DSM, leadout e niente pista, quante novità per Barbieri…

22.10.2024
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Una delle atlete italiane che si è meglio comportata in questa stagione è stata Rachele Barbieri. L’emiliana si è distinta per la sua costanza di rendimento, per i numerosi piazzamenti nelle prime dieci e per le belle volate tirate alla compagna Charlotte Kool.

Barbieri ha archiviato la sua prima stagione con la DSM-Firmenich, una stagione foriera di grosse novità: il team stesso, il ruolo di leadout, l’abbandono della pista. Scopriamo dunque con lei come è andata. Prima però vi diamo un dato che la dice lunga: 49 giorni di corsa, contro i 34 dell’anno passato. Sette corse a tappe (tutte lunghe), contro le cinque del 2023.

Baloise Ladies Tour: volata della prima tappa. A destra, Barbieri in testa per la compagna Kool
Baloise Ladies Tour: volata della prima tappa. A destra, Barbieri in testa per la compagna Kool
Primo anno in DSM, come è andata, Rachele?

E’ stato un bell’anno, un anno soddisfacente. Mi sono messa alla prova in un ruolo che non ero abituata a fare, quello del leadout, quando invece fino all’anno prima ero io la velocista. Però ho imparato tanto.

Da Liv a DSM: altri metodi, immaginiamo…

Questa è una squadra nella quale si analizzano tanto le corse, prima e dopo. Si arriva alle gare preparati. E questo mi piace. Dico sempre: «Ad averla trovata prima una squadra così». Le giovani possono imparare, crescere e diventare brave ad avere una visione di corsa. Per me questo è l’aspetto più evidente della DSM-Firmenich. Così come il fatto che ognuna in gara ha il suo ruolo ben preciso. E questo contribuisce a farci dare il 110 per cento in ogni corsa. Non capita mai di arrivare che qualcuna fa quello che vuole.

Quando hai deciso di passare in questa squadra sapevi che c’era la Kool ovviamente: dovevi dunque fare solo la leadout o potevi avere anche i tuoi spazi? 

Sì, sì… quando ho firmato gli accordi erano questi: io sarei entrata in squadra per fare la leadout a Charlotte. Mi è stato detto bene fin da subito. Venivo da una squadra un po’ più piccola, nella quale ho sempre fatto io le volate, ma quando c’è meno organizzazione spesso il risultato pieno non viene. E fa rabbia. Questo mi ha portato ad essere molto convinta di voler investire su me stessa, di specializzarmi in questo ruolo e di farlo con l’idea di crescere. Ho 27 anni e per questo ciclismo inizio ad essere un po’ vecchietta.

Dai, vecchietta no. Matura!

Resto convinta che è l’età giusta per specializzarsi e per crescere definitivamente. Poi si vedrà negli anni dove potrò arrivare. Quando ho avuto le mie opportunità, all UAE Tour e a Drenthe ho fatto bene. Negli Emirati ho fatto seconda dietro a Wiebes, l’atleta più forte e difficile da battere. E a Drenthe ho fatto terza. Riesco pertanto a mantenere un buon livello da velocista. Quando ho l’opportunità di potermi giocare le mie carte sono pronta. E questo mi rende orgogliosa.

L’inserimento di Rachele Barbieri nella DSM-Firmenich è andato alla grande. Il suo contratto arriva fino al 2026
L’inserimento di Rachele Barbieri nella DSM-Firmenich è andato alla grande. Il suo contratto arriva fino al 2026
Il ruolo di leadout è nuovo per te, c’è qualcuno dei colleghi uomini o extra team che ti ha dato qualche consiglio su come fare questo ruolo?

No e neanche al di fuori. Come ho detto facciamo tanta analisi con il team. C’è molto scambio d’informazioni. La stessa Charlotte mi ha insegnato tanto, idem Georgi Pfeiffer, che è più esperta. Sono io che faccio mille domande. Mi sembra sempre che gli altri ne sappiano di più! Anche se poi quando sei in gara certe cose ce l’hai nell’istinto.

Dentro di te quindi come hai approcciato questa nuova avventura?

Come un anno di passaggio. Sono cambiate tante cose per me, anche il discorso di non fare più la pista comunque è stato un grosso cambiamento. Ho cambiato anche il preparatore… per questo dico che è stato un anno di passaggio. Mi serviva del tempo per capire come il mio fisico e la mia testa si sarebbero adattati. Spero dal prossimo anno di fare un salto di qualità anche nelle gare un pochino più impegnative.

Prima, Rachele, hai detto che è stato un anno per imparare, ed effettivamente qualcosa da migliorare c’è. Tu e Kool siete una coppia che funziona bene, ma c’è anche qualcosa da mettere a punto. In cosa dovete migliorare?

Premesso che ogni volata ha la sua storia, a mio parere abbiamo trovato molto velocemente il feeling. Charlotte si è fidata tanto di me e quindi è stato tutto semplice. Ma per questo è stato importante avere davanti a me Pfeiffer Georgi. Lei era la sua vecchia leadout e oggi è una guida abile ed esperta. Pfeiffer spesso e volentieri è stata davanti a me. Poi è capitato che provando tattiche diverse qualcosa non sia filato perfettamente. Ma dovendo sfidare la velocista più forte, ci sta che si provi qualcosa di diverso, che si provi ad inventare qualcosa. Mi rendo conto che dalla tv le volate sembrano tutte uguali, ma in realtà non è così.

Certo, magari anticipate, ritardate, o tu fai un buco…

Per esempio, a De Panne ma anche in altre gare, abbiamo dimostrato che quando vogliamo fare il treno e partiamo noi dalla testa, il treno funziona. Siamo veloci, riusciamo a stare davanti e mettiamo Charlotte nella posizione migliore per fare la volata. Poi, ripeto, ci troviamo contro un’atleta fortissima come la Wiebes e ci sta anche che se lasci la tua compagna in posizione perfetta non si riesca a vincere. Però questo non vuol dire che fai le cose fatte male o, al contrario, che se vinci non ci sia niente da migliorare.

Nel periodo delle classiche del Nord, Barbieri vive in Olanda in un appartamento messole a disposizione dal team (foto @tornanti_cc)
Nel periodo delle classiche del Nord, Barbieri vive in Olanda in un appartamento messole a disposizione dal team (foto @tornanti_cc)
Rachele, hai parlato di nuova preparazione e nuovo preparatore. Per questo ruolo di leadout hai fatto qualcosa di specifico?

Ho cambiato completamente il modo di allenarmi e non solo per il ruolo di leadout. Prima facendo pista mi servivano cose un po’ diverse. Andando in pista, anche due volte a settimana, su strada lavoravo in modo diverso. Dovevo adattare il lavoro della strada a quello della pista. Adesso che la mia priorità è la strada ho molto più spazio per poter fare magari dei veri blocchi di lavoro in determinati periodi, o semplicemente fare più distanze, più lavori specifici.

E senti la differenza?

Ad inizio anno un po’ ho faticato. Ho avuto anche un problema alla schiena al primo ritiro e questo ha rallentato un po’ la mia preparazione. Poi però sono riuscita ad essere abbastanza costante, specie dall’italiano in poi. Sicuramente ho finito meglio di come ho iniziato, quindi spero che questo mi porti alla prossima stagione in condizioni migliori.

E infatti stavamo per dire che forse il vero cambiamento di questa rivoluzione lo noterai il prossimo anno. Dopo un vero riposo e una lunga stagione su strada con tante gare a tappe…

Esattamente. E poi non è da sottovalutare anche il fatto che il mio preparatore, essendo nuovo, aveva necessità di conoscermi prima di farmi fare determinati carichi. Un esempio semplice: con due allenamenti in pista già partivo con due allenamenti in meno su strada. Per una pistard come me aver fatto tante gare a tappe si è fatto sentire sicuramente, ma mi ha anche aiutato tanto. E infatti anche per questo sono contenta per l’off-season, ma ammetto anche che non vedo l’ora di iniziare la prossima stagione per mettermi alla prova.

Sei passata da una squadra olandese… a una squadra olandese. Che differenze ci sono? Parliamo anche di differenze concrete, come la casa, la sede del team…

Abbiamo la possibilità di vivere tutto l’anno in Olanda: ogni ragazza ha un appartamento a Sittard, vicino alla sede della squadra. Però io non vivo lì perché sono contenta di stare in Italia, anche per il clima. Ci resto fissa solo nel periodo delle classiche: è molto comodo e mi evita di fare avanti e indietro. Per il resto cosa dire: mi sono trovata molto bene anche in Liv, avevo un bellissimo rapporto con loro ed è stato anche difficile venire via. Mi sentivo a casa. Ma il progetto della DSM mi piaceva, volevo provare questa avventura. La DSM, essendo una squadra sia maschile che femminile, addirittura anche con il devo team, è molto più grande. Anche solo l’organizzazione dello staff è diversa. Prima c’era un rapporto po’ più familiare, di qua c’è più un sistema. Questa è la differenza più grande, poi in realtà il gruppo lo fanno gli atleti.

Montoli, nessuna chiamata. Il bel sogno finisce qui

22.10.2024
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Si fa presto a dire giovane, però intanto il tempo passa come i chilometri e ti ritrovai ad averne 22 e sentirti vecchio. Se nel mezzo non ci sono stati i risultati che per primo ti aspettavi, allora l’idea di andare avanti perde fascino e ti ritrovi a pensare a una vita senza la bicicletta. E’ stato così che Andrea Montoli, che in vita sua aveva già sconfitto un linfoma, si è ritrovato davanti alla domanda che già di per sé poteva toglierti la voglia di andare avanti: noi ti teniamo, ma tu cosa vuoi fare?

La Biesse-Carrera lo avrebbe tenuto, dopo avergli proposto un bel calendario: migliore di quello dei primi anni. Il diesse Milesi conferma che il ragazzo vale, che ha classe, ma che il passaggio fra gli elite lo ha bloccato.

«Resta con noi e farà gruppo con i compagni – dice il tecnico bergamasco – ma non credo che ci ripenserà. Il suo problema è aver corso davvero poco i primi anni. Ma ormai ha preso la sua decisione ed è quella. Curerà i nostri social e porterà avanti gli studi, perché è bravo. Sapete quante squadre me lo hanno chiesto? Ma ha detto basta e così sarà…».

Nel 2020 Montoli vince il tricolore juniores a Montegrotto, davanti a Germani e Calì (photors.it)
Nel 2020 Montoli vince il tricolore juniores a Montegrotto, davanti a Germani e Calì (photors.it)

Il sogno nel cassetto

Così Montoli si è guardato dentro, ha rimesso nel cassetto i sogni di junior tricolore con otto vittorie nei due anni, e si è rimboccato le maniche. Ha chiesto e ottenuto dalla Biesse-Carrera di occuparsi dei suoi social e intanto, girando le corse con la sua ultima squadra, porterà avanti gli studi in Scienza della Comunicazione. Magari con più impegno, sorride, di quello che riusciva a metterci da atleta.

«Sono tranquillo – dice – deciso dalla scelta che ho fatto. La squadra era disposta anche a tenermi, ma a luglio ho parlato con i miei genitori e le persone con cui ho più confidenza per avere più pareri possibili, anche se poi avrei scelto di testa mia. E alla fine ho deciso così. Il mio principale obiettivo era quello di passare professionista, ma vedendo l’andamento del ciclismo moderno, ho reputato che fare l’elite sarebbe stato poco motivante. Con la Biesse-Carrera avrei fatto un ottimo calendario anche tra i professionisti, ma lì è sempre difficile emergere e si sta andando sempre di più in cerca del super giovane. Non che io non lo sia più, ma per gli standard del ciclismo, iniziano a guardarmi con sufficienza».

D’Amato, Montoli, Arrighetti, Donati e il ds Nicoletti: la Biesse Carrera espugna il Liberazione 2024
D’Amato, Montoli, Arrighetti, Donati e il ds Nicoletti: la Biesse Carrera espugna il Liberazione 2024

Secondo a Caracalla

Il suo ultimo ricordo felice in sella alla bici è probabilmente il secondo posto al Gran Premio Liberazione alle spalle del compagno di squadra Donati, partito alla volta del devo team della Red Bull-Bora. Chissà se le parti invertite avrebbero cambiato qualcosa. Non lo sapremo mai.

«Pur avendo in testa questa scelta – racconta – andavo alle corse cercando sempre di fare una buona prestazione e sperando nella chiamata di qualcuno. Il sogno se ne è andato definitivamente il 20 ottobre, dopo la Veneto Classic. E’ la fine di una carriera e l’inizio di una nuova vita. Non lascio la bici con rabbia, ma consapevole di aver dato al gruppo e al ciclismo qualcosa di me, dei miei atteggiamenti allegri, della mia leggerezza. Sono stati anni belli. La malattia è stata lo spartiacque, ma fortunatamente è andata bene e ho potuto proseguire questa strada. Da junior vincevo, poi sono passato alla Eolo U23 e ho pagato un po’ la carenza di corse nel primo anno, forse anche il fatto che fosse tutto nuovo. Alla fine sono stati anche anni difficili, perché faticavo ad arrivare alla vittoria. L’unica è venuta nel 2022 in una tappa della Vuelta Valencia. Diciamo che quel periodo mi è servito soprattutto per imparare lo spagnolo, con cui ora mi faccio capire. Poi alla Biesse-Carrera mi hanno trattato davvero bene e, pur non vincendo, nelle internazionali sono arrivato spesso davanti».

Nel 2022 Montoli corre da stagista la Coppa Agostoni. Sembrava destinato a passare nel 2024
Nel 2022 Montoli corre da stagista la Coppa Agostoni. Sembrava destinato a passare nel 2024

Il cammino interrotto

Resta il senso di un cammino che si è interrotto, spesso anche per un pizzico di sfortuna. E restano i sogni del ragazzino pescato nel mazzo da Ivan Basso, che nonostante le belle parole del varesino, non hanno avuto un seguito.

«Da più giovane, penso di aver sempre avuto una bella visione di corsa – dice – ma nei professionisti sono riuscito raramente a prendere la fuga buona. Piuttosto provavo, mi riprendevano e appena mi rialzavo o andavo un po’ dietro, andava via quella giusta. A volte mi è capitato di spegnermi nel finale, ma in certe corse sai che ti manca qualcosa. Quando Basso mi ha chiamato, è stato bello. Ho sempre cercato di essere professionale nei suoi confronti, però a quanto pare non sono stato premiato. Quando gli dissi la mia intenzione di passare alla Biesse-Carrera, disse che mi avrebbe seguito, ma ci siamo persi di vista. Comunque ringrazio il ciclismo per avermi fatto crescere come atleta e come persona. E ringrazio anche i miei compagni di squadra e anche gli avversari. Nonostante il finale, il ciclismo resta una parte importante della mia vita».

Skerl: il cammino al CTF è finito, ora è tempo di WorldTour

22.10.2024
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Il rapporto tra il CTF Victorious e la Bahrain Victorious ha creato un canale di collaborazione e lavoro reciproco sempre più forte negli anni. Tanti ragazzi sono passati dal team continental friulano alla formazione WorldTour. Nel 2023 sono due quelli arrivati nel professionismo grazie a questo binomio: Alberto Bruttomesso e Nicolò Buratti, mentre l’anno precedente era toccato a Fran Miholjevic. A fine 2024 saranno tre i corridori che arriveranno nel mondo dei grandi: Daniel Skerl, Max Van Der Meulen e Zak Erzen. 

Daniel Skerl dopo tre anni saluta il CTF e passerà professionista (photors.it)
Daniel Skerl dopo tre anni saluta il CTF e passerà professionista (photors.it)

Al lavoro per il futuro

Daniel Skerl, velocista triestino dalle origini multietniche, si è guadagnato questa occasione con la fatica e l’impegno messo nei tre anni corsi alla corte di Renzo Boscolo. Un segno di grande fiducia nelle sue potenzialità e qualità. Skerl continuerà il cammino iniziato al CTF Friuli nel 2022 (in apertura la vittoria al GP Misano 100, foto ufficio stampa CTF). Con lui ha lavorato a stretto contatto Andrea Fusaz, preparatore del team friulano, che se lo ritroverà anche alla Bahrain Victorious

«Skerl – spiega Fusaz – ha raccolto più nel 2023 che in questa stagione, a livello di risultati. Quest’anno ha avuto diversi intoppi che gli hanno impedito di essere al meglio. Ha iniziato con un problema al ginocchio, mentre in primavera alcuni malanni lo hanno rallentato. Poi, come abbiamo fatto spesso con i ragazzi che sapevamo sarebbero passati professionisti l’anno dopo, lo abbiamo fatto correre in gare differenti da quelle nelle sue corde. Un modo per abituarlo a ciò che troverà nel mondo dei professionisti. Nel 2023 abbiamo fatto lo stesso con Alberto Bruttomesso. Questi ragazzi hanno corso in appuntamenti diversi per aumentare la loro cilindrata e i giri del motore».

Qui alla Ronde de l’Oise nella quale ha vinto una tappa e la classifica di miglior giovane
Qui alla Ronde de l’Oise nella quale ha vinto una tappa e la classifica di miglior giovane
Skerl nei suoi tre anni non ha ottenuto risultati di grande rilievo…

Anche da junior ha vinto meno del previsto, ma da under 23 ha fatto una crescita a livello di numeri molto importante ma costante. Nel 2024 sapevamo che avremmo dovuto lavorare di più sul piano mentale e fisico. Skerl dovrà crescere ancora, soprattutto negli sforzi prolungati e lo farà sicuramente. Penso che potrà dire la sua negli sprint, ha le caratteristiche giuste. 

Quindi i suoi dati vi hanno spinto a fare questo salto?

A numeri non deve invidiare nessuno, poi l’atleta si vede anche nei momenti di gara, come gestisce la pressione e la vita fuori dalla bici. Il ragazzo ha 21 anni, dovrà trovare il suo equilibrio per avere la giusta serenità e confidenza nei propri mezzi. Poi c’è da dire una cosa. 

Skerl nel 2024 si è messo alla prova su terreni diversi e più impegnativi, una antipasto di quanto troverà nel WT (foto Nicolas Mabyle/DirectVelo)
Skerl nel 2024 si è messo alla prova su terreni diversi e più impegnativi, una antipasto di quanto troverà nel WT (foto Nicolas Mabyle/DirectVelo)
Quale?

Che il salto di categoria è sempre un passo al buio. Tanto dipende dalla personalità del corridore e se sente o meno la pressione. Nel momento in cui si entra in una nuova dimensione non è facile. Lo stesso si può dire per Milan: al secondo anno da professionista si vedeva potesse fare ciò che ha fatto quest’anno. Solo che oltre al fisico e alla forza serve una maturazione mentale e psicologica. Le risposte dall’atleta devono arrivare anche dalla testa oltre che dalle gambe. 

Sappiamo che al CTF difficilmente si lavora con i quarti anni, questo ha influito sul passaggio di Skerl?

Abbiamo ritenuto il ragazzo pronto per passare con i professionisti. Il nostro percorso di crescita prevede che dopo due anni di lavoro si hanno due opzioni: o hai capito e assimilato il nostro metodo oppure no. Ci sono dei valori e dei principi che vogliamo trasmettere e se non riusciamo, o non vengono assimilati, è inutile insistere. Poi ci riserviamo di attendere un anno in più perché ci possono essere complicazioni o rallentamenti. Ma diciamo che tre anni, di default, vanno bene.

Dopo quasi 70 anni Trieste ritrova un corridore nel professionismo, Skerl può essere d’ispirazione per tanti giovani
Dopo quasi 70 anni Trieste ritrova un corridore nel professionismo, Skerl può essere d’ispirazione per tanti giovani
Quindi era impensabile lasciare Skerl un anno in più negli U23?

Sì, perché il rischio è di avere ridondanza nel sistema di allenamento e di crescita. Noi nel 90 per cento dei casi tiriamo fuori il massimo dall’atleta in tre anni. Considerando che Skerl ha fatto un percorso lineare con noi, abbiamo pensato fosse giunto al termine. 

Meglio quindi farlo passare e proporgli un cammino come quello di Bruttomesso?

Sì. Crediamo sia meglio entrare con i giusti passi nella categoria superiore, dove non ci sono livelli al di sopra. I ragazzi arrivano nel professionismo e fanno le gare che servono loro per crescere. Questo permette loro di fare la giusta crescita fisica e mentale: acquisiscono dimestichezza, fiducia e i movimenti da fare in gruppo.

L’esperienza in Belgio della Casasola e i consigli della Arzuffi

22.10.2024
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Sara Casasola non è la prima italiana andata a correre in un grande team straniero di ciclocross. Anzi, ha avuto un illustre predecessore in Alice Maria Arzuffi, che ha vissuto per ben 4 anni in Belgio alla 777 che altri non è se non la stessa Crelan Corendon, la formazione di Sara quando però non aveva le stesse credenziali di adesso.

La Arzuffi con la maglia 777, sponsor diverso ma stesso team della Casasola. Un’esperienza controversa
La Arzuffi con la maglia 777, sponsor diverso ma stesso team della Casasola. Un’esperienza controversa

Alice ormai è abbastanza lontana dall’attività sui prati, se non per qualche sporadica apparizione durante la sua preparazione invernale anche per romperne la monotonia, ma ricorda bene quegli anni, con sentimenti contrastanti: «Sapevo che prima o poi sarei dovuta tornare a occuparmene – afferma con un sorriso amaro – perché la mia esperienza in quella squadra ha avuto due facce».

Racconta…

Se devo giudicare i primi due anni, non posso dire davvero nulla. E’ stata un’esperienza molto formativa, non solo dal punto di vista tecnico perché ho imparato tante cose, tanto per cominciare l’utilizzo assiduo dell’inglese, io che come tanti avevo un uso scolastico. Ora ormai parlo inglese per il 50 per cento della mia giornata e lo devo a quell’esperienza, senza avere paura di sbagliare, intessendo contatti umani anche grazie ai piccoli errori.

Alice Maria Arzuffi ha corso in Belgio dal 2017 al 2021, conquistando anche 2 vittorie nel Superprestige
Alice Maria Arzuffi ha corso in Belgio dal 2017 al 2021, conquistando anche 2 vittorie nel Superprestige
Come ci arrivasti?

Tramite Scotti che al tempo era cittì della nazionale e sapeva che volevo provare ad affrontare un’esperienza internazionale a tutto tondo, correndo nella patria del ciclocross. Io venivo dalla realtà di Guerciotti che era – ed è – leader in Italia, ma sapevo che correndo sul posto sarebbe stato tutto diverso. Mi accorsi quanto fosse importante viverlo, parlando di tecnica, conoscenza della bici, l’abitudine al fango e al cattivo tempo. Furono due anni stupendi, ma due…

Poi che successe?

Dopo divenne una sofferenza, perché non venivano incontro alle mie esigenze, ma direi alle esigenze di chi è straniero in terra belga. Ero espiantata dalle mie radici, soffrivo la lontananza da casa nella quotidianità, non trovavo comprensione nella nostra realtà e nei nostri sacrifici. Io vivevo da sola in un paesino sperduto, nella casa messa da loro a disposizione e la solitudine divenne pesante. Loro si mettevano sempre di traverso se volevo tornare a casa perché dicevano che lì avevo tutto.

Sara Casasola si sta già mettendo in luce nel nuovo team. Qui seconda a Essen dietro la Norbert Riberolle
Sara Casasola si sta già mettendo in luce nel nuovo team. Qui seconda a Essen dietro la Norbert Riberolle
Pensi che con la crescita del team, diventato oggi un riferimento assoluto sia fra gli uomini che fra le donne, le cose siano cambiate?

Voglio sperarlo, anche perché al tempo io mi trovavo a fare un po’ di tutto. Dovevo curare le iscrizioni alle gare, fare le prenotazioni per l’albergo, curare gli orari di partenza e organizzare tutta la trasferta per il nostro camper, quindi io e altre due persone. Non erano questi i miei compiti, erano distrazioni dall’attività che la rendevano molto più complicata.

Secondo te quella della Casasola è una scelta giusta?

Io penso proprio di sì, come anche quella della Baroni, perché da quelle parti vivi veramente il ciclocross. Se ha fatto questa scelta è perché vuole migliorare davvero, credo che stando sul posto potrà crescere tanto. Ci sarà da fare i conti con il maggiore stress perché lì il ciclocross è vissuto con una passione quasi calcistica. Spero soprattutto che anche la gestione del team sia cambiata, sia cresciuta, tenga conto anche delle diverse esigenze di ogni tesserato, perché un corridore di casa non è la stessa cosa di chi viene da lontano.

Anche Francesca Baroni sta facendo la sua carriera in Belgio, alla Proximus Cyclis Alphamotorhomes
Anche Francesca Baroni sta facendo la sua carriera in Belgio, alla Proximus Cyclis Alphamotorhomes
Secondo te, che hai adesso anche vasta esperienza nel ciclismo su strada, c’è una disparità di trattamento nei team fra i corridori di casa e gli stranieri?

Parliamoci chiaro, un pochino è anche normale, succede anche da noi in Italia. Nella Ceratizit posso dire che ci sono solamente tre atlete tedesche che non sono di primo livello su strada, mentre sono molto forti su pista, ma vedo in giro che è sempre un po’ così. Poi comunque quel che conta sono i risultati e chi ne porta di più. Contano il lavoro e l’impegno che ognuno ci mette a prescindere dal passaporto. Sinceramente questo problema non me lo sono mai posto.

Da Specialized alla SD Worx, Mondini sale in ammiraglia

22.10.2024
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Quando ad aprile Specialized gli ha comunicato che a fine anno il suo contratto non sarebbe stato rinnovato, Gian Paolo Mondini si è trovato come chiunque perda il lavoro degli ultimi 14 anni e debba ricostruirsi una vita. Fortunatamente però il romagnolo, che dopo aver smesso di correre si è laureato in psicologia e non ha mai chiuso in modo fragoroso le porte dietro di sé, non ha dovuto aspettare molto per trovare un’altra strada.

«Conoscete qualcuno nel ciclismo – dice con un sorriso – che pensi che i contratti durino a vita? Mi sono sempre guardato in giro, pensando di dover avere un piano B e un piano C. Ultimamente mi ero accorto che cominciavo a fare sempre le stesse cose. Gli spunti che davo non erano più recepiti, quindi effettivamente può darsi che fossi arrivato a un punto di non ritorno e fosse necessario cambiare qualcosa».

L’occasione gliel’ha data Danny Stam, team manager del Team SD Worx-Protime, la squadra della neo campionessa del mondo Lotte Kopecky, della partente Demi Vollering e di Lorena Wiebes, oltre che di Elena Cecchini, Barbara Guarischi e Anna Van der Breggen che torna a correre. La squadra ha bici Specialized, Mondini ha avuto con loro frequentissimi rapporti di lavoro. Saputo che fosse su piazza, Stam non ha perso tempo.

E’ stato Danny Stam, team manager della squadra olandese, a contattare Mondini (foto SD Worx-Protime)
E’ stato Danny Stam, team manager della squadra olandese, a contattare Mondini (foto SD Worx-Protime)
Come è andata?

Ho comunicato subito alle squadre con le quali collaboravo che non avrei più lavorato con Specialized. Danny mi ha chiamato il giorno dopo e ha detto di volermi parlare. Io stavo facendo una piccola… vacanza al Giro di Sardegna cicloturistico e lui mi ha chiesto di raggiungerlo alla Vuelta che stavano vincendo con Demi Vollering. Mi ha preso il biglietto, ci siamo incontrati e il loro entusiasmo mi ha subito conquistato.

E’ un ruolo che ti aspettavi?

Era quello cui pensavo quando smisi di correre e decisi di fare Psicologia all’Università. Un ruolo di supporto ai team, che adesso avrei potuto riprendere, avendo in più 14 anni di esperienza sui materiali e sulla performance. Ho pensato che fosse l’occasione giusta. In questi anni con gli atleti ho avuto un rapporto molto aperto e sincero. Ascoltavo le loro esigenze e le trasmettevo all’azienda, cercando di aiutarli a trovare la giusta combinazione tra i vari materiali. Solo per il discorso scarpe, ho seguito quasi 200 corridori. Più tutti i test che abbiamo fatto sugli pneumatici e quelli in velodromo per l’aerodinamica. E’ stato un lavoro veramente ampio, che mi ha dato una bella mano per guardare avanti.

Ci si poteva aspettare che la prima mossa la facesse la SD Worx?

In realtà mi ha colpito. Danny lo conosco da 10-12 anni. Abbiamo più o meno la stessa età, abbiamo fatto entrambi i corridori. L’ho sempre ammirato perché è riuscito sempre a gestire nella stessa squadra delle ragazze di alto livello, senza che si siano mai visti degli screzi. Quello che è stato detto sui presunti dissidi con Demi Vollering che va via è stato pretestuoso. E’ una lettura che lascia il tempo che trova. Danny è riuscito nuovamente a ottenere risultati impressionanti. Da due anni, quanto a vittorie sono stati secondi solo alla UAE Emirates di Pogacar. Facendo notare che le donne non corrono quanto gli uomini e come organico sono la metà. 

Vollering, Kopecky, Wiebes: per Mondini, la SD Worx-Protime è un modello di collaborazione fra grandi atlete
Vollering, Kopecky, Wiebes: la SD Worx-Protime è un modello di collaborazione fra grandi atlete
Che cosa ti ha detto Stam alla Vuelta?

Che sarei stato la persona giusta. Uno che conosce il mondo delle corse, conosce i materiali e può dare qualcosa in più al team. Io chiaramente ho detto quali sono stati i miei studi e quello che vorrei fare, aggiungendo che sono ancora uno sportivo attivo.

Un valore aggiunto?

Non è una cosa da poco. Quando parli con gli atleti, non puoi spiegare una bici o delle ruote se non conosci esattamente ciò di cui parli. Danny si allena con la squadra in tutti i training camp invernali. E’ il momento migliore per avvicinarsi agli atleti, mentre nelle squadre maschili il fatto che un direttore sportivo esca con i suoi atleti viene visto male. Secondo me è sbagliato, è una cosa che aiuta molto perché l’atleta si apre di più. E tu magari riesci a vedere qualche errore di impostazione in bici, una posizione sbagliata sulla sella, uno scivolamento che magari non avevi notato mentre facevi la biomeccanica.

Poi c’è anche il fatto che in bici si parla meglio che a tavolino, no?

Tutti sanno che in bici viene più facile confidare dei segreti. La pedalata è un elemento che aiuta a tirar fuori emozioni che normalmente tieni dentro. E’ veramente uno sport introspettivo, tanto che molti vanno in bici perché li aiuta a pensare alle loro cose. Non mi metterò a fare sedute individuali: se un atleta ha bisogno di fare un percorso di psicoterapia, serve un ambiente dedicato. In una squadra bisogna individuare degli obiettivi comuni. Parlare tutti la stessa lingua. Fare formazione. Aiutare gli atleti a capire come gestire le emozioni e preparare le corse. E’ qualcosa che abbiamo un po’ perso, perché abbiamo la tendenza a imboccare gli atleti con qualsiasi cosa. Quante calorie devi mangiare, quanto allenamento devi fare, a che ora devi partire, la valigia…

Due settimane fa, Mondini ha partecipato al campionato europeo gravel
Due settimane fa, Mondini ha partecipato al campionato europeo gravel
E non va bene?

Diamogli la possibilità di autogestirsi. Quando sono a casa, come agiscono? Come riescono a organizzare la loro giornata? Molti non lo fanno, non sono capaci. Dobbiamo riuscire a fare un passo indietro e dargli questo tipo di supporto. Dobbiamo insegnargli a gestire gli imprevisti, che invece spesso creano direttamente una situazione di panico e il panico in corsa è molto pericoloso. Puoi creare una caduta o ti fa arrendere perché pensi che una situazione sia irrecuperabile. Sarebbe importante approfondire questi temi e lavorare sul gruppo, comprendendo tutti gli elementi del team.

Anche lo staff?

Il direttore sportivo deve essere motivante. Il meccanico a volte se ne esce con dei commenti non proprio felici, davanti ai quali alcune persone si possono anche offendere o pensare di non essere accolte. Invece è fondamentale che il corridore sia libero di dire le cose, se ha dei dubbi sul materiale. Il meccanico deve essere paziente e accogliere la sua curiosità. 

Sarai anche un direttore sportivo sull’ammiraglia?

Certo, perché Anna van der Breggen torna in bici, quindi si è liberato un posto. Però mi dedicherò anche ai materiali, aiuterò i meccanici nella preparazione della bici e gli atleti nelle scelte. Comunque sempre in accordo con Danny. Lui mi chiede una mano ed è contento che io gestisca questa situazione, perché comunque lui deve seguire anche tutto il resto.

Van der Breggen, qui con il general manager Janssen, tornerà a indossare i panni dell’atleta
Van der Breggen, qui con il general manager Janssen, tornerà a indossare i panni dell’atleta
Al mosaico manca solo l’esame da direttore sportivo all’UCI?

Esatto. Il capitolo ammiraglia per me è completamente nuovo e devo imparare da zero. A parte le volte che ho guidato per aiutare dei direttori in qualche crono, altra esperienza non ho. Negli ultimi 14 anni ho fatto 200 giornate per stagione dietro ai corridori. So cos’è il mondo delle corse, però credo che la gara in ammiraglia abbia delle dinamiche che molti sottovalutano. Devo rimettermi a studiare, ma questo non mi ha mai fatto paura. Perciò adesso che è arrivato l’annuncio ufficiale, si comincia finalmente a lavorare.

Viviani, la pista, la Ineos, l’editoriale: diciamocela tutta

21.10.2024
7 min
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Viviani sta viaggiando dalla Danimarca verso casa. I mondiali della pista si sono conclusi ieri e volevamo sottoporgli gli spunti da cui abbiamo tratto l’editoriale di oggi. La medaglia d’argento dell’eliminazione è un bel trofeo, anche se il veronese aveva lasciato casa per puntare all’oro. Per cui è ripartito con il senso della conquista, ma la consapevolezza di non avere la pancia del tutto piena.

«Sicuramente la medaglia conferma il fatto che se punto a qualcosa ci arrivo – dice – anche se soddisfazioni su strada non sono arrivate. Speravo dopo l’Olimpiade di riuscire a raccogliere qualcosa, ma non aver staccato dopo Parigi non ha funzionato. E’ palese che ne siamo usciti provati. Le pressioni sono alte, la preparazione è stata intensa. E quando tutto è finito, le squadre hanno chiamato. Probabilmente la cosa migliore da fare era fermarsi e ripartire per il finale di stagione, però non avevamo tanta scelta. Quindi siamo arrivati in fondo con le energie misurate. Questo era l’anno della pista e le medaglie sono arrivate, quindi non posso essere scontento né recriminare niente».

La medaglia d’argento di ieri nell’eliminazione è un oro sfumato, nella volata finale contro Hansen
La medaglia d’argento di ieri nell’eliminazione è un oro sfumato, nella volata finale contro Hansen
Secondo te Ineos è stata contenta di aver avuto per tutto l’anno a mezzo servizio te, Ganna ed Hayter?

L’ha accettato come negli anni scorsi, non hanno fatto una piega. Ci hanno lasciato liberi. Io l’anno scorso ero a correre e ho vinto in Cina, però non hanno detto nulla. Secondo me quello che è cambiato è il valore che hanno avuto queste medaglie. Ho come la sensazione che negli anni precedenti, a Rio come a Tokyo, la mia medaglia olimpica valesse molto di più per il team. Invece adesso è stato come se avessero detto, fra virgolette: “Libertà agli atleti, però non è che di queste medaglie olimpiche ce ne facciamo qualcosa”. Questa è la differenza che ho colto.

E’ così perché è cambiato il management? In fondo Brailsford ed Ellingworth venivano proprio dalla pista…

Penso di sì. L’Olimpiade cambia di persona in persona. Qualcuno ci tiene e per qualcun altro ti porta via dal lavoro vero. Che se poi avessimo vinto 50 corse, il problema neppure si sarebbe posto…

Non hai la sensazione che l’oro olimpico di Martinello sia stato valorizzato dall’ambiente più di quanto sia successo di recente con voi?

Dipende dall’impresa, perché la vittoria individuale fa molto più di quella di squadra. L’ho vissuto su di me. Adesso che non vinco gare importanti su strada, sono ancora Elia Viviani che ha vinto l’oro di Rio, ben più di Elia che ha vinto quattro tappe al Giro, una al Tour, una alla Vuelta. Quindi probabilmente la sua vittoria e anche la mia sono state esaltate perché era tanto che non si vinceva in pista. Sono un po’ il bollino per sempre di Silvio e anche mio. Ho visto però la differenza con i ragazzi, la vittoria del quartetto ha avuto meno impatto. Per chi segue, è stato un boom clamoroso, perché vincere un oro con il quartetto, per quello che significa, è stato immenso. Però è vero che la sensazione di maggior risalto per l’individuale rimane.

Viviani_Oro_omnium_rio2016
Rio 2016. La caduta, la rimonta e l’oro nell’omnium: la svolta nella carriera di Viviani
Viviani_Oro_omnium_rio2016
Rio 2016. La caduta, la rimonta e l’oro nell’omnium: la svolta nella carriera di Viviani
Non ci si accontenta mai…

Se rimettono nel programma olimpico l’inseguimento individuale, la vittoria di Milan avrebbe grande eco. Jonathan quest’anno ha vinto 11 corse, ma fra poco non basterà più neanche quello e si conterà il numero di tappe che vincerà al Giro. Guarderanno se batterà i record di Petacchi o di Cipollini. Il ciclismo moderno è fatto da dominatori. Nel 2018 e 2019 vinsi 18 e 11 corse. Philipsen l’anno scorso ne ha vinte 19, Pogacar quest’anno 25. E’ un ciclismo che va ad annate.

Tu pensi che dedicarti alla pista ti abbia penalizzato su strada?

Negli ultimi tre anni, sicuro al 100 per cento. Quando sono passato alla Cofidis non le ho dato troppa importanza, ma visto che nel 2020 e 2021 le cose non erano andate, mi sono buttato su Tokyo per far vedere che c’ero ancora. Invece negli ultimi tre anni con la Ineos, ho messo la strada in secondo piano. Sapevo che non mi avrebbero portato al Giro, quindi non avrei potuto pormi dei grandi obiettivi. 

Milan ha vinto l’inseguimento col record del mondo, ha avuto il giusto risalto?

Secondo me, se avesse vinto il mondiale e basta, sarebbe passata quasi sotto silenzio: un’altra medaglia, bravo. Con il record però ha dimostrato di aver battuto anche Pippo, anche se non c’era, e ha fatto un’impresa notevole. Secondo me ha avuto la giusta risonanza. Dall’altra parte la gente non si ricorda neanche quali e quante tappe abbia vinto al Giro. Per questo ai ragazzi dico sempre che il nostro punto forte deve essere scegliere i periodi giusti per fare le cose migliori.

Viviani e Villa, una coppia che nelle ultime tre Olimpiadi ha portato sempre medaglie all’Italia
Viviani e Villa, una coppia che nelle ultime tre Olimpiadi ha portato sempre medaglie all’Italia
Vale a dire?

Nelle nostre chiacchierate, gli dico spesso che devono mettere i mattoncini della loro carriera, per comporre il proprio murales. E’ chiaro a tutti che Milan l’anno prossimo deve andare al Tour. Prima deve provare a vincere la Gand-Wevelgem in cui quest’anno è scattato a 50 dall’arrivo, stando in fuga da solo. Poi il Tour, per vincere anche lì e dimostrare di essere il velocista più forte al mondo. Il mattoncino di Pippo invece è concentrarsi su una classica monumento, la vittoria che gli manca. Anche lui il Tour l’ha provato solo una volta e probabilmente deve tornarci. Per entrambi, ma soprattutto per Pippo visti i suoi 28 anni, i prossimi due anni devono essere quello che per me furono il 2018 e il 2019. Nel frattempo verranno fuori i percorsi delle Olimpiadi e magari, se saranno duri, li vedremo tornare alla pista.

Un ritorno di fiamma?

Riguarda uomini e donne, visto che anche loro hanno un ciclismo professionistico di altissimo livello. Non è escluso che tornino, perché il richiamo per chi ha già vinto una medaglia è fortissimo. In più pare che UCI e CIO siano convinti che il percorso di Parigi fosse morbido, per cui chi può dire come sarà quello di Los Angeles? E questo gruppo potrebbe tornare in pista, dato che già hanno fatto la storia. E’ uno scenario credibile ed è per questo che dobbiamo ricostruire un’ottima base di giovani che arrivano da sotto.

Milan, Ganna, Consonni, Moro, Lamon hanno avuto te come riferimento: chi ci sarà per i giovani che arrivano, ora che questa “band of brothers” sta per sciogliersi?

Toccherà a Marco Villa, comunque alla Federazione, e dovranno lavorare tanto. Intanto per richiamare giovani e spingere ancora sulla multidisciplina, sennò c’è il rischio che si crei un buco. E’ ovvio che non può chiudersi tutto qui. L’altra cosa che dico io, avendo visto l’ottimo materiale che ci arriva dagli juniores, bisogna stare attenti allo scalino juniores-under 23, che è quello che spaventa tutti anche su strada. Non saranno più seguiti e coccolati dal tecnico del paese, diventerà una vita un po’ più individuale e purtroppo capita che qualcuno possa mollare. A mio parere i ragazzi ci sono. So quanto sia duro fare un 3’51” oppure 3’53” nel quartetto e se lo fanno da juniores, vuol dire che con degli step giusti, possono entrare nei nostri quartetti olimpici.

Proprio in questi giorni, Viviani e il suo manager Lombardi stanno definendo la squadra per il 2025
Proprio in questi giorni, Viviani e il suo manager Lombardi stanno definendo la squadra per il 2025
Quale sarà il tassello per completare il murales di Elia Viviani?

Voglio tornare al Giro, questa è la mia priorità. La possibilità che vedo è di restare alla Ineos, dove stiamo vivendo una fase di transizione. Sarebbe difficile cambiare e cominciare un altro progetto a 35 anni, anche perché le squadre stanno prendendo altre direzioni. La cosa più grossa sarà dimostrare che un velocista può darti qualche vittoria più di oggi, visto che quest’anno ne abbiamo fatte 14. E’ stata l’annata peggiore, quindi se dimostro che preparando qualcosa, io ci posso arrivare, al Giro potrei fare delle belle cose. Che sia l’ultimo oppure no.

Quindi Elia si vede ancora a braccia alzate, non diventare l’ultimo uomo di qualcun altro come Morkov?

No, è una scelta che ho fatto. Diventare il leadout di qualcuno avrebbe avuto senso se lo avessi fatto dopo gli anni della Cofidis. Farlo per un solo anno con uno sconosciuto non avrebbe senso. Non ho bisogno di allungarmi la carriera. Non perché non abbia l’umiltà di tirare le volate, probabilmente l’unico per cui avrei potuto farlo è Milan perché abbiamo un rapporto di fratellanza in nazionale. Ma ci sono troppi dubbi di natura tecnica su come si affronta quel ruolo e in un anno non lo impari. Lo abbiamo visto con Consonni alla Cofidis: non fu facile, ma cinque anni dopo lui è uno dei più forti al mondo in quel ruolo. Per cui Elia vuole fare le volate per provare a vincerle. E’ questo il mattoncino che ancora mi manca.

Parola ad Agostinacchio, lo junior che vince sempre

21.10.2024
5 min
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La stagione di ciclocross appena iniziata ha trovato già un sicuro protagonista nella categoria junior, orfana del campione del mondo Stefano Viezzi salito ai piani superiori. Il personaggio in questione è Mattia Agostinacchio, approdato quest’anno alla Fas Airport Service Guerciotti seguendo le orme di suo fratello Filippo e sabato, sul fango e sotto l’acqua di Jesolo, ha condiviso per la prima volta con suo fratello la gioia della vittoria.

A Jesolo il valdostano ha trovato tanto fango, non le sue condizioni preferite (foto Billiani)
A Jesolo il valdostano ha trovato tanto fango, non le sue condizioni preferite (foto Billiani)

Mattia quest’anno non ha fallito un colpo: due successi al Giro delle Regioni e il sigillo a Jesolo, in una gara difficile non solo per le condizioni climatiche: «Sono partito male, anche peggio del solito e mi sono trovato intruppato nel gruppo. Ho iniziato subito a risalire e nel secondo giro ho provato subito a fare selezione per trasformare la gara in una prova solitaria, come piace a me. Anche perché su quel percorso non c’era da correre rischi».

Come ti trovi a gareggiare in condizioni simili, che tanto amano nell’Europa del Nord?

Non sono propriamente le mie preferite, io gradisco percorsi più tecnici dove la differenza non la fa il fango o il galleggiamento ma la guida, la forza in salita. A Jesolo abbiamo trovato tanto fango soprattutto nelle curve, un fango colloso che si attaccava alle gomme. Non è stata una gara facile, sicuramente è stata la più complicata che ho finora incontrato nella stagione.

E’ una stagione importante per te e per i tuoi compagni di categoria, avete una responsabilità pesante da portarvi dietro considerando che siamo campioni del mondo di categoria…

Lo so bene. E’ una responsabilità che sentiamo molto e proprio per questo sto preparando con grande attenzione l’europeo, perché sarà la prima occasione di confronto con gli stranieri. Ma per allora bisogna lavorare tanto e soprattutto migliorare il proprio ranking in modo da poter partire in prima fila, per questo non salto nessuna prova internazionale del calendario italiano.

In azzurro nella mtb, su  strada e presumibilmente anche nel ciclocross (il fratello Filippo è stato anche ai mondiali gravel), sei espressione pura della nuova generazione legata alla multidisciplina. Hai una preferenza?

Difficile a dirsi, diciamo che mi concentro su quel che faccio al momento. Nel 2023 una caduta in mtb mi aveva portato a stare 15 giorni in ospedale e per riprendermi, viste le troppe vibrazioni sulla mountain bike ho provato la strada. L’anno dopo ero già in nazionale. Non mi pongo domande, dove il mio percorso su due ruote mi porterà, io andrò…

I protagonisti del raduno azzurro a Jesolo, 4 maschi e 4 femmine insieme al cittì Pontoni
I protagonisti del raduno azzurro a Jesolo, 4 maschi e 4 femmine insieme al cittì Pontoni
Intanto eri in nazionale nel raduno che il cittì Pontoni ha fatto a Jesolo. In che cosa è consistito?

Abbiamo lavorato molto su tutto quel che circonda una gara di ciclocross: l’alimentazione, il riscaldamento, l’approccio tattico ma anche mentale. Sono stati tre giorni intensi dove ho imparato molto, culminati con le gare. Pontoni non ci ha dato veri e propri consigli, era quasi un professore che ci ha insegnato come avvicinarci alle gare che contano e ora stanno arrivando quelle importanti.

A cominciare dall’europeo. Che cosa ti aspetti?

Non mi pongo particolari obiettivi se non quello di partire davanti e poi capire qual è il mio reale valore rispetto agli altri. Poi da lì inizierà la vera e propria stagione internazionale, gareggiando con il team azzurro o con il mio. Io spero solo di trovare i percorsi giusti che mi facciano emergere, che esaltino le mie qualità.

Su strada una stagione positva per Mattia, vincitore anche del GP BCC a Cantù (foto Rodella)
Su strada una stagione positva per Mattia, vincitore anche del GP BCC a Cantù (foto Rodella)
Sei al secondo anno di categoria. Secondo te il livello generale in Italia, rispetto a un anno fa quando c’era anche l’annata di Viezzi e compagnia, è molto diverso?

No, siamo alla pari secondo me. E’ chiaro che con un anno in più, con l’esperienza dalla mia parte le cose almeno per me sono cambiate, ma anche chi lotta con me, Grigolini e Serangeli in primis, è di alto livello. Per questo la sfida europea di inizio novembre è così importante, capiremo davvero a che punto siamo nella gerarchia continentale.

EDITORIALE / Se il pubblico non capisce, il ciclismo non cresce

21.10.2024
6 min
Salva

Ci sono tre punti fra cui, mettendo mano a questo editoriale, la mente continua a rimbalzare. La fine dei mondiali su pista di Ballerup, il pubblico e una canzone degli Stadio del 1988. Saranno in qualche modo collegati? Andiamo con ordine e cerchiamo di capire.

Il miracolo di Villa

L’Italia è un Paese (in cui il ciclismo è) fondato sulla strada, quantomeno nel gusto popolare. Il miracolo di Marco Villa e di chi gestiva la Federazione dopo Londra 2012 fu quello di intravedere le potenzialità di una generazione di pistard e dare fiducia alla cocciutaggine di Viviani. Con il velodromo di Montichiari appena aperto, si iniziò a soffiare su quella brace che nel giro di 12 anni ha portato titoli olimpici e mondiali, con il testimone raccolto dalla successiva gestione che ha agito in continuità con la precedente. Al netto di tutte le considerazioni di merito che si possono fare, senza il lavoro di chi c’era prima, sarebbe toccato ai nuovi partire da zero e oggi magari parleremmo d’altro.

L’Italia è un Paese fondato sulla strada, per cui la scelta di Viviani di puntare così forte sulla pista ha avuto per lui, almeno negli ultimi tre anni, conseguenze sulla carriera da stradista. Vuoi gli anni che passano, vuoi aver lasciato l’infallibile treno della Quick Step, vuoi pure il Covid, il veronese ha visto calare drasticamente la propria quotazione: in termini di punti e di riflesso agli occhi del pubblico che non lo ha più visto lottare per la vittoria. Dall’essere il corridore numero 9 al mondo a fine 2019 con 2.392 punti, Elia chiude il 2024 in 425ª posizione con 212 punti.

Nel 2023 di questi tempi Viviani vinceva a Guangxi. Quest’anno ha puntato sulla pista con l’argento nell’eliminazione
Nel 2023 di questi tempi Viviani vinceva a Guangxi. Quest’anno ha puntato sulla pista con l’argento nell’eliminazione

Fra Martinello e Milan

Come lui, sono nel mirino altri nomi di riferimento. Ganna viene messo spesso in discussione per il rendimento nelle classiche, sebbene continui a volare in pista e nelle crono. La necessità di farsi trovare sempre pronto lo ha portato a un 2024 che lo ha lasciato sulle ginocchia. Chi lo gestisce dirà pure che non è vero, ma dovendo accontentare la squadra e la nazionale – per la strada, le crono e la pista – Pippo probabilmente non ha mai raggiunto veramente il top in una specialità o l’altra. L’argento è meglio del bronzo, ma vedere che altri hanno preso gli ori, concentrandosi su una specialità per volta, potrebbe indurre in riflessione. Mentre Milan, fresco di iride nell’inseguimento individuale con tanto di record del mondo, si salva per le sue volate su strada (11 nel 2024).

Silvio Martinello, candidato alla prossima presidenza federale, ha vinto su strada 14 volte in 14 stagioni da professionista. Ha però vinto un oro olimpico e 5 mondiali su pista, convertendosi nel frattempo nell’ultimo uomo di Cipollini. Quello che in qualche misura sta facendo Simone Consonni, che lancia Milan in volata e cerca gloria personale in pista. Martinello però ha sempre goduto di un credito eccezionale e la celebrazione del suo oro olimpico del 1996 è sempre parsa più solenne di quanto accada negli ultimi tempi. Forse l’oro di Viviani a Rio ha avuto un’eco simile, non certo quello del quartetto a Tokyo.

Marco Villa, Silvio Martinello, Sydney 2000
Dopo l’oro di Atlanta nella corsa a punti, per Martinello il bronzo di Sydney nella madison con Villa: la pista è il suo manifesto
Marco Villa, Silvio Martinello, Sydney 2000
Dopo l’oro di Atlanta nella corsa a punti, per Martinello il bronzo di Sydney nella madison con Villa: la pista è il suo manifesto

Multidisciplina a rischio?

Oggi è diverso e accade qualcosa di insolito. A fronte di stradisti italiani che faticano a farsi vedere, il tifoso italiano non si lega a quelli che vanno forte altrove. La vittoria di Milan al mondiale e il suo record del mondo, che gli ha permesso di battere il primato di Ganna, vale quando un successo di Sinner. Eppure passa sul giornale, il pubblico applaude e il giorno dopo sparisce. Addirittura, sui social ci si chiede quando finiranno i mondiali della pista. Non perché domani ci sia un’altra corsa su strada, ma semplicemente perché non si ha voglia o non si è in grado di seguirli e di conseguenza non si coglie la grandezza dei loro protagonisti.

La conseguenza più immediata di questo è che la multidisciplina, che a fatica si stava facendo largo, piano piano viene rimessa in discussione. E se già avevamo incassato, ad esempio, il ritiro dal cross di De Pretto e Olivo, siamo prossimi a registrare anche quello di Paletti, dopo aver visto mollare Silvia Persico. Casi distinti, ciascuno con la propria motivazione, incluso lo scarso gradimento di certe squadre nei confronti di chi vuole dedicarsi ad altro rispetto alla strada. E’ chiaro che su questo la FCI deve tenere alta l’attenzione, ma un ruolo pedagogico potrebbero averlo anche i media. Il pubblico va in qualche modo abituato, si potrebbe dire persino educato. E qui veniamo alla canzone degli Stadio.

Alfredo Martini ha sempre ribadito la necessità di costruire il futuro guardando avanti e non cercando ponti col passato
Alfredo Martini ha sempre ribadito la necessità di costruire il futuro guardando avanti e non cercando ponti col passato

Chi erano i Beatles

«Chiedi chi erano i Beatles»: questo il suo titolo. Se incontri una ragazzina di 15 anni di età e gli chiedi chi fossero i Beatles – questo in sintesi il testo del brano – lei ti risponderà che non lo sa. Non lo sa perché non conosce la storia, sa a malapena quello che le succede attorno. Non sa di Hiroshima, suo padre le ha detto che quaranta anni fa l’Europa bruciava nel fuoco. Ha la memoria breve dei ragazzi che volano lievi su tutto.

Quando la canzone fu scritta, non c’erano i social, per cui si era quantomeno capaci di ascoltare il racconto di chi sapeva chi fossero i Beatles e si leggevano i giornali. «Voi che li avete girati nei giradischi e gridati – prosegue la canzone come un appello dei ragazzi a chi c’era – voi che li avete ascoltati e aspettati, bruciati e poi scordati. Voi dovete insegnarci con tutte le cose non solo a parole: chi erano mai questi Beatles, ma chi erano mai questi Beatles?».

Oggi l’informazione arriva attraverso canali non convenzionali ma potentissimi e l’assenza dei media diventa ancora più rumorosa. Una volta la presenza dei giornalisti italiani a un mondiale era oceanica, oggi ci conti sulle dita della mano. Alcuni hanno rinunciato al ciclismo, altri lo seguono con mezzi non più competitivi e limitano la loro azione a un pubblico non più giovane

Pogacar è forte, non parla del passato e si rivolge ai bambini con la freschezza dei suoi 26 anni
Pogacar è forte, non parla del passato e si rivolge ai bambini con la freschezza dei suoi 26 anni

Il linguaggio dello sport

«Con tutte le cose – dice la canzone – non solo a parole». Non si tratta più di spiegare al pubblico più giovane chi fossero i Beatles, come Pantani oppure Indurain. Alfredo Martini, che non smette di insegnare neanche adesso che non c’è più, diceva che un giovane ha bisogno di sentirsi dire cosa accadrà, non cosa accadeva. Però chi ha l’esperienza di ieri, deve rendere fighi il presente e il futuro. Pretendere di imporre le regole del passato fa crollare il ponte che da sempre unisce le varie epoche dello sport. Mostrare una via alternativa per lo sviluppo ha invece un senso diverso. Occorre una visione. Serve gente competente, nei media e nei palazzi.

La sensazione invece è che si mettano i dischi dei Beatles per non ascoltare la musica del presente. Che è sincopata, dialettale e sghemba, ma è viva e forte. E non retrocede certo in onore della memoria: semplicemente preferisce ignorarla e andare avanti. Il ciclismo si inchina a Pogacar perché è forte, giovane e figo: la FCI in che modo può rendere giovane e attraente la sua proposta? Le società giovanili chiudono perché sono ferme al passato e chi le guida non ha i piedi nel presente né lo sguardo nel futuro. Sta a noi, con garbo e il linguaggio giusto, spiegare al pubblico e ai giovani atleti che le radici, sia pure lontane, fanno parte dello stesso albero. E allora magari scopri che tua figlia è fissata per Geolier, ma quando meno te la aspetti canta parola per parola quella canzone di De André che tu avevi quasi dimenticato.

Lo squillo di Giaimi a cronometro, un anticipo per il 2025

21.10.2024
5 min
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Non avrà più il fascino del secolo scorso, delle sfide infuocate fra Merckx e Gimondi o fra Hinault e Moser, ma la Chrono des Nations resta sempre un appuntamento di prestigio per chi ama confrontarsi contro il cronometro. Soprattutto per le categorie inferiori. Luca Giaimi ne aveva fatto un obiettivo primario un po’ forzato, scaturito dall’andamento ondivago della sua prima stagione da U23. Ma alla fine il secondo posto di caregoria rappresenta tanto, è una boccata di fiducia.

Il podio della prova U23, vinta da Soderqvist con 47″ su Giaimi e 48″ sul belga Vervenne (foto Guerin/DirectVelo)
Il podio della prova U23, vinta da Soderqvist con 47″ su Giaimi e 48″ sul belga Vervenne (foto Guerin/DirectVelo)

Sotto il diluvio veneto, dove si trova per le ultime classiche italiane della stagione, il portacolori del devo team della Uae parte proprio dal podio transalpino per analizzare la sua stagione: «Era una conferma alla quale tenevo particolarmente. Ho chiesto espressamente di affrontare la trasferta prima di venire in Veneto, perché quest’anno non avevo potuto fare cronometro dal Giro Next Gen. E soprattutto ho voluto lavorarci sopra, volevo vedere quale livello posso raggiungere. Ho cercato di prepararla, Matxin mi ha dato l’opportunità di farlo credendo in questo mio piccolo progetto e il risultato mi ha dato le risposte che cercavo».

Ti si era un po’ perso di vista…

Effettivamente quest’anno ho corso poco e senza grandi risultati soprattutto nella prima parte, infatti sapevo che non sarei andato né agli europei né ai mondiali. Ho lavorato molto in allenamento anche se le gare non andavano bene, anche per questo avevo bisogno di un risultato in chiusura di stagione.

In Francia l’azzurro ha confermato la sua ottima propensione per le gare contro il tempo
In Francia l’azzurro ha confermato la sua ottima propensione per le gare contro il tempo
Come giudichi quest’annata?

Direi a due facce. Fino a luglio mi è pesata tantissimo la scuola, infatti ho potuto gareggiare poco e soprattutto inseguivo sempre la miglior condizione. Mi sentivo inferiore agli altri, d’altronde mi ero messo d’impegno con lo studio per finire bene e la squadra mi ha dato mano libera in tal senso. Ad agosto ho voluto un cambio di rotta e ho trovato in Alessandro Covi un grande amico oltre che una guida in allenamento. Ci alleniamo a Varese e dintorni dove c’è davvero ogni tipo di percorso. Sto cambiando il mio modo di vivere, entrando sempre più nella mentalità del ciclista a tempo pieno.

Tu quest’anno hai fatto già un buon numero di gare con la squadra WorldTour. Quanto cambia rispetto al tuo team abituale?

Molto, si impara tanto. Soprattutto il modo di avviare le corse, il lavoro che c’è nella prima parte sia per mandare avanti la fuga o per ovviare se non ci si è entrati. Io sono stato deputato proprio al lavoro in avvio delle gare, per questo ad esempio nelle classiche italiane mi sono ritirato. Serve molto per acquisire quel ritmo che è molto diverso da quello a cui siamo abituati. Faccio un esempio: la Parigi-Tours con i suoi 213 chilometri è la gara più lunga che abbia mai percorso. Anzi posso dire: il giorno nel quale ho coperto più chilometri in tutta la mia vita…

Il ligure, al suo primo anno nel devo team della Uae, ha fatto molta esperienza con il team WT
Il ligure, al suo primo anno nel devo team della Uae, ha fatto molta esperienza con il team WT
Il fatto che la squadra ti abbia chiamato in causa tante volte è però un sintomo di grande fiducia. Che cosa significa far parte dello stesso team di Pogacar e quindi vivere, anche se non direttamente, il suoi trionfi?

Sicuramente aiuta il morale. Io credo che la forza del team sia la sua coesione. I suoi successi ti portano ad attaccarti sempre più alla maglia. Io non ho avuto la possibilità di correre ancora con lui, ma ho gareggiato insieme a grandi campioni, ad esempio Hirschi. Standoci insieme, si ha l’opportunità di imparare tantissimo, per noi giovani è un plus.

Tornando a te, avrai altre occasioni per gareggiare con i “grandi”?

Mi hanno già detto di sì, anzi saranno sempre di più le occasioni e questo è sinonimo di fiducia. Ci saranno tante gare con la squadra del WorldTour, per aumentare la mia esperienza. So che il mio lavoro viene apprezzato sempre di più e questo vale molto perché nel team c’è molta competitività: se non vai forte, la squadra non ti convoca…

32 giorni di gara per Giaimi, con il 4° posto al GP Kranj come miglior risultato oltre a quello in Francia
32 giorni di gara per Giaimi, con il 4° posto al GP Kranj come miglior risultato oltre a quello in Francia
Perché non sei stato in Danimarca per i mondiali su pista?

Diciamo che un po’ è colpa mia. Villa ha chiesto di partecipare ai ritiri, ma tra corse e preparazione della crono non potevo dare le garanzie che chiedeva. Mi serviva fare questo percorso di carriera. Mi sarebbe piaciuto esserci, ma per farlo devi essere davvero al 100 per cento e con la pista ora non ho il necessario feeling.

Ma continuerai con la pista?

Certo, basterà trovare i giusti spazi nei rispettivi calendari per fare tutto al meglio. La squadra è perfettamente d’accordo che segua entrambi i percorsi, io alla pista tengo molto e soprattutto a percorrere una strada che possa portarmi a Los Angeles 2028 che è un mio obiettivo.

Per il corridore di Alassio tanto lavoro per i compagni. Ci saranno occasioni per vederlo leader?
Per il corridore di Alassio tanto lavoro per i compagni. Ci saranno occasioni per vederlo leader?
Tu spesso parli di lavorare per gli altri e della soddisfazione del team per il tuo apporto per la causa comune. Non temi però di essere identificato sempre più in un corridore che aiuta e non in uno che può mettere la propria firma sulle corse?

Le occasioni arrivano, bisogna farsi trovare pronti quando accadrà, fisicamente ma anche come esperienza. Alla Parigi-Tours, ad esempio non c’era un leader prestabilito, tutti correvano per procacciarsi la propria chance. Io troverò i miei spazi, ma devo ancora crescere…