Per Lutsenko ritorno a casa, prima di ricominciare

13.11.2023
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Nel profondo rinnovamento che l’Astana Qazaqstan Team sta attuando, cambiando non solo corridori ma anche intelaiatura tecnica della squadra, Alexey Lutsenko resta un nome imprescindibile e il finale di stagione lo ha confermato una volta di più.

La sua seconda parte di stagione è stata molto impegnativa, con la preparazione incentrata sugli Asian Games dove ha colto l’oro a cronometro e l’argento nella prova in linea. Poi neanche il tempo di rifiatare e subito in gara al Giro di Turchia, vinto d’autorità conquistando la leadership già alla terza tappa, per poi non cederla più.

Lutsenko insieme al connazionale Fedorov: argento e oro agli Asian Games (foto Reuters)
Lutsenko insieme al connazionale Fedorov: argento e oro agli Asian Games (foto Reuters)

Il kazako è una colonna portante del team e forse la sua nuova dimensione sposa di più le sue caratteristiche di corridore adatto alle corse d’un giorno e alle corse a tappe medio-brevi. Quelle che riescono a mettere in luce le sue capacità di resilienza, necessarie anche in Turchia.

«Non era una gara semplice con i suoi 8 giorni e soprattutto con una tappa davvero dura, la terza – spiega – quella che ha fatto la classifica. C’era una salita lunghissima, oltre 20 chilometri con pendenza media del 10,5 per cento. Per oltre un’ora non si faceva che salire e salire, senza tregua. Vincendo lì ho ipotecato la vittoria finale».

Quest’anno hai vinto il Giro di Sicilia e Giro di Turchia. Sembri ormai un grande corridore per corse a tappe brevi: è questo il tipo di corridore che vuoi essere?

Io mi trovo bene in questo team e in questa dimensione. Non posso dire che sia stata una stagione negativa, sono arrivate 9 vittorie, non è un numero alla portata di tutti. I grandi Giri sono irrinunciabili per ogni team del WorldTour, l’importante è avere ben chiari i propri obiettivi. Non siamo una squadra che può lottare per i quartieri alti della classifica, ma stiamo costruendo qualcosa di adatto a ottenere comunque risultati.

Al Puy de Dome il settimo posto di Lutsenko, che con 9 vittorie è 11° nella classifica stagionale
Al Puy de Dome il settimo posto di Lutsenko, che con 9 vittorie è 11° nella classifica stagionale
Restiamo in tema. L’Astana sta cambiando target, puntando alle classiche di un giorno e alle brevi corse a tappe. Sei d’accordo con questa scelta?

A me va molto bene. Sono arrivati tanti corridori, soprattutto è importante che sia arrivato Morkov a dare una mano a Cavendish non solo per il Tour come pensano tutti. Con il Cav potremo toglierci belle soddisfazioni. Io preferisco ormai le corse d’un giorno, quelle con percorsi adatti a me, senza dimenticare le prove a tappe dove sfruttare le occasioni.

Per vincere in Turchia hai rinunciato al mondiale gravel: ti è dispiaciuto?

E’ stata una scelta ben ponderata, obiettivamente non c’era spazio nel calendario con gli Asian Games così tardi nella stagione e gli impegni con il team. Il gravel mi piace molto, ho dimostrato di andar molto bene in quel tipo di gare, ma bisogna anche avere il tempo di prepararle. Quest’anno non c’era la possibilità, dovevo privilegiare la mia nazionale e il mio team, che aveva e ha un gran bisogno di punti e sono contento di aver onorato i miei impegni.

Il kazako vincitore solitario della terza tappa in Turchia: la leadership in classifica è cosa fatta
Il kazako vincitore solitario della terza tappa in Turchia: la leadership in classifica è cosa fatta
Pensi che nel gravel potrai avere un futuro anche quando finirai di correre su strada, come Sagan vuole fare nella mountain bike?

Non mi piace fare paragoni, posso dire che il gravel non l’ho dimenticato, ricordo ancora bene quando in Veneto ho vinto la Serenissima e infatti conto di partecipare al prossimo mondiale se il calendario lo consentirà, ma voglio farlo per bene, per giocare tutte le mie carte.

Che obiettivi hai per il 2024?

Il calendario andrà studiato con attenzione, in base alle esigenze della squadra e sapendo usufruire dei nuovi arrivi. Ci vedremo a inizio dicembre in Spagna per il primo ritiro e lì getteremo le basi della stagione. Per ora non mi sono posto particolari obiettivi, voglio tenere la mente sgombra il più possibile dopo le vacanze che ho finalmente avuto.

Alexei premiato dal governo kazako insieme alle altre stelle sportive del Paese (foto Instagram)
Alexei premiato dal governo kazako insieme alle altre stelle sportive del Paese (foto Instagram)
A tal proposito sei appena tornato dal Kazakhstan: da quanto mancavi? Come ti hanno accolto e che cosa hai fatto in quei giorni?

Non capita spesso di avere il tempo per tornare a casa. Era davvero tanto che non rivedevo la mia famiglia, ma la vita che facciamo non ci lascia tanti spazi e il Kazakhstan è lontano. Ho avuto la possibilità di riabbracciare tanti amici, inoltre mi sono incontrato con il premier Smaiylov che è anche venuto in visita nella mia città, Petropavl e anche con il Ministro dello Sport. Ora però devo pensare alla preparazione, a rimettermi a lavorare in bici e in palestra per essere già a un buon livello quando a dicembre mi rivedrò con i compagni di squadra.

Sobrero e la Bora, il sogno del Tour e il ciclone Roglic

13.11.2023
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MILANO – La nuova vita di Matteo Sobrero riparte dalla Bora-Hansgrohe. Il piemontese ha scelto di cambiare all’inizio dell’estate, in una di quelle fasi stonate della vita che ad ogni atleta è capitato di passare almeno una volta. Dopo le classiche lo attendeva il Giro, ma assieme alla squadra decise di non farlo. Non sarebbe potuto andare in altura e tirava da troppo tempo la corda: meglio recuperare e puntare sul Tour. Invece Sobrero al Tour non c’è andato e questa volta la scelta non è stata condivisa. Anzi, la cosa lo infastidì al punto che negli stessi giorni della Boucle, vinse una tappa al Giro d’Austria digrignando i denti. A quel punto si era già sparsa la voce che avrebbe cambiato squadra. Per chiudere il 2023, non gli restava che sfiorare una tappa della Vuelta e centrare il secondo posto anche nel Mixed Team Relay degli europei di Drenthe. E poi, chiusa la pagina e consumate le corroboranti ferie colombiane, è arrivato il momento di guardare al prossimo anno.

«Siamo già al 2024 – racconta mentre intorno sta per andare in scena il Giro d’Onore della FCI – e si riparte con una nuova maglia. La decisione di cambiare è una storia lunga. Da una parte mi dispiace, perché nei due anni alla Jayco-AlUla mi sono trovato benissimo e credo che per loro sia stato lo stesso. Sono cresciuto molto e cambiare non è stato facile, anche se sono contento della decisione. Ho già fatto un ritiro con la Bora, anzi prima uno in Germania, poi in Austria. E prima di andare in vacanza, sono andato anche a Morgan Hill, da Specialized, per fare i test in galleria del vento…».

L’incontro con Sobrero si è svolto al Giro d’Onore, al Teatro Manzoni di Milano (foto Borserini/FCI)
L’incontro con Sobrero si è svolto al Giro d’Onore, al Teatro Manzoni di Milano (foto Borserini/FCI)
Nel 2022 eri un uomo da corse a tappe, nel 2023 sei passato alle classiche non avendo ancora la solidità necessaria per i grandi Giri. Alla Bora avrai una direzione più precisa?

Diciamo che uno degli scopi principali sarà quello di offrire supporto nei grandi Giri. Invece avrò un po’ di libertà nelle corse a tappe di una settimana o le corse di un giorno in primavera. Non mi mancheranno le occasioni di correre per me. E poi dovremo vedere se farò Giro o Tour, perché non lo so ancora.

Quando hai firmato, l’arrivo di Roglic non era nei piani. Cosa significa l’arrivo in squadra di uno così?

Onestamente sono contento, perché è un valore aggiunto alla squadra. E’ meglio averlo con noi, che come rivale. Anche per me, poter lavorare in un grande Giro per un capitano così, è una grande soddisfazione e uno stimolo in più.

Il 5 luglio, a Steyr, Sobrero vince una tappa al Giro d’Austria: è la sua rivincita sull’esclusione dal Tour
Il 5 luglio, a Steyr, Sobrero vince una tappa al Giro d’Austria: è la sua rivincita sull’esclusione dal Tour
I test in galleria del vento a Morgan Hill significano che si torna al primo amore della crono?

Questo mondo mi ha sempre appassionato e sono stato sempre curioso di vedere dove si possa migliorare. Siamo andati già in California per vedere a che punto fossi, come migliorare i materiali, l’abbigliamento, il casco e tutto il resto. Non punterò sulle cronometro come uno specialista puro, bisogna sempre difendersi. E in una specialità come la crono, se ti fermi, sei perduto.

Avrai in ammiraglia Enrico Gasparotto, che è stato anche tuo compagno di squadra ai tempi della NTT Pro Cycling, che effetto fa?

Particolare, anche perché mi bacchettava già prima da compagno di squadra, perché lui era il vecchio e io ero il giovane. Non ho dubbi che adesso continuerà a bacchettarmi, quindi diciamo che non cambia niente, anche se di base c’è una bella amicizia.

Gasparotto e Sobrero sono stati compagni nella NTT Pro Cycling. Ora si ritrovano alla Bora: tecnico e atleta (foto Instagram)
Gasparotto e Sobrero sono stati compagni nella NTT Pro Cycling. Ora si ritrovano alla Bora: tecnico e atleta (foto Instagram)
Che cosa ti sembra del nuovo ambiente?

Mi sembrano molto organizzati, molto precisi su tutto. Però fino a quando non comincerà la vera stagione sarà difficile dirlo, però per il momento ho un’ottima impressione.

Hai già un’idea del programma? Da dove comincerai?

Non so ancora nulla, perché diciamo che l’arrivo di Roglic in squadra ha un po’ scombussolato tutti i programmi. Hanno deciso di riaprirli praticamente tutti, sicuramente non è semplice. A dicembre nel primo ritiro, saprò quello che farò. Sicuramente non comincio in Australia, questo mi sento di dirlo.

La vittoria della crono finale del Giro 2022 a Verona è una delle perle di Sobrero, ottenuta collaborando con Pinotti
La vittoria della crono finale del Giro 2022 a Verona è una delle perle di Sobrero, ottenuta collaborando con Pinotti
Alla Jaico-AlUla lasci Pinotti con cui hai fatto dei grandi progressi, chi si prenderà cura di te alla Bora?

Ho trovato Paolo Artuso, con cui ho già parlato e con cui mi sono trovato parecchio. Mi dispiace lasciare Pinotti, però d’altra parte sono contento di aver trovato uno come Paolo che mi sembra molto preparato.

Quest’anno il Tour è stato un boccone andato di traverso. E’ fra i desideri del prossimo anno?

Mi piacerebbe farlo. Entrambi, sia il Giro che il Tour passano dal Piemonte. Il Tour che passa dal Piemonte e per giunta vicino casa mia penso sia una cosa che non capita mai (sorride come un bimbo davanti al paese dei balocchi, ndr). Quindi partecipare è un bell’obiettivo, ma capisco anche che con l’arrivo di Roglic potrebbe essere più difficile. Bisogna fare una squadra compatta e poi vediamo come andranno le cose.

Alvarado e Ronhaar: a Dendermonde fa festa l’Olanda

12.11.2023
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DENDERMONDE (Belgio) – Tanta Olanda e tanto fango. Ieri a Niel in alcuni punti se ne era accumulato di più, ma quello di oggi è stato diverso. Una costante. E soprattutto più difficile da scaricare. Non a caso oggi gli “altri” eroi sono stati i meccanici. Che gran via vai al lavaggio nella pit-lane, come l’hanno chiamata qui. Gli atleti cambiavano bici ad ogni tornata. E se avessero potuto, anche dopo mezzo giro.

Il percorso di Dendermonde, Coppa del Mondo, è di nuovo un percorso vero: sembra scorrevole, ma è duro. Non manca nulla, c’è persino un tratto di pavé. «Ma qui è un tracciato del tutto normale», ci dice il capo dell’ufficio stampa, Nico Dick.

Ancora Alvarado

La prova femminile sinceramente non è stata entusiasmante. Celyn Alvarado ha bissato, se possibile con maggior facilità, il successo di ieri. Semmai la gara delle donne è stata interessante per il ritorno di Lucinda Brand (alla prima gara della stagione) e perché ci ha aperto gli occhi sulla gestione del fango.

La componente tecnica, i setup, potevano essere decisivi. E forse per qualche collega uomo lo sono stati, come vedremo.

Comunque Alvarado è passata subito in testa e senza apparente sforzo ha fatto il vuoto. Era quasi più impegnata a controllare i dati sull’orologio al polso (cambiando la bici era giusto che il “computerino” stesse lì) che a tutto il resto. Dietro è stato un inseguimento a distanza, con ogni ragazza che faceva la sua gara e pensava a portare la bici al traguardo. 

Alle spalle di Alvarado e Brand, l’ottima Zoe Backsted che, seppur U23, è ormai da annoverare tra le grandi interpreti (anche) del ciclocross.

Ronhaar, doppietta Olanda

Più combattuta, almeno fino a metà gara, la prova maschile. Poi Pim Ronhaar ha preso il largo. Dietro si davano i cambi per quanto possibile, ma non c’è stato nulla da fare.

Se ieri sugli ondulati di Niel il baricentro basso di Eli Iserbyt aveva fatto la differenza in positivo, oggi servivano i chili e i watt e in questo l’olandese della  Baloise-Trek-Lions non è secondo a nessuno. Iserbyt infatti ha pagato dazio. Ma su di lui torneremo, parlando anche delle sue scelte tecniche.

Con questa vittoria, Pim succede nell’albo d’oro alla doppietta del 2021 di Van Aert sul connazionale Van der Poel. Una rivincita dunque per l’Olanda. E l’inno orange risuona così due volte in questo paesino nel cuore delle Fiandre.

Setup diversi

Come accennato, i meccanici hanno avuto il loro bel da fare. Le lance delle idropulitrici hanno lavorato a più non posso.  C’è chi aveva anche quattro bici: una tra le gambe e tre nella pit-lane.

Iserbyt rispetto agli altri ha scelto una copertura non da fango estremo. Mentre quasi tutti gli altri avevano una tassellatura un filo meno fitta, quindi più estrema, che scaricava meglio e assicurava un filo in più di grip, come le gomme del vincitore: le Dugast Monsoon. Magari anche questo ha inciso.

Altro aspetto. Sbirciando tra i camper prima del via, oggi c’era una grande varietà nelle dentatura delle corone. Per gli uomini si andava dai 42 ai 44 denti per chi usava la monocorona, ma c’era anche chi aveva montato una 46. Mentre chi usava la doppia aveva il 46-39, abbiamo visto anche un 38.

Per le donne: monocorona da 40 denti, ma abbiamo notato anche una 36 denti, o una più consueta doppia 46-36.

Potenza o agilità?

Altro aspetto da valutare: oggi si è corso parecchio a piedi: oltre un minuto di bici in spalla per tornata, ancora di più per le donne. In teoria in questi casi si dovrebbe privilegiare l’agilità, quindi rapporti un po’ più corti. Eppure tra gli uomini ha vinto proprio chi aveva quella monocorona da 46 denti. Altro segno che su questo anello la potenza era fondamentale.  

Quindi chi aveva ragione? Non è facile da dire. Il discorso è davvero vasto: le scelte tecniche si accompagnano sia al percorso chiaramente, che alle caratteristiche degli atleti. Questa varietà non fa altro che stuzzicare la curiosità degli appassionati e, forse, farà ripensare qualche atleta questa sera.

Van Aert è uomo da grandi Giri? Risponde Saronni

12.11.2023
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La prima bordata l’ha portata Adrie Van Der Poel, padre di Mathieu, parlando dell’intenzione di cambiare strategia da parte di Van Aert: «Penso che sia il più grosso errore che possa fare – ha dichiarato a Het Nieuwsblad – inizierebbe a gareggiare contro la sua stessa natura. Dovrebbe pensare agli errori commessi: la cessione della vittoria a Laporte alla Gand-Wevelgem o la tattica sbagliata che ha impedito a De Lie di vincere per distacco gli europei».

A metterci il carico da dodici è stato Johan Museeuw: «Forse gli manca lo spirito omicida per vincere una gara – ha sentenziato a GCN – una come la Gand-Wevelgem non si regala: alla fine della carriera la cosa più importante è quanto hai vinto e non ciò che hai dato via. Van der Poel a volte fa da apripista per Philipsen, ma questo è tutto, è più assassino. Van Aert è bravo nelle gare di un giorno: ecco dove dovrebbe essere la sua attenzione».

Van Aert agli europei al fianco di Stuyven. La condotta in gara di Wout ha dato adito a polemiche
Van Aert agli europei al fianco di Stuyven. La condotta in gara di Wout ha dato adito a polemiche

Gli esempi di Maertens e Saronni

E’ chiaro che fa molto discutere la stagione vissuta dal belga, intrisa di secondi posti (ma potremmo dire l’intera carriera), unita alle voci di mettersi alla prova come leader della squadra in un grande Giro, certamente non il Tour, magari la corsa rosa. Non sarebbe la prima volta che un grande specialista delle classiche, che fa della velocità allo sprint la sua forza, prova il grande colpo: uno sprinter puro come Maertens vinse una Vuelta e tutti ricordano Saronni capace di elevarsi fino al doppio trionfo al Giro d’Italia.

Proprio il grande Beppe è l’uomo adatto per provare a entrare nei meandri di Van Aert, alle prese con un bivio fondamentale per la sua carriera: «Wout è uno di quei 5-6 corridori che ti fanno appassionare al ciclismo. Io da spettatore lo adoro, ma se poi mi metto a ragionare da ex corridore e da manager quale sono stato allora le cose cambiano. Se Van Aert corresse meglio, vincerebbe molto di più: è evidente».

Giuseppe Saronni, 66 anni, ha vinto il Giro d’Italia nel 1979 e 1983
Giuseppe Saronni, 66 anni, ha vinto il Giro d’Italia nel 1979 e 1983
L’idea di fare il capitano in un grande Giro ti trova d’accordo?

Forse andrò controcorrente, ma io dico di sì. Non dico che vincerà, anzi è molto probabile che ciò non avvenga, ma deve farlo ora perché il tempo passa. Deve però mettere prima di tutto ordine in se stesso, nelle sue ambizioni perché non puoi fare tutto, devi saper rinunciare. E’ un po’ il discorso di Pogacar, che può vincere davvero dappertutto come nessun altro, ma non ci riesce e col livello generale che c’è deve per forza fare delle scelte.

Ha ragione allora Museeuw nella distinzione che fa tra l’olandese e il belga…

Sicuramente. Fino allo scorso anno VDP correva in maniera sin troppo generosa, faceva spettacolo ma perdeva troppe occasioni. Poi ha fatto delle scelte, ha orientato la programmazione in funzione degli obiettivi mirati e i risultati si sono visti. Che sia chiaro un punto: a me Van Aert piace da morire, lo ricordo giovanissimo che correva con le bici Colnago, solo che deve disciplinarsi e sacrificare qualcosa.

L’ultima delle 6 vittorie del belga nel 2023, alla Coppa Bernocchi. Un bilancio insoddisfacente
L’ultima delle 6 vittorie del belga nel 2023, alla Coppa Bernocchi. Un bilancio insoddisfacente
Un Van Aert capitano in un grande Giro significa dover anche gestire la squadra nei tapponi di montagna. Per uno che è abituato a farlo nelle classiche d’un giorno è la stessa cosa?

No, cambia molto. Devi saper gestire la situazione, la classifica, saper valutare quali sono le tappe più dure per te e sfruttare la squadra in modo da perdere il meno possibile. Il vero e proprio “correre in difesa”, sapendo che le crono possono essere invece un dato a favore come anche gli abbuoni in tante tappe. Evenepoel è la stessa cosa, si sa ormai che nei tapponi ha dei limiti, sulle salite lunghe e ripetute alla fine paga dazio. Bisogna saper gestire proprio quelle situazioni per poter emergere.

Tu per impostazione tecnica ti sei trovato a gestire la stessa situazione e hai portato a casa la maglia rosa…

E’ improponibile fare paragoni fra epoche così diverse, il ciclismo è cambiato enormemente da allora. Io ero veloce perché da dilettante avevo svolto un’attività prevalentemente da pistard, anzi la strada non l’avevo mai preparata realmente. Quando sono passato e ho iniziato a fare la vita da professionista è cambiato tutto, ma proprio a livello esistenziale. Ho iniziato a preparare l’attività su strada in maniera metodica, vedevo che in salita e a cronometro mi difendevo, mi sono evoluto tecnicamente e alla fine ho capito che potevo essere competitivo anche in un grande Giro. Ma rispetto a oggi c’è una differenza fondamentale…

Nel gravel, Van Aert ha conquistato uno dei 6 successi 2023, ma l’impegno in più specialità rischia di costargli caro
Nel gravel, Van Aert ha conquistato uno dei 6 successi 2023, ma l’impegno in più specialità rischia di costargli caro
Quale?

Io arrivai a essere pro’ che dovevo imparare tutto, dovevo anche evolvermi muscolarmente. Oggi invece i ragazzi fanno attività metodica sin da giovanissimi, arrivano alla massima categoria che sono già svezzati da quel punto di vista, devono solo adeguarsi alle esigenze dell’attività. Sono già formati, preparati. Quel salto non c’è.

Tornando a Van Aert, non pensi che i tanti secondi posti alla fine pesino psicologicamente?

Questo può essere. Alcune vicende, come quella della Gand-Wevelgem, dicono che Wout è uno buono per carattere e questo pregio può anche diventare un difetto. C’è il rischio che alla fine ti abitui a finire secondo, che perdi quella grinta necessaria per dare la zampata finale. Vincere è qualcosa di particolare, può anche farti scattare qualcosa nella testa. Meglio non abituarsi ai secondi posti, lo dico per lui…

La Mercatone Uno vent’anni dopo, in ricordo di Pantani e Cenni

12.11.2023
8 min
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IMOLA – Una biglia rossa, la figura di un ciclista. A poche centinaia di metri dall’uscita dell’autostrada di Imola, procedendo verso sud, se si rivolge lo sguardo a destra si vede l’ex torre della Mercatone Uno con ai piedi l’iconica biglia di Marco Pantani. Un simbolo, che riporta alla memoria una miriade di ricordi legati al Pirata. Un luogo che ieri, vent’anni dopo, si è popolato da chi ha condiviso risate, successi, pianti con il campione romagnolo. Ex corridori della Mercatone Uno, direttori sportivi, massaggiatori, meccanici…

Il tutto organizzato dal suo ex compagno Fabiano Fontanelli e da Micaela Cenni, figlia di Romano che da sempre ha creduto nel ciclismo, prima con la Germanvox e poi con Marco. Un museo intitolato ai due volti della squadra romagnola, che ha saputo scrivere pagine di storia dello sport, attraverso imprese epiche che rimarranno indelebili per sempre. Uno spicchio di tutto quello che è stato, si è preso un piano di quella torre, quasi a voler scortare la memoria di Marco e Romano dietro quella biglia adagiata sul prato verde che vede passare gli anni e gli sguardi di tutte le generazioni. 

Voglia di ricordare

Arriviamo sotto la torre, la biglia è alle nostre spalle. Il piazzale che ci circonda meriterebbe di essere ricoperto da un red carpet per la quantità di persone che hanno contribuito a rendere grande questo sport. Giuseppe Martinelli, Orlando Maini, Roberto Conti, Davide Cassani, Michele Coppolillo, Dmitri Konychev, Marcello Siboni e si potrebbe continuare per almeno dieci righe, basti vedere la foto in apertura. 

Tutto questo è nato dalla volontà di due persone. «Fabiano Fontanelli ha organizzato tutto – dice Micaela Cenni – ha voluto che tutti fossero qui per salutare Marco e il mio papà a 20 anni dalla chiusura di quel progetto che oggi rimane un riferimento per quello che è riuscito a raccogliere. Tutto quello che avevamo è stato venduto. Ho ricomposto la collezione di maglie della Mercatone Uno, in parte con alcune cose che avevamo, in parte le ho riacquistate. Voglio che questa città abbia un luogo dove ricordare il mio papà e Marco».

Tutti per uno

Una vera e propria rimpatriata, come quelle che si fanno dopo tanti anni con gli ex compagni di classe. Qui sono passati vent’anni e una differenza c’è, la maggior parte di loro ha fatto parte della vittoria di un Giro d’Italia o di un Tour de France. Se socchiudiamo gli occhi, con un po’ di immaginazione, ci sembra di vederli ancora con quell’iconica maglia gialla e la scritta Mercatone Uno sul petto, sulla schiena, sulla pelle, nel cuore… 

Saliamo le scale, arriviamo nella sala conferenze dell’attuale Center Tower. Cassani prende la parola e, come solo Davide sa fare, con il suo tono profondo e carismatico inizia a ricordare cosa sono stati per lui quei sette anni (dal 1997 al 2003, ndr).

«Non ci vediamo da anni – dice – è bellissimo ritrovarvi tutti qui e la cosa straordinaria è essere dietro la biglia di Marco, non c’è luogo migliore. Siamo qui perché Romano Cenni credette nel ciclismo in più momenti, con la Germanvox all’inizio, poi arrivò la Mercatone Uno con Bartoli, Cipollini e Casagrande. Poi terminò l’attività nel 1995 con l’arrivo della Saeco. Ma cosa succede? La Mercatone Uno ritorna nel ’97 grazie a due persone, Cenni e Luciano Pezzi. Sono loro due che uniscono le loro forze e scommettono su questo corridore romagnolo, Marco Pantani».

Ognuno il suo

La sala si è immersa in un religioso silenzio. Da qui parte un valzer di aneddoti e ricordi che rimbalzano da una sedia all’altra, ognuno ha un ricordo da condividere di Marco e di quegli anni. Si potrebbe scrivere un libro con quello che si è detto, storie che si conoscono già, ma che riportano alla mente un periodo dove il corridore più forte al mondo si chiamava Marco Pantani e vestiva la maglia della Mercatone Uno. Cassani dopo il suo intervento dice: «Qui tutti hanno un ricordo di Marco, chi vuole lo condivida». 

Martinelli incalzato da Davide lo raggiunge: «Io qui ho imparato a fare il diesse e le dinamiche di una squadra di alto livello grazie ai consigli di Luciano Pezzi e di Franco Cornacchia. Su Marco potrei parlare per ore, mi ricordo che non ero sicuro che volesse partire per il Tour dopo il Giro d’Italia vinto nel ’98. Lo andai a prendere a Cesenatico e finché non arrivammo alla partenza in Irlanda non ci credetti veramente.

«Si era allenato come una bestia – salta su Roberto Conti – mi ricordo che ci fermammo ad una fontana a Rimini e Marco chiese a me e a Siboni: «Ragazzi se vado al Tour secondo voi quanto faccio?». Noi rispondemmo: «Potresti arrivare sul podio, magari terzo». Inutile dire che si arrabbio parecchio con noi e ci disse che sarebbe andato solo per vincere».

Le voci si susseguono, ognuno ha qualcosa da raccontare. Maini e la mantellina sul Galibier, Conti sulla Marmolada, Coppolillo e le sue sfide da dilettante, Borra e la ripresa dall’infortunio del ’95. Agostini da compagno di scuola, il meccanico “Falco“ e le sue regolazione sulla Bianchi del Pirata. Racconti ed emozioni di chi quegli anni li ha vissuti in prima persona.

La biglia

“Il mio Pantani, i miei Campioni”, questo è il titolo del memoriale inaugurato oggi, nonché titolo del libro di Romano Cenni a cura di Beppe Conti. Appena ci affacciamo vediamo un’ampolla, con all’interno centinaia di biglie di Marco Pantani come quella fuori. Un ricordo semplice, ma dal significato senza limiti.  

Un intero piano dedicato alla memoria di Cenni e Pantani, maglie appese che ripercorrono gli inizi e le imprese. Le bici che si sono arrampicate sulle salite più importanti d’Europa. Prime pagine di giornale con i titoli che ancora oggi se letti fanno venire i brividi. Un viaggio tra i ricordi di due delle persone che hanno reso speciale una squadra e un periodo del ciclismo in tutto il mondo. Un viaggio per tutti.

Così da ieri, chi percorre l’A14 in direzione Ancona e si trova la mastodontica biglia rossa di Marco Pantani sulla destra, può rallentare ed entrare per vivere quei ricordi e portarsi a casa la sua di biglia per custodirla gelosamente, sapendo che è molto di più di un giocattolo per bambini.

Barbieri, l’addio alla pista e il tentativo di Villa

12.11.2023
3 min
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“Barbieri, il passaggio alla DSM e l’addio (sofferto) alla pista”. Con questo titolo giovedì abbiamo raccontato la scelta di Rachele Barbieri, in procinto di passare al Team DSM-Firmenich, di lasciare la pista proprio nell’anno delle Olimpiadi.

«Penso di avere dato tanto alla pista – ci ha detto – è il mondo in cui ho raccolto i risultati più importanti. Ho mandato un messaggio a Villa per dirgli che ho scelto di puntare tutto sulla strada e non aver ricevuto neanche una risposta mi ha fatto rendere conto che ho fatto la scelta giusta».

L’abbraccio fra Barbieri e Villa agli europei del 2022, dopo la vittoria della madison
L’abbraccio fra Barbieri e Villa agli europei del 2022, dopo la vittoria della madison

La riunione di Glasgow

Come correttezza e curiosità impongono, abbiamo contattato il tecnico della pista azzurra, che dopo le Olimpiadi di Tokyo ha ricevuto l’incarico di seguire anche il settore femminile della pista. Non è un mistero che dopo i mondiali di Glasgow e alcune prestazioni non proprio esaltanti delle ragazze, Villa si fosse sfogato invitando le azzurre a frequentare con più assiduità la pista.

«Non siamo riusciti a trovare la quadra – spiega – mentre gli uomini ormai sanno gestirsi meglio. Niente di troppo grave, il WorldTour femminile c’è da soli tre anni e le ragazze sono giovani e devono trovare gli equilibri giusti. Per questo dopo i mondiali, Amadio ha fatto una riunione chiedendo loro chi volesse garantire il proprio impegno in pista. Rachele era già ripartita, per cui questa cosa le fu riportata».

Agli europei del 2022, oltre alle medaglie su pista, per Barbieri il bronzo nella prova su strada, dietro Wiebes e Balsamo
Agli europei del 2022, oltre alle medaglie su pista, per Barbieri il bronzo nella prova su strada, dietro Wiebes e Balsamo

La reazione di Villa

Amadio diede alle ragazze una scadenza entro la quale fornire la risposta richiesta, quella di Rachele è arrivata oltre quel tempo e nei toni a Villa è parsa molto netta in favore della strada.

«A me dispiace che abbia scelto in questo modo – prosegue Marco – perché so quanto ha dato alla pista. Nel 2022 agli europei vinse tutto, quest’anno non ha avuto una stagione troppo buona, ma sono cose che possono succedere. Mi dispiace pensi che sia tutto deciso, perché non è vero. Ascoltando i singoli, ognuno ha le argomentazioni più convincenti. Io però ho otto atlete e devo farne correre cinque, per cui devo avere una visione di insieme. Non le ho risposto subito perché prima ho voluto confrontarmi con Nicola Assuntore, responsabile delle Fiamme Oro, per capire se possa parlarci lui e se ci sia margine di ripensamento. Non voglio che tutto questo diventi un botta e risposta sui media. Ma risponderò certamente a Rachele». 

Frattanto la nazionale sta per iniziare il percorso di avvicinamento all’anno olimpico. Dal 15 al 19 novembre tutte le ragazze sono attese a Noto per il primo ritiro del nuovo anno. Pedaleranno prevalentemente su strada, ma il velodromo Pilone poco distante dall’hotel sarà comunque il loro punto di riferimento. A differenza dello scorso anno, le azzurre candidabili a un posto per Parigi 2024 saranno tutte presenti, come chiesto da Amadio in quella riunione a Glasgow.

Champions League della pista, un format per tutti

12.11.2023
6 min
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LONDRA – Battiti e watt sprigionati sia dagli atleti in pista che dal pubblico sulle tribune. La Uci Track Champions League è una centrifuga emozioni e adrenalina che ti intrattiene costantemente. E non potrebbe essere altrimenti in un evento organizzato dalla Warner Bros Discovery.

Le sue serate offrono sempre alta qualità di ciclismo e coreografie studiate ad hoc per gli spettatori. Le ultime due prove disputate nel velodromo olimpico Lee Valley di Londra hanno definito le classifiche finali. L’olandese Harrie Lavreysen e la neozelandese Ellesse Andrews hanno vinto le discipline degli sprint, mentre il canadese Dylan Bibic e la scozzese Katie Archibald quelle dell’endurance (in apertura foto UciTCL). Noi però abbiamo voluto approfondire il dietro le quinte con il trentaduenne francese Florian Pavia, il Series Director della UCI Track Champions League. Una persona disponibile e moderata, nata in Marocco, con origini di Pantelleria (tanto che suo padre parla ancora italiano) e che ha lavorato per ASO (la società organizzatrice del Tour de France) prima di passare al gruppo WBD. Sentiamo cosa ci ha detto.

Origini italiane. Il francese Florian Pavia è il Series Director della Uci Track Champions League. Nel 2024 spera di portare Viviani e Ganna
Origini italiane. Il francese Florian Pavia è il Series Director della Uci Track Champions League. Nel 2024 spera di portare Viviani e Ganna
Nel 2021 quando è nata, si diceva che la Champions League doveva sedurre il telespettatore. Ad oggi è vinta la sfida per voi?

Credo di sì. Abbiamo voluto il format per questo e lo organizzeremo fino al 2028. Volevamo rendere il ciclismo su pista accessibile per tutti. Non solo per chi ama la pista, ma anche per un pubblico molto più largo e distante dal ciclismo. La priorità resta sempre il prodotto televisivo, però va trovato sempre il giusto equilibrio tra l’esperienza nel velodromo e quella che viene percepita a casa. Su questo ci lavoriamo sempre dopo ogni evento, facendo tante prove.

In questa ricerca di equilibrio guardate più all’utente da casa?

Certamente, il nostro resta un prodotto che deve privilegiare il telespettatore. Nel velodromo abbiamo cinquemila persone, che sono comunque tantissime per un evento del genere, però da casa ne abbiamo più di centomila. I numeri sono sempre cresciuti dalla prima edizione ad oggi. In realtà sono incrementi piccoli perché avevamo già iniziato molto bene. Siamo sull’ordine del 10 per cento di crescita ogni anno in televisione.

Velocità, keirin, eliminazione e scratch sono le discipline perfette per un prodotto televisivo di massimo tre ore (foto UciTCL)
Velocità, keirin, eliminazione e scratch sono le discipline perfette per un prodotto televisivo di massimo tre ore (foto UciTCL)
E nei velodromi?

Lì invece abbiamo percentuali molto più alte. A Parigi nel 2022 avevamo avuto circa 2.500 persone, quest’anno oltre 4.000. E senza avere i grandi nomi della pista francese. Questo significa che la gente che è venuta per assistere e godersi il nostro spettacolo. Un mix tra gare e coinvolgimento generale, con giochi di luci e musica. Sono tre ore di gare che volano via velocemente. Ed il pubblico resta appassionato dall’inizio alla fine.

Come scegliete le sedi delle prove?

La scelta dei velodromi in questi anni non è stata mai casuale. Un po’ per i mercati di quei Paesi e un po’ per la tradizione che hanno su pista. Maiorca, ad esempio, è un’ottima meta anche per il buon clima. Vorremmo andare in Olanda ad Apeldoorn. Ci stiamo lavorando per farlo già nel 2024. Bisogna dire che poi abbiamo dei nostri requisiti da rispettare.

Quali sono?

I velodromi devono avere un’altezza al soffitto di almeno nove metri per poter installare la cable-cam. Poi ci vuole tutto lo spazio necessario per le attrezzature. Abbiamo un camion-regia che controlla diciotto telecamere puntate su pista e spalti. Infine, abbiamo anche un compound dentro al velodromo che si occupa di tutte le luci e gli effetti coreografici con grande coordinazione. Uno spettacolo del genere non lo possiamo allestire in qualsiasi posto.

Rispetto alla prima edizione cosa è cambiato?

Dal 2021 ad oggi abbiamo dovuto fare inevitabilmente degli aggiustamenti. Ad esempio l’ordine delle gare lo abbiamo cambiato quest’anno in modo che fossero più coerenti e logiche per la televisione. Ci siamo resi conto che la presentazione dei leader delle classifiche non potevamo più farle dopo circa 45 minuti di gare. Era una questione televisiva, ma il pubblico del velodromo non capiva. Così abbiamo deciso di farla subito ed trasmetterla in differita in un momento di piccolo intervallo.

Possono esserci novità per le prossime Uci Track Champions League?

Per le edizioni future stiamo facendo riflessioni se aggiungere delle specialità. La parte della velocità funziona molto bene. E’ in linea con la nostra idea di evento. La parte endurance invece è un po’ più difficile. Questi corridori corrono per circa dieci minuti. Metà di loro ti dice che è perfetto, l’altra metà no perché non riesce ad esprimersi al massimo. Se vogliamo mantenere tre ore di programma, non abbiamo alternative. Tuttavia per gli atleti dell’endurance abbiamo organizzato nel pomeriggio una corsa a punti (che assegna qualche punto nel ranking UCI, ndr) così possono utilizzarla come gara di riscaldamento.

Secondo voi può rubare scena e atleti alle Sei Giorni?

Penso di no. La Champions League è un prodotto totalmente differente dalle Sei Giorni. Quelle sono gare per un pubblico che segue la pista costantemente, quasi di nicchia. Ad esempio il loro format si presta poco alla televisione.

Nell’anno olimpico ci sarà la possibilità di vedere qualche nome importante?

Solitamente la qualificazione per la Champions League avviene con i mondiali, ma l’anno prossimo non sarà possibile perché ci saranno prima le Olimpiadi. Quindi dopo Parigi 2024 vedremo i risultati e distribuiremo le nostre 17 wild card. Indipendentemente da tutto, guardando in casa vostra, a noi piacerebbe molto avere corridori come Viviani o Ganna. Faremo un tentativo per portarli da noi.

Nel fango del Superprestige, ad Alvarado e Iserbyt la sfida di Niel

11.11.2023
6 min
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NIEL (Belgio) – Bastano pochi secondi per capire che si è in un’altra dimensione. Uno sguardo alla tanta gente, un occhio al percorso, alla presenza di maxischermi e furgoncini che vendono birra, patatine fritte e panini: il ciclocross in Belgio è davvero un’altra cosa.

Se poi si scorrazza nel parcheggio riservato agli elite e alle elite, la musica cambia ancora. Non siamo al livello di una gara su strada, anche perché le esigenze sono diverse, ma ci sono camper e motorhome come se piovesse. E i big hanno tutti il loro mezzo personalizzato: uno per ciascuno, questa è la regola.

Niel ospita il Jaarmarktcross, terza prova del Superprestige. Ci sono praticamente tutti. Mancano i tre “mammasantissimi” (Pidcock, Van Aert e Van der Poel), ma solo perché faranno un calendario diverso. E anche tra le donne la musica è quasi la stessa.

Alvarado: facile, facile…

E iniziamo proprio dalla ragazze. La favorita era Celyn Alvarado e Celyn Alvarado ha vinto. Il suo successo non è mai stato messo in discussione. Dopo il primo passaggio sulla sabbia, unico punto in cui non era in testa, l’olandese ha fatto il vuoto.

Poco prima dello start delle ragazze è piovuto copiosamente e il percorso, già appesantito da dieci giorni di pioggia pressoché incessante, è peggiorato ulteriormente. Pochissime riuscivano a fare in sella la collinnetta al 60 per cento di pendenza in discesa. Né tanto meno il “muro di Niel” in salita.

Il problema di quella planata, oltre al fango e alla pendenza, era la “palude” che c’era in fondo. Era composta da un fango alto 20-25 centimetri almeno. Pensate che una ragazza vi ha perso una scarpa mentre la attraversava a piedi! Quindi si scendeva di sella e una volta alla base della rampa si correva. Il tutto con un pubblico sempre più festante e, diciamolo pure, reso alticcio dalla tanta birra.

«E’ stato un cross davvero duro – ha detto Alvarado – il percorso era molto scivoloso e non potevi davvero vedere dove stavi andando. In qualche occasione bisognava anche essere fortunate. Da sola subito? Non era questa la tattica. Però questo mi ha consentito di prendere il mio passo e non rischiare eccessivamente».

Non avrà rischiato, ma se si pensa che lei che era la prima in alcuni tratti saliva aggrappandosi anche con la mano che non teneva la bici in spalla, si può comprendere la difficoltà della situazione.

Iserbyt di misura

Neanche un po’ di tempo per capire come stavano le cose ed ecco gli uomini. La differenza di velocità è stata pazzesca. Altri rumori quando ci passavano accanto. Altri respiri.

La gara maschile è stata più tesa. Molto più tesa. Merito soprattutto di Eli Iserbyt e Joris Nieuwenhuis, per un duello Belgio-Olanda che da queste parti acchiappa sempre. E infatti il tifo si è fatto sentire.

I due aprono un buon gap, ma ci mettono almeno due giri pieni. Dietro, come una formichina, risaliva il sorprendente spagnolo Felipe Orts, alla fine anche lui applaudissimo.

Iserbyt si è scaldato su strada. I rulli erano pronti, ma vedendo il sole ha preferito pedalare liberamente. Nieuwenhuis invece come tutta la sua squadra, la Baloise-Trek-Lions ha preferito i rulli. Tutti si attendevano la sfida a tre, fra Nys, Vanthourenhout e Iserbyt e invece niente di tutto ciò è avvenuto.

Nys ci è parso molto teso: prima del via è parso chiuso in se stesso. Comunque ha terminato la gara, ad oltre 7′ di ritardo. Ha commesso un errore in un tratto tecnico iniziale. Ha perso tantissime posizioni ed è naufragato. Mentre Vanthourenhout, si è ritirato. Ma chi lo conosce dice che domani saprà riscattarsi.

Questione di centimetri

Alla fine nel tratto più tecnico, il corridore della Pauwels Sauzen-Bingoal ha avuto la meglio. Siamo abbastanza convinti che abbia inciso anche la statura. Anche perché come ha detto Iserbyt stesso lui non ama moltissimo il fango quando è così tanto. Su questo tracciato tanto scivoloso, le leve molto più corte del belga e il suo baricentro più basso hanno prevalso sull’altezza di Nieuwenhuis. Tra i due ci sono 21 centimetri: uno è alto 1,65 metri, l’atro 1,86.

E poi chissà, forse ha inciso anche una componente tecnica. Delle bici del podio, quella di Iserbyt era l’unica con la doppia corona (46-39), nonostante il fango. Gli altri avevano una mono da 42.

Ora l’attenzione è già rivolta tutta a domani, a Dendermonde, una ventina di chilometri a Sud-Ovest da Niel. E’ questa la magia: tutte le gare sono ravvicinate e questo invoglia team, ragazzi, pubblico… Dal Superprestige si passa alla Coppa del Mondo, due gare di livello siderale in 24 ore. E lo spettacolo non cambierà di molto. Iserbyt ha già detto che vuole il bis: «Spero che le gambe siano quelle di oggi. Ora si va a recuperare».

Cattaneo, il Wolfpack, Moscon e il sogno di Parigi

11.11.2023
5 min
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MILANO – Cattaneo parlotta con Ganna, poi Filippo si sposta e arriva Lorenzo Milesi. L’iridato U23 della crono è appena tornato dalle vacanze, con il grosso punto interrogativo su dove correrà nel 2024: se ancora al Team DSM-Firmenich o alla Ineos Grenadiers. Con i due si scherza delle Olimpiadi: se portano Ganna, l’altro è Cattaneo. Due della Ineos sarebbero troppi. Ridono. Il Giro d’Onore della FCI è una bella occasione anche per loro.

Sul palco del Teatro Manzoni, ieri in occasione del Giro d’Onore, sono saliti tutti i tecnici azzurri
Sul palco del Teatro Manzoni, ieri in occasione del Giro d’Onore, sono saliti tutti i tecnici azzurri

I ragazzi del 1990

Poi Cattaneo torna serio. Con lui si può parlare di Evenepoel, come dell’arrivo di Moscon. Di Bagioli e Ballerini andati via, del nuovo corso della Soudal-Quick Step, il cui spirito secondo Remi Cavagna, che l’ha lasciata, si sarebbe annacquato. Gli raccontiamo anche dell’intervista con Sbaragli di qualche giorno fa, quando ci rendemmo conto che dei fantastici corridori classe 1990, portatori di grandi promesse con atleti come Aru e Moreno Moser, sono rimasti soltanto lui, il toscano e Fabio Felline. Mattia alza gli occhi al cielo.

«Non è una cosa facile avere 33 anni in questo ciclismo – ammette – però la carriera che ho avuto mi aiuta. All’inizio ho avuto qualche anno difficile, quindi non ho consumato tutto quello che avevo e adesso comincio a ottenere i miei risultati. Logicamente l’età avanza, quindi alla fine dovrò farci i conti, però il livello che sono riuscito a ottenere anche quest’anno per me è ottimo, quindi spero di durare il più a lungo possibile».

Con Affini, Sobrero, Paladin, Cecchini e Guazzini, Cattaneo ha centrato l’argento nella cronosquadre agli europei
Con Affini, Sobrero, Paladin, Cecchini e Guazzini, Cattaneo ha centrato l’argento nella cronosquadre agli europei
Che anno è stato per te il 2023?

Penso il migliore da quando sono professionista. Sono super contento, però ormai è passato e bisogna già guardare avanti.

Cosa hai pensato quando si è cominciato a parlare della fusione fra la tua squadra e la Jumbo-Visma?

Ormai in questo ciclismo non puoi essere sicuro di niente, però io ero sereno. Sapevo di aver fatto una super stagione per quello che è il mio lavoro e di conseguenza, detta fuori dei denti, credo che nella peggiore delle ipotesi una squadra l’avrei trovata. Ero tranquillo, non arrivavo da un anno in cui non avevo fatto niente. In caso contrario, magari avrei pensato che se ci fosse stata la fusione, sarei rimasto a piedi…

Nel frattempo in ogni caso dalla squadra sono andati via anche alcuni nomi di rilievo. Cavagna ha detto che il Wolfpack non è più quello di un tempo…

Ne avevamo già parlato prima della Vuelta e le cose si stanno confermando. Io credo che quando cambi così tanti corridori, è logico che hai bisogno di un po’ di rodaggio per creare il gruppo. Non è più la Quick Step di qualche anno fa, ma è inevitabile perché c’è Remco che condiziona gran parte delle scelte, come è giusto che sia quando hai un corridore del genere.

Ai mondiali di Glasgow, per Cattaneo è arrivato l’8° posto, seguito dal 5° degli europei
Ai mondiali di Glasgow, per Cattaneo è arrivato l’8° posto, seguito dal 5° degli europei
Deve crearsi di nuovo il clima giusto?

Ci sono tanti giovani e tanti nuovi elementi che arrivano nella squadra con l’idea di entrare nel Wolfpack, quindi secondo me sono nuova linfa perché questa cosa torni visibile, perché alla fine tra di noi c’è sempre stata. Non così evidente, però c’è sempre stata.

La tua storia parla di anni iniziali difficili alla Lampre, poi del rilancio con l’Androni e in qualche modo di una consacrazione nel gruppo Quick Step. Credi che Moscon potrà approfittarne come è successo a te?

Ho sempre detto, senza offendere l’uno né l’altro, che è la Quick Step è un’Androni con più soldi. Nel senso che è una famiglia e credo che sia la squadra giusta per cercare un rilancio. Credo che Gianni abbia vissuto anni un po’ complicati per una serie di motivi e credo che questa sia la squadra giusta per ritrovare il Moscon di qualche anno fa. Secondo me avevamo bisogno di uno come lui nelle classiche del pavé in cui eravamo un po’ meno forti e lui secondo me è un innesto che, se rende come dovrebbe, potrebbe fare la differenza.

Lombardia, abbraccio fra Bagioli arrivato secondo e Cattaneo. Dopo 4 anni, le loro strade si separano
Lombardia, abbraccio fra Bagioli arrivato secondo e Cattaneo. Dopo 4 anni, le loro strade si separano
Come hai vissuto, al contrario le partenze di Bagioli e Ballerini?

Per “Bagio” alla fine credo che sia stato giusto così. Alla fine, se aveva ambizioni personali, è giovane e ci sta che abbia cercato una squadra che gli lasci più spazio. Per Ballerini mi dispiace, perché secondo me era un uomo importante per quella fascia delle classiche. Non conosco bene le dinamiche di tutte le cose. Va in una squadra dove comunque è già stato, conosce l’ambiente che trova, quindi evidentemente ha fatto la sua scelta. Dispiace perché secondo me poteva essere una pedina importante per noi al Nord.

Per il prossimo anno immagini un cammino parallelo a quello di Remco nei grandi Giri e strizzi un occhio alle Olimpiadi? 

Le Olimpiadi sono un sogno, ma non è facile. Senza girarci attorno, abbiamo due posti per la crono e uno è di Ganna. Poi ci sono altri tre o quattro che si giocano il secondo. Io cercherò di fare il massimo, ma come al solito saranno le gambe, Velo e Bennati ad avere l’ultima parola.