Il peso della pressione, l’addio anticipato. Parola alla psicologa

11.10.2024
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Lisa Klein (nella foto di apertura), una delle storiche componenti del quartetto tedesco arrivato a dominare il mondo, lascerà a fine stagione, in anticipo sui tempi. La campionessa teutonica ha deciso di rescindere il contratto con la Lidl Trek a soli 28 anni: «Non posso continuare a “galleggiare”. Questa stagione ho avuto tanti problemi di salute nei periodi importanti della stagione, e durante le corse sentivo di non riuscire a recuperare come volevo. Inoltre i giorni lontani da casa cominciano a diventare sempre più pesanti. La soluzione per me è di fare un passo indietro, avere meno pressione e rilassarmi».

La troppa pressione per restare nel WorldTour ricorda un tema che alle ultime Olimpiadi è emerso spesso, trasversalmente tanto fra i vari sport come fra le varie nazioni: la gestione della pressione, talmente forte da portare, come nel caso della Klein, a fare un passo indietro. Quello della tedesca è un esempio sul quale vogliamo ragionare con Elisabetta Borgia, psicologa sportiva attualmente alla Lidl Trek senza toccare l’aspetto specifico della ciclista tedesca per non invadere il segreto professionale, ma sfruttandone il pretesto.

La psicologa dello sport, Elisabetta Borgia, in forza alla Lidl-Trek (foto @SimoneArmanni)
La psicologa dello sport, Elisabetta Borgia. La gestione della pressione è un aspetto fondamentale nell’approccio agli eventi (foto @SimoneArmanni)

«Il lavoro sulla pressione si è sempre fatto – esordisce la professionista, in forza anche alla nazionale italiana – è la gestione della performance, fondamentale nell’approccio a un evento. E’ difficile regolare la propria emotività, spesso fa la differenza nella prestazione.  Bisogna lavorare sulla consapevolezza personale sapendo che ci sono atleti che facendo leva proprio sull’emotività riescono a esaltarsi nel momento che conta, altri invece soffrono».

Perché si arriva a fare un passo indietro?

Nel corso degli anni le richieste vanno sempre aumentando, da parte dell’ambiente che ci circonda ma anche dal punto di vista personale e vanno a invadere quella che è la quotidianità e tutto ciò si amplifica con l’avvicinarsi del grande evento per il quale si è lavorato tanto, si sono fatti sacrifici. Se definiamo un obiettivo molto alto la pressione arriva e va sempre aumentando, è importante saperla gestire. Se la percepiamo in maniera troppo forte, questa va a inficiare l’exploit, influisce sulla stessa qualità non solo della propria prestazione ma della vita stessa.

L’aumento dell’attenzione dei media è un fattore che influisce sulla pressione per le atlete
L’aumento dell’attenzione dei media è un fattore che influisce sulla pressione per le atlete
Influisce l’evoluzione della disciplina? Il ciclismo femminile si sta evolvendo a passi da gigante…

Sicuramente. Pensiamo ad esempio che solo 15 anni fa quando ci si allenava, si aveva il cardiofrequenzimetro al polso e si andava avanti, oggi ci sono mille device da tenere sotto controllo e questo diventa un fattore di stress mentale. Abbiamo la testa riempita di mille pensieri. Poi mettiamoci l’aspetto mediatico: siamo a continuo contatto con il mondo, i social sono una rete molto forte e non è sempre facile utilizzarli nella maniera più giusta. Si vuole apparire, ma spesso ci sono anche aspetti negativi con cui fare i conti, ad esempio la commistione fra tifosi e hater.

Il WorldTour è davvero un aggravio da questo punto di vista?

E’ normale che sia così, considerando che intorno al ciclismo è lievitato tutto, sono aumentati i budget e conseguentemente gli stipendi, ma anche la pressione, la richiesta di risultati. Tutto ciò viene vissuto in maniera particolare considerando che non siamo più nella sfera maschile.

La sindrome del burn-out colpisce principalmente le donne ì, con conseguenze fisiche e psicologiche (foto peoplechange360.it)
La sindrome del burn-out colpisce principalmente le donne ì, con conseguenze fisiche e psicologiche (foto peoplechange360.it)
Perché, c’è differenza da questo punto di vista fra i sessi?

E’ un discorso che travalica il puro aspetto ciclistico o sportivo. Parliamo di cultura, di socialità. La donna per sua natura è più legata all’aspetto relazionale, più aperta a parlare, più consapevole della propria emotività. L’universo maschile è più puntato verso la performance pura, ho un obiettivo e cerco la strada più semplice per raggiungerlo. Diciamo che ha una maggiore compartimentazione. Fra le ragazze questo è più sfumato, influenzato dai rapporti personali con compagne, avversarie, staff, ambiente che le circonda… La cooperazione ha un peso maggiore, il contesto diventa un fattore molto più importante. Le ricerche hanno evidenziato come nello sport femminile spesso intervenga la “sindrome del burn out” che porta all’esaurimento delle proprie risorse psicofisiche, influendo in maniera decisiva sul dispendio energetico fino a diventare cronica e a portare a scelte estreme come il fare un passo indietro e rinunciare.

La vicenda della Klein ha destato scalpore perché estremamente rara…

Meno di quel che si pensi. Tornando indietro con la memoria, ricordo che ci sono state molte atlete di altissimo livello a soffrirne. La stessa olimpionica di mtb Pauline Ferrand-Prevot ha vissuto periodi bui, come anche Marianne Vos, oppure la svedese Rissveds che per anni si è persa dopo la vittoria olimpica di Rio 2016. Riuscire a risollevarsi è un aspetto importante e queste atlete non sono solo la dimostrazione che si può fare, ma che le vittorie successive acquistano un maggior sapore e valore. E’ importante per questo essere capaci con il lavoro introspettivo a resettarsi.

Pauline Ferrand Prevot in lacrime dopo l’oro olimpico. Più volte è arrivata sull’orlo del ritiro
Pauline Ferrand Prevot in lacrime dopo l’oro olimpico. Più volte è arrivata sull’orlo del ritiro
Qual è allora la differenza con il passato?

Semplicemente che se ne parla di più. All’aumento della pressione corrisponde un aumento della cultura legata a questa, gli studi che si moltiplicano sul tema, un lavoro che si compie insieme a professionisti del settore. E’ un problema importante e comune che porta molti a non riuscire ad arrivare a fine stagione. Il primo passo è sempre avere la forza di condividerlo, di esternare il problema in modo da poterlo affrontare.

Covid e idoneità: cos’è cambiato? Cresce l’attenzione al cuore

11.10.2024
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Il tema della salute resta centrale nello sport e chiaramente anche nel nostro settore, il ciclismo. In questi ultimi anni si sono visti molti casi di atleti costretti a smettere o peggio ancora, che hanno trovato la morte. E’ chiaro che il Covid ci ha messo inevitabilmente lo zampino (e molto di più). Molte cose sono cambiate da allora e la visita d’idoneità sportiva è forse diventata ancora più importante in quanto a prevenzione.

Ne abbiamo parlato con il dottor Nino Daniele, in forza alla Lidl-Trek. Daniele opera nel settore da decenni. Ha un’enorme esperienza e in quanto alle visite d’idoneità in pochi ne sanno quanto lui.

Nino Daniele con Juan Pedro Lopez: il medico romano è da anni nel gruppo della Lidl-Trek
Nino Daniele con Juan Pedro Lopez: il medico romano è da anni nel gruppo della Lidl-Trek
Dottor Daniele, dal Covid alle visite attuali: cosa è cambiato?

Se parliamo di atleti professionisti ci riferiamo subito ad un protocollo e a una tipologia di visita importante di suo, che già era ben strutturata. Rispetto all’era pre-Covid, almeno per quel che riguarda il mio team, non è cambiato nulla. Soprattutto perché da quando ne sono io responsabile, abbiamo sempre fatto visite complete che andavano oltre il protocollo prefissato.

Ci spieghi meglio…

I protocolli indicati dall’UCI di anno in anno non cambiano moltissimo. La base di questi protocolli vuole che oltre agli esami prestabiliti: visita generale, spirometria e analisi delle urine, si debba fare un anno l’ecocardiogramma e un anno l’elettrocardiogramma sotto sforzo. Noi, in Lidl-Trek facciamo ogni anno entrambi gli esami. Questo ci consente di andare ancora più nel profondo, di acquisire più dati ed essere più sicuri. Alcune squadre invece eseguono la normativa UCI, perché ovviamente ci sono anche problemi di costi. Per questo motivo dico che a noi non è cambiato nulla. Già facevamo di più. 

Nei suoi atleti ha riscontrato qualcosa di diverso dopo il Covid?

No, ma questo non significa che le differenze non siano state trovate perché siamo stati bravi a fare le visite in precedenza.

ECG sotto sforzo e soprattutto ecocardiogramma, sono esami ancora più importanti dopo il Covid
ECG sotto sforzo e soprattutto ecocardiogramma, sono esami ancora più importanti dopo il Covid
Semmai perché avete gestito bene i casi di Covid…

In generale è anche una questione di casistica. In letteratura sono stati rilevati molti casi di miocarditi, pericarditi dopo il Covid, alcuni anche gravi come è noto.

Ha parlato di norme UCI, ma queste valgono ovunque?

L’aspetto normativo dell’UCI è uno e vale per tutti, ma alcune Nazioni hanno parametri diversi. Ci sono alcuni stati che non prevedono il certificato d’idoneità agonistica. Per esempio, negli Usa non si è obbligati a presentare un certificato se si vuol gareggiare. Mentre in altri stati, l’Italia in primis, ma anche in Spagna, ad Andorra, in Belgio… è obbligatorio ottenere l’idoneità agonistica se si vuole una tessera. Da noi per la normale visita agonistica di uno sportivo (non professionista, ndr) sotto ai 35 anni bisogna eseguire oltre alla visita generale, l’elettrocardiogramma a riposo, l’elettrocardiogramma dopo sforzo, la spirometria e l’esame delle urine.

Qual è l’esame più importante, specialmente dopo il Covid?

Sicuramente l’ecocardiogramma. Considerando in particolar modo le complicanze che hanno portato soprattutto la prima e la seconda ondata del Covid, questo esame ci permette di andare più a fondo. Di vedere se magari un’eventuale miocardite ha lasciato delle cicatrici. Se queste ci sono vengono evidenziate. Per questo, è un esame fondamentale.

Perché ha parlato di prima e seconda ondata?

Perché all’inizio non si sapeva bene come affrontare questa nuova pandemia. E poi perché man mano anche il corpo umano ha imparato a combatterla autonomamente.

Il Covid ha scombussolato molti equilibri. Per molti team anche le visite d’idoneità, ma non per i ragazzi del dottor Daniele
Il Covid ha scombussolato molti equilibri. Per molti team anche le visite d’idoneità, ma non per i ragazzi del dottor Daniele
Nei cuori dei suoi atleti ha trovato differenze fra prima e post Covid?

Come detto, no. Specialmente nei confronti di atleti di cui dispongo di uno storico abbastanza lungo. Se ci fossero stati dei cambiamenti li avremmo visti. In questo caso, ma si parla più di gente comune, è molto importante avere uno storico e una buona anamnesi del paziente. «Quante volte ha avuto il Covid? E con quale quadro clinico? Com’erano gli esami dopo ogni ondata?». Chiaro che se si hanno dei sospetti perché si rilevano delle aritmie, per esempio, si richiedono degli accertamenti clinici. Oltre agli esami serve esperienza durante la vista e soprattutto è importante poter disporre di un quadro clinico il più completo possibile. 

Ammesso che la domanda sia ben formulata: chi ha preso il Covid ha avuto poi rese inferiori da parte del suo cuore?

Se le miocarditi sono state forti ci potrebbe anche essere un calo di rendimento del muscolo cardiaco, perché resta la cicatrice. Quindi sì: potrebbe essere successo. Quando si esegue un ecocardiogramma ci sono molte formule e tanti parametri che sul momento possono essere okay e poi variare. La medicina non è una scienza esatta a volte alcune complicanze possono emergere dopo una banale influenza, per questo in alcuni casi è anche questione di “fortuna” riuscire a trovare qualcosa per tempo. Noi siamo ancora molto concentrati sul Covid, perché è qualcosa a cui non eravamo preparati e non avevo difese, ma anche un’influenza, come detto, può portare a complicanze mediche.

Raccagni Noviero nel 2025 sarà WT: aspettative e speranze

10.10.2024
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Andrea Raccagni Noviero ce lo aveva detto alla fine della stagione 2023 che il suo obiettivo sarebbe stato quello di meritarsi la promozione nel WorldTour, sempre con i colori della Soudal Quick-Step. Alla fine è riuscito a raggiungere questo traguardo proprio nel finale di questa stagione. Un modo per coronare una crescita costante, il premio è un contratto triennale con la squadra guidata da Patrick Lefevere.

Lo raggiungiamo telefonicamente mentre è in Repubblica Ceca e si gode il riposo di fine stagione. Il suo 2024 è terminato con la partecipazione alla Coppa Bernocchi, ora ricarica le batterie in vista degli impegni futuri. 

«Sono a casa della mia ragazza – ci racconta – fa freddo ma sicuramente sono più all’asciutto che in Italia. L’ho raggiunta dopo la Bernocchi, ho lasciato la bicicletta al team e mi sono messo in macchina. Ci siamo conosciuti proprio in Repubblica Ceca, durante la Corsa della Pace disputata con la nazionale. Era a vedere una tappa, mi ha scritto su Instagram e ci siamo conosciuti così. Starò qui da lei una ventina di giorni, nel mezzo andrò in Belgio per fare una prima riunione con il team, poi torneremo in Italia per andare in vacanza insieme. Sfruttiamo questo periodo per stare insieme, lei è una biatleta, quindi a breve inizierà la stagione».

Uno dei migliori risultati di stagione è stato il terzo posto alla Gand U23 (foto Wielerspiegel)
Uno dei migliori risultati di stagione è stato il terzo posto alla Gand U23 (foto Wielerspiegel)
Come arrivi all’incontro con la squadra sapendo che sarai parte del team WorldTour?

Felicissimo. Dal 2024 abbiamo avuto un contatto più forte con il team maggiore, Lefevere ce lo aveva detto e così è stato. Conosco bene lo staff e qualche compagno di squadra. Nei giorni in Belgio avremo una cena con lo sponsor Soudal e faremo dei test in pista.

In che modo si è manifestato questo maggior “contatto” tra il team U23 e quello WorldTour?

La prima grande differenza è stata che la squadra ha acquistato il magazzino accanto a quello riservato ai professionisti. Quindi dal 2024 i service course erano nello stesso posto. Banalmente se a un meccanico del team U23 mancava un pezzo apriva la porta accanto e lo prendeva dal team professionistico. Penso che per lo staff sia stato un bel passo in avanti. Come seconda cosa sono cambiati i mezzi alle corse. Quest’anno abbiamo avuto spesso il bus del team femminile con noi, oppure il camion dei pro’ con l’autista. Al Giro Next Gen eravamo super organizzati.

E con i compagni?

Ad esempio, sempre al Giro Next Gen ha corso con noi Paul Magnier che aveva un contratto con il team WorldTour. Questo fa capire la concreta evoluzione del team. Ciò che ha fatto lui sarà quel che farò anche io nel 2025, accumulare esperienza con i professionisti ma anche andare a correre qualche appuntamento di spessore tra gli under 23. Mondiale ed europeo non saranno più accessibili per me, ma le gare 2.2 o le Classiche come la Parigi-Roubaix Espoirs (in apertura l’edizione 2023, foto Freddy Guérin/DirectVelo) o la Gent U23 sì.

A tuo modo di vedere qual è stata l’evoluzione che ti ha portato a meritare la promozione tra i pro’?

Nei numeri non sono migliorato tanto, o almeno non tanto quanto fatto nel passaggio da juniores a under 23. E’ stato un progresso più “leggero” ma credo di aver fatto un passo in avanti nella prestazione secca. Certi carichi di lavoro fatti nel 2023 me li sono trovati quest’anno. 

Raccagni Noviero ha corso nelle gare più importanti dedicate agli U23, qui alla Parigi-Roubaix (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Raccagni Noviero ha corso nelle gare più importanti dedicate agli U23, qui alla Parigi-Roubaix (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Hai anche avuto modo di correre già con il team WorldTour, com’è andata?

L’ho fatto prima al Giro di Slovacchia e poi proprio alla Bernocchi. Nel primo caso i team WorldTour in gara erano pochi, compresi noi erano tre. Poi c’erano parecchie professional e continental. Però mi sono trovato bene, le tappe erano tanto controllate e io mi sono messo a disposizione dei compagni lavorando per ricucire sulle varie fughe. Alla Bernocchi, invece, il livello era più alto. Le WorldTour presenti erano 14 e la differenza si è notata. 

In che senso?

Che fino a quando siamo stati noi a gestire la corsa tutto era sotto controllo. Poi è arrivata la UAE e ho visto cosa vuol dire seguire quei ritmi. Sono bastati pochi minuti per subire il ritmo alto e la fatica. Da un lato ho potuto ammirare anche la loro dedizione alla causa, nonostante fosse una gara di fine stagione erano tutti pronti e concentrati per fare il loro massimo. 

Il primo confronto con i professionisti ha fatto capire che a certi sforzi ci si deve abituare
Il primo confronto con i professionisti ha fatto capire che a certi sforzi ci si deve abituare
Dove pensi di dover migliorare ancora nel 2025?

In allenamento devo imparare a gestirmi bene. Nell’inverno passato ho esagerato con la preparazione e sono arrivato nel finale di stagione stanco anche mentalmente. Dal punto di vista fisico aggiungerò la palestra per fare un ulteriore step in avanti. Ma lo spartiacque principale penso sarà correre con costanza nel WorldTour. Fare delle gare di una settimana ai loro ritmi potrà dare qualcosa di diverso al mio motore. 

Il preparatore sarà lo stesso?

Sì. Lavoro con lui da quando sono qui e questo è un plus. Mi conosce, anzi ci conosciamo molto bene. A livello mentale è un aiuto perché sappiamo entrambi come comunicare tra di noi e lui è in grado di dirmi quali sono le cose da fare. 

Qui alla Bernocchi corsa il 7 ottobre, Raccagni Noviero è a destra di Evenepoel, i due dal 2025 saranno compagni di team
Qui alla Bernocchi Raccagni Noviero è a destra di Evenepoel, i due dal 2025 saranno compagni di team
Aumenterai le ore di lavoro?

Probabilmente sì. Ora ne faccio 20 a settimana di media. Quando sono in preparazione arrivo a 26 o 27 ore, mentre se devo recuperare tra una gara e l’altra ne faccio 11 o 12 di ore. Penso cambieranno anche gli allenamenti, perché da under 23 per fare carico mettevo insieme delle triplette da 11 ore. Divise magari così: 3 ore e mezza, il giorno dopo quattro ore e mezza e l’ultimo tre ore. Da professionista dovrò abituarmi a gare con tante ore, come nelle Classiche. Quindi penso passeremo a doppiette con cinque ore e poi sei. 

Per finire, hai corso ai mondiali di Zurigo e hai espresso un bel pensiero sui social nei confronti della ragazza che è venuta a mancare: Muriel Furrer

Ho pensato che non sarebbe stato giusto far finta di niente. Probabilmente io non cambierò nulla, però magari potrò essere d’aiuto. Alla Tre Valli Varesine i corridori sono stati fermati per il maltempo, a Zurigo no. Bisogna cercare di connettere, se una corsa diventa troppo pericolosa la si deve fermare. C’è chi dice che il ciclismo eroico è finito e che 50 anni fa si correva sui passi di montagna spingendo la bici a mano. Lo sport però si è evoluto, trovo giusto fermare una gara per la pioggia eccessiva o altre condizioni estreme. Siamo persone non macchine e il rischio è di pagare certe scelte con la vita. Mi piacerebbe portare avanti questo pensiero, dargli continuità e fare qualcosa di concreto. Non so cosa, ci penserò a fondo. 

Su Finn lo sguardo di Schrot: in un anno passi da gigante

10.10.2024
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L’anno scorso di questi tempi, a bassa voce come un segreto, iniziò a circolare la notizia che uno junior italiano sarebbe andato all’estero. Fulmini e saette, sembrava di essere in pieno attacco. Un anno dopo quel ragazzo, Lorenzo Mark Finn, è diventato campione del mondo degli juniores. Ha lavorato in modo diverso. Si è interfacciato spesso con il cittì della nazionale. E in Germania ha trovato un ambiente che lo ha fatto crescere.

Il regista di questi suoi progressi si chiama Christian Schrot. Lo conoscemmo qualche tempo fa, quando decidemmo di guardare un po’ meglio dentro alla Auto Eder che arrivava dalla Germania e si portava via le migliori internazionali. E se nel ritiro sul Garda di inizio marzo gli chiedemmo di spiegarci come avrebbe lavorato con Lorenzo, questa volta dopo il mondiale gli abbiamo chiesto se se lo aspettasse (nella foto di apertura, il tecnico tedesco accoglie Finn sull’arrivo di Zurigo).

Contento di questa vittoria?

Sono molto contento soprattutto per lui. E’ stato l’ottimo finale di una stagione fantastica. Un bel risultato anche per la squadra e tutti coloro che vi hanno partecipato.

Pensavi che Finn potesse vincere i mondiali oppure è stata una sorpresa?

Non per me. Vincere è sempre la cosa più difficile, ma sicuramente era il favorito guardando i nostri corridori in gara. Lui e Paul Fietzke. Dipendeva da come si sarebbe svolta la gara, perché tutti sapevano che sarebbe stata dura. Ma era abbastanza difficile perché vincesse uno scalatore in solitaria? Questo non lo sapeva nessuno. Ma con le condizioni difficili che abbiamo avuto, come la pioggia e il freddo, sapevamo dal giorno prima che c’era un’altissima probabilità che Lorenzo potesse salire sul podio o vincere la gara.

Siamo rimasti tutti molto sorpresi dal suo atteggiamento nel finale, l’apparente distacco. Forse non ci credeva ancora?

Il grande favorito era Albert Withen Phillipsen e tutti lo sapevano. Sarebbe stato difficile batterlo, in più c’era anche Paul Seixas che aveva dimostrato di essere in grandissima forma. Quindi sognavamo sicuramente di vincere e abbiamo dato tutto nella preparazione, ma credo che esserci riuscito sia stato travolgente e per un po’ non ci abbia creduto.

I blocchi di lavoro del 2024 hanno dato a Finn maggiore tenuta atletica e visione di corsa (foto Grenke-Auto Eder)
I blocchi di lavoro del 2024 hanno dato a Finn maggiore tenuta atletica e visione di corsa (foto Grenke-Auto Eder)
In cosa lo hai visto crescere durante la stagione?

Credo che con l’allenamento fatto insieme, Lorenzo sia migliorato in diversi aspetti. Prima di tutto, dal punto di vista fisico. Abbiamo potuto fare dei grossi passi avanti nei suoi livelli di resistenza, ma anche nella capacità di essere più potente e anche più esplosivo. Era quello che gli mancava per vincere le grandi gare. Però abbiamo lavorato molto anche sulla tattica e sulla comprensione delle situazioni di gara. Credo che anche questo sia stato una conquista importante di questa stagione.

E’ ben inserito all’interno della squadra?

Ha certamente una dimensione internazionale, perché suo padre viene dal Regno Unito e sua madre dall’Italia. Ha una mentalità aperta e fin dall’inizio si è integrato bene. In squadra si parla inglese e il suo è eccellente, quindi la comunicazione non è mai stata un problema. E’ un corridore aperto e facile da gestire. Una persona intelligente, capace di ragionare, quindi è bello parlare con lui e approfondire i discorsi. E questo è stato molto apprezzato anche dai compagni.

In Italia si è parlato molto del lavoro fatto dal cittì Salvodi: che tipo di rapporto avete avuto con lui?

In generale, abbiamo avuto un ottimo scambio. Lorenzo era nella nostra squadra, tutto il coaching veniva da me, quindi lavoro quotidiano e programmi. Ma è molto importante anche che i corridori siano integrati nelle nazionali, perché alla fine le grandi corse come gli europei e i mondiali sono gestite dalle federazioni. Per questo sono stato a stretto contatto con Salvoldi e ho apprezzato molto il suo lavoro con Lorenzo. Io l’ho tenuto informato sugli allenamenti e sugli step fatti, in modo che lui sapesse cosa aspettarsi nelle gare. E poi per la preparazione finale, la Federazione ha fatto un ritiro e abbiamo parlato anche di cosa aspettarsi e quale fosse il suo livello. Infine abbiamo concordato l’avvicinamento per il campionato del mondo e tutto è andato bene.

Vincendo l’ultima tappa a Stavelot, ad agosto Finn ha conquistato la Aubel-Thimister-Stavelot (foto Fleche Ardennaise)
Vincendo l’ultima tappa a Stavelot, ad agosto Finn ha conquistato la Aubel-Thimister-Stavelot (foto Fleche Ardennaise)
Sei rimasto un po’ sorpreso quando hai visto Lorenzo, uno scalatore, nella squadra degli europei su quel percorso da velocisti?

Non tanto, perché proprio il tecnico della nazionale mi aveva informato in anticipo che lo avrebbe portato. E penso che proprio guardando i grandi corridori come Pogacar, sia molto importante per un corridore giovane non concentrarsi solo sulle salite, se è uno scalatore. E’ utile anche imparare a gestire la bicicletta e a provarla in diverse situazioni. Sapevamo che avrebbe corso in supporto dei compagni, ma anche alla Grenke-Auto Eder a volte non è capitano, ma aiuta gli altri. Credo che anche questo faccia parte dell’apprendimento nelle categorie giovanili, quindi mi è piaciuta molto l’idea di portarlo. E anche Lorenzo voleva andarci, è stato subito un suo desiderio.

Hai capito qualcosa di più su di lui, sul corridore che potrebbe diventare?

Credo che il prossimo passo sia quello di passare al livello under 23 e dimostrare allo stesso modo ciò che è in grado di fare. Nel calendario del prossimo anno si punterà a gare di un giorno più dure, come certe classiche più famose. E poi sicuramente anche le corse a tappe, che gli si addicono molto se ci sono salite. Ai campionati del mondo ha dimostrato anche di essere tra i migliori nella cronometro e questo è molto importante se si vogliono vincere le gare a tappe. Quindi penso che questo sia il prossimo passo. Andare magari al Giro Next Gen oppure al Tour de l’Avenir, il piccolo Tour de France. Queste gare saranno i prossimi passi della sua carriera.

E’ presto per fare previsioni, insomma?

Vedremo dove porterà tutto questo. Credo che abbia le carte in regola per raggiungere un livello top anche nel professionismo, ma senza mettergli pressione. Penso che sia troppo presto per dire dove arriverà, ma ha tutte le capacità per raggiungere grandi obiettivi anche da grande.

I mondiale di Finn è il secondo in tre anni per Schrot: dopo 14 anni alla Bora, il tedesco cambierà squadra
I mondiale di Finn è il secondo in tre anni per Schrot: dopo 14 anni alla Bora, il tedesco cambierà squadra
I tecnici della WorldTour si sono mostrati interessati?

Voglio dire, la Grenke Auto Eder è lo junior team della Red Bull-Bora-Hansgrohe, quindi Lorenzo è molto conosciuto nel team maggiore e rimarrà nella struttura per continuare il suo sviluppo. Credo che questo sia il prossimo passo e non passare troppo presto fra i professionisti. Credo che la categoria under 23 sia molto importante per avere un livello stabile di prestazioni prima di fare il salto nella grande avventura del WorldTour.

Però adesso, Christian, parliamo un po’ di te. E’ vero che lascerai la squadra?

Sì, è così. Per me questo campionato del mondo è stato la fine di una lunga avventura. Sono stato per 14 anni con la stessa squadra, con la Bora-Hansgrohe. Ho creato con il Team Auto Eder, da quest’anno Grenke-Auto Eder, la migliore squadra juniores del mondo. Zurigo è stato il terzo mondiale di fila in cui abbiamo avuto da festeggiare. Abbiamo vinto con Herzog nel 2022, preso l’argento lo scorso anno con Fietzke e l’oro con Finn pochi giorni fa. Ora ho deciso di iniziare un nuovo capitolo, il campionato del mondo a Zurigo è stato la mia ultima gara con il gruppo Bora. Dove andrò adesso non posso dirlo, probabilmente verrà fuori entro un paio di settimane, ma resterò nel ciclismo professionistico. Vi tengo aggiornati. Spero presto di potervi raccontare qualcosa di interessante.

Torna Venturelli, ma per ora solo su pista

10.10.2024
5 min
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Ai mondiali su pista che scatteranno giovedì in Danimarca ci sarà anche Federica Venturelli e questa è già una notizia. La cremonese, considerata uno dei maggiori prospetti italiani a prescindere dallo sport, è infatti assente dalle gare da molte settimane, tutto per colpa della malaugurata caduta rimediata agli europei U23 su pista di metà luglio in Germania, dove dopo aver vinto l’oro nell’inseguimento individuale condito dai bronzi nel quartetto e nell’omnium ha rimediato una brutta caduta nella madison, costatale la frattura del braccio sinistro.

Per l’azzurra altre tre medaglie su pista: un oro e due bronzi, ma la trasferta tedesca si è chiusa male
Per l’azzurra altre tre medaglie su pista: un oro e due bronzi, ma la trasferta tedesca si è chiusa male

Essendo una frattura composta, sembrava risolvibile in tempi brevi, ma non è stato così. Due settimane di gesso, tre di tutore e la fisioterapia che va avanti ancora oggi.

«Il braccio va meglio ogni giorno che passa – racconta Federica – ma la funzionalità del polso non è ancora recuperata appieno. In questo momento la pista è l’unica attività che le mie condizioni fisiche mi permettono di fare, perché non ci sono sobbalzi che mi metterebbero in grave difficoltà. Per questo ho chiuso in anticipo la mia stagione su strada, dove non gareggio da giugno».

La lombarda in gara nell’inseguimento a Cottbus, dove ha vinto l’oro
La lombarda in gara nell’inseguimento a Cottbus, dove ha vinto l’oro
Un epilogo tanto anticipato quanto sfortunato: quanto ti manca la bici da strada?

Moltissimo e devo dire la verità, ho ricominciato a usarla anche prima di quanto mi chiedessero per pochi giri blandi, ma rigorosamente con la bici da crono, che mi permette di mettere il braccio in una posizione che non richiede grande pressione e forza sul manubrio. Le vibrazioni dell’asfalto sono un grande problema, per questo ho deciso di mettere da parte le mie ambizioni e d’accordo con la squadra abbiamo rinviato tutto al 2025. In compenso mi sono potuta concentrare sulla pista lavorando a Montichiari: non posso dire in che condizioni sono essendo lontana dall’agonismo da un bel po’, ma già esserci è importante.

Proviamo a guardare il bicchiere mezzo pieno: come reputi la tua prima stagione da pro’, anche se dimezzata?

In generale non era stata male, anche se l’inizio era stato difficile a causa di problemi alla schiena. Ma al Giro del Mediterraneo in Rosa avevo portato a casa due vittorie e il secondo posto nella generale, poi il 4° posto al Liberazione e altri piazzamenti nei 10 in Belgio. Io non guardavo tanto ai risultati, perché per me questo era un anno dedicato alla crescita a ogni livello, alla necessità d’imparare. Per questo reputo più importanti le mie presenze nelle gare 1.1.

Su strada Venturelli manca da giugno. In allenamento ha potuto pedalare solo con la bici da crono
Su strada Venturelli manca da giugno. In allenamento ha potuto pedalare solo con la bici da crono
In che cosa pensi di essere cresciuta di più?

Molti penserebbero dal punto di vista fisico o prestativo, ma io ho guardato altri aspetti. Rispetto allo scorso anno, ad esempio, mi sono accorta di saper correre di più “da squadra”, di collaborare meglio con le compagne. Soprattutto di sapermi adattare meglio alle corse che sono molto diverse da quelle da junior, ad esempio per il fatto che si lavora con le radioline che cambiano completamente l’impostazione di ogni corsa. Bisogna farci l’abitudine, non è scontato.

La tua presenza ai mondiali significa anche che con la pista hai intenzione di continuare…

Ci mancherebbe altro, per me la pista è un “must”, è la disciplina dove credo di avere maggiori margini di crescita e soprattutto la possibilità di togliermi le maggiori soddisfazioni, com’è avvenuto da junior. Esserci in Danimarca è importante perché da qui parte il quadriennio olimpico e Los Angeles è un obiettivo che voglio inseguire per gradi, uno stimolo che porto con me.

Nella sua prima stagione da pro’ l’azzurra ha accumulato 24 giorni di gara con 2 vittorie e 11 Top 10
Nella sua prima stagione da pro’ l’azzurra ha accumulato 24 giorni di gara con 2 vittorie e 11 Top 10
Considerando anche la tua condizione fisica legata al braccio, difficile quindi vederti quest’anno nel ciclocross…

Direi proprio di sì. Lo scorso anno avevo fatto tre gare, ma non ho recuperato abbastanza per pensare anche a semplici apparizioni nella specialità, troppo sollecitante per il braccio. Mi concentrerò sulla preparazione per la nuova stagione su strada pensando anche che d’inverno ci saranno già gli europei su pista e voglio continuare su quel percorso indicato prima.

Com’è stata la risposta del team dopo il tuo infortunio? Ti hanno fatto pressioni?

No, mi sono stati molto vicini e tutto il cammino di ripresa è stato affrontato con il loro supporto e la loro approvazione. Anche per loro, come per me, all’inizio non è stato facile assorbire il colpo, avrebbero voluto anche loro che riuscissi almeno a tornare in gara per settembre, ma il dolore era più del previsto e anche loro mi hanno consigliato di non rischiare per non compromettere il 2025.

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In prossimità del nuovo anno c’è un sogno recondito che hai?

Un sogno ce l’ho ma non è legato ad alcuna gara in particolare. Io voglio solamente imparare il più possibile e per far questo riuscire a prendere parte a quante più gare con la squadra maggiore, magari prove del WorldTour, perché sono un passaggio fondamentale per poter poi puntare negli anni seguenti a ottere ei risultati che desidero.

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10.10.2024
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Andrea Pietrobon è uno di quei corridori che si potrebbe definire totali, affibbiargli l’aggettivo di corridore completo è riduttivo. L’atleta della Polti-Kometa sa attaccare, sa aiutare, sa far parte di un treno e all’occorrenza se la cavare bene anche in salita.

Tutte queste caratteristiche del bellunese le abbiamo viste nel corso della stagione e dal vivo al recente Tour de Langkawi, in Malesia. Laggiù, quasi sulla linea dell’equatore, all’ombra di una palma e seduti su un marciapiede, abbiamo messo insieme dei ragionamenti interessanti.

Sul podio di Roma al Giro: Andrea ha vinto il Premio Fuga (605 km in avanscoperta)
Sul podio di Roma al Giro: Andrea ha vinto il Premio Fuga (605 km in avanscoperta)

In salita e in pianura

«In Malesia – racconta il veneto – l’obiettivo primario era di restare uniti: per Double o Tercero in salita e per Peñalver in volata. Nella seconda tappa per esempio avevo il compito di scortare Peñalver fino ai 500 metri e dico che tutto sommato è andata bene».

E più o meno la stessa cosa aveva fatto nella tappa regina della corsa asiatica. Con Double un po’ sulle gambe, Pietrobon è rimasto il più possibile vicino a Tercero. Tra l’altro proprio lo spagnolo, Piganzoli e appunto Andrea sono tre prodotti del vivaio della squadra di Basso e Contador. Dopo l’esperienza al Cycling Team Friuli, infatti, anche Andrea ha corso per due anni nella U23 dell’allora Eolo-Kometa.

Ecco il veneto in azione per i suoi compagni
Ecco il veneto in azione per i suoi compagni

Tenacia e fiducia

Un altro aspetto che ci è piaciuto di Andrea è che nonostante una caduta, sempre nella fasi di uno sprint, si è subito rialzato e il giorno dopo era di nuovo in pista a menare. E’ stato uno degli atleti che più di altri ha messo a rischio la vittoria di Tarozzi, per dire quanto menasse in testa al gruppo.

Pietrobon ha portato a termine il Giro d’Italia. Il suo primo grande Giro. La corsa rosa, come spesso scriviamo in questi casi, gli ha dato molto e molto ha preteso.

«Dopo il Giro – ha detto Pietrobon – ho corso ancora e la fatica si è fatta sentire. Però sapevo anche che non avremmo avuto molte corse in estate e che ci sarebbe stato il tempo per recuperare». 

«Per la prossima stagione – racconta Andrea – parto con più sicurezza in me stesso, il che è molto importante. Come sempre l’affronto cercando di divertirmi perché secondo me è la cosa migliore per non avere stress ed essere motivati. Certo, parto anche con più consapevolezza e fiducia. Fiducia in me stesso e in quella da parte della squadra. Questo è un altro aspetto che mi dà tanta motivazione. Sono contento anche che credano in me».

Pietrobon al termine della 2ª frazione del Langkawi quando sembrava che il suo compagno Peñalver avesse vinto
Pietrobon al termine della 2ª frazione del Langkawi quando sembrava che il suo compagno Peñalver avesse vinto

Uomo squadra

Vista la sua età e le sue capacità, Pietrobon potrebbe essere pronto anche per puntare più in alto: qualche vittoria di peso. Magari lavorando un po’ sulla “botta secca” potrebbero cambiare alcune sue prospettive.

«La squadra alla fine punta molto su di me proprio perché io sono versatile – spiega Andrea con consapevolezza da veterano – sulle salite se non sono troppo dure me la cavo, in volata sono abbastanza affidabile e alto per portare il velocista all’interno dell’ultimo chilometro… Chiaro che vorrei migliorare ancora, ma in tutto non in una cosa specifica».

«Io credo che come mia attitudine sia quella di essere un uomo squadra. Sono un uomo che lavora per gli scalatori e per i velocisti. Sono un altruista».

Giro 2024: Pietrobon nella fuga verso Lucca, nel finale tentò il colpaccio
Giro 2024: Pietrobon nella fuga verso Lucca, nel finale tentò il colpaccio

Voglia di vincere

A questo punto viene facile incalzarlo e ricordagli la tappa di Lucca al Giro d’Italia. Quel giorno si trovò davanti con dei campioni affermati. Pietrobon non ebbe paura a giocarsela da veterano. Poche riverenze: rimase a ruota di chi aveva più esperienza e più “botta” di lui e poi tentò il colpaccio da finisseur nell’ultimo chilometro.

«Ma certo – ribatte Pietrobon – se capita l’occasione mi butto in fuga e do tutto me stesso. Ripeto, io sono contento e spero appunto di migliorare ancora. Mi piacerebbe riuscire a prendere fughe più importanti e giocarmela fino in fondo».

E l’occasione potrebbe arrivare presto. Archiviata la trasferta malese, Pietrobon dovrebbe disputare le corse in Veneto.

«Giro del Veneto e Veneto Classic sono le gare di casa e su quelle punto molto. Ce ne sono solo due dalle mie parti! Se dovessi essere il leader? Aspetterei, non andrei in fuga e cercherei di giocarmi le carte nel finale. Però attenzione, col livello alto che c’è questi ultimi anni anche nelle gare un po’ meno importanti è dura. Ma ci proverò…».

Bramati: «Alaphilippe ha lasciato il segno nel nostro team»

10.10.2024
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VIGNOLA – Tra le poche e pesanti assenze al Giro dell’Emilia, ce n’era una che si avvertiva maggiormente, quasi in un’anticipazione del 2025. La caduta patita al mondiale di Zurigo ha impedito Julian Alaphilippe di essere al via con la sua Soudal-Quick Step nelle classiche italiane di ottobre e di esserne un assoluto protagonista.

Una storia iniziata con la squadra belga nel 2014 (anticipata dalla stagione precedente nella formazione continental) in cui Alaphilippe trovò in Davide Bramati un mentore più che un diesse. Così abbiamo chiesto al tecnico lombardo che effetto gli fa sapere di non guidare più il fuoriclasse francese dall’anno prossimo.

Al suo primo Giro d’Italia, Alaphilippe centra la tappa di Fano. Per Bramati una delle vittorie più spettacolari
Al suo primo Giro d’Italia, Alaphilippe centra la tappa di Fano. Per Bramati una delle vittorie più spettacolari

Simbolo di fedeltà

Il trinomio Quick Step-Bramati-Alaphilippe è stato uno dei più vincenti e longevi di un ciclismo moderno in cui è difficile associare una squadra a un corridore e viceversa. Il passaggio del due volte campione del mondo alla Tudor è uno dei migliori colpi del ciclo-mercato, ma come si guarda al passato che sta per diventare tale fra poco?

«Difficile dire – spiega Bramati – quale sia stato il mio primo pensiero sulla sua partenza. Abbiamo lavorato assieme per undici anni e posso dire che quando stai così tanto tempo con un atleta significa che c’è un bel rapporto. Sono altri tempi adesso, ma comunque ci sono corridori che firmano già per 4/5 anni. Più in piccolo e contestualizzando il tutto, fanno scelte come ha fatto Alaphilippe con noi quando passò pro’. Mi sono sempre trovato veramente benissimo con Julian».

Bramati ha ricordato come Alaphilippe abbia saputo tornare ad alto livello dopo alcuni anni sfortunati
Bramati ha ricordato come Alaphilippe abbia saputo tornare ad alto livello dopo alcuni anni sfortunati

«Penso a ciò che ha vinto in carriera – prosegue – ma tutti si ricordano anche che qualche anno fa ha avuto tanta sfortuna, tante cadute e non è stato facile per lui tornare da momenti del genere. Julian però quest’anno ha ritrovato un grande livello e mi dispiace che non sia qui a finire queste ultime gare in Italia perché ci teneva tantissimo. Aveva un’ottima condizione, ma purtroppo al mondiale è caduto».

Anni di vittorie

Alaphilippe si fece conoscere meglio al mondo nel 2015 quando infilò la sequenza di piazzamenti nel trittico Amstel, Freccia Vallone e Liegi, queste ultime due chiuse al secondo posto sempre dietro Valverde. All’epoca qualcuno lo paragonò al nostro Bettini, quantomeno per la militanza nella stessa formazione. Poi col gruppo Quick-Step, Alaphilippe ha brindato (finora) a 44 successi, di cui 24 equamente distribuiti nel biennio 2018-2019, sapendo centrare bersagli grossi in ogni annata.

«Anche in questo caso – racconta Bramati, provando a riavvolgere il nastro della memoria – è complicato dire quale sia la vittoria più bella o speciale. Ha vinto due mondiali e sei tappe al Tour, senza dimenticare la Strade Bianche e la Sanremo e tante altre corse. Ha vinto tanto in Italia e forse proprio per questo credo che la tappa vinta al Giro sia una delle più spettacolari. Era alla sua prima partecipazione ed è andato a segno con uno suoi numeri che lo hanno contraddistinto. Quando Loulou era Loulou che partiva da lontano, che aveva i suoi scatti e le sue accelerazioni. Ce lo ricordiamo tutti.

«Proprio nel 2019 al Tour – ricorda – aveva centrato un paio di tappe. Con la prima riuscì a prendere la maglia gialla, perdendola e riprendendola nuovamente nell’arco di due giorni. Julian è sempre stato un corridore per corse di un giorno, ma quell’anno andava veramente fortissimo. Indossò la maglia gialla per due settimane e finì quinto nella generale. Quello era stato un momento in cui si pensò che poteva trasformarsi in un corridore per grandi corse a tappe, però in salita c’è sempre stato qualcuno che sulle tre settimane era più forte di lui. Credo la sua carriera sia andata e vada bene così».

Fratello maggiore. Bramati augura ad Alaphilippe di vincere ancora tanto anche nella Tudor
Fratello maggiore. Bramati augura ad Alaphilippe di vincere ancora tanto anche nella Tudor

Consigli e auguri

Nonostante il suo ritiro agonistico sia diventato maggiorenne proprio quest’anno, il “Brama” con i suoi corridori sa essere molto vicino sotto tanti punti di vista. Dal 2025 troverà Alaphilippe da avversario con la maglia Tudor, ma non mancano le ultime raccomandazioni.

«Tra lui e me – conclude Bramati – ci sono tanti anni di differenza, però mi sento ancora giovane (ride, ndr) quindi posso dire che il mio con Julian sia stato un rapporto da fratello maggiore più che da padre e figlio. Lui ha preso un’altra strada però penso che abbia lasciato il segno nel nostro team. Ha fatto tanto per noi e resterà nei nostri cuori. Io sono contento di aver lavorato con lui.

«Per i prossimi anni gli auguro di vincere ancora tanto e di continuare a fare quello che ha sempre fatto, soprattutto nell’ultimo anno. In questa stagione ha ritrovato un grandissimo livello e sono certo che farà altrettanto bene nelle sua nuova avventura».

Pescador: dalla Colombia alla Movistar con un sogno in tasca

09.10.2024
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Sulle strade delle classiche italiane dedicate agli under 23 quest’anno si è spesso vista tra le prime posizioni la maglia della GW Erco Shimano. Team continental colombiano abituato a partecipare alle corse del calendario europeo. Chi si è messo spesso in evidenza è stato Diego Pescador, magro, agile e capace di mettersi alla pari dei migliori in salita. Un sorriso grande e argentato, visto che ancora indossa l’apparecchio. Un segno distintivo che in gruppo però sparisce, per fare largo a uno sguardo attento e concentrato. 

Pescador è nato nel comune di Quimbaya, a metà strada tra Cali e Bogota. E’ giovane, visto che non ha ancora compiuto 20 anni, lo farà il prossimo 21 dicembre. Eppure lo scalatore colombiano ha appena firmato un contratto di tre anni nel WorldTour con la Movistar di Unzue

Diego Pescador da under 23 ha corso la GW Erco Shimano (foto Nicolas Mabyle/Direct Velo)
Diego Pescador da under 23 ha corso la GW Erco Shimano (foto Nicolas Mabyle/Direct Velo)

Consigliato da Mori

Uno degli artefici del suo trasferimento è stato Massimiliano Mori, suo procuratore. E’ stato lui a condurlo nel ciclismo dei grandi seguendolo passo dopo passo. 

«Pescador – ci spiega Mori – l’ho conosciuto perché già lavoro con altri atleti colombiani come Restrepo e Gomez della Polti-Kometa. Ho visto i suoi dati e sono rimasto molto colpito da quello che può fare. Così l’ho seguito passo dopo passo nella sua crescita. Già al primo anno da under 23 si era messo in mostra al Tour de l’Avenir e nelle corse a tappe del suo Paese. Quest’anno è arrivato un ulteriore step di crescita e la chiamata della Movistar gli ha fatto sicuramente piacere».

Nel 2022 ha indossato la maglia della Colombia al Giro della Lunigiana (foto Instagram)
Nel 2022 ha indossato la maglia della Colombia al Giro della Lunigiana (foto Instagram)

In Italia fin da giovane

Diego Pescador ha corso molto in Europa, in particolare in Italia, già quando era junior. Abbiamo deciso di farci raccontare personalmente questa sua crescita che in breve lo ha portato nel mondo del WorldTour. 

«Grazie a Dio – dice subito il giovane colombiano – ho avuto l’opportunità di andare in Europa da quando avevo 16 anni con la squadra del Ministero dello Sport, già da junior. Quello che ho trovato è un ciclismo molto duro per la tecnica e per la professionalità che i ragazzi hanno fin da giovani. Ho sempre partecipato alle gare del calendario italiano, la base della squadra è sempre stata in Italia. E’ un Paese che mi piace molto. Il livello è altissimo, mi ricordo che le gare erano praticamente ogni otto giorni. Ho preso parte a corse importanti come il Giro della Lunigiana, forse la più difficile fatta in quel periodo».

Pescador ha partecipato a diverse gare con i pro’ nel 2023, qui al Giro di Sicilia
Pescador ha partecipato a diverse gare con i pro’ nel 2023, qui al Giro di Sicilia
Che differenza hai visto tra il ciclismo europeo e quello colombiano?

Quando ho avuto modo di fare questo confronto per la prima volta era il 2022. Direi che è abissale, è stato davvero qualcosa di molto sorprendente. Credo che venire in Europa così presto sia stato qualcosa di molto positivo per avanzare nel mio processo di crescita come corridore. Grazie alle gare uno con il passare dei mesi acquisisce esperienza. E’ normale soffrire nelle prime uscite ma bisogna avere il coraggio di buttarsi alle spalle quella paura. In Europa è importante la posizione in gruppo, si deve restare sempre tra i primi 20 perché ci sono parecchi passaggi tecnici.  

Poi da under 23 sei andato a correre anche tra i professionisti. 

Ho avuto modo di prendere parte al Giro di Sicilia, al Tour de Bretagne e altre gare con squadre WorldTour. Questi appuntamenti mi hanno dato qualcosa in più grazie ai lunghi chilometraggi. E’ stato un altro step nella mia crescita. In Colombia si corre spesso al mattino presto, ma devo ammettere che mi trovo meglio in Europa, dove spesso si gareggia al pomeriggio. 

Hai fatto bene sia in gare a tappe che in corse di un giorno, quali preferisci?

Quelle a tappe. Ho visto che con il passare dei giorni il mio corpo si riesce a esprimere al meglio. Per quanto riguarda le corse di un giorno mi piacciono quelle con tanta salita. Ma se proprio devo scegliere direi che non ho dubbi: gare a tappe. 

Quest’anno si è messo in luce nelle classiche di primavera U23, qui al Recioto dove è arrivato secondo (photors.it)
Quest’anno si è messo in luce nelle classiche di primavera U23, qui al Recioto dove è arrivato secondo (photors.it)
Tanto che al Tour de l’Avenir hai colto un ottimo settimo posto finale quest’anno. 

E’ una competizione che mi piace molto, nella quale ho gareggiato due volte. Mi sono divertito molto a correre con la nazionale colombiana, sarà sempre un orgoglio rappresentare il mio Paese. In più in una gara in cui i colombiani hanno sempre fatto molto bene. Per noi che arriviamo da lontano è sempre più complicato fare bene, dato che la nazionale colombiana non ha una base in Europa. E’ difficile trasportare l’attrezzatura necessaria per il recupero e tutto il materiale tecnico. Penso sia uno svantaggio in questo ciclismo moderno, dove ogni piccola cosa è un guadagno per il giorno dopo. 

Cosa ti manca per essere al tuo massimo?

Oltre quello che ho detto direi che mi serve continuità nel correre in Europa. Ad esempio: al Tour de l’Avenir non è facile confrontarsi con ragazzi che fanno un calendario di alto livello da gennaio o febbraio. 

Dietro quel sorriso si nascondono tanta determinazione e voglia di arrivare (photors.it)
Dietro quel sorriso si nascondono tanta determinazione e voglia di arrivare (photors.it)
Quali sono le tue qualità principali?

In salita vado molto bene grazie anche alla mia corporatura. Dall’altro lato essere leggero non mi aiuta nelle cronometro e negli sprint, quindi dovrò migliorare questi aspetti. In discesa mi difendo bene ma il mio terreno preferito è la montagna.

Dal 2025 sarai con la Movistar, come vedi questo passo?

L’opportunità che ho di correre in un team WorldTour senza passare da una squadra development non mi spaventa molto. Penso che per competere in questo ciclismo moderno saltare nel WorldTour a 19 anni sia la cosa giusta da fare. Così da essere pronto per qualche grande corsa a 22 o 23 anni come hanno fatto Remco Evenepoel o Pogacar. Il 2025 mi servirà per imparare dai più esperti. Anche se ho già detto in altre occasioni che mi piacerebbe vincere al mio primo anno da professionista so che è abbastanza difficile, ma non impossibile.

Il suo punto forte è la salita, mentre a cronometro deve crescere parecchio (foto Nicolas Mabyle/Direct Velo)
Il suo punto forte è la salita, mentre a cronometro deve crescere parecchio (foto Nicolas Mabyle/Direct Velo)
Hai firmato per tre anni, cosa vedi nel futuro?

La Movistar mi può dare l’approccio per diventare un leader un giorno, se Dio mi darà l’opportunità e le attitudini per diventare un ciclista di successo. E’ quello per cui lotto ogni giorno. Questa è stata l’unica squadra, delle tante che mi hanno contattato, che mi ha dato queste garanzie e mi ha assicurato che mi avrebbe fatto crescere con calma. 

Quanto è difficile lasciarsi alle spalle la propria casa e la propria vita?

La cosa più difficile sarà salutare la famiglia, al primo anno non credo di riuscire a portare qualche parente con me. Ma il mio sogno è diventare il miglior ciclista nella storia della Colombia. So di poterlo realizzare con molto lavoro, dedizione e disciplina. I miei genitori e le persone che mi circondano hanno sacrificato molto perché io sia dove sono e non posso deluderle. Non vedo l’ora di indossare la divisa della Movistar e fare la prima gara. La verità è che sono molto ansioso e aspetto quel momento, ma sono molto motivato.

La stagione della Guerciotti, con cambiamenti in corso d’opera

09.10.2024
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La seconda tappa del Giro delle Regioni di ciclocross ha subito messo in evidenza la forza d’urto della Fas Airport Service Guerciotti, vincitrice fra gli Open con Bertolini (in apertura, foto Billiani) e fra gli juniores con Agostinacchio. Che il team sia il riferimento assoluto della specialità non lo scopriamo certamente ora, ma è chiaro che questa è una stagione particolare per il team, che ha dovuto modificare il suo assetto in corso d’opera.

Bertolini subito dopo il traguardo ha rivolto il suo pensiero a Vito Di Tano, il due volte campione del mondo che da anni curava l’aspetto tecnico della società e che ha dovuto passare la mano in anticipo rispetto ai suoi propositi per motivi di salute. Alessandro Guerciotti che del team è il presidente racconta come le ultime settimane siano state davvero difficili.

Il gruppo dirigente con Luca Bramati e sua figlia Lucia, nuova stella del team femminile
Il gruppo dirigente con Luca Bramati e sua figlia Lucia, nuova stella del team femminile

«La notizia della malattia di Vito ci ha spiazzati, anche perché ci aveva già detto che intendeva chiudere con questa stagione. Ma la sua situazione di salute lo ha costretto a mollare dall’oggi al domani per concentrarsi sulle sue cure e noi siamo completamente al suo fianco. E’ e sarà sempre parte del nostro team, su questo non si discute. Abbiamo quindi affrontato la situazione, essendo chiamati a rivoluzionare tutto lo staff tecnico».

Come siete arrivati a Luca Bramati?

A fine agosto avevamo raggiunto un accordo con sua figlia Lucia. Dopo che la Casasola ha deciso di cambiare squadra e che la Corvi ha chiuso con il ciclocross per concentrarsi sulla preparazione per la Mtb, eravamo rimasti scoperti sul fronte femminile, ma con Lucia sappiamo di aver preso un prospetto molto valido, in grande crescita sia in ambito italiano che internazionale. Poi a settembre Di Tano ci ha dato la brutta notizia, così abbiamo contattato Luca per chiedergli se se la sentiva di seguire non solo sua figlia ma tutto il team e la sua risposta è stata positiva. Era la soluzione migliore possibile considerando anche che Luca ha anche corso con noi e conosce l’ambiente come nessun altro.

Il messaggio di saluto per Lucia Bramati pubblicato sui social del team
Il messaggio di saluto per Lucia Bramati pubblicato sui social del team
Quanto è cambiato il team?

Delle novità ci sono. Ad esempio, oltre alla Bramati, abbiamo portato in squadra anche il più giovane Agostinacchio che ha subito vinto al suo esordio e che raggiunge così suo fratello che era già con noi e corre fra gli U23. Tra gli juniores abbiamo confermato Tommaso Ferri e Mattia Proietti Gagliardoni, fra le Under 23 con la Bramati c’è l’italoalbanese Nelia Kabetaj, poi tra le juniores c’è la confermata Ferri e la novità Bianchi. Siamo scoperti fra le Elite, venendo via la Casasola non c’era un’atleta sulla quale poter investire e soprattutto che potesse garantire un buon rendimento internazionale, quindi andiamo avanti con 5 categorie su 6.

Il vostro obiettivo?

Noi guardiamo sempre ai campionati italiani, lo scorso anno abbiamo colto un clamoroso poker di titoli compreso quello nel team relay e puntiamo a fare altrettanto, anche se sappiamo bene che il tricolore è una gara a sé stante.

Filippo Agostinacchio ha iniziato subito con una vittoria, con lui c’è suo fratello Mattia (foto Billiani)
Filippo Agostinacchio ha iniziato subito con una vittoria, con lui c’è suo fratello Mattia (foto Billiani)
Voi siete un po’ il riferimento per tutto il movimento. Obiettivamente e considerando sia la situazione italiana che quella internazionale, ha ancora significato investire tante risorse, non solo economiche, sul ciclocross?

Noi ne siamo convinti anche perché vediamo che intorno a noi si stanno sviluppando belle realtà. Prendete ad esempio la Beltrami che già lo scorso anno ha affiancato la sua attività sui prati a quella su strada, oppure il Team Cingolani, che sin dall’avvio di stagione ha mostrato un grande potenziale. Sono realtà che investono, che ci credono e che alzano la competitività. Certo, a livello internazionale soffriamo ancora, perché tanti atleti sono affascinati da altre discipline e progressivamente lasciano il nostro mondo, ultimo caso quello della Corvi. Per avere più peso all’estero servirebbe allargare il movimento e considerare il ciclocross non come l’ultima ruota del carro come spesso purtroppo si fa.

E’ un problema di cultura preesistente?

Sì, inutile nasconderlo, dopo l’epoca dei Pontoni e Bramati abbiamo vissuto su episodi sporadici, da Malacarne a Franzoi fino all’exploit di Viezzi, ma sono appunto episodi e questo continuerà finché i ragazzi italiani abbandoneranno la strada della multidisciplina che invece all’estero è la più seguita.

Elisa Ferri resta un riferimento fra le juniores, da quest’anno con lei anche Arianna Bianchi (foto Billiani)
Elisa Ferri resta un riferimento fra le juniores, da quest’anno con lei anche Arianna Bianchi (foto Billiani)
Cambierebbe la situazione se, come viene indicato da più parti, il ciclocross diventasse disciplina olimpica invernale dal 2030?

E’ chiaro che la vetrina a cinque cerchi dà un’immagine diversa di ogni sport, lo abbiamo visto con la mountain bike quale sviluppo sia riuscito ad avere, quali investimenti e ingresso di nuovi sponsor siano arrivati. Non parliamo di una disciplina di nicchia, ma per un vero salto di qualità servirebbe un traino, un campione che faccia la differenza e porti grandi investimenti nel settore.

Che attività farete?

Fino agli europei privilegeremo il calendario italiano per permettere ai nostri ragazzi di crescere di condizione in maniera graduale, poi dopo la rassegna continentale seguiremo di più la stagione internazionale, prendendo parte alla Swiss Cup e partecipando anche alla Coppa del Mondo con Bertolini, la Bramati e Agostinacchio. Sono certo che ci prenderemo le nostre soddisfazioni.