LECCO – Il ciclismo come lo viviamo oggi è sempre più veloce, ma è bello ed emoziona. Ci vuole equilibrio nel fare le cose e capire cosa ti chiede il tuo fisico. Abbiamo incontrato Simon Pellaud nella giornata che ha anticipato Il Lombardia, di ritorno dalla Malesia e pronto gettarsi nella mischia dell’ultima classica di stagione.
Con lui abbiamo affrontato il tema di questo ciclismo moderno, che è cambiato tanto e che evolve senza soluzione di continuità. Ritagliarsi un ruolo e capire cosa fare al momento opportuno, aspetti importanti per stare bene ed avere una carriera longeva.
In questi anni il ciclismo è cambiato?
Tantissimo. Il ciclismo è cambiato parecchio, nei materiali per via di una ricerca estrema, spesso anche noi atleti siamo coinvolti nello sviluppo delle nuove bici, ma anche da parte degli stessi corridori, soprattutto quelli più giovani. Ma sono cambiate anche le tattiche di gara, soprattutto nelle corse di un giorno. Prima era difficile trovare un corridore in fuga con la maglia di un team top level, ora invece è la normalità.
Sono i motivi principali delle medie orarie sempre più elevate?
Sicuro, perché tutte le squadre vogliono piazzare un uomo nel gruppo di testa ed il contachilometri va sempre più su. Ma al tempo stesso ogni gara è diventata come una lavatrice che gira fortissimo ed inevitabilmente, ad un certo punto ti sbatte fuori.
Un modo di evitare lo scontro direttO con i grandi protagonisti?
Penso che è un modo per farsi vedere e far vedere la maglia, come è sempre accaduto, ma si, è un modo che permette di azzardare qualcosa, aggirando lo scontro diretto. Avere a che fare con Roglic, Pogacar e altri di questo calibro, non è facile.
Hai 31 anni, ti senti vecchio?
Non mi sento vecchio, perché mi sento ancora capace e ho voglia di fare fatica. In alcuni momenti capisco il valore aggiunto dell’esperienza degli anni vissuti ed è un boost importante che mi aiuta ad andare avanti con serenità.
Questione di equilibrio?
Si, in un certo senso è così, è anche una questione di equilibri e capire fino a dove posso arrivare. Mi sono reso conto che non ho i numeri da extraterrestre di alcuni fenomeni di oggi, ma riesco a fare delle buone performance protratte nel tempo. Sono uno di quei corridori che vanno bene un po’ ovunque. Per la tipologia di atleta che sono le opportunità di vittoria, oggi come oggi, si riducono, ma è ancora possibile mettersi in mostra.
Capire quando è il momento giusto per la fuga?
Il momento giusto per la fuga e farsi vedere, il momento giusto per dare una tirata in testa al gruppo e lavorare per i compagni, o magari allungare in discesa. Il momento giusto per stare al coperto e vedere cosa succede davanti.
Ti piacerebbe tornare a fare le tue cavalcate al Giro, davanti a tutti?
Di sicuro se il prossimo anno farò il Giro d’Italia, mi vedrete la davanti. Sono cosciente che non potrò fare gli stessi numeri di quando ero alla Androni, come dicevo il ciclismo è cambiato e cambierà molto, ma andare all’attacco è qualcosa che mi appartiene.
Quanti giorni di gara hai nelle gambe?
Considera che noi come Tudor non abbiamo fatto i grandi Giri. Io sono il corridore che ha corso di più e chiuderò il 2023 con più di 70 giorni di gara, che è molto. Mi piace allenarmi, ma sono un corridore e mi piace di più competere. Io dico sempre ai miei direttori sportivi, se sto bene voglio correre e posso aiutare gli altri.
Come gestirai il riposo in vista del prossimo anno?
Di solito faccio un mese, ma non mi piace staccare completamente, preferisco rimanere attivo. Se faccio tre giorni consecutivi di spiaggia e senza fare nulla, divento matto. Esco in bici molto tranquillamente, senza watt e magari solo per prendere un caffè, qualche volta con la mtb in mezzo alla natura. Vado a camminare, l’importante è rimanere con la testa libera. Con tutta probabilità questo inverno rimarrò in Europa con mia moglie, negli ultimi anni ci spostavamo in Colombia.