Bardet vuole una tappa al Giro per chiudere il cerchio

30.01.2024
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Il primo corridore a mettere nel sacco le vittorie di tappa in tutti e tre grandi Giri fu un italiano. E che italiano: Fiorenzo Magni. Era il 29 aprile del 1955 e sfrecciando per primo sull’arrivo di Barcellona (era una cronometro) Magni diede vita a questa particolare classifica. Dopo 69 anni ci sono riusciti altri 106 atleti oltre a lui. Il 108° vorrebbe essere Romain Bardet.

Il francese della DSM-Firmenich è di fronte ad un bivio però. All’Equipe, nelle settimane passate, in diverse occasioni ha parlato del suo futuro. Quello prossimo e quello più a lungo termine. Ma il tutto con un obiettivo ben chiaro: vincere una tappa al Giro d’Italia appunto.

Giro 2022, sul Blockhaus arriva secondo alle spalle di Hindely e davanti a Carapaz e Landa. E’ il suo miglior piazzamento nella corsa rosa
Giro 2022, sul Blockhaus arriva 2° dopo Hindely, Carapaz e Landa. E’ il suo miglior piazzamento nella corsa rosa

Giro e Tour

Bardet è rimasto folgorato dal Giro. Non lo ha mai negato. Certo, non è al livello di Pinot, ma la corsa rosa gli piace eccome. Nel sacco ha solo due partecipazioni: il Giro lo ha “scoperto” a 31 anni.

Due anni fa era messo davvero bene prima che una caduta lo tagliasse fuori dai giochi. Forse è stata l’ultima vera volta che lo abbiamo visto lottare per le generale. 

Per quest’anno dunque Bardet di sicuro sarà al Giro d’Italia: «Voglio provare ad entrare nel club di coloro che sono riusciti a vincere le tappe in tutti e tre i grandi Giri e a me manca una vittoria nella corsa italiana».

Il suo cammino verso la corsa rosa passa per il debutto stagionale nelle corse francesi, il UAE Tour, la Parigi-Nizza e il Tour of the Alps.

Di tappe adatte a lui ce ne sono parecchie al Giro. Già ad Oropa, Romain potrebbe mettere il sigillo. Ma forse la salita piemontese arriva un po’ troppo presto. Sia perché c’è di mezzo anche la maglia rosa e magari Pogacar e colleghi potrebbero voler “fare la tappa”. Sia perché immaginare una fuga da lontano con Bardet dentro è difficile. E’ pur sempre Bardet e lasciargli spazio potrebbe essere pericoloso. Romain è uno che tiene.

Il confronto generazionale è sempre più forte. Ma Bardet tiene botta: eccolo con Evenepoel all’ultima Vuelta
Il confronto generazionale è sempre più forte. Ma Bardet tiene botta: eccolo con Evenepoel all’ultima Vuelta

Estate decisiva

E poi c’è il futuro a lungo termine. Bardet è uno dei prodotti della classe 1990, bella e dannata. Tanto talentuosa quanto delicata. Il tempo passa e il francese va per i 34 anni e in questo ciclismo restare al vertice è sempre più dura. Uno suo ritiro non sarebbe impensabile.

Bardet a fine anno sarà senza contratto. Continuare o meno è solo una decisione sua. Anche se la DSM-Firmenich non lo tenesse, le squadre francesi specie quelle non WorldTour farebbero la fila per prenderlo. Classe, professionalità e un nome che non lascia mai indifferenti.

«Per ora – ha detto Bardet – non voglio pensarci troppo. Voglio concentrarmi sul Giro. Poi a metà stagione, magari prima del Tour de France dirò cosa farò. E lo dirò soprattutto a me stesso. Se capirò che sono ancora competitivo. Se capirò che questa vita, che da qui a fine maggio mi vedrà a casa sì e no 20 giorni, mi andrà ancora bene. Se devo continuare, voglio farlo per lasciare un segno e non per fare la comparsa».

E magari c’è da capire ancora se questo è davvero ancora il ciclismo di Bardet. In tempi non sospetti aveva lasciato intendere che questo sport sta diventando sempre più come la Formula1, in cui vince chi ha i tecnici migliori e non il bravo pilota. Lui aveva parlato di “ciclismo della scienza e dei preparatori”.

E’ il 2012 e un giovane Bardet esordisce con la maglia dell’Ag2R. Da allora ha messo nel sacco 10 vittorie tra cui 3 tappe al Tour e una alla Vuelta
E’ il 2012 e un giovane Bardet esordisce con la Ag2R. Da allora ha messo nel sacco 10 vittorie

Quale futuro?

La DSM-Firmenich sembra propensa ad un prolungamento di contratto. Almeno sono queste le informazioni che trapelano. Da quest’anno poi Bardet ha anche il supporto del connazionale Barguil. E magari questo potrebbe essere un incentivo a continuare in questa squadra.

«Vengo da una stagione – ha detto il francese – in cui le cose non sono andate benissimo. Mi sono sempre trovato in una situazione poco chiara e ciò non mi induce a continuare. Per questo voglio decidere con calma e al momento opportuno». 

Prima però c’è il Giro e un successo di tappa potrebbe essere decisivo per il suo futuro. Se dovesse riuscirci, poi al Tour potrebbe prendersi la sua “passerella”.

«Il Giro – ha detto Bardet ad Eurosport – l’ho fatto solo due volte e l’ho completato una. Come detto, quest’anno vorrei vincere una tappa e magari arrivare nei primi cinque». 

Rifornimenti, l’UCI cambia le regole: ora come si fa?

30.01.2024
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Le regole dell’UCI per quanto riguarda il rifornimento da terra sono cambiate. Non una variazione così eclatante, ma qualche accorgimento per migliorare la sicurezza in corsa. Chi ha dovuto prendere le misure con queste nuove disposizioni, oltre ai corridori, sono stati i massaggiatori. E’ a loro che si è rivolta l’UCI e queste prime gare sono servite per prendere le misure. Il parere su come sia cambiata la vita del massaggiatore lo chiediamo a Gianluca Mirenda, che dopo tre anni da professionista, lavora con i ragazzi della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè

«Bene o male – racconta dalla Spagna Mirenda dove tra poco partirà la Volta a la Comunitat Valenciana – non è cambiato molto. Già prima eravamo invitati a rimanere il più vicini possibile al bordo strada, ora è una regola fissa. Spero che venga rispettata. Il problema era il classico effetto a “imbuto” con i massaggiatori che facevano un passo avanti a testa per farsi vedere meglio. Il gruppo arriva lanciato, la strada si stringe e i danni venivano fuori. Ora toccherà fare qualche fischio in più oppure trovare sistemi per farsi vedere».

Gianluca Mirenda ha fatto il percorso nelle giovanili con Visconti e ora è massaggiatore alla VF Group Bardiani (foto Instagram)
Gianluca Mirenda ha fatto il percorso nelle giovanili con Visconti e ora è massaggiatore alla VF Group Bardiani (foto Instagram)
Anche le varie organizzazioni dovranno venirvi incontro con la scelta di strade ampie e dove ci sia buona visibilità…

In generale il rifornimento è sempre fatto su strade ampie dove è facile disporsi. In alcune situazioni sono talmente belle che noi massaggiatori ci mettiamo a 50 metri l’uno dall’altro. E lì problemi non ce ne sono. I “guai” arrivano quando le strade sono strette, c’è il pavé o altri ostacoli. Mi vengono in mente le Classiche del Nord.

E’ sempre una situazione pericolosa il rifornimento. 

Il rischio è sempre alto. Il sacchetto pesa un chilo, anche un chilo e mezzo. Se il gruppo è a passeggio non ci sono pericoli, a volte i corridori si fermano anche. Nel caso la gara sia tirata i rischi aumentano. I corridori vanno forte, sono in fila indiana, non vedono bene. Per questo la regola del metro da bordo strada è corretta, l’effetto imbuto è troppo pericoloso.

In queste prime corse a Mallorca com’è andata?

Non c’era una postazione fissa per il rifornimento, ovvero la classica feed zone, ma era libero. Quindi non ci è mai capitata la situazione con tanti massaggiatori in un unico punto. RCS, per esempio, in tutte le sue gare ha le zone fisse. 

Ora la regola del “chi prima arriva meglio alloggia” varrà di più?

E’ sempre valsa, forse ora vale leggermente di più. Ma il rispetto tra i colleghi è la prima cosa, se uno ha già il posto migliore ci si mette accanto o si cercano altre zone. Però, come dicevo prima, gli accorgimenti ci sono. 

La presa del sacchetto è un momento concitato, spesso i capitani mandano i gregari
La presa del sacchetto è un momento concitato, spesso i capitani mandano i gregari
Quali?

Uno, ad esempio, è parcheggiare la macchina prima della zona del rifornimento. Così i corridori vedono l’auto e prendono posizione. Noi, di solito, andiamo via una ventina di minuti prima della gara, per evitare imbottigliamenti e traffico. Il diesse sceglie due o tre zone per il rifornimento e noi ce le dividiamo.

Ad esempio?

A Mallorca ero da solo a fare i rifornimenti e abbiamo scelto zone e situazioni favorevoli o dove sapevamo come raggiungere. Anche questo fa parte della strategia. Nella prima tappa le zone scelte erano tre, le prime due le ho coperte bene, ma l’ultima ho rischiato di non arrivarci. La scelta della posizione sulla strada conta molto, se ci si posiziona vicino a un bivio magari si prendono superstrade o autostrade per tagliare. 

L’utilizzo delle divise della squadra era già in uso, dal 2024 è diventato obbligatorio
L’utilizzo delle divise della squadra era già in uso, dal 2024 è diventato obbligatorio
Soprattutto nel finale quando il gruppo è ormai diviso.

In quei casi il rischio è di aspettare tanti minuti e poi doversi accodare alla macchina di fine corsa. Il gruppo in testa va forte, quelli dietro passeggiano. Proprio a Mallorca mi è successo di accordarmi e il gruppetto andava a 12 all’ora. Per questo quel famoso ultimo rifornimento l’ho fatto all’ultimo.

Nome e carattere italiano ma corre per l’Australia. E’ Sarah Gigante

30.01.2024
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La prima gara del WorldTour femminile ha incoronato un’atleta di casa, anche se il suo cognome tradisce le origini italiane. Sarah Gigante ha colto la sua vittoria più importante nella sua finora giovane carriera sulle strade di casa, al Santos Women’s Tour Down Under, ma guardando indietro nel tempo ci si accorge che siamo di fronte a una ragazza che ha molto da dire: uno di quei nomi da segnare in rosso sul taccuino di atlete da seguire.

Melbourne, nei giorni dell’intervista è il centro del mondo sportivo. Almeno per noi italiani: Sinner è pronto a entrare in campo per fare la storia del tennis tricolore quando Sarah risponde alla chiamata per la programmata intervista che prende il via proprio dalle sue origini italiane.

«Mio nonno era italiano – ammette – non ne so così tanto della sua provenienza, in famiglia mi dicono che veniva da un paese chiamato Circello, vicino Benevento. Sfortunatamente però non l’ho potuto frequentare abbastanza per imparare almeno un po’ di italiano».

Il trionfo all’Emakumeen Nafarrokao Elite Classic in Spagna nel 2022, unica sua vittoria in Europa
Il trionfo all’Emakumeen Nafarrokao Elite Classic in Spagna nel 2022, unica sua vittoria in Europa
Che rapporto hai con l’Italia, hai mai corso qui?

Sì, ho corso il Trofeo Binda due volte. La prima con il mio vecchio team, Tipco, una banca sponsor della Silicon Valley. Siamo arrivati in Italia dal Belgio. Eravamo quasi gli unici sull’aereo perché l’Italia era un punto caldo per il Covid e tutti dicevano: non ci andare. Ma siamo arrivati lì e poi neanche abbiamo corso perché la gara era stata cancellata. Quella è stata la mia prima esperienza in Italia, un po’ traumatica. Nel 2021 sono arrivata a Cittiglio una settimana prima direttamente dall’Australia, ho potuto allenarmi nella zona e l’ho adorata assolutamente.

Qual è la tua storia ciclistica?

Sono cresciuta in una famiglia sempre molto attiva. Insieme facevamo un viaggio di nove giorni attraverso lo stato di Victoria chiamato “il grande giro in bicicletta vittoriano”. E avevo solo cinque anni. Erano circa 700 chilometri in nove giorni. Ci accampavamo nelle diverse città dello Stato e poi i camion prendevano i nostri bagagli. Io andavo su una bici da rimorchio con mia mamma davanti, poi l’ho fatto su un tandem quando avevo sette anni, quindi doppia bici. Poi ho detto che volevo farlo con la mia bici, ma era così difficile per una bambina piccola che mamma pensò che sarebbe stato meglio iscrivermi ad un club di ciclismo per prepararmi. Quindi abbiamo cercato su Google i club ciclistici per bambini ed è apparso il club ciclistico Brunswick. Da allora in poi non ho più smesso.

Sarah dietro la mamma, a 5 anni, nel corso dell’annuale escursione attraverso lo Stato di Vittoria
Sarah dietro la mamma, a 5 anni, nel corso dell’annuale escursione attraverso lo Stato di Vittoria
Il Tour Down Under è stata la tua prima vittoria nel WorldTour: che effetto ti ha fatto?

E’ stato incredibile ottenere la mia prima grande vittoria in casa perché lì avevo la famiglia, gli amici, ma anche solo i tifosi in generale, anche se non li conoscevo. Molti di loro scandivano il mio nome, il che era davvero speciale. E’ stato davvero bello vincere dalla mia parte del mondo.

Lo scorso anno hai gareggiato pochissimo, perché?

Mi sono infortunata due volte di seguito e non ero davvero in forma per la prima metà dell’anno. Una volta andata in Europa, sono stata selezionata per una gara solo ad agosto. Ho fatto il Giro di Scandinavia, ma poi ho perso la selezione per il resto.

Che differenze trovi tra Movistar e AG Insurance?

Sono entrambe squadre davvero fantastiche e penso che entrambe abbiano i propri punti di forza. Ma per ora sono davvero contenta di AG Insurance Soudal perché ovviamente posso correre di più. In Australia hanno mostrato una grande coesione, la mia vittoria ha avuto un forte significato per tutte e devo dire loro grazie. Quindi è stata una sensazione davvero speciale vederle correre per me, anche se mi avevano appena incontrato.

Gli esordi della Gigante nel ciclismo che conta, nelle file dell’Holden Team Gusto, squadra di casa
Gli esordi della Gigante nel ciclismo che conta, nelle file dell’Holden Team Gusto, squadra di casa
Ti senti più adatta alle classiche d’un giorno o alle corse a tappe?

Mi piacciono le gare di un giorno, ma penso sicuramente che preferirò le gare a tappe. E’ solo che non ho ancora avuto l’opportunità di provarne una davvero lunga, mettermi alla prova al Giro o al Tour. Quindi spero che quest’anno saprò di più se sono adatte a me. Ma ho la sensazione di essere un vero motore diesel e non mi sento così stanca solo allenandomi giorno dopo giorno. Quindi spero che questo mi renderà adatta per le corse a tappe.

Nelle cronometro hai dimostrato il tuo valore con due titoli nazionali, com’è il tuo rapporto con le salite?

Adoro arrampicare. Quando la strada va in salita e tutti iniziano a soffrire. Amo il dolore. E sì, adoro le gare più dure.

Il podio della gara mondiale junior 2018. Nell’individuale la Zanardi beffò l’australiana all’ultimo sprint
Il podio della gara mondiale junior 2018. Nell’individuale la Zanardi beffò l’australiana all’ultimo sprint
Nel 2018 sei stata argento ai mondiali juniores su pista nell’individuale a punti, perdendo solo all’ultimo giro da Silvia Zanardi. Perché non hai continuato nelle gare su pista?

Ricordo bene quella gara, Silvia mi ha battuto nell’ultimo sprint e ha conquistato il meritato oro. Ma ero davvero contenta dell’argento perché venivo da un brutto infortunio, mi ero rotta entrambe le braccia un paio di mesi prima. Quindi quello era un argento davvero speciale. Non ho continuato a fare pista perché appena sono entrata nella categoria under 23 a inizio gennaio ho vinto i campionati nazionali élite di corse su strada.

E come ha influito ciò sulle tue scelte?

E’ stata una sorpresa completa. Allora ero così distratta da tutte le opportunità che improvvisamente ho avuto sulla strada. Gareggiare con la squadra nazionale alla Cadel Evans Great Ocean. Andare all’estero con la mia squadra dell’epoca, la Holden Team Gusto. Poi grazie alla vittoria del titolo, mi è stata assegnata la borsa di studio della Fondazione Amy Gillett, quindi ho potuto andare in Belgio con la nazionale. Non avevo tempo per la pista.

La Gigante ha partecipato a Tokyo 2020, sfiorando la Top 10 a cronometro
La Gigante ha partecipato a Tokyo 2020, sfiorando la Top 10 a cronometro
Che calendario ti aspetta adesso e che obiettivi hai?

Sono davvero contenta di come è andato il Down Under per me e per la squadra e possiamo trarre molta fiducia da questo. Ma è anche bello non avere pressioni per le altre gare di questa fase stagionale, possiamo conoscerci meglio e poi anche fare un buon allenamento. Avrò un paio di settimane a casa prima di andare in Europa per la presentazione della squadra, poi inizierò a correre al Trofeo Binda che adoro.

Nei tuoi sogni ci sono le Olimpiadi a Parigi?

Mi piacerebbe andare di nuovo alle Olimpiadi. Mi piacerebbe davvero correre a Parigi e voglio tornare più forte ora che sono un po’ più esperta e con più esperienza. Penso che sarebbe difficile essere scelta per Parigi, però. L’Australia ha corridori davvero bravi e ovviamente l’anno scorso non ho quasi corso, quindi sì, penso che sia difficile, ma mai dire mai.

Il valore di una sponsorizzazione World Tour? Risponde Limar

30.01.2024
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PAAL BERINGEN (Belgio) – Due chiacchiere con Giovanni Caporali di Limar non sono mai banali e gli argomenti che si possono affrontare sono tanti, sempre interessanti. Caporali in passato ha ricorpeto il ruolo di Amministratore Delegato dell’azienda lombarda, ora è il riferimento marketing e del prodotto.

Con lui abbiamo affrontato l’argomento delle sponsorizzazioni e l’impegno che oggi è richiesto per essere presenti nel World Tour.

L’incontro con Giovanni Caporali (Limar) nella sede di Ridley in Belgio
L’incontro con Giovanni Caporali (Limar) nella sede di Ridley in Belgio
Limar è al fianco di un solo team nel WorldTour, è corretto?

Siamo un partner, ormai di lunga data, del Team Astana-Qazaqstan in ambito World Tour maschile e della compagine femminile Roland (ex Israel-ndr). E’ un impegno importante, sotto il profilo dei costi e di tutto quello che è necessario fare per sviluppare i prodotti. Nel 2024, complessivamente siamo sponsor di 14 team nelle diverse discipline, compagini maschili e femminili.

Quanto costa essere nella Champions League del ciclismo per un’azienda che produce caschi?

Un team World Tour in generale non è sotto ai 500.000, anche se ormai il plateau è di un milione di euro. Solo per essere sponsor dei caschi. Queste cifre sono al netto di premi e materiali forniti nel corso della stagione.

Una parte del team kazako in azione in Australia
Una parte del team kazako in azione in Australia
E’ così importante essere nel World Tour?

E’ fondamentale per un’azienda che punta ad essere presente nel mondo, che ha bisogno di una visibilità costante. Eppure non è solo questo, perché un TeamWorld Tour di oggi è di fatto un’azienda e un banco di prova. Ti aiuta a sviluppare il prodotto e le tecnologie dietro le quinte. Non si tratta solo di caschi e materiali in genere. Quello che si vede, quello che indossano i corridori è il risultato di un percorso e di tante ricerche.

Le cifre che hai menzionato influiscono sul prezzo del prodotto che troviamo sul mercato?

Influiscono in modo esponenziale. E’ difficile quantificare in modo preciso, ma se un brand, un’azienda, un marchio, vuole rimanere sulla cresta dell’onda non può farne a meno. Se non si investe in quella direzione, quella delle sponsorizzazioni di alto livello, nessuno ti vede e il rischio di sparire è più che reale. Al tempo stesso è fondamentale avere un prodotto di eccellenza.

Prosegue la collaborazione con il Team Astana (foto Team Astana)
Prosegue la collaborazione con il Team Astana (foto Team Astana)
Dai professionisti, a cascata le tecnologie diventano alla portata di tutti!

Quello che indossano gli atleti professionisti è il medesimo prodotto usato dagli amatori. I dettagli, le piccole modifiche che apportiamo passo dopo passo, vengono traslate di conseguenza.

Quanti caschi sono forniti ad un team World Tour?

Limar fornisce 3 modelli per ogni corridore: due da strada e uno da crono. Nel 2023 abbiamo dato al Team Astana Qazaqstan circa 400 caschi. Tra questi c’è anche l’Air Atlas, sviluppato con la collaborazione del team. In questa cifra non rientrano i prodotti in fase di sviluppo e test.

I test al Politecnico di Milano con Nibali ancora in attività e Wilier (foto Wilier)
I test al Politecnico di Milano con Nibali ancora in attività e Wilier (foto Wilier)
Quale è la parte più costosa quando si sviluppa un casco?

L’aerodinamica, tutta la ricerca che è alle sue spalle e lo sviluppo stesso dei caschi da crono. Consideriamo inoltre che i caschi da cronometro hanno un ritorno che è pari a zero, perché il numero degli esemplari venduti è irrisorio. Ribadisco il concetto che la ricerca è fondamentale e arricchisce, non poco, il brand.

Conoscenze, ergonomia e aerodinamica. C’è altro dietro un casco?

I due fattori principali della categoria sono il peso, inteso come valore alla bilancia e l’aerodinamica. I caschi di oggi devono essere efficienti, ma anche leggeri, ben ventilati e a mio parere devono anche essere belli da vedere una volta indossati. Il design e l’impatto estetico ti permettono di vendere e di creare appeal.

Campioni e debuttanti, non è sempre facile. Nibali racconta

30.01.2024
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Qualche giorno fa Nibali è uscito in bici assieme a Ulissi sulle strade di Lugano. Sapendo che ci saremmo sentiti, lo Squalo ha approfondito il tema anche con l’amico. Lo spunto è quello dell’editoriale di ieri: i corridori giovani crescono prima se nella loro squadra ci sono campioni con cui confrontarsi? Il discorso si può prestare a una doppia interpretazione. Si può entrare nello spinoso terreno dei giovani che non ascoltano i consigli dei più esperti. Oppure si può restare nell’ambito descritto da Pellizzari ed Ellena, sugli stimoli derivanti dal semplice allenarsi assieme a loro.

«Quando passai alla Liquigas – racconta Nibali – il capitano era Di Luca e io anche in allenamento volevo staccarlo sempre e questo certamente mi ha fatto crescere. La mia svolta più grande c’è stata però dal 2008-2009 in poi. Danilo era andato via e noi del gruppo giovani abbiamo iniziato a fare i ritiri di squadra sul Teide. Il mio riferimento da quel momento in poi è diventato Pellizotti e solo dopo è arrivato Basso. Franco lo copiavo per come lavorava, come si preparava, per come strutturava l’allenamento. Guardavo quello che faceva lui, anche per lo stile di gara. Mi dava delle indicazioni perché io ero molto impulsivo e sbagliavo i tempi».

Sin dai primi mesi nella Liquigas, Nibali si è sempre voluto confrontare con capitan Di Luca
Sin dai primi mesi nella Liquigas, Nibali si è sempre voluto confrontare con capitan Di Luca
Che cosa vi siete detti con Ulissi a proposito di questo?

Che oggi lavorare con i giovani è molto più difficile, perché hanno le loro idee. A volte, anche quando gli spieghi delle cose, sembra che gli dici chissà cosa. Hanno già i numeri e vincono, quindi alla fine, tra virgolette, hanno ragione loro. Io ho vissuto un ciclismo diverso, in cui era bello che accanto al giovane ci fosse un uomo di esperienza. Oggi sembra sempre meno utile. Quello che una volta insegnavano gli anziani, oggi in base al budget delle squadre lo imparano dai preparatori e dai nutrizionisti.

Infatti il punto non è tanto quello che il campione può insegnare a parole, ma quello che si impara su se stessi allenandosi al suo fianco.

Ci può stare, comunque credo che andando alla VF Group-Bardiani, Pellizzari abbia scelto di crescere tranquillamente. Per cui in questo momento magari si può rimanere male perché quelli che hanno la stessa età e fino a ieri erano sullo stesso livello hanno già vinto, ma non è detto che questi exploit diventino la regola e che le differenze ci saranno per sempre. A fare le cose di fretta, si rischia che l’exploit duri 2-3-4 anni e poi però che la discesa sia rapida quanto la salita.

Prova a metterti nei panni di uno di questi ragazzi: non pensi che allenarsi con Pogacar gli dia maggior consapevolezza?

Sì, è così. Se nella tua squadra complessivamente hai atleti di un certo valore, chiaramente anche il tuo livello si porterà su un gradino leggermente più alto. Sai che stai competendo con della gente che è il gotha del ciclismo, perché nel UAE Team Emirates metti dentro Ayuso, Pogacar e tutti quelli che ci sono, uno si misura subito. Se però provi a parlargli, non funziona. Diego mi faceva l’esempio di corridori giovani che potrebbero anche avere vantaggio dal ricevere qualche consiglio e invece lo guardano come fosse di un altro pianeta. Eppure è serissimo, sa lavorare bene, tutti gli anni ha sempre vinto. E’ un professionista esemplare, quindi qualcosa da insegnare ce l’ha. In una squadra è sempre bene affiancare un uomo di esperienza ai più giovani. Ad esempio, nella Q36.5 di cui sono ambassador, Brambilla ricopre esattamente questo ruolo.

Ulissi è uno dei grandi corridori con cui i giovani del team si confrontano ogni giorno in allenamento (foto UAE Emirates)
Ulissi è uno dei grandi corridori con cui i giovani del team si confrontano ogni giorno in allenamento (foto UAE Emirates)
E’ sempre stato così?

Quando sono passato io, gli anziani non ti dicevano molto. Ricordo che alla Fassa Bortolo arrivai giovanissimo. Trovai dei corridori come Flecha oppure Kirchen e Codol che davano i consigli veri, quelli giusti. Se li ascoltavi, bene. Se non li ascoltavi, si voltavano dall’altra parte e continuavano la loro vita. Lo stesso negli anni successivi ho fatto io, provando a correggere chi eventualmente stava commettendo un errore.

Aru può aver guadagnato sicurezza in se stesso prendendo le misure su di te in allenamento?

Probabilmente sì, ma in quel periodo l’Astana era una squadra forte. C’era Fuglsang, poi è arrivato Scarponi. Andavamo a giocarci il Giro, il Tour e la Vuelta. Ci eravamo posizionati ai vertici delle classifiche, non solo con due atleti, ma con tutta la squadra (Nibali e Aru sono insieme nella foto di apertura al Giro del Trentino del 2013, ndr). Se un giovane si trova a vivere in certe squadre, per forza assorbe qualcosa in più. Sicuramente avere un veterano oppure un corridore con un bel palmares e che continua ad andar forte, può essere un bel riferimento. Se invece nella squadra il riferimento non c’è, chiaramente si fa più fatica perché a quel punto l’esperienza devi farla in gara. Ma Pellizzari potrebbe dire: l’ho staccato una volta, lo posso staccare ancora.

Al momento il confronto lo fanno su Strava, guardando i tempi di Evenepoel in allenamento…

Sì, ma certe osservazioni lasciano il tempo che trovano. Ero anche io a Calpe e si parlava di questo tempo stellare fatto da Remco sul Coll de Rates. Ho sentito Bramati, mi ha detto che sembravano non poggiasse le ruote per come andava. I suoi compagni dicono che bastava che la strada si alzasse leggermente e li lasciava lì. Quindi sta già andando forte, non ha ancora fatto grandi cose e ha battuto il KOM di Poels. Aver fatto dieci secondi di più a inizio stagione rispetto a uno che neanche è a tutta non è tanto indicativo.

Papà per la seconda volta a ottobre, ecco Nibali con Emma e la piccolissima Miriam (foto Instagram)
Papà per la seconda volta a ottobre, ecco Nibali con Emma e la piccolissima Miriam (foto Instagram)
E questo conferma che sarebbe stato meglio per lui, se fossero stati in squadra insieme, salire alla sua ruota e mettersi alla prova.

Sarebbe stato diverso, certo. Quando facevo dei test, non ero mai tra i migliori. Però poi in gara di fatto ero sempre davanti. Da dilettante, da junior, riuscivo a vincere 10-12 gare ed era normale, mentre ora si esaltano se ne vincono la metà. I confronti veri si fanno in gara, come Bettini che attaccava il numero e diventava un altro. I giovani forti ci sono sempre stati. Giorni fa mi sono scritto con Cunego su Instagram e anche lui parlava di questi ragazzi prodigiosi. E mi è toccato ricordargli che lui a 23 anni ha vinto il Giro e il Lombardia. Non è che andasse poi così piano. Rispetto ad allora, sono cambiati gli strumenti.

Certamente sono più accessibili.

Io sono passato professionista che quasi non sapevo usare il cardiofrequenzimetro. Adesso usano il powermeter da juniores, avendo pure i rapporti liberi. Hanno tutti i numeri disponibili, mentre una volta il direttore sportivo più bravo era quello che riusciva ad adattare le tabelle alla squadra. Ora è più scientifico, dalle ruote alle gomme, dalle bici al casco. Il casco col paraorecchie e anche il casco col paraocchi, visto che qualcuno ogni tanto sbatte (ridiamo di gusto, ndr). Vanno a cronometro e guardano la traccia sul computerino, tengono la testa giù e poi picchiano sulle transenne e si chiedono come mai.

Potere del computer…

Negli ultimi anni da professionista, c’erano quelli che facevano la discesa guardando il Garmin, perché avevano la traccia GPS. Io non l’ho mai fatto, io guardavo le curve e come dovevo prenderle per impostare la prima e, se c’era la seconda in sequenza, come impostare anche la seconda. La traccia la facevo io e non mi sembra che in discesa Nibali fosse scarso. Qualche errore di valutazione l’ho fatto, il più grave fu alle Olimpiadi di Rio, ma perché la strada era mezza asciutta e mezza bagnata. E questa comunque è un’altra storia. E le ruote, posso assicurarvelo, non c’entravano niente.

Reverberi e il Giro: «Una questione di vita o di morte»

29.01.2024
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Forse la partecipazione della VF Group-Bardiani al Giro d’Italia non è mai stata in discussione. Nonostante ciò, vedere il proprio nome fra quelli che il 4 maggio prenderanno il via da Torino ha portato in casa Reverberi la serenità per continuare sulla strada intrapresa a dicembre nel primo ritiro.

«Per una squadra italiana – spiega Roberto Reverberi – l’ufficialità del Giro è questione di vita o di morte. L’80 per cento della pubblicità di uno sponsor è legata a questo. E’ vero che non è un diritto, a meno che non arrivi fra le prime due professional. Ma noi l’anno scorso siamo arrivati sesti nella classifica europea, ci ha passato la Q36.5 per una multa presa da Henok e i punti che gli hanno tolto. Per cui certi commenti sul nostro organico e sul fatto che non meriteremmo il Giro li rimando al mittente. Siamo stati la prima squadra italiana, da qualche parte quei punti li avremo pur fatti…».

Roberto Reverberi, durante le prima corse 2024 a Mallorca, con la testa già sul Giro. In apertura, una foto VF Group Bardiani
Roberto Reverberi, durante le prima corse 2024 a Mallorca, con la testa già sul Giro. In apertura, una foto VF Group Bardiani
Avevate già pronto il piano B?

No, zero. Abbiamo programmato tutta la stagione in previsione del Giro. Facciamo sempre doppia e anche tripla attività, il piano B sarebbe stato fare richiesta per qualche gara a maggio. Ma onestamente non abbiamo mai pensato al rischio di non esserci. Insomma, avevamo già prenotato due ritiri in altura con le date per il Giro

Esiste anche una lunga lista di nomi?

Proprio per un fatto di programmazione, abbiamo un gruppo di 10 corridori ai quali però si potrebbe unire qualcun altro, se durante l’anno dovesse andare bene. A quel punto si potrebbe inserirlo nel secondo ritiro, come pure non è da escludere il coinvolgimento di qualche giovane all’ultimo momento, come già capitato in passato.

Pellizzari fa parte di quella lista. Quale potrebbe essere un suo obiettivo realistico al Giro?

Finirlo sarebbe già una cosa importante. Il massimo con un giovane così, visto che qualcosina l’ha già dimostrata, sarebbe provare a vincere una tappa. Non avrà l’assillo della classifica e allora potremmo puntare sulle 2-3 giornate importanti, con percorsi adatti e dove magari c’è meno controllo. Potenzialmente una potrebbe anche giocarsela: vincere è difficile, fare un bel piazzamento è alla sua portata. Lo ha dimostrato l’anno scorso al Tour of the Alps. Poi conoscendolo, quando si trova là davanti, gli viene anche più grinta. Credo sia presto pensare alla classifica, visto anche il livello dei partecipanti.

Chi altri, oltre a Pellizzari?

Uno potrebbe essere Martinelli che finora non è stato troppo costante per problemi di salute, tra cui il Covid. Finalmente ha risolto un problema al ginocchio e se trova la sua dimensione, può mettersi in luce. Di solito programmiamo tutto, ma se venti giorni prima uno di quelli prescelti non va e c’è un giovane che ha dimostrato qualcosa, lo mettiamo dentro. E a volte succede come con Ciccone, che prima del Giro 2016 aveva fatto vedere qualcosa e ha vinto la tappa di Sestola da neoprofessionista.

Martinelli sta risolvendo i suoi acciacchi e potrebbe essere uno dei giovani in rotta sul Giro
Martinelli sta risolvendo i suoi acciacchi e potrebbe essere uno dei giovani in rotta sul Giro
Come capisci se un giovane è pronto per debuttare al Giro?

Lo vedi dalle prime corse. Li vedi fare certi numeri che ad altri non riescono. Li riconosciamo noi dall’ammiraglia, ma se ne accorgono anche i corridori più grandi. Tonelli è uno dei più esperti, quello su cui si fa un po’ più affidamento. Penso a Modolo, brillante dall’inizio. Di Ciccone abbiamo detto. Colbrelli che per poco vinceva il Giro del Piemonte da stagista. Oppure Battaglin. Si vedono subito, non c’è bisogno di aspettare tanto.

Avere un corridore esperto e forte con cui misurarsi e confrontarsi fa crescere prima: perché non avete mai valutato di riprendere Pozzovivo?

Per una squadra come la nostra, al limite potrebbe essere utile. Potrebbe curare la classifica e permetterci di avere l’ammiraglia più avanti. Però con la politica dei giovani che ci siamo dati, non avrebbe senso prenderlo, anche se è un grande professionista e va ancora forte. Preferiamo dare spazio a un giovane, che magari trova il giorno giusto, si fa vedere e fa parlare di sé e della squadra.

Non è un fatto di stima.

Per lui ho tanto rispetto e ammirazione, è il corridore più serio che abbia mai visto. Domenico è stato anche sfortunato. Nell’ultimo anno con noi vinse cinque corse, compresa la tappa di Lago Laceno al Giro, l’ultima che ha portato a casa. Capisco che non sia facile smettere quando hai passato tutta la vita a fare questo lavoro, specialmente quando sai di essere ancora competitivo. Magari non è proprio un vincente, però capisco la voglia di chiudere la carriera in modo dignitoso e non perché qualcuno ti dice che devi smettere perché sei vecchio.

Tonelli è il corridore più esperto della squadra, il riferimento per i direttori
Tonelli è il corridore più esperto della squadra, il riferimento per i direttori
Facciamo un passo indietro, dove farete i due ritiri in altura?

Entrambi sull’Etna. Bisogna stare dietro a quello che fanno anche gli altri. Il gap rispetto agli squadroni è già abbastanza grande: se non fai le cose nel modo giusto, la differenza aumenta e fare risultato è impossibile.

Senza dimenticare che avendo messo in piedi una struttura di preparatori, anche loro spingeranno in questa direzione, no?

Hanno messo tutto nero su bianco. Il dottor Vicini, che rappresenta lo staff tecnico, ha preteso una serie di cose ben precise. E noi a quel punto gli abbiamo dato carta bianca. Almeno arriveremo al Giro senza rimpianti per quello che si sarebbe potuto eventualmente fare.

I corridori sembrano soddisfatti del lavoro fatto in ritiro a gennaio.

Abbiamo lavorato bene. Borja, il nostro allenatore spagnolo, è veramente bravo. Segue anche gli allenamenti delle squadre WorldTour, così abbiamo dei parametri di riferimento che vengono condivisi anche con i corridori. E proprio per questo i ragazzi hanno capito che devono lavorare il doppio rispetto a quanto facevano prima. Borja è un vero ricercatore. Dopo ogni corsa ha già in mano i dati dei protagonisti e li confronta con quelli dei nostri. L’altra mattina Zoccarato gli diceva di avere mal di gambe. E lui gli ha risposto che va bene, significa che ha lavorato come doveva. Se ti alleni forte, il mal di gambe fa parte del pacchetto…

Del Toro vince e stupisce, guidato da Marcato in ammiraglia

29.01.2024
5 min
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Sull’ammiraglia della UAE Team Emirates, al Tour Down Under, era seduto Marco Marcato. Il diesse ha seguito da dentro la prima corsa WorldTour stagionale, un appuntamento importante, per tirare le somme e trarre le conclusioni sull’inverno appena trascorso. In casa UAE Team Emirates la sorpresa è stata il giovane messicano Isaac Del Toro, fresco vincitore del Tour de l’Avenir. Nemmeno il tempo di capire che fosse arrivato nel WorldTour che ha messo le ruote davanti a tutti. 

«Purtroppo – racconta da casa Marcato mentre prepara le prossime trasferte – in Australia non era presente Jay Vine (vincitore della corsa nel 2023, ndr). Di conseguenza abbiamo ripiegato su una squadra a più punte. La sorpresa è stata Del Toro, che ha vinto una tappa ed è salito sul podio finale, conquistando il terzo posto. Il Tour Down Under ogni anno diventa sempre più importante e fare un risultato del genere fa ben sperare».

Per Del Toro e Morgado il Tour Down Under ha sancito il debutto nel WorldTour
Per Del Toro e Morgado il Tour Down Under ha sancito il debutto nel WorldTour

Aspettative contenute

La curiosità intorno al debutto di Del Toro era alta, se non altro per vedere come il vincitore dell’Avenir si sarebbe confrontato con i corridori di massimo livello. Non c’erano aspettative così alte, figuriamoci una vittoria. 

«Sia per Del Toro che per Morgado – racconta il diesse – era il debutto nel WorldTour. Sappiamo di che pasta sono fatti, ma di certo non avevamo aspettative troppo alte. C’era un punto di domanda sui loro nomi, il WorldTour è un mondo diverso con gare e atleti di massimo livello. L’idea era che Del Toro avrebbe avuto le sue opportunità, ma i punti di riferimento del team erano Ulissi e Fisher-Black».

Il primo successo

Poi però è successo che nella seconda tappa della corsa australiana l’ordine di arrivo sia stato dominato dal Del Toro. 

«La vittoria alla seconda tappa – conferma Marcato – è stata una sorpresa. Il ragazzo stava bene, lo aveva già dimostrato in ritiro, ma vincere è diverso. E’ stato bravo a cogliere l’occasione. In mattinata avevamo detto che se ci fosse stato un arrivo a ranghi ridotti lui avrebbe potuto anticipare la volata. C’era uno strappo impegnativo a un chilometro dall’arrivo e lo ha preso come trampolino di lancio. Ci aveva già impressionato, perché a meno 8 dal traguardo si era messo a tirare per chiudere sui fuggitivi, una volta rientrati ha trovato la forza di scattare».

Sulla salita di Willunga l’inesperienza porta alla perdita della maglia di leader
Sulla salita di Willunga l’inesperienza porta alla perdita della maglia di leader

Dall’ammiraglia

Una stoccata ad un chilometro dall’arrivo, cercata e anche programmata, in un certo senso. Anche se la gestione dall’ammiraglia non è stata semplice…

«In macchina – continua Marcato – non avevamo il video e la radio non dava informazioni complete. Per fortuna all’arrivo c’era uno schermo e Valerio Accardo ci aggiornava via telefono. Quando Del Toro è partito all’ultimo chilometro ci ha detto che sarebbe andato a vincere. Poi Accardo si è dovuto spostare per andare a raccogliere i corridori dopo il traguardo e non abbiamo avuto aggiornamenti. Dopo un paio di minuti radio corsa ha comunicato la vittoria di un corridore della UAE. Ci siamo sciolti in un’esultanza molto bella. Del Toro l’ho rivisto solo dopo il podio, mi ha raccontato della vittoria ma era incredulo, non si aspettava nemmeno lui un debutto così».

Un po’ di impazienza preclude a Del Toro la vittoria dell’ultima tappa, c’è tempo per imparare
Un po’ di impazienza preclude a Del Toro la vittoria dell’ultima tappa, c’è tempo per imparare

Insegnamenti e ambientamento

Il messicano ha poi colto il terzo posto finale al Tour Down Under, vincendo la classifica dei giovani. Si è mosso, ha fatto vedere tante cose ma con dei limiti di lettura della gara, cosa normale. Tutto fa parte del processo di crescita: vincere conta, ma anche la sconfitta insegna

«Si è messo in gioco – dice il diesse – ha provato ed è giusto così. Peccato perché in un paio di occasioni ha sprecato della buone chance. A Willunga, per esempio, era spesso fuori posizione e ha sprecato tante energie, cosa che ha pagato nella volata finale. Anche nell’ultima tappa ha fatto vedere buone cose, ma avrebbe dovuto pazientare di più, invece ha provato spesso a uscire di forza. E’ tutto giusto, mettersi in mostra e imparare dagli errori.

«In squadra si è ambientato bene – conclude Marcato – è un ragazzo intelligente che ascolta, elabora e mette in pratica. E’ rispettoso, chiede e impara dai più grandi, come da Ulissi che al Tour Down Under lo ha guidato bene. E’ partito forte, anche perché dopo il ritiro di dicembre è andato in Messico ad allenarsi. Si è allenato al caldo e questo lo ha aiutato nelle preparazione. Ora andrà a correre in Oman, senza fretta, di tempo per crescere ce n’è».

EDITORIALE / Quei giovani cresciuti all’ombra dei campioni

29.01.2024
5 min
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Ricordate l’editoriale di un paio di settimane fa, in cui definimmo la nazionale della pista come la sola WorldTour italiana? Oggi proseguiamo nel discorso, ispirati da un’osservazione fatta pochi giorni fa da Giulio Pellizzari su alcuni giovani prodigiosi, poi sottolineata da Giovanni Ellena.

«Sicuramente è un fatto fisico e di crederci – ha detto Pellizzari parlando dell’inattesa vittoria del ventenne messicano Del Toro al Tour Down Under – ma secondo me la differenza la fa l’ambiente. A dicembre si è allenato con Pogacar, Ayuso, Hirschi e tutti più forti al mondo e quello secondo me fa tanto. Prendi consapevolezza dei tuoi mezzi, perché dalle voci che girano, in allenamento non era niente meno dei migliori».

«E’ una cosa giustissima – gli ha fatto eco Ellena – Pellizzari ha visto giusto. Il confronto con certi campioni, il fatto di pedalargli al fianco, ti fa scattare una molla: se lo fa lui, lo faccio anch’io. Se invece non sei con loro, chiaramente hai il dubbio e la paura. E’ una questione psicologica».

Moro (in primo piano) e Milan subito accanto sono entrati nel quartetto in modo fulmineo, grazie al lavoro di Montichiari
Moro (in primo piano) e Milan subito accanto sono entrati nel quartetto in modo fulmineo, grazie al lavoro di Montichiari

La sfida dei quartetti

Nella nazionale della pista, sarà pure per caso, ma dal momento in cui si è rimesso in moto il meccanismo dei quartetti, grazie agli allenamenti comuni a Montichiari sono saltati fuori anche giovani capaci di insidiare i titolari più forti. Prima Jonathan Milan e poi Manlio Moro hanno bussato fortissimo alla porta di Villa, al pari di quello che a breve potrebbe fare anche Federica Venturelli.

Non succede invece su strada, proprio perché manca la famosa squadra WorldTour in cui i giovani, pedalando accanto ai campioni, potrebbero imparare più rapidamente qualcosa sui loro limiti (in apertura Cunego e Simoni l Giro del 2005, ndr). Cercare di scoprirli in corsa rende tutto più complicato e lento: come andare all’esame universitario, avendo studiato sul libro del liceo. Allenarsi accanto a un campione di livello mondiale significa provare a prendergli le misure in ogni occasione. E se anche è vero che i giovani del ciclismo attuale sono poco propensi ad ascoltare consigli (questo dipende dal carisma di chi i consigli li vuole dare), la consapevolezza di tenere sempre più a lungo le ruote del numero uno al mondo ha dato certamente a Del Toro (e ad Ayuso prima di lui) la consapevolezza di valere più del minimo sindacale.

La Carrera di Boifava permise a Pantani di crescere e misurarsi accanto a Chiappucci
La Carrera di Boifava permise a Pantani di crescere e misurarsi accanto a Chiappucci

La catena dei leader

Tanto per dare un’idea, proviamo a ricordare il… passa parola che ha permesso ai vari leader del ciclismo italiano di formarsi accanto a campioni inizialmente più grandi di loro.

Gotti è passato professionista accanto a Bugno e ha vissuto sotto lo stesso tetto per quattro stagioni. Casagrande, che pure il Giro non l’ha mai vinto, ha approfittato di una stagione accanto a Franco Chioccioli. Pantani non lasciava passare un solo giorno senza prendere le misure a Chiappucci alla Carrera. Lo stesso romagnolo è diventato poi il riferimento di Garzelli alla Mercatone Uno. Non è stato forse Simoni il metro di paragone per il primo Cunego? Allo stesso modo Nibali, passando alla Liquigas accanto al miglior Di Luca, cercava quotidianamente il confronto. Così Bettini con Bartoli, Paolini con Bettini e anche Bennati, che si è formato guardando da vicino e tirando le volate di Cipollini. L’ultimo a beneficiare di un simile traino fu Aru con Nibali: non a caso i quattro anni trascorsi con il siciliano all’Astana sono stati i migliori della sua carriera.

Confidiamo che gli azzurrini passati nelle continental straniere abbiano la possibilità di allenarsi e crescere dal confronto con Vingegaard, Van Aert, Roglic, Gaudu, Quintana e tutti i campioni con cui potranno misurarsi.

Pozzovivo avrebbe avuto il profilo per ispirare e alzare il livello dei giovani in una professional?
Pozzovivo avrebbe avuto il profilo per ispirare e alzare il livello dei giovani in una professional?

Il coraggio di osare

Sappiamo bene che al cospetto di colossi come UAE Emirates, Visma-Lease a Bike e Bora-Hansgrohe, non ci sono professional che tengano. Alle nostre squadre manca però il coraggio di osare, investire su un corridore di nome, che diventi traino e ispirazione per i giovani del team. D’accordo, difficilmente un uomo di gran nome accetta di lasciare il WorldTour, eppure l’ha fatto Trentin e la Tudor ne trarrà certamente beneficio. Qualche anno fa la Eolo-Kometa aveva pensato a Viviani e poi a Nibali: sarebbe stato geniale. La Bardiani ha provato con Visconti, Modolo e Battaglin, ma non ha funzionato.

La politica di queste due squadre è quella di far crescere in casa i talenti migliori, che senza prospettive superiori diventeranno però appetibili per le squadre più grandi. La scelta di entrambe di non ingaggiare un corridore come Pozzovivo è comprensibile, ma fa riflettere. E’ stata valutato il vantaggio che la presenza di un così grande professionista avrebbe potuto avere sui giovani della squadra? Per Piganzoli o Pellizzari, due nomi a caso, provare a stargli a ruota in ogni santo giorno di allenamento sarebbe stato una scuola interessante. Avrebbe certamente meno senso prenderlo ora, con entrambi i ritiri alle spalle, perché quel che conta in certe operazioni è la quotidianità. Certi ragionamenti probabilmente andrebbero fatti a monte, quando si progetta un’impresa e si devono elencare i passaggi per realizzarla e gli indicatori di verifica per poterne infine valutare gli esiti.

Adesso Svrcek è pronto a raccogliere l’eredità di Sagan

29.01.2024
4 min
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CALPE (Spagna) – C’è un po’ d’Italia quando si parla con e di Martin Svrcek. Il giovane slovacco della Soudal-Quick Step è infatti passato da “casa nostra”. Fu il direttore sportivo della Franco Ballerini, Andrea Bardelli, a portarlo in toscana negli anni da juniores.

Martin è uno di quei corridori che si potrebbero etichettare come “baby fenomeni”. E non è un caso che dopo l’esperienza in Italia sia passato direttamente nel WorldTour. Un formale, ma necessario passaggio alla Biesse-Carrera, ma il contratto già in tasca con la squadra belga. E poi via alla corte di Lefevere.

Martin Svrcek (classe 2003) durante l’incontro a Calpe
Martin Svrcek (classe 2003) durante l’incontro a Calpe

Più maturo

Rispetto ad altri però il suo approccio al professionismo non è stato proprio roseo. Le difficoltà ci sono state e anche una certa dose di sfortuna dovuta a qualche acciacco di troppo ci ha messo lo zampino. Di fatto la prima vera stagione da pro’ completa è stata quella passata: 44 giorni di gara, tre top 10 ma anche le prime grandi gare. E tutto sommato va bene così per un classe 2003.

L’impressione però è che vedendolo dopo un paio di anni, Svrcek sia cresciuto moltissimo. Più personalità, più scioltezza nel muoversi anche con i compagni, una buona padronanza dell’inglese. Stare coi campioni ti cambia.

«Ora sono più maturo – racconta Svrcek, mentre si prepara un caffè – due anni fa in effetti ero ancora un bambino. Forse non ero proprio pronto per il WorldTour e avevo bisogno di più tempo per il mio sviluppo. Ora però spero, e credo, di essere più pronto, credo più in me stesso e va bene così questo mi fa guardare con fiducia al futuro».

Lo sloveno è alla terza stagione da pro’. Per quest’anno punta molto sulle corse di un giorno, in futuro chissà (foto Wout Beel)
Lo sloveno è alla terza stagione da pro’. Per quest’anno punta molto sulle corse di un giorno, in futuro chissà (foto Wout Beel)

Voglia di gare

«Non vedo l’ora d’iniziare la nuova stagione – dice Svrcek – penso di aver avuto un finale di stagione davvero bello. Agosto è stato un gran bel mese per me. Anche a Glasgow ero andato bene (terzo nel mondiale U23). Peccato che dopo abbia avuto un problema al ginocchio. Sentivo dolore, il che non era eccezionale e per tre mesi non ho fatto quasi nulla. Ma credo di aver avuto la mia condizione migliore di tutti i tempi, almeno sin qui. Quindi non vedo l’ora di riprendere. Non so cosa aspettarmi. Voglio solo fare un ottimo lavoro per il team e per me».

Svrcek inizierà il suo percorso agonistico 2024 dall’AlUla Tour, unica corsa a tappe in programma, almeno per ora. Poi lo aspetta un lungo filotto di classiche: dall’Omloop Het Nieuwsblad fino all’Amstel Gold Race, passando per la Milano-Sanremo, unico monumento in programma per lui.

«Dopo il Saudi Tour però farò un training camp in altura. Andrò con il team a Sierra Nevada e poi da lì ritornerò alle corse con la Kuurne-Bruxelles-Kuurne e la Milano-Sanremo. Successivamente dovrei fare altre classiche ma non sono del tutto sicuro ancora del mio programma. Vedremo strada facendo.

«Dove veramente voglio fare bene è alla Sanremo e per questa serve sia tanta resistenza che tanta esplosività, ma penso anche alle Olimpiadi».

Svrcek è un riferimento in Slovacchia, tanto è vero che è anche un ambassador per Citroen (foto Instagram)
Svrcek è un riferimento in Slovacchia, tanto è vero che è anche un ambassador per Citroen (foto Instagram)

Erede di Sagan

E con il discorso delle Olimpiadi si apre un capitolo interessante. Con l’addio di Peter Sagan, di fatto Martin Svrcek diventa il leader ciclistico di questa Nazione. Per carità non parliamo di un movimento super, ma è pur sempre motivo di responsabilità e di orgoglio al tempo stesso.

«Vivo ancora in Slovacchia – racconta Svrcek – e anche per questo voglio fare bene ai Giochi. Sì, senza più Sagan sono il ciclista più importante del mio Paese – l’espressione tradisce un certo orgoglio – ma non sento la pressione su di me. Anzi, credo che la stessa pressione sia sempre qualcosa di buono. In più sono in una squadra che mi sta dando il tempo di crescere e non mi mette stress».

Come caratteristiche fisiche Svrcek potrebbe essere, in parte, l’erede di Sagan. E’ certamente meno veloce di Peter, ma tiene un po’ meglio in salita. Nelle classiche potrebbe fare bene anche lui. In più è in una squadra che proprio con le classiche ha un certo feeling. Ma è talmente giovane che neanche lui sa se magari un giorno potrà essere ideale anche per le corse a tappe. C’è solo da attendere.

Prima di congedarci, Martin ci parla dell’Italia. La Toscana non l’ha dimenticata: «Sento ancora Bardelli e la famiglia Iacchi, che mi ha accolto. Fare lo junior in Italia è stata un’esperienza molto bella e lo ricorderò sempre, anche perché è stato il mio primo passo nel grande ciclismo. Se ora sono qui è grazie a quell’esperienza».