Ormai non lo si può più considerare una novità. Se la sua vittoria alla Cadel Evans Great Ocean Race aveva colto tutti di sorpresa, Laurence Pithie ha dimostrato nel prosieguo di questo avvio di 2024 che non era stata un caso. Al suo secondo anno nel circuito maggiore, sempre in forza alla Groupama-FDJ che pian piano gli ha fatto scalare anche le gerarchie interne, il ventunenne neozelandese è uno dei corridori più promettenti del panorama internazionale, soprattutto perché ha dalla sua la sfrontatezza della sua giovane età che lo porta a provare a emergere sempre, tipica espressione della nuova generazione ciclistica nata sull’onda delle imprese di Pogacar.
Pithie non si è minimamente spaventato per i grandi impegni che lo attendevano e infatti alla Milano-Sanremo è rimasto nel vivo della corsa fin quasi alla fine, lo stesso dicasi per le prime classiche del Nord, anche se il Fiandre alla fine lo ha relegato in un’anonima 39esima piazza. Ma il calendario gli dà subito l’occasione per rifarsi, nel tempio di Roubaix.
Che cosa ti ha spinto a fare ciclismo su strada? In Nuova Zelanda i successi maggiori sono arrivati dalla pista…
Inizialmente ho corso anche su pista, mi piaceva molto. Ho avuto dei buoni risultati e proprio grazie ai miei riscontri sono entrato nel Willebrord Wil Vooruit Juniors, un importante team olandese. La mia ambizione era correre su strada, la pista è stata una buona ispirazione. D’altronde non credo sia possibile avere una carriera lunga e buona su entrambi i fronti: se vuoi emergere in Europa è la strada che ti dà un futuro. Se correvo su pista sarei rimasto in Nuova Zelanda. Per me il ciclismo su strada e il Tour de France sono l’espressione massima di quello che faccio. Ciò che mi ha davvero ispirato per essere un professionista. La pista è stata una bella parentesi.
Come sono stati i primi mesi alla Groupama, è stato difficile per te che venivi da un altro mondo?
Sì, non posso negarlo. Venendo dall’altra parte del mondo era super, ma anche complicato, per me e Reuben (Thompson, ndr). Confrontarsi non solo con le gare, ma con la cultura e l’ambiente, una lingua diversa, soprattutto per me che ho avuto alcune cadute all’inizio del 2023 che hanno reso tutto più difficile. Ma il team è stato di grande supporto, mi aiuta a integrarmi. La cultura francese e il vivere in Europa, lontano da casa, sono cose alle quali mi sono andato abituando. Ricordo che il primo mese mi sentivo sotto un rullo compressore, con un sacco di alti e bassi nell’umore, ma è parte del passato.
Tu sei un corridore molto veloce, ma ti abbiamo visto spesso cercare la fuga. Hai fiducia nelle tue doti di sprinter?
Sì, certamente. So che ho buone doti per il finale, ma non mi piace aspettare, preferisco costruire la corsa quando posso, stare davanti anche ben prima delle fasi finali. Io dico che se sei sempre davanti, di solito corri per la vittoria, mentre se aspetti uno sprint lasciando fare tutto agli altri, potresti anche veder sfumare tutto e lasciarti sfuggire le occasioni. Poi capita che vieni ripreso, come alla Cadel Evans Ocean Race, ma eravamo in pochi e potevo ancora correre per la vittoria. Magari se non ci avessi provato…
Avevi già corso nelle classiche belghe, cominci ad avere esperienza per ottenere risultati migliori?
Sono strade e percorsi dove per emergere bisogna imparare sempre di più. E’ vero che per ogni gara percorriamo molte delle stesse strade, ma ogni volta è diverso, la corsa è diversa. Alcune corse per me sono la prima volta, soprattutto le grandi corse. Quindi sto imparando ad ogni gara e sto migliorando.
Alla Gand-Wevelgem pensavi che la fuga potesse arrivare?
Sì, rispecchia quel che dicevo prima. Io dovevo provarci, dovevo essere lì se volevo avere qualche speranza. Quando Van Der Poel e Pedersen hanno forzato, io c’ero, potevo lottare con loro, ma ancora non ho le gambe per farlo, l’esperienza giusta. Avrei potuto aspettare dietro, ma che cosa ne avrei ricavato? Ho cercato di usare i miei compagni di squadra per costruire un risultato, quando lo faranno loro io sarò al loro servizio. Nessuno può negare però che la possibilità di vincere la gara l’ho avuta.
Sei rimasto sorpreso dai tuoi risultati in Australia?
Un po’, è stata la ricompensa per il mio duro, duro lavoro nella nostra estate in Nuova Zelanda. Sono andato in Australia, affrontando subito il massimo livello, ho visto che andavo forte e volevo concretizzare. Sapevo di aver lavorato sodo.
Visti i risultati, speri di essere convocato per i Giochi Olimpici e che cosa pensi del percorso di Parigi, si adatta a te?
Lo ammetto, ci penso. Credo di aver dimostrato negli ultimi mesi che sarò competitivo e lotterò per un grande risultato. Ho studiato il percorso, ci sono molti punti dove attaccare, dove posso davvero giocarmi le mie carte. Quindi sì, spero di andarci ed è sempre stato un sogno gareggiare o fare le Olimpiadi, anche da prima di essere un ciclista per competere in qualsiasi sport.
In futuro pensi potrai essere un corridore anche per la classifica delle corse a tappe?
No, non per la classifica generale di sicuro. Mi piacerebbe fare le grandi corse a tappe e correre per le vittorie di tappa e anche per alcune maglie, ma non sarò mai uomo da classifica, non è nelle mie corde.
C’è un corridore al quale ti ispiri?
Non particolarmente. Posso dire che ci sono molti ragazzi che ammiro per come corrono, per le abilità che hanno, ma non direi che ci sia qualcuno che mi ha portato a essere dove sono.
Qual è la gara che più di tutte vorresti vincere?
Questa è facile: i campionati mondiali… Poter indossare la maglia arcobaleno per un anno penso che sia l’apice del ciclismo, qualcosa che resta per sempre.