Quest’anno Nino Daniele, medico della Trek–Segafredo, non è al Giro, lasciando spazio a un suo collega, ma presto tornerà in carovana, magari per il Tour. Da tanti anni ormai è chiamato a girare il mondo al seguito delle squadre ciclistiche e nel corso della sua carriera ne ha viste davvero di tutti i colori.
Daniele soprattutto conosce bene quale sia la vita del medico al Giro: «C’è da lavorare tutti i giorni h24, è una faticaccia vera perché sai di avere una grande responsabilità: molti pensano che dobbiamo seguire solo gli 8 corridori ma non è così, un team al Giro è un gruppo composito, che vanta almeno 30 persone e tutti si rivolgono a te per qualsiasi problema, non ci sono solo gli eventuali incidenti…».
Il medico è chiamato a gestire il lavoro di massaggiatori, osteopati e delle altre figure?
La loro routine è già stabilita in precedenza e sanno bene quel che devono fare. E’ chiaro che per qualsiasi necessità dobbiamo essere pronti, anche solo per un consulto, per coordinare tutti gli interventi.
Qual è stato il Giro più difficile che hai affrontato?
Difficile dirlo perché ogni edizione ha avuto le sue peculiarità, ogni giornata può riservare belle o brutte sorprese. Pensandoci mi viene in mente l’edizione del 2005: eravamo alla Discovery Channel con Savoldelli capitano, che poi vinse, ma non parlava inglese. Quindi feci tutto il Giro sull’ammiraglia a fare da interprete. Lavorai più da traduttore che da medico…
Le condizioni peggiori nelle quali hai lavorato?
Ricordo un anno che ci fu pioggia e cattivo tempo per quasi tutta la corsa e col passare dei giorni insorsero malattie respiratorie nei corridori. Con il clima freddo che si prolunga per più giornate, c’è il rischio che si ammali qualcuno e diventa difficile andare avanti. Eppure sapendo gestire la situazione riuscimmo ad evitare l’insorgere di bronchiti. Non dimentichiamo che siamo in presenza di ragazzi giovani, sani.
Il timore maggiore?
Risposta semplice: le cadute. Siamo in ansia tutti i giorni che succeda l’imponderabile, basta un nonnulla e possono accadere guai seri, anche gravissimi. Quando Weylandt è caduto io c’ero, il primo corridore a seguirlo era uno della mia squadra, sarebbe bastato un attimo e il destino avrebbe potuto colpire lui. Infatti fu subito sentito come testimone e ricordo che dovetti scrivere la sua testimonianza sul mio Pc. Oppure una vicenda ben più recente, la rovinosa caduta di Jakobsen in Polonia, uno dei 7 che lo seguivano era della Trek. Le cadute sono la cosa peggiore che possa avvenire, ogni volta abbiamo un sussulto al cuore.