Circuit Franco-Belge 2025, Filippo Conca

Quanto vale il nuovo Conca? I buoni propositi del tricolore

25.10.2025
6 min
Salva

TORINO – Un lampo tricolore e la voglia di non sbagliare più. Nel ciclismo moderno, le seconde occasioni capitano sempre più di rado e lo sa bene Filippo Conca che, per ritagliarsi un nuovo posto nel WorldTour, ha dovuto andare a prendersi la maglia di campione italiano in estate. Il titolo nazionale conquistato con lo Swatt Club tra lo stupore di molti, le prime pedalate con la nuova maglia verde bianco e rossa e la grande voglia di dimostrare il suo valore dopo le parentesi non felici con Lotto e Q36.5.

Non tutto ha subito funzionato come voleva in queste prime uscite con la Jayco-AlUla, ma il ventisettenne lombardo sa di avere una grande chance di riscatto. Dal canto suo, la formazione australiana punta molto sul ragazzo che gli permette di avere ancora in casa la casacca di campione italiano che la scorsa stagione aveva portato con orgoglio Filippo Zana, trasferitosi ora alla Soudal-Quick Step.

Tour de Slovaquie 2025, Filippo Conca, Team Jayco-AlUla
Al Giro di Slovacchia, Conca (al rientro dopo il Covid) ha lavorato per la vittoria di Double
Tour de Slovaquie 2025, Filippo Conca, Team Jayco-AlUla
Al Giro di Slovacchia, Conca (al rientro dopo il Covid) ha lavorato per la vittoria di Double
Filippo, come riassumeresti questa pazza stagione?

E’ stato un anno davvero particolare, con tanti bassi e pochi alti. Non è filato tutto liscio come sembra, perché ho avuto molti stop per infortunio, di cui il primo già a febbraio per il ginocchio. Poi, un mese prima degli italiani, sono caduto durante il ritiro a Livigno perché ho centrato una marmotta in discesa. Ho perso una settimana di allenamenti e il percorso non è stato facile, però a Gorizia ho raddrizzato tutto quello che c’era da raddrizzare.

Com’è il ritorno nei professionisti?

Speravo in un finale di stagione più tranquillo, ma purtroppo dopo le prime due gare con la nuova squadra, ho preso il Covid a Plouay. Non mancava molto alla fine della stagione e bisognava scegliere se staccare un attimo o provarci lo stesso. Abbiamo anticipato un po’ i tempi e sono andato al Giro di Slovacchia. Lì ho fatto molta fatica, ma sono stato contento di essere stato utile alla squadra, tirando ogni giorno. Alla fine poi, abbiamo anche vinto la generale con Paul Double. Penso di aver dimostrato di poter fare quel tipo di lavoro. 

Ti è spiaciuto non correre il Lombardia?

E’ stata dura, ma è stato meglio così. Post Covid non ero ancora al meglio, soprattutto dal punto di vista del respiro, per cui abbiamo deciso di non forzare troppo. Mi sarebbe piaciuto essere al via della corsa di casa con la maglia di campione italiano, ma oggettivamente non ero competitivo.

Visite mediche Jayco AlUla, Irriba di Torino, FIlippo Conca (foto Matteo Secci)
Abbiamo incontrato Conca a Torino, in occasione delle visite della Jayco AlUla (foto Matteo Secci)
Visite mediche Jayco AlUla, Irriba di Torino, FIlippo Conca (foto Matteo Secci)
Abbiamo incontrato Conca a Torino, in occasione delle visite della Jayco AlUla (foto Matteo Secci)
Forse è proprio questa la prima lezione di questa tua nuova occasione, ovvero di non bruciare le tappe. Ti senti un Filippo più maturo di quello che approdò alla Lotto?

Senza dubbio. Allo stesso tempo ho la consapevolezza di essere un buon corridore, ma normale. Se sto bene e non ho problemi di salute, posso dare una grande mano alla squadra e lavorare per un capitano. Allo stesso tempo, quello che ho già visto qui alla Jayco-AlUla è che il lavoro da gregario viene valorizzato e, anche per il futuro, è un aspetto che motiva molto. In tante gare sicuramente, dovrò mettermi in testa a tirare, ma il bello è che avrò anche il mio spazio. Già in questo finale di stagione, se fossi stato in forma, avrei sicuramente avuto la possibilità di fare la mia corsa in qualche occasione.

Ci racconti il tuo percorso di purgatorio nello Swatt Club che ripercorre un po’ quello del tuo nuovo compagno Hellemose?

Io e Asbjorn ci conosciamo da cinque o sei anni, ovvero già da quando correvamo come under 23 e poi perché non viviamo distanti uno dall’altro. Alla fine, io avevo due scelte: o smettere o andare allo Swatt. Mi ero offerto a tantissime formazioni continental, ma nessuna si era interessata a prendermi. Visto che la squadra per la strada era già fatta, mi sono concentrato sul gravel e ho fatto le gare più importanti. E’ un ambiente che mi è piaciuto tanto, ma il mio sogno era di tornare sull’asfalto, fare il Giro d’Italia e, magari, vincere una tappa. Quello è stato il pallino che mi ha fatto capire che a 26 anni non potevo mollare.

Che cosa passava nella tua testa?

Sapevo di non essere un fenomeno, ma al tempo stesso di avere ancora margini di miglioramento. In questo mondo del ciclismo posso starci tranquillamente e avevo la certezza di poter andar più forte di almeno metà gruppo. Non era semplice ribaltare questa situazione, ma già dal novembre 2024 pensavo al campionato italiano come unica opportunità di mettermi in mostra e tornare nei professionisti. La famiglia e i pochi amici che ho sono stati di grande aiuto nei mesi di preparazione. Sono in un certo senso grato di aver vissuto una situazione così, perché mi ha fatto capire chi sono le persone che meritano il mio tempo e quali no.

Terzo posto a The Traka: rimasto senza squadra su strada, nel 2024 Conca si è dedicato al gravel (foto Swatt Club)
Terzo posto a The Traka: rimasto senza squadra su strada, nel 2024 Conca si è dedicato al gravel (foto Swatt Club)
Che meccanismo è scattato per raggiungere l’obiettivo tricolore?

Ci ho sempre creduto, sin dall’inverno. Due anni fa sono arrivato ottavo, facendo gli ultimi 20-25 chilometri di corsa tra i migliori che avevano fatto la differenza e il gruppo che inseguiva, composto da corridori come Ciccone e Ganna, quindi non proprio gli ultimi arrivati. Sono riuscito a stare nel mezzo, non riprendendo i primi per un nulla, per cui ho speso più di tutti, ma mi sono reso conto di avere gambe buone anche in un contesto così prestigioso. All’Italiano di quest’anno sono stato anche un po’ fortunato. Diversi corridori non c’erano perché avevano appena avuto il Covid o altri arrivavano stanchi dal Giro. Nelle settimane precedenti all’appuntamento, notavo queste cose, e acquistavo sempre più fiducia nelle mie possibilità.

Cosa ti ha convinto della proposta Jayco-AlUla?

Dopo il titolo italiano, il mio procuratore ha ricevuto alcune offerte interessanti, ma la prima scelta era la Jayco, perché conoscevo diverse persone tra staff e corridori. Tutti me ne hanno parlato bene, anche sulla prospettiva di lavorare in tranquillità, che era proprio quello che cercavo in questa nuova opportunità. Gli ultimi due anni su strada li ho vissuti abbastanza male, per cui avevo bisogno di un contesto come quello attuale. E’ un ambiente professionale, ma che ti mette a tuo agio per performare al 100 per cento.

Che cosa dice la tua vocina interiore per non ripetere gli errori che ti avevano portato quasi al ritiro?

Più che di errori, parlerei di occasioni mancate, perché ho avuto poche chances di fare la mia corsa negli ultimi anni. Però ci sta, se sei un gregario e i tuoi capitani vincono, il lavoro viene valorizzato. Viceversa, se la squadra raccoglie poco, magari non vieni apprezzato. Al netto della mia condizione, riuscire ad aiutare Double a trionfare in Slovacchia è stato un bel segnale.

Tre Valli Varesine 2025, Filippo Conca
Il tricolore di Conca in azione alla Tre Valli Varesine, ma la condizione non era all’altezza del Lombardia
Tre Valli Varesine 2025, Filippo Conca
Il tricolore di Conca in azione alla Tre Valli Varesine, ma la condizione non era all’altezza del Lombardia
Nel 2025 ti sei laureato campione italiano, nel 2026 a che cosa punti?

Ho bisogno di staccare per recuperare al meglio dagli acciacchi in vista della nuova stagione. L’inverno sarà fondamentale e, forse, oltre ai ritiri con la squadra, andrò al caldo per allenarmi con più costanza possibile. Con la squadra abbiamo cominciato a parlare e mi piacerebbe dare il mio contributo da subito, sia come gregario sia se capiterà qualche occasione magari già nelle gare spagnole di inizio stagione. A marzo e aprile soffro un po’ per le allergie di solito, ma l’augurio è di arrivare a maggio con una super condizione. Il Giro d’Italia è l’obiettivo per cui lavorerò duro.

Mirco Maestri

Watt. Come usa realmente il potenziometro un passista?

24.10.2025
4 min
Salva

Continuiamo il nostro viaggio sul reale utilizzo del potenziometro e quindi del monitoraggio dei watt da parte dei corridori. Stavolta andiamo da Mirco Maestri il passista. Passista che ha un doppio ruolo, quello di attaccante e quello di gregario. Nel caso dell’atleta della Polti-VisitMalta se vogliamo c’è anche il ruolo di cronoman.

Anche Maestri poi ci parla del suo rapporto col computerino a fine stagione, confermando che la cosa è del tutto soggettiva (in apertura foto Borserini).

Mirco Maestri, watt
Maestri, attaccante e gregario: per lui varia molto il riferimento ai watt
Maestri, attaccante e gregario: per lui varia molto il riferimento ai watt
Mirco, tu hai un doppio ruolo: cambiando il lavoro, come cosa osservi sul computerino… in merito ai watt chiaramente?

Sono due strade molto distinte: quando attacco come il Giro d’Italia o in una tappa i watt possono essere un punto di riferimento per me. In base a quello che sto spendendo, sapendo a monte i miei numeri, riesco a rendermi conto quanto la fuga è dispendiosa per me, per arrivare con la benzina nel finale.

Questione di gestione…

Mi aiuta nella gestione, anche se poi è naturalmente cercare di limare il più possibile. Perché alla fine quando si è in fuga siamo magari in 5, 6, 10 atleti e comunque non puoi stare lì a calcolare più di tanto. Questo tipo di gestione è più facile, secondo me, per uno scalatore quando si trova da solo in salita. Ripeto, io lo uso giusto per controllarmi e capire quanto sto spendendo.

E quando lavori magari per un capitano? Tipo lanciare le volate a Lonardi?

In quel caso i numeri non li guardi. Anche perché noi non abbiamo un vero e proprio “treno”. Al massimo siamo io e Pietrobon, quindi dobbiamo concentrarci nel finale e lì pensi a spingere e alle posizioni. Poi magari quei dati li rivedi col coach a fine tappa.

Maestri al Giro: ancora una volta secondo posto, qui a Cesano Maderno. Prima rabbia, poi scoramento
Maestri al Giro: ancora una volta secondo posto, qui a Cesano Maderno. Prima rabbia, poi scoramento
Ti capita in allenamento o in gara di essere “distratto”? Sei convinto di stare su un certo wattaggio e poi magari vedi che sei sotto?

Succede quando sei morto! Parti e sei convinto di spingere in un modo, guardi il computerino e magari sei 50 watt sotto. E lì bisogna stringere i denti per cercare di portare a casa il lavoro il meglio possibile. Quando non si sta bene, non si può forzare: non diventa neanche più allenante. Se stai male o comunque sei stanco, il lavoro non è lo stesso. I giorni che si stanno bene si riescono a spingere 10 watt in più e i giorni che si sta male si spinge qualcosa meno.

Prima hai detto una cosa interessante: valuti lo sforzo anche in base a quello che puoi risparmiare per il finale. Però se noti che sei un po’ alto coi watt ma al tempo stesso le sensazioni sono buone, cosa fai?

Cerco di gestirla, nel senso che cerco di spingere il meno possibile, consumare meno magari con un cambio anche un secondo, due più veloce. Cerco di stare più basso come posizione in modo da essere un po’ più aerodinamico per limare sempre quei 5-10 watt. Watt che magari dopo 4 ore e mezza di gara nel finale si sentono e sono un bel gruzzolo risparmiato.

In questo cosa aggiungi magari anche un gel o una barretta in più del previsto?

Sì, sì… Più si è alti e più si consuma. Pertanto si cerca anche di compensare con l’alimentazione: più vai forte e naturalmente più mangi. E? chiaro che non puoi superare un certo limite anche perché dopo vai incontro ad altri problemi, quelli intestinali. Però è chiaro che se fai una tappa piatta di 160 chilometri in cui tutti aspettano la volata e si va via in gruppo a 42 all’ora e si spingono 180 watt non mangi come quando sei in fuga spingendo a 320 o 360 watt.

Chiaramente durante una crono i wattaggi diventano fondamentali nella gestione delle energie
Chiaramente durante una crono i wattaggi diventano fondamentali nella gestione delle energie
Mirco, hai invece notato differenze tra i tuoi wattaggi e anche nel tuo approccio mentale al computerino tra fine stagione e inizio?

Direi di no, però va detto che quest’anno ho avuto la prostatite a fine agosto, quindi sono stato fermo una settimana e dopo un’altra settimana di ripresa, quindi in totale ho perso 10-12 giorni. Questa sosta ha fatto sì che comunque spingessi anche nel finale. Anzi, nella tappa finale al Giro d’Olanda è ho fatto i miei watt normalizzati più alti in assoluto dell’anno.

Basta poco per recuperare insomma?

Ho notato che tanti corridori hanno fatto i loro record sull’ora, sull’ora e mezza. Credo che senza quello stop per la prostatite non avrei raggiunto quei valori. L’anno scorso ho finito la stagione che ero vuotissimo.

Alessandro Covi, UAE Team Emirates 2025

Dal primo all’ultimo giorno: il viaggio in UAE di Covi

24.10.2025
6 min
Salva

I giorni di vacanza di Alessandro Covi sono iniziati con una piccola operazione, infatti il corridore di Taino una volta parcheggiata la bicicletta al termine della Veneto Classic ha tolto il dente del giudizio. Un intervento semplice e rapido, che però ha dovuto attendere la fine della stagione agonistica per essere effettuato. Ora è alle prese con la convalescenza e tutto procede serenamente. 

«Mi sono rivolto a Stefano Speroni, il dentista del Giro d’Italia – racconta Alessandro Covi – abita vicino a casa dei miei genitori, così ne ho approfittato per fermarmi da loro e togliere il dente del giudizio. Mi aveva dato un po’ di fastidio in un paio di momenti durante l’anno, la scelta migliore è stata di aspettare e toglierlo una volta finite le gare».

Alessandro Covi, Veneto Classic 2025
La Veneto Classic dello scorso 19 ottobre è stata l’ultima corsa in maglia UAE per Covi
Alessandro Covi, Veneto Classic 2025
La Veneto Classic dello scorso 19 ottobre è stata l’ultima corsa in maglia UAE per Covi

Un inverno diverso

Il periodo di stacco per Alessandro Covi non sarà tanto differente rispetto agli altri anni, a breve partirà per le vacanze e poi una volta tornato sarà il momento di ripartire con gli allenamenti. Ma la grande differenza sarà che dopo sei stagioni lascerà il UAE Team Emirates per vestire la maglia della Jayco AlUla. Negli ultimi mesi ha avuto modo di metabolizzare una scelta partita qualche mese fa e che si è concretizzata e lo ha messo davanti alla voglia di ripartire verso nuovi obiettivi.

«Mi sono goduto ogni singola gara nell’ultimo mese e mezzo – dice Covi – perché in tutte le occasioni c’era qualcuno da salutare, compagno o membro dello staff, che poi non avrei rivisto. Anche ora arrivano continuamente chiamate da tante persone giusto per un saluto. Alla fine il lavoro non cambierà, ci vedremo in gruppo, però è finito qualcosa che è stato davvero bello. Però più che le corse, il bello lo fanno i momenti passati insieme fuori. Quando vai a una gara ci sono quelle quattro o cinque ore in bici, ma ne facciamo almeno quarantotto tutti insieme. Sono quelli i momenti che ricordi con maggiore gioia e che creano legami profondi».

Il Puma di Taino ha contribuito alla stagione record della UAE con due successi, questa la vittoria di tappa alla Vuelta Asturias
Il Puma di Taino ha contribuito alla stagione record della UAE con due successi, questa la vittoria di tappa alla Vuelta Asturias
C’è qualcuno che ti porterai nel cuore?

Tutti, perché lavori e crei un legame con ogni membro del team. La cosa bella è che addirittura qualcuno di loro lo ritroverò anche in Jayco. L’elenco delle persone è davvero infinito.

Come ci si saluta dopo sei anni?

Con grandi abbracci e sorrisi, non è un funerale. Quello che ci unisce è un grande affetto reciproco e la felicità di aver passato dei bei momenti insieme. Mi mancheranno tutti quelli che lascio in UAE. 

Alessandro Covi, Isaac Del Toro, UAE Team Emirates 2025
Nella restante parte della stagione Covi ha affiancato spesso Del Toro nei suoi successi
Alessandro Covi, Isaac Del Toro, UAE Team Emirates 2025
Nella restante parte della stagione Covi ha affiancato spesso Del Toro nei suoi successi
Lasci la squadra numero uno al mondo, dopo una stagione da record di vittorie. 

E’ stato bello far parte di questa trasformazione che ci ha portati ad essere la miglior squadra del mondo. Anno dopo anno siamo cresciuti, è vero, ma a inizio stagione non pensavamo di poter fare così bene. Dall’interno è stato un viaggio interessante, nel quale ho scoperto cosa vuol dire avere una mentalità vincente e correre per cercare il massimo risultato. Abbiamo messo insieme 96 vittorie (l’ultima nella notte con Del Toro che ha conquistato i campionati nazionali messicani, ndr). 

E’ un momento storico del ciclismo…

Vero, e sono orgoglioso di aver preso parte a questa annata e di aver contribuito al conteggio con due vittorie. Anche se la mia firma è in almeno altre trenta, perché sono stato presente in 15 dei sedici 16 di Del Toro. Pogacar l’ho vissuto di più fuori dalle gare, visto che entrambi viviamo a Montecarlo ed è capitato di allenarci insieme. 

Il lavoro di Covi a supporto dei compagni è stato prezioso in questa stagione dei record
Il lavoro di Covi a supporto dei compagni è stato prezioso in questa stagione dei record
Li hai visti da vicino, cosa li accomuna?

Hanno entrambi una mentalità vincente, Pogacar è il numero uno della storia probabilmente. E la cosa incredibile è quanto sia spensierato. Vive alla leggera nonostante il mondo che lo circonda sia frenetico. Un’altra cosa che accomuna Pogacar e Del Toro è la voglia di vivere una vita normale, senza pressioni. In Del Toro riconosco un talento simile a quello di Pogacar, anche se ora Tadej è ancora un gradino sopra. 

Cosa ti ha impressionato maggiormente di Del Toro?

La sua crescita è stata esponenziale in queste due stagioni. Però la cosa che mi ha colpito di più è come si comporta con i compagni, è sempre disponibile, sorridente e gentile. Anche su questo lato lui e Pogacar sono molto simili. Figuratevi che una volta Tadej mi ha anche tirato una volata, per farvi capire quanto sia umile e disponibile. 

Alessandro Covi, Saudi Tour 2020, UAE Team Emirates
Saudi Tour 2020, la prima gara in maglia UAE per Alessandro Covi
Alessandro Covi, Saudi Tour 2020, UAE Team Emirates
Saudi Tour 2020, la prima gara in maglia UAE per Alessandro Covi
Quando?

Alla Vuelta Andalucia del 2023. Aveva vinto tre tappe su quattro e nella frazione conclusiva doveva essere lui a fare la volata finale. Pogacar nella riunione sul bus, mentre parlavamo della tattica in corsa ha detto: «Oggi facciamo la volata per il Puma (il soprannome di Covi, ndr)». Così nel finale hanno fatto il treno prima Pogacar e poi Wellens per lanciarmi. Sono arrivato secondo alle spalle di Fraile, è stata la sua ultima vittoria in carriera. Scherzando a volte gliela ricordo.

Quanto porterai in Jayco in questi sei anni?

Penso un’infinità di cose e tutto quello che ho imparato lo metterò a disposizione del team. Spero di avere anche più spazio per me e di poter diventare un buon corridore, a 27 anni è il momento giusto. 

Che ricordo hai del Covi che passa dall’essere un under 23 al far parte del UAE Team Emirates?

Ero già entrato in orbita UAE nel 2018, quando correvo in Colpack e andai a fare uno stage da loro. La formazione bergamasca era una specie di vivaio della UAE Emirates, che poi era la ex Lampre. Ricordo il giorno in cui ho firmato, sono andato al magazzino del team insieme a Bevilacqua e ho incontrato Gianetti e Saronni

Alessandro Covi, Murcia 2022, UAE Team Emirates
Vuelta Ciclista a la Region de Murcia 2022, Covi vince la sua prima gara da professionista davanti a Trentin
Alessandro Covi, Murcia 2022, UAE Team Emirates
Vuelta Ciclista a la Region de Murcia 2022, Covi vince la sua prima gara da professionista davanti a Trentin
Un impatto grande?

Immenso, da piccolo ero tifoso della Lampre e conoscevo i corridori per nome e fama. Entrare a far parte di quella squadra fu un onore immenso, ricordo che ai primi ritiri e gare avevo quasi timore nell’approcciarmi a quei campioni. A cena non sapevo dove sedermi, da qualsiasi parte mi girassi ero circondato da grandi corridori: Rui Costa, Kristoff, Ulissi, Gaviria, Aru…

Hai già messo il naso nel mondo Jayco?

Non ancora, c’erano le visite mediche della squadra il giorno dopo il Lombardia ma io ero impegnato in corsa alla Parigi-Tours (terminata al decimo posto, ndr). Avrò modo di farlo nei primi ritiri dell’anno, a novembre.

Wilier Filante SLR ID2, efficienza e velocità hanno una forma

Wilier Filante SLR ID2, efficienza e velocità hanno una forma

24.10.2025
8 min
Salva

CISON DI VALMARINO – Wilier lancia ufficialmente la seconda generazione della Filante SLR e ora adotta il suffisso ID2 (proprio come l’ultima versione della Rave SLR). Una delle bici aero più versatili di sempre, leggera, armoniosa nelle forme ed elegante si rinnova, ma non stravolge il suo DNA.

Cosa è cambiato rispetto alla generazione precedente? Quali sono i dettagli e gli aspetti tecnici da considerare? Come ha contribuito la collaborazione con il Team Groupama-FDj allo sviluppo della nuova bici? Questi e altri quesiti. Entriamo nel dettaglio anche grazie al contributo del responsabile prodotto di Wilier, Claudio Salomoni e con le considerazioni di Thierry Cornec, General Manager del team transalpino.

Wilier Filante SLR ID2, efficienza e velocità hanno una forma
Romain Gregoire con la nuova Filante all’ultimo Lombardia
Wilier Filante SLR ID2, efficienza e velocità hanno una forma
Romain Gregoire con la nuova Filante all’ultimo Lombardia

Wilier Filante ID2, sviluppata per i pro’

«La nuova Filante SLR – spiega Salomoni – nasce dalle richieste dei professionisti ed è disegnata per i corridori. Siamo partiti dai cardini del vecchio progetto, ovvero leggerezza e rigidità. Per meglio dire il rapporto ottimale tra i due fattori: uno dei punti chiave di Filante, un benchmark assoluto e da quel punto siamo partiti. Era necessario – prosegue Salomoni – migliorare l’aspetto dell’efficienza aerodinamica, che si è evoluta tantissimo nelle ultime 2/3 stagioni, cercando di studiare il pacchetto atleta/bici nel complesso.

«La grande sfida – conclude Salomoni – è stata far collimare i 5 passaggi primari della base di sviluppo. I nuovi modelli CFD e modelli 3D. Finalizzare i test nella galleria del vento di Silverstone. Ripetere i test e confermarli ed eventualmente fare delle modifiche apportando altre soluzioni. Non in ultimo, abbiamo fornito la bici ad un team selezionato di corridori per validare il test. Una volta su strada sono stati confermati e addirittura migliorati i dati delle simulazioni CFD».

Un gruppo ristretto di atleti

«Le prime fasi di prova su strada della nuova Wilier Filante – spiega Thierry Corbec – sono state condotte con un gruppo ristretto e super selezionato di corridori. La bici è stata fornita a coloro che hanno mostrato sensibilità. Una spiccata lettura ed interpretazione tecnica del mezzo, attenzione ai dettagli, come ad esempio il giovane Romain Gregoire. Per un team WorldTour di oggi, la partnership tecnica, la collaborazione stretta e lo sviluppo fatto a braccetto con la stessa azienda sono importanti tanto quanto la sponsorizzazione. Il mezzo tecnico può fare una grande differenza, è uno strumento di lavoro dal quale non si può prescindere».

L’impatto estetico della Filante SLR ID2

Complessivamente e al primo sguardo, la Filante ID2 mostra subito delle diversità, ma l’accostamento tra le due generazioni (per lo meno a livello di impatto visivo) è possibile. Le tubazioni nascono dal concetto NACA, ma il disegno di foderi del carro e della forcella è completamente differente, così come l’intera zona dello sterzo. Quest’ultimo ricorda da vicino la crono Supersonica e con le dovute proporzioni il know-how creato proprio dalla bici da cronometro è servito non poco.

C’è un’evidente svasatura creata per ottimizzare il binomio con il manubrio integrato F-Bar ID2 e per nascondere completamente l’hardware di fissaggio. Gli obliqui del retrotreno hanno ingombri sottili se visti frontalmente, hanno l’innesto al piantone più largo con angolo completamente variato, (inclinati verso l’interno di 2,5°). E’ stata migliorata e resa più efficiente l’integrazione dei perni passanti, con una sede che quasi “nasconde” la testa dei perni e la finestra ceca dal lato opposto.

In collaborazione con Elite è stato sviluppato il comparto dei due portaborraccia (l’Aerokit), perfettamente integrato nell’obliquo e nel verticale. Elite ha realizzato di pari passo anche le borracce specifiche (1100 millilitri di capacità), ma la compatibilità con le borracce tradizionali è reale. Il reggisella è tutto nuovo, full carbon e specifico (due arretramenti disponibili, 0 e 15 millimetri), ma ha obbligato a trasferire la batteria Di2 in un alloggio posizionato tra movimento centrale e foderi bassi del carro. Dietro le corone della guarnitura c’è una sede per il magnete del power meter Shimano.

Il supporto del deragliatore può essere rimosso (in ottica monocorona) e si possono montare corone fino a 56 denti. Per il posteriore c’è la soluzione UDH. In termini di sviluppo geometrico la nuova Filante SLR ID2 si ispira alla Wilier Verticale SLR, a nostro parere un valore aggiunto non da poco considerando proprio la bontà delle geometrie delle Verticale SLR.

Per i maniaci dei numeri e dei dati

L’impiego e l’integrazione dell’Aerokit, una delle sfide da mal di testa per gli ingegneri Wilier, ha permesso di abbassare il drag complessivo del binomio bicicletta/ciclista di ben 4,5 punti percentuali.

Differenti prove, condotte a 40 e 50 chilometri orari di media, con borracce standard e borraccce specifiche per l’Aerokit, hanno mostrato un risparmio del wattaggio di 11,51 e 14,15, che diventano 24,55 e 28,80 con la media più elevata. Su una prova di 70 chilometri, rispetto alla Filante SLR di prima generazione si arriva a risparmiare anche 145”.

Gli altri dettagli da considerare

Il peso dichiarato del telaio è di 860 grammi per la taglia media, in linea con la precedente, ma con una scatola centrale decisamente più rigida. Il baricentro è stato abbassato. Significa migliore stabilità, precisione e maneggevolezza. Si possono montare pneumatici fino a 34 millimetri di sezione, il che comporta anche ad un’adeguamento della sfruttabilità di ruote con canali interni ampi.

La laminazione del carbonio della nuova Wilier è il risultato di un blend (T800 e T1100, oltre a M46JB) ottenuto in collaborazione con Toray e la nuova Filante SLR ID2 è un monoscocca.

Taglie ed allestimenti

Le misure disponibili sono 6 (dalla XS alla XXL), ma in totale le configurazioni disponibili sono ben 420, comprendendo anche le possibilità dovute al manubrio integrato. Le combinazioni cromatiche invece sono 5. I montaggi sono 8 in totale e si aggiunge anche il kit telaio (telaio, forcella e serie sterzo, F-Bar ID2 con supporto device, Aerokit), il prezzo di listino di quest’ultimo è di 5.800 euro.

Il pacchetto con il nuovo Campagnolo Super Record 13 e ruote Miche Kleos RD 50 ha un listino di 13.100 euro, mentre con la trasmissione Sram Red AXS scende a 12.900. Tre le possibilità per Shimano Dura Ace, con o senza power meter e sempre con le Miche Kleos RD 50, rispettivamente a 12.700 e 11.900 euro. Si scende leggermente di prezzo con le ruote Miche Kleos 50, 10.900 euro. Si passa a Sram Force AXS con o senza misuratore Quarq, Shimano Ultegra, tutti allestimenti che portano in dote le Kleos 50 (non RD). Rispettivamente i prezzi di listino sono di 10.300 e 9.900 euro, chiudendo a 9.700 euro. 

Wilier

Giro del Veneto Women 2025, Silvia Persico vince

Persico, l’ultimo sguardo sul 2025 e poi dritta in spiaggia

24.10.2025
5 min
Salva

E’ il tempo giusto per passare qualche giorno in spiaggia e Silvia Persico non si è fatta pregare. Vinto il Giro del Veneto quattro giorni dopo il bronzo al mondiale gravel, la bergamasca ha chiuso la valigia e rimandato tutti al primo ritiro. I 41 giorni di corsa del 2025, uno in meno dello scorso anno, sono stati anche straordinariamente complicati. Infortuni e ripartenze hanno reso tutto più difficile, per cui ora è il momento giusto per tirare il fiato.

Si fa uno strappo giusto per qualche domanda, ma si capisce dal tono di voce che il mondo delle corse si sta allontanando un po’ ogni giorno. Anche la testa ha bisogno di riprendersi, ragionando su altro.

«Sicuramente il 2024 e il 2025 – dice Silvia – sono stati due anni completamente differenti. In entrambi i casi una vittoria e diversi piazzamenti, però credo che quest’anno siamo cresciute sia personalmente che come squadra. Quindi tenderei a ritenerlo una stagione migliore».

Prima corsa di stagione con Elisa Longo Borghini al UAE Tour: prima e seconda, l’intesa ha funzionato bene sin da subito
Prima corsa di stagione con Elisa Longo Borghini al UAE Tour: prima e seconda, l’intesa ha funzionato bene sin da subito

Da una sfortuna all’altra

La vittoria nell’ultima corsa e il secondo posto al UAE Tour del debutto dietro la nuova leader Longo Borghini. Nel mezzo il quinto posto dell’Amstel e un giorno da eroe al Giro d’Italia Women con l’azione decisiva e non prevista sul Monte Petrano.

«Il quinto posto dell’Amstel – riflette – è arrivato con appena due settimane di allenamento. Un mese prima mi ero rotta una costola, quindi non avevo fatto grandi carichi. Per questo è stato un piazzamento che mi ha dato morale, perché da lì in avanti avrei avuto a disposizione maggio per fare le mie corse. Invece alla fine non se ne è fatto nulla. La settimana dopo l’Amstel, ho dovuto correre la Liegi e mi sono fratturata il capitello radiale. Perciò ho dovuto fermarmi ancora e non ho potuto correre le gare in cui avrei avuto un po’ più di libertà in Spagna e in Francia».

Amstel Gold Race 2025, Silvia Persico, Juliette Labous, Puck Pieterse
In azione all’Amstel con Labous e Pieterse: per Persico un quinto posto inatteso dopo la frattura della costola
Amstel Gold Race 2025, Silvia Persico, Juliette Labous, Puck Pieterse
In azione all’Amstel con Labous e Pieterse: per Persico un quinto posto inatteso dopo la frattura della costola

Il capolavoro del Nerone

La Liegi è stata un fuori programma in supporto di Elisa Longo Borghini, leader che ha portato un grande clima, ma ha le sue necessità. Per fare bene la Liegi, c’era bisogno anche di Persico, che però dopo una ventina di chilometri è caduta, finendo all’ospedale. Un brutto colpo, che Silvia si è scrollata di dosso al Giro Women, quando ha lanciato la Longo verso la maglia rosa. Di quel giorno, Giorgia Bronzini disse che se Persico avesse tenuto duro, avrebbe conquistato una classifica migliore

«Con l’arrivo di Elisa – conferma – sicuramente siamo cambiate tanto, siamo cresciute tanto. Si è creato un bel gruppo tra di noi, lavoriamo tutte per lo stesso obiettivo e abbiamo costruito davvero un legame molto forte che va oltre il ciclismo. Quello di Monte Nerone non era un attacco programmato, per cui quando ci siamo trovate lì, ho dato il tutto per tutto. E avendo dato proprio tutto, non avrei potuto tenere duro. Il mio obiettivo non era di fare classifica, quindi non ho pensato a salvarmi in qualche modo».

Giro d'Italia Women 2025, tappa di Monte Nerone, Silvia Persico, Elisa Longo Borghini
Il giorno di monte Nerone rimane uno dei più memorabili del Giro Women 2025: l’attacco di Persico e Longo Borghini decise la corsa
Giro d'Italia Women 2025, tappa di Monte Nerone, Silvia Persico, Elisa Longo Borghini
Il giorno di monte Nerone rimane uno dei più memorabili del Giro Women 2025: l’attacco di Persico e Longo Borghini decise la corsa

Il blackout di Kigali

Non altrettanto bene è andata ai mondiali del Rwanda. Questa volta, in modo del tutto inspiegabile, è stato come se il meccanismo perfetto si sia inceppato, impedendo alle azzurre di rendere come avrebbero voluto.

«Sinceramente – ragiona dalla spiaggia – è stata una gara un po’ strana. Io ho sofferto fin da subito, forse siamo arrivati un po’ tardi e non mi sono adattata tanto all’altura, che non avevo neanche fatto prima di andare là. Tutte le leader si sono guardate mentre io non ero nella mia giornata migliore e facevo una gran fatica. A parte questo, la prima nazionale di Velo mi è piaciuta. Noi ragazze ci conosciamo da tantissimi anni, lui ci ha dato molta fiducia ed è stato sempre molto presente, sia in Rwanda sia poi per gli europei.

Campionati del mondo Kigai 2025, Rwanda, Ruanda, Eleonora Gasparrini, Brodie Chapman, Silvia Persico
Gruppo UAE Adq dopo il mondiale di Kigali: con Persico e Gasparrini, l’australiana Brodie Chapman
Campionati del mondo Kigai 2025, Rwanda, Ruanda, Eleonora Gasparrini, Brodie Chapman, Silvia Persico
Gruppo UAE Adq dopo il mondiale di Kigali: con Persico e Gasparrini, l’australiana Brodie Chapman

La vittoria in extremis

Il Giro del Veneto tre giorni dopo il bronzo al mondiale gravel è stato la ciliegina sulla torta, il modo delle compagne di sdebitarsi per i tanti chilometri fatti da Silvia mordendo l’aria e tenendole al riparo nella sua scia.

«Vincere l’ultima corsa – sorride – è stato molto importante per me. Era una vittoria che cercavo da tempo, come soddisfazione personale. Prima della partenza del Giro del Veneto, stavamo guardando l’arrivo della tappa in Cina in cui ha vinto la nostra compagna Van Rooijen e intanto parlavo con Elisa e con Gaspa (Eleonora Gasparrini, ndr). Dicevo che fossi l’unica a non aver ancora vinto e così mi hanno detto che quel giorno sarebbe toccato a me. E così è stato, anche loro erano molto motivate. Quest’anno ho lavorato tanto per entrambe. E mi è piaciuto anche arrivare terza al mondiale gravel. E’ una disciplina che mi piace molto, purtroppo non posso praticarla tantissimo perché le gare su strada sono davvero tante. Però mi sono divertita, questo penso che si sia visto».

Presentazione Tour de France 2026

Tour 2026: Montjuic, una salita inedita e doppia Alpe d’Huez

24.10.2025
7 min
Salva

II Tour de France ha svelato ieri il suo percorso 2026 al Palazzo dei Congressi di Porte Maillot, a Parigi. La Grande Boucle prenderà il via il 4 luglio da Barcellona, per concludersi il 26 luglio a Parigi, dopo 3.333 chilometri. Subito i Pirenei che passeranno rapidissimi. Poi un bel po’ di pianura, come ai vecchi tempi. Le montagne, prima del confermato circuito conclusivo di Montmartre in occasione della frazione finale.


Ieri c’erano tanti campioni a Parigi, ma meno rispetto al solito. La stagione è appena terminata e molti sono già in vacanza. Per dire, mancavano persino Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard, vincitori delle ultime sei edizioni e già favoriti anche per la prossima maglia gialla. Noi ne parliamo con Stefano Garzelli. Ma prima diamo un occhio rapidissimo al percorso.

Presentazione Tour de France 2026
Christian Prudhomme è il direttore del Tour dal 2007 (foto Nice Matin)
Presentazione Tour de France 2026
Christian Prudhomme è il direttore del Tour dal 2007 (foto Nice Matin)

Le cinque catene montuose

Il 2026 segnerà il ritorno del Tour in Spagna, dopo le partenze da Bilbao (2023) e San Sebastian (1992). Barcellona offrirà uno scenario iconico, con la cronosquadre inaugurale davanti alla Sagrada Familia. Una scelta suggestiva ma anche complessa, perché il tracciato cittadino sarà tecnico e nervoso. La seconda tappa, con l’arrivo sul Montjuic, offrirà subito un terreno insidioso per chi non vuole perdere secondi preziosi.

Da lì, la corsa entrerà rapidamente in territorio francese per affrontare i Pirenei, primo banco di prova vero. Poi si scaleranno, nell’ordine, Massiccio Centrale, Vosgi, Giura e infine le Alpi. Un percorso che toccherà tutti e cinque i grandi massicci del Paese, rispettando la tradizione della “Francia in miniatura” voluta da Christian Prudhomme. L’arrivo al Plateau de Solaison, già teatro di duelli memorabili, precederà le due giornate regine sull’Alpe d’Huez. Nella 19ª tappa di sale dal versante classico di Bourg d’Oisans, nella 20ª dall’incantevole quanto selvaggio e duro Col de Sarenne. Queste due frazioni decideranno la Grande Boucle.

Mentre le crono saranno solo due: quella a squadre inaugurale di 19 chilometri, e quella individuale di 26 alla frazione 16.

La linea a Garzelli

Come accennato, passiamo la linea all’ex maglia rosa e oggi voce tecnica della Rai, Stefano Garzelli. Lui ha commentato gli ultimi Grandi Giri e conosce anche bene il tracciato francese e le sue insidie.

Stefano, insomma, cosa ne pensi?

E’ un Tour interessante, più o meno simile a quelli che abbiamo vissuto negli ultimi anni. Ci sono 53.000 metri di dislivello che non sono pochi. Un Tour duro, perché alla fine come cronometro hai solo una prova individuale, che tra l’altro è complicata, con salita e discesa: un dettaglio da non sottovalutare. La cronosquadre del primo giorno a Barcellona, poi, è un appuntamento da non prendere alla leggera.

Con la formula vista lo scorso anno alla Parigi-Nizza, quindi con il tempo preso individualmente…

Una formula interessante. Però quella di Barcellona è una cronosquadre complicata, piena di curve. Sono prove molto delicate: non vinci il Tour, ma puoi comprometterlo. Bisogna partire bene, con una condizione solida, come in tutte le grandi corse degli ultimi anni. E’ una prima settimana tecnica, difficile anche da gestire tatticamente: ci sarà da stare molto attenti.

E il Montjuic alla seconda tappa?

A livello di altimetria non è una tappa dura, però alla seconda giornata del Tour ogni dettaglio pesa. Il Montjuic è uno strappo dove prenderlo davanti è fondamentale. Sono quelle tappe che tutti temono: magari non succede nulla a livello di distacchi, ma la tensione è alta, le cadute sempre dietro l’angolo. Sono giornate molto, molto delicate come dicevo prima.

Presentazione Tour de France 2026, Pogacar
A Le Markstein Pogacar vinse nel 2023, ma quel Tour andò a Vingegaard. Fu una magra consolazione per lo sloveno
Presentazione Tour de France 2026, Pogacar
A Le Markstein Pogacar vinse nel 2023, ma quel Tour andò a Vingegaard. Fu una magra consolazione per lo sloveno
Abbiamo notato che torna ad esserci un buon numero di tappe per velocisti. Giusto così?

Cinque sono chiaramente destinate ai velocisti: quinta, settima, ottava, undicesima e dodicesima. Poi ce ne sono un paio miste, dove ci sarà battaglia fra sprinter e cacciatori di tappe. Togliendo Parigi, che ormai con Montmartre è diventata una frazione per attaccanti, è un buon numero per i percorsi moderni. E direi che va bene così, specie con quelle due in bilico.

Passiamo al nocciolo della questione: le salite. Okay la doppia scalata all’Alpe d’Huez e il fatto che Prudhomme abbia detto che si toccheranno tutte e cinque le catene montuose francesi, però non ci è sembrato così impossibile questo Tour nel complesso. Tu cosa ne dici?

E’ duro, ma non impossibile. La ventesima tappa, con oltre 5.500 metri di dislivello, è una di quelle giornate dove può succedere di tutto. Ci sarà questa doppia scalata all’Alpe d’Huez… Una tappa molto tosta, secondo me, è quella di Le Markstein. C’è anche quella inedita del Col du Haag: 11 chilometri con una pendenza media importante. Si scollina e non si scende, quindi è come un arrivo in quota, a meno di dieci chilometri dal traguardo. E siamo solo alla 14ª tappa. Anche la frazione successiva presenta tanto dislivello.

Però sono salite da Tour: poca pendenza…

Sono salite da Tour, è vero. Ma in questi ultimi anni, anche per via del dominio di Pogacar, abbiamo fatto fatica a valutare la difficoltà della Grande Boucle, perché ammazza tutto lui. I percorsi sono stati più o meno simili, ma lui cancella ogni strategia. Se non ci fosse Vingegaard vincerebbe con venti minuti sul secondo. Non ci sono tappe durissime, escluse le due o tre che abbiamo nominato, ma il dislivello non manca e alla lunga emerge sempre l’uomo di fondo. Paradossalmente, farebbe più caos una tappa piatta con arrivo secco in salita.

In totale 45 km contro il tempo (di cui 19 a squadre): poco margine per Remco per segnare differenze significative ai fini della classifica secondo Garzelli
In totale 45 km contro il tempo (di cui 19 a squadre): poco margine per Remco per segnare differenze significative ai fini della classifica secondo Garzelli
E delle crono cosa ci dici?

Mi incuriosisce quella individuale dopo il giorno di riposo: sarà una tappa molto delicata e impegnativa, sia altimetricamente che planimetricamente.

Ieri a Parigi hanno chiesto a Prudhomme se non fosse un Tour disegnato per Remco. Lui ha risposto che non è un Tour “anti qualcuno”. Tu, Stefano, a chi lo vedi più adatto?

A Pogacar! Se va come ha fatto finora, il percorso è perfetto per lui, duro o meno che sia. Non credo invece che favorisca Evenepoel: c’è una sola crono, dura ma non lunga, quindi non per i puri specialisti dell’aerodinamica. Se Pogacar va come nel 2024 o nel 2025, c’è poco da fare. Personalmente mi sarei aspettato meno divario fra lui e Vingegaard quest’anno, ma alla fine se la giocheranno ancora loro due. E voi chi vedete come terzo uomo?

Fai tu le domande! Per una suggestione ci viene in mente Seixsas…

Un po’ azzardato portare un ragazzo così giovane, con tutte le pressioni di essere francese al Tour. Un conto è il Delfinato, l’Europeo o il Lombardia, un conto è la Grande Boucle. I numeri contano, certo… Watt, VO₂ Max, soglia, ma il Tour è un’altra cosa. Serve una tenuta mentale e fisica mostruosa. Vedremo… Io dico Lipowitz.

Ci sta. E’ salito sul podio finale quest’anno…

E il fatto che dopo il podio di Parigi non l’abbiano quasi più fatto correre (ha inanellato pochissimi giorni di gara, ndr) mi è piaciuto. Se la scelta è stata fatta per farlo recuperare e crescere, è giusta. Ma, in soldoni, se la giocheranno ancora loro due, Vingegaard e Pogacar, secondo me.

Presentazione Tour de France 2026
Marion Rousse ha invece presenziato il Tour Femmes, in scena dall’1 al 9 agosto
Presentazione Tour de France 2026
Marion Rousse ha invece presenziato il Tour Femmes, in scena dall’1 al 9 agosto

Tour Femmes: c’è il Ventoux

In tutto ciò è stato presentato anche il percorso del Tour de France Femmes avec Zwift 2026, alla presenza della direttrice Marion Rousse. La corsa partirà dalla Svizzera, conterà nove tappe per un totale di 1.175 chilometri, record per la manifestazione. Le frazioni sono state così suddivise: tre pianeggianti, tre mosse, due di montagna e una cronometro individuale di 21 chilometri che avverrà nella quarta tappa.

La corsa toccherà tre grandi catene: Jura, Massiccio Centrale e Alpi, con un dislivello complessivo di 18.795 metri, altro primato. L’arrivo simbolo sarà quello sul Mont Ventoux, tanto caro alla nostra Marta Cavalli, vetta più alta del percorso (1.910 metri) e palcoscenico della settima tappa, destinata a diventare la “regina” di questa quinta edizione.

Attesa alle stelle per le beniamine di casa: la campionessa uscente Pauline Ferrand-Prevot, super gettonata ieri, e la svizzera Marlen Reusser, che correrà sulle strade di casa. L’ultima frazione, la più lunga con 175 chilometri tra Sisteron e Nizza, chiuderà un Tour Femmes sempre più completo e spettacolare, in perfetta sintonia con quello maschile.

L’addio di Sbaragli, fra tanti ricordi e un bel progetto

L’addio di Sbaragli, fra tanti ricordi e un bel progetto

23.10.2025
6 min
Salva

Tra i tanti che hanno chiuso la loro attività quest’anno c’è anche Kristian Sbaragli che a 35 anni appende la bici al chiodo. Il suo è un addio “soft”, al quale stava pensando già da tempo, conscio di aver regalato a questo sport gran parte della sua vita. Il corridore empolese chiude senza rimpianti, soddisfatto per quel che ha ottenuto in oltre 10 anni di carriera da professionista, un lasso di tempo lungo, che forse col passare degli anni diventerà una chimera per tanti.

Il più grande giorno nella carriera di Sbaragli, la vittoria del 2015 alla Vuelta, sul traguardo di Castellòn
Il più grande giorno nella carriera di Sbaragli, la vittoria del 2015 alla Vuelta, sul traguardo di Castellòn
Il più grande giorno nella carriera di Sbaragli, la vittoria del 2015 alla Vuelta, sul traguardo di Castellòn
Il più grande giorno nella carriera di Sbaragli, la vittoria del 2015 alla Vuelta, sul traguardo di Castellòn

La scelta non è stata un fulmine a ciel sereno: «Durante quest’anno avevo deciso che a fine stagione mi sarei ritirato. E quindi l’ho vissuta bene, anche se c’è sempre un po’ di dispiacere perché alla fine vado in bici da quando avevo 7 anni. Ma è stata una mia scelta e sono orgoglioso di poter avere avuto il privilegio di poter decidere quando fermarmi e capire che era il momento di voltare pagina».

E’ dal 2013 che sei professionista e ne hai viste tante in tutti questi anni. E’ un ciclismo che ancora rispecchia i valori che avevi tu?

Penso che i valori alla fine il ciclismo li mantiene sempre. E’ sempre questione di vittorie, di lotta da parte di tutte le squadre per ottenere il miglior risultato possibile. 13 anni fa come oggi. E’ cambiato tanto lo sport in sé, ho vissuto sulla mia pelle un cambiamento culturale davvero profondo.

Gli anni alla Qhubeka sono stati speciali, poi Sbaragli ha cambiato prospettive mettendosi al servizio di grandi sprinter
Gli anni alla Qhubeka sono stati speciali, poi Sbaragli ha cambiato prospettive mettendosi al servizio di grandi sprinter
Gli anni alla Qhubeka sono stati speciali, poi Sbaragli ha cambiato prospettive mettendosi al servizio di grandi sprinter
Gli anni alla Qhubeka sono stati speciali, poi Sbaragli ha cambiato prospettive mettendosi al servizio di grandi sprinter
Due vittorie da professionista, tutte e due nella Qhubeka. E’ stata quella la squadra dove ti trovavi meglio?

Sicuramente è stata la squadra che devo ringraziare più di tutti perché è quella che mi ha dato la possibilità di passare professionista e mi ha dato la fiducia di iniziare una carriera. Ho passato i miei primi 5 anni lì, credevano molto in me e mi hanno fatto crescere, quindi ho avuto il supporto per cercare di fare il massimo anche a livello di risultati personali. E’ stata la squadra dove sono riuscito a esprimermi meglio e dove comunque tante volte partivo per fare il leader e ho ottenuto tanti risultati, anche se ho vinto solo due corse.

Due vittorie, ma una di grosso peso, una tappa alla Vuelta. Che ti è rimasto di quella giornata?

E’ stata oggettivamente la più importante della mia carriera, perché venivo da un periodo dove avevo fatto tantissimi risultati, quella vittoria lì è stata un po’ la ciliegina sulla torta e la consacrazione di una stagione che comunque è stata molto positiva. Poi c’è stata una proiezione un po’ diversa a livello personale, per gli anni successivi, per quello che avrei potuto fare. Io avevo 25 anni, ero ritenuto giovane per un’età che oggi invece è già da corridore maturo, con magari già un quinquennio di esperienza fra i professionisti.

Sbaragli al fianco di Merlier, del quale per molto è stato l'ultimo uomo nelle volate
Philipsen e Merlier, per Sbaragli tante corse al servizio dei due velocisti di punta della Alpecin
Sbaragli al fianco di Merlier, del quale per molto è stato l'ultimo uomo nelle volate
Philipsen e Merlier, per Sbaragli tante corse al servizio dei due velocisti di punta della Alpecin
Tu da lì hai iniziato un lungo cammino che ti ha sempre tenuto, o nel WorldTour o nelle professional, in procinto di salire nella massima serie. Per farlo ti sei dovuto specializzare, hai dovuto magari anche mettere un po’ da parte le tue ambizioni personali e pensare alla squadra?

Sì, dalla vittoria alla Vuelta in poi, c’erano delle aspettative, ho fatto degli ottimi risultati. Oggettivamente però non ero un campione, non ero un super vincente perché ero veloce, ma mi piazzavo bene, non avevo lo spunto per vincere. Così mi sono specializzato nell’essere di supporto in determinate situazioni, non fare più le volate di gruppo e soprattutto quando poi sono andato alla Alpecin, lì il mio lavoro era quello proprio di arrivare nel finale della corsa e di aiutare i leader. Ho contribuito alla vittoria in tantissime gare e quelle vittorie le ho sentite un po’ mie.

Quanto è contato per te aver vestito la maglia azzurra?

Io non sono uno che conserva tantissime cose, ma a casa, in palestra, ho attaccato una maglia, quella della nazionale con cui ho fatto il mondiale nel 2023. Dove Bennati mi ha dato fiducia, in un ruolo di supporto alla squadra. Per me rappresentare la nazionale al mondiale è stato sicuramente un coronamento di una carriera. Sono stato riserva mondiale altre tre volte, ma senza correre. Mi ha dato una grandissima soddisfazione personale, quasi il coronamento di una carriera.

Il toscano a sinistra, quarto alla Coppa Sabatini 2024, il suo miglior risultato di fine carriera
Il toscano a sinistra, quarto alla Coppa Sabatini 2024, il miglior risultato di fine carriera
Il toscano a sinistra, quarto alla Coppa Sabatini 2024, il suo miglior risultato di fine carriera
Il toscano a sinistra, quarto alla Coppa Sabatini 2024, il miglior risultato di fine carriera
Tu hai ottenuto tutti i tuoi principali piazzamenti e vittorie prima del 2020, però poi c’è il quarto posto alla Coppa Sabatini del 2024. Come la dimostrazione che comunque certe qualità c’erano ancora…

Sì, sicuramente gli ultimi due anni ho cercato di fare la mia gara molte più volte rispetto a quando ero alla Alpecin dove c’era gente come Van der Poel, Philipsen e Merlier. Il 2024 è stato un anno dove oggettivamente a livello personale penso di essere stato sempre molto competitivo. Quel giorno a Peccioli, che fra le altre cose è anche una gara “di casa” perché è a 30 chilometri da casa mia, se avessi fatto podio sarebbe stato ancora meglio. Ma è stata una bella dimostrazione che ero ancora in grado di fare risultato.

Il capitano con cui ti sei trovato meglio?

Van der Poel, alla fine abbiamo fatto due Tour de France in camera insieme e oltre a essere un grande campione è comunque anche una persona molto umile e che ha il grande merito di saper tirar fuori il 110 per cento dalla squadra, sa motivarla come nessun altro. Ti fa vedere che anche lui, anche quando non ha la giornata super, comunque è in grado sempre di dare il suo massimo.

Kristian con suo figlio Lorenzo. Ora il toscano si dedicherà proprio ai più piccoli, per avvicinarli al ciclismo
Kristian con suo figlio Lorenzo. Ora il toscano si dedicherà proprio ai più piccoli, per avvicinarli al ciclismo
Kristian con suo figlio Lorenzo. Ora il toscano si dedicherà proprio ai più piccoli, per avvicinarli al ciclismo
Kristian con suo figlio Lorenzo. Ora il toscano si dedicherà proprio ai più piccoli, per avvicinarli al ciclismo
Ora dove ti troveremo?

A livello di ciclismo professionistico vorrei staccare un po’. Vorrei invece dare una mano al ciclismo e rilanciare la società ciclistica a Castelfiorentino dedicata ai giovanissimi, la squadra del mio paese. Dal prossimo anno me ne occuperò personalmente e cercherò di riportare in bici il più grande numero di bambini possibile, perché la mancanza dei più piccoli secondo me è un grosso problema, alla base della crisi del nostro movimento.

watt, potenziometro, Garmin

Watt. Come usa realmente il potenziometro uno sprinter?

23.10.2025
5 min
Salva

Sappiamo, e lo vediamo sempre con maggior frequenza, che questo è il ciclismo dei numeri. Al netto degli attacchi folli e suggestivi di Tadej Pogacar, tutto è misurato: dalle calorie spese all’energia impressa sui pedali, dalla durata degli attacchi ai lavori in allenamento. Soprattutto i famosi watt vengono monitorati dagli atleti e dai preparatori (in apertura foto Garmin).

Ma poi al fianco di tutto questo c’è il concreto. E questo concreto è: come, cosa, quanto e quando i corridori guardano i watt. Ne abbiamo parlato con tre atleti dalle caratteristiche differenti che vi proporremo in tre puntate. Ad aprire le danze è Andrea Pasqualon, il velocista. Seguiranno un passista e uno scalatore.

In più, cosa molto curiosa e interessante, abbiamo chiesto loro se a fine stagione ci sono differenze nell’uso dello strumento e soprattutto quel che esso rivela. E la cosa a quanto pare non segue una regola, ma è del tutto soggettiva. Iniziamo dunque con Pasqualon. Lo sprinter ha certamente esigenze diverse rispetto a uno scalatore e con l’atleta della Bahrain-Victorious si entra subito nel merito.

Andrea Pasqualon, watt
Pasqualon ormai difficilmente fa uno sprint, ma di certo è un ottimo apripista
Andrea Pasqualon, watt
Pasqualon ormai difficilmente fa uno sprint, ma di certo è un ottimo apripista
Andrea, quanto utilizzi realmente il potenziometro in corsa?

Alla fine non troppo. Dipende dal tipo di corridore. Ci sono squadre come UAE Team Emirates, Ineos Grenadiers che puntano alle classifiche generali, che lo utilizzano molto, soprattutto in salita, perché impostano il corridore a fare un determinato lavoro ad una determinata intensità di watt per sfiancare gli avversari. Siamo in un mondo dove conta tantissimo guardare i numeri. Anche Pogacar imposta la squadra dicendo ai compagni: «Il tuo lavoro è questo, mettiti ad una determinata cadenza e soprattutto una determinata potenza per un tot minuti».

Questo per fare la grossa selezione…

Certo, ma poi il corridore lo utilizza anche per stabilire il proprio passo: se e quanto lo può tenere. Esempio: ho di fronte una salita di 10 minuti, so che se la faccio a 430 watt ci posso stare per quel determinato tempo, altrimenti non ce la faccio e salto prima.

E voi sprinter?

Noi lo utilizziamo più che altro per guardare i file post-gara per capire anche un po’ le sensazioni. Per valutare com’è stato magari un picco in volata o una “trenata” fatta magari in un determinato punto della corsa.

Durante la preparazione dello sprint anche se lo sforo è massimale non si guarda il potenziometro
Durante la preparazione dello sprint anche se lo sforo è massimale non si guarda il potenziometro
Tappa piatta, o comunque veloce, dove si sa che si arriverà in volata e che dovrai fare la volata o “l’ultimo uomo”? Come ti gestisci durante quella frazione?

Di base potrei dire che non lo guardo assolutamente. Non c’è il tempo di stare là a osservare i numeri. Si è talmente concentrati nella volata o comunque nel prendere le traiettorie giuste, nel riuscire a trovare il momento giusto per partire, che il computerino non lo guardi. O almeno non in quel senso.

E come lo guardi?

Osservi solamente la mappa della strada per capire se c’è una curva a destra, una curva a sinistra, per capire il momento in cui rimontare il gruppo. Potenziometro e watt sono molto più utilizzati da altre tipologie di corridori.

Anche in una tappa in salita? Magari se fai gruppetto?

Qualche volta si dà un’occhiata, più che altro ai fini del risparmio energetico per salvare la gamba in vista dei giorni successivi. A volte sei in gruppetto, c’è l’ultima salita e devi arrivare entro il tempo massimo. Se sei stretto coi tempi, spingi forte e dai un’occhiata per salire al meglio senza saltare; altrimenti continui a risparmiare il più possibile.

Siamo nel finale di stagione: i wattaggi sono un po’ calati oppure al contrario sei arrivato fresco? E soprattutto cambia il tuo approccio verso lo strumento?

No, l’approccio è sempre quello. A me i watt quest’anno sono aumentati assolutamente: anzi ho fatto i miei migliori cinque minuti proprio domenica scorsa in Cina al Guangxi. Sono rimasto fuori per cinque mesi dalle corse quest’anno e questo implica anche una freschezza mentale, ma anche fisica.

Lo sprinter utilizza forse meno di tutti il potenziometro. E vi fa riferimento soprattutto per i lavori intensi
Lo sprinter utilizza forse meno di tutti il potenziometro. E vi fa riferimento soprattutto per i lavori intensi
Invece quando fai la distanza in allenamento, magari vai regolare e tranquillo: ti capita che ogni tanto gli butti l’occhio perché sennò finisci sotto wattaggio. Ti capita insomma di essere un po’ distratto?

No, ormai un corridore che ha 15 anni di professionismo sa qual è il suo limite. Sa quanto riesce a spingere, conosce più o meno quali sono i watt medi da portare a casa durante una giornata di allenamento e sa soprattutto a che intensità può fare determinati lavori. A noi sprinter monitorare i watt serve soprattutto per lavorare con precisione, soprattutto sui lavori intensi tipo 30”-30”, 40”-20”.

E in salita?

Certo, anche per le salite anche da 15-20 minuti o più. Insomma, si guarda più che altro la potenza media da utilizzare in modo da non far degli sforzi superiori a quanto impostato. Il lavoro oggi si fa con maggior precisione. Anche per questo negli ultimi anni si è vista questa grande evoluzione e questo grande cambiamento nel modo di correre e non solo.

Cos’altro?

Oggi molti corridori si allenano da soli e non più in compagnia. Non si va più fuori come magari si faceva dieci anni fa, quando si faceva la distanza tutti insieme. Vedevi 7-8 corridori andare via regolari. Ormai ognuno ha le sue abitudini, ha i suoi regimi di lavoro. Ognuno tiene i propri regimi di lavoro.

Coppa San Vito 2025, Alessio Magagnotti batte Nicola Padovan (immagine Contri-Autozai)

Magagnotti, le vittorie e il cammino per diventare grande

23.10.2025
5 min
Salva

Un post su Instagram non basta per descrivere le potenzialità di un corridore. Ma se a scriverlo è un tecnico di esperienza come Gianluca Geremia, allora probabilmente vale la pena approfondire. E la settimana scorsa il tecnico regionale del Veneto ha scritto delle parole molto importanti sul trentino Magagnotti.

«Senza ombra di dubbio – ha scritto – questo è il ciclista junior più forte di che io abbia mai visto da quando sono tecnico regionale di categoria. Non mi ha stupito per le sue vittorie, ma per quanto forte andava sui percorsi meno adatti alle sue caratteristiche, facendo soffrire gli altri, non ultimo al giro della Lunigiana. Un vero fenomeno della categoria, (per me) con un unico difetto: per 5 km è trentino e non veneto! A parte la battuta, gli auguro davvero di affermarsi nei prossimi anni mantenendo l’umiltà e la determinazione che ha, sempre divertendosi! Forza @ale_magagnotti».

Premiazione Baron, 2025, foto ricordo Gianluca Geremia, Alessio Magangotti
Un incontro della settimana passata e questa foto hanno dato a Geremia l’occasione per parlare di Magagnotti
Premiazione Baron, 2025, foto ricordo Gianluca Geremia, Alessio Magangotti
Un incontro della settimana passata e questa foto hanno dato a Geremia l’occasione per parlare di Magagnotti

Per chi non fosse sul pezzo, Magagnotti è un ragazzo trentino del 2007, arrivato fra gli juniores nel 2024 dopo una splendida carriera negli allievi: 6 vittorie al primo anno e 18 al secondo, fra cui la Coppa d’Oro. Un metro e 81 per 73 chili, con la maglia della Autozai-Contri ha vinto 7 volte lo scorso anno, raddoppiandole quest’anno, fra volate e cronometro (in apertura, la Coppa San Vito in un’immagine Autozai-Contri). In pista ha vinto l’europeo dell’inseguimento a squadre, doppiandolo ai mondiali e aggiungendo l’oro nella prova individuale. Di lui si è accorta la Red Bull che l’ha fatto firmare nel suo devo team.

Che cosa ha visto in lui Gianluca Geremia?

Era l’atleta che arrivava dalla categoria allievi con dei risultati pesanti ed è riuscito a mantenere le aspettative. E’ forte perché fisicamente è dotato, non lo dico io: lo dicono i test, lo dice la nazionale. A livello fisico è un fenomeno, uno che fa più notizia quando non vince. Ma quest’anno l’ho scoperto un po’ di più. Ci ho parlato in qualche occasione e ho avuto modo di osservarlo.

Hai scritto del Giro della Lunigiana…

Non tanto per la tappa che ha vinto, ma per quando si è messo a tirare il gruppo nella tappa di Fivizzano e ha fatto sfracelli. Lo ricordo malvolentieri, perché davanti avevamo Davide Frigo, però è stato Alessio a chiudere sulla fuga. E mi sono chiesto: come ha fatto uno come lui, che ha un fisico possente, a esprimere certi numeri su quel percorso che era tutto fuorché veloce?

Giro della Lunigiana 2025, Alessio Magagnotti vince a Marina di Massa (foto Giro della Lunigiana)
Le volate non stupiscono (qui al Lunigiana): altro quando Magagnotti si esprime in tappe vallonate (foto Giro della Lunigiana)
Giro della Lunigiana 2025, Alessio Magagnotti vince a Marina di Massa (foto Giro della Lunigiana)
Le volate non stupiscono (qui al Lunigiana): altro quando Magagnotti si esprime in tappe vallonate (foto Giro della Lunigiana)
Ti sei dato una risposta?

Ha grandi numeri. Ho corso insieme a Cunego e Pozzato, ma fisicamente Magagnotti mi ricorda tanto Cancellara. Dopo Fabian, non avevo più visto un fisico del genere. Questo vuol dire tutto e non vuol dire nulla, salvo che in questo momento, con i valori che ha e per la categoria in cui si trova, Alessio è un fenomeno. D’altra parte vedo anche un ragazzo con tanta determinazione, che non si accontenta mai.

In base a cosa lo dici?

Ad esempio vedi che ha trasformato in impresa la vittoria di una gara regionale come Codognè. Ha attaccato in partenza e nessuno è più andato a prenderlo, quindi lì motore c’è. Poi ci vuole la testa, ci vuole la volontà di farlo, quindi diciamo che sta facendo vedere tante piccole cose che servono per diventare corridori.

Facciamo gli avvocati del diavolo: può essere così vincente perché è fisicamente più avanti degli altri?

Giusta domanda che ci permette di approfondire. Secondo me, sa che la strada è ancora lunga. L’ho trovato in alcune premiazioni e devo dire che tutte queste celebrazioni mi hanno sempre fatto paura. Sei davanti a un ragazzo che ha vinto in ogni categoria, ma tante premiazioni diventano dei pesi. Diventano quasi dei fastidi, se poi le cose non vanno bene. Per questo gli auguro veramente di avere intorno delle persone che non gli facciano sentire questo peso, perché a mio modo di vedere è un ragazzo proprio umile e tranquillo. Siamo noi che lo stiamo facendo volare tanto alto.

Per Magagnotti il doppio oro ai mondiali su pista: nell’inseguimento a squadre e in quello individuale (foto UCI)
Per Magagnotti il doppio oro ai mondiali su pista: nell’inseguimento a squadre e in quello individuale (foto UCI)
Lui sta con i piedi per terra?

Quando sai di essere forte, quando hai certi valori, la possibilità di vincere il campionato del mondo è la normalità. Doveva farlo. E se non lo avesse fatto, poteva significare che non aveva voglia di allenarsi. Che mentalmente non è stabile per quel tipo di impegni, invece ha dimostrato l’esatto contrario. E’ l’aspetto che mi piace maggiormente, la consapevolezza che per diventare corridore devi avere voglia di fare sacrifici e la capacità di gestire la pressione. E lui secondo me le ha entrambe.

Hai detto di averci parlato più volte: ti dà l’impressione di essere un ragazzo che ascolta?

Quando parli, ti guarda fisso e ascolta. Poi elabora i suoi pensieri, ma vedi che assorbe qualsiasi cosa. Non è per caso che vada forte. Okay le gambe, però soffermandosi sulle altre sfaccettature, capisci che c’è qualcos’altro. C’è anche la testa, secondo me ce le ha tutte, è un ragazzo da far crescere nel modo giusto. Lo dissi anche su Lorenzo Finn, il talento che ha margine, che ha vinto due mondiali di seguito: uno che quando colpisce, lo fa in modo secco.

Magagnotti è uguale?

Alessio è un fenomeno. Arrivava dalla categoria allievi come fenomeno e ha dovuto dimostrarlo sul campo tra gli juniores. Bisognerà vedere quando il fisico maturerà ancora, se valori come il rapporto potenza/peso rimarrà vantaggioso. Ma se il prossimo anno lo vedessimo vincere qualche volata, non mi stupirei. Anzi, glielo auguro e sarebbe giusto, perché il motore c’è. Spero che sfrutti il dono che madre natura gli ha dato, che capisca di essere fortunato ad aver ricevuto questa dote.