozzovivo – gli consentirebbe di avere anche un po’ più di strappo, di cambio di ritmo più netto. Prendiamo Isaac Del Toro: i due sono molto simili in salita, entrambi alti ed entrambi procedono tanto seduti, però quando il messicano si alza sui pedali riesce a esprimere più watt. La differenza è tutta lì».

Secondo Pozzovivo, Pellizzari dovrà passare molto tempo in piedi sui pedali per migliorare sulle pendenze elevate (immagine Instagram)
Secondo Pozzovivo, Pellizzari dovrà passare molto tempo in piedi sui pedali per migliorare sulle pendenze elevate (immagine Instagram)

Allenamenti ad hoc

Lo stesso Pellizzari aveva accennato al suo peso in relazione a certe pendenze. Parliamo di un ragazzo alto 183 centimetri per 66 chili, nella norma ma non pochissimi per essere uno scalatore. Pertanto l’altra domanda posta a Pozzovivo è stata: come può fare Giulio per migliorare nel fuorisella e quindi sulle pendenze estreme?

«Ci sono esercizi in palestra – spiega Pozzovivo – alcuni di forza, ma si può intervenire anche sulla posizione in bici, come l’altezza del manubrio o delle leve affinché sia più comodo quando è in piedi. Ma soprattutto, e lo sottolineo, dovrebbe costringere sé stesso a stare il più possibile in questa posizione, specie quando deve fare lavori specifici o intensi. Che poi paradossalmente era il mio problema… ma al contrario! Io ci stavo quasi troppo. Ma serve anche stare fuorisella. Deve abituarsi a esprimere alti wattaggi stando in piedi».

«Riguardo al peso, il grimpeur da 50 chili ormai non esiste più ed è più complicato per questi ragazzi stare tanto in piedi, però Jay Vine, che non pesa certo 50 chili, è la dimostrazione che si può stare tanto fuorisella».

Covi-UAE: sei anni e poi l’addio. L’elenco dei pro e dei contro

16.09.2025
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«Se mi guardo indietro – dice Covi d’un fiato – penso che il programma che mi ha dato Matxin per quest’anno, che prevedeva che avessi il mio spazio per fare punti, sia stato la scelta giusta. Sono in questa squadra dall’inizio della carriera. Prima aveva una mentalità diversa, non si correva sempre con dei leader così forti. Ad esempio al Matteotti mi sono ritrovato in fuga e non mi capitava da due anni. Prima ero il tipo di corridore che andava all’avventura, per cui non mi è dispiaciuto avere questo spazio in più. Però ho 26 anni e vorrei provare a vedere cosa posso fare ancora. Se posso dare qualcosa in più e penso che la Jayco-AlUla sia la squadra migliore per fare questo passo».

Alessandro Covi risponde da casa, dopo una serie di ritiri da mani nei capelli nelle corse italiane di settembre. Il sorriso gli scappa facile, c’è una spiegazione per tutto. Anche perché quelle corse le ha vinte il suo compagno Del Toro, per cui c’è da immaginare che prima di mollare gli sia toccato tirare.

«Ho lavorato per lui – conferma – ma ammetto che non sono neanche al top della condizione. Mi sono sempre messo al servizio della squadra. C’è Isaac che vola, quindi è giusto aiutarlo il più possibile. Ad agosto ho avuto il mio momento di calo, come tutti. Si prende una mezza influenza, un problemino, che poi diventa sempre più grande quando c’è anche la stanchezza. Ho ripreso ad allenarmi bene da un mesetto, così ora do il massimo per aiutare la squadra».

Le ultime corse italiane di Covi, tolto il Matteotti, sono state caratterizzate dai ritiri dopo aver aiutato Del Toro a vincerle tutte
Le ultime corse italiane di Covi, tolto il Matteotti, sono state caratterizzate dai ritiri dopo aver aiutato Del Toro a vincerle tutte
Com’è maturata la decisione di cambiare? Non saresti potuto rimanere?

Inizialmente mi hanno detto di trovare una soluzione, perché io ero in scadenza e c’erano dei giovani da far passare. Poi sono cambiate alcune cose e c’era la possibilità di rimanere, però ormai avevo deciso di cambiare aria per cui ho tenuto la linea di approdare in un altro team.

Sei andato forte a marzo, ti vedremo ancora nel finale di stagione?

Sono caduto alla seconda gara di stagione, a Valencia e ho avuto un edema osseo. Ho saltato febbraio, ma andavo già forte e questo mi ha parecchio infastidito. Quando sono tornato a correre, avevo già una buona condizione e ho cercato di sfruttarla fino all’italiano. Ho vinto due corse e ho fatto due secondi posti. Sono andato forte anche dopo, in Austria, dove quasi ho vinto una tappa. Ma a forza di tirare la corda ho avuto il calo di cui ho già parlato poco fa. Per il finale, spero di tornare al giusto colpo di pedale: se si va forte, lo spazio si trova.

Come sono stati questi sei anni con la UAE Emirates?

Anni importantissimi. Sono stato stagista nel 2018, poi sono passato con loro nel 2020. Ho visto la trasformazione del team e, da due o tre stagioni, non ci sono dubbi che sia la squadra di riferimento a livello mondiale. Averne fatto parte sicuramente mi dà un bagaglio di esperienza e di ricordi che mi rimarranno per sempre.

Esiste davvero l’obiettivo delle 100 vittorie?

Io pensavo che l’obiettivo fosse la numero 86 (una più del Team Columbia-HTC, che nel 2009 raggiunse un totale di 85 successi, ndr), che manca poco. Arrivare a 100 è difficile, 100 è un numero gigantesco. Se si riesce, sarebbe solo una figata. Far parte di questa squadra, che il record si batta oppure no, è comunque un onore. Anche io ho dato anche il mio contributo, perché in almeno 26-27 vittorie , c’ero dentro anche io. Più vittorie si fanno, meglio è.

Ma scusa, torniamo sul tema, perché allora vorresti cambiare area? Cosa hanno visto in te alla Jayco?

Arrivo a 26 anni con il grande bagaglio della UAE Emirates. Sicuramente avrò più spazio in alcune gare, poi ovviamente mi sarà chiesto di supportare i capitani come O’Connor e Matthews. Corridori importanti con cui raggiungere ancora dei successi importanti. E’ un mix in cui troverò probabilmente più spazio anche per me stesso.

Si impara qualcosa lavorando per Pogacar, Ayuso o Del Toro?

Ovviamente impari un po’ da tutti, non solo da Del Toro. Impari dallo stesso Laengen che ha fatto una carriera a tirare, da ciascuno impari qualcosa. Ovviamente Pogacar e Del Toro sono fuoriclasse, per cui puoi imparare, ma quello che fanno loro è unico. Non puoi pensare di rifarlo, perché ognuno è capace di fare la propria cosa e quindi devi cogliere il meglio da tutti. Qualsiasi compagno ha una dote. E rubare qualche consiglio serve sempre per accrescere il bagaglio di esperienza.

Il tricolore avrebbe potuto svoltare la carriera: di certo lo ha fatto per Conca. I due saranno insieme nel 2026
Il tricolore avrebbe potuto svoltare la carriera: di certo lo ha fatto per Conca. I due saranno insieme nel 2026
Se ne va anche Ayuso…

Sono decisioni di Juan e della squadra. Penso che Ayuso sia molto forte, magari non a livello di Pogacar, però è un corridore che può raggiungere grandissimi risultati. Se non era contento di stare qui, allora penso che abbia fatto la scelta giusta per la sua carriera.

A 26 anni e dopo i vari problemi di salute dello scorso anno, sembri diventato molto serio. Esiste ancora il Covi sbarazzino dei bei tempi?

Esiste, diciamo che lo tengo nascosto (ride, ndr). In squadra lo sanno che mi piace scherzare, legare con tutti, creare un bell’ambiente. Sono sempre quello lì, magari si vede un po’ meno, perché uso meno i social, ad esempio.

Come mai?

Si pensa che siano molto importanti, ma alla fine la cosa importante è come stai davvero. Non devi dimostrare niente a nessuno sui social, ma finché sei giovane li segui perché è un mondo tutto nuovo. Alla fine invece capisci che alcune cose sono più importanti e altre meno e io penso che sia più importante la realtà vera di quella sui social.

Correre nel UAE Team Emirates per fare punti e aiutare: anche il 2025 è passato così
Correre nel UAE Team Emirates per fare punti e aiutare: anche il 2025 è passato così
Come le vivrai le ultime corse in Italia?

Cercando di godermi il più possibile questi ultimi momenti con la squadra. Ho legato con tantissime persone che vedrò sempre meno e non passerò più il mio tempo con loro. Sicuramente mi mancheranno tantissimo.

In compenso in questi ultimi due anni ti sarà mancato anche il Giro d’Italia?

Alla fine ne ho fatti due e mezzo, perché nel 2023 mi sono ritirato. Ho vinto una tappa (sul Passo Fedaia nel 2022, ndr), ho fatto altri due podi a Montalcino e sullo Zoncolan, quindi ho bei ricordi. Se pensiamo a come sono arrivati quei risultati, cioè andando all’attacco, ecco spiegata la decisione di cambiare team per ritrovare le sensazioni che avevo nei primi anni da professionista. Una rinascita. Magari sarà come iniziare da capo una nuova avventura.

Borgo: «Per il mondiale in Rwanda ci sono anche io»

16.09.2025
5 min
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Un volo che partirà a mezzanotte del 18 settembre dall’aeroporto di Milano Malpensa e diretto prima ad Addis Abeba, in piena Etiopia, per poi volare su Kigali dopo uno scalo di sette ore. Il viaggio che attende i corridori diretti al primo mondiale africano della storia durerà quasi un giorno intero. Qualche giorno dopo, il 21 settembre, inizieranno le prime gare. A dare il via al mondiale di Rwanda ci saranno le cronometro, come da consuetudine. Per gli under 23 i due nomi segnati sulla lista della prova contro il tempo sono quelli di Lorenzo Mark Finn e Alessandro Borgo (in apertura foto Philippe Pradiert/DirectVelo). 

Alessandro Borgo per rifinire la condizione in vista del mondiale in Rwanda ha scelto di passare una decina di giorni a Livigno
Alessandro Borgo per rifinire la condizione in vista del mondiale in Rwanda ha scelto di passare una decina di giorni a Livigno

Altura e cronometro

Si è dovuto fare i conti con i costi di questa spedizione iridata, quindi i nomi dei cronoman sono rimasti nel taccuino di Marino Amadori, in attesa di essere rispolverati per l’europeo della settimana successiva. Lorenzo Finn e Alessandro Borgo sapranno difendersi nella cronometro di lunedì 22 settembre, anche se il corridore del Bahrain Victorious Development Team non utilizzava la bici con le protesi da tempo. Lo abbiamo intercettato ieri (lunedì) mentre rientrava dal ritiro di Livigno.

«Ero insieme a Pietro Mattio – racconta Alessandro Borgo mentre lo accompagnamo per un pezzo del suo viaggio di rientro – ci siamo allenati bene per una decina di giorni, undici per la precisione. Ho scelto Livigno anche per utilizzare un po’ la bicicletta da cronometro. Non ci pedalavo dal Giro Next Gen, e anche nei mesi prima di quella gara non è che la utilizzassi molto. Ho utilizzato questi giorni per riprenderci la mano e migliorare nella posizione».

La convocazione di Borgo per i mondiali in Rwanda è arriva grazie alle prestazioni al Tour de l’Avenir (foto Aurélien Regnoult/DirectVelo)
La convocazione di Borgo per i mondiali in Rwanda è arriva grazie alle prestazioni al Tour de l’Avenir (foto Aurélien Regnoult/DirectVelo)
Come ti sei diviso tra bici da strada e da crono?

Qui in altura ho fatto qualche ora di allenamento in più rispetto al solito, soprattutto nei primi giorni. La mattina uscivo con la bicicletta da strada per fare salite e ritmo, una volta rientrati verso casa facevo cambio bici e pedalavo con quella da cronometro. 

Com’è stato riprenderci la mano?

E’ andata bene. Peccato che ho scoperto di fare anche la cronometro non molto tempo fa, mi sarebbe piaciuto provare a fare qualcosa di buono. Il percorso è adatto alle mie caratteristiche, anche perché non è totalmente piatto. 

Borgo a Capodarco con la maglia tricolore under 23 conquistata a Boario Terme a fine giugno (photors.it)
Borgo a Capodarco con la maglia tricolore under 23 conquistata a Boario Terme a fine giugno (photors.it)
Amadori ha detto che la convocazione al mondiale te la sei guadagnata grazie a un ottimo Tour de l’Avenir…

Ci speravo, era un obiettivo. Ad essere sincero è da un anno che ci penso al mondiale in Rwanda, da quando ho visto il percorso della prova in linea. Ho subito pensato potesse essere adatto a me. E’ selettivo con 3.300 metri di dislivello e molto esplosivo, con questa salita da un chilometro e mezzo da ripetere tante volte. Ne ho parlato fin da inizio stagione con il mio preparatore, Alessio Mattiussi, secondo cui il percorso è al limite per me, perché è molto duro. 

Conoscendovi lo avrà fatto per farti tirare fuori il 110 per cento…

Probabilmente sì (ride, ndr). Con lui ho un bel rapporto e la battuta ci sta sempre, ora gli ho dimostrato che avevo ragione. 

Mondiale guadagnato grazie alle prestazioni in salita?

Sapevo di poter arrivare all’Avenir con le carte in regola, infatti ho fatto registrare dei numeri incredibili sulle salite lunghe. Nella tappa regina sono riuscito a scollinare con i primi. L’unico rammarico è non aver vinto una tappa, era il mio obiettivo dall’inizio. Peccato, ma sono tornato a casa consapevole di stare bene. 

Borgo e il suo coach Mattiussi (a destra) lavorano insieme da due anni
Borgo e il suo coach Mattiussi (a destra) lavorano insieme da due anni
Per la gara in linea ci sei anche tu?

Non metto il numero sulla schiena per correre, ma per vincere, sempre. Con Amadori non abbiamo ancora parlato di strategie, ma la squadra è forte. C’è Finn che è uno degli scalatori più forti della categoria, saremo parecchio controllati. 

Come giudichi la tua seconda stagione tra gli under 23?

Sono soddisfatto, ho fatto degli enormi passi in avanti. Arrivavo alla Gent U23 dopo il quinto posto dello scorso anno e pensavo che sarebbe stato bello ripetersi, sono riuscito a vincere. Mi sono riconfermato con la vittoria del campionato italiano, e ho dimostrato di poter correre ad alti livelli. Ho solo due rammarichi.

Sui 53 giorni di corsa messi insieme in questa stagione Borgo ha corso per 13 volte con i pro’, qui al Tour de Wallonie
Sui 53 giorni di corsa messi insieme in questa stagione Borgo ha corso per 13 volte con i pro’, qui al Tour de Wallonie
Quali?

Il secondo posto di tappa al Giro Next Gen e non aver vinto una tappa all’Avenir. Ma va bene così, d’altronde non aver vinto al Giro mi ha messo la giusta fame per conquistare il tricolore. Chissà se il mancato successo all’Avenir mi dia la giusta spinta per la prossima corsa. 

E il prossimo anno?

Mi ero detto, dopo la prima stagione, che mi sarebbe piaciuto fare un altro anno tra gli under per confermarmi e poi passare nel WorldTour. Ne ho parlato anche con la squadra e siamo tutti della stessa idea, prima di pensarci però è meglio godersi le ultime gare.