Un giorno a casa De Lie. Tra mucche e trofei, scattano i racconti

15.11.2023
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LECHERET (Belgio) – Sulle colline del Lussemburgo Belga soffiano folate di vento decise. Il cielo è grigio così come le case col tetto a spiovente. Ogni tanto volano gocce di pioggia e foglie morte. Foreste si alternano ad ampie praterie che fanno sembrare gli spazi enormi. E’ qui che vive Arnaud De Lie, uno degli astri nascenti del ciclismo belga.

«Benvenuti – il corridore della Lotto-Dstny ci apre la porta con un sorriso – come avrete visto qui ci sono più mucche che persone!». Una battuta, mentre il cane Oscar corre dappertutto e il ghiaccio è già rotto.

Si apre la porta

Altre volte siamo stati a casa di corridori che vivono in campagna, ma per loro la vita agricola era lontana. Per De Lie invece è vera. «Questa mattina, sapendo del vostro arrivo, mi sono dovuto sbrigare con le mucche». Ci avevano detto che quello che pubblicava sui post e le sue dichiarazioni circa la vita di campagna erano vere: non possiamo far altro che confermare.

Entrando nel mondo privato di un corridore, partiamo dalle prime sue pedalate. «Mio padre Philippe andava in bici – racconta Arnaud – e anche noi (il riferimento è al fratello Axel, presto anche lui corridore a tempo pieno, ndr) spesso volevamo fare come lui. Io ho iniziato a sette anni con la mtb. Sono andato subito bene. Poi a undici anni sono passato alla strada. Nelle categorie giovanili ho vinto il titolo nazionale e poi tutto il resto. Ed ora eccomi qua, con questa passione che è anche una professione».

“Passione che è anche una professione”: tuttavia lo stesso Arnaud ammette che non ama del tutto definirlo un lavoro. «Se il ciclismo fosse un lavoro sarebbe un vincolo. Anche se di fatto è un mestiere io preferisco vederlo davvero come una passione. E’ così che lo vivo. Alzarmi la mattina per andare a pedalare non è qualcosa che mi pesa, al contrario».

La fama per ora non è un problema per De Lie, che ben si presta a partecipare agli eventi di contorno (foto Instagram)
La fama per ora non è un problema per De Lie, che ben si presta a partecipare agli eventi di contorno (foto Instagram)

Fama in crescita

Mentre parliamo scopriamo la casa della famiglia De Lie. Anche questa è grigia, ben rifinita, con una vettura elettrica nel cortile come moltissimi belgi. La stalla è dall’altra parte del cortile. Dietro e davanti i terreni dove pascolano le mucche.

In Belgio è molto sentito il rapporto dei corridori con i fans. Ora De Lie lo riconoscono per strada, specie quando va nelle Fiandre. Più che in Vallonia. In quelle terre il ciclismo è vissuto davvero in altro modo.

Qualcuno ha criticato Evenepoel per non essere sempre educato con i tifosi. Addirittura lo hanno additato per essersi trasferito in Spagna. Van Aert è assediato nella sua casa di Herentals. La pressione, insomma, da queste parti si sente se sei un ciclista forte.

«Io però la pressione non la sento – prosegue De Lie – so cosa voglio fare. Conosco i miei obiettivi, ciò di cui sono capace e non sono capace. Io poi ancora non sono all’altezza di Remco o Wout. Sì, sono cresciuto, ma loro hanno vinto molto di più. Remco ogni giorno saluta 251 persone e se ne salta una esce la critica. Ma le altre 250? Per me è molto più facile, anche perché da queste parti come avete visto non c’è molta gente!».

«Sono un finisseur»

Ma gli argomenti si fanno anche più tecnici. Molti dei suoi trionfi sono in volata. Guai però a dargli dello sprinter e basta. Questo era un argomento che avevamo preparato nella nostra scaletta, ma Arnaud ci ha preceduto.


«Per il momento – spiega – penso che sia Philipsen il più forte sprinter del gruppo. Lo abbiamo visto in Francia, dove c’è il livello più alto. Riesce a vincere quando è messo bene e anche quando è messo male. Se dovessi rubare una caratteristica da lui, ma anche da altri velocisti, direi quella di essere un po’ più pazzo in volata, perché per fare certi sprint devi essere un po’ folle. Non devi avere paura di prenderti certi rischi. O pensare che potresti finire la tua carriera se dovesse andare male.

«E poi io sono veloce, ma non sono un velocista. Sono un finissseur», sottolinea il “Toro di Lecheret”.

E qui il discorso si espande. De Lie stesso ci parla della sua vittoria al GP Quebec, un successo nel quale ha sì vinto in volata, ma regolando un gruppo ristretto di corridori che di certo non sono velocisti. Da qui il suo essere finisseur, le classiche e il fatto che vivere su queste colline dove di fatto passa la Liegi (siamo ad una manciata di chilometri da Bastogne) inciderà pure qualcosa.

Secondo lui il fatto di aver vinto le prime corse da pro’ in volate di gruppo lo ha etichettato come uno sprinter. La corsa in Canada invece ha dimostrato una volta per tutte che Arnaud è più di un velocista. In Belgio si dice che possa essere un Boonen.

«Posso passare le salite brevi e questo va bene per le classiche. Qui ci sono molte colline. Se vado verso il Lussemburgo posso trovare anche scalate di 15 minuti. Sono molto fortunato sotto questo punto di vista. Ho anche la pianura se serve. Ed è okay anche il traffico: ieri avrò incontrato tre macchine in due ore e mezza».

Arnaud ci mostra uno dei campi dove pascolano le sue mucche che, aguzzando la vista, si possono scorgere
Arnaud ci mostra uno dei campi dove pascolano le sue mucche

Campione tra i campioni

Dicevamo che queste sono le strade della Liegi: inevitabilmente i primi ricordi di De Lie sono legati  a questa corsa. Anche se lui mette nel calderone un po’ tutte le classiche. All’inizio non seguiva moltissimo il ciclismo. C’è voluto Gilbert per scuoterlo.

«Era il 2010, forse 2011 e c’era Gilbert: è con lui che ho iniziato ad appassionarmi alle corse. Ma ricordo bene anche la volta in cui rimasero in testa i fratelli Schleck e mi hanno colpito le vecchie immagini di quella Liegi del freddo che vinse il “Tasso”, Bernard Hinault».

Ora quel bambino non c’è più, anche se i lineamenti del viso e i suoi 21 anni direbbero il contrario, ma De Lie in gruppo non è più il giovane rampante. Adesso è un corridore importante e questa cosa l’ammette anche lui. Di conseguenza cambia il rapporto con i colleghi, specie i senatori.

«A tal proposito – racconta – ho un bell’aneddoto con Matteo Trentin. Lui è davvero un ragazzo che rispetto molto. Ricordo che una volta dopo una gara avevamo dibattuto un po’. Poi un giorno abbiamo parlato e mi ha detto: “Arnaud, devi avere più amicizie in gruppo”. Ora è un amico».

Il ragazzo sa bene che i senatori, soprattutto se sono compagni esperti, servono. Servono per vincere. Pensiamo a De Gent, a Campenaerts e a Jacopo Guarnieri. Specie se poi hai le classiche nel mirino.

Lo scorso anno Arnaud non è arrivato alla Sanremo al top, ma la Classicissima è una corsa nelle sue corde
Lo scorso anno Arnaud non è arrivato alla Sanremo al top, ma la Classicissima è una corsa nelle sue corde

Passione Italia

E una di queste classiche è la Sanremo, tra l’altro l’unica gara che De Lie ha disputato in Italia da quando è pro’.

«Eppure l’Italia mi piace – riprende De Lie – è lì che sono iniziate davvero le mie speranze con il Giro d’Italia U23… Ci sono tante gare che mi piacciono molto, ma stando in una squadra belga veniamo poco da voi, le opportunità non sono poi molte. Ci sarebbe anche il Lombardia, ma per me è un po’ complicato».

Lo scorso anno la Lotto-Dstny non ha fatto il Giro d’Italia. In teoria quest’anno dovrebbe esserci e De Lie ne sarebbe felice, ma è invece probabile che sarà dirottato sul Tour… suo malgrado.

«Magari farò la Tirreno-Adriatico. Anche perché in vista della Sanremo c’è stata un po’ di delusione l’anno scorso. Stavo bene, ma dopo la Parigi-Nizza mi sono ammalato. Ma ripeto, l’Italia mi piace molto. Ho dei bellissimi ricordi del “Baby Giro”. Mi piacciono l’atmosfera, il tifo».

Discorsi fra… tori! Questo è uno dei tori della fattoria De Lie, soprannominato a sua volta il Toro di Lecheret
Discorsi fra… tori! Questo è uno dei tori della fattoria De Lie, soprannominato a sua volta il Toro di Lecheret

Sanremo nel mirino? 

Arnaud ci mostra la stalla. L’altro pezzo di casa. Ci porta dalle sue mucche. Le tratta come fossero amiche… e forse lo sono. E la cosa deve essere reciproca, perché anche loro lo cercano e si fanno coccolare. C’è anche un toro di 800 chili. La foto con questo bestione è immancabile visto il suo soprannome! L’altro bestione è il trattore: «E’ lo stesso del modellino che ha Moscon! L’ho visto dai suoi post».

L’argomento tecnico prosegue. De Lie finisseur, tiene sulle salite brevi, è veloce: l’identikit perfetto proprio per la Sanremo. 

«Certamente – dice Arnaud – è una gara che mi piace. E’ lunga 300 chilometri ed ha un finale molto esplosivo… E’ molto difficile da conquistare. Sappiamo che è una gara che si vince con i dettagli. Non si arriva mai con un minuto di vantaggio, si lotta sempre sul filo, specie adesso che il livello è molto alto. Abbiamo visto quest’anno come si è rotto il gruppo appena sono usciti quei quattro.

«Penso che possa essere un obiettivo per l’anno prossimo, ma per vincerla credo sia ancora un po’ complicato. Già fare una top 10 sarebbe una performance molto buona alla mia età. Diciamo che se un giorno dovessi vincere la Sanremo, potrei dire che la mia carriera ha avuto successo».

E qui in qualche modo torna il discorso anche della squadra e dei corridori esperti, necessari in una prova come la Classicissima.

«Vi dico solo che con Jacopo (Guarnieri, ndr) lo scorso anno abbiamo imboccato per primi la Cipressa. C’è anche Jasper De Buyst che ha molta esperienza in questa gara. Lui aiutò Caleb Ewan quando fu secondo. E già loro non sono poco. In più ci sono molti giovani forti e abbiamo un corridore come Florian Vermeersch che è mostruoso. Credo che avremmo una grande squadra per la Sanremo».

Piva alla Jayco-AlUla, lavoro di squadra e polso fermo

14.11.2023
6 min
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Quando è uscita la notizia che Valerio Piva sarebbe passato dalla Intermarché alla Jayco-AlUla, ci siamo tutti guardati, perché nessuno lo avrebbe immaginato. Avevamo la sensazione che il tecnico mantovano, già pro’ dal 1982 al 1991, detenesse le chiavi del successo della squadra belga, sia pure a capo di un 2023 non proprio esaltante. C’era arrivato nel 2021 alla chiusura della CCC Polsat, quando il team manager Jim Ochowitz vendette la licenza WorldTour al team belga. Nonostante venisse da una storia professionale molto diversa, l’approdo era parso quasi naturale, dato che fino alla stagione precedente la squadra era stata professional e aveva bisogno di qualcuno che la traghettasse al livello superiore.

E quando ormai si era quasi convinto che, avendo raggiunto quota 65 anni, fosse arrivato il momento di fermarsi, gli è arrivata la chiamata di una vecchia conoscenza: Allan Peiper, con cui ha condiviso cinque anni alla BMC e che ha lasciato il UAE Team Emirates per diventare uno dei consiglieri del Team Jayco-AlUla. L’australiano, che ha da poco sconfitto un cancro, gli ha chiesto se avesse voglia di accettare questa nuova sfida e il lume della passione ha impiegato meno di un secondo per riaccendersi.

«Non mi aspettavo una proposta – racconta Piva dal Belgio, dove vive – la Jayco è una squadra di alto livello, organizzata come si deve. A me piace lavorare in un ambiente positivo dove si possono ottenere delle soddisfazioni ed è stata questa la ragione per cui ho accettato. Alla Intermarché si sono dispiaciuti e da un certo punto di vista dispiace anche a me, perché comunque il lavoro fatto è stato buono e penso di aver lasciato qualcosa».

Oltre a Peiper (nella veste di consigliere), alla Jayco-AlUla Piva troverà anche Pinotti: uno spicchio di BMC
Oltre a Peiper (nella veste di consigliere), alla Jayco-AlUla Piva troverà anche Pinotti: uno spicchio di BMC
In qualche modo immaginiamo che tu l’abbia sentita tua…

La Intermarché era una squadra professional, gli serviva una mano. Partire non è stato facile, ma credo di aver fatto qualcosa di buono, che abbiano imparato qualcosa. Mi sento parte di questa evoluzione. Il primo anno c’è stato tanto da lavorare. Il secondo anno abbiamo raccolto i frutti eccezionali, il 2022 è stato un’annata incredibile. Invece quest’anno, secondo me la squadra si è adagiata sui successi dell’anno precedente, esattamente quello che avevo detto di non fare. E’ stato un anno difficile, abbiamo perso corridori di valore. Alcuni giovani hanno avuto infortuni e cadute che capitano spesso. E’ stata una stagione difficile dal punto di vista della gestione. Io ero in scadenza di contratto, ero curioso di vedere che cosa mi avrebbero proposto, perché quasi 200 giorni all’anno via da casa non avrei più voluto farli.

Pensi che ti avrebbero tenuto?

Eravamo in contatto, penso di sì. Chiaramente è una squadra un po’ particolare in tutte le sue cose. La comunicazione è complicata e spesso si riducono all’ultimo momento. E mentre aspettavo, è arrivata la Jayco.

Come vedi il futuro della Intermarché?

Dovranno cambiare. Purtroppo non hanno tanti soldi e questo è il vero problema. Non trovano sponsor e alla fine sono limitati al gruppo di corridori che già hanno e investono nei giovani. Hanno buoni talenti, ma alla fine perdono i corridori di livello come Rui Costa e Kristoff. Vanno via sempre quelli che fanno grandi risultati, che possono vincere corse di alto livello, e li sostituiscono con dei giovani che all’inizio fanno fatica a venire fuori. C’è ancora Biniam Girmay, quindi è una squadra che secondo me farà bene, ma soffrirà sicuramente per i punteggi.

Il 2023 di Girmay è stato al di sotto delle attese dopo il grande 2022, a causa di qualche caduta e vari imprevisti (foto Intermarché)
Il 2023 di Girmay è stato al di sotto delle attese dopo il grande 2022, a causa di qualche caduta e vari imprevisti (foto Intermarché)
E questo oggi è il vero problema…

Chiaramente non hanno grossi nomi. Un anno negativo c’è già stato, ma gli auguro che i corridori di talento vengano fuori. Credo abbiano inquadrato e messo a fuoco cosa non ha funzionato. Hanno un manager capace, Aike Visbeek, che è olandese e ha gestito Dumoulin quando vinse il Giro d’Italia. E’ preparato e secondo me la scelta in futuro sarà di investire nei giovani, visto che hanno una squadra under 23 che funziona. Chiaramente non so se questo gli permetterà poi di rimanere nelle 17-18 squadre WorldTour, perché fare i conti non è semplice. L’anno scorso abbiamo finito quinti, superati in extremis dalla Bora. Quest’anno abbiamo finito quattordicesimi, quindi la differenza si capisce chiaramente.

Non si vede uno scenario super tranquillizzante.

Penso che una prospettiva potrebbe essere quella di lavorare con i giovani e dare una chance a corridori più maturi, che vogliano dimostrare di avere ancora qualcosa da dire, come con Taaramae, Kristoff o Rui Costa. Atleti su cui abbiamo investito e che alla fine ci hanno dato grandi risultati.

Lasci un bel gruppetto di italiani, forse la tua uscita li ha spiazzati.

L’altro ieri mi ha chiamato Rota. La sua evoluzione l’ho seguita proprio da vicino, lo abbiamo preso quando sono arrivato io, quindi era un corridore mio ed è cresciuto tantissimo. Quest’anno ha avuto una frenata, ma le risposte ci sono e forse le dirà lui. Comunque io ho sempre investito in questi ragazzi. Parlo la stessa lingua quindi per loro ero diventato un punto di riferimento. Anche per Busatto, che ha fatto qualche corsa con me. E’ un bel talento, ha bisogno di crescere.

Rota è arrivato alla Intermarché proprio con Piva: la loro collaborazione ha dato ottimi frutti
Rota è arrivato alla Intermarché proprio con Piva: la loro collaborazione ha dato ottimi frutti
Che idea si è fatto Piva della sua nuova squadra?

Sono stato un giorno nei loro uffici, conoscevo Brent Copeland (il team manager della Jayco-AlUla, ndr) da lungo tempo. Da fuori è sempre sembrata una grande squadra, organizzata e con corridori di nome. Negli ultimi anni i risultati sono un po’ mancati, bisognerà fare un’analisi per trovarne la ragione. Da quello che ho capito mi hanno contattato anche per questo. Per avere qualcuno che arrivando da fuori gli dia un punto di vista sul perché una squadra con un budget così elevato e la quantità atletica dei corridori non abbia i risultati che merita.

Un compito non semplice…

Ho lavorato tantissimo con squadre di mentalità anglosassone, dalla HTC alla BMC, fatta salva la parentesi russa della Katusha, dove comunque ho portato le mie conoscenze e il metodo di lavoro che avevo imparato con gli americani. Mi sono sempre trovato bene con questa mentalità, con il fatto che ti lascino lavorare tranquillamente. A volte però il “good job” non mi piace tanto. Secondo me va detto se davvero hai fatto un buon lavoro o quando si vince, non quando arrivi staccato a minuti. Va bene motivare la gente e aiutarla, ma quando si sbaglia o non si lavora per come si è detto, bisogna ugualmente dirlo: con educazione, ma in modo chiaro

E’ il tuo modo di fare?

Io sono abbastanza schietto quando gestisco il gruppo. Quindi mi entusiasmo come tutti quando la squadra funziona, ma mi arrabbio quando non va e quando non fanno quello che è stato programmato, quando non si rispettano le regole e le strategie che si sono discusse insieme. Le corse si vincono con il collettivo, anche se sull’arrivo passa un corridore solo. E’ uno sport individuale dal punto di vista del risultato, ma sul piano del funzionamento è uno sport di squadra. E’ importante che tutti lo sappiano.

Simon Yates, come Matthews, è una delle bandiere della Jayco-AlUla: ritroverà consistenza?
Simon Yates, come Matthews, è una delle bandiere della Jayco-AlUla: ritroverà consistenza?
Ci sarà dunque una squadra australiana nell’Hotel Malpertuus di famiglia?

Purtroppo no, mi dispiace molto. Abbiamo la Bahrain e l’Astana, che dopo la Liegi prenotano già per l’anno dopo. Qualcuno mi ha fatto anche la battuta, che mi hanno preso solo per l’albergo, ma lo spazio è quello. Due squadre ci stanno bene, per tre non c’è posto.

Battute a parte, come sei stato accolto?

Ho parlato con molta gente che conoscevo già e ho visto entusiasmo. Non arrivo facendo promesse e dicendo che con me cambierà tutto. Voglio essere parte del gruppo e mettere a disposizione l’esperienza dei tanti anni che ho passato nel professionismo. Ho visto tante situazioni, tanti corridori, tante gare. Quello che conosco e che so fare sarà a disposizione della mia nuova squadra.

Thomas Capra, i due anni da juniores e ora il Cycling Team Friuli

14.11.2023
5 min
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«Se dovessi dare un consiglio agli juniores gli direi di fare le cose con calma e non avere fretta. Con i sacrifici e il duro lavoro i risultati arrivano». Queste sono le parole di Thomas Capra che ha appena concluso i due anni da junior con la maglia del Team Assali Stefen (in apertura foto Bi.Ci.Cailotto) ed è ora pronto a gettarsi nella mischia degli under 23 per trovare il suo spazio. Vincitore da primo anno della Gand-Wevelgem è sempre stato un profilo interessante con tanti occhi puntati addosso.

Il classe 2005 di Carzano ha scelto il Cycling Team Friuli. La motivazione? Restare in Italia per finire gli studi e avere una proiezione per il futuro vista l’affiliazione del team alla Bahrain Victorious. Riavvolgiamo il nastro e ripercorriamo questi due anni del valsuganotto tra successi e voglia di Nord. 

La volata vincente di Capra alla Gand-Wevelgem 2022 (foto Joeri De Coninck)
La volata vincente di Capra alla Gand-Wevelgem 2022 (foto Joeri De Coninck)
Partiamo dai tuoi due anni da juniores. Cosa ci dici a proposito del tuo 2022?

Nel 2022 sono partito bene, con la vittoria della Gand. Poi però non sono stato bene, tra una cosa e l’altra, penso anche di aver preso il Covid. Non ho ottenuto i risultati che mi aspettavo dopo quella vittoria così importante. Alla fine ho fatto un po’ di piazzamenti, ma nulla di che, non sono più riuscito a vincere.

E il tuo 2023 come lo hai vissuto?

Ho incominciato bene, con una vittoria alla prima gara. Sono andato con la nazionale a fare sempre la Gand, la Roubaix e stavo bene. Però stavolta sono stato sfortunato, sono caduto 4 volte e comunque sono arrivato davanti, nel gruppo appena dietro i primi, perché c’era la fuga. A Roubaix invece, mi aspettavo meglio. In futuro mi piacerebbe provare a vincerla, perché alla fine sono quelle cose che mi piacciono. Poi ho vinto altre quattro gare anche se è mancata quella di spessore a livello internazionale, come è stato l’anno prima. Con la nazionale siamo andati in Francia e siamo andati molto bene. Bessega è riuscito a vincere e noi abbiamo lavorato bene.

In questi due anni senti comunque di aver mantenuto una crescita costante?

Sì, quello sicuramente. C’è ancora margine comunque, c’è sempre tempo per crescere. 

Per Capra la crescita è stata costante con un 2023 ricco di successi e piazzamenti
Per Capra la crescita è stata costante con un 2023 ricco di successi e piazzamenti
Alberati che bilancio ti ha dato?

E’ contento. Il prossimo anno però la squadra ci affiderà il preparatore del team e quindi dovrò abituarmi alla novità. 

Come mai sei arrivato a questa decisione di andare nel Cycling Team Friuli?

Soprattutto per il mio procuratore Maurizio Fondriest, che ha insistito in questa scelta perché il CTF è molto vicino alla Bahrain Victorious. Il mio amico Marco Andreaus che fa già parte della formazione mi ha detto che lavorano molto bene. Quindi ho detto, perché no…

Andreaus come lo conosci, cosa ti ha detto sulla squadra?

Abita qui, a tre chilometri da casa mia. Ci conosciamo da quando siamo piccoli e andiamo molto d’accordo. Usciamo spesso in bici assieme e andiamo anche a far camminate o sci alpinismo. Mi ha detto che sono molto preparati e che è una bella squadra, soprattutto per l’organizzazione. Anche per le corse che andremo a fare perché da quando hanno l’affiliazione, diciamo con la Bahrain, vanno a fare molte gare all’estero, verso anche il Nord d’Europa, dove ci sono quelle che mi interessano e piacciono parecchio.

Capra è stato campione italiano nel 2018 da esordiente
Capra è stato campione italiano nel 2018 da esordiente
La squadra non è vicinissima a casa tua, però non è neanche dall’altra parte dell’Italia, e visto che sei anche all’ultimo anno di superiori ha influito sulla decisione?

Eh sì, esatto. Anche per questo alla fine ho deciso di rimanere in Italia e non andare all’estero, anche se comunque le proposte c’erano. Ho fatto questa scelta per finire la scuola in tranquillità e poi pensare al resto.

Vieni da due anni dove hai già dimostrato di avere delle caratteristiche fisiche sempre più definite, negli under 23 si ha comunque una sorta di ridefinizione. Da quali caratteristiche parti?

Sono un passista veloce, sono uno che tiene su salite non troppo lunghe e dure. Poi allo sprint sono veloce. Quest’anno ho vinto anche molte volate di gruppo, anche se quelle ristrette sono il mio contesto ideale.

Pensi che potresti essere adatto alle gare a tappe?

Si vedrà. Non saprei, forse escono un po’ da quello che credo di essere oggi. Però vedremo devo ancora misurarmici. 

Qui Thomas Capra sulla destra durante una giornata sugli sci insieme ai compagni
Qui Thomas Capra durante una giornata sugli sci insieme ai compagni
Che consiglio daresti ad un allievo che vuole fare un percorso positivo come il tuo?

Di non aver fretta e di fare le cose con calma. Con il lavoro e il sacrificio alla fine i risultati arrivano. 

Hai già ripreso a pedalare?

Sì, adesso sto ricominciando un po’ tranquillo con palestra e camminate. Bici poca per il momento. Devo ancora prendere in mano quella della squadra, sono ancora abbastanza fermo, mi lasciano tranquillo. Dal prossimo ritiro che sarà il prossimo fine settimana, penso che inizieranno più seriamente.

Che hobby hai per passare l’inverno nella tua Valsugana?

Sci alpinismo e camminate perché qui intorno le montagne non mancano. Adesso che è anche venuta la neve, è il momento più bello per fare queste cose. Sono distrazioni che mi permettono di fare altro e non pensare esclusivamente alla bici. 

Il Giro promuove Cafueri: «CX e strada? Non scelgo…»

14.11.2023
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Riguardando quella maglia bianca, linda e pulita e confrontandola con il tanto fango incontrato lungo il percorso di Follonica, a Tommaso Cafueri sono tornate in mente le immagini dell’europeo della settimana precedente. Era la sua prima uscita nella nazionale come under 23, era partito con tante ambizioni ed era finito indietro: 27° a 4’33” dal vincitore Jente Michels. Il portacolori della DP66 si è rifatto, ritrovando il sorriso dopo aver battagliato a lungo contro gli elite conquistando il simbolo del primato di categoria al Giro d’Italia.

Per Cafueri è un risultato importante, che conferma soprattutto la sua dimensione di corridore multidisciplinare e parlando con lui si nota come vada abbastanza contro quella tendenza di cui si era discusso con il patron del Giro ed ex cittì Fausto Scotti, ossia l’intenzione degli stessi ragazzi, influenzati o meno dai team, di privilegiare la strada.

Cafueri (qui a Tarvisio) è andato sempre in crescendo, fino al podio assoluto di Follonica (foto Billiani)
Cafueri (qui a Tarvisio) è andato sempre in crescendo, fino al podio assoluto di Follonica (foto Billiani)

I consigli del preparatore

«Io ci tengo troppo al ciclocross, ne sono innamorato – spiega – e anzi ho scelto il mio nuovo team per la strada, per approdare fra gli U23, mettendo in chiaro che volevo continuare a fare la doppia attività. Per fortuna non ci sono state voci contrarie, sono stato accontentato e questo mi ha dato una nuova carica». Cafueri, è notizia proprio di queste ore, va a rinforzare il roster della Zalf Euromobil Desirée Flor e il fatto che la sua doppia attività sia stata ben accettata è un segnale importante.

A differenza di tanti altri, Cafueri ha sfruttato la parte finale della stagione su strada proprio pensando all’attività invernale: «Mi sono preso un periodo di pausa ad agosto proprio per non arrivare troppo affaticato all’inizio di stagione – dice – le gare della seconda parte le ho affrontate pensando all’inverno, pur senza trascurare il risultato. Mi fido molto del mio preparatore Enrico Licini di 4Perfomance e i risultati ci danno ragione, infatti continuerà a seguirmi anche nella nuova avventura del 2024».

L’esperienza europea non è stata molto fortunata, nel finale ha risentito dello sforzo
L’esperienza europea non è stata molto fortunata, nel finale ha risentito dello sforzo

Follonica come il Grande Nord

Il cambio di categoria si fa sentire? «Sicuramente. Agli Europei la gara è durata oltre 56 minuti, è un po’ diverso rispetto a quanto ero abituato e ci vuole tempo per ricalibrarsi. Negli ultimi due giri ero davvero a corto di energie e sono quei due giri che cambiano tutto. Enrico comunque mi ha rassicurato, è solo questione di abitudine».

Proprio l’esperienza francese gli ha dato però lo spunto per capire quanto cambia il ciclocross appena si varcano i confini nazionali: «I percorsi cambiano molto, ma io non sarei così critico nei confronti italiani, ci stiamo avvicinando soprattutto in certe occasioni. Lo stesso tracciato di Follonica con tutto quel fango è diventato estremamente duro e all’altezza dei tracciati in Belgio e Olanda: si correva tanto a piedi. E’ chiaro che lì il fango è quasi un “must”, in Italia c’è più varietà, ma molti percorsi rispecchiano il vero ciclocross».

Su strada il 18enne ha avuto un’ottima stagione con 2 vittorie, il podio al Giro del Friuli e altre sette Top 10 (foto SportCity)
Su strada il 18enne ha avuto un’ottima stagione con 2 vittorie, il podio al Giro del Friuli e altre sette Top 10 (foto SportCity)

Tutto è nato su una mtb

Tracciati che Cafueri dimostra di gradire, come si è visto a Follonica: «Nel primo giro sono anche rimasto davanti per un po’, poi siamo andati via in 4, con Ceolin, Folcarelli e Cominelli. Io a un certo punto ho preferito non rispondere ai continui attacchi degli altri e andare col mio passo, pensando soprattutto alla maglia bianca. Essere primo in classifica è bello, a questo punto credo che proverò a difendere il primato sin dalla prossima tappa a Cantoira».

A questo punto però la domanda viene spontanea: Cafueri è più un ciclocrossista o uno stradista? Intanto si è appena saputo che nel 2024 correrà su strada con la Zalf, ma l’interrogativo resta.

«Me lo chiedono in tanti, per ora direi ciclocrossista in base alla mia storia. Io avevo iniziato con la mtb, poi dopo la categoria allievi mi hanno spinto a provare su strada e mi sono trovato subito bene, con qualche piazzamento il primo anno da junior e un secondo anno di livello maggiore con una vittoria al Giro del Veneto e il successo al Trofeo Commercio Industria e Artigianato a Rignano sull’Arno. Su strada mi sto ancora scoprendo, vado bene in salita e sul passo e sono anche abbastanza veloce, ma devo imparare tanto».

Follonica, quarta prova del Giro ha premiato il ritorno ai vertici di Cominelli (foto Lisa Paletti)
Follonica, quarta prova del Giro ha premiato il ritorno ai vertici di Cominelli (foto Lisa Paletti)

Gli specialisti del fango

Intanto a Follonica avevamo lasciato tre in lotta per il successo e la gara grossetana ha riportato in auge Cristian Cominelli, davanti ad Antonio Folcarelli sempre più in rosa, con Cafueri terzo. Un ritorno ai vertici anche fra le donne grazie a Rebecca Gariboldi, in crescita di condizione e che come Cominelli si esalta nelle condizioni di gara estreme, da ciclocrossista tipica, impedendo così la doppietta alla Cycling Café vista la piazza d’onore della Bulleri, mentre la terza, Lucia Bramati si è consolata con la conferma del simbolo del primato.

Mezz’ora con Monica Santini: tra passato, presente e futuro

14.11.2023
7 min
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BERGAMO – Lo showroom all’interno della nuova sede di Santini si nasconde dietro una porta abbastanza anonima. Una volta aperta, però, il colpo d’occhio è incredibile. All’interno di quell’immenso spazio c’è tutta la storia di Santini, dal ciclismo eroico fino alle collezioni per l’estate del 2024. Ogni metro della nuova struttura del maglificio bergamasco unisce storia e modernità, come l’edificio stesso, disegnato dall’architetto Giuseppe Gambirasio e rielaborato, come lo si vede ora, dall’architetto Marco Acerbis

Nuova vita in città

All’interno dello showroom non ci sono solamente i capi d’abbigliamento firmati Santini, ma anche delle sale riunioni, per la precisione tre, che prendono il nome delle maglie più famose disegnate dal brand. Noi prendiamo posto, insieme a Monica Santini, nella “Rainbow Room” quella centrale. 

«Fare questo passo in città, quindi a Bergamo – spiega Monica Santini, CEO dell’azienda – è stato molto importante. Noi avevamo l’obiettivo di non allontanarci troppo dalla sede precedente, quella di Lallio. Il motivo è semplice: non volevamo perdere dipendenti, sapevamo di dover rimanere nel raggio di 8 chilometri. Avevamo due opzioni: prendere un’area nuova e costruire da zero, oppure puntare su una ristrutturazione. Le politiche di oggi sono volte a ristrutturare, ma è anche vero che non c’è alcun tipo di aiuto economico per chi lo fa. Voler prendere posto in città è stata una scelta legata ad un fatto d’immagine, la nostra azienda usa l’immagine come punto di vendita».

Ampliamento e investimento

L’area della nuova sede di Santini è nascosta dalle case che la circondano a stretto giro. L’autostrada non è lontana, ma girandosi verso nord si vede il profilo di Città Alta, adagiata dolcemente sui colli bergamaschi. Appena si svolta per entrare in sede si viene colpiti dall’immensità degli spazi e delle strutture. 

«Quando abbiamo guardato quest’area – ci confida Monica – pensavamo fosse fin troppo grande, siamo nell’ordine dei 15.000 metri quadri (la vecchia sede di Lallio era di 5.800, ndr). Non abbiamo ancora occupato tutte le aree, per esempio nella parte della produzione ci sono ancora 1.000 metri quadri liberi, su un totale di 10.000. Anche nella parte degli uffici ci sono aree da ristrutturare. La nostra azienda – dice con un sorriso – rinnova le proprie aree ogni 21 anni. Il primo edificio mio padre l’ha comprato nel 1979 e il secondo, per il raddoppio, è arrivato nel 2000, il terzo cambiamento, invece, nel 2021».

«Quest’ultimo investimento – continua la CEO – è arrivato con la firma della collaborazione con il Tour de France, già cinque anni fa avevamo iniziato a cercare dei posti, con l’obiettivo di tenere tutto insieme (produzione e uffici, ndr)».

Dal giallo all’arcobaleno

Santini ha una storia legata indissolubilmente al ciclismo, complice anche quella firma sulla maglia iridata. Una grande responsabilità che ha contribuito a far crescere l’azienda e la sua fama. Notorietà che è andata di pari passo con la visione prima del Cavalier Pietro Rosino Santini e poi delle figlie Monica e Paola. 

«Tutte le sponsorship hanno contribuito allo sviluppo del brand – conferma Monica Santini – e questo ci ha permesso di far percepire quello che è Santini: un’azienda familiare che ama il bello. La sede, a nostro modo di vedere bella, è un segno di questa nostra tendenza. Collaborare con il Tour de France è stata una grandissima soddisfazione e una innegabile occasione di visibilità. Ancor di più ci ha sorpreso, in positivo, la collaborazione con ASO. Si tratta di un’azienda che ha degli obiettivi e lavora per raggiungerli. E’ uno sponsor interessante, che prospetta dei KPI (indicatori di performance, ndr) e lavora con te per raggiungerli». 

«Dopo due anni di lavoro insieme al Tour de France – prosegue Monica – possiamo ritenerci soddisfatti. Dopo tanti anni la Grande Boucle è tornata ad essere una corsa combattuta ed i vincitori delle altre maglie non sono mai stati banali. Per il 2024 c’è ancora più suspence dopo l’arrivo di Roglic alla Bora. Il prossimo anno, però non ci sarà solo questa novità, ma anche la partenza del Tour da Firenze. Una prima volta storica per la quale anche noi ci siamo battuti accanto a Davide Cassani. Vorremo aprire, a Firenze, nel mese di luglio, un temporary store, come fatto a Parigi negli ultimi due anni. Un format che ci ha sorpresi e non poco. L’obiettivo è di realizzarlo anche a Nizza, sede di arrivo del prossimo Tour».

Azienda al femminile

Il rosa non è solamente il colore della maglia che Santini per anni ha disegnato e realizzato per il Giro d’Italia, ma anche il “colore” dell’azienda. Santini è un universo che guarda molto al femminile.

«Il 70 per cento, anche il 75, del personale Santini – spiega con orgoglio Monica – è composto da donne. E non è una cosa che riguarda solamente la produzione, ma anche le più alte cariche dirigenziali. Il ciclismo femminile rappresenta anche una buona fetta del nostro mercato e le collaborazioni con il Tour de France Femmes e la Vuelta Femenina sono un bel motore anche in questo. Ogni nuova collezione che pensiamo e realizziamo deve avere la sua gamma femminile. Il nostro responsabile creativo, Fergus Niland, ci confessa che con le collezioni per le donne ha molta più libertà nel disegnare. Le donne sono più creative e cambiano anche per la volontà di farlo, non esclusivamente per necessità».

«Non dobbiamo dimenticare – conclude Monica Santini – l’importanza del mondo gravel che ci ha fornito un diverso punto di vista, così come l’urban. Si tratta di consumatori che in parte arrivano dal mondo della strada, ma non solo. Spesso sono dei modi completamente diversi del vedere il ciclismo e questo ci permette di aprire nuovi orizzonti».

Finito il nostro tempo con Monica Santini ci rimane addosso quella curiosità di scoprire cosa vedremo in futuro per questo marchio. Le idee ci sono e l’investimento nella nuova sede ha portato maggior ordine e capacità produttiva. Monica scherzando ci dice che questo è il suo ultimo ampliamento, poi toccherà alle nuove generazioni. Siamo convinti, tuttavia, che in questa struttura dove il vecchio incontra il nuovo, Santini, abbia trovato la sua casa.

Due cross in 24 ore, parola d’ordine: carboidrati

14.11.2023
5 min
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NIEL (Belgio) – Come su strada, anche nel ciclocross la parola d’ordine è carboidrati. E lo è stata in particolare nella due giorni belga tra Superprestige e Coppa del Mondo, Niel e Dendermonde. Una due-giorni che, oltre a regalarci un vero show, ci ha dato un interessante spunto su come gli atleti hanno gestito questo doppio impegno anche da un punto di vista alimentare.

In quelle 36 ore, visto che partiamo dalla cena del giorno prima e arriviamo al termine della seconda gara, possiamo dire che ci sono state alcune similitudini con la crono. Similitudini sia per la tipologia dello sforzo, sia per alcuni piccoli aspetti dell’alimentazione.

Il cross: un’ora di sforzi massimali in cui si bruciano quasi solamente zuccheri. I carboidrati sono pertanto fondamentali (foto Matthias Thijsen)
Il cross: un’ora di sforzi massimali in cui si bruciano quasi solo zuccheri. I carboidrati sono fondamentali (foto Matthias Thijsen)

Recupero e ricarico

Eli Iserbyt, re di Niel, ci ha svelato il suo programma. Un programma che punta molto su due aspetti: semplicità e carboidrati. 

L’obiettivo da perseguire con i carboidrati è doppio: vengono infatti usati sia per il recupero delle scorte glicemiche post gara, che per il ricarico pre-gara. Oggi è nota questa doppia valenza dei carboidrati, tante volte ne abbiamo parlato anche per la strada. E la regola non sfugge al cross… anzi.

«L’alimentazione in una specialità come il ciclocross – spiega il corridore della Pauwels Sauzen-Bingoal  – è molto delicata. Si tratta di una corsa di un’ora e dunque è importante presentarsi con le scorte piene, anche per quanto riguardo i liquidi, tanto più che poi in corsa non si può bere. E mi riferisco sia all’acqua che ai sali minerali».

Iserbyt preferisce la pasta, ma nei camper questi contenitori di riso erano tra i più gettonati
Iserbyt preferisce la pasta, ma nei camper questi contenitori di riso erano tra i più gettonati

Niente carne

Iserbyt ci spiega che la pasta o anche il riso non mancano mai nei suoi pasti principali che precedono la corsa. Mentre ciò che evita è la carne, specie quella rossa (come nelle crono), perché appesantisce la digestione, mentre il corpo (l’intestino) in quei momenti deve essere leggero. Non deve rubare sangue al ripristino muscolare. Ricordiamo che siamo tra due corse.

«In generale direi che seguo un’alimentazione molto semplice. Mangio di tutto, anche del salmone alla sera ma, come detto, evito la carne. Sto attento alle quantità: poco, ma di tutto».

«La sera prima della corsa (sia il sabato che la domenica in questo caso, ndr) – spiega Iserbyt – mangio un bel piatto di pasta. La mattina dopo a colazione prendo del pane bianco, marmellata, caffè… un pasto semplice. Tre ore prima della corsa mangio ancora un piatto di pasta. E due ore prima bevo una borraccia di Isotonic (malto e sali), noi utilizziamo Etixx. In generale dopo la gara mi concentro sul recupero. Prendo uno shake di carbo e proteine».

Integratori pre-post gara

Da quel momento, le due ore prima del via appunto, gli atleti – e lo abbiamo visto noi stessi – vanno un po’ a sensazione. In ogni caso si smette l’alimentazione solida e si passa a quella liquida, con tanti piccoli sorsi di acqua e malto, man mano che ci si avvicina allo start.

Anche Francesca Baroni, per esempio, si muove sulla stessa linea d’onda di Iserbyt. A Niel subito dopo la gara, ci ha detto: «Vado a prendere la borraccia del recupero, tanto per intenderci. Al termine del defaticamento prendo delle proteine, giusto per arrivare alla cena. E lì mangerò un semplice piatto di pasta e un petto di pollo».

Anche lei prima del via non manca di mandare giù una borraccia di sali e malto. La differenza, ma questa è una particolarità che abbiamo notato in Francesca, è che la toscana in gara ingerisce anche un gel. Lo abbiamo visto in entrambi i giorni. Era legato col nastro isolante sul tubo orizzontale della sua bici.

Iserbyt continua il recupero tra le due gare con bagno gelato fino alla vita per le sue gambe (foto da web)
Iserbyt continua il recupero tra le due gare con bagno gelato fino alla vita per le sue gambe (foto da web)

Iserbyt nel ghiaccio

Un’altra cosa che abbiamo chiesto ad Iserbyt è se faccia dei massaggi tra le due gare, ma evidentemente questi non vanno troppo d’accordo col ciclocross. Non è come su strada che, per quanto si parta forte, si ha più tempo per “distendersi”… Il massaggio inevitabilmente un po’ addormenta il muscolo. Qui serve la massima potenza e subito.

«Nessun massaggio – riprende Iserbyt – piuttosto faccio uno di quei bagni in acqua gelata. La temperatura è a 5 gradi. Immergo solo le gambe per 20′. Questo aiuta moltissimo i muscoli, che sono caldi e devono recuperare da uno sforzo molto intenso in vista del successivo, poche ore dopo. La speranza è che la gamba sia come quella del giorno prima!».

E questo si sposa col fatto che anche con lo stretching gli atleti non esagerano in queste 36 ore. Non è eseguito in modo troppo invasivo. Si tratta di esercizi molto leggeri, fatti più per agevolare la circolazione (e pertanto l’irrorazione periferica) che la distensione diretta delle fibre muscolari.

Riscaldamento: gli azzurri del cross alla ricerca di un protocollo

13.11.2023
5 min
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Nel ciclocross il riscaldamento conta tantissimo. E’ uno sforzo particolare: è esplosivo, ma al tempo stesso di endurance. Le fasi del via sono quasi sempre le più importanti e decisive, specie sul fronte fisiologico. Spesso è da come si digeriscono queste sgasate “a freddo” che la propria corsa prende una piega anziché un’altra.

Marco Decet è un giovane preparatore da poco entrato nel giro del gruppo performance della nazionale. Decet è stato uno stradista prima e un endurista poi, il cittì Daniele Pontoni l’ha voluto nella sua squadra. E al tecnico veneto ha affidato uno scopo preciso: quello di standardizzare il riscaldamento. Si vuol creare un protocollo per i ragazzi, ciascuno chiaramente con i suoi piccoli adattamenti.

Marco Decet è un preparatore della Fci e ha anche un suo centro: Fuori di Soglia, a Feltre (Bl)
Marco Decet è un preparatore della Fci e ha anche un suo centro: Fuori di Soglia, a Feltre (Bl)
Marco, come sei arrivato a Pontoni?

Il mio è stato un avvicinamento universitario, più che sportivo. Terminata la mia attività, mi sono reso conto quanto per un ragazzo fosse importante avere un riferimento che lo indirizzasse. E così ho fatto della mia passione la mia professione. Finiti gli studi (che in realtà non sono finiti in quanto procedono con dei dottorati, ndr) ho partecipato al bando della Fci per entrare a far parte del team performance. L’ho vinto e Pontoni, sapendo del mio passato da biker e vedendo il mio approccio scientifico che all’inizio avevo avuto con i ragazzi della Bmx, mi ha voluto con sé.

E avete iniziato a lavorare sul riscaldamento…

Esatto. L’idea è quella di standardizzare i protocolli del warm up per i ragazzi, in particolare per coloro che sono impegnati nel team relay, visto che si tratta di sessi ed età differenti, che per di più vengono chiamati in causa in momenti diversi. In questo caso si tratta soprattutto di individuare le tempistiche migliori per il riscaldamento. E questo, agli ultimi europei in Francia, è servito molto ai più giovani. Ma devo dire che anche i più esperti hanno apprezzato e ritoccato qualcosa.

In cosa consiste il tuo lavoro con il riscaldamento?

E’ un approccio totale alla gara. E quindi va dal riscaldamento vero e proprio all’ingresso in griglia. Mi sono concentrato soprattutto sul tema della temperatura corporea ideale da raggiungere. E come raggiungerla, chiaramente. Abbiamo visto che non è necessario un lungo tempo sui rulli, per portare i muscoli al di sopra dei 37 gradi, la temperatura ideale per il lavoro delle fibre e l’apporto di ossigeno al sangue.

Questo protocollo dà molta importanza anche all’abbigliamento: va gestito al meglio nei minuti tra riscaldamento e start
Questo protocollo dà molta importanza anche all’abbigliamento: va gestito al meglio nei minuti tra riscaldamento e start
Perché è importante standardizzare il riscaldamento?

Perché è una fase delicata in vista della gara e va fatta bene. In più avere un protocollo, delle certezze, apporta anche un beneficio mentale all’atleta che va sul sicuro. Per esempio abbiamo dato anche molta importanza all’abbigliamento.

Hai parlato di tempi non troppi lunghi: cosa intendi?

Che bastano anche 20 minuti, non serve consumarsi più a lungo. In questa fase c’è un po’ di tutto, anche del Vo2 Max, ma senza accumulo. Variazioni con cadenze che simulano il percorso…

Proviamo a vedere come potrebbe essere un riscaldamento standard?

La prima fase è quella dell’innalzamento della temperatura e della mobilità articolare, la seconda quella dell’intensità, c’è poi una terza fase che va dalla fine dell’intensità all’ingresso in griglia. La prima dura una decina di minuti: 5′ molto tranquilli, poi 3′ in una fase più intensa e 2′ a soglia, una “Z5” per intenderci. Successivamente inizia la seconda fase. Di base ci si mette a Z2 e si fanno delle variazioni: 2′ a soglia, poi 3×30”-30” sempre in Z5 e infine 2-3 progressioni da 15” che vanno dalle basse alle alte cadenze con un rapporto importante: quindi dalla forza massima alla forza dinamica. Tutta  questa seconda fase dura altri 10′, massimo 15’, a seconda dei soggetti.

Però hai detto senza accumulo, come fanno i ragazzi a capire che hanno recuperato tra una progressione e l’altra?

Da quando ritornano in Z2, quella è la base. Nel cross pochissimi hanno il potenziometro e quindi si regolano con i battiti, ma il concetto è quello.

Partenze violente ed esigenze di guida invitano a mantenere calde anche le articolazioni (in foto, Agostinacchio)
Partenze violente ed esigenze di guida invitano a mantenere calde anche le articolazioni (in foto, Agostinacchio)
E poi?

Poi, conclusa l’ultima progressione, il riscaldamento vero e proprio finisce. Si fanno ancora un paio di minuti in Z2, per non scendere col fiatone, e ci si va a cambiare. Da qui inizia per me la fase chiave, la più delicata. E’ molto importante in questo intermezzo prima della partenza, 10 minuti o poco più, mantenere la temperatura che si è raggiunta sui rulli. Bisogna sapere che già dopo 15 minuti si perde oltre il 70 per cento dell’efficienza del riscaldamento. Per questo consiglio ai ragazzi di coprirsi bene. Anche collo e viso, dove vi sono molti recettori della temperatura che, in caso di freddo, potrebbero inviare segnali non ottimali al cervello in vista della gara. Altra cosa da osservare: la mobilità articolare.

Spiegaci meglio, visto che anche prima l’hai citata in fase di riscaldamento…

In bici, e nelle discipline offroad soprattutto, non si deve solo pedalare, ma si deve anche guidare. E’ bene tenere al caldo polsi, anche, caviglie… sono aspetti che possono fare la differenza. Se non hai una buona “stiffness”, che si fa a monte anche con la palestra chiaramente, paghi un prezzo salato. Se scendi di sella e devi correre non puoi metterci tre passi per spingere bene. O magari ad ogni curva non sei sciolto a dovere. Potresti andare un pelo più più forte e sei costretto a recuperare facendo quel paio di pedalate in più nel tratto di transizione sprecando più watt. Moltiplichiamo questi watt per ogni curva, per un’ora… Va da sé quanto sia importante scaldare bene tutto il corpo.

Gabriel Fede torna in Italia e riparte dalla Beltrami

13.11.2023
4 min
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Gabriel Fede riattraversa le Alpi, dopo due anni in terra francese, per tornare a correre in Italia. Lo farà con la Beltrami TSA Tre Colli, una scelta che ha fatto scaturire tante domande. L’avventura di Fede, iniziata appena terminata la categoria juniores, è finita presto, quali sono le motivazioni alla base della scelta? E che cosa gli è rimasto di questo periodo nel Devo Team dell’AG2R?

«A metà 2023 la squadra ci ha comunicato che non ci sarebbe più stato il team development per il 2024 – dice Gabriel Fede – o almeno non come lo avevamo conosciuto noi. Infatti dalla prossima stagione diventerà una continental, sempre gestita dall’Ag2R. E’ stato rivoluzionato tutto: corridori, staff, diesse e il resto. Nessuno dei ragazzi che era in squadra con me correrà con loro nel 2024, rimane il solo Jordan Labrosse che però passa nel team WorldTour».

L’Ag2R nel 2024 diventerà un team continental una rivoluzione completa (foto DirectVelo)
L’Ag2R nel 2024 diventerà un team continental una rivoluzione completa (foto DirectVelo)
Questa notizia l’avete avuta a stagione in corso e come ti sei mosso?

Esattamente ci è stato detto dopo il Giro Next Gen, quindi a giugno. Di conseguenza avevo iniziato a cercare nuove soluzioni, ho fatto un ritiro con la squadra satellite della TotalEnergies (Vendée U, ndr). Il contatto me lo ha trovato il mio allenatore, abbiamo fatto dei test, ma poi loro hanno deciso di puntare su profili diversi. 

Quando si è concretizzata la proposta della Beltrami?

A fine agosto, in realtà il contatto c’è sempre stato. Loro li conosco da molto tempo, sono delle persone con cui mi trovo davvero bene. Il contratto poi l’abbiamo firmato a ottobre. 

Gabriel Fede è andato in Francia in cerca di esperienze diversa ed una maturazione ciclistica (foto DirectVelo)
Gabriel Fede è andato in Francia in cerca di esperienze diversa ed una maturazione ciclistica (foto DirectVelo)
Avevi anche altre proposte in Italia?

Qualche altra continental era entrata in contatto con me, ma la scelta della Beltrami è stata semplice. Conoscendo già le persone, sono consapevole di ciò che mi aspetta, poi anche loro conoscono me e questo è importante. 

In che senso?

Sanno che faccio ciclocross, disciplina che praticherò anche questo inverno, probabilmente a partire da fine novembre. Il fatto che la Beltrami abbia una squadra di ciclocross mi ha aiutato a prendere la decisione, per me è importante mantenerlo. Anche al Devo Team dell’Ag2R usavamo il ciclocross come parte della preparazione. 

Fede ha corso spesso nel calendario nazionale francese confrontandosi con atleti elite (foto DirectVelo)
Fede ha corso spesso nel calendario nazionale francese confrontandosi con atleti elite (foto DirectVelo)
Un cammino che si interrompe a metà quello con il team francese, quanto sei soddisfatto di ciò che hai fatto?

L’esperienza la rifarei subito ed è qualcosa che mi rimarrà per sempre. Ho vissuto da solo, ho cambiato tanto della mia vita e sento che questa cosa sarà utile per la mia carriera. Mi sono trovato bene con l’Ag2R, abbiamo fatto un calendario impegnativo durante entrambe le stagioni, correndo spesso con gli elite. 

Non è stato un passo troppo grande? 

Non direi, anzi sono cresciuto con i tempi giusti. Non penso di aver affrettato i tempi, chiaramente mi sarebbe piaciuto avere a che fare con i professionisti, ma non c’è stata occasione. Dal Devo Team alla WorldTour è passato un solo corridore (Labrosse, ndr) , che prima ha fatto lo stage e dal 2024 sarà dei loro. 

Con l’Ag2R Citroen U23 ha continuato a correre nel ciclocross, fondamentale nella preparazione invernale (foto DirectVelo)
Con l’Ag2R Citroen U23 ha continuato a correre nel ciclocross, fondamentale nella preparazione invernale (foto DirectVelo)
Nessun rimpianto? 

Sinceramente mi sarei aspettato un percorso più netto, cioè al termine di questi due anni di farne altri due e vedere come sarebbe andata. Ora alla Beltrami voglio correre con i professionisti, quel che mi è mancato nei due anni in Francia. Ho scelto loro anche perché fanno tante gare di questo tipo ed è un modo per crescere ancora, ma non taglierò completamente i ponti con la Francia.

Cioè?

Avrò al mio fianco un allenatore francese Luc Chelain, che lavora in Ag2R, nel team WorldTour. Mi ha seguito anche nei primi due anni da under 23 e continuerò ad allenarmi nello stesso modo. Con lui mi sono trovato molto bene, è uno dei pochi che riesce a capirmi ed è molto bravo, c’è un bel rapporto tra me e lui, così ho preferito continuare sulla stessa strada. 

EDITORIALE / I Devo Team non sono l’unica soluzione

13.11.2023
5 min
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Un paio di concetti espressi qualche giorno fa da Dino Salvoldi hanno continuato a risuonarci nelle orecchie. Si parlava della tendenza dei nostri juniores di passare under 23 nei Devo Team europei (in apertura foto Jumbo-Visma Development) e il tecnico azzurro ha fatto un utile esercizio di lucidità.

«Bisogna lavorare – ha detto – per mettere queste generazioni nella condizione di avere una prospettiva. Se le loro scelte siano giuste o sbagliate lo scopriremo nel futuro. Le loro prospettive in questo momento di carriera, di ambizioni e di sogni passano per l’attività nei Devo Team, che in Italia non ci sono. Poi si entra chiaramente nelle valutazioni personali. Vanno solo per il nome oppure c’è sostanza?».

I nostri juniores sono risorse preziose anche e soprattutto grazie all’attività svolta con la nazionale (Le Photographer)
I nostri juniores sono risorse preziose anche e soprattutto grazie all’attività svolta con la nazionale (Le Photographer)

Lavorare nel modo giusto

Lavorare. Nulla avviene da sé e tantomeno per caso e assistere passivamente all’asfissia del movimento under 23 italiano è frustrante. Inizialmente si è puntato il dito verso i procuratori, dediti alla vendita di assistiti sempre più giovani, ma oggi non è più così e Salvoldi lo ha colto molto bene.

«I parametri di valutazione che adottano nei Devo Team – ha detto – sono le prestazioni correlate ai risultati nell’attività internazionale. Non esclusivamente il risultato e tantomeno le valutazioni funzionali, che trovo tanto limitative. Devo dire che già rispetto all’anno scorso, quest’anno nell’attività che abbiamo fatto alla Nations Cup, ho visto regolarmente gli osservatori di squadre del WorldTour. C’è uno scouting che in tutti gli altri sport è la normalità da 15 anni, cui noi stiamo arrivando in ritardo».

I team ricevono curriculum e risultati dei test, insomma, ma piuttosto che lasciarsi dettare il mercato dagli agenti dei corridori, mandano emissari sul campo.

Busatto non è approdato alla Circus ReUz (Devo Team della Intermarché) per lo stipendio, ma per le prospettive (foto Cyclingmedia Agency)
Busatto non è approdato alla Circus ReUz per lo stipendio, ma per il futuro che gli è stato offerto (foto Cyclingmedia Agency)

Il ruolo della FCI

In che modo governare lo svuotamento? Lavorando. E probabilmente l’unico attore che abbia in mano la possibilità di intervenire è la Federazione Ciclistica Italiana. Forse è il momento di prendere un foglio bianco e mettere in fila le priorità di spesa e lavorare per invertire la tendenza.

Se il bilancio federale è florido come viene detto, è urgente fare sistema, creando un tavolo di lavoro con le squadre juniores, le squadre U23, le continental, i procuratori e gli organizzatori. L’inverno è la stagione migliore.

Quanti sono gli italiani che vanno all’estero? Non pochi, di solito i migliori del giro azzurro, ma non sono la maggioranza. Che cosa trovano? Pianificazione, calendario, squadre in cui passare. Agli altri cosa resta?

Sulla nascita di squadre WorldTour non si può intervenire. Si può invece costruire un calendario che comprenda una corsa a tappe al mese? Sì, investendo su qualche organizzatore affinché nascano 2-3 gare da affiancare al Giro Next Gen, al Giro di Valle d’Aosta, al Giro del Friuli e al Giro del Veneto. Si potrebbero risuscitare il Giro delle Regioni e anche il Giro di Toscana, corse di un tempo quando l’attività in Italia era ben più florida.

Il ritornello è che la differenza la fanno i soldi: dato innegabile. Ma i soldi vanno spesi nel modo giusto. Sareste stupiti nello scoprire che nei Devo Team i corridori prendono appena dei rimborsi e ugualmente, pur di andarvi, rifiutano stipendi di 1.800 euro al mese in Italia? Chi è in grado di offrire tutti quei soldi a un solo atleta, perché non li investe sull’attività del proprio team? All’estero l’obiettivo è farli crescere, qui spesso si contano le vittorie per garantirsi il posto e gratificare lo sponsor. Le eccezioni ci sono, viene da pensare a Ct Friuli e Colpack, ma non basta.

Il Giro della Valle d’Aosta è un riferimento, spesso isolato. Urge intervenire sul calendario (foto A. Courthoud)
Il Giro della Valle d’Aosta è un riferimento, spesso isolato. Urge intervenire sul calendario (foto A. Courthoud)

Il treno è partito

Perché la svolta avvenga occorre avere visione d’insieme e chiarezza degli obiettivi. Contraddire le società è un rischio, perché sono loro a votare i vertici federali: forse per questo siamo fermi da decenni. Di quadriennio in quadriennio, ciascuno dei candidati alla presidenza ha pensato a catturarne le simpatie, piuttosto che contraddirle e costringerle a evolversi.

Scegliendo di rimanere dove siamo sempre stati, siamo usciti dal mercato. Il mondo è cambiato e quello anglosassone che domina il ciclismo è privo delle strutture di cui andiamo tanto fieri e rendono tutto più laborioso.

Anche l’accesso alle professioni è cambiato. I Maneskin sono re nel mercato discografico dopo l’esperienza di X-Factor. Jay Vine e Luca Vergallito sono nel WorldTour grazie a un concorso virtuale. Invece di lamentarsi per la novità, perché non si lavora per diventare più credibili?

Sinner a Torino: le ATP Finals sono un esempio di come potrebbe funzionare il WorldTour (immagini tv)
Sinner a Torino: le ATP Finals sono un esempio di come potrebbe funzionare il WorldTour (immagini tv)

Soldi e sicurezza

Mentre noi siamo qui a piangere per l’assenza di soldi, ieri l’inizio delle Nitto ATP Finals di tennis a Torino ha offerto un ulteriore spunto. Ciascuno di quegli 8 giocatori ha ricevuto un premio iniziale di 325.500 dollari, vincendo un incontro ne mettono in tasca altri 390.000. Battendo Tsitsipas, Sinner si è già messo in tasca i primi 715.500 dollari del torneo. Il montepremi complessivo è di 15 milioni di dollari, quello finale del Tour de France 2023 è stato di 2.300.000 euro.

Il modello di sviluppo del ciclismo di elite non funziona e quello di base ne paga le conseguenze. Il WorldTour sarebbe una grande idea, se fosse davvero un circuito chiuso. Tutto il resto del calendario andrebbe sfruttato diversamente: per far crescere i giovani e fornire materiale umano qualificato ai team più grandi. A cosa serve avere 50 squadre di under 23, se per l’assenza di un vero calendario, i loro sforzi restano invisibili?

Il ciclismo è sopravvissuto a ogni genere di traversia, ma non sarà così per sempre. Nel frattempo le strade sono diventate pericolose e si capisce bene come altri sport possano risultare più attrattivi per le famiglie, se vi girano più soldi e non sono esposti a rischi. Si vendono bici per andare a passeggio, non più per creare giovani atleti e questo rischia di spingere il ciclismo su un binario morto. Non c’è tempo da perdere. E pur comprendendo che il prossimo anno le risorse saranno rivolte alla preparazione olimpica, bisogna ragionare su come fare per rinsaldare il movimento. Non si può continuare a rimandare un intervento da cui dipende il futuro del nostro ciclismo giovanile.