Dalla Alpecin alla Corratec, così Kristian Sbaragli ha preso il suo mondo e lo ha ridisegnato, un po’ per necessità e un po’ cercando qualcosa di diverso per se stesso. Negli ultimi anni è stato la sponda e la guida per Van der Poel e Philipsen, ma ora che la squadra belga ha deciso di ringiovanire la rosa, tenendo i tre leader e facendo passare tutti o quasi i ragazzi del Devo Team, per il corridore classe 1990 di Castel Fiorentino non c’è stato più posto.
«Io con loro stavo bene – spiega – non ho avuto problemi. Solo che dopo il mondiale si è parlato con la squadra: c’erano progetti diversi e alla fine non c’erano più le condizioni per rimanere. Ho fatto quattro anni, anche loro erano contenti. Così alla fine è stata solo una scelta tecnica, una volontà di rinnovamento. Nel mondo del lavoro funziona così, ognuno ha la sua politica e per questo ci siamo lasciati. Non è stato più possibile proseguire, ma siamo rimasti in ottimi rapporti».
Come siamo arrivati alla Corratec?
Quando abbiamo parlato con la squadra e abbiamo capito che non era nei piani rimanere, c’erano varie opzioni, però niente di concreto. Abbiamo parlato con sia con WorldTour sia professional, però non siamo mai arrivati a firmare un contratto. Nel frattempo avevo parlato anche con la Corratec. Per cui, una volta finita la stagione, ci siamo visti un paio di volte con Lastrucci, che è uno degli sponsor della squadra. Lo conosco da una vita, perché quando ero junior alla Vangi, era sponsor del team. Poi da dilettante ho corso con lui alla Hopplà e mi ha convinto a sposare questo progetto, a rimettermi in gioco in prima persona per raggiungere degli obiettivi personali che negli ultimi quattro anni avevo messo in secondo piano. E io alla fine ho accettato la sfida. Naturalmente è una squadra più piccola, ci saranno occasioni in cui altri saranno leader, ma di base parto con molta più libertà.
Diciamo che il terzo posto al campionato italiano ti ha acceso una lampadina?
Quello è stato uno dei fattori, una delle cose che mi ha convinto. Sicuramente faremo un calendario più adatto alle mie caratteristiche. E poi non mi dispiacerebbe riscoprire questa parte. Non si tratta di vincere un Giro d’Italia o partire la stagione con l’obiettivo di vincere la Sanremo, anche se tutto può succedere. Voglio essere competitivo e vedere che risultati si possono raccogliere non avendo compiti da svolgere per altri capitani.
La differenza più grande sarà proprio l’organizzazione della squadra.
La struttura è senza dubbio più piccola, quindi come in tutte le professional ci saranno sicuramente dei deficit per il livello di personale e alcune parti organizzative. Però diciamo che essere vecchio, fra virgolette (sorride, ndr), mi ha permesso di raccogliere l’esperienza che può servire. In questi quattro anni alla Alpecin ho imparato tanto. Lavoravamo in maniera molto specifica, soprattutto su determinati allenamenti e l’alimentazione durante gli allenamenti e la gara. Se uno sta attento e non lo fa soltanto perché gli viene detto, ma ascolta e si guarda intorno, sono cose che si ritrova anche quando cambia squadra. E’ un bagaglio di esperienza che con l’età ti porti dietro. Ogni anno ho sempre cercato di raccogliere tutta l’esperienza possibile, cercando di fare le cose sempre nel modo migliore.
Magari il tuo arrivo sarà di aiuto anche per gli altri…
Penso di avere un po’ di esperienza da mettere a disposizione per far crescere tutta la squadra. Ho in mente i ragazzi più giovani. Magari non gli manca niente, però non sono mai stati in realtà più grandi e forse avere qualche riferimento in più potrà essergli utile.
Dei fantastici italiani del 90 siete rimasti soltanto tu, Cattaneo e Felline. Cosa significa avere 33 anni in questo ciclismo così veloce?
A livello assoluto, 33 anni possono essere relativamente tanti. Il prossimo anno nelle WorldTour ci saranno tantissimi ragazzi nati dopo il 2000. Una delle considerazioni che ho fatto è quella di considerare il livello che ho attualmente e penso che sia ancora buono. Se non fossi più competitivo o non credessi di poterlo essere nella prossima stagione, avrei potuto anche smettere. Ho fatto una carriera di 11 stagioni fra i professionisti, quindi alla base deve esserci la consapevolezza di essere competitivi. Di certo ci sono tanti giovani che vanno forte, è cambiato l’approccio dalle categorie giovanili. Gli juniores che passano e sono competitivi sono la regola, mentre una volta poteva esserci qualche eccezione e poco di più. E’ il ciclismo che si evolve, vediamo se si può ancora dire qualcosa.
Pensi sarà difficile tornare a giocarsi le corse?
Negli ultimi quattro anni mi è capitato spesso di essere a disposizione di Philipsen, Van der Poel e Groves. Ma anche nell’ultima stagione, qualche giornata libera l’ho sempre avuta. L’istinto di giocarsi le gare andrà risvegliato, l’importante sarà essere avanti e riprendere un po’ il feeling. Ma soprattutto serviranno le gambe. Sono meccanismi che seguono anche la condizione di giornata. Quando si sta bene, si fanno meno errori.
Hai ripreso ad allenarti?
Da questa settimana ho ricominciato con un po’ di palestra. Poi farò qualche uscita in bici, magari a seconda del meteo, in mountain bike o bici da strada. Un paio di settimane di riattivazione blanda e da fine novembre si riprende con gli allenamenti più lunghi, fino al ritiro di dicembre. Non so se troverò qualche compagno con cui allenarmi, di sicuro in ritiro avrò modo di conoscerli bene. Ma con il magazzino in Toscana, non sarà difficile incontrarsi anche al di fuori delle corse.