Lo squillo di Giaimi a cronometro, un anticipo per il 2025

21.10.2024
5 min
Salva

Non avrà più il fascino del secolo scorso, delle sfide infuocate fra Merckx e Gimondi o fra Hinault e Moser, ma la Chrono des Nations resta sempre un appuntamento di prestigio per chi ama confrontarsi contro il cronometro. Soprattutto per le categorie inferiori. Luca Giaimi ne aveva fatto un obiettivo primario un po’ forzato, scaturito dall’andamento ondivago della sua prima stagione da U23. Ma alla fine il secondo posto di caregoria rappresenta tanto, è una boccata di fiducia.

Il podio della prova U23, vinta da Soderqvist con 47″ su Giaimi e 48″ sul belga Vervenne (foto Guerin/DirectVelo)
Il podio della prova U23, vinta da Soderqvist con 47″ su Giaimi e 48″ sul belga Vervenne (foto Guerin/DirectVelo)

Sotto il diluvio veneto, dove si trova per le ultime classiche italiane della stagione, il portacolori del devo team della Uae parte proprio dal podio transalpino per analizzare la sua stagione: «Era una conferma alla quale tenevo particolarmente. Ho chiesto espressamente di affrontare la trasferta prima di venire in Veneto, perché quest’anno non avevo potuto fare cronometro dal Giro Next Gen. E soprattutto ho voluto lavorarci sopra, volevo vedere quale livello posso raggiungere. Ho cercato di prepararla, Matxin mi ha dato l’opportunità di farlo credendo in questo mio piccolo progetto e il risultato mi ha dato le risposte che cercavo».

Ti si era un po’ perso di vista…

Effettivamente quest’anno ho corso poco e senza grandi risultati soprattutto nella prima parte, infatti sapevo che non sarei andato né agli europei né ai mondiali. Ho lavorato molto in allenamento anche se le gare non andavano bene, anche per questo avevo bisogno di un risultato in chiusura di stagione.

In Francia l’azzurro ha confermato la sua ottima propensione per le gare contro il tempo
In Francia l’azzurro ha confermato la sua ottima propensione per le gare contro il tempo
Come giudichi quest’annata?

Direi a due facce. Fino a luglio mi è pesata tantissimo la scuola, infatti ho potuto gareggiare poco e soprattutto inseguivo sempre la miglior condizione. Mi sentivo inferiore agli altri, d’altronde mi ero messo d’impegno con lo studio per finire bene e la squadra mi ha dato mano libera in tal senso. Ad agosto ho voluto un cambio di rotta e ho trovato in Alessandro Covi un grande amico oltre che una guida in allenamento. Ci alleniamo a Varese e dintorni dove c’è davvero ogni tipo di percorso. Sto cambiando il mio modo di vivere, entrando sempre più nella mentalità del ciclista a tempo pieno.

Tu quest’anno hai fatto già un buon numero di gare con la squadra WorldTour. Quanto cambia rispetto al tuo team abituale?

Molto, si impara tanto. Soprattutto il modo di avviare le corse, il lavoro che c’è nella prima parte sia per mandare avanti la fuga o per ovviare se non ci si è entrati. Io sono stato deputato proprio al lavoro in avvio delle gare, per questo ad esempio nelle classiche italiane mi sono ritirato. Serve molto per acquisire quel ritmo che è molto diverso da quello a cui siamo abituati. Faccio un esempio: la Parigi-Tours con i suoi 213 chilometri è la gara più lunga che abbia mai percorso. Anzi posso dire: il giorno nel quale ho coperto più chilometri in tutta la mia vita…

Il ligure, al suo primo anno nel devo team della Uae, ha fatto molta esperienza con il team WT
Il ligure, al suo primo anno nel devo team della Uae, ha fatto molta esperienza con il team WT
Il fatto che la squadra ti abbia chiamato in causa tante volte è però un sintomo di grande fiducia. Che cosa significa far parte dello stesso team di Pogacar e quindi vivere, anche se non direttamente, il suoi trionfi?

Sicuramente aiuta il morale. Io credo che la forza del team sia la sua coesione. I suoi successi ti portano ad attaccarti sempre più alla maglia. Io non ho avuto la possibilità di correre ancora con lui, ma ho gareggiato insieme a grandi campioni, ad esempio Hirschi. Standoci insieme, si ha l’opportunità di imparare tantissimo, per noi giovani è un plus.

Tornando a te, avrai altre occasioni per gareggiare con i “grandi”?

Mi hanno già detto di sì, anzi saranno sempre di più le occasioni e questo è sinonimo di fiducia. Ci saranno tante gare con la squadra del WorldTour, per aumentare la mia esperienza. So che il mio lavoro viene apprezzato sempre di più e questo vale molto perché nel team c’è molta competitività: se non vai forte, la squadra non ti convoca…

32 giorni di gara per Giaimi, con il 4° posto al GP Kranj come miglior risultato oltre a quello in Francia
32 giorni di gara per Giaimi, con il 4° posto al GP Kranj come miglior risultato oltre a quello in Francia
Perché non sei stato in Danimarca per i mondiali su pista?

Diciamo che un po’ è colpa mia. Villa ha chiesto di partecipare ai ritiri, ma tra corse e preparazione della crono non potevo dare le garanzie che chiedeva. Mi serviva fare questo percorso di carriera. Mi sarebbe piaciuto esserci, ma per farlo devi essere davvero al 100 per cento e con la pista ora non ho il necessario feeling.

Ma continuerai con la pista?

Certo, basterà trovare i giusti spazi nei rispettivi calendari per fare tutto al meglio. La squadra è perfettamente d’accordo che segua entrambi i percorsi, io alla pista tengo molto e soprattutto a percorrere una strada che possa portarmi a Los Angeles 2028 che è un mio obiettivo.

Per il corridore di Alassio tanto lavoro per i compagni. Ci saranno occasioni per vederlo leader?
Per il corridore di Alassio tanto lavoro per i compagni. Ci saranno occasioni per vederlo leader?
Tu spesso parli di lavorare per gli altri e della soddisfazione del team per il tuo apporto per la causa comune. Non temi però di essere identificato sempre più in un corridore che aiuta e non in uno che può mettere la propria firma sulle corse?

Le occasioni arrivano, bisogna farsi trovare pronti quando accadrà, fisicamente ma anche come esperienza. Alla Parigi-Tours, ad esempio non c’era un leader prestabilito, tutti correvano per procacciarsi la propria chance. Io troverò i miei spazi, ma devo ancora crescere…

Mondiale e Lombardia: la doppietta di Pogacar e i ricordi di Bettini

21.10.2024
5 min
Salva

Tadej Pogacar ha concluso una stagione da primo della classe e lo ha fatto vincendo il suo quarto Giro di Lombardia. Allo sloveno è riuscita una doppietta che nel ciclismo mancava dal 2006, ovvero quella di mondiale e Giro di Lombardia. L’ultimo a riuscirci fu Paolo Bettini in maglia QuickStep, anche se quella del corridore di Cecina fu una doppietta particolare.

«Quando Pogacar ha detto di voler saltare la Vuelta per preparare il finale di stagione – dice Bettini – sapevo che il mio record avrebbe avuto vita breve. La stagione che ha fatto è davanti agli occhi di tutti, in più arrivava al mondiale e al Lombardia super carico. Però nello sport è così, le statistiche sono fatte per essere aggiornate».

Pogacar e Bettini hanno vinto entrambi il Lombardia in maglia iridata, ma con umori completamente differenti
Pogacar e Bettini hanno vinto entrambi il Lombardia in maglia iridata, ma con umori completamente differenti

Gestione opposta

Il parallelismo tra la doppietta mondiale e Lombardia di Bettini e quella di Pogacar si accostano a malapena. Bettini arrivò all’appuntamento iridato pronto e riuscì a vincerlo, ma poi la scomparsa del fratello Sauro pochi giorni dopo lo gettò in un oblio. La vittoria del Lombardia fu diversa da quella che è la gestione normale di una gara

«Pogacar e io – spiega il toscano due volte iridato – abbiamo avuto una gestione completamente opposta dei due momenti. Lui è un fenomeno che corre e vince, in più se non deve fare conti con infortuni o altro diventa imbattibile. Ricordiamoci che dopo la caduta della Liegi è andato al Tour ed è arrivato secondo. Quest’anno ha avuto una stagione perfetta, al contrario dei suoi avversari, ed ha vinto tutto quello che c’era sul piatto.

«Io al mondiale di Salisburgo – continua – arrivavo in condizione, ma su un percorso che non era esattamente l’ideale. Ero uno dei favoriti ma non il grande favorito, come invece era Pogacar a Zurigo. Sono riuscito a vincere allo sprint, ma otto giorni dopo, la scomparsa di mio fratello ha come cancellato tutto. Compagni e diesse mi hanno rimesso in bici e a quel Lombardia andai con l’intento di farlo durare il meno possibile. Nel mio immaginario sarei dovuto passare sul Ghisallo staccato, regalare la maglia iridata alla chiesetta e poi tornare a casa. Invece è andata come tutti ricordiamo (in apertura Bettini in lacrime dedica la vittoria al fratello scomparso pochi giorni prima».

Un anno prima

Parlando con Bettini emerge che il parallelismo viene meglio se si guarda all’anno precedente, il 2005. Il toscano non vinse la prova iridata di Madrid, ma poi vinse il Gran Premio di Zurigo, fece secondo al G.P. Beghelli e si portò a casa il primo Giro di Lombardia della sua carriera.

«Se guardiamo alla gestione dei grandi appuntamenti – spiega Bettini – e a come si vivono certi momenti di condizione, direi che il 2005 è l’anno giusto da prendere in considerazione. Al mondiale di Madrid arrivavo carico e in forma incredibile, fu uno dei giorni in cui andai più forte nell’arco della mia carriera. La delusione fu grande, ma la consapevolezza di essere forte mi spinse a presentarmi a Zurigo più agguerrito che mai. Vinto lì, arrivai al Lombardia certo delle mie forze, tanto da dichiarare che se non lo avessi vinto in quell’occasione non lo avrei fatto più. 

«Come Pogacar avevo preparato al meglio il finale di stagione – prosegue – ma non vinsi il mondiale. In certi casi però, la sconfitta e la vittoria si accomunano nella testa degli atleti. Vincere ti dà una scarica di adrenalina talmente grande che rischi di scaricarti. Al contrario la delusione della sconfitta può farti perdere motivazione. I grandi corridori, invece, riconoscono il momento di condizione e lo sfruttano fino in fondo. Anzi, si divertono nel farlo. Per questo dico che nel 2005 il paragone tra Pogacar e me ha più senso».

Pogacar ha sfruttato fino in fondo l’ottima condizione, i grandi corridori cercano di cogliere sempre l’occasione
Pogacar ha sfruttato fino in fondo l’ottima condizione, i grandi corridori cercano di cogliere sempre l’occasione

Picchi di forma

Quando un grande corridore sta bene, la sua mente è portata a ricercare il massimo della concentrazione, quello che c’è all’esterno quasi non esiste. 

«Tra Pogacar e me – conclude continuando il discorso Bettini – il paragone rimane sui picchi di forma e la consapevolezza di essere forte. Io andai alla Vuelta per preparare gli ultimi mesi dell’anno, lui invece dopo il Tour è rimasto a casa. Ma la sostanza non cambia. Entrambi ci siamo presentati a fine settembre con una gamba super. La vittoria di Zurigo ha spinto Pogacar a continuare e raccogliere ancora risultati, al contrario la sconfitta di Madrid mi fece tirare fuori ancora più grinta. C’è una cosa da dire, al di là di sconfitte e vittorie: quando un grande corridore sa di essere in forma non esistono feste o altre distrazioni. Quando mi rendevo conto di andare forte, abbassavo la testa e mi godevo il momento. Penso che anche per Pogacar sia così. E’ un po’ lo spartiacque psicologico tra il corridore e il campione».

Un soffio fra l’argento e l’oro: il giorno dopo di Consonni

20.10.2024
6 min
Salva

Il giorno dopo ha la pacatezza dell’adrenalina che si è depositata sul fondo e aspetta semmai di tornare su. Per Simone Consonni quest’ultima giornata dei mondiali pista di Ballerup (Copenhagen) significa dover ancora affrontare la madison con Elia Viviani, che ha appena colto l’argento nell’eliminazione. Ieri l’argento dell’omnium ha spalancato una finestra sul futuro della specialità che finora è stata appannaggio del veronese. I trent’anni di oggi, compiuti il 12 settembre, saranno 34 a Los Angeles 2028 e potrebbero consentirgli di puntare a un ultimo grande obiettivo su pista.

Nonostante si celebrino più spesso gli altri, nella sua bacheca brillano un oro, un argento e un bronzo alle Olimpiadi. Un mondiale nel quartetto più altre nove medaglie fra argento e bronzo. Due titoli europei e otto medaglie fra argento e bronzo. Uno forte, niente da dire. Uno forte che non se la tira neanche un po’.

Simone è ancora in hotel, mentre si sta preparando per andare in pista. Ieri su Instagram sua moglie Alice ha scritto un post che la diceva lunga sulla tensione con cui dagli spalti si è vissuta la rincorsa alla medaglia: «Non so chi era più finito dopo 8h in pista… (forse io). Che dirti… Non c’è molto da dire, ti conosco troppo bene e so che appena passato il traguardo e guardato il tabellone hai avuto un momento di sconforto, avrai pensato a quella maglia lì sempre così vicina ma che pare veramente irraggiungibile, ma io sono sicura che tutto può arrivare per qualcuno che si impegna e ci prova come te!».

Questo argento nell’omnium può essere davvero un bel progetto su cui ragionare?

L’omnium mi è sempre piaciuto e quando non c’era Elia ho tirato fuori delle buone cose. Ai mondiali di Apeldoorn nel 2018 ho vinto il bronzo. Agli europei di Monaco e poi a Grenchen l’anno scorso ho preso l’argento, per giunta dietro Ben Thomas, che sappiamo tutti quanto valga. E quindi mi dico: «Perché no?». Non voglio non voglio pormi limiti, altrimenti perdi di sicuro. Voglio godermi tappa per tappa e cercare di fare il massimo possibile per me stesso. Insomma, si parla tanto di ricambio generazionale, ma finché riesco a portare la medaglia, vuole dire che posso andare avanti. Penso che alla fine uno che porta medaglie lo schieri anche se ha 50 anni.

Consonni era partito per vincere ed è stato in testa all’omnium, poi De Vylder ha azzeccato la mossa giusta
Consonni era partito per vincere ed è stato in testa all’omnium, poi De Vylder ha azzeccato la mossa giusta
Piano buttarsi giù, non sei fra i pensionabili…

No, però sono ormai nella metà… alta. Dopo Scartezzini e Viviani, arrivo io. Però vi ripeto: la carta d’identità non è un limite. Anzi magari, per come si è visto in questi ultimi tempi, per l’omnium e come si corre, serve esperienza. Ma io sono convinto che, indipendentemente che uno abbia 19 anni o 39, se porta medaglie e fa le prestazioni, l’età non conta.

Il mondiale dopo le Olimpiadi. Alcuni hanno rinunciato alla pista, è stato difficile tenere la concentrazione?

E’ stato facile! Mi diverto quando vado in giro con questo gruppo. Passatemi il termine: mi sembra di essere in vacanza. Non mi pesa minimamente, quindi ho voluto esserci. Ho parlato con Marco Villa della possibilità di concentrarmi bene sull’omnium perché volevo vincere questa maglia, che mi manca da singolo. Ho vinto medaglie olimpiche e mondiali nel quartetto o nella madison, sono sempre salito in compagnia di qualcun altro. Nella mia testa ora c’è la voglia di far vedere che posso conquistare una maglia iridata da me. Non tanto per farlo vedere agli altri o per dimostrare chissà cosa. E’ una cosa che voglio, cui tengo per me stesso.

Consonni in mezzo alle donne della sua vita: la moglie Alice, sua mamma Michela e la sorella Chiara
Consonni in mezzo alle donne della sua vita: la moglie Alice, sua mamma Michela e la sorella Chiara
Volevi vincere, il belga è stato più forte. Come è andata?

Nell’omnium, adesso come adesso, le gambe sono vicine per tutti. Nella corsa a punti, De Vylder è partito a 20 punti da me, quindi era il meno curato. In questa specialità si dice che forse è meglio partire un tantino indietro e cercare la fortuna così è stato. Lui è stato forte e bravo a cogliere le occasioni e si è meritato un bell’omnium, veramente incerto e chiuso.

Chiuso?

Si parlava anche con i ragazzi del fatto che solitamente il mondiale dopo l’Olimpiade è sempre un po’ più aperto, più tranquillo, vengono tutti un po’ più scarichi. Invece sia nei quartetti per i primi due posti, sia nell’inseguimento individuale si sono visti tempi da far paura. E’ stata una roba impressionante, quasi… schifosa, passatemi il termine anche in questo caso. La verità è che nelle varie prove, devi andare sempre forte uguale. Per questo dico che l’omnium è stato chiuso, perché eravamo molto vicini tra noi. Quindi è stato un peccato, perché per come si era messo, ci credevo.

Se davvero la pista non ti pesa, si può dire che questo sia il posto in cui Simone può venir fuori per sé, mentre su strada il ruolo ormai è un altro?

Sì, dai, si può dire. Nel ciclismo di oggi anche quello che sto ricoprendo su strada è un ruolo importante, mi piace quello che faccio. Mi piace aver trovato nuovi stimoli e per questo dico che il 2024 è stato una stagione positiva. Manca ancora una corsa per la quale partiamo senza stress. L’obiettivo è sempre far bene. L’omnium ieri è stato abbastanza faticoso, dopo le fatiche del quartetto. Partiamo senza stress con il tiro puntato in alto. Quindi andrò a Londra con Elia la prossima settimana e poi, ragazzi, poi finalmente si va in vacanza…

De Pretto, un anno in più: il giovane cresce e sogna in grande

20.10.2024
5 min
Salva

TORINO – Se tanti in gruppo gli dicono «Bravo, giovane», un motivo ci sarà. La prima stagione nel WorldTour per Davide De Pretto è stata tutta una scoperta, ma il ventiduenne di Thiene ha dimostrato di avere stoffa. Basti pensare che, pochi giorni dopo la chiacchierata con noi, ha sfiorato il podio del Giro del Veneto, chiuso al 4° posto. Senza dimenticare il primo hurrà tra i grandi al Giro d’Austria a luglio.

Come ci ha raccontato Luka Mezgec, arriverà il tempo in cui lo vedremo a braccia alzate in corse di spessore. Ma per il momento godiamoci, pedalata dopo pedalata, questo talento in erba e ci facciamo raccontare che cosa vuol dire limare tra i grandi verso le posizioni che contano.

Il 3 luglio a Bad Tatzmannsdorf arriva la prima vittoria da pro’ su Oliveira (foto Tour of Austria)
Il 3 luglio a Bad Tatzmannsdorf arriva la prima vittoria da pro’ su Oliveira (foto Tour of Austria)
Raccontaci la tua prima volta al Lombardia: com’è stata?

Impegnativa, senza dubbio. Sapevo che sarebbe stata una gara dura, ma ci sono arrivato preparato. Come squadra, forse ci aspettavamo qualcosa di più. Il mio lavoro era tenere davanti i miei compagni fino all’ultima salita lunga, poi io ho fatto il mio ritmo. Comunque, è stata una bella esperienza per il futuro.

Era come lo sognavi?

L’anno scorso ero andato all’arrivo del Lombardia e, vedendo vincere Pogacar, mi sono detto: «Sarebbe bello fare questa gara l’anno prossimo». In realtà, avevo fatto anche la Sanremo in primavera ed era stata anche quella una bella avventura.

Hai aperto e chiuso con due Monumento una stagione da ricordare: è quello che ti aspettavi dalla tua prima da pro’?

In realtà, non mi aspettavo tutti questi risultati da subito, già da gennaio. Sin dall’Oman, ho capito che potevo dire la mia e sono riuscito poi a mantenere la condizione per tutta la stagione.

Il 2024 di De Pretto è iniziato con la Sanremo e ha visto anche il Lombardia, corso in appoggio ai compagni
Il 2024 di De Pretto è iniziato con la Sanremo e ha visto anche il Lombardia, corso in appoggio ai compagni
Ci spieghi che cosa cambia col grande salto nel WorldTour?

L’organizzazione delle squadre prima di tutto. Sei seguito in ogni piccolo particolare, soprattutto negli allenamenti, monitorato dai fisio e ti controllano dai piedi alla testa. Ognuno viene trattato allo stesso livello, senza che il palmares abbia un peso.

Hai fatto più o meno chilometri dello scorso anno?

Secondo me qualcuno in meno come totale, tipo 2.000 in meno, però quest’anno ho corso decisamente di più. Mi sono divertito molto ed essere al via con la maglia di una squadra importante è stato davvero stimolante.

Chi è il corridore che ti ha insegnato di più o che ti ha colpito?

Le prime gare mi guardavo attorno e scovavo corridori che ero abituato a seguire la tv. Mi ricordo ad esempio che mi ha impressionato Mohoric in Spagna, quando è andato via in discesa e ha vinto alla Vuelta Valenciana. Oppure in un’altra occasione McNulty. Poi ci fai l’abitudine, a forza di correrci insieme e cominci a pensare a te stesso. 

Ti piace come ti ha accolto il gruppo?

Sì, in tanti mi dicono: «Bravo, giovane». Essendo neopro’, è così che vengo chiamato da chi è già nel circuito da qualche annetto. Sanno che posso essere pericoloso perché ho iniziato a farmi notare.

Dopo le top 10 al Pantani e al Matteotti, De Pretto ha partecipato al mondiali U23, ma non li ha terminati a causa del freddo
Dopo le top 10 al Pantani e al Matteotti, De Pretto ha partecipato al mondiali U23, ma non li ha terminati a causa del freddo
Che cosa ti aspetta nel futuro prossimo?

Un po’ di vacanza in Kenya con la mia fidanzata Elisa (con lui nella foto di apertura dopo il quarto posto al Giro del Veneto, ndr). Ci conosciamo dalle medie e quest’anno mi ha seguito praticamente ovunque, sin dalle corse di inizio stagione in Spagna. Per cui ora voglio godermi qualche giorno di relax con lei per arrivare all’anno prossimo ancora più carico.

Piani per il 2025?

Spero di fare il primo Grande Giro della mia carriera e mi auguro sia proprio il Giro d’Italia. Poi sarebbe bello qualche vittoria o podio importante in gare che contano. Ci saranno nuovi corridori in squadra, per cui sono pronto ad aiutarli.

Ti stuzzicano arrivi come quelli di Ben O’Connor e Koen Bouwman?

Ho incrociato Ben alle visite qui a Torino e abbiamo cominciato a conoscerci. Lui come Koen sono corridori importanti e ti stimola anche aiutarli perché sai che possono ottenere buoni risultati.

Ti senti più uomo da classiche o da Grandi Giri?

L’anno prossimo spero di testarmi sulle tre settimane così vedremo. Per ora mi trovo bene nelle gare a tappe più corte, quelle di una settimana, poi nelle gare di un giorno ravvicinate l’una all’altra ho visto che se ho un recupero in mezzo di uno o due giorni, riesco a farmi trovare pronto. 

Una settimana dopo il ritiro dal mondiale U23, per De Pretto è venuto l’ottavo posto alla Coppa Agostoni
Una settimana dopo il ritiro dal mondiale U23, De Pretto è arrivato ottavo alla Coppa Agostoni
Sogni nel cassetto?

Ho fatto la Sanremo quest’anno e sono arrivato nel secondo gruppo, a 30 secondi dal primo. Quindi, direi che è una gara che mi si addice. Sarebbe un sogno, perché sono quelle vittorie che ti svoltano la carriera.

Hai chiesto qualche consiglio a Matthews che l’ha sfiorata a ripetizione?

Non l’ho visto tanto in verità, perché abbiamo fatto un calendario abbastanza diverso. Però, ero presente quando ha fatto 2° alla Sanremo lo scorso marzo. Era dispiaciuto, ma anche contento perché un secondo posto in una Monumento è pur sempre un bel traguardo. E’ un ragazzo come gli altri, molto tranquillo e disponibile.

La Sanremo dal 2025 aprirà anche alle donne: il tuo commento?

Penso che oramai tutte le gare più importanti abbiano una versione femminile, per cui questo è un altro bel passo in avanti.

Ai giovani che sono lì per fare il salto da pro’, che consiglio daresti?

Di prepararsi bene durante l’inverno, poi fare sempre le cose fatte bene e i risultati si manifestano già nel corso della stagione. Non bisogna mai aver fretta e lavorare duro ogni giorno.

Cinque saluti particolari (ma di cuore) a Pozzovivo

20.10.2024
7 min
Salva

La settimana scorsa, tagliando il traguardo di Como al Lombardia, Domenico Pozzovivo ha chiuso la sua carriera. Dopo 20 stagioni da professionista lo scalatore lucano ha detto basta. Tredici vittorie, 42 anni, tante cadute, mille problemi, ma una grinta e un cuore grosso così lo hanno reso uno dei corridori più amati in assoluto. Splendido (e doveroso) l’omaggio che il gruppo gli ha riservato a Roma nel finale del Giro d’Italia.

Pozzovivo è da tutti giudicato come un esempio. Un esempio di abnegazione, perseveranza, educazione. E fino alla fine è rimasto a livelli altissimi, proprio per questa sua devozione verso la vita da corridore.

Riallacciandoci a quell’omaggio del Giro, vi proponiamo cinque saluti di cinque personaggi che “Pozzo” ha incrociato lungo la sua carriera.

Giro del 2013, Pozzovivo trionfa a Lago Laceno. È la sua vittoria più importante e l’ha ottenuta con la maglia di Reverberi
Giro del 2013, Pozzovivo trionfa a Lago Laceno. È la sua vittoria più importante e l’ha ottenuta con la maglia di Reverberi

Dall’inizio alla fine

Non possiamo non partire da Roberto Reverberi. Il manager e direttore sportivo della VF Group-Bardiani si ritrovò Domenico già nel 2005 quando iniziò la sua avventura tra i professionisti. All’epoca la sua squadra si chiamava Ceramica Panaria. Domenico vi restò otto anni e dopo 11 ci è ritornato per chiudere.

«Un ricordo del Pozzo? Tutti i rimproveri che si è preso in questi anni! All’inizio, quando era giovane, andava un po’ guidato, però professionalmente è stato il numero uno e potrebbe correre altri due anni, proprio perché si sa gestire benissimo. Vi dico questa: dopo l’ultimo Memorial Pantani è partito immediatamente per l’Etna. Voleva fare un po’ di altura per il Lombardia. Pensate che concentrazione fino alla fine».

Una volta noi stessi assistemmo ad un siparietto tra Reverberi e Pozzovivo. Si era al Cicalino, la tenuta toscana dove la squadra di Reverberi va abitualmente in ritiro. Nel pomeriggio, al termine di un allenamento, Roberto aprì il frigo e prese uno yogurt. Poco dopo arrivò Domenico. Andò al frigo e non trovò il suo yogurt. «Chi lo ha preso?». Nessuno rispondeva. Roberto rideva sotto i baffi. «Ma non fu l’unico caso. Una volta gli presi dei fiocchi di riso. Fiocchi particolari».

«La prima volta che incontrai Pozzovivo fu al Giro d’Abruzzo. Lui non era in gara. Aveva 18 anni e l’anno dopo sarebbe passato under 23. Era nella mitica Volvo di Olivano Locatelli. Pensavo fosse suo figlio. Invece Olivano mi disse: “Vedi questo ragazzino? Un giorno vincerà il Giro d’Italia”. Mi voltai ed era davvero un bambino. Sembrava avesse 13 anni. Qualche anno dopo me lo ritrovai in squadra».

Al Lombardia l’organizzazione ha regalato a Domenico e sua moglie Valentina un body-ricordo per il nascituro di casa Pozzovivo
Al Lombardia l’organizzazione ha regalato a Domenico e sua moglie Valentina un body-ricordo per il nascituro di casa Pozzovivo

Lo scalatore e il velocista

Un po’ come il diavolo e l’acqua santa. Uno alto e sprinter, l’altro basso e scalatore. Cosa c’entra Alessandro Petacchi con Domenico Pozzovivo? Probabilmente nulla, se non che spesso sono stati agli antipodi e protagonisti, in modo diverso, di molti Giri d’Italia e Tirreno-Adriatico.

«In effetti siamo stati due corridori completamente diversi, agli opposti direi: lui un piccolo scalatore, io un velocista alto. Però Pozzo mi è sempre piaciuto, spesso lo andavo a cercare e adesso mi è capitato di commentare le sue gare.

«Credo che Pozzovivo sia un esempio di grande professionalità e un ragazzo educatissimo. Ha dimostrato sempre di rialzarsi ad ogni difficoltà, non ha mai mollato… e ne ha avute di occasioni per dire basta. Negli ultimi anni l’abbiamo visto correre con un gomito in condizioni pessime, ma questo non lo ha scalfito. Me lo ricordo in una gara a tappe che non poteva alzarsi sui pedali proprio per il problema al gomito. Domenico è stato la personificazione della sofferenza del ciclista, di cosa vuol dire correre in bici. Credo non abbia mai avuto bisogno di un preparatore o di un nutrizionista, tanto era preparato e informato.

«Domenico deve essere l’esempio per i giovani. Magari per Pellizzari che si è ritrovato un compagno come lui: spero che Giulio ne faccia tesoro».

Gasparotto e Pozzovivo nell’arrivo della Liegi 2018. Il lucano precedette il compagno di squadra. Tra i due c’è grande rispetto
Gasparotto e Pozzovivo nell’arrivo della Liegi 2018. Il lucano precedette il compagno di squadra. Tra i due c’è grande rispetto

Rivale e compagno

C’è poi Enrico Gasparotto, oggi diesse della Red Bull-Bora Hansgrohe. I due sono stati compagni prima alla Bahrain e poi alla NTT. Si conoscevano da anni, da quando battagliavano tra gli under 23.

«Cosa dire su Pozzo? Siamo stati compagni di squadra, abbiamo condiviso allenamenti, camere e qualche volta i barbecue al lago a casa mia. All’inizio abbiamo avuto un rapporto di amicizia vera e profonda, poi un po’ questa si è incrinata per la storia del piazzamento alla Liegi del 2018. Lui fece quinto, io sesto passandomi sulla linea d’arrivo. Però c’è sempre stato mutuo rispetto e gli ho sempre voluto bene».

Gasparotto è stato anche un amico e confidente in qualche modo. Essendo entrambi di stanza a Lugano, Enrico è stato parecchio vicino a Domenico dopo l’ultimo grave incidente.

«Quando ha avuto l’incidente si stava allenando dalle sue parti. Lo abbiamo aiutato per farlo rientrare in Svizzera con l’eliambulanza. Passò diverse giornate in ospedale a Lugano, dove fu operato. Andavo a trovarlo e qualche volta, quando era solo, lo imboccavo in quanto non poteva muovere le braccia.

«Gli ho consigliato di non rischiare dopo il grave infortunio che ha avuto al braccio, di cercare di inventarsi qualcos’altro nella vita e di non insistere troppo col ciclismo, perché poteva essere pericoloso per lui in quelle condizioni. Magari queste cose dette in maniera brutale gli hanno fatto un po’ male, ma gliele ho dette perché non avrei mai voluto vivere un altro momento simile. Volevo fargli capire quanto era importante la vita anche dopo il ciclismo».

Il vecchio e il giovane: Fortunato Baliani ha accolto con amicizia Pozzovivo ai tempi della Panaria
Il vecchio e il giovane: Fortunato Baliani ha accolto con amicizia Pozzovivo ai tempi della Panaria

Il testimone di nozze

Ricordate Fortunato Baliani? Un “gregarione”, un attaccante che non mollava la presa. Lui ha qualche anno in più di Pozzovivo, ma tra i due ci fu subito un bel feeling. Oggi Baliani gestisce una pizzeria nei pressi di Spoleto e di “Pozzo” è ancora molto amico, tanto che è stato il suo testimone di nozze.

«Conoscendolo bene, per lui questo addio è una mezza morte. So quanto ama il ciclismo e il suo mestiere. Spero possa restare nell’ambiente a differenza di me. So che lui ci tiene. Come è nata la nostra amicizia? Io l’ho accolto quando arrivò in Panaria. Facemmo un primo ritiro insieme a Fuerteventura, poi un altro e un altro ancora. Eravamo sempre in stanza insieme. E anche quando ci ritrovammo in team diversi continuammo a sentirci e a prenderci in giro.

«Gli ricordo spesso quando lo battei sul Maniva al Brixia Tour… E sì che lui in salita era molto più forte di me! Io feci primo e lui secondo. Ma gli andò bene perché vinse la generale».

Una domenica, noi stessi, incontrammo Pozzovivo in una granfondo a Rieti, non lontano da Spoleto. Gli chiedemmo cosa ci facesse da quelle parti e ci disse che ne aveva approfittato in quanto era a casa di Baliani. 

«Domenico veniva spesso da me anche d’estate. Io avevo una casa a Castelluccio di Norcia e andavamo in ritiro lassù. La prima volta era il 2008. Gli piacque talmente tanto che ci tornò anche negli anni successivi».

Giro 2023: un selfie tra lucani. Verre con il suo mito…
Giro 2023: un selfie tra lucani. Verre con il suo mito…

L’erede

Chiudiamo con un saluto particolare, quello di Alessandro Verre. Il corridore dell’Arkea-B&B Hotels ha tanti punti in comune con Pozzovivo a partire dalla terra di provenienza e dall’essere scalatore. In qualche modo Alessandro è cresciuto nel mito di Pozzo.

«Ho conosciuto Domenico di persona abbastanza tardi, al Laigueglia del 2022 al mio primo anno da pro’. Eravamo appena partiti e mi sentii gridare: “Uè giovane”. Iniziammo a parlare. Siamo entrambi lucani, ma non abbiamo mai avuto tante occasioni per stare assieme».

I due si sono allenati insieme per la prima volta solo lo scorso gennaio: «Era maltempo a casa mia, in Val d’Agri. Così ho deciso di andare verso il mare con la macchina per poi partire in bici da Montalbano Ionico, il suo paese di origine. Domenico era in Calabria dalla moglie e mi ha raggiunto. Quel giorno abbiamo fatto 4 ore. Nonostante non sia più un neoprofessionista ammetto che ho ancora quell’emozione nel vederlo e nello stare con lui. Il rammarico di quel giorno è che non feci nemmeno una foto ricordo.

«Un’altra cosa che mi ha colpito riguarda la sua professionalità: un fatto avvenuto durante il Giro di quest’anno. La tappa arrivava a Napoli, dove il giorno dopo avremmo fatto il riposo. In gruppo, tutti desideravano mangiare la pizza quella sera, ma quando andai da Domenico per scambiare due chiacchiere mi disse che avrebbe digiunato fino al giorno successivo, che era una sua abitudine per “pulirsi” durante i grandi Giri».

«Ammetto che in tutti questi anni da quando sono pro’ ed ho corso contro di lui, ho sempre avuto quello spirito di competizione di dover fare meglio. In fondo è stato il punto di riferimento che cercavo di copiare. In pochi hanno la sua esperienza e la sua preparazione. Quest’anno ci siamo ritrovati in ritiro sullo Stelvio. Quando ci siamo allenati insieme ho cercato di fargli più domande possibili.

«Quella che vedete sopra, è l’unica volta che gli ho chiesto di fare una foto: eravamo alla presentazione del Giro 2023. Ora che realizzo davvero, penso proprio che mi mancherà il prossimo anno».

Storer: rinato alla Tudor sotto lo sguardo attento di Tosatto

20.10.2024
5 min
Salva

La stagione 2024 della Tudor Pro Cycling è terminata per quanto riguarda il calendario di corse, ma non negli appuntamenti. Tra qualche giorno è previsto un raduno in Svizzera, nel quartier generale del team, per parlare di futuro e 2025. Poi ci sarà il “liberi tutti” e sarà tempo di pensare alle vacanze e al riposo di fine stagione

«Saranno quattro giorni di raduno – spiega Matteo Tosatto, diesse del team – dove organizzeremo il 2025. I corridori faranno le visite mediche, si parlerà un po’ dei vari programmi, ma soprattutto ci divertiremo un po’ che male non fa. I ragazzi avranno modo di vedere la sede principale, respirare l’aria degli uffici e della parte organizzativa. Anche perché poi è difficile ripassare da queste parti a stagione iniziata». 

Per Tosatto è stato il primo anno alla guida della Tudor Pro Cycling
Per Tosatto è stato il primo anno alla guida della Tudor Pro Cycling

La nuova avventura

Questa è stata la prima stagione per il diesse veneto alla Tudor Pro Cycling. Una nuova avventura arrivata al termine di sette anni marchiati Team Sky prima e Ineos Grenadiers poi. Prima di andare a parlare di corridori è doveroso chiedere a Matteo Tosatto come sia andata la sua stagione nella professional svizzera. 

«Molto bene – racconta – direi che il 2024 è stato un anno molto positivo. Abbiamo una bella realtà. Rispetto alla Ineos ci sono due filosofie di vita differenti, ma in Tudor c’è un grande ambiente e soprattutto è in costante miglioramento. Per il prossimo anno si respira una gran voglia di fare e di investire, per diventare una squadra di riferimento. La più grande differenza con la Ineos è che lì si partiva per vincere, anche in Tudor l’obiettivo è sempre quello, ma con la consapevolezza che in qualche gara può essere parecchio difficile. Noi vogliamo fare sempre bella figura e vivere la corsa da dentro, nelle posizioni che contano. A volte una top 10 o un piazzamento nei cinque vale una vittoria, o comunque è motivo di grande soddisfazione».

Il risultato migliore di Storer nell’arco di tutta la stagione è stato il decimo posto al Giro
Il risultato migliore di Storer nell’arco di tutta la stagione è stato il decimo posto al Giro
Con l’approccio verso i corridori che differenze hai trovato?

Qui ci sono molti giovani che devono fare esperienza, o comunque corridori che gareggiano in certi appuntamenti per la prima volta. Bisogna spiegare come si affrontano certi tratti, perché si deve stare davanti e soprattutto renderli sereni. Per fare ciò serve un grande lavoro mentale. 

Uno dei corridori che ha fatto una stagione positiva è Michael Storer, lui arrivava dal WorldTour e si è trovato in una formazione nuova, diversa. 

Prima di arrivare qui, Storer ha corso in Groupama per due anni, e ancora prima era alla Sunweb. E’ venuto da noi in Tudor consapevole dei suoi mezzi e delle difficoltà che aveva su certi percorsi. Tuttavia ha fatto un grande step a livello di qualità. Ha iniziato la stagione in Australia, nella corsa di casa, ma ha corso con la maglia della nazionale. Con noi è partito dal UAE Tour e ha portato a casa subito un sesto posto nella generale. 

L’australiano è andato forte tutto l’anno conquistando diverse top 10 nelle varie corse disputate
L’australiano è andato forte tutto l’anno conquistando diverse top 10 nelle varie corse disputate
Ha ottenuto i risultati migliori con te in ammiraglia, che punto di contatto avete trovato?

E’ un ragazzo molto tranquillo, uno che non chiede troppo al team. Direi che si è trovato in un ambiente in cui tutti hanno avuto la massima fiducia verso di lui, al 100 per cento. Ha trovato la serenità, e credo che questa sia la parola perfetta, per andare alle corse al meglio delle sue possibilità. 

Guardando ai risultati si può dire che la sua forza è stata la costanza. 

Il suo obiettivo stagionale era il Giro d’Italia, dal quale è uscito con una top 10 di tutto rispetto. La chiave è stata proprio la costanza: considerate che al primo arrivo in salita a Oropa è arrivato sesto, e alla tappa del Grappa nono. Anche una volta rientrato al Czech Tour e poi a Burgos ha mantenuto il trend positivo, con un sesto e un quinto posto nella generale. Storer ha trovato l’ambiente giusto, con compagni e staff ha una bella intesa. E questo gli ha permesso di essere sempre performante, dal primo febbraio ad ora. 

In salita Storer è sempre stato con i migliori, pagando solamente pochi secondi dai primi
In salita Storer è sempre stato con i migliori, pagando solamente pochi secondi dai primi
Si è visto, considerando anche il 13° posto al Lombardia…

Sulla Colma di Sormano insieme a Pogacar, Evenepoel e Mas c’era anche lui. In salita è uno dei primi e lo si è visto anche al Giro. Alla corsa rosa quando c’era selezione lui era lì con i primi. Un conto è arrivare decimo di rincorsa, un altro conto è arrivare decimo perché ci sei e reggi il confronto. 

Nel 2024 ha curato per la prima volta la classifica in una corsa di tre settimane, cosa gli manca per fare un ulteriore step?

Il suo più grande tallone d’Achille è la cronometro. Deve migliorare tanto nella posizione e nel fare sacrifici a casa allenandosi parecchio in questa disciplina. Se guardo ai minuti persi nelle due cronometro al Giro mi sento male. Per fortuna ha ampi margini di miglioramento, anche in altri punti.

Il suo vero punto debole è la cronometro, sulla quale dovrà lavorare in vista del 2025
Il suo vero punto debole è la cronometro, sulla quale dovrà lavorare in vista del 2025
Quali?

La posizione in gruppo è uno di questi. A volte corre troppo indietro e spende molto per risalire e riportarsi nelle prime posizioni. Storer ha un grande margine di crescita, per questo siamo molto fiduciosi. In più con l’arrivo di corridori forti ed esperti come Alaphilippe e Hirschi avrà modo di crescere e imparare da loro. Siamo contenti del team che si sta andando a formare e non vedo l’ora di lavorarci insieme. Ma prima le meritate vacanze.

Gavazzi: il mondo giù dalla bici e i consigli a Piganzoli

19.10.2024
6 min
Salva

«Diciamo che questo primo anno giù dalla bici me lo aspettavo più traumatico. Dopo una vita che ti alleni e hai sempre degli obiettivi a cui puntare, mi aspettavo un maggiore disorientamento. Invece a casa ho occupato bene il tempo con la famiglia e con la squadra ho viaggiato parecchio. Alla fine quello delle corse è stato il mio mondo per anni e non mi sono distaccato totalmente. Me lo sono goduto in maniera serena e felice. Il ciclismo mi manca, vero. Ma non ho mai detto: “Mi piacerebbe correre”. Questo vuol dire che ho smesso nel momento giusto. E che a questo sport ho dato quel che dovevo, fino all’ultimo».

A parlare è Francesco Gavazzi. Dopo 17 anni passati nel mondo del professionismo, l’anno scorso ha appeso la bici al chiodo, correndo la sua ultima gara in carriera alla Veneto Classic, in maglia Eolo-Kometa. Tuttavia il valtellinese non ha abbandonato il team, che nel frattempo è diventato Polti Kometa (in apertura, foto Maurizio Borserini). 

Francesco Gavazzi è rimasto vicino agli ex compagni di squadra, seguendoli per una sessantina di giorni di gara (foto Maurizio Borserini)
Francesco Gavazzi è rimasto vicino agli ex compagni di squadra, seguendoli per una sessantina di giorni di gara (foto Maurizio Borserini)

365 giorni dopo

Un anno dopo, quelle righe iniziali racchiudono il suo pensiero sull’addio al ciclismo e su questo 2024 vissuto nel team ma con un ruolo diverso. 

«Vivere le corse da fuori – continua Gavazzi – è bello, ho gestito l’area hospitality della squadra e mi sono goduto il ciclismo. Vedere un Giro d’Italia da fuori è fantastico, una festa continua. Te lo godi per l’evento che è: un viaggio bellissimo in bici nel nostro Paese. Mi sono goduto tante piccole cose che negli anni da corridore non potevo fare, ad esempio mangiare ogni prodotto tipico delle regioni in cui eravamo (ride, ndr). Poi in Polti ho un rapporto speciale con tutti, un’amicizia stretta che mi ha permesso di restare a contatto con i corridori. Mi piace parlare con loro prima di cena, sentire cosa pensano, quali sono le loro sensazioni. Mi sono sentito nel prosieguo della carriera agonistica ma senza la fatica di pedalare, che non è male (ride ancora, ndr). 

Davide Piganzoli (classe 2002) è arrivato a Roma 13° in classifica generale
Davide Piganzoli (classe 2002) è arrivato a Roma 13° in classifica generale
Tra i tanti ragazzi della Polti c’è un valtellinese come te: Piganzoli. L’anno scorso gli avevi lasciato dei consigli, quest’anno come lo hai ritrovato?

Proprio al Giro è andato forte, ha provato a tenere duro e fare classifica durante tutte e tre le settimane. In alcuni giorni ha un po’ pagato lo sforzo, non ha avuto la brillantezza per provare a vincere una tappa. Cosa che Pellizzari, altro giovane promettente come lui, ha fatto. 

Il tenere duro di Piganzoli lo ha messo meno sotto i riflettori. 

Sono scelte diverse. Pellizzari un giorno è stato male ed è uscito di classifica, la sua condotta di gara nell’ultima settimana è stata giusta. “Piga” invece non ha avuto giorni di crollo e ha fatto un Giro solido. Penso che la sua sia una stata una scelta utile in chiave futura. 

Piganzoli ha corso il Giro d’Italia provando a fare classifica, una scelta utile per il futuro
Piganzoli ha corso il Giro d’Italia provando a fare classifica, una scelta utile per il futuro
In che senso?

Voleva capire cosa voglia dire correre un Giro d’Italia per fare classifica. Gestire tre settimane di corsa è una cosa che non puoi capire finché non lo vivi. Da under 23 al Giro Next Gen o al Tour de l’Avenir al massimo corri per 9-10 giorni. Da un certo punto di vista la scelta di Piganzoli sarà utile perché nel 2025 lui saprà cosa aspettarsi dal Giro, Pellizzari meno. 

Poi eri anche all’Emilia, vero?

Sì. E lì Piganzoli ha fatto un numero esagerato. Lo ha pagato un po’ al Lombardia forse, più dal punto di vista psicologico. Nel senso che forse lui stesso si aspettava qualcosa in più dal punto di vista del risultato. Penso abbia pagato la distanza, d’altronde 250 chilometri non sono facili da digerire a 22 anni. C’è tempo per crescere. 

Dopo l’ottima prestazione dell’Emilia il valtellinese aveva buone aspettative per il Lombardia
Dopo l’ottima prestazione dell’Emilia il valtellinese aveva buone aspettative per il Lombardia
Perché dici che lo ha pagato dal punto di vista psicologico?

Finita la gara, sul pullman, non era il solito Piganzoli. Lui è uno che ride e scherza con tutti, ma sabato era scuro in volto. E’ un ragazzo molto ambizioso, con una mentalità da grande corridore. Quando sale in bici si trasforma. Mi ricorda un po’ Nibali per certi versi, vive le gare con tranquillità e con il giusto distacco, quello che non gli fa pesare il grande evento. 

Nelle gare di un giorno potrà dire la sua?

Penso che lo abbia dimostrato all’Emilia. Se c’è dislivello lui si mette in mostra e può fare molto bene. La batosta del Lombardia l’ha presa, ma questo perché lui da se stesso si aspetta tanto, come fanno tutti i grandi corridori. Ha preso le misure e ha capito cosa vuol dire correre in certe gare e cosa serve per essere competitivo. 

Ma per certi appuntamenti come il Lombardia servono ancora tanti chilometri e altrettanta esperienza
Ma per certi appuntamenti come il Lombardia servono ancora tanti chilometri e altrettanta esperienza
Visto che si è parlato di Pellizzari, lui andrà in una WT nel 2025, Piganzoli rimane da voi. Che ne pensi?

Credo che Piganzoli, ora come ora farebbe fatica in una formazione WorldTour buona. Non perché non abbia le qualità, anzi. Però negli squadroni è sempre complicato, soprattutto se non arrivi con un certo status. Qui da noi farà la Tirreno, il Giro e il Lombardia e avrà modo di tornare a queste gare come leader. C’è dell’altro. 

Cosa?

Credo che Piganzoli ora scalpiti per andare in una WorldTour, ma fare un altro anno con noi sarà utile. Se ne renderà conto in futuro. Lui è destinato a crescere e migliorare nei prossimi tre, quattro anni, è un fatto di sviluppo. E’ giovane e ha tanto da capire, anche tatticamente. In più fare il professionista non è solamente andare alle gare e pedalare, ma anche gestire la vita a casa e imparare a capire il proprio fisico. Magari un anno cambi preparazione per vedere se il tuo corpo reagisce meglio o se cresci in un certo aspetto. Si tratta di affinare. 

Un altro anno alla Polti sarà la via giusta per crescere e migliorare, in bici e fuori
Un altro anno alla Polti sarà la via giusta per crescere e migliorare, in bici e fuori
Insomma, servono i passi giusti. 

Assolutamente, anche perché il ciclismo ora è molto stressante, sia mentalmente che fisicamente. Tanti giovani fanno fatica, si abbattono e poi si arrendono. La differenza la fa la testa, oggi più di prima. Perché in tanti vanno forte, ma non tutti sono in grado di reggere la pressione. 

Lui sì?

Piganzoli si mette pressione da solo, ma non si fa travolgere da quella esterna. Però fino ad ora non è mai stato troppo sotto i riflettori. Mentre l’anno prossimo ci sarà gente che da lui si aspetta qualcosa e restare in un ambiente che conosce e che lo conosce gli farà solo bene.

Matteo Milan, le somme di fine stagione e le idee per il 2025

19.10.2024
6 min
Salva

Con l’europeo gravel di Asiago, anche Matteo Milan ha chiuso la prima stagione nel devo team della Lidl-Trek. C’era curiosità attorno al fratellino di Jonathan e la prima strategia messa in atto dalla squadra americana è stata farlo sentire desiderato per quello che è e non per suo fratello (in apertura i campionati italiani U23 di Trissimo, immagine photors.it). 

«Quello che ho apprezzato – conferma con la fluida parlata friulana – è stato che appena sono entrato mi hanno detto: “Ti abbiamo preso perché sei Matteo e non il fratello di Jonathan. Perché hai i numeri, perché crediamo in te e sappiamo che puoi far bene”. Questa cosa mi ha fatto super piacere e mi ha fatto credere in questa realtà».

Gli europei grave di Asiago sono stati l’ultimo impegno per il 2024 (foto Instagram/Matteo Milan)
Gli europei grave di Asiago sono stati l’ultimo impegno per il 2024 (foto Instagram/Matteo Milan)
Il tuo 2024 conta 55 giorni di corsa: non sono pochi.

Anche perché fatti senza ovviamente una grande corsa a tappe, per cui sono davvero tanti. Bisogna contare almeno tre giorni in più per ogni corsa, per cui sono stato davvero tanto fuori da casa.

Cosa ti pare di questo primo anno?

Sono entrato con un po’ di aspettative su me stesso e volevo dimostrare alla squadra di essere costante: un corridore solido. Volevo anche far vedere la mia personalità e credo che sono riuscito a tirarla fuori. Ho dimostrato di essere sempre presente e disponibile per tutte le corse. Mi sono messo a disposizione quando c’erano dei buchi, perché magari qualcuno si ammalava. Per questo ho partecipato a tre corse a tappe che non avevo in programma. Sono stato anche contento di questo, perché le opportunità escono così e infatti dopo sono usciti i risultati. E’ stato davvero bello entrare in una famiglia come la Lidl-Trek, in cui siamo trattati come professionisti.

Che calendario ti hanno proposto?

Ho corso spesso con i professionisti. Ovviamente il livello è altissimo, davvero uno step in più. Penso che quest’anno sia stato un rodaggio, perché non mi aspettavo di correre così tanto con i grandi e gli sforzi si sono fatti sentire. Quando fai cinque giorni di corsa a tappe con loro, come è successo al Giro di Danimarca, alla fine è bella tosta. Questo sicuramente mi ha dato una marcia in più e il prossimo anno voglio sfruttarla.

Pensi che l’adattamento più impegnativo sia atletico o legato allo stare in corsa?

Fisicamente non mi pare che ci siano stati grandi problemi. Il punto è capire come muoversi in corsa, gli sbagli che ho fatto e che farò, da cui dovrò imparare. Tra i professionisti si corre in modo diverso, bisogna limare di più. Se fai un errore, se ad esempio scatti troppo presto, stai sicuro che la paghi. Bisogna stare attenti a tutto e io credo di aver iniziato a capire come muovermi a fine stagione. Questo è lo step maggiore. Gestirsi, imparare a conoscersi bene e conoscere gli avversari. E come da questo tirare fuori alla fine un risultato.

Hai avuto un tecnico di riferimento?

Ognuno ha il suo, io ho Sebastian Andersen. Poi ho l’allenatore, che sempre fa parte della squadra, ed è Matteo Azzolini.

Ti sei chiesto se quest’inverno ci sarà da cambiare qualcosa per continuare a crescere?

Ci ho ragionato molto. Ho esaminato l’annata: quello su cui avevo puntato e quello su cui vorrei puntare. Voglio cambiare qualcosa, provare a specializzarmi. L’anno scorso ero entrato con idee non chiarissime sui miei obiettivi. Quest’anno ho visto dei risultati in un preciso tipo di corsa. So che in salita faccio ancora tanta fatica, quindi per il prossimo anno vorrei lavorare di più sulla parte veloce e sulla pianura. Vorrei essere più esplosivo, per cui anche durante l’inverno vorrei lavorare non solo sulla classica Z2, di cui si parla tanto, ma su tutto: anche sulla soglia. Perché alla fine per alzare la Z2 bisogna alzare anche la soglia. Mi piacerebbe provare a tenere sugli strappi e giocarmela negli sprint.

A Grosseto, quarto posto per Matteo al tricolore crono, in una giornata storia
A Grosseto, quarto posto per Matteo al tricolore crono, in una giornata storia
Il 2024 ti ha portato anche il quarto posto agli italiani crono: ti ha stupito?

Un po’ sì, perché quel giorno non stavo bene e non sono riuscito ad esprimermi come volevo. L’anno prossimo mi voglio preparare meglio perché la crono è una disciplina che mi piace. E’ spingersi al massimo di se stessi, mi piace molto ed è allenante per tutto il resto. L’anno prossimo le cronometro saranno sicuramente un mio obiettivo.

A parte i tricolori, hai corso in Italia solo il Giro del Friuli, Larciano e gli europei gravel: com’è correre tanto fuori?

Mi piace tantissimo. L’unica cosa che forse mi manca è che ogni tanto vorrei competere a livello under 23. Credo di avere buoni numeri, però se vai sempre in mezzo ai professionisti, il livello è troppo alto e c’è da sgomitare. Ho corso il Giro del Friuli ed è stata una bellissima corsa tappe, mi sono divertito. Quando in corsa riesci anche a divertirti e a non subire soltanto il ritmo degli altri, le sensazioni sono migliori. Però è vero che correre all’estero ti svolta come corridore. Le gare U23 in Italia non hanno lo stesso livello, non si corre come fra i professionisti ed è quello che si rivela più allenante per un futuro da professionista. Magari però un Giro d’Italia U23 potrebbe starci bene…

La Gand Wevelgem e poi la Roubaix: nel 2024 Matteo ha corso entrambe le prove per U23 (foto Instagram/Matteo Milan)
La Gand Wevelgem e poi la Roubaix: nel 2024 Matteo ha corso entrambe le prove per U23 (foto Instagram/Matteo Milan)
Nelle prossime settimane, riuscirai ad allenarti un po’ con Johnny oppure ognuno fa la sua vita?

Durante l’off-season, entrambi non ci alleniamo. Lui in questi giorni è stato al mondiale su pista (ieri sera Jonathan ha vinto il mondiale dell’inseguimento con tanto di record del mondo, ndr), io a casa. Quando torna, parte per le vacanze. E quando torna lui, vado in vacanza io, perché è stato un anno lunghissimo, iniziato a novembre con la preparazione e finito a ottobre con le ultime corse. Devo staccare, fare qualcos’altro che non sia solo bici. Finirà che ci vedremo direttamente in Spagna. Probabilmente si esce di più insieme quando siamo in ritiro che quando siamo a casa.

Vuelta, mondiali e nuova squadra: cosa dice O’Connor?

19.10.2024
7 min
Salva

TORINO – Il peso di una Nazione sulle spalle, ma Ben O’Connor non è uno che si lasci influenzare dal giudizio altrui né dalle pressioni. L’ha dimostrato con un finale di stagione da applausi, andandosi a prendere il tanto agognato podio in un Grande Giro alla Vuelta, riscattandosi così di quello sfuggitogli all’ultimo Giro d’Italia e in precedenza al Tour del 2021. Non contento, ha sfoderato un’altra piazza d’onore di prestigio nella rassegna iridata in quel di Zurigo.

Mentre lo guarda svolgere i test all’Istituto delle Riabilitazioni Riba di Torino, Brent Copeland si frega le mani pensando al gioiellino che sarà il farò della Jayco-AlUla per il 2025. L’aspetto che lo stuzzica di più è proprio il fatto che i due secondi posti ottenuti dal ventottenne di Perth siano arrivati in corse così diverse sia come tipologia sia per le condizioni ambientali e metereologiche. Ora il manager della squadra australiana è ancora più convinto nell’avergli affidato il compito di raccogliere l’eredità di Simon Yates.

Abbiamo incontrato Ben O’Connor in occasione delle visite del Team Jayco-AlUla presso il Centro IRR di Torino
Abbiamo incontrato Ben O’Connor in occasione delle visite del Team Jayco-AlUla presso il Centro IRR di Torino
Ben, che effetto ti fa il pensiero di indossare dal 1° gennaio 2025 la maglia di una squadra australiana?

I quattro anni con la Decathlon hanno rappresentato un’esperienza completamente nuova, ma sarà speciale far parte di una squadra del mio Paese. Mi conforta molto perché, pur vivendo a migliaia di chilometri dalla nostra Australia, in effetti mi sentirò un po’ a casa. Sono contento di ritrovare un amico come Luke Durbridge e uno staff di connazionali. Essere il capitano della Jayco-AlUla in un Grande Giro poi, sarà una motivazione enorme ad alzare ancora l’asticella per portare in alto la nostra bandiera comune. Spero di ripetere quanto fatto quest’anno.

Sei cresciuto in una Nazione esplosa con i successi di campioni come Cadel Evans e Simon Gerrans: hai sempre pensato di fare il ciclista?

In realtà, no. Ho provato moltissimi sport, come ad esempio il cricket, il calcio e anche la corsa. Il Tour de France era sempre in tv da noi, ma il ciclismo non è mai stata un’ossessione, semmai un’opportunità che si è creata. Ci ho provato e, con il supporto dei miei genitori che mi hanno comprato la prima bici da corsa, è cominciato tutto. E’ successo tutto in fretta e in maniera inaspettata. In poco tempo mi sono trovato da correre nelle gare nazionali in Australia a gareggiare col primo team Continental in Asia. Fino ad arrivare in Europa l’anno dopo, nel 2017, e cominciare a vivere come un ciclista professionista

Nell’ultima settimana, O’Connor ha perso l’occasione di scalare il podio del Giro. Sul Grappa 9° posto di tappa
Nell’ultima settimana, O’Connor ha perso l’occasione di scalare il podio del Giro. Sul Grappa 9° posto di tappa
Sei passato da essere spettatore alla tv a esserne protagonista, visto che negli ultimi anni ti abbiamo visto parecchio anche nella serie sul Tour de France trasmessa da Netflix. Ti sei divertito?

Forse sono stato in onda pure troppo e chiedo scusa a tutti gli utenti che mi hanno guardato. Dai, almeno non ci sono nella prossima stagione, per cui vi do un po’ di sollievo. E’ stato interessante, ma direi che preferisco vedere le corse piuttosto che la serie di Netflix.

Beh, il tuo 2024 è stato un film avvincente, sei d’accordo?

Direi proprio di sì, penso di aver finalmente espresso il mio potenziale. Al Giro mi è spiaciuto stare male l’ultima settimana. In quel momento pensavo soltanto al podio perso nella generale e non sapevo se e quando mi sarebbe ricapitata un’altra occasione del genere. Poi, quando mi sono trovato in testa alla Vuelta per due settimane, è stato folle.

La vittoria di Yunquera ha permesso a O’Connor di salire in testa alla Vuelta e di restarci fino alla 19ª tappa
La vittoria di Yunquera ha permesso a O’Connor di salire in testa alla Vuelta e di restarci fino alla 19ª tappa
Com’è stato per la prima volta trovarsi al comando di un Grande Giro?

E’ stato pazzesco indossare una maglia iconica come quella rossa. Vedi gli altri farlo nei Grandi Giri e ti chiedi mille volte che cosa si provi. Poi tocca a te ed è incredibile, un mix di orgoglio e consapevolezza di essere un vincente. In quel momento, comunque, sei davanti a tutti. Non c’è niente di meglio e se non ti fai distogliere dalle tante attenzioni, è una carica in più.

A volte non ti sembra ti chiedere troppo a te stesso?

Sono entusiasta del mio finale di stagione perché ho raggiunto il livello che sapevo di valere. Il quarto posto al Giro mi aveva lasciato una sensazione di incompiutezza perché sentivo di poter valere di più, così come già all’Uae Tour perso all’ultimo giorno per appena due secondi. Il secondo posto alla Vuelta, invece, è stato come una vittoria per me.

Indossare la maglia rossa e difenderla (qui ai Lagos de Covadonga) ha fatto crescere la consapevolezza di O’Connor
Indossare la maglia rossa e difenderla (qui ai Lagos de Covadonga) ha fatto crescere la consapevolezza di O’Connor
E tra quella piazza d’onore sudata per tre settimane e quella della domenica mondiale, che punti in comune ci sono?

In entrambi i casi ho dato tutto quello che avevo e ho finito senza nessun rimpianto né alcun pensiero negativo. Sia in Spagna sia in Svizzera ho interpretato la corsa nel migliore dei modi. Punto. E ora sono carichissimo per la prossima stagione.

Non ti ha un po’ sorpreso essere sul podio nella gara di un giorno, primo degli umani dopo l’imprendibile Pogacar?

Il mio allenatore alla Decathlon continuava a ripetermi che avrei dovuto fare più corse di un giorno perché si addicono alle mie caratteristiche, per cui penso che ora possa essere orgoglioso. Forse perché sono arrivato al mondiale senza troppe aspettative, non sapendo se avrei finito la corsa né tantomeno in che posizione, per cui figuriamoci sul podio. E’ stata una bella sorpresa, perché ero così stanco dopo la Vuelta che non ho fatto nemmeno la crono e così sono arrivato molto tranquillo alla prova in linea. 

Dopo la crono finale di Madrid, il prevedibile crollo emotivo: il podio è suo
Dopo la crono finale di Madrid, il prevedibile crollo emotivo: il podio è suo
Com’è stato lottare contro Pogacar?

Non ho lottato con lui, anche se in realtà ero proprio alla sua ruota quando è partito. Ho avuto un momento di riflessione e mi sono chiesto se avessi dovuto seguirlo. Ci ho provato e non ero così lontano. Lui viaggiava su un altro pianeta, per cui sono stato contento di aver sfruttato l’occasione per avvantaggiarmi sugli altri perché chiunque degli inseguitori avrebbe potuto fare secondo o terzo. 

Hai qualche hobby quando non pedali?

Mi piace stare comunque all’aria aperta e passare tempo con mia moglie o con i miei amici. Magari mi concedo qualche bicchiere di vino o di birra o un buon caffè, niente di speciale. Preferisco fare un bel picnic, una camminata in montagna o comunque qualunque attività outdoor.

Pensi già ai piani per il 2025?

E’ ancora tutto da decidere, ma mi piacerebbe tornare al Tour de France. Se poi riuscissi a inserire anche Giro o Vuelta non sarebbe male, ma non devi fare due Grandi Giri per forza e magari potrei tenermi questo piano per il 2026. Mi è sempre piaciuta la combinazione Giro-Vuelta, mentre non sono così sicuro dell’abbinamento Tour-Vuelta. Giro-Tour, invece, potrebbe essere stimolante perché d’altronde il Giro è il Grande Giro che forse si addice di più alle mie caratteristiche

Ai mondiali di Zurigo, O’Connor ha fatto la sua parte per la vittoria australiana nel Team Relay
Ai mondiali di Zurigo, O’Connor ha fatto la sua parte per la vittoria australiana nel Team Relay
A maggio non le avevi mandate a dire a chi criticava la neutralizzazione della tappa di Livigno sotto la neve. Hai visto quanto successo di recente con la cancellazione delle Tre Valli Varesine e che ne pensi delle reazioni del pubblico?

Non mi sognerei mai di dire a nessuno come deve svolgere il proprio lavoro. Non dirò mai a un avvocato come deve comportarsi né a un giudice o un investitore. Per questa ragione, mi è parso alquanto paradossale che ci fosse gente che parlasse alle nostre spalle riguardo a un lavoro che non conoscono e che non saprebbero nemmeno fare. Chiunque può andare in bicicletta, non è così difficile. Ma gareggiarci e fare il ciclista professionista è totalmente un altro mondo. Ho chiuso coi social media e preferisco non leggere cosa scrive la gente che pensa di poter fare il nostro mestiere. Dovremmo essere noi ciclisti, insieme agli organizzatori, a prendere le decisioni, non il pubblico. 

La tua salita preferita?

Port de Cabus, in Andorra, forse una delle più belle che abbia fatto. E poi anche Arcalis non scherza affatto.