Massignan, quando le sconfitte valgono più delle vittorie

12.05.2024
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Probabilmente, se un giorno avessero chiesto a Imerio Massignan quando avesse voluto lasciare questo mondo, avrebbe detto “in coincidenza del Giro d’Italia”. Il destino lo avrebbe accontentato, perché il vicentino è scomparso a 87 anni proprio il giorno della partenza della corsa rosa. Quella corsa che gli era entrata nel sangue e che gli aveva sempre lasciato quel velo di amaro in bocca. Già, perché la storia di Massignan, che pure è ricca di risultati importanti (di quelli che oggi pagheremmo per avere con simile frequenza da un corridore nostrano) è contrassegnata più dalle sconfitte.

Per capirne la ragione basta ripercorrere la sua carriera che pure inizia in maniera squillante. Massignan è uno scalatore puro, di quelli che appena la strada si rizza sotto le ruote non riesce a star fermo. Il giorno che vince la Bologna-Raticosa, classica per dilettanti nel 1959, Tullio Campagnolo si avvicina a Eberardo Pavesi, grande corridore dell’anteguerra considerato il più esperto dei direttori sportivi: «Non farti sfuggire quel ragazzo, ti darà soddisfazioni». Pavesi non se lo fa dire due volte, lo mette sotto contratto e lo fa esordire subito. Non in una corsa qualunque, perché lo getta subito nella mischia del Giro d’Italia.

Massignan era nato il 2 gennaio 1937 ad Altavilla Vicentina. In carriera ha corso da pro’ per 11 anni con 2 vittorie
Massignan era nato il 2 gennaio 1937 ad Altavilla Vicentina. In carriera ha corso da pro’ per 11 anni con 2 vittorie

Le salite, il suo pane

Pensate una cosa del genere ai giorni nostri, quando ogni anno di carriera di un giovane viene misurato col bilancino. A quei tempi non si andava tanto per il sottile… Massignan però non si spaventa: in fin dei conti, al Giro di salite ce ne sono e quelle sono il suo pane. Il ragazzo veneto se la cava più che bene, anzi benissimo, tanto da finire quinto in classifica.

Le sue capacità di scalatore colpiscono la fantasia, ma c’è un episodio che lo eleva nell’olimpo del ciclismo. Quell’anno il Giro d’Italia affronta per la prima volta il Passo Gavia, inserito nella Trento-Bormio di 229 chilometri. Il veneto scalpita e già sul Tonale se ne va in solitaria. Mancano 80 chilometri, gli avversari non gli danno molto credito. «Quella montagna non l’avevo mai vista – racconterà in seguito – mi sono ritrovato a pedalare su una vera mulattiera, tra sassi, ghiaia, con un muro di neve alto sei metri da una parte e uno strapiombo dall’altra».

Il veneto è stato un grande scalatore: primo nella classifica dei GPM al Tour 1960 e 1961, è stato 4° ai Mondiali 1960
Il veneto è stato un grande scalatore: primo nella classifica dei GPM al Tour 1960 e 1961, è stato 4° ai Mondiali 1960

L’angelo del Gavia

Massignan non si spaventa, anzi spinge sempre più sui pedali. Dietro i grossi calibri si muovono, a cominciare da Charly Gaul, il lussemburghese, un altro che vive per tappe come questa. Il problema è che non guadagna: davanti quel diavolo non ha la minima intenzione di mollare anche se nelle gambe i chilometri di fuga si moltiplicano.

Il vicentino scollina con oltre 2 minuti di vantaggio. A chi pensa che sembra fatta dobbiamo però ricordare che Massignan è ricordato più per le sconfitte, per la sfortuna che l’ha contraddistinto. Infatti in discesa quei sassolini malefici gli presentano il conto. Fora per due volte, mentre rimette a posto la ruota vede Gaul sfrecciare. Eppure è capace ancora di riacciuffarlo, è pronto a giocarsi la tappa testa a testa, ma se il proverbio dice “non c’è 2 senza 3” c’è una ragione. Massignan fora a 300 metri dal traguardo e Gaul ha via libera. Quel rimpianto non lo lascerà mai, anzi il nomignolo “angelo del Gavia” che lo accompagnerà fino ai giorni nostri non ha fatto altro che rinfocolarlo: «Sul passo – ricorda un giorno – vendono ancora una cartolina con scritto “Passaggio di Massignan” e ogni volta è un tuffo al cuore».

Fino agli ultimi anni Massignan non ha mai mancato gli appuntamenti nel suo mondo (foto Sirotti)
Fino agli ultimi anni Massignan non ha mai mancato gli appuntamenti nel suo mondo (foto Sirotti)

Riciclatosi gregario prezioso

Massignan che di nome fa Imerio è davvero uno scalatore come ce ne sono pochi. Se ne accorgono anche oltralpe, dove realizza un’importante doppietta portandosi a casa la maglia a pois del Tour sia nel 1960 che nel 1961. Sempre nel ’61, dopo essere stato 4° al Giro ottiene lo stesso risultato alla Grande Boucle dove conquista di forza la tappa di Superbagneres, resa davvero terribile dalla nevicata intensa. Uno dei suoi dolori è che la stessa cosa non gli è mai riuscita al Giro, neanche nell’edizione del 1962 conclusa al secondo posto dietro Balmamion, molto meno capace in salita ma che fa della costanza la sua forza.

L’anno dopo fa capolino un problema, all’inizio sembra superabile, invece ha un peso decisivo sulla sua carriera: la nefrite. Salta metà stagione e tutto il 1964, quando torna a gareggiare si capisce che non è più il Massignan di prima. Il veneto ha però il buonsenso di riciclarsi e diventa un ottimo luogotenente, seguendo una trafila che nel corso degli anni altri faranno, un nome per tutti Rafal Majka. Diventa un gregario prezioso e questo gli consente di portare avanti la sua carriera (con conseguenti stipendi) fino al 1971.

Al Museo dei campionissimi di Novi Ligure, davanti alla foto a lui dedicata
Al Museo dei campionissimi di Novi Ligure, davanti alla foto a lui dedicata

Ahi, quello spagnolo…

Chiude con tanti sogni che gli tocca riporre in un cassetto. Come ad esempio vincere sulla sua montagna preferita, quella di casa, quella che porta al Santuario di Monte Berico. Un’occasione al Giro ci sarebbe, all’edizione del 1967, che finisce con una volata per scalatori: «La volevo tanto, ma Francisco Gabica me gà fregà» raccontava con suo tipico idioma vicentino per nulla intaccato, neanche negli ultimi anni da piemontese della sua residenza nell’Alessandrino, non lontano da quella Novi Ligure di Fausto Coppi che era stato la sua ispirazione.

Il filo logico di Mauduit sulla crescita di Lenny Martinez

12.05.2024
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Quattro vittorie e piazzamenti importanti in questo primo scorcio di stagione. Una Vuelta alle spalle. Un ottimo Romandia. Una crescita importante. Ammettiamolo: un po’ ci stupisce non vedere Lenny Martinez al Giro d’Italia. Anche perché ha fatto un buon calendario sin qui, con Catalunya e Romandia che potevano essere un buon percorso di avvicinamento alla corsa rosa.

La grinta di Lenny Martinez (classe 2003) al Catalunya
La grinta di Lenny Martinez (classe 2003) al Catalunya

Una promessa a pois

Qualche domanda sulla gestione tecnica del folletto francese ce la siamo posta anche noi. Martinez ormai sembra pronto per lottare ad alti livelli. E questo è un argomento che abbiamo posto sul piatto e analizzato con Philippe Mauduit, responsabile del settore corse e direttore sportivo della Groupama-FDJ.

In questi giorni si è parlato parecchio di Lenny in Francia, anche in chiave di mercato. Sembra abbia firmato già con la Bahrain-Victorious, ma chi gli è vicino, a cominciare da suo papà Miguel, smentisce categoricamente: «La prima scelta è quella di prolungare con la Groupama».

Ma si è parlato anche del nonno, di Lenny, Mariano. L’ex corridore degli ’70 sta perdendo la vista e ha chiesto al nipote di vincere la maglia a pois, che lui fece sua nel 1978. «Conquistala prima che io non possa più vederti indossarla». Secondo papà Miguel, Lenny si è fissato in testa questa promessa. Anzi, questa missione.

Philippe Mauduit (classe 1968) è uno dei direttori sportivi della Groupama-FDJ (foto X)
Philippe Mauduit (classe 1968) è uno dei direttori sportivi della Groupama-FDJ (foto X)
Philippe, insomma, Lenny Martinez va forte, come mai non lo avete portato al Giro?

Perché è ancora giovane, ha solo 20 anni. E perché uno come lui non lo si porta così…

Ma ci avete mai pensato? Tutto sommato ha già una Vuelta nel sacco e al Giro non avete né un uomo di classifica, né un velocista.

Sì, ci abbiamo pensato, ma in realtà un velocista ce lo avevamo. Ed era Paul Penhoet. Quest’inverno avevamo fatto i programmi di tutti i ragazzi. Prima del Giro Penhoet si è rotto i legamenti del ginocchio. A quel punto ci siamo posti una domanda: rivoluzioniamo la squadra o sostituiamo un solo uomo? Cambiare tanti programmi sarebbe stato troppo complicato e forse neanche era giusto per chi aveva già un calendario definito e aveva iniziato dall’Australia. E poi sarebbe stato complicato inserire Lenny, in quel gruppo concepito diversamente.

Perché?

Perché un corridore così lo devi supportare. Gli devi mettere vicino almeno un paio di scalatori e qualcuno che lo aiuti in pianura. Abbiamo quindi deciso di non toccare nulla e di mandare Laurence Pithie, che non aveva ancora un programma estivo, è uscito bene dal Nord e per lui poteva essere una bella esperienza con una buona possibilità di vittoria di tappa.

Trofeo Laigueglia 2024, Martinez trionfa in solitaria precedendo Vendrame e Ayuso
Trofeo Laigueglia 2024, Martinez trionfa in solitaria precedendo Vendrame e Ayuso
E quindi come gestirete Martinez da qui in poi (rientrerà in corsa a fine giugno e poi a luglio farà il Giro di Svizzera)?

C’è di nuovo l’ipotesi Vuelta per lui e non il Tour de France. In questo caso non solo perché è giovane, ma è il giovane che porta sulle spalle la speranza di tutta la Francia. La speranza del prossimo vincitore del Tour. Significherebbe metterlo in pericolo e questo, per ora, possiamo evitarlo. Meglio la Vuelta, meglio la Spagna.

Insomma, lì Lenny sarà più tranquillo…

Esatto, inoltre in Spagna avremmo una squadra con un po’ più di scalatori. Dobbiamo essere realistici: noi siamo un team che oscilla fra il settimo e il dodicesimo posto della classifica WorldTour e non abbiamo gli uomini che possono fare classifica su tutti e tre i grandi Giri. Per farlo servono altri corridori e i salari sono così alti che già poter fare due grandi Giri con l’idea della classifica generale è tanto. E poi ripeto, l’idea di venire al Giro con il velocista era ponderata. Oggi trovare una corsa di tre settimane che ti dà l’opportunità di 7-9 arrivi in volata è una cosa rara. Quindi era giusto anche per questo motivo.

Philippe, ma per te Martinez era pronto? Pronto per il testa a testa o sarebbe venuto con l’obiettivo di crescere?

E’ un tutt’uno, non si possono dividere le due cose.

Ma conoscendolo sarebbe stato contento? Parliamo dei desideri, dei sogni del “bambino” al Giro…

Sì, sì sicuro. Sotto questo punto di vista sarebbe stato contento e pronto a lottare. Ma come dicevo, cambiare i programmi sarebbe stato complicato. Anche perché oltre a Penhoet, in questa prima parte di stagione abbiamo 6-7 infortuni. E si è trattato d’infortuni gravi, che hanno visto i ragazzi fermi per mesi e qualcuno ancora non ha ripreso.

In Francia ci sono enormi attese su questo ragazzo. Esporlo prematuramente al Tour potrebbe essere un effetto boomerang per Lenny
In Francia ci sono enormi attese su questo ragazzo. Esporlo prematuramente al Tour potrebbe essere un effetto boomerang per Lenny
Si parla di crescita: in queste due stagioni con voi è migliorato? Intendiamo anche sotto il profilo della personalità?

Dal punto di vista fisico le sue caratteristiche fisiche crescono, non in modo eccezionale, ma lineare e questo va molto bene. Dove vedo che cresce rapidamente è nella parte mentale. Lenny non ha paura di niente. Mi sembra che la pressione gli scivoli addosso. Dalla Vuelta dell’anno scorso ha imparato molto. Ha una forza mentale impressionante. Lui parte per vincere, sempre.

Quindi adesso è uno che nelle riunioni parla? Nei meeting dice la sua?

Non parla molto a dire il vero, ma è giovane e sta imparando ad essere leader. Quando nel bus si fanno i faccia a faccia con i corridori è importante anche la parola del corridore, del capitano in questo caso, e non solo quella del direttore sportivo. Io glielo l’ho fatto notare e lui ha capito. E’ incredibile. Gli dici una cosa una volta e non hai bisogno di ripetergliela… come invece oggi bisogna fare con tanti ragazzi.

Dentro al Giro, in fuga anche noi sull’ammiraglia Decathlon

11.05.2024
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PRATI DI TIVO – Il messaggio diceva: “Appuntamento alle 11,30 al bus della Decathlon-AG2R La Mondiale. Seguirete l’ottava tappa nella seconda ammiraglia con il direttore sportivo Cyrill Dessel”. E poi seguiva un brevissimo decalogo di regole da seguire. Ma che occasione: vivere e osservare il Giro d’Italia da dentro.

Talmente dentro che ad un certo punto avevamo Tadej Pogacar e Domenico Pozzovivo praticamente aggrappati allo specchietto destro!

Valentin in fuga

Prima di partire Dessel ci spiega più o meno come sarà la giornata. «L’idea è quella di piazzare un uomo in fuga, possibilmente Valentin Paret-Peintre o anche Alex Baudin. E per questo motivo, noi che siamo la seconda ammiraglia partiremo un po’ prima della corsa. Così da accodarci direttamente e non dover superare il gruppo (specie su strade tante tortuose, ndr). Faremo un primo rifornimento da terra al chilometro 33».

Al chilometro 33 perché in teoria la fuga doveva aver preso il largo. E così infatti facciamo. Solo che la UAE Emirates di Pogacar ha messo subito le cose in chiaro e finché il drappello di testa non si è ridotto non ha lasciato spazio. Un minuto scarso, troppo poco per seguire la fuga secondo regolamento. Morale della favola. Siamo ripartiti, ma dietro il gruppo.

I 20 chilometri che seguono sono da follia pura. Si vola. Le ruote dell’ammiraglia stridono, neanche fossimo in un poliziesco americano. E’ una danza e una lotta tra ammiraglia, moto, giudici e qualche corridore che riesce persino a rientrare. Entra ed esci dai borghi umbri. Le pietre delle case sono punti ocra (e oggi anche rosa) nel verde di questa splendida porzione di Appennino Umbro-Laziale.

Finalmente in Valnerina, quando la strada si allarga e ci sono “persino” due chilometri di pianura la giuria dà il via libera alle ammiraglie per andare sulla fuga. E’ qui che facciamolo slalom tra Pogacar, Pozzovivo e tutti gli altri. Nel risalire si lasciano delle borracce ai ragazzi della Decathlon-AG2R La Mondiale. Si ottimizza.

Paesaggi splendidi quelli dell’Appenino Centrale
Paesaggi splendidi quelli dell’Appenino Centrale

L’occhio del diesse

Da questo momento, Dessel prende in mano la situazione. E anche la radiolina. Inizia a dare indicazioni a Valentin Paret-Peintre su come gestire la corsa. Il viso del direttore sportivo, gentilissimo, si fa più concentrato.

Gli illustra la situazione. Anzi, prima ancora gli chiede se ha bisogno di acqua, malto, gel…. Poi con un tono molto calmo, inizia dirgli come saranno i chilometri successivi. Di chi è meglio messo nella generale della fuga. Gli fa notare che la  Ineos Grenadiers ne ha due e Sheffield sta tirando per Narvaez, quindi deve cercare di fare il suo, ma anche di risparmiare il più possibile.

Il tablet con VeloViewer è una fonte inesauribile di dati. Grazie alla connessione di tutta la squadra, Dessel riesce a dire a Valentin che «Fra 80 metri sulla destra c’è Sabino per il rifornimento a terra».

E nel finale Dessel calcola anche il tempo massimo. In una schermata apposita inserisce il time di Pogacar, aggiunge il dato del 18 per cento, il distacco massimo dal vincitore previsto per oggi, e automaticamente gli esce il tempo massimo: 43’36”.

Paret-Peintre attento

I chilometri passano. Si oltrepassa la splendida Leonessa. Si plana con delle curve incredibili su Posta. Quindi Borbona. Dalla Provincia di Rieti, Lazio, si entra in quella dell’Aquila, Abruzzo. Tante curve, paesi stracolmi di gente, boschi e qualche segno ancora del terremoto, anzi dei terremoti sia L’Aquila che Amatrice. Ma per questi argomenti c’è poco tempo. La corsa è sempre più nel vivo. Dietro la UAE Emirates gioca come il gatto col topo. Il distacco è una fisarmonica che non si allontana troppo dal minuto e mezzo.

L’Intergiro è posto su un rettilineo che tira, dopo di che inizia il penultimo Gpm di giornata Una salita di 4 chilometri.

«Valentin – dice Dessel alla radio – stai attento a questo traguardo. Bardet potrebbe approfittare per continuare l’attacco e portare via un drappello». Da dietro Paret-Peintre esegue alla lettera e inizia a marcare il vecchio Bardet. Ma non succede nulla. Perché?

Perché da davanti arrivano notizie che allo scollinamento di Colle Abbio c’è vento. E’ contrario e anche forte e la successiva discesa che porta all’imbocco di Prati di Tivo non è tecnica ed è poco pendente. Insomma, le peggiori condizioni per attaccare.

La Decathlon-AG2R voleva andare in fuga con Valentin Paret-Peintre: missione riuscita
La Decathlon-AG2R voleva andare in fuga con Valentin Paret-Peintre: missione riuscita

Bravo Valentin

Dessel non martella il suo atleta alla radio. Poche indicazioni, ma che gli restino in testa. Semmai qualche indicazione sulla tipologia di strada successiva, indica a chi passerà dopo una strettoia più insidiosa di altre, ma nulla più. 

E il non attacco di Bardet è giusto. Ai -25, a metà della planata l’ultimo rilevamento dice 55” tra fuga e gruppo. Ai -24 radiocorsa annuncia: «Stop per le ammiraglie in fuga. Stop. Stop». Appena troviamo un varco ci fermiamo. Si approfitta per mangiare un boccone. Si lascia passare il gruppo della maglia rosa dove viaggiano anche O’Connor, Aurelien Paret-Peintre e Baudin e quando transitano altri atleti della Decathlon-AG2R La Mondiale ci mettiamo in coda. Con i leader c’è la prima ammiraglia.

Eppure questa sosta sa quasi di beffa. Ancora una volta la UAE Emirates lì tiene lì, ma non chiude. Così succede che Valentin Paret-Peintre attacca da solo sulla scalata finale. Noi non possiamo far altro che seguire il suo tentativo dalla tv dell’ammiraglia… aspettando l’affondo di Pogacar.

Decathlon promossa

Arriviamo in cima scortando Andrea Vendrame e Damien Touzé, che salgono tranquillamente tra i 18 e 23 all’ora, dato che sarà interessante per chi conosce questa scalata. I minuti fioccano, ma i due sono abbondantemente nel tempo massimo. Meglio risparmiare energie. Lungo la scalata la gente cuoce arrosticini. Qualcuno lo prendiamo anche noi, in cambio di una borraccia. E un paio li prende anche Touzé! 

«Penso che oggi sia stata una buona corsa per noi – dice il direttore sportivo – questi attacchi e lo scatto nel finale sono stati importanti per Valentin. Lui è giovane e gli danno fiducia. Volevamo provarci con lui e ci siamo riusciti. Immaginavamo che Pogacar volesse vincere questa mattina al via. Ma dopo una fuga con tante  squadre e difficile da controllare pensavo che lasciasse un po’ più di spazio. Controllarla oggi non era facile, ma lo hanno fatto per tutto il giorno. 

«E poi penso sia stata una buona tappa anche per Ben O’Connor. Lui ha bisogno di muoversi così. E’ arrivato terzo. Ha preso l’abbuono. E se la può giocare per il podio. Credo sia qualcosa di realistico».

Ai 500 metri dal traguardo la deviazione ammiraglie interrompe la nostra avventura “dentro al Giro”. Una giornata ricca di passione e adrenalina. Lo sportello si apre. Un cinque con Dessel e il meccanico Michel Szkolnike si va… a scrivere questo pezzo.

Tiberi, signori: la storia forse è appena cominciata

11.05.2024
6 min
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PRATI DI TIVO – La sala stampa l’hanno messa a 24 chilometri dall’arrivo, per cui ci ritroviamo in un bar rumoroso in mezzo a decine di tifosi. Sul palco alle nostre spalle, Pogacar riceve la terza salva di applausi cui brindiamo con un altro sorso di birra, mentre ci accingiamo a scrivere di Tiberi. Quello scatto si somma all’ottima crono di ieri e diventa una prova di coraggio che parla di futuro. La gente intorno rumoreggia, il Gran Sasso giganteggia prepotente come la maglia rosa.

Neppure un mese fa eravamo quassù ad applaudire e raccontare la vittoria di Alexey Lutsenko al Giro d’Abruzzo. Oggi il kazako è arrivato a 2’21” da Pogacar. La condizione magari non sarà più la stessa, ma neppure il gruppo somiglia a quello assai fragile di allora.

Un bar accanto al palco, una birra, due computer e via al lavoro
Un bar accanto al palco, una birra, due computer e via al lavoro

La corsa del padrone

La corsa del UAE Team Emirates è stata perentoria. Nonostante nella fuga di giornata fossero rappresentate dodici squadre e nessuno fosse realmente pericoloso, i bianconeri guidati da Hauptman e Baldato li hanno tenuti nel mirino. A un certo punto, quando il vantaggio ha preso a scemare, anche quelli davanti devono aver pensato che tanta fatica non sarebbe servita a niente. Ma questa è la legge della jungla: facciamo tutti parte di una catena alimentare e al momento Pogacar è il re. Così la scena si è consumata quasi tutta negli ultimi tre chilometri della salita, quando Tiberi ha cominciato a guardarsi intorno.

«Non mi aspettavo affatto di vincere oggi – dirà Pogacar – ma non appena abbiamo superato la prima salita di giornata, i miei compagni di squadra volevano che andassi a vincere la tappa. Antonio Tiberi ci ha provato un paio di volte, ma avevo più o meno tutto sotto controllo…».

Altri giovani in passato hanno sfidato l’imperatore del momento: alcuni sono diventati grandi, altri sono spariti. Ma quello di cui avevamo e abbiamo bisogno è un italiano che getti via i timori reverenziali e scopra le carte. In questo senso, il Giro con Pogacar mattatore può diventare la vetrina ideale per mettersi alla prova. Lo abbiamo già scritto e lo ripetiamo. Prima o poi tutti i campioni trovano un avversario più forte, ma se nessuno ci prova…

Pogacar ha vinto in volata anche la tappa di Prati di Tivo: avrebbe potuto attaccare ben prima
Pogacar ha vinto in volata anche la tappa di Prati di Tivo: avrebbe potuto attaccare ben prima

Il primo attacco

Diciamolo subito: nel computo globale della giornata e della classifica, l’allungo di Tiberi non lascerà traccia. Nel racconto della sua storia potrebbe essere tuttavia il primo passo di cui un giorno racconteremo, vantandoci sommessamente di esserci stati. Sia quel che sia, mentre la maglia rosa squadrava i rivali come a dire «vinco quando voglio», Tiberi ha messo le mani sopra e lo ha attaccato.

«Oggi le gambe erano buone – dice dopo l’arrivo – in finale stavo aspettando che attaccasse Pogacar, dato che stavano facendo il ritmo già da un po’. Però, quando ho visto che nessuno si muoveva, ho provato a fare anche io qualche allungo. Alla fine siamo arrivati in volata e ha vinto lui, ma non si poteva andare avanti senza provarci».

L’attacco di Tiberi è arrivato a 2 chilometri dall’arrivo: una prima presa di coscienza e una prova di coraggio
L’attacco di Tiberi è arrivato a 2 chilometri dall’arrivo: una prima presa di coscienza e una prova di coraggio

Crono e salita

Il problema è che il furgone con i massaggiatori della Bahrain Victorious al traguardo non c’è arrivato. Come loro anche altri. Tiberi ha continuato a chiamarli via radio, ma non si capiva dove fossero. I mezzi in arrivo si sono incrociati con la carovana pubblicitaria che andava via. Il risultato è stato un colossale ingorgo in cima al monte, su cui non sono saliti neppure i pullman delle squadre, fermati come i giornalisti a 24 chilometri dall’arrivo. In cima a Prati di Tivo ci sarebbe stato posto a sufficienza, ma il carrozzone del Giro è così ingombrante che alla fine invece di avere riguardo per i corridori, si è scelto di tenere su i mezzi del Giro-E.

«In proporzione mi sono sentito meglio oggi di ieri nella crono – dice Tiberi – e mi chiedo perché Pogacar non abbia attaccato. E’ anche vero che ormai ha un bel distacco, quindi non ha bisogno di sforzarsi più di tanto. Che fosse stanco per la crono? Tutto è possibile, di certo è stata parecchio impegnativa. Bisognava gestire lo sforzo, perché dopo tanta pianura gli ultimi 6 chilometri fino a Perugia erano molto impegnativi. Era un percorso che avevo provato e riprovato, come pure questo di oggi. Le sensazioni vanno in crescendo, per fortuna la capacità di migliorare alla distanza mi è rimasta…».

La UAE Emirates ha lavorato tutto il giorno per non far decollare la fuga
La UAE Emirates ha lavorato tutto il giorno per non far decollare la fuga

I calcoli di Bartoli

Ieri alla partenza della crono, Michele Bartoli se lo guardava e confermava che Antonio è arrivato al Giro come speravano e adesso lo conferma. Secondo l’ex professionista toscano che di Tiberi è il preparatore da quest’anno, la tappa di montagna vale quanto la crono.

«Mentre non ho dubbi sul suo carattere – dice – lui è qua perché vuole lasciare il segno. Detto questo, ha solo 22 anni, non ci facciamo ingannare da questi talenti precoci. Stiamo facendo un primo esperimento di classifica e alla fine valuteremo come sarà andata. Lavoro con lui solo da quest’anno, ma noi che gli siamo vicini sappiamo che sta facendo quel che ci aspettavamo. Antonio non è uno di quei ragazzi un po’ troppo educati che ha paura di dichiarare le sue ambizioni: vuole arrivare in cima. Ed ha accanto uno come Damiano Caruso da cui prendere spunto».

Alla Bahrain Victorious si sono resi conto presto che questo ragazzo prelevato dalla Trek vale oro e lo hanno fatto firmare per altri tre anni, fino al 2027. In un certo senso, il suo cammino fra i grandi sta cominciando proprio ora, sulla porta dei 23 anni.

Quarto a 2″ dalla maglia rosa, Tiberi è ora sesto in classifica
Quarto a 2″ dalla maglia rosa, Tiberi è ora sesto in classifica

L’ultima settimana

Lo guardiamo fissi e la spariamo grossa: un po’ per l’entusiasmo del momento e un po’ per vedere come reagisce. La notizia di oggi non è la vittoria di Pogacar, gli diciamo, ma il fatto che hai avuto il coraggio di attaccarlo.

«Dici? Lo ripeto: alla fine ho visto che stavo bene – sorride – e nessuno si muoveva. Così mi sono detto: “Cavolo, non è possibile che a tutti quanti va bene di fargli vincere un’altra tappa così facilmente?”. Allora ho provato io in primis a fare qualche attacco. Man mano che passano i giorni e si va avanti, mi sento sempre meglio, più reattivo e che il fisico riesce a recuperare meglio dalla fatica. Senza quel piccolo problema a Oropa, magari potevo essere messo un po’ meglio. Ma il mio obiettivo è entrare fra i primi cinque. Mi aspettavo di andare bene dopo la crono, ma non così. Perciò speriamo che continui e, se sarà così, l’ultima settimana ci sarà da divertirsi».

La passione, la fatica, i dubbi e la iella nel lungo viaggio di Felline

11.05.2024
7 min
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Il progetto Giro d’Italia di Felline è durato quanto quello di Ciccone. Quando a causa della nota cisti e il relativo intervento ai primi di febbraio l’abruzzese ha dovuto rinunciare al grande obiettivo, la Lidl-Trek ha rimodulato la squadra e del gruppo costruito attorno a Giulio è rimasto ben poco. Il piemontese ha avuto tutto il tempo per farsene una ragione: l’annuncio è arrivato il 14 marzo e da allora il suo calendario è stato riscritto.

Fabio non è mai stato un corridore banale e probabilmente vale più di quanto sia riuscito a ottenere, che è comunque tanto. In questi giorni è al Giro d’Ungheria e la vittoria di Nys nella tappa di ieri vedrà probabilmente la squadra in difesa della maglia di leader. Perché Felline alla Lidl-Trek c’è arrivato per lavorare, mettendo in un angolo le velleità personali.

Il Giro da fuori

Quando la squadra americana si è ritrovata con i bimbi del Motovelodromo della sua città, Fabio si è fermato dietro le quinte della manifestazione che aveva contribuito a organizzare. Chi c’era lo ha visto un po’ malinconico, come è facile intuire se il Giro d’Italia parte da casa tua e tu non ne fai parte.

«Dispiace – dice – certo che dispiace, ma non ho problemi a riconoscere un limite fisico. L’anno scorso il Giro d’Italia dovevo farlo, ma non andavo, era un periodo no, quindi alla fine sono stato anche contento di saltarlo. Diciamo però che quando la scelta non si basa su un discorso di watt o di forza, ma su ragionamenti tattici che non dipendono dal corridore, bisogna accettarli in maniera professionale. E’ stata una scelta, semmai ora potrei sperare di entrare nella rosa della Vuelta. Ma la mia non era la delusione di uno che è stato fatto fuori, sapevo da tempo che avrei cambiato programmi. Tutte le gare che ho fatto da marzo a oggi non erano finalizzate al Giro. L’idea del Motovelodromo è nata quando ero ancora nel gruppo del Giro. Ho dato il mio contributo, ma era un progetto talmente nobile, importante e bello che era giusto farlo a prescindere dalla mia presenza».

Le gare di primavera di Felline sono cambiate quando è sparito l’obiettivo Giro
Le gare di primavera di Felline sono cambiate quando è sparito l’obiettivo Giro
Come sta andando il ritorno in Lidl-Trek?

Mi trovo da Dio, qui mi sono sempre sentito a casa. E’ stata la mia prima grande squadra, poi sono andato in Astana, ma sul piano affettivo non è scattata la scintilla. Ci siamo lasciati bene, solo che dopo i primi due anni la squadra ha cambiato pelle e obiettivi. Sono spariti uno ad uno i leader per il Giri e io mi sono ritrovato senza riferimenti che prima valorizzavano il mio lavoro. Sono arrivato che c’erano Vlasov e Fuglsang, poi è venuto Nibali e mi sono trovato benissimo, poi la squadra ha cambiato obiettivi.

Cosa prevede ora il tuo programma?

Avevo valutato se staccare, anche perché non rientro nel gruppo del Tour. Però abbiamo deciso di tenere duro fino all’italiano, facendo Norvegia e Belgio. Questo vuol dire che correrò fino a giugno e poi il vero stacco lo farò dopo i tricolori.

Coppa Bernocchi 2023, Felline ha già firmato con la Lidl-Trek: aiuterà Giulio Ciccone al Giro…
Coppa Bernocchi 2023, Felline ha già firmato con la Lidl-Trek: aiuterà Giulio Ciccone al Giro…
In Ungheria si lavora per qualcuno in particolare?

Onestamente siamo partiti abbastanza liberi. L’altro giorno abbiamo provato a fare la volata e siamo arrivati quarti con Vacek. Io le volate di gruppo non le faccio più, per cui mi sono spostato all’ultimo chilometro e mezzo dopo aver tenuto davanti i miei compagni. Ieri c’era un arrivo in salita in cui ero libero di tenere duro. Ha vinto Nys, che aveva già vinto al Romandia. Il nostro obiettivo qui non era fare la classifica, vediamo adesso cosa cambierà.

Dopo 14 anni da professionista, ti sei dato un termine o si va avanti?

L’anno scorso, onestamente, ho pensato di smettere. Ho saputo a luglio che sarei venuto alla Lidl-Trek e ho rivisto la luce, ma prima ero abbastanza giù. Ho fatto 15 anni di professionismo e penso anche di aver fatto grandi cose. Magari non tutto quello che la gente si aspettava e questo l’ho sempre sofferto. Il fatto è che mi hanno sempre additato per quello che non ho fatto, piuttosto che applaudito per quello che sono riuscito a fare. Ho vinto 14 corse. Ho fatto 9 volte podio nelle tappe dei Grandi Giri, ma nessuno lo sa. Quando sono passato si aspettavano che vincessi il mondiale, la Liegi, questo e quest’altro. Non so se non ci sono riuscito perché non avevo abbastanza qualità, ma non sono uno che si piange addosso. Non sono uno che si sfoga sui social, sbandierando le sventure passate. Eppure, quando mi fermo a raccontare la mia vita d’atleta e metto in fila tutti gli infortuni e le coincidenze sfortunate, è veramente una barzelletta.

Felline passò pro’ nel 2010 a vent’anni e debuttò subito al Tour
Felline passò pro’ nel 2010 a vent’anni e debuttò subito al Tour
Qual è stato il momento in cui hai scelto di diventare un gregario?

Quando all’Astana ho capito che davo più garanzie aiutando un capitano, che cercando il risultato per me. In più c’è stato un ricambio generazionale ed è oggettivo che ci sono dei giovani che vanno fortissimo e che hanno cambiato il ciclismo. Forse il mio più grosso rammarico è stato aver perso i primi 7-8 anni in cui ero più rampante e forse avrei avuto la possibilità di svoltare.

Sei passato a vent’anni e sei subito andato al Tour: super giovane anche tu?

Non lo so, ma so che l’anno dopo la squadra è fallita e io ho avuto paura di andare nuovamente in una grande squadra. Sarei potuto andare alla Liquigas, ma pensai di non avere la solidità necessaria e andai all’Androni. A Savio devo un grazie grande così, ma se non avessi avuto quel blocco psicologico, magari la mia crescita sarebbe iniziata a 22 anni e non a 25 quando sono arrivato alla Trek. Quindi per tornare alla domanda di partenza…

Ti sei dato una scadenza?

So che la squadra è contenta, io sono stato chiaro sulle mie intenzioni. Ho detto che il mio lavoro penso di poterlo fare ancora un paio d’anni: mi piacerebbe e spero di rientrare ancora nei loro progetti. Non voglio diventare un corridore che si trascina o che la gente guarda chiedendosi perché non abbia ancora smesso. Mi piacerebbe uscire dal ciclismo a testa alta, dicendo che fino all’ultimo sono stato utile a qualcosa. In questo momento però non ho nulla di certo in nessun senso, magari se ci risentiamo fra un mese avrò le idee più chiare…

Al Tour of the Alps, per Felline un buon 6° posto nella tappa gelata di Stans
Al Tour of the Alps, per Felline un buon 6° posto nella tappa gelata di Stans
E’ frustrante lavorare se poi alla fine non si vince?

No, perché so che vincere è durissimo. Per cui non ce l’hai con chi non vince, mentre è frustrante per quelli che ti valutano. Il valore di un atleta e quello che può fare dovrebbe essere riferito alla tipologia di squadra. Chiaro che il rendimento atletico tu debba garantirlo, ma se sei sempre dove serve e aiuti bene la squadra, allora hai fatto la tua parte. Sono contento di come sto andando. E alla fine sarò soddisfatto se potrò continuare a fare il mio lavoro come lo sto facendo ora.

Dopo così tanti anni, quanto c’è ancora di passione?

Ti rendi conto che a volte odi il ciclismo, se si può dire così. Succede quando fai tanta fatica e non viene ripagata dalle soddisfazioni. Poi però, appena ritrovi il filo conduttore, la passione ritorna. Sfido chiunque ad avere passione se semina, semina e semina ancora e alla fine non nasce nulla. Dopo un po’ diventa dura, in qualsiasi ambito lavori. Sono fasi che vengono e vanno via. Adesso quello che sto facendo mi piace davvero molto…

Una Vuelta di alti contenuti. Cecchini ce la racconta

11.05.2024
5 min
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Mentre in campo maschile il Giro d’Italia è ancora alle sue prime battute, fra le donne è già andato in archivio il primo grande giro. La Vuelta di Spagna quest’anno ha cambiato un po’ fisionomia, allineandosi al format di Giro Donne e Tour Femmes con oltre una settimana di tappe. Molto è cambiato nella corsa iberica, che si è rivelata estremamente combattuta e con un importante parterre in gara, quasi mutuato dalle Classiche delle Ardenne conclusesi nell’immediata vigilia.

Elena Cecchini è una di quelle che proprio venendo dalle classiche (anche se ha saltato l’ultima, la Liegi-Bastogne-Liegi) ha corso tutta la Vuelta e si è fatta un’idea precisa proprio di com’è cambiata, pilotando la compagna di squadra Demi Vollering verso il successo.

Per Elena Cecchini una Vuelta molto impegnativa, lavorando per la Vollering
Per Elena Cecchini una Vuelta molto impegnativa, lavorando per la Vollering

«Io l’avevo corsa già lo scorso anno e ho trovato una prova molto cambiata, in meglio. Nel 2023 i problemi erano legati soprattutto agli spostamenti, si era partiti dall’estremo sud, da Valencia per concludere nei Paesi Baschi e questo aveva comportato, con un giorno di gare in meno, trasferimenti lunghissimi fra una tappa e l’altra. Lo avevamo fatto presente e gli organizzatori ci hanno ascoltato, quest’anno gli hotel erano tutti vicini».

Dal punto di vista tecnico?

E’ stata una gara molto dura, tanto è vero che le velociste non hanno avuto neanche una vera occasione per mettersi in mostra e giocarsi le proprie carte. Inoltre abbiamo trovato tanto vento. Ogni tappa aveva le sue difficoltà, infatti la classifica è stata molto diluita.

Kool era arrivata in Spagna puntando alle volate, senza trovare spazio per le sue aspirazioni
Kool era arrivata in Spagna puntando alle volate, senza trovare spazio per le sue aspirazioni
Secondo te è una corsa all’altezza degli altri due grandi giri?

Ora sì, non mancava di nulla e anche il roster era di quelli davvero qualificati, con molte protagoniste reduci dalle classiche, anzi direi che molte si sono preparate proprio nelle Ardenne per avere la gamba giusta in Spagna. Per certi versi potremmo anche dire che la partecipazione è stata superiore a quella delle altre due corse perché saranno più vicine in calendario e qualcuna sarà chiamata a una scelta. Io ho visto 8 tappe tutte competitive e di qualità, la strada imboccata è quella giusta.

E la collocazione temporale? Il fatto che sia così lontano nel tempo dall’omonima prova maschile è un vantaggio?

Difficile dirlo, bisogna considerare che la Vuelta fa da traino anche alle altre gare iberiche, ora ad esempio si sta correndo la Vuelta a Burgos e sugli organizzatori c’è un ricasco di partecipazione, anche perché per i team ci sono agevolazioni riguardanti i costi. A fine stagione poi credo che sarebbe complicato trovare un numero sufficiente di cicliste per ogni team, dopo una stagione stressante e considerando che i nostri roster non sono certamente ampi come quelli dei team maschili.

Per Faulkner successo di forza nella quarta frazione, a conferma della sua nuova dimensione
Per Faulkner successo di forza nella quarta frazione, a conferma della sua nuova dimensione
Tu personalmente sei soddisfatta della tua Vuelta?

E’ stata durissima, lo posso proprio dire. Il vento è stato un fattore, per chi come me doveva fare il “lavoro sporco”, ossia chiudere le fughe e tenere al coperto la capitana. La terza tappa in particolare l’ho sentita molto, proprio perché a dispetto del vento alla fine si è arrivate tutte insieme. Per noi la Vuelta era un impegno centrale nella stagione, Vollering ci teneva moltissimo dopo che le era sfuggita per pochissimo lo scorso anno. Aveva fatto le Ardenne in crescendo, ma ha finito stanca proprio perché ogni giorno era una battaglia.

Eppure la gestione della campagna ardennese aveva dato adito a qualche voce, soprattutto nella Liegi era sembrato che non tutto nel vostro team fosse filato liscio…

Non penso che la squadra abbia sbagliato qualcosa, credo che alla fine la vittoria sia sfuggita perché Demi ha trovato atlete più fresche di lei allo sprint. Noi avevamo fatto tutto per bene, avevamo messo Bredevold nella fuga iniziale per darle un punto d’appoggio. Anche alla Freccia aveva perso perché Niewiadoma aveva avuto un maggior spunto. Ci sono anche le avversarie, non va mai dimenticato. Demi andava forte lo scorso anno come in questo.

Per Vollering due vittorie di tappa, le prime dopo una primavera fatta di troppi piazzamenti
Per Vollering due vittorie di tappa, le prime dopo una primavera fatta di troppi piazzamenti
Le voci di mercato che la danno partente a inizio stagione hanno pesato su di voi, come team e individualmente?

Come team no, noi guardiamo all’oggi. Demi è una nostra compagna di squadra fino a fine stagione e noi lavoriamo per lei. Magari personalmente queste indecisioni le ha un po’ pagate, ma credo anche che, nei casi in cui Lotte Kopecky non c’era, la pressione su di lei sia stata maggiore. Credo anche che arrivare spesso vicina alla vittoria senza coglierla l’abbia un po’ destabilizzata. D’altronde in una corsa a tappe c’è più tranquillità, ci si confronta, c’è modo per rifarsi. In una classica ti giochi tutto e subito.

Tu che la conosci, l’hai vista diversa?

Non sono state giornate semplici. E’ difficile decidere che decisione prendere dopo che sei da 4 anni nello stesso team, ci sono tante considerazioni da fare. Demi poi è una ragazza molto sensibile, sa che è una decisione molto importante, teniamo sempre presente che per noi questo è un lavoro, ogni scelta ha mille influssi sulla nostra vita. Noi comunque, qualsiasi sia la sua decisione, siamo al suo servizio.

Il podio finale della corsa spagnola, con Vollering fra Markus e Longo Borghini
Il podio finale della corsa spagnola, con Vollering fra Markus e Longo Borghini
Tu in questi giorni sei a Parigi con la nazionale per visionare il percorso olimpico. Che impressione ne hai tratto?

La gara olimpica è straordinaria proprio perché è molto particolare, tatticamente quasi indecifrabile. Il gioco di squadra anche per chi come noi avrà 4 atlete in gara sarà molto diverso che da qualsiasi altra corsa. Il percorso è bello, per niente facile, con tante insidie. Il circuito cittadino è bellissimo, con le due salite da affrontare più volte. Sicuramente diverso da quello di Glasgow. Noi abbiamo molte chance, sia che la corsa si chiuda in volata perché Balsamo è una delle più forti al mondo allo sprint, sia che si sviluppi come una classica perché poche come Longo Borghini sanno che cosa fare in quei casi. Insomma, c’è da essere ottimisti, a prescindere da chi sarà convocata.

Mozzato: prima il Tour e poi il sogno olimpico

11.05.2024
5 min
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I programmi di Luca Mozzato sono cambiati per colpa di una primavera fredda e senza troppo sole. Dopo le Classiche del Nord il veneto dell’Arkea-B&B Hotels si è fermato qualche giorno e ha ricaricato le batterie. Ha ripreso a correre quasi un mese dopo, il fine settimana del 4 e 5 maggio, prima al Grand Prix du Morbihan e poi alla Tro-Bro Léon (foto apertura Ronan Caroff/Direct Velo) . Ieri, 8 maggio, era al via del Circuit de Wallonie (chiuso in sesta posizione). Una ripartenza che lo porterà fino a fine giugno, quando il team francese deciderà gli uomini per il Tour de France. 

«La ripresa per la seconda parte di stagione – racconta Mozzato – è stata più tranquilla, ma non troppo. Dopo la Roubaix mi sono concesso cinque giorni di riposo quasi completo, poi sono risalito in bici per ricostruire la condizione. Si tratta di una preparazione più corta rispetto a quella invernale ma con due periodi di allenamento distinti. Una parte è dedicata al fondo, mentre la seconda serve per alzare il ritmo, ma non eccessivamente».

Mozzato è tornato in corsa al Grand Prix du Morbihan (foto Ronan Caroff/DirectVelo)
Mozzato è tornato in corsa al Grand Prix du Morbihan (foto Ronan Caroff/DirectVelo)

Niente caldo

Il programma di Mozzato prevedeva un ritiro al caldo, poi ha pensato di spostarsi in altura ma il meteo non glielo ha permesso. Il veneto quindi è rimasto a casa, rinunciando a spostarsi e allenandosi con più calma e meno stress

«Sono risalito in bici il fine settimana dopo la Roubaix – continua – il 12 o 13 aprile. Nella prima parte di preparazione ho fatto tanto fondo con intensità bassa, da Z2, e tante salite lunghe per fare lavori con una durata compresa tra i 15 e i 20 minuti. Mentre, nella seconda parte ho inserito qualità, abbassando il numero di ore.

«Mi allenavo con blocchi di due o tre giorni – spiega Mozzato – dopo la giornata di riposo, quando ero più fresco, facevo tanti lavori esplosivi con durata massima di cinque minuti. Curavo il VO2Max con ripetute brevi e intense, oppure facevo i classici 40-20. L’ultimo allenamento del blocco di lavoro era dedicato al fondo, pedalavo parecchio ad un ritmo medio».

L’exploit di Mozzato nella prima parte di stagione è stato il secondo posto al Fiandre
L’exploit di Mozzato nella prima parte di stagione è stato il secondo posto al Fiandre
L’obiettivo della seconda parte di stagione qual è?

Essere in forma per fine giugno/inizio luglio. La speranza è di essere convocato per il Tour de France, dovrò meritarmela facendo bene alle corse che lo precedono. Per questo dico che sono partito piano ma non troppo, comunque mi devo far trovare pronto. Il Tour diventa una corsa fondamentale a cui partecipare per pensare di far bene nella seconda parte di stagione. Riuscire ad esserci ti permette di prepararti bene, essere competitivo e poi ti porti quella gamba fino alla fine dell’anno.

Come sono andate queste prima gare?

Bene, a Morbihan sapevo che avrei fatto fatica ma era quello che cercavo dopo un mese di assenza dalle gare. E’ stato più un lavoro in vista del giorno dopo, per la Tre-Bro Léon che infatti è andata bene, sono arrivato settimo. 

Primi impegni sono terminati con la Parigi-Roubaix, poi tre settimane di pausa
Primi impegni sono terminati con la Parigi-Roubaix, poi tre settimane di pausa
Il Tour diventa un crocevia per la stagione e per l’Olimpiade, ci hai pensato?

Sì, tranne che per il fatto che i posti sono limitati, si parla di due soli slot liberi (il terzo sembra essere quasi certamente di Viviani, ndr). Bennati dovrà convocare i corridori più in forma e adatti all’appuntamento.

Il percorso, duro e simile in certi sensi a quello delle Classiche, ti si addice, visto anche quanto sei andato forte al Nord. 

Parigi potrebbe essere un bell’obiettivo, ma quello più concreto credo sia l’europeo. Alle Olimpiadi i corridori saranno molti meno, 90 si dice, e potrebbe uscire una corsa pazza anche perché molte nazionali non saranno competitive. Poi il massimo di corridori per squadra è quattro, come si può controllare una corsa di oltre 200 chilometri con così pochi uomini

Il percorso olimpico si avvicina alle caratteristiche di Mozzato (foto Paris 2024)
Il percorso olimpico si avvicina alle caratteristiche di Mozzato (foto Paris 2024)
Difficile, ma il problema sorge per tutti…

Sì, vero. Io sono un corridore che ha bisogno di maggiore regolarità se la corsa esplode subito prendo atto che potrei fare più fatica. Come detto, però, tanto passa dal fatto di fare il Tour e farlo bene. Se andrò alla Grande Boucle e farò una prestazione di livello non mi tirerò indietro da un’eventuale chiamata. 

Quelle tre settimane danno tanto in più?

E’ il modo migliore per preparare l’Olimpiade ed eventualmente il finale di stagione. Fare il Tour ti dà una gamba diversa, poi dipende da tante cose.

Qui alla Tro-Bro Léon corsa il 5 maggio e chiusa in settima posizione (foto Ronan Caroff/DirectVelo)
Qui alla Tro-Bro Léon corsa il 5 maggio e chiusa in settima posizione (foto Ronan Caroff/DirectVelo)
In che senso?

Se un corridore nell’ultima settimana soffre ed è sempre lì a lottare con il tempo massimo rischia di finirsi. Io, viste le esperienze passate, ritengo di averlo portato a termine in maniera ottimale ogni volta. Nel 2023 i mesi dopo il Tour sono stati quelli in cui mi sentivo più forte.

Allora si lotterà per esserci.

L’obiettivo è di fare questi due mesi bene. Ho tante gare di un giorno tra Francia e Belgio, poi il campionato italiano e infine il Giro del Belgio. Da lì la squadra tirerà le somme e ci darà in convocati per il Tour. A fine giugno vedremo se passerò le settimane successive al mare o se sarò impegnato in lungo viaggio da Firenze a Nizza.

Crono ribaltata in salita: allora perché Pogacar è nervoso?

10.05.2024
5 min
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PERUGIA – Il podio è andato per le lunghe e quando Tadej Pogacar arriva davanti ai giornalisti, che le sue parole dovranno scriverle e non soltanto registrarle o mandarle in onda, sembra piuttosto nervoso. Entra nel van delle interviste masticando parole che non ti aspetti dopo una tappa in cui ha vinto rifilando minuti ai diretti avversari. A un certo punto anche il suo addetto stampa sembra mimare l’invito ad abbassare i toni, ma evidentemente qualcosa disturba la maglia rosa. Il protocollo dopo l’arrivo è lungo, ma non certo più di quanto lo sloveno viva costantemente da anni al Tour de France.

Pogacar si siede. Il suo primato stasera è ben più saldo di quanto fosse stamattina. Ha battuto un ottimo Ganna, rifilandogli un minuto sulla salita finale. Sul fronte degli sfidanti per la maglia rosa, Dani Martinez è secondo a 2’36”, Thomas terzo a 2’46”. Per vedere gli altri si deve andare oltre i tre minuti. La nota positiva di questa crono è il recupero di Antonio Tiberi, che scala 13 posizioni e si piazza a 1’21” da Pogacar, a 1’25” dal podio. Senza i minuti persi a Oropa per la doppia foratura, adesso forse il laziale sarebbe secondo.

Il piano era chiaro: gestire il ritmo nel primo settore, aumentare nel secondo, sparare tutto in salita
Il piano era chiaro: gestire il ritmo nel primo settore, aumentare nel secondo, sparare tutto in salita

Il lavoro sulla crono

La crono persa all’ultimo Tour da Vingegaard ha persuaso i tecnici della UAE Emirates a intervenire sulla bici. Dice Manolo Bertocchi, responsabile marketing di Colnago, che si tratta della stessa TT1 con cui lo sloveno ha corso nel 2023 e che delle modifiche sono state fatte sul manubrio, ma quelle le gestisce direttamente il team (dalla squadra si parla in realtà di telaio reso più leggero e nuovo manubrio). Non si trattava in effetti della bici più leggera del WorldTour (tanto che nel famoso giorno di Combloux, Tadej la cambiò all’inizio del tratto di salita, mentre Vingegaard continuò su quella da crono), ma resta indiscutibilmente veloce. Così si è lavorato sul manubrio e sulla posizione e lo sloveno infatti si è avvicinato a Ganna nel secondo settore di pianura e poi lo ha superato nei 6 chilometri finali in salita.

«Dall’anno scorso – spiega – ho cambiato posizione e ho lavorato per essere più a mio agio sulla bici, perché questa è la cosa principale. Soprattutto in giornate come oggi, quando la cronometro è molto lunga, devi essere comodo e in grado di spingere con una buona potenza. Non starò a dire il modo in cui abbiamo lavorato, perché sennò tutti farebbero lo stesso. Ma si parla di molto lavoro e molte ore anche dietro moto per prepararmi a questo. Quindi sono super felice: è la prova che il duro lavoro paga».

Tiberi ha corso un’ottima crono: 6° a 1’21”, recuperando 13 posizioni in classifica
Tiberi ha corso un’ottima crono: 6° a 1’21”, recuperando 13 posizioni in classifica
Hai ottenuto dei margini piuttosto ampi. Sei più sorpreso per la tua prestazione o per quella meno brillante dei tuoi avversari?

Forse per entrambe. Di sicuro sono sorpreso positivamente da me stesso. Ho avuto una bellissima giornata ed era quello a cui puntavo. Però è vero che mi aspettavo che soprattutto Thomas e Martinez fossero più vicini, ma non so cosa dire. E’ stata una giornata dura, era una cronometro dura. E se non avevi le gambe migliori, sull’ultima salita avresti potuto pagare e forse è quello che è successo. Però, detto questo, la strada per Roma è ancora molto lunga e non abbiamo ancora iniziato a fare le vere tappe di montagna.

Se non altro questo margine ti permetterà di correre più rilassato?

Non lo so, lo spero (finalmente sorridendo, ndr). Ma di sicuro ora tutti cercheranno di attaccare da lontano, andare in fuga e cercarsi delle opportunità. Penso che nei prossimi giorni sarà davvero difficile controllare il Giro sino alla fine. Altro non posso dire. Andiamo giorno per giorno, abbiamo una squadra super forte e in buona forma. E vedremo già domani come potremo muoverci.

L’obiettivo di oggi era gestire il ritmo fino alla salita finale e poi dare tutto lì?

Sì, volevo impostare un buon ritmo, ma senza esagerare. Dopo pochi chilometri ho capito che avrei potuto mantenere delle buone gambe gestendo lo sforzo. Nella seconda parte in piano ho provato a spingere un po’ di più, soprattutto dopo le curve, per aumentare la velocità. Nei due chilometri che precedevano la salita ho cercato di essere il più aerodinamico possibile e le gambe un po’ hanno respirato. E poi la salita è stata un attacco continuo dall’inizio alla cima.

Gianetti ha detto che non hai voluto in radio i tempi degli avversari: come mai?

Confermo che non volevo raffronti, ma solo i miei parziali. Per me la cosa più importante è avere dalla macchina le istruzioni sulle traiettorie, perché anche oggi c’erano alcune curve un po’ complicate. Di tanto in tanto il vento soffiava piuttosto forte, quindi era molto importante avere dei riferimenti dall’ammiraglia. Ho corso concentrandomi solo su me stesso ed è stato davvero bello.

Molto al di sotto delle attese la prova di Thomas, che ha subito un passivo di 2 minuti
Molto al di sotto delle attese la prova di Thomas, che ha subito un passivo di 2 minuti
Quanto è stressante portare la maglia rosa?

In realtà la parte stressante arriva alla fine con i media e tutti i passaggi nella zona delle interviste. Devi rispondere più o meno per dieci volte alle stesse domande e questa è l’unica parte estenuante dell’avere la maglia rosa. Per il resto mi diverto. La tappa di ieri era lunga 180 chilometri e per tutto il tempo ho ascoltato ripetere il mio nome ed è stato davvero bello. Ti dà una motivazione in più.

Credi che sarà difficile gestire il recupero questa sera, aspettando la tappa di montagna di domani?

Se la stampa e i media fossero un po’ più brevi, sarebbe molto meglio per il recupero.

Buona serata anche a te, Tadej. C’era spazio per un’ultima domanda, ma nessuno ha ritenuto di farla. Chissà, forse anche questa alla fine della giornata potrebbe considerarla una vittoria.

La giornata di Ganna: le scelte tecniche e 17″ di troppo

10.05.2024
6 min
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FOLIGNO – «Per me sarà una sfida fra gli specialisti e Pogacar». Dario David Cioni, tecnico della Ineos Grenadiers, fa subito centro. E inizia a parlarci della Foligno-Perugia, prima crono di questo Giro d’Italia che vede in Filippo Ganna uno dei grandissimi favoriti.

Pippo appartiene alla lista degli specialisti di cui sopra. A supportarlo c’è anche il cittì della pista, Marco Villa. Le premesse per una grande giornata ci sono tutte. 

Filippo Ganna durante la ricognizione. Alla radio parla con l’ammiraglia dove qualcuno registra le sue indicazioni (foto Simona Bernardini)
Filippo Ganna durante la ricognizione. Alla radio parla con l’ammiraglia dove qualcuno registra le sue indicazioni (foto Simona Bernardini)

La mattina

«Filippo – spiega Cioni – si è svegliato quel tanto per essere pronto per uscire dall’hotel alle 9,40. Alle 10,30 appena hanno aperto il percorso per le ricognizioni eravamo in sella. Ed ora eccoci qui…». 

E’ mezzogiorno e Cioni e il suo atleta sono appena arrivati in zona partenza, tra bus e motorhome. Meccanici da una parte, atleti dall’altra e nel mezzo un “cortile” riparato dalle tende dei rispettivi mezzi, sotto le quali ci sono le bici con i rulli e i ventilatori.

E’ così dunque che scorre la mattina di Ganna. Quando Filippo scende dall’ammiraglia per recarsi nel bus scherza con un operatore tv. Gli tocca la telecamera di spalle. E’ sereno, tranquillo. Qualche parola con Cioni. Doccia, poi si siede sullo scalino del bus in attesa del pranzo. Leggero e a base di carboidrati.

Due gel, uno a pochi istanti dall’inizio della partenza e uno durante la crono
Due gel, uno a pochi istanti dall’inizio della partenza e uno durante la crono

L’integrazione

Intanto Cioni ci spiega l’approccio di Pippo a questa corsa. Una crono che in qualche modo è iniziata già la sera prima.

«Siamo in una corsa a tappe – dice Cioni – e prima di tutto si pensa a recuperare lo sforzo del giorno. L’alimentazione è dunque importante. Come quantità, forse per la crono si spende qualcosa in meno in termini di calorie, in quanto il consumo è minore. Okay, oggi è lunga (40,6 km, ndr), ma non dura le cinque, sei ore di una tappa in linea. Spendono le calorie in modo diverso: lo sforzo è inteso, ma più breve. La crono non è dunque uno sforzo difficile dal punto di vista nutrizionale».

«Come si affronta? In una crono così, di oltre 50′, si parte con la borraccia d’acqua e anche un paio di gel, l’ultimo dei quali da prendere prima dello strappo».

Per Cioni è importante che Ganna spinga forte, ovviamente, è anche importante che si gestisca bene. E’ pur sempre una crono lunga. Per il tecnico toscano quindi non dovrà “solo” pensare a guadagnare nel tratto in pianura a lui più congeniale, ma dovrà darci dentro anche in salita.

Le scelte tecniche

La ricognizione è servita sia per visionare il percorso, sia per verificare che i rapporti scelti in precedenza fossero giusti.

«Io – riprende Cioni – avevo visionato questa crono già a novembre. Poi l’ho rivista un mese fa: era cambiata leggermente. Non si è trattato di cambiamenti grossi, sono stati aggiunti dei piccoli tratti. E’ leggermente più lunga.

«E’ una buona alternanza di tratti veloci e altri con delle curve più tecniche. E poi c’è la questione vento, che tendenzialmente è laterale o leggermente a favore. Il percorso, considerando anche lo strappo, è discretamente veloce, ma ci sono anche delle curve che si faranno con le mani sulle protesi. Non è dunque una crono velocissima».  

Il meccanico Diego Costa, ci mostra la bici di Pippo. Lui ci fa vedere quella azzurra, poi Pippo opterà per quella con i colori Ineos Grenadiers tradizionali. La Pinarello Bolide di Ganna monta una monocorona da 64 denti e una scala posteriore 11-34. Pedivelle da 175 millimetri. Ultima versione del manubrio stampato 3D e il sofisticato sistema Classified Cycling (qui tutte le info) che oggi ha tenuto banco.

E ancora: tubeless Continental da 28 millimetri al posteriore e 25 millimetri all’anteriore. 

Il riscaldamento

Cioni ci dice che Ganna inizia il riscaldamento alle 14,10 e che tutto sommato oggi rispetto a crono più brevi ed esplosive non è così fondamentale arrivare iper caldi. Alle 14 però Pippo è già sui rulli.

Ventilatore acceso, tavolinetto sul fianco sinistro con una borraccia pronta e giubbino refrigerante. Si scalda. Chiaramente ha già il body addosso.

«Per forza – riprende Cioni – il body ormai s’indossa prima, altrimenti per come sono stretti con il sudore non riuscirebbero a metterlo».

Ganna lascia i bus proprio all’ultimo. In zona partenza non ha la bici con i rulli. Pensate che Andrea Pasqualon, che partiva un minuto dopo di lui, aveva lasciato la zona dei motorhome almeno tre minuti prima. 

Posizione impeccabile per Ganna, ma le sensazioni a suo dire non erano splendide
Posizione impeccabile per Ganna, ma le sensazioni a suo dire non erano splendide

La gara

In gara il piemontese sembra volare, specie nella parte in pianura. E’ primo sul traguardo di Perugia. Poi però è lui stesso a gelare tutti: «E’ stata una giornata no». Una frase detta quando era ancora saldamente al comando. E infatti, man mano che arrivavano, gli uomini di classifica gli rosicchiavano qualche secondo nel segmento finale in salita. Pensando a Pogacar sarebbe stato un bel problema…

«Non trovavo il rapporto», ha aggiunto Pippo. Questa frase, nel giorno in cui si è parlato del nuovo sistema di cambio utilizzato per sfruttare al massimo la monocorona, assume un significato che va oltre il gergo. Un corridore dice di non trovare il rapporto quando non ha buone sensazioni.

Magari è solo una coincidenza, però sappiamo che durante i ritiri Pippo ha usato meno di altri questo sistema Classified. Sistema che, tra le altre cose, è vero “smorza” i grandi salti di rapporto che si hanno con il monocorona, specie se grande come il 64, però è anche vero che pesa quasi 4 etti. Insomma bisogna prenderci la mano.

Filippo Ganna lascia dunque Perugia con una stretta di mano e 17” secondi con Tadej Pogacar. Nel clan inglese, complice una prestazione così e così di Geraint Thomas, l’umore non è dei migliori. Però il bicchiere deve restare mezzo pieno: nel tratto in pianura, Pippo ha dominato e nella crono di Desenzano di salite non ce ne saranno.