Viviani ha ancora fame: prima di Parigi, vuole il Giro

27.09.2023
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La vittoria è tornata un anno dopo. L’ultima volta per Elia Viviani era stata ugualmente alla CRO Race, sul traguardo di Zagabria nel 2022. Nel mezzo, una stagione da 55 giorni di corsa (più la pista), che hanno dipinto del veronese un ritratto di luci e ombre, a metà fra l’ambizione che resta alta e la necessità di incastrarsi in un programma che non sempre ha avuto la forma da lui desiderata.

Il 7 febbraio, le candeline sulla torta sono state 34 e per la prima volta Viviani ha festeggiato il compleanno da uomo sposato. Tutto nella sua storia di uomo e di atleta fa pensare a una dimensione ormai stabile, con il prossimo obiettivo olimpico al centro di una carriera che di medaglie olimpiche ne ha già due, accanto alle 88 vittorie su strada. Eppure la sensazione è che nei suoi occhi ci sia ancora l’inquietudine di chi ha altro da dimostrare.

Ieri a Sinj, prima tappa della CRO Race, Viviani ha vinto la prima del 2023. Non esultava dalla CRO Race 2022
Ieri alla CRO Race, Viviani ha vinto la prima del 2023. Non esultava dalla stessa corsa del 2022
Partiamo da ieri, che effetto fa vincere dopo un anno di digiuno? 

Quando vinci a settembre, un po’ di paura di passare l’anno a digiuno ti viene. Sapevo che era un buon periodo, perché guardando indietro dopo qualche anno sono tornato competitivo ad Amburgo e Plouay. Insomma, erano segnali sul fatto di essere in condizione e competitivo con gli altri. Questo era già un bel punto per me, con il programma di fine stagione che potrebbe permettermi di risollevare il bilancio. Adesso c’è il Croazia e mi hanno aggiunto il Gree-Tour of Guanxi, in Cina, perché evidentemente la squadra vede delle possibilità per me.

Neppure quest’anno hai corso un grande Giro: in qualche misura questo ha inciso sulle prestazioni e sui risultati?

Sono due anni che non ne faccio, un po’ conta. Al Giro, Cavendish ha dimostrato di aver saputo vincere una tappa e per giunta quella di Roma. Saltare una grande corsa a tappe ti fa mancare qualcosa a livello fisico, ma ti toglie anche delle belle occasioni, che i corridori con qualche anno di corsa nelle gambe riescono a cogliere. Le cose sono due. Può esserci un dominatore e allora le vince tutte lui. Oppure c’è il momento in cui le volate non sono più così caotiche e i corridoi che le fanno sono quei 4-5 che sono arrivati in fondo e quelle diventano occasioni per centrare vittorie prestigiose.

Ai mondiali hai detto di voler fare più corse in pista. Questo significa che nel 2024 la strada sarà in secondo piano?

Il punto di quello che ho detto al mondiale riguardava il fatto tattico. Mi sono reso conto che faccio tanti errori nelle prove di gruppo. E’ vero che con le gambe puoi raddrizzare un buon omnium nella corsa a punti finale. Però è vero che se lasci troppi punti per strada, puoi lottare per una medaglia arrivando da dietro. Oppure, come è successo a me quest’anno, magari non la prendi. Quindi non si tratta di un fatto di preparazione, perché ormai abbiamo un buon sistema per arrivare pronti alle gare. Invece devo correre per leggere meglio i movimenti, gli attacchi, questi aspetti qua.

Glasgow, mondiali pista. Viviani si avvia al bronzo dell’eliminazione: la bici gliela porta Bettiol
Glasgow, mondiali pista. Viviani si avvia al bronzo dell’eliminazione: la bici gliela porta Bettiol
Andranno bene le Sei Giorni?

No, in realtà. Le Sei Giorni danno la gamba, ma si fanno prove diverse. Devo correre degli omnium, per cui stiamo guardando qualche gara di Classe 1, come quella di Grenchen a dicembre. E poi probabilmente nell’anno olimpico, per me sarà meglio fare tutte le Coppe del mondo e le gare di livello per arrivare bene a Parigi. L’obiettivo è arrivare pronto per la stagione su strada e quella su pista, fra marzo e aprile.

Ti aspetta un inverno molto intenso?

Finendo tardi e con la previsione di cominciare presto, l’inverno passa veloce. Torno dalla Cina il 18 ottobre. Probabilmente ridurrò lo stacco, perché ho visto che con gli anni le quattro settimane cominciano a essere troppe da ricostruire. Per cui ne farò due senza far niente, ma già nella terza qualcosina riprenderò. Quindi sarà un inverno corto, mettiamola così.

Sfogliando l’album delle tue foto, ultimamente sono più quelle in maglia azzurra che in maglia Ineos: come mai?

La verità è che anche agli europei, c’è stato un gruppo che ha girato bene. Tra le nazionali di pista e strada riesco sempre a dare qualcosa in più, a trovare me stesso. Qualcuno dice anche che essere andato all’europeo mi ha permesso di vincere subito qua al Croazia. Forse è vero. Vestire la maglia azzurra è speciale e quando non si portano risultati, anche se hai corso bene come domenica, ci rimaniamo male anche noi. La maglia azzurra è sempre stata qualcosa di speciale per me, una seconda squadra. Quando ho bisogno di correre, come è successo al Matteotti, so che posso chiamare e loro sono pronti. Questo per me è una certezza.

Agli europei di Drenthe, per spiegazione di Bennati, Viviani ha corso come riferimento per Ganna
Agli europei di Drenthe, per spiegazione di Bennati, Viviani ha corso come riferimento per Ganna
Sei stato con Villa l’artefice del rilancio della pista, sei andato agli europei per supportare Ganna. ti senti un po’ il… papà del gruppo azzurro?

Un po’ sì. Ho visto ragazzi con cui durante la stagione non ho tanto a che fare, come Mozzato e Sobrero, che apprezzavano che io fossi lì. Abbiamo parlato tanto: della stagione, di qualche gara, di diversi aspetti. Non solo Pippo, che è come un fratello, ma anche gli altri. Mi ha fatto piacere vedere che erano contenti, che in quei tre giorni di ritiro hanno cercato di prendere qualcosa da me. E’ bello essere un punto di riferimento, far capire cosa vuol dire vestire la maglia azzurra ed essere tutti per uno. Perché comunque per essere convocato fai dei risultati, quindi è normale che l’ambizione personale ce l’abbiamo tutti. Eppure in quei giorni tutti devono essere a disposizione di uno o due. Ovvio che non sia facile, quindi è una cosa che mi rende orgoglioso.

I giovani ascoltano?

Non sono così rari quelli che lo fanno, ma non sono neanche tanti. Alcuni arrivano e sono loro a spiegarti come vanno le cose. Non ricevono molto, forse non gli interessa. Invece ci sono delle eccezioni e mi fa piacere vederle anche in squadra. Tarling ad esempio è uno di quelli curiosi, vuole imparare, è un bambinone. Ad altri non interessa.

Hai parlato delle tue ambizioni. Dopo gli anni d’oro alla Quick Step alla Cofidis non ha funzionato e sembra che tu le abbia riposte da qualche parte. Non vorresti più un Morkov a tirarti le volate?

Ho provato a prendere Morkov fino a pochi giorni fa, l’ambizione c’è assolutamente. La questione è che è tutta una catena. Vincere fa ritrovare confidenza a me, ma fa anche capire al team e ai corridori che sono con me che valgo ancora un aiuto. Vincere significa che so ancora fare il mio e questo porta ad aumentare gli obiettivi. Se il prossimo anno parto dall’Australia, dalla corsa di Cadel Evans che per me è sempre stata una bella gara, potrei già avere un cerchiolino rosso a inizio stagione. E da lì, è tutta una catena che ti porta a puntare più in alto. Come Amburgo…

Sui social, Viviani ha commentato il tanto tempo dall’ultima vittoria. Intanto è salito a quota 88
Sui social, Viviani ha commentato il tanto tempo dall’ultima vittoria. Intanto è salito a quota 88
Non ti ha stupito?

Per tanti è stata una sorpresa, ma non per me. Per me Amburgo era un obiettivo, così pure Plouay, che mi sono sempre piaciute. Plouay era un po’ proibitiva con 4.000 metri di dislivello, eppure sono arrivato nei dieci. E’ stato un segnale. Quindi le ambizioni ci sono e sono alte. Devo essere sicuro di avere un buon programma. Vorrei assolutamente essere al Giro d’Italia, per me è importante anche per Parigi. Prima delle Olimpiadi ho sempre fatto il Giro e so che è qualcosa in più a livello fisico. Ma non lo farei solo per Parigi, ma anche perché mi manca correre una corsa a tappe di tre settimane, sia fisicamente che come ambizione. Vincere al Giro sarebbe qualcosa di più speciale ancora.

Forse in questa nuova Ineos, che non si capisce quale mercato stia facendo, potrebbero aprirsi un po’ di spazi anche per il velocista al Giro, no?

Sicuramente la Ineos Grenadiers è in un momento di costruzione e il lavoro è incentrato sul cercare l’uomo che vince il Tour. L’obiettivo rimane quello di qualche anno fa, quindi andare al Tour con i migliori e provare a vincere. Riuscirci è una questione abbastanza complicata, per cui se si decide di andare in Francia con tutti i più forti, al Giro più che alla Vuelta ci sarà spazio per il velocista. In Spagna si va con il pieno di scalatori per correre ai ripari. Sì, sono convinto, il Giro per me sarebbe l’opportunità migliore.

Amadori tra l’europeo amaro e le prospettive per il 2024

27.09.2023
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L’europeo di Drenthe è ormai alle spalle, ma la rassegna continentale spostata a fine settembre ha dimostrato una volta di più come il calendario internazionale sia davvero lunghissimo, forse troppo. Un concetto che viene spesso ripetuto per le ragazze, ma se guardiamo a quanto avviene per i giovani, lo stridere è ancora più forte, basti pensare agli junior che abbinano l’attività su strada a quella su pista.

Il problema è emerso ad esempio guardando la prova degli under 23: era evidente nel finale come gli azzurri (ma anche altre squadre hanno evidenziato lo stesso problema) fossero con le energie ridotte al lumicino e anzi aver piazzato due elementi nei primi 10 (7° Busatto, 9° De Pretto) è già motivo per sorridere. Il cittì Amadori nel suo bilancio parte proprio da questa considerazione, fattagli presente da molti addetti ai lavori subito dopo la conclusione della gara olandese.

Per Marino Amadori una stagione positiva, con la perla della vittoria nella Nations Cup
Per Marino Amadori una stagione positiva, con la perla della vittoria nella Nations Cup

«Le corse sono tante – spiega Amadori – soprattutto abbinando il calendario nazionale a quello internazionale. I ragazzi assommano numeri di giornate di corsa che non hanno nulla da invidiare ai professionisti. La differenza la fa la programmazione: noi abbiamo cercato di lavorare in tal senso, senza così invadere il campo ai team. Nel complesso ha funzionato, poi non tutto può andare perfettamente».

Le gare internazionali dimostrano che c’è ormai un plurilivello nella categoria, con chi è nei team Devo che ha un motore diverso dagli altri.

Vero, ma secondo me la differenziazione è ancora maggiore, perché chi corre più spesso fra i professionisti è ancora più avvantaggiato. Noi come nazionale, con il fondamentale ausilio della Federazione, abbiamo cercato di colmare questo gap il più possibile, ma il nostro impegno non basta. Busatto, tanto per fare un esempio, prima dell’europeo ha fatto ben 6 gare in 8 giorni, tra Francia e Italia, è chiaro che alla lunga il serbatoio di energie si è svuotato.

Per Busatto, qui al Trofeo Matteotti, un surplus di gare che ha pesato sulla prova continentale
Per Busatto, qui al Trofeo Matteotti, un surplus di gare che ha pesato sulla prova continentale
Secondo te quindi c’è un diverso livello anche fra chi fa attività internazionale?

Sicuramente. Chi è arrivato secondo all’europeo di categoria, lo spagnolo Ivan Romeo è a tutti gli effetti un corridore della Movistar, che ha fatto tutta la stagione nelle gare professionistiche, dal Fiandre alla Roubaix, dal Romandia alla Clasica di San Sebastian. E come lui altri, non dimentichiamo poi che nella gara elite terzo e quarto (l’olandese Kooij e il belga De Lie, ndr) avrebbero potuto per età competere nella categoria inferiore.

Questo cosa significa?

Che i regolamenti dell’Uci hanno determinato degli scalini nella stessa categoria che fanno confusione e non ci dovrebbero essere. Una volta c’era un vincolo: se fai gare WorldTour non puoi competere nelle prove di categoria, titolate o meno. Ora questa differenza non c’è più e gli atleti scelgono dove partecipare, ma questo non è un bene.

Il gruppo azzurro a Hoogeveen. Il cittì azzurro ha rilevato qualche errore di strategia
Il gruppo azzurro a Hoogeveen. Il cittì azzurro ha rilevato qualche errore di strategia
Dopo l’europeo che bilancio trai dalla stagione?

C’è stato un innalzamento del nostro livello, questo è indubbio e il fatto di aver vinto la Nations Cup davanti alla Francia lo dimostra. Noi abbiamo fatto un’attenta programmazione per preparare gli eventi dell’estate, programmando tre settimane di altura, lavorando con molto profitto al Tour de l’Avenir con il podio di Piganzoli e Pellizzari, i mondiali del trionfo di Milesi nella cronometro e la sua bellissima prestazione anche in linea. L’amaro in bocca mi è rimasto solo per l’europeo.

Perché?

Direi che qualche errore nella condotta tattica della corsa c’è stato, ma anche quello è dettato proprio dalla stanchezza, fisica e forse ancor di più mentale. Ma un episodio ci può anche stare, non inficia una stagione che è stata davvero buona.

Un buon 9° posto finale per Davide De Pretto, anche lui ha pagato la lunghezza della stagione

Un buon 9° posto finale per Davide De Pretto, anche lui ha pagato la lunghezza della stagione
Come interpreti il fatto che sempre più ragazzi approdano nei team Devo?

Significa che in Italia si lavora ancora bene alla base, ma mancano passaggi fondamentali. Per i ragazzi, tanti che hanno fatto questo salto non solo ciclistico ma di vita e cultura, quello è il riferimento, la possibilità di correre al fianco dei professionisti, avere una preparazione come la loro, acquisire quella mentalità. Sono tutti strumenti decisivi per avere un futuro. Il livello si è alzato, resta solo quel problema di cui accennavo prima, un mischiume regolamentare del quale i ragazzi pagano poi il prezzo.

Molti ora faranno il salto, non solo in base all’età ma anche alle scelte approdando direttamente fra i “grandi”. Molti però arrivano anche dagli juniores…

Infatti in questi giorni sto continuando a girare, per assistere ad alcune classiche come Ruota d’Oro, Piccolo Lombardia, Trofeo San Daniele. Voglio parlare con le società e vedere i ragazzi più interessanti con i miei stessi occhi, in modo da fare una prima rosa di elementi sui quali contare per il prossimo anno, per inserirli in un contesto adeguato, considerando, come giustamente si diceva, che alcuni faranno già il salto fra i pro. L’importante è comunque avere un ampio spettro di corridori per programmare la stagione 2024 e continuare in questo cammino di crescita.

Qual è la vera dimensione di Hirschi? Risponde Marcato

27.09.2023
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Marc Hirschi è tra i plurivittoriosi dell’anno. Lo svizzero della UAE Emirates si sta rendendo autore di una stagione a dir poco positiva. Non ultimi i successi alla Coppa Sabatini e al Giro del Lussemburgo. Tuttavia nelle grandi corse non riesce a primeggiare. Il suo ultimo successo nel WorldTour risale al 2020, una tappa del Tour de France.

E dire che Marc era arrivato a giocarsi i mondiali. Ha vinto anche una Freccia Vallone. Come da nostra abitudine, per saperne di più abbiamo coinvolto Marco Marcato, direttore sportivo della squadra araba, che lo ha diretto anche nella breve corsa a tappe lussemburghese.

Marco Marcato (classe 1984) è uno dei direttori sportivi della UAE Emirates
Marco Marcato (classe 1984) è uno dei direttori sportivi della UAE Emirates
Marco, partiamo da questo 2023 di Hirschi…

Direi una stagione positiva. E’ un po’ tutto l’anno che ogni corsa che fa parte per vincere. E ci riesce o ci va vicino, come un cecchino. Nelle gare dove ha la possibilità di fare la corsa, difficilmente sbaglia.

E’ il miglior Hirschi?

Lo abbiamo gestito bene, mi sento di dire. E’ questa la strada per il miglior Hirschi. Lo scorso anno aveva subito questo intervento all’anca nella prima parte di stagione. Era rientrato alla Per Sempre Alfredo e l’aveva vinta. Però nelle corse WorldTour faceva più fatica.

Ora va meglio?

Sì, ora va meglio. Lo scorso anno fu convocato all’ultimo minuto per il Tour, in sostituzione di Trentin e non ci arrivò bene. Soffrì. Non era in condizione e quel Tour non gli ha permesso di esprimersi al top nel finale di stagione, nonostante abbia poi vinto l’ultima corsa dell’anno, la Veneto Classic. Ha dimostrato il suo valore nelle corse di un giorno e anche nelle brevi corse a tappe. E i risultati si vedono: sette vittorie solo quest’anno.

Vi aspettavate questa vittoria in Lussemburgo?

Hirschi aveva corso tanto e qualche dubbio ce l’avevamo anche noi. Sapete, a questi livelli quando sei un po’ stanco, una settimana voli, quella dopo non sei più brillantissimo. Lui invece ha colto il risultato pieno.

Marc Hirschi (classe 1998) ha vinto il Giro di Lussemburgo, seconda corsa a tappe della sua carriera dopo l’Ungheria di questa estate
Marc Hirschi (classe 1998) ha vinto il Giro di Lussemburgo, seconda corsa a tappe della sua carriera dopo l’Ungheria di questa estate
Lussemburgo, Peccioli, Appennino… ma è questa la dimensione di Hirschi?

Marc, come ho detto, è arrivato da noi con questo problema all’anca che si portava dietro da un po’. E in tutta la passata stagione piano, piano è tornato ai suoi livelli. Quest’anno c’è stata una conferma. Un miglioramento. E’ un corridore di primo piano.

Ci rendiamo conto che ci sono anche tanti campioni in UAE, questo gli complica le cose?

Logico che considerando i campioni che abbiamo, se lo porti a un Tour de France difficilmente troverà lo spazio per vincere una tappa o per fare la sua corsa. Ad un vincente come Marc devi dare le sue opportunità. Altrimenti lo perdi. E il corridore perde il suo istinto. Guardando all’anno prossimo, l’idea era di fargli fare queste gare che ha fatto, prendere sicurezza. E credo ne sia soddisfatto.

Letta in quest’ottica non fargli fare il grande Giro è stata una tutela nei suoi confronti dunque?

Noi abbiamo tanti campioni e dovevamo trovare appunto il modo di tutelarlo e al tempo stesso di dargli le sue possibilità ed essere protagonista. Il calendario internazionale non è fatto solo di Grand Tour ma di tante corse e questo ha consentito a Marc e alla squadra di raccogliere tanti punti. Quindi direi di sì: l’assenza di un GT lo ha tutelato.

Un calendario ad hoc dunque, basato su corse “minori”. Lui lo ha accettato?

Sì, sì…ha appoggiato la nostra scelta lo scorso inverno. Marc è un ragazzo intelligente. E’ consapevole e ha sposato questa linea. Una linea che ha dato ragione a tutti: sette vittorie, tra cui il titolo nazionale, e una classifica UCI che lo vede tra i top corridori al mondo.

Grande classe e potenza per lo svizzero
Grande classe e potenza per lo svizzero
Un Hirschi che torna Hirschi fa sì che vi ritroviate un altro capitano per le classiche del Nord?

Assolutamente sì, Marc va bene in quelle gare, soprattutto per quelle delle Ardenne. Può essere una seconda punta di tutto rispetto.

E per un Fiandre?

Lui è leggero, corre bene ma dipende dalla corsa che viene fuori. Meglio su percorsi come Amstel, Freccia e Liegi… il Fiandre sarebbe più un rischio mettiamola così.

Qual è l’obiettivo da qui a fine stagione per Hirschi? Ha molte gare in programma…

La sua voglia di correre è alta. Ed è alta proprio perché è motivato. A fine stagione il 50 per cento del gruppo non ha più voglia, tra chi guarda già alla stagione successiva e chi è davvero stanco, pertanto spesso è la motivazione a fare la differenza. Marc ha vinto, il suo morale è alto e ci sono parecchie corse adatte a lui.

Quindi si punta anche al Lombardia? Tanto più quest’anno che il finale non è durissimo e lui è veloce?

Non è certa la sua partecipazione, però è un tracciato che gli si addice. Di contro il tanto dislivello e le salite lunghe potrebbero svantaggiarlo, specie guardando la starting list. Ci sono tanti scalatori di primo ordine che potrebbero avere qualcosa in più di lui.

Alla Coppa Sabatini, da lui vinta, grande feeling con Pogacar
Alla Coppa Sabatini, da lui vinta, grande feeling con Pogacar
Ma lui lo vorrebbe fare questo Lombardia?

Conosce i suoi limiti, i suoi valori e dove può arrivare. Sa che per un Lombardia è al limite. Stiamo valutando la formazione, cosa che a fine stagione non è mai facile: bisogna fare la conta delle energie. Se dovessimo portare anche Adam Yates, allora potremmo dare la priorità ad un altro corridore che lavori per Tadej e Adam.

A proposito di Tadej, a Peccioli abbiamo visto un buon feeling con Pogacar, che tipo è Hirschi con i compagni?

Va d’accordo con tutti. E’ ben voluto e sa stare in gruppo. Ride e scherza. Da fuori può sembrare di poche parole, ma a tavola la battuta non gli manca. E’ un uomo squadra.

Alla Vuelta sboccia Groves che un po’ ricorda Greipel

26.09.2023
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Con tre tappe vinte alla Vuelta e in precedenza quella di Salerno al Giro d’Italia, Kaden Groves è stato la rivelazione dei velocisti del 2023 o quantomeno una delle voci emergenti cui prestare più attenzione. Quello che sembra interessante (e che la corsa spagnola ha amplificato) è stata la sua tenuta sui percorsi più duri. Siamo certi, si sono chiesti alla Alpecin-Deceuninck, che questo australiano sia soltanto uno sprinter?

«Non ho ancora capito del tutto che tipo di corridore sono. I miei migliori risultati arrivano dagli sprint di gruppo dopo tappe difficili e collinari, quindi mi considero un velocista che può sopravvivere a un certo tipo di salite».

A Burriana, Groves vince la sua seconda tappe della Vuelta: batte Ganna
A Burriana, Groves vince la sua seconda tappe della Vuelta: batte Ganna

Velocista atipico

Queste parole profetiche, Groves le pronunciò nel 2019 alla fine del suo percorso fra gli under 23, dopo aver fatto tappa nella Seg Academy Racing e da lì aver spiccato il volo verso il WorldTour con la maglia della Mitchelton-Scott. «Non c’è dubbio – ricorda oggi – che il 2019 sia stato un punto di svolta, con due tappe al Triptyque des Ardennes e altre due al Circuit des Ardennes».

Vinse anche una tappa alla Ronde de l’Isard e si piazzò nei dieci alla Liegi U23. In Australia, dove è nato il 23 dicembre del 1998, era un corridore già molto apprezzato, ma dopo la prima stagione completa in Europa, è stato chiaro che la sua caratura fosse da scoprire.

«La sua seconda vittoria al Catalogna – ha raccontato di recente il suo diesse Gianni Meersman – comprendeva una salita di quasi otto chilometri, al sette per cento. Dei 150 corridori al via, ne erano rimasti in testa circa cinquanta. Non c’erano più velocisti in giro. Kaden era lì in mezzo a corridori che pesavano meno di 65 chili. E bastava guardare le sue gambe per capire che lui fosse ben più pesante (Groves è alto 1,76 e pesa 70 chili, ndr)».

La popolarità di Groves è uscita dai confini australiani: è il primo “canguro” a vincere la verde
La popolarità di Groves è uscita dai confini australiani: è il primo “canguro” a vincere la verde

Australiano con la valigia

Il ragazzo che iniziò ad andare in bici per guarire dai danni di un infortunio nel motocross, fece il salto di qualità decisivo quando prese coraggio e decise di spostarsi in Europa. 

«Venire a vivere in Spagna – ha raccontato dopo l’ultima tappa della Vuelta – è stato un grande passo, reso più semplice grazie al supporto e agli amici che mi sono fatto nel gruppo. A Girona ho trovato strade strette e un clima più rigido. Correre in Australia è meno aggressivo, ma quando sono in Spagna e non corro, riesco a divertirmi. Ed essendoci intorno anche altri corridori australiani, mi sembra di essere quasi a casa.

«Mi hanno detto che sono il primo australiano a vincere la maglia verde alla Vuelta e questo significa molto per me. Dimostra la coerenza che abbiamo dimostrato in questa corsa, impegnandoci in tanti sprint intermedi e anche sulle montagne. Anche io sono dovuto andare in fuga nella tappa di Bejes con l’arrivo in salita. Senza quei punti, la maglia sarebbe stata impossibile».

In fuga per 75 chilometri nella 16ª tappa verso Bejes per fare punti nei traguardi volanti e sulle salite
In fuga per 75 chilometri nella 16ª tappa verso Bejes per fare punti nei traguardi volanti e sulle salite

L’amico Dainese

Nell’intreccio delle sfide dell’ultima Vuelta, non è passata inosservata quella con Alberto Dainese: un altro che quando è in condizione e la fatica si accumula, riesce a fare la differenza nel gruppo dei velocisti. Così, dopo essergli finito alle spalle nelle prime due settimane, il veneto è riuscito a vincere dopo le montagne asturiane, mentre Groves proprio in quel giorni di Sicar è caduto dovendo rinunciare alla volata.

«Alberto è sempre stato incredibilmente veloce – ha raccontato Groves – e ci siamo allenati spesso insieme quando eravamo alla Seg, soprattutto nel ritiro che facemmo in Grecia nel 2017. Allenarmi con lui ha migliorato molto il mio sprint, siamo entrambi molto competitivi e ogni volta ci spingevamo al limite. Abbiamo una grande amicizia, in corsa sapevamo muoverci insieme».

Come Greipel

Quando la Vuelta è finita e, vinta la tappa di Madrid su Ganna, Groves ha raccontato che i suoi sogni da professionista sono la Sanremo e i Campi Elisi, i tecnici che erano già usciti dal Tour con le quattro vittorie e la maglia verde di Philipsen, si sono davvero fregati le mani. Al punto che Bart Leysen, che in carriera si è diviso fra le maglie della Lotto e quella della Mapei, si è lanciato in un interessante parallelo.

«Kaden mi ricorda André Greipel – ha detto – sia in termini di statura che di personalità. Si inserisce molto bene nel gruppo e ha la fiducia di tutti. Ha fatto davvero molta strada per la sua giovane età».

Basso a tappe forzate verso la Polti di domani

26.09.2023
4 min
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Come procede il lavoro di costruzione della Polti che prenderà il posto di Eolo? Ivan Basso in questi giorni è una trottola. Viaggia per l’Italia. Segue le corse. Ha tenuto un seminario sull’importanza di fare squadra proprio con gli agenti della rete vendita del nuovo sponsor e nel frattempo cerca di mettere ogni tassello al suo posto.

«Andiamo avanti – spiega Basso fermandosi per due chiacchiere durante Italian Bike Festival (in apertura nello stand Dinamo) – facciamo ogni giorno un nuovo step. Il lavoro procede molto bene nella direzione che immaginavo. L’arrivo di Polti ha risvegliato non solo l’interesse interno, ma ha portato un’ondata di futuro partendo dal passato. Questa per me è stata la seconda cosa positiva che è accaduta in queste settimane. Si aggiunge il fatto, ora ufficiale, che Eolo resterà con noi, con una partecipazione non da title sponsor, però comunque importante. Kometa ha confermato la sua presenza. Praticamente tutti gli sponsor tecnici hanno confermato. Visit Malta ha rilanciato. Mi piace molto il modo in cui sta nascendo la squadra e ci sono altre due novità. Un co-title sponsor in arrivo e il forte interesse in un progetto che ho in mente già da tre anni e che annunceremo nelle prossime settimane».

Albanese e Fortunato, qui in una foto del 2021, lasciano la Eolo per andare all’Arkea e all’Astana
Albanese e Fortunato, qui in una foto del 2021, lasciano la Eolo per andare all’Arkea e all’Astana
Di cosa si tratta?

Di un gruppo di aziende importanti, che non avranno il logo sulla maglia, ma ci sosterranno. E’ qualcosa che abbiamo sviluppato con i fratelli Contador e adesso i tempi sono maturi per portarlo a termine. Si tratta di un’attività comunque connessa alla squadra, con sponsor importanti che faranno parte del nostro gruppo. E poi c’è il mercato…

Qualcuno va via…

Ci sono due partenze importanti: quelle di “Alba” e “Fortu” (Vincenzo Albanese e Lorenzo Fortunato, ndr), due ragazzi che hanno dato modo a questa squadra di crescere, crescendo a loro volta insieme a noi. E quando due corridori così sono in uscita e vengono rivalutati, vuol dire che la collaborazione è andata bene. Quindi da un lato sono contento per loro, che sono entrati con un valore ed escono molto più forti, dall’altro nella mia testa c’era comunque l’idea di rivoluzionare la squadra, perché è normale che i cicli si concludano.

Fra i talenti rimasti in casa Eolo (futura Polti) c’è Davide Piganzoli, ottimo scalatore e forte anche a crono
Fra i talenti rimasti in casa Eolo (futura Polti) c’è Davide Piganzoli, ottimo scalatore e forte anche a crono
Da cosa si riparte?

Abbiamo confermato tutti i nostri giovani bravi. Abbiamo preso due ragazzi colombiani Restrepo e Mario Gomez, poi l’inglese Double, elementi che ci possono sorprendere. Okay, tutti mi chiedono il grande nome, ma io non voglio prenderlo da un’altra squadra, io voglio averlo in casa. Abbiamo più di un nome nuovo ed è inutile continuare a lamentarsi di quello che non c’è. Siamo sempre al solito discorso.

Quale discorso?

Io ritengo che questa squadra deve continuare a crescere. Magari non è cresciuta di categoria e siamo rimasti professional, magari non è cresciuta di budget, ma cresce di valori, di competenza, di valore medio dello staff e valore medio dell’organico. In questo momento, non abbiamo le risorse economiche per poter prendere un campione. E allora non ci resta che crearlo in casa. Per me il vero mercato di quest’anno è stato quello di non perdere i giovani buoni, come era invece accaduto con Carlos Rodriguez, Moschetti, Oldani, “Juanpe” Lopez e molti altri. Sicuramente hanno avuto offerte, ma noi siamo una squadra professional con stipendi a volte superiori a quelli che possono avere in certe squadre WorldTour. I nostri corridori sono pagati bene e lo stesso vale per lo staff.

In un seminario per gli agenti Polti, Basso ha spiegato le analogie fra una cronosquadra e il lavoro di equipe
In un seminario per gli agenti Polti, Basso ha spiegato le analogie fra una cronosquadra e il lavoro di equipe
La maglia ha preso finalmente forma?

Sì, ma non è ancora definitiva. E’ chiaro che cambierà la cromia, però cercheremo di mantenerla bella, pulita. Questa squadra è piaciuta non solo per i risultati sportivi, ma anche per lo stile e il comportamento. Sarà così anche per il prossimo anno.

Quali sono i prossimi passi?

Quando c’è un cambio importante, bisogna portare a termine l’attività del 2023 e iniziare il 2024, cercando di fare tutto al meglio. Quindi c’è questa stagione da finire nel migliore dei modi, immaginando intanto l’architettura della prossima. Voce per voce, passo per passo.

La settimana dei titoli di gravel. Pontoni pianifica le nazionali

26.09.2023
4 min
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La stagione del ciclocross è in rampa di lancio, anzi già qualcosa si è mosso sia in Italia che in Svizzera, ma Daniele Pontoni in questo momento è concentrato sul gravel. Non bastasse il mondiale dell’8 ottobre nella Marca Trevigiana, l’UEC ha inserito anche il neonato europeo esattamente una settimana prima, in Belgio, ma con i calendari strada e marathon di mtb ancora in pieno svolgimento. Far quadrare il cerchio è davvero difficile, molto più di quanto lo fu lo scorso anno.

Daniel Oss al centro fra i cittì Celestino e Pontoni. Il trentino vuole tornare sul podio mondiale
Daniel Oss al centro fra i cittì Celestino e Pontoni. Il trentino vuole tornare sul podio mondiale

Pontoni non nasconde le difficoltà, ma parte da un concetto base: «Saremo presenti ad entrambe le manifestazioni, questo è certo. Non so ancora con chi, ma saranno due squadre diverse anche se ci saranno corridori che doppieranno e questo perché i due tracciati di gara avranno caratteristiche differenti. Il mondiale è stato disegnato su un tracciato impegnativo, che sono sicuro farà selezione, con strappi brevi e duri che alla lunga si faranno sentire».

Mentre l’europeo?

E’ un percorso più scorrevole, dove i passisti potranno avere buon gioco. Nella scelta mi baserò sulle caratteristiche dei singoli e sulla strategia da adottare per ognuna delle due gare. Non nascondo che dobbiamo puntare al podio, soprattutto per la gara iridata che corriamo in casa, come abbiamo già fatto lo scorso anno.

L’europeo a una settimana di distanza dal mondiale è secondo te un vantaggio o uno svantaggio?

Dipende da come lo si guarda. Io voglio prenderlo come una prova generale e non mi riferisco solamente agli atleti che gareggeranno, ma anche allo staff, a noi che saremo fuori gara. Sarà un modo per prendere sempre più confidenza con la specialità e la tipologia del mezzo, ben diverso sia da una bici da strada che da una mountain bike. Il gravel sta correndo nel suo cammino di affermazione, è difficile tenere il passo, ogni occasione va sfruttata al massimo.

Ma il progresso sta procedendo geograficamente di pari passo?

No e questo mi dispiace. Da noi, in Europa ma ancor più in Italia, c’è ancora un po’ di scetticismo, anche se vedo che cominciano a nascere team specifici e questo è un passo basilare per l’affermazione della specialità. In America sono molto più avanti, si sta affermando una cultura, esattamente com’era avvenuto nella mountain bike.

Il ceko Petr Vakoc quest’anno primo a Swieradow-Zdroj e alla Monsterrato, tappe delle World Series
Il ceko Petr Vakoc quest’anno primo a Swieradow-Zdroj e alla Monsterrato, tappe delle World Series
Lo scorso mondiale aveva visto gli stradisti avere vita facile, chiaramente con una preponderanza per quelli abituati alla multidisciplina. Pensi che quest’anno ci saranno più specialisti puri nelle parti alte della classifica?

Io credo di sì, ma credo anche che, se l’europeo si presta a una soluzione simile, il mondiale vedrà contendersi il titolo ancora gente che viene dalla strada. Chi viene dal WorldTour ha un colpo di pedale superiore anche a chi frequenta la mountain bike, c’è una disparità di forze e ne dovrò tenere conto nelle convocazioni. Credo però che ci sarà qualche inserimento in più da parte di chi frequenta unicamente le corse di gravel.

Ti sei fatto un’idea di chi saranno i favoriti?

Difficile dirlo non sapendo chi sarà al via, credo comunque che Belgio e Olanda presenteranno in entrambi gli eventi formazioni molto qualitative perché so che ci tengono molto. C’è poi l’incognita legata a Van Aert, se sarà al via l’8 ottobre al mondiale, il favorito d’obbligo sarà lui, anche per la voglia di mettere fine alla collezione di secondi posti

Van Aert ha vinto l’Houffa Gravel con grande facilità. Il mondiale sarebbe un riscatto in un anno difficile
Van Aert ha vinto l’Houffa Gravel con grande facilità. Il mondiale sarebbe un riscatto in un anno difficile
Hai già in mente chi schierare?

Qualche nome ce l’ho già, ma non sarebbe giusto farli prima di ufficializzare le squadre, anche se è chiaro che Oss, vicecampione mondiale in carica, non potrà non esserci. Quel che posso garantire è che presenteremo squadre popolate di gente con la voglia di far bene, perché correre un mondiale in casa ha un valore particolare in qualsiasi specialità. Il problema sono le concomitanze, considerando che ci sarà la Tre Valli che coinvolge molti team del WorldTour al maschile e al femminile e c’è la Coppa del mondo di mountain bike negli Usa. Noi comunque ci sapremo far valere, non ho dubbi.

Raccagni Noviero ha un obiettivo: il professionismo nel 2025

26.09.2023
5 min
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Con l’arrivo dell’autunno la stagione volge al termine, si fanno i primi conti e si pensa già all’anno che verrà. Andrea Raccagni Noviero (foto Instagram in apertura) in questi giorni si sta rilassando insieme a qualche amico. Una piccola pausa prima di immergersi nelle ultime gare del calendario. 

«Oggi (ieri, ndr) sono andato con qualche amico a raccogliere funghi – racconta mentre torna a casa in macchina – ma non è andata come aspettato. La stagione dovrebbe essere buona, ma non abbiamo trovato molto. Eravamo in quattro amici, quindi anche tanti, ma la spedizione è stata negativa».

Andrea Raccagni Noviero ha continuato il processo di crescita iniziato nei primi mesi del 2023
Andrea Raccagni Noviero ha continuato il processo di crescita iniziato nei primi mesi del 2023
La stagione con il Devo Team della Soudal-Quick Step, invece?

A inizio anno ero già sorpreso di quanto fatto, ne avevamo parlato. Direi che lo stupore per le mie prestazioni è rimasto, anche se non ho fatto una stagione “lineare”. 

In che senso?

Non ho avuto una grande continuità nelle corse, complice anche un periodo in cui sono stato fermo a causa di un leggero malanno. Ho fatto una settimana intera senza bici proprio a ridosso della Parigi-Roubaix U23. Ho alternato periodi più o meno lunghi di corsa a periodi a casa, dove mi sono allenato seriamente.

Mancavano gare in calendario o è stata una scelta di squadra?

Entrambe le cose. In Belgio è un po’ diverso, non è detto che ogni fine settimana ci sia una gara. Capitano periodi in cui si sta fermi. In altri casi, invece, la squadra non ha corso, nel periodo del Giro Next Gen non c’è stata la doppia attività. 

Per Raccagni Noviero meno lavori di forza e tanto fondo, anche durante la stagione (foto Instagram)
Per Raccagni Noviero meno lavori di forza e tanto fondo, anche durante la stagione (foto Instagram)
Come ti sei trovato con questo metodo?

In realtà bene, perché sono uno che ama allenarsi a casa. Anzi, mettere insieme tante ore di allenamento mi piace. E’ un metodo che funziona, alle gare arrivo pronto e riposato mentalmente, sono più “affamato”. Alla prima uscita magari manca un po’ il ritmo corsa, ma lo riesco ad allenare bene con il dietro moto e con la prima gara che disputo. Ho notato tanti miglioramenti.

Quali?

Il primo è legato ai numeri. Nei periodi prima dei blocchi di gare, che quest’anno sono stati tre, ho battuto per tre volte i miei record di potenza. Non facevo i miei migliori numeri in gara, ma prima. Questo vuol dire che il metodo di lavoro funziona e anche bene.

Non ti è mancata la continuità di corsa?

Direi di no. Correre è uno stress, soprattutto per la mente, una volta finite le gare devi recuperare. Se ti alleni, invece, arrivi fresco e pronto, sia fisicamente che mentalmente, hai proprio voglia di dimostrare. Considerando che in allenamento magari carichi tanto, anche con delle triplette, ma prima di correre recuperi.

Tanti podi, alcuni arrivati per “colpa” di compagni meglio piazzati in fuga, ma la condizione si è fatta vedere (foto Instagram)
Tanti podi, alcuni arrivati per “colpa” di compagni meglio piazzati in fuga, ma la condizione si è fatta vedere (foto Instagram)
Qualcosa ti è mancato però, il guizzo per vincere…

Ho fatto sei podi, questo vuol dire che sono andato bene ma effettivamente non ero mai al meglio per vincere. In alcuni casi avevo un compagno davanti, quindi a causa della dinamica della corsa mi trovavo bloccato. In altre situazioni, invece, perdevo allo sprint. Non è un aspetto che ho curato tanto in questa stagione, non ho avuto un grande focus sulla palestra. L’anno scorso (ultimo anno da junior, ndr) i miei valori in volata erano migliori. Ma è una strategia della squadra.

Spiegaci…

Ne avevo già parlato con il preparatore a inizio anno. L’obiettivo era arrivare a fine gara con un picco di forza ancora elevato. Per fare un esempio: se in allenamento ho come picco 1.400 watt, l’obiettivo a fine gara è farne 1.350. Non ha senso fare picchi di 1.600 watt in allenamento e arrivare allo sprint in gara spento. 

Hai alzato il livello generale quindi?

Sì, ho fatto uno step indietro nello sprint, ma ne ho fatti cinque in avanti in altri campi. 

Su cosa hai lavorato in particolare?

Tantissimo nella resistenza. Gran parte delle mie ore di allenamento sono in Z2 alta in inverno e Z2 media in estate. Questo a causa delle alte temperature. 

Quando dici tante ore cosa intendi?

Che quando sono in periodo di gare faccio: corsa, recupero e corsa, con meno ore di allenamento, tra le 15 e le 18. A casa, in preparazione metto insieme 25-30 ore in bici. Con tanta Z2 e qualche lavoro specifico.

Per il 2024 l’obiettivo quale sarà?

Non ho ancora parlato con la squadra, posso però dirvi i miei. La volontà principale è quella di fare un calendario più importante, non che abbia fatto corse minori ma vorrei fare di più: le Classiche del Nord di categoria e il Giro Next Gen, ad esempio. E poi vorrei che il 2024 sia il mio ultimo anno da U23

La crescita passerà anche dagli impegni con la nazionale, uno degli obiettivi del 2024 (foto Instagram)
La crescita passerà anche dagli impegni con la nazionale, uno degli obiettivi del 2024 (foto Instagram)
Come mai?

Perché con la squadra ho due anni di contratto e mi piacerebbe passare con i professionisti alla fine della prossima stagione. Alla fine del 2022 l’obiettivo era fare tre anni da under 23, ora ho abbassato questa asticella. Mi sono accorto, nelle corse di fine stagione, che vado forte anche tra i pro’. Ho fatto qualche gara in Belgio e mi sono comportato bene. Chiaramente mi piacerebbe passare ma con le dovute precauzioni e nei modi corretti, senza assilli. Pensiamo prima a fare un buon finale di stagione: ho ancora tre gare da disputare. Poi penseremo al 2024.

Il peso del cognome. Axel Merckx sa cosa significa

26.09.2023
6 min
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Nella sua intervista/confessione, Ben Wiggins, uno degli astri nascenti del ciclismo mondiale aveva parlato della fortissima pressione derivante dal fardello del suo cognome. Per gestirla aveva scelto appositamente di accettare l’invito dell’Hagens Berman Axeon per lavorare con Axel Merckx, che più di ogni altro sa che cosa significa confrontarsi con un passato importante.

Per questo abbiamo voluto sentire il manager belga, considerando che nel suo team militano molti prospetti di grande interesse, dei quali ci siamo anche occupati e che ha una grande capacità nel gestire situazioni difficili ma con tante prospettive interessanti come quella del britannico iridato su pista e protagonista della stagione juniores su strada.

Axel Merckx, 51 anni, bronzo olimpico nel 2004 e dirigente all’Hagens Berman Axeon dal 2012
Axel Merckx, 51 anni, bronzo olimpico nel 2004 e dirigente all’Hagens Berman Axeon dal 2012
Il prossimo anno arriverà Ben Wiggins: che idea ti sei fatto del britannico?

La prima cosa che mi ha colpito è che in fatto di esperienza è molto più giovane, direi quasi acerbo rispetto alla sua età. E’ solo il terzo anno che interpreta il ciclismo in maniera convinta, ma la sua anche per questo è una bella storia. Non è mai facile fare lo stesso mestiere del padre, nel ciclismo ancora meno. Ne abbiamo parlato a lungo, io con la mia esperienza personale posso sicuramente aiutarlo a trovare la propria strada.

Ben ha detto ripetutamente di essere stato attratto dalla possibilità di lavorare con te perché sai bene che cosa significa avere il peso di un cognome tanto importante.

La pressione negativa c’è, inutile negarlo. Ogni volta che il risultato non arriva – afferma Merckx facendo riferimento al proprio passato – è normale che tutti dicano “non è come suo padre”. Fa parte dei rischi del mestiere. E’ importante che trovi la sua strada, che riesca piano piano a far capire di essere diverso, un altro corridore rispetto a suo padre. Deve riuscire a emergere per quello che è, senza guardare a chi c’era prima, a dimostrare quel che vuole e può fare. Capisco che senta la pressione, cercherò di aiutarlo a sentirla sempre meno.

Wiggins è stato protagonista su strada e su pista. Ma sente la pressione legata al suo nome
Wiggins è stato protagonista su strada e su pista. Ma sente la pressione legata al suo nome
Come si lavora con un corridore che ha avuto un genitore campione?

Non è più difficile, è solo diverso perché bisogna confrontarsi con una pressione mediatica differente rispetto a qualsiasi altro corridore, una pressione che c’è a prescindere dai risultati. Ben sa che senza quel cognome non avrebbe i giornalisti che si interessano a lui, le tante interviste, i tanti articoli. Con quel cognome sarà sempre sotto i riflettori dei media ma soprattutto della gente. E’ un fastidio certe volte, lo so bene, ma se vai forte diventa qualcosa di molto meno impattante.

Come giudichi questa stagione per il tuo team?

Una buona stagione – risponde Merckx – abbiamo fatto 7 vittorie, conquistato una corta importante come il Giro della Val d’Aosta, una tappa al Giro Next Gen. La nostra è una squadra molto giovane, sapevamo che avere la stagione perfetta è praticamente impossibile, ma possiamo dirci soddisfatti perché nel complesso i nostri ragazzi sono cresciuti.

Per Morgado una prima stagione da U23 ricca di impegni e soddisfazioni. Ora approda all’Uae Team Emirates
Per Morgado una prima stagione da U23 ricca di impegni e soddisfazioni. Ora approda all’Uae Team Emirates
A inizio stagione avevamo parlato con te dell’ingresso di Herzog e Morgado nel team. Come sono andati finora?

Morgado è partito subito bene, con la vittoria al Tour of Rhodes e da lì ha vissuto un’ottima stagione a dispetto di un problema al ginocchio che gli è costato in pratica quasi tutto aprile e maggio. E’ tornato in forma per il Giro ed è stato molto importante per la vittoria di Rafferty in Val d’Aosta, andando poi a conquistare l’argento ai mondiali che per un primo anno fra gli U23 è una gran cosa. Ora farà il salto nel WorldTour, avrà bisogno di tempo ma penso che potrà fare molto bene anche in tempi brevi.

L’impressione che si è avuta è che Morgado si sia ambientato più in fretta nella nuova categoria. Merito suo o Herzog ha avuto più problemi?

Il tedesco non ha avuto una buona stagione – sottolinea Merckx – ma certamente non per colpa sua. Ha sempre avuto problemi di salute che gli hanno impedito di raggiungere la miglior forma. Infatti ha corso molto meno e si è fermato a fine luglio. Anche questo fa parte del mestiere, io credo che sia stata da questo punto di vista una stagione utile perché ha imparato tanto. Non penso che abbia sofferto la tanta pressione derivante dal fatto di essere un campione del mondo juniores, ha solo bisogno di tempo per trovare la sua dimensione. Anche lui passerà nel WorldTour, sono sicuro che alla Bora Hansgrohe gli daranno il tempo necessario.

Annata difficile per Emil Herzog, ma in Germania credono molto in lui e passa già nel WorldTour
Annata difficile per Emil Herzog, ma in Germania credono molto in lui e passa già nel WorldTour
La vittoria di Rafferty al Giro della Val d’Aosta ti ha sorpreso, lo ritieni un corridore con un futuro nelle corse a tappe?

Sicuramente per le corse brevi è già un ottimo prospetto. E’ un corridore che ha grinta, non ha paura di attaccare, ha vinto il Val d‘Aosta proprio perché ha corso d’istinto, ha preso la corsa di petto, senza aspettare le fasi finali. Ha un modo di interpretare le gare che mi piace tanto, ma si vede che da un paio d’anni l’irlandese è in netta crescita e trova nelle corse a tappe la sua dimensione. Andrà all’Education EasyPost e credo che proprio nelle brevi stage race potrà già distinguersi.

Nel tuo team non ci sono corridori italiani, come mai?

La storia dice così, ma dal prossimo anno ne avremo due, provenienti dall’attività junior, che vogliamo far crescere e che annunceremo nei prossimi giorni.

Rafferty protagonista assoluto al Giro della Val d’Aosta. Anche lui entra nel 2024 fra i grandi
Rafferty protagonista assoluto al Giro della Val d’Aosta. Anche lui entra nel 2024 fra i grandi
L’ingresso di Jayco nel vostro team che cosa cambierà?

Non molto, se non il nome della società. E’ una collaborazione con il loro team WorldTour che non ci trasforma in un Devo team, continuiamo ad avere rapporti anche con altre squadre. Servirà però ai ragazzi per avere una strada privilegiata verso la massima serie, ci confronteremo spesso con i direttori sportivi della Jayco AlUla ma la squadra continua ad essere completamente in mano mia. E’ un investimento per crescere, noi come struttura ma soprattutto i ragazzi.

Pedala con Zazà, un successo di numeri e affetto

25.09.2023
4 min
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«Sono stanco ma contento», Stefano Zanini archivia con un grande sorriso la decima edizione della sua Pedala con Zazà. Il grande ex corridore è un gigante buono e gli amici ancora una volta gli hanno dimostrato tutto il loro affetto.

Quest’anno l’evento del diesse dell’Astana Qazaqstan è cresciuto. Alla pedalata della domenica si sono aggiunte le gare giovanili al sabato: di fatto Gorla Maggiore è diventata il centro di una festa del ciclismo. E non era facile visto che a Cesenatico era di scena la Nove Colli, che recuperava l’annullamento di primavera quando l’alluvione spazzò via la Romagna.

Tra i vari ospiti amici di Zanini anche Davide Ballerini della Soudal-Quick Step
Tra i vari ospiti amici di Zanini anche Davide Ballerini della Soudal-Quick Step

Oltre le aspettative

Erano attesi 600 ciclisti, ebbene i numeri sono stati migliori: 300 alla Pedalata con Zazà, 260 iscritti per i giovanissimi (da G0 a G6), 130 juniores, 70 allievi e 50 esordienti.

«È stata una festa davvero bella – ha commentato Zanini – tanti, tanti ragazzi e al sabato c’è stata la doppia ciliegina sulla torta con la vittoria dei miei nipoti che hanno vinto la prova degli allievi e quella degli juniores».

Zaza’ scherza sempre e quando lo incalziamo dicendogli che ora si dirà che lo ha fatto per loro due, lui ribatte subito: «E’ chiaro che l’ho fatto per loro! Scherzi a parte, l’idea di fare qualcosa di più, qualcosa per i giovani, assieme alla mia Pedalata ce l’avevo già da un paio di anni, ma con il mio lavoro stando sempre fuori non era facile trovare il tempo, il momento giusto. Dovevo quindi per forza sfruttare la finestra temporale della Pedala con Zaza’. Così abbiamo colto l’occasione del decennale per fare questo salto».

Per i giovani

Il ciclismo più di altri sport vive un momento particolare nel reperire nuove leve e gli eventi per i ragazzi sono ormai una manna.

Stefano ha ideato il circuito dove hanno corso dagli esordienti agli juniores, variava chiaramente il numero dei giri.

«Era un anello di 10 chilometri “sotto casa mia” – ha spiegato Zanini – con un paio di salite di 500 metri ciascuna. Inizialmente avevo anche pensato ad un altro percorso per gli juniores. Un circuito di 30 chilometri con una salita più lunga il cui finale è in sterrato, Ma poi era più difficile reperire gente per controllare il percorso. E tutto sommato è andata bene così.

«Gli stessi giudici erano soddisfatti e mi hanno detto della tanta gente a bordo strada». Un bel colpo d’occhio dunque.

Da Barza Design un casco per Zazà
Da Barza Design un casco per Zazà

Dalla Sicilia

A volte è più importante avere un percorso magari meno tecnico ma dai risvolti promozionali più importanti. I ragazzi e l’attenzione al ciclismo si catturano anche cosi. Magari il giorno dopo chi era a bordo strada rispetta il ciclista maggiormente quando poi si trova alla guida. O una bambina e un bambino chiedono ai genitori di voler salire in sella. Ma questo è un altro discorso…

«Pensate che c’era un ragazzo, Domenico Lo Piccolo dell’Asd Imp Group, che è venuto il venerdì dalla Sicilia. Era col papà. Hanno preso un aereo e dopo la gara, che lo stesso Domenico ha vinto, nel pomeriggio è ripartito. Mi ha detto che voleva fare un’esperienza al Nord! Gli ho risposto che per come è andato, è stato lui che ha fatto fare un’esperienza agli altri ragazzi».

Questo comunque ci dice dell’affetto che Zanini nutre in tutta Italia.

«Ripeto – ha detto Zanini – è stata un gran bella festa. Ma per tutto questo devo ringraziare molto i Comuni a supporto della Padala con Zazà, a partire da quello di Gorla Maggiore, sede dell’evento, i team organizzatori Valle Olona e la Società Ciclistica Canavese e anche la Regione Lombardia ci è stata vicina. Senza dimenticare la Polizia Stradale di Varese e Milano, che ci ha fatto la scorta e chiaramente la Sestero Onlus».

Finita la festa Zazà è tornato direttore sportivo. Ora lo aspettano tutte le classiche italiane, fino al Lombardia.