Sportful e la maglia iridata di Finn: da casa al Ghisallo

04.10.2024
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Lorenzo Finn è il nuovo campione del mondo della categoria juniores, l’azione in solitaria lunga quasi 20 chilometri di Zurigo è stata incoronata dalla maglia iridata. Dal podio della città Svizzera, dove ha indossato la divisa classica disegnata da Santini, che continuerà a collaborare con l’UCI per i prossimi sette anni, è passato alla sua divisa Sportful. L’azienda veneta che disegna le divise per il team tedesco della Grenke Auto Eder ha realizzato in tempi record il kit iridato (foto Berry in apertura). Una maglia con la classica banda orizzontale arcobaleno, contornata dai vari sponsor, e un pantaloncino nero da abbinare. 

Rispetto alla solita posizione la banda iridata ha costretto Sportful a spostare qualche sponsor
Rispetto alla solita posizione la banda iridata ha costretto Sportful a spostare qualche sponsor

Tutto in due giorni

Come lo sappiamo? Semplice, visto che Lorenzo Finn dopo le fatiche del mondiale ci ha messo solamente tre giorni per trovare il primo successo con la divisa di campione del mondo realizzata da Sportful. Domenica 29 settembre alla Olgiate Molgora-Ghisallo, vinta anche nel 2023, Finn ha alzato nuovamente le braccia al cielo. Questa volta con l’arcobaleno sul petto. Siamo andati così da Sportful per capire in che modo un’azienda realizza la maglia iridata da consegnare ai propri corridori. 

«Il processo con il quale abbiamo realizzato la divisa di Finn – spiega Federico Mele, Head of Global Marketing – non è diverso da quello utilizzato per i professionisti. Come azienda abbiamo la capacità produttiva per realizzare una divisa del genere in poche ore. Abbiamo una sala, chiamata dei prodotti speciali, adibita proprio a queste esigenze. La notizia della vittoria di Lorenzo Finn è arrivata giovedì, il giorno dopo la maglia e i pantaloncini erano pronti. Sabato un mio collega glieli ha consegnati a casa e domenica ha vinto».

Prima uscita ufficiale a prima vittoria con la maglia iridata per Lorenzo Finn alla Olgiate Molgora-Ghisallo (foto Berry)
Prima uscita ufficiale a prima vittoria con la maglia iridata per Lorenzo Finn alla Olgiate Molgora-Ghisallo (foto Berry)

Le regole UCI

Quando si parla di divisa di campione del mondo si devono rispettare quelli che sono i dettami imposti dall’UCI. La banda orizzontale composta dai colori dell’arcobaleno blu, rosso, nero, giallo e verde, deve essere posizionata al centro della maglia. I loghi degli sponsor, invece, devono essere inseriti a una distanza compresa tra 10 e 30 millimetri. Ogni colore delle strisce arcobaleno deve essere rappresentato in egual misura. Le bande arcobaleno devono, inoltre, essere presenti anche sul colletto e i bordi delle maniche. 

«Naturalmente – spiega Federico Mele – la maggior importanza la ricoprono le strisce che distinguono il campione del mondo. Poi gli sponsor vanno posizionati sulla maglia a seconda degli spazi e degli accordi commerciali. Chiaramente un nome che prima compariva nella parte frontale in alto deve rimanere in una zona simile. Comunque comandano i contratti fatti con gli sponsor».

«A Finn – dice ancora Mele – abbiamo realizzato solamente un kit base composto da maglia e pantaloncini. Quest’ultimi sono stati colorati di nero per una questione cromatica, visto che il colore originale della Grenke Auto Eder non si abbina particolarmente con la maglia iridata. Poi è bello avere un kit completo. Sui pantaloncini l’iride va messo nel bordo basso con un’altezza massima di cinque centimetri, un centimetro per colore».

Finn ha dato un gran da fare a Sportful, quest’anno ha cambiato maglia due volte (foto Zoé Soullard/DirectVelo)
Finn ha dato un gran da fare a Sportful, quest’anno ha cambiato maglia due volte (foto Zoé Soullard/DirectVelo)

Subito vincente

Lorenzo Finn ha sfruttato la buona condizione di Zurigo per mettere nel palmares la sua seconda Olgiate Molgora-Ghisallo. Il primo successo in maglia iridata nonché l’ultimo, per quanto riguarda la categoria juniores.

«Avevo deciso di terminare il 2024 con Zurigo – racconta – ma dopo la vittoria ho deciso di indossare la maglia iridata almeno una volta. Quando stai bene tutto gira e anche sul Ghisallo è andata parecchio bene. Ricevere la maglia il giorno prima della gara a Como è stato bello, ringrazio Sportful per lo sforzo e il gesto. Vederla dal vivo con la scritta della squadra sopra mi ha fatto un certo effetto. Ho realizzato un pochino di più quanto fatto a Zurigo, non dico che vincere sul Ghisallo sia stato meglio ma sicuramente mi ha dato una grande emozione. C’erano tanti amici e molta gente che conoscevo, salire sul palco delle premiazioni è stato speciale».

«Ora non resta che tornare alla vita di tutti i giorni – conclude – purtroppo da dopo il Ghisallo il meteo è stato sempre brutto. Spero di trovare il clima giusto per indossarla anche in allenamento, d’altronde ho vinto e voglio godermi questa maglia fino al 31 dicembre».

Davide Cassani e il Giro dell’Emilia, una storia d’amore

04.10.2024
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Archiviato il mondiale di Zurigo, il gotha del ciclismo mondiale si sposta in Italia dove domani, sabato 5 ottobre, si correrà la 107ª edizione del Giro dell’Emilia. L’ex CT Davide Cassani quella corsa l’ha vinta ben tre volte, con la doppietta 1990-1991 e poi nel 1995 (foto in apertura). Lo abbiamo raggiunto al telefono per farci raccontare qualche aneddoto sull’Emilia e sulla mitica salita del San Luca, che sabato i corridori affronteranno 5 volte.

Il Giro dell’Emilia partirà domattina alle 11,10 da Corso Mazzini a Vignola. Via ufficiale in località Due Ponti
Il Giro dell’Emilia partirà domattina alle 11,10 da Corso Mazzini a Vignola. Via ufficiale in località Due Ponti
Davide, domani si corre il Giro dell’Emilia, una corsa a cui tu sei particolarmente legato

Quella era proprio la mia corsa. L’ho vinta tre volte, poi un anno ho fatto secondo e un altro terzo. Vuoi per il percorso adatto a me, vuoi perché è vicino a casa, ma insomma ero sempre lì. Poi ai miei tempi non si arrivava in cima al San Luca, ma la salita si faceva lo stesso.

Parlavi delle tue vittorie, ce le racconti?

Quella del 1990 è stata certamente una delle più belle della mia vita. E’ stato un insieme meraviglioso di prime volte. Era la prima volta che mio figlio veniva a vedermi in gara, in più era il giorno del suo primo compleanno. E proprio quel giorno ho vinto per la prima volta la corsa di casa mia. Indimenticabile. L’anno dopo, nel ’91, ho battuto un giovanissimo Ivan Gotti. Allora si arrivava in via Indipendenza a Bologna, nel finale siamo rimasti solo io e lui e ho vinto in volata.

Mentre la terza?

Era il 1995 ed è stata molto particolare, perchè fu la mia ultima vittoria da corridore, pochi mesi prima di ritirarmi. Dovevo partire con la nazionale per i mondiali in Colombia, ma chiesi ad Alfredo Martini di poter spostare il mio volo di un giorno. Lui, con la sua saggezza, acconsentì. Quel giorno stavo talmente bene che dissi ai miei compagni di tenere la corsa fino ai 50 chilometri dall’arrivo, che poi ci avrei pensato io. E così è andata.

Il Giro dell’Emilia 2023 è stato di Roglic, che sul San Luca ha preceduto Pogacar e Simon Yates
Il Giro dell’Emilia 2023 è stato di Roglic, che sul San Luca ha preceduto Pogacar e Simon Yates
Veniamo ai giorni nostri. Come vedi la gara di sabato?

Sabato c’è un uomo da battere e sarà difficilissimo per tutti gli altri, viste le caratteristiche sue e del percorso. Penso proprio che possa vincere la sua prima corsa in maglia di campione del mondo.

Immagino che tu stia parlando di Pogacar. Quindi non vedi alternative?

Dopo quello a cui abbiamo assistito domenica a Zurigo la vedo dura, molto dura.

Però negli ultimi due anni non è mai sembrato al top in questa gara, ha perso da Mas e da Roglic. Quasi la prendesse come una rifinitura per il Lombardia. 

Ma tenete conto che non è mai stato così forte e solido come in questa stagione. Credo che possa divertirsi e farci divertire.

Va bene, allora facciamo un gioco. Cosa faresti se fossi il DS di uno dei suoi rivali? 

Bella domanda. Il problema è che può contare anche su una squadra fortissima a sua completa disposizione. Evenepoel o qualcun altro potrebbe anche cercare di anticipare, ma a quel punto lui potrebbe mettere i suoi a tirare e poi partire in contropiede in prima persona. Sempre che non decida di partire da lontano, o da lontanissimo, direttamente lui, magari a tre o quattro giri dalla fine. Con una corsa così di invenzioni se ne possono fare poche secondo me.

Nel 2022 è stato Enric Mas ad alzare le braccia, staccando Pogacar e un indomito Pozzovivo
Nel 2022 è stato Enric Mas ad alzare le braccia, staccando Pogacar e un indomito Pozzovivo
Sembri proprio escludere qualsiasi scenario che non sia la vittoria del neo campione del mondo.

Sai, poi ogni gara fa storia a sé. Per esempio bisogna vedere quanto ha speso al mondiale, se quello sforzo magari gli è rimasto nelle gambe. Gli altri dovranno essere bravi nel caso a cogliere il momento, se mai dovesse manifestare qualche segnale di difficoltà. Ma ripeto: per come la vedo io, in una corsa così, con un corridore del genere, gli spazi per la fantasia sono abbastanza limitati.

Allora torniamo a te. Qual è il più bel ricordo che hai del San Luca?

Forse il più bello è la prima volta che ci sono stato con mio padre, da bambino. Mi ricordo che mi emozionò vedere dall’alto lo stadio del Bologna che è proprio lì sotto e capii subito che era un luogo magico. Poi ho visto arrivare il Giro d’Italia e il Tour, momenti in cui il San Luca è diventato a sua volta uno stadio. Uno stadio verticale e bellissimo che ha accolto migliaia e migliaia di persone da tutto il mondo. Come succederà di nuovo, per l’ennesima volta, anche domani.

Mondiali di gravel, ad Halle Pontoni punta in alto

04.10.2024
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Un clima tipicamente autunnale ha accolto la nazionale italiana ad Halle dove domenica si correrà il mondiale gravel. Il gruppo di Daniele Pontoni è arrivato in Belgio mercoledì e nella giornata di ieri ha preso contatto con il percorso, facendo subito i conti con il clima e le caratteristiche del tracciato.

«Al nostro arrivo abbiamo trovato tempo ancora piovigginoso, ma in occasione della nostra uscita, affrontando i primi 80 chilometri abbiamo notato che il tracciato si stava già asciugando e questo fa ben sperare per domenica. Nella parte finale, il circuito probabilmente decisivo, ci sono ancora dei tratti fangosi. Però se il tempo regge e soprattutto il vento continuerà a tirare, credo che sabato, quando gareggeranno le donne, sarà già tutto asciutto».

Gli azzurri ieri sul percorso iridato, 134 chilometri per le donne, 181 per gli uomini
Gli azzurri ieri sul percorso iridato, 134 chilometri per le donne, 181 per gli uomini
Che percorso avete trovato?

E’ stato parzialmente rivisto rispetto all’europeo gravel dello scorso anno. E’ disegnato prevalentemente su piste ciclabili e strade battute, quindi io credo che si svilupperanno alte velocità, con 2-3 single track dove sarà utile la capacità di guida, ma nel complesso sono tutte traiettorie veloci dove non ci sono particolari difficoltà di guida. Certamente serve attenzione, soprattutto nei tratti dove si procede in fila indiana per sapere dove mettere le ruote, considerando che stando alle spalle non si vedono subito le buche. Preservare i copertoni sarà un aspetto importante.

Secondo te è quindi un percorso che privilegia gli stradisti?

Sicuramente, è un percorso come detto da grandi velocità, tecnicamente abbordabile e il fatto che siano quasi 300 i concorrenti che si schierano al via lo dimostra. Io credo che la gara si svilupperà attraverso gruppetti, anzi non è escluso che soprattutto la prova femminile si possa chiudere con uno sprint a ranghi ristretti.

Il podio dello scorso anno con Silvia Persico che ci sarà anche stavolta, punta delle azzurre
Il podio dello scorso anno con Silvia Persico che ci sarà anche stavolta, punta delle azzurre
Veniamo alle tue convocazioni: stupisce il fatto che a fronte di una nazionale femminile abbastanza ampia, con 7 effettive al suo interno, ci siano solamente 4 uomini convocati. Perché questa differenza?

Ho semplicemente dovuto prendere atto della situazione, della concomitanza con un calendario ancora ingolfato. A molti team ho chiesto di poter mettere a disposizione uomini, ma con Emilia, Bernocchi, Agostoni non ho avuto risposte positive. Ho quindi potuto scegliere Oss e De Marchi che sono specialisti puri del gravel, poi c’è Matteo Zurlo campione d’Italia lo scorso anno e che questo percorso lo conosce bene per averlo affrontato lo scorso anno, infine c’è Filippo Agostinacchio che ha una condizione ottima.

Questa differenza numerica ti porterà a fare scelte tattiche differenti?

Sì, andranno impostate due corse completamente diverse ma questo non dipende solamente dai numeri. Bisogna guardare al materiale a disposizione, alla concorrenza, alla lunghezza del percorso. Valuteremo le scelte più adatte al caso.

Matej Mohoric in trionfo nel 2023. A sfidarlo grandi nomi come Van der Poel e Merlier
Matej Mohoric in trionfo nel 2023. A sfidarlo grandi nomi come Van der Poel e Merlier
Sono le stesse nazionali che vedremo la settimana dopo all’europeo?

Non del tutto, infatti mi sono riservato di effettuare le convocazioni fra lunedì e martedì. Al femminile sarà una nazionale che ricalcherà per la maggior parte quella presente qui in Belgio, ma al maschile avrò più uomini a disposizione. Anche perché rientrerà gente dalla trasferta di Coppa del Mondo di mtb. Quello di Asiago – percorso che voglio comunque rivedere – è molto diverso dal percorso belga, più impegnativo sia tecnicamente che altimetricamente e dove la capacità di guida avrà un peso molto superiore. Per questo penso che ci sarà maggiore equiparazione fra specialisti della strada e della mountain bike.

Saranno molti i reduci dal mondiale su strada di Zurigo della scorsa settimana, pensi che la fatica di allora influirà?

No, ormai a questo punto della stagione influiscono più altri fattori, prima di tutto quello mentale e della volontà di emergere. Non sono, quelle di gravel, gare di attesa, si va subito a tutta e come abbiamo visto anche su strada ormai ci si sta avvicinando sempre più a questo principio che fino a pochi anni fa era patrimonio di specialità dallo sviluppo temporale più breve come il ciclocross.

La polacca Niewiadoma difende il suo titolo, ma percorso e condizione non sembrano dalla sua parte
La polacca Niewiadoma difende il suo titolo, ma percorso e condizione non sembrano dalla sua parte
Ti sei fatto un’idea su chi saranno i favoriti?

Sabato fra le donne sarà quasi una rivincita di Zurigo considerando che mancheranno solo Vollering e Longo Borghini, ma ci saranno Kopecki, Wiebes, l’olimpionica di mtb Ferrand Prevot, la Niewiadoma che comunque su questo tracciato gravel non vedo favorita e direi di tenere sotto controllo l’australiana Cromwell. In campo maschile ci sono Van der Poel, il campione uscente Mohoric, Merlier, ma sono in tanti a poter dire la loro. Io spero che fra questi ci saremo anche noi, abbiamo squadre e nomi in grado di far bene su questo tracciato.

Finale al cardiopalma. La fuga e Tarozzi battono il gruppo

04.10.2024
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KULAI (Malesia) – Si può essere al mondiale o ad una corsa all’Equatore, ma la lotta tra la fuga e il gruppo per contendersi la tappa è sempre da mangiarsi le unghie. Sul filo dei secondi. E’ adrenalina pura e a chi ama e conosce nel profondo questo sport esalta tante sottigliezze tecniche e tattiche. Se poi a vincere è un italiano, allora tutto è più potente. E oggi ha vinto Manuele Tarozzi.

Questa frazione del Tour de Langkawi era forse la meno indicata per l’arrivo allo sprint: tappa piatta e corta, che si snodava fra vaste coltivazioni di palme e rettilinei infiniti. Si partiva da Batu Pahat poco dopo l’alba in quanto è venerdì, la nostra domenica, e all’ora di pranzo gran parte della popolazione deve recarsi in Moschea per la preghiera grande della settimana. Pertanto meglio anticipare.

E per dirla tutta, si partiva presto anche perché l’intera carovana doveva spostarsi nel Borneo, isola ancora più a Sud per metà Indonesia. Un aereo attendeva prima gli atleti, poi i giornalisti e tutti gli altri.

Tutto studiato

Ricordate? Qualche giorno fa pubblicammo una foto in cui Alessandro Donati, direttore sportivo della VF Group-Bardiani consolava proprio Tarozzi e gli diceva: «Tranquillo, se corri così prima o poi la vittoria arriva». Oggi quello stesso abbraccio era di gioia. «Te lo avevo detto che sarebbe arrivata!».

«Noi non abbiamo l’uomo di classifica – continua Donati – e dovevamo provarci. Tutti i giorni all’attacco. Oggi abbiamo programmato tutto nel dettaglio. I tratti ondulati nel finale, la difficoltà nel controllare la corsa… E anche l’averne messi due in fuga su quattro non è stato casuale. Gabburo doveva tirare un po’ di più e far risparmiare qualcosa a “Taro” che è più veloce».

E lo stesso Davide Gabburo conferma tutto dopo il traguardo: «Io mi sono staccato ai meno 10, perché su uno strappetto non ne avevo proprio più. Abbiamo tirato fortissimo tutto il giorno, sempre sopra ai 50 all’ora. Ho cercato di far limare un po’ di più Tarozzi, così che arrivasse più fresco nel finale. Direi che abbiamo fatto un bel lavoro. E’ andata bene così!».

Questa è zona di coltivazioni di olio di palma. Siamo nel lembo meridionale della Malesia continentale. Tra poco si va nel Borneo
Questa è zona di coltivazioni di olio di palma nel lembo meridionale della Malesia continentale. Tra poco si va nel Borneo

Tattiche e controtattiche

Parte quindi questa tappa particolare: 123 chilometri da fare in un sol boccone. La media della prima ora è da capogiro: 50,7 orari. Alla fine sarà la quarta frazione più veloce della storia della corsa malese. Il finale è leggermente ondulato, ma sempre velocissimo. La fuga guadagna 2’30” e davanti ci sono passisti che spingono. Gente che sa prendere aria: Stefan De Bod, al terzo giorno di fuga, Gabburo, Tarozzi e il bravo svizzero della Corratec-Vini Fantini, Valentin Darbellay.

Ai meno 30 il gruppo guadagna, ma davanti non crollano. Anzi, come si usa fare ora, accelerano un po’. Stavolta l’Astana-Qazaqstan non tira, che il lavoro lo faccia la Tudor Pro Cycling di De Kleijn, che è lo sprinter più forte. Non sia mai che i turchesi tirino e a vincere sia poi l’olandese. 

E ancora: il livello generale non è super e se davanti ci sono quattro passistoni, basta un team importante che non tira che chiudere diventa complicato. Non basta un uomo di un team, uno di un altro… Questi giochi di potere vanno a vantaggio dei fuggitivi. I quali a loro volta giocano ottimamente le loro carte.

Il cuore che batte

«Stavolta – racconta Manuele Tarozzi dopo il traguardo – non volevo assolutamente che si ripetesse quello che è successo due giorni fa a Bentong, quando proprio io e Stefan De Bod ci siamo guardati nell’ultimo chilometro e il gruppo ci ha ripreso nel finale. Quella notte non ci ho dormito. Non volevo rimpianti. E infatti ci siamo parlati. Piuttosto facciamo secondi, ma si deve arrivare. Lui è fortissimo. In fuga tira come “una bestia”».

E’ un tira e molla di secondi e chilometri: 8 chilometri al traguardo e 30”, 6 chilometri e 25”, 2 chilometri e 18”. 

«Negli ultimi 10 chilometri – dice Tarozzi – abbiamo visto che il vantaggio era ancora buono e così abbiamo preso più fiducia e abbiamo accelerato ancora un po’. Da quattro siamo rimasti in due. Anche per merito di Gabburo avevo qualche cosina in più di De Bod nelle gambe. Lui è partito lunghissimo. Io ho risposto bene e ai 300 metri ho lanciato la mia volata. Una volata a due è sempre un po’ particolare… ma è andata bene».

Una volata che ai 100 metri era già finita. Tarozzi ha avuto tutto il tempo di voltarsi per controllare e per esultare, mentre il gruppo arrivava a tutta velocità. Anche se con ben 9” secondi di distacco. Un dato che la dice lunga su quanto davanti siano andati forte.

Il finale era velocissimo. Tendeva a scendere e guarda caso, molte corone da 54 denti viste nei giorni scorsi si sono trasformate in 55. De Kleijn addirittura oggi aveva una monocorona aerodinamica da 56 denti. Ma non è bastata. Dopo l’arrivo era piuttosto nervoso. 

L’arrivo di Tarozzi che si volta prima della linea d’arrivo. Dietro si vede il gruppo, ormai spacciato
L’arrivo di Tarozzi che si volta prima della linea d’arrivo. Dietro si vede il gruppo, ormai spacciato

Tarozzi solido

La nota positiva, oltre alla vittoria di Manuele Tarozzi e di una squadra italiana, è il fatto che questo ragazzo sta continuando a maturare. Lui, e lo abbiamo scritto più di una volta, appartiene a quella schiera di atleti che non è passata presto, né è nata con le stigmate del campione. Quel che ha ottenuto se l’è dovuto sudare.

«Adesso sono più consapevole – ci ha detto Tarozzi – in fuga mi trovo bene… ma servono le gambe per andarci, non basta dire che ci si è portati. Quest’anno ho fatto il Giro d’Italia ed è vero che ti cambia. Non tanto perché ti fa spingere quel dente in più, ma per il recupero. E recuperando prima, col passare delle tappe vai meglio. Come proseguirà la mia stagione? Probabilmente finirò con questo Tour de Langkawi. Se così non fosse ci potrebbe essere una corsa in Italia, di quelle in Veneto, ma vedremo».

Ora è tempo di godersi la vittoria. Tra l’altro la seconda in Asia e la seconda quest’anno, ottenuta proprio nella “vicina” Cina al Qinghai Lake, anche lì dopo una lunghissima fuga.

Barale, tra motivazioni e paragoni sul mondiale mancato

04.10.2024
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L’eco del mondiale sta ormai per esaurirsi, anche per quello che concerne la gara femminile in casa azzurra. Sono fuori discussione il bis iridato di Kopecky e la splendida prestazione di Longo Borghini, che meritava sicuramente di più di un pur ottimo bronzo. Tuttavia la mancata convocazione di Francesca Barale tra le U23 da parte del cittì Paolo Sangalli aveva lasciato qualche piccolo strascico alla vigilia della trasferta a Zurigo.

«A quell’età quando hai un’opportunità di confrontarti con i pari età, dovresti coglierla. Anche perché chi ha vinto il Tour de l’Avenir aveva fatto anche il Tour de France, arrivando molto avanti e dimostrando di aver trovato una grande condizione». Riassumendo, il tecnico italiano avrebbe voluto che la giovane del Team DSM-Firmenich PostNL avesse seguito l’esempio di Marion Bunel. Per la verità poi la 19enne francese ha chiuso ottava tra le U23 a 8′ da Pieterse (tredicesima assoluta e vincitrice della categoria), ma alla base della decisione di Sangalli c’erano determinate e valide motivazioni. Abbiamo cercato di capire se nel frattempo sia cambiato il punto di vista di Barale.

Il cittì Paolo Sangalli concluderà il suo incarico a fine stagione. Dal 2025 sarà uno dei tecnici della Lidl-Trek (foto Il Ciclista Fotografo)
Il cittì Paolo Sangalli concluderà il suo incarico a fine stagione. Dal 2025 sarà uno dei tecnici della Lidl-Trek (foto Il Ciclista Fotografo)

Nessun dramma

Il botta e risposta a distanza che è nato tra Sangalli e Barale affonda radici profonde nei rispettivi ruoli. Fin da subito il cittì – che lascerà l’incarico a fine stagione per accasarsi in Lidl-Trek a partire dal 2025 – aveva individuato in Barale la U23 da portare in Svizzera e magari giocarsi una medaglia. Per contro Barale sapeva che doveva rispettare i compiti di luogotenente in DSM nelle gare più importanti, sperando di trovare la condizione migliore possibile per arrivare in forma al mondiale.

«Ho letto quello che ha detto Paolo nella vostra intervista – analizza Francesca – ma io per natura sono una persona che non vuole mai fare dei drammi in generale. Onestamente mi verrebbe da dire che forse se ne sta facendo una questione più grande di quello che è. Non mi piace mai rispondere in circostanze simili, anche perché sono opinioni personali. Io sono contenta della mia decisione di non aver corso l’Avenir Femmes. Faceva parte di un calendario e di un programma di preparazione già stabilito».

Marion Bunel ha corso Tour Femmes, Avenir (vincendolo) e poi il mondiale. E’ stata presa ad esempio da Sangalli per Barale
Marion Bunel ha corso Tour Femmes, Avenir (vincendolo) e poi il mondiale. E’ stata presa ad esempio da Sangalli per Barale

Paragoni e consapevolezze

Ciò che ha fatto la Bunel ha posto una sorta di traguardo immaginario da tagliare e replicare. Per Sangalli anche Barale aveva tutte le carte in regola per fare altrettanto, che equivale ad un grande attestato di stima. Nelle speranze del cittì azzurro c’era quella anche di poter andare all’Avenir Femmes con la piemontese e competere con la francese più di quello che ha fatto comunque una buonissima nazionale capitanata da Ciabocco, compagna di club di Barale e sesta nella generale. Il piccolo Tour de France femminile sarebbe stato quindi il miglior viatico per presentarsi al mondiale.

«Ho rispettato la scelta di Paolo – prosegue Francesca – e bisogna sempre prenderne atto. Non sono pentita di come sono andate le cose. O meglio, il mio unico rammarico è di non aver partecipato al mondiale in quanto tale, indipendentemente da quello che sarebbe stato il mio compito. E’ vero, era un obiettivo stagionale, ma non ho mai pensato di andare a Zurigo per puntare a fare risultato nella mia categoria. Sapevo come stavo andando e quello che stavo facendo. Tuttavia sarei stata prontissima a lavorare per Elisa (Longo Borghini, ndr), visto che oltretutto è una cara amica. Sarebbe stato bello esserci per condividere il suo bel bronzo, però è andata così.

Barale ha corso l’europeo U23 in Limburgo, ma Sangalli l’avrebbe voluta portare anche al mondiale se gli avesse dato qualche risposta in più
Barale ha corso l’europeo U23 in Limburgo, ma Sangalli l’avrebbe voluta portare anche al mondiale

«Mi spiace – conclude Barale – che tutto si riduca ad un semplice paragone tra me e Bunel senza magari approfondire un po’ meglio. E non lo dico per rispondere a Paolo, con lui ci siamo già confrontati. Lo faccio più in generale, perché poi ne esce un quadro non veritiero. Bunel ed io siamo due atlete diverse, per caratteristiche e programmi. Se io avessi corso come e quanto ha fatto lei, probabilmente sarei arrivata prima all’Avenir e poi al mondiale non in forma come ci si sarebbe aspettati. Ripeto, è andata così e per me è tempo di chiudere al meglio la stagione. Correrò il Giro dell’Emilia in appoggio di Labous, visto che l’arrivo sul San Luca è proprio per lei. Poi finirò il 2024 alla Tre Valli Varesine, una gara aperta a più soluzioni. L’anno scorso avevo fatto quarta e su quel percorso posso avere più libertà».

Al netto di questa situazione, in cui è emerso il ruolo importante ma non ancora primario di una giovane italiana in un team WorldTour, siamo certi (e ce lo auguriamo) che Barale nel 2025 guadagnerà gradi nella propria squadra e che sarà una delle punte del futuro nuovo cittì e della nazionale U23 ai mondiali in Rwanda.

A tutta Tudor: De Kleijn bis, Pellaud fuga di dolore

03.10.2024
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MELAKA (Malesia) – Come un samurai. Come un corridore che non ha paura e spinge cuore e gambe oltre l’ostacolo. E se oggi Arvid De Kleijn ha vinto di nuovo è anche grazie al suo aiuto. Stiamo parlando di Simon Pellaud, tra i promotori della fuga di giornata, l’ultimo ad arrendersi e il penultimo a spostarsi dal treno della Tudor Pro Cycling Team.

Siamo arrivati a Malacca, una delle città maggiori della Malesia e un tempo della navigazione dell’Asia Meridionale. Da qui e da Singapore passavano merci che poi partivano alla volta di tutto il mondo. Questa era anche una roccaforte dei pirati, quelli dei romanzi di Salgari per intenderci.

Ancora una volata super per De Kleijn e di nuovo davanti a Malucelli. L’olandese ci ha messo un po’ per sbloccarsi, ma ora sembra imprendibile
Ancora una volata super per De Kleijn e di nuovo davanti a Malucelli. L’olandese ci ha messo un po’ per sbloccarsi, ma ora sembra imprendibile

Dal futuro ai pirati

La Kuala Lampur-Malaka è dunque la tappa simbolo di questo Tour de Langkawi. Si andava dalla città moderna, quella delle Petronas Tower sotto le quali è partita la corsa, ad una dei suoi agglomerati più antichi e tradizionali. Anche se va detto che purtroppo la gara non è arrivata in centro.

In questo scenario, il via parecchio movimentato prometteva bene. Ci si aspettava delle fughe e una grande lotta per i secondi di abbuono. Tra coloro che covavano qualcosa c’era anche Simon Pellaud, lo svizzero-colombiano, appunto compagno di De Kleijn.

All’ombra delle Petronas Towers, Pellaud firmava autografi. Anche da queste parti dopo aver vinto la maglia dei Gpm l’anno scorso, Simon è piuttosto popolare. D’altra parte, i tifosi italiani lo conoscono bene. Al Giro d’Italia si è fatto amare non poco. Ma dicevamo: mentre firmava gli autografi ci ha raccontato della sua stagione e del suo futuro.

Un tipico cartello malese! Pellaud (classe 1992) in fuga con a ruota De Bod e Poole
Un tipico cartello malese! Pellaud (classe 1992) in fuga con a ruota De Bod (e fuori campo Poole)

«Una stagione meno brillante? Io non direi. Sono stato tantissimo al servizio della squadra. E quelle poche volte che ho avuto la possibilità mi sono fatto vedere o sono andato in fuga. Ho fatto terzo in una tappa al Tour of the Alps, secondo al campionato nazionale. A Gippingen sono dovuto entrare io in azione nel finale perché i capitani erano rimasti dietro e l’altro giorno verso Cameron Highland purtroppo ho avuto problemi di dissenteria (cosa che succede spesso da queste parti e che oggi ha costretto Carboni al ritiro, ndr), per questo non sono riuscito a seguire i big nell’ultimo chilometro di salita.

«E credetemi, mi dispiace davvero tanto perché avevo una gamba buonissima. Non per esagerare, ma anche ieri se non fosse stato per le mie tirate credo che la fuga di quei sei sarebbe arrivata. O al contrario se avessi avuto la possibilità di entrarci credo che sarebbe andata in porto con un minuto di vantaggio visti i dati e come è andata».

E in effetti anche Davide Toneatti dell’Astana-Qazaqstan di Syritsa, questa mattina, ci aveva detto della fatica fatta per chiudere sui primi ieri.

Partenza dalle Petrons Towers, centro economico e simbolo della Malesia
Partenza dalle Petrons Towers, centro economico e simbolo della Malesia

Senza squadra

Al Team Tudor, dopo Trentin l’anno scorso, sono in arrivo altri corridori importanti: Alaphilippe e Hirschi su tutti. Come potrà inserirsi Pellaud in questo contesto? Lui è sia attaccante che aiutante. Come contribuirà alla crescita di questa squadra?

«Crescerà senza di me – dice Pellaud con chiarezza e dispiacere al tempo stesso – purtroppo non sarò parte di questo team. Farò queste altre tappe in Malesia poi non so. Lo scorso anno mi dissero che erano felicissimi di me, poi senza un chiaro motivo, senza un messaggio diretto mi sono ritrovato fuori dal progetto. Qualche tempo fa mi hanno chiesto se mi fossi trovato una squadra per la prossima stagione. E’ stato un colpo che davvero non mi aspettavo e per il quale ancora non dormo la notte».

A metà tappa la pioggia ha creato grossi problemi alla corsa. «Mai visto nulla di simile», ha detto Ivan Benedetto, fotografo di Sprint Cycling in gara
A metà tappa la pioggia ha creato grossi problemi alla corsa. «Mai visto nulla di simile», ha detto Ivan Benedetto, fotografo di Sprint Cycling in gara

E qui Pellaud si apre. Dal suo sguardo sempre sorridente emerge il suo dolore. E, perché no, anche la paura di dover smettere.

«Guardate questo gruppo – mentre indica i compagni vicino a lui – è un bel gruppo. Mi trovo benissimo con i ragazzi, con lo staff, i materiali. Mi fa male al cuore. Malissimo. Ieri per esempio dopo l’arrivo non ero con gli altri a festeggiare. Troppo dolore, mi faceva male».

Certo, bisogna ascoltare anche l’altra campana, come si suol dire, per avere un quadro definitivo, ognuno ha la sua verità. Però è anche vero che se l’atleta non ha ottenuto risultati perché doveva lavorare per i compagni e se gli dicono bravo per come sta andando, è chiaro che per lui capire diventa complicato. 

«Per me – riprende Pellaud – il ciclismo non è mai stato un mestiere, ma una passione. E forse ho sbagliato a interpretarlo sempre in questa ottica, anche pensando alla squadra. Davvero non posso credere che con questa gamba non possa continuare».

 «Se poi penso ai corridori che hanno preso per il prossimo anno davvero non capisco. Sono corridori a cui avrei potuto dare un aiuto importante e con i quali vado molto d’accordo. Con Lienhard ci conosciamo da quando eravamo ragazzini. Con Alaphilippe ho un buon rapporto, scherziamo… E con Hirschi il rapporto è super. Lui è un vero amico».

Dopo una breve pausa aggiunge: «Ma finché sono qui non mollo». 

Max Poole si era appuntato alla vecchia maniera i numeri dei corridori da tenere d’occhio per la lotta degli abbuoni
Max Poole si era appuntato alla vecchia maniera i numeri dei corridori da tenere d’occhio per la lotta degli abbuoni

Fuga disperata

Parte quindi la corsa e dopo il primo sprint scappa via la fuga buona. Dopo un guasto meccanico dello spagnolo Okamina, restano De Bod, Poole che tra l’altro è il leader della generale il quale per paura degli abbuoni ha deciso di difendersi attaccando, e proprio Pellaud.

Stavolta però il gruppo non commette l’errore di ieri. L’Astana alza subito il ritmo e Poole, una volta terminati i traguardi volanti, non ha tutto questo interesse a far fatica in pianura. All’arrivo mancano oltre 130 chilometri. Quando negli ultimi 45 chilometri ormai si capisce che la fuga è segnata, prima Poole e poi De Bod mollano. Pellaud resiste. Sogna. Spinge e chissà cosa pensa.

Lo svizzero è apprezzato in tutto il mondo per il suo modo di correre
Lo svizzero è apprezzato in tutto il mondo per il suo modo di correre

«Pensavo che non volevo mollare e ve lo avevo detto stamattina – ci dice mentre ancora un tifoso gli chiede la foto e la borraccia – E’ stata una fuga per il futuro. E sono contento anche perché nel finale ero nuovamente davanti a lavorare per De Kleijn. Ho dato il mio contributo: mi sono spostato ai 500 metri».

La sua azione tra l’altro ha consentito ai suoi compagni di stare a ruota e di beneficiare di un treno fresco per il finale. 

«No, non posso pensare di smettere con questa gamba e con questa grinta».

Due bronzi mondiali e nel mezzo il riscatto di Paladin

03.10.2024
6 min
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Se foste stati ai piedi del podio del team relay di Zurigo oppure nella mixed zone quando le azzurre sono passate per raccontare la loro prova, avreste notato sicuramente l’espressione malinconica di Soraya Paladin. La trevigiana aveva perso prestissimo le ruote delle compagne e sentiva di non aver dato il suo contributo. Non sentiva il bronzo come una sua conquista. Il risvolto molto bello della serata erano state le parole immediate di Longo Borghini e Realini che si erano affrettate a farle scudo, parlando di una giornata storta e dicendosi sicure che su strada sarebbe stato diverso.

Infatti così è stato. Nella prova del sabato, con il freddo e l’acqua, Paladin ha fatto degnamente il suo lavoro, contribuendo al bronzo di Elisa Longo Borghini, che dopo la corsa ha sottolineato la sua prestazione. Confermando il riscatto rispetto alla crono di tre giorni prima. Ma come ha vissuto Soraya Paladin (foto Borserini in apertura) quei tre giorni e con quale voglia di riscatto? Glielo abbiamo chiesto alla vigilia del mondiale gravel per il quale l’ha convocata il cittì Pontoni.

Sul podio del team relay, tutti gli azzurri festeggiano il bronzo, Paladin è con la testa altrove (foto Maurizio Borserini)
Sul podio del team relay, tutti gli azzurri festeggiano il bronzo, Paladin è con la testa altrove (foto Maurizio Borserini)
Che cosa era successo nel team relay?

Una giornata storta e il fatto che quando abbiamo preso la salita hanno esagerato un po’ con i watt. Ne avevamo parlato la mattina e io gli avevo detto che alla fine è matematica. «Se spingete più di un tot, non vi sono mai stata dietro tutta la stagione, non è che mi sveglio la mattina del mondiale e mi invento la prestazione della vita». Però magari si sono fatte prendere dalla foga e hanno un po’ esagerato in salita, mandandomi in crisi. Poi ne abbiamo parlato. Hanno fatto la salita 30 secondi più forte delle australiane. E parlando anche con loro, più o meno hanno avuto lo stesso problema. Hanno perso presto una ragazza, Ruby Roseman-Gannon, e anche lei si sentiva come me di non aver contribuito più di tanto.

Da quanto sapevi che avresti fatto il team relay?

Ne avevo parlato con Sangalli nel periodo del Tour. Mi aveva detto di andare un po’ con la bici da crono, perché poteva esserci questa possibilità. Poi Marco Velo mi ha chiamato una settimana prima e mi ha dato la sicurezza.

Come ci si sente quando viene a mancare il proprio contributo?

Alla fine, è una medaglia. Quello che mi dispiace di più è che era una medaglia mondiale e non me la sono proprio goduta, perché non l’ho sentita mia. Poi le ragazze in realtà sono state bravissime. Mi hanno detto: «Guarda Soraya, alla fine la squadra non è solo nella gara». Sapevamo che i secondi che avrebbero perso per aspettare me in salita sono quelli che poi avrebbero guadagnato con me nel resto del percorso. E’ ovvio che per me sarebbe stato meglio arrivare più avanti. Però alla fine mi hanno dimostrato di essere contente di avermi e mi hanno consolato subito dopo la gara. Anche se la mia reazione a caldo è stata quella che avete visto voi.

Come sono stati poi i tre giorni che hanno portato alla strada? Avevi voglia di rifarti?

Non i miei giorni migliori, ma erano due gare completamente diverse e sapevo di essermi preparata. Non avrebbe avuto senso mettermi a valutare la mia condizione su quella performance, facendomi condizionare nella gara su strada. Anche in questo caso la squadra mi ha dato supporto e più si avvicinava la gara e più avevo voglia di riscatto.

Quanto si percepiva quest’anno il fatto che avreste corso tutte per una, cioè Longo Borghini?

E’ stato bello, perché ha dimostrato da tutta la stagione di andare forte. Sapevamo che questa volta potevamo arrivare vicini alla maglia iridata o almeno io avevo questa consapevolezza. Quindi non c’è stata troppa pressione, ce la siamo vissute veramente bene. Sono stati giorni belli e secondo me non avrebbe avuto senso avere un’opzione B. Era tutto o niente: qualsiasi alternativa, per come è andata la stagione, non avrebbe dato il risultato che volevamo.

Come andare al Tour tutte per Kasia Niewiadoma e poi vincere oppure la corsa di un giorno è altra cosa?

Un po’ diverso. Alla fine il Tour de France è più logorante, perché devi soffrire per 8 giorni. E ogni giorno sei lì a lottare per i secondi, non è mai finita. Però a fine gara la soddisfazione è stata simile. Ovvio, con Kasia è diverso, perché ci passi tanti ritiri e tante gare. Vivi da vicino l’impegno che ci mette, la sofferenza nelle altre corse, quindi la vivi in modo diverso. Però so quanto anche Elisa ci lavori e si impegni e alla fine sono contenta. Siamo state parecchio affiatate. Per alcune era la prima esperienza, quindi anche loro magari erano un po’ agitate. Comunque il mondiale lo vivi sempre con un occhio diverso, perché hai la maglia della nazionale e la vuoi rappresentare al meglio. Però ce lo siamo vissute bene, ci siamo divertite e allo stesso tempo eravamo focalizzate sull’obiettivo.

Due giorni dopo il tram relay, la squadra azzurra di nuovo sul percorso. Qui Balsamo, Paladin e dietro Magnaldi
Due giorni dopo il tram relay, la squadra azzurra di nuovo sul percorso. Qui Balsamo, Paladin e dietro Magnaldi
Quanto è stata dura la corsa, visto anche il meteo?

A provare il giro una sola volta, ti dava già l’idea di essere impegnativo. Però con quel tempo e col fatto che il mondiale lo corri a tutta e tutte vogliono far bene, è diventato ancora più selettivo. Sapevamo che non avrebbe vinto una outsider e Lotte Kopecky ha stupito in così tante occasioni, che nessuno ha trovato strano che abbia vinto lei. Basta pensare al Blockhaus al Giro d’Italia o alle salite del Romandia.

Invece cosa diciamo della corsa delle olandesi?

Lì si entra in un discorso un po’ strano. Secondo me il loro punto debole è non saper far convivere più leader e si è visto. Sembrava che ci fossero squadre diverse all’interno della squadra. Avevamo messo in preventivo che potessero fare una corsa strana, ma non pensavamo così strana. Ci sarebbe da capire se magari gli manca un direttore tecnico capace di trovare la coesione che manca.

A fine corsa come ti sei sentita, facendo anche il confronto con la crono?

Molto soddisfatta e anche un po’ ripagata per quella delusione. Ero contenta, indipendentemente dal risultato. Abbiamo corso bene, sapevo che Elisa avrebbe fatto una grande gara. Se avessi dovuto finire la stagione con la cronosquadre, sarebbe stato completamente diverso. Magari avrei avuto tanti più punti di domanda, più dubbi. Invece dopo aver corso anche la strada e aver avuto delle buone sensazioni, ho visto che il lavoro in qualche modo ha pagato. E ho trovato le sicurezze per finire bene la stagione e pensare positivamente al prossimo anno.

Nella gara su strada, Paladin ha svolto un ottimo lavoro per Longo Borghini: il riscatto è compiuto
Nella gara su strada, Paladin ha svolto un ottimo lavoro per Longo Borghini: il riscatto è compiuto
La sera si è brindato al bronzo di Elisa?

Purtroppo no. Logisticamente eravamo organizzati in modo che non ci fosse tempo per fare festa. Dovevamo tutte rientrare, quindi abbiamo aspettato Elisa il più possibile, però lei è arrivata tardi e noi eravamo già andate. Io avevo sette ore di viaggio, quindi a una certa siamo dovuti andare, visto che abbiamo viaggiato in auto. Ma un brindisi ci stava e sono sicura che troveremo sicuramente l’occasione quando ci rincontreremo.

Stagione che si chiude con il gravel?

Con i mondiali e gli europei ad Asiago la settimana prossima. Lo sterrato mi piace, è un vecchio amore. Quando Pontoni mi ha chiamato, ho accettato volentieri perché mi diverte. Il mondiale in Belgio e poi Asiago, perché lo sento di casa. E poi su quest’anno, che è cominciato a gennaio in Australia, mettiamo finalmente il punto.

Crescioli: «Cara UCI, quanta confusione sui mondiali U23»

03.10.2024
4 min
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Durante i giorni di Zurigo, con i mondiali in corso e tutti gli occhi puntati sullo spettacolo offerto dai vari campioni e futuri campioni, si è aperto il tema degli under 23. Sia chiaro, è un problema tutto italiano sul quale bisogna riflettere internamente prima di cercare il colpevole all’esterno. In tanti si sono lamentati sul fatto che corridori professionisti abbiano preso parte alla prova riservata agli under 23. L’oggetto del dibattito è stato il fatto che la loro presenza abbia chiuso le porte ai ragazzi delle squadre continental e di club. L’UCI ha messo mano al regolamento e dal 2025 i mondiali U23 non vedranno i corridori di formazioni WorldTour e professional. Per essere chiari non vedremo Del Toro, ma nemmeno i nostri Busatto, De Pretto e Pellizzari. L’eccezione viene fatta verso i corridori dei devo team in quanto non professionisti ma appartenenti ad una formazione continental. 

Uno dei ragazzi esclusi da Marino Amadori per il mondiale di Zurigo è Ludovico Crescioli, il quale quest’anno ha corso per la Technipes #InEmiliaRomagna. Formazione continental che gli ha permesso di correre 20 dei 58 giorni di gara con i professionisti. 

«E ci correrò ancora – racconta Crescioli – visto che sabato sarò al Lombardia U23 e la domenica alla Coppa Agostoni. Dopo la caduta all’Avenir, nel quale ho vinto la seconda tappa, mi sono rimesso in sesto e ho corso il calendario professionistico tra Toscana, Emilia Romagna e Abruzzo».

Crescioli alla Coppi e Bartali, la prima delle sue tante gare con i pro’ nel 2024
Crescioli alla Coppi e Bartali, la prima delle sue tante gare con i pro’ nel 2024

Idee poco chiare

Insieme a lui commentiamo questo cambio di regolamento. Crescioli è uno di quei ragazzi che, se dovesse passare professionista nel 2025, non potrà correre il mondiale nonostante sia ancora a tutti gli effetti U23. 

«Non fare il mondiale mi è dispiaciuto – commenta – ma mi sono trovato completamente d’accordo con Amadori. Le regole erano chiare e l’Italia si è attrezzata per competere contro corridori di prima fascia, di cui la maggior parte provenienti dal WorldTour. La decisione presa dall’UCI mi sembra strana, perché se pensiamo all’Italia ci sono ragazzi che non potranno mai fare un mondiale under 23. I corridori della Bardiani, che da juniores passano professionisti, possono correre le gare internazionali under 23 ma non il mondiale. Mi sembra un controsenso. Il mondiale under 23 deve essere fatto per accogliere i migliori ragazzi della categoria. Tanto che a Zurigo ha vinto Behrens che arriva da una formazione development». 

I mondiali U23 sono stati vinti dal tedesco Behrens, che corre in un devo team, ovvero una continental
I mondiali U23 sono stati vinti dal tedesco Behrens, che corre in un devo team, ovvero una continental

Problema di calendario

Il punto centrale del discorso non è capire se la regola imposta dall’UCI sia giusta o meno. La domanda che sorge parlando con Crescioli è: i ragazzi under 23 che militano in una continental italiana fanno un calendario adeguato al titolo della loro squadra? In Technipes il toscano ha corso in egual modo tra professionisti e under 23, facendo un calendario completo.

«Alla fine i ragazzi dei devo team – continua – fanno diverse corse con i professionisti, quindi di esperienza ne accumulano. Chi milita in una formazione di sviluppo o una continental dovrebbe avere un calendario proporzionato al titolo della squadra. Io sarei rimasto per un’inclusione totale di tutti i ragazzi under 23. Anche perché, ripeto: un corridore juniores che passa alla Bardiani non può correre il mondiale fino ai 23 anni, in teoria. Però viene a fare il Giro Next Gen. Mi sembra solo un modo per creare ancora più confusione».

Ludovico Crescioli quest’anno ha vinto una tappa all’Avenir contro corridori WT
Ludovico Crescioli quest’anno ha vinto una tappa all’Avenir contro corridori WT

Esperienza

Le voci vedono Crescioli prossimo ad un passaggio tra i professionisti nel 2025, anche se lui svia e non vuole dire ancora nulla a riguardo. Il tema però rimane. 

«Se ciò dovesse accadere – conclude – mi troverei fregato due volte. Quest’anno sono stato escluso perché c’era la possibilità di portare i professionisti, mentre l’anno prossimo potrei non partecipare in quanto uno di loro. Alla fine credo che il mondiale sia un’esperienza e che debba essere alla portata di tutti. Poi consideriamo che all’Avenir, ad esempio, possono partecipare i corridori provenienti dal WorldTour. Mi sembra tutto un modo per creare confusione. Sarebbe stato meglio che i mondiali rimanessero una competizione aperta a tutti».

Saronni e il primo Pogacar. La Vuelta della sua esplosione

03.10.2024
5 min
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Passano i giorni, ma l’eco della straordinaria impresa iridata di Tadej Pogacar non si spegne, soprattutto per come essa è arrivata. Per la dinamica che ha esaltato da una parte la sua follia, dall’altra la sua clamorosa superiorità sulla concorrenza. Sono ripartiti i confronti con i grandi del passato e c’è già chi afferma che siamo di fronte al più grande ciclista di sempre.

Andando più in là in questi discorsi di confronto che lasciano sempre il tempo che trovano, noi abbiamo voluto rispolverare il Pogacar dei primordi nel mondo dei professionisti, quel ventenne sloveno che si rivelò al mondo alla Vuelta 2019 con un terzo posto condito da tre vittorie di tappa. Giuseppe Saronni, che contribuì al suo arrivo alla Uae Emirates, ricorda bene chi era allora e le differenze con quello attuale.

Una delle tre vittorie di tappa alla Vuelta 2019, dove molti scoprirono il talento dello sloveno
Una delle tre vittorie di tappa alla Vuelta 2019, dove molti scoprirono il talento dello sloveno

Il ragazzino che sorprese tutti

«Io andrei ancora più in là nel tempo, all’anno prima e alla sua vittoria al Tour de l’Avenir che è sempre stata la corsa più importante della categoria inferiore. Già allora ci arrivavano testimonianze su questo sloveno bellissimo nell’andatura, nella posizione in bici, anche nella faccia limpida anche sotto sforzo. Si vedeva che aveva qualità non comuni, in salita staccava corridori che erano già nelle professional.

«Chi era presente alla corsa francese – prosegue – ci raccontò di imprese che fecero strabuzzare gli occhi a tanti e di Pogacar si cominciò a parlare con molta frequenza. Noi lo avevamo già contattato e dall’anno successivo era sotto contratto con noi. Appena passato di categoria ci mise poco ad ambientarsi, a vincere anche fra i grandi, soprattutto nelle piccole corse a tappe, conquistando quelle dell’Algarve, della California, ma soprattutto lo faceva con una facilità disarmante, che lasciava attoniti i diesse delle squadre avversarie. Procedeva passo dopo passo, ma si vedeva che stava bruciando le tappe e quindi decidemmo che fosse già maturo per farsi le ossa in un Grande Giro. Così lo portammo alla Vuelta e lì sbocciò il campione che conosciamo».

Pogacar vincitore dell’Avenir 2018: per Saronni è stato quello il momento della sua rivelazione al mondo
Pogacar vincitore dell’Avenir 2018: per Saronni è stato quello il momento della sua rivelazione al mondo

L’azzardo di cambiare le regole

A quel tempo però Pogacar era solito aspettare la fine delle tappe, piazzare la sua stoccata nei chilometri finali, ma già allora c’era l’impressione che quel modo di correre quasi lo annoiasse: «E’ un’ipotesi, solo lui potrebbe dare una risposta esauriente. Il principio è che quando stai bene e hai un potenziale come il suo, ti senti portato a fare cose anche illogiche come quella di domenica. Sei talmente superiore che sei in grado anche di cambiare le regole di corsa. Un’azione come quella era azzardata, non potevi sapere che cosa sarebbe successo dietro, se si sarebbero organizzati, inoltre se avevi forze sufficienti per portarla a compimento. Ora sappiamo tutti com’è andata…».

Saronni nei suoi primi anni di carriera ha convissuto con Eddy Merckx, al quale tutti avvicinano lo sloveno con il Cannibale che addirittura ha detto che gli è superiore. Fare confronti fra epoche diverse è difficile, ma Beppe li ha conosciuti bene tutti e due, in che cosa differiscono? «Non possiamo metterli di fronte, troppo diversi i periodi, la tecnica, la scienza del tempo. Ai nostri tempi non si parlava di preparazione, tabelle di allenamento, alimentazione, tutti temi che oggi sono all’ordine del giorno. Io ho un paio di foto con Eddy, fatte al mondiale del ’76 vinto da Moser che custodisco gelosamente: allora Merckx non faceva più paura, eppure aveva un carisma, meritava un rispetto enorme per quello che aveva fatto.

La voglia di vincere sempre

«Possiamo confrontarli dal punto di vista caratteriale, questo sì: Merckx sappiamo tutti che voleva vincere sempre. Per lui il mondiale e la gara di quartiere avevano lo stesso valore e le correva con lo stesso obiettivo. Tadej forse è da allora il corridore che più lo ricorda da questo punto di vista, non partecipa mai per il solo gusto di partecipare, ogni volta che inforca la bici vuole fare qualcosa, farsi vedere, provarci, a prescindere da quale sia il percorso».

Nelle dichiarazioni del dopo mondiale, Pogacar ha ammesso che teme di avere un tallone d’Achille nella Sanremo, che pure Merckx vinse ben 7 volte: «La Classicissima di allora era ben diversa proprio per le ragioni esternate prima: tecnica dei mezzi a disposizione, differenze dei corridori, preparazione… Il percorso della Sanremo permetteva anche di fare quelle differenze che oggi sono impossibili, sia perché è un tracciato molto semplice, sia perché a inizio stagione i corridori sono uniformati, vengono dalla preparazione invernale, sono tutti pronti e al massimo. Ma attenzione: proprio perché è semplice, la Sanremo è una corsa difficilissima da interpretare perché anche uno come Tadej non sa come esprimere la sua superiorità, non ci sono appigli per farlo, anche il Poggio è troppo poco. Non è un caso se coloro che l’hanno vinta con la maglia iridata addosso si contano sulle dita di una mano…».

Pogacar chiuse terzo a 2’55” da Roglic e alle spalle anche di Valverde. La maglia roja è un altro suo obiettivo
Pogacar chiuse terzo a 2’55” da Roglic e alle spalle anche di Valverde. La maglia roja è un altro suo obiettivo

Meglio la Roubaix della Sanremo…

E la Roubaix? Tadej farà come Hinault, che la corse e la vinse una volta sola e poi non ne volle più sapere? «Tadej l’ha già corsa da junior, sa che cos’è e sa anche che per certi versi è addirittura più facile rispetto alla Sanremo per lui. Io credo che quando vorrà e la preparerà a dovere potrà anche vincerla, a maggior ragione con condizioni climatiche estreme come c’erano quasi sempre quando correvo io mentre ora sono diventate piuttosto rare. Ripeto: la Roubaix ha quelle caratteristiche che possono esaltare la sua superiorità tecnica e tattica, la Sanremo resta un rebus, per questo è affascinante e lo sarà ancora di più».