Mozzato: annata dal doppio volto. L’analisi del veneto

05.11.2024
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Luca Mozzato è stato uno dei nostri portacolori alle Olimpiadi di Parigi, un bel traguardo per il corridore dell’Arkea-B&B Hotels, che dopo il podio al Fiandre era, ed è, entrato ufficialmente tra i grandi del ciclismo italiano. Tuttavia, proprio dopo i Giochi era lecito attendersi qualcosa di più da lui. Ma non sempre le cose vanno secondo programma.

In questi giorni Mozzato è alle prese con un trasloco. Tra scatoloni, immancabili scorribande da Ikea e mobili da spostare, ci ha raccontato come è andata e, in parte, come andrà la prossima stagione.

Per Mozzato una grande stagione fino a primavera
Per Mozzato una grande stagione fino a primavera
Insomma Luca, se dovessi tracciare un bilancio di questo tuo 2024 ciclistico cosa diresti?

Una stagione dai due volti. Quindi un bilancio molto positivo nella prima parte, fino alle classiche. E dire che non era iniziata benissimo, ma laddove avevamo segnato il cerchio rosso ci sono arrivato bene. L’idea era di andare forte tra marzo e aprile. Poi, anche in virtù del mio modo di correre, non avevo fatto molto. Non sono un tipo che può andare in fuga da solo. Magari cerco di restare nel primo gruppo e poi, a seconda di come va la corsa, cerco di cogliere l’occasione, forte anche del mio spunto veloce.

Chiaro…

Quel che mi è piaciuto è stata la crescita costante che ho avuto in quel periodo. Una crescita che è stata suggellata dal podio al Giro delle Fiandre. Io poi sono sempre stato parecchio legato al risultato. Non sono di quelli che si accontentano di andare forte. Magari preferisco soffrire tutta la gara, restare davanti con uno sforzo grande ma poi cogliere un risultato, piuttosto che stare bene in gara e poi restare con un pugno di mosche in mano.

Dopo le classiche del Nord hai staccato. E ti sei preparato per il Tour e le Olimpiadi. E da qui in poi ti abbiamo visto meno…

Esatto. È stata un’estate impegnativa. Io per primo mi aspettavo di essere più presente e cogliere qualcosa in più. E me lo aspettavo non tanto al Tour, dove ero consapevole che per me sarebbe stato difficile ottenere un risultato, ma per il dopo Tour. Fare la Grande Boucle quest’anno per me era importante, con la partenza dall’Italia e, appunto, le Olimpiadi subito dopo.

Perché era difficile fare di più?

Perché la mia presenza era per stare vicino a Demare e perché dovevo svolgere un certo lavoro in vista delle Olimpiadi. Ma in generale ho fatto più fatica di quel che mi aspettavo. Ho sofferto di più rispetto agli anni precedenti, specie nella terza settimana. Le altre volte, da quella, seppur stanco, ne uscivo con una bella gamba, in crescita. Stavolta invece non è andata così. Un giorno avevo sensazioni positive e un giorno negative. Non è stata una bella situazione.

Dal Tour in poi le cose non sono andate benissimo, ma il veneto non ha mai mollato e forse questo suo troppo insistere è stato l’errore chiave
Dal Tour in poi le cose non sono andate benissimo, ma il veneto non ha mai mollato e forse questo suo troppo insistere è stato l’errore chiave
E questo aspetto ha avuto ripercussioni sulle Olimpiadi?

Sulle Olimpiadi ma anche sul resto: la gamba non era piena e il morale non era alto. Chiaro che a Parigi si sarebbe potuto fare qualcosa di meglio, ma non era facile. Poi io sono uno che ha bisogno di correre per dimostrare quel che ha fatto, quanto ha lavorato. E questa cosa mi ha fatto più danni che bene.

Troppa voglia di fare, ma spiegaci meglio…

Per esempio, dopo Parigi, mi sono impuntato con la squadra per fare il Limousin, gara nella quale in passato ero andato bene. Invece ero a corto di fiato e quella corsa, a conti fatti, è stata la mazzata finale. Sono stato come nella terza settimana del Tour: un giorno mi svegliavo bene e l’altro male. Giusto nel finale di stagione mi sono un po’ ripreso. E infatti la miglior corsa, per sensazioni avute, è stata la Parigi-Tours, l’ultima gara dell’anno. Questo per dire che alla fine non ho mai mollato e ho cercato fino alla fine di fare bene, di riprendermi.

Quali insegnamenti hai dunque ottenuto da questa stagione?

Innanzitutto che non devo esagerare. Che non sono Superman: se non sono al meglio, devo recuperare un po’. E poi che forse devo ascoltare un po’ di più chi mi sta vicino. Penso proprio al Limousin: dovevo ascoltare la squadra che invece mi consigliava di rifiatare in vista del finale di stagione.

Che poi la questione è proprio questa, Luca: davvero ti si è visto poco, specie in relazione a quanto mostrato in primavera…

Sì, sì e ne sono consapevole. Quello solitamente è un periodo buono per me: nelle corse di secondo livello di fine stagione ci sono sempre stato. Stavolta invece ho fatto fatica.

Mozzato si appresta ad affrontare la terza stagione in questo team
Mozzato si appresta ad affrontare la terza stagione in questo team
Complimenti per l’onestà! E invece in squadra come vanno le cose?

Per ora sembra tutto bene. Non navighiamo nell’oro ma tutto procede come gli altri anni. Faremo tre giorni in Bretagna a fine mese con sponsor e fan, poi a dicembre e a gennaio andremo in Spagna per i ritiri, dove prepareremo la stagione cercando di difendere il posto nel WorldTour.

Conosci già il tuo calendario?

Non di preciso, ma più o meno è il solito. Quindi già so che la mia prima parte di stagione si concluderà con la Parigi-Roubaix. Poi non so le corse specifiche, ma più o meno è quello. Da lì in poi, invece, si vedrà.

Ti piacerebbe fare il Giro d’Italia?

Da italiano assolutamente sì, specie perché il Giro non l’ho mai fatto. Tra l’altro, si vocifera ci sia una tappa con arrivo a Vicenza, la mia città.

Pista, volate, salite e crono: tutto il Milan di Roberto Bressan

05.11.2024
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Sentire che Luca Guercilena ha riconosciuto la bontà del lavoro svolto dal Cycling Team Friuli con Jonathan Milan fa sì che Roberto Bressan mandi attraverso queste righe un messaggio di ringraziamento al general manager della Lidl-Trek. Fra i corridori passati nelle sue mani, Johnny è forse quello che sta volando più alto e che ha dimostrato da subito di poterlo fare (in apertura, immagine photors.it).

«Le parole di Luca mi riempiono di orgoglio – dice il manager friulano – ma è qualcosa che mi sento di dividere con tutto il nostro gruppo. Io ho fatto la mia parte, prendendo le decisioni, ma anche Andrea Fusaz ha fatto tanto con Milan e tutto lo staff tecnico. Una cosa è certa: si vedeva che fosse un talento fuori dal comune».

Bressan, classe 1960, insieme a Roberto Fedriga, presidente della Regione FVG (immagine CTF)
Bressan, classe 1960, insieme a Roberto Fedriga, presidente della Regione FVG (immagine CTF)
Da cosa si vedeva?

Ne avevamo sentito parlare e così quando era ancora junior avevamo cominciato a seguirlo, finché con Andrea Fusaz gli facemmo un test e fummo letteralmente impressionati dai numeri che saltarono fuori. Noi un ragazzo di 18 anni con quei valori non lo avevamo mai visto in vita nostra e, tutto sommato, faccio questo mestiere da qualche anno. Sono stato anche il direttore sportivo di suo padre Flavio, insomma. Jonathan ha dei geni fuori dal comune che gli vengono proprio da suo padre e da sua madre. Ha una forza fisica tutta da esprimere che non permette di sapere dove potrà arrivare. I suoi limiti sono ignoti, siamo ancora lontani secondo me. Secondo me se va al Tour e gli mettono a disposizione un bel treno, due tappe le vince di sicuro. Altro che Philipsen e gli altri…

Al primo anno da U23 lo portaste in pista: si vedeva quel tipo di talento oppure fu un tentativo?

Fu un esperimento. Il giovane Jonathan non aveva un carattere facile e anche tenerlo con la testa sulla bici non era semplicissimo. Così lo portai in pista per gestirlo e dargli la completezza che avevamo già sperimentato con Fabbro, nonostante fosse uno scalatore, e con De Marchi. Sapevamo tutti quello che potesse diventare Alessandro, ma andare in pista completa la dotazione del corridore.

Pare che Villa abbia detto a Guercilena già da allora che Jonathan avrebbe potuto fare il record del mondo.

Villa ha creduto in quello che gli dicevo e inserendolo nel quartetto ai mondiali di Berlino 2020, aggiunse 100 cavalli al quartetto. Quando presero il bronzo a squadre e poi fece 4’08” nell’individuale, che per me fu pazzesco, gli dissi che il suo traguardo doveva essere battere Ganna. Non perché si possa cancellare Pippo, visto che è un’istituzione, ma perché Ganna all’età di Jonathan non faceva gli stessi tempi, quindi era chiaro che il suo cammino fosse quello di batterlo. Attenzione: Ganna ha aperto la via e tracciato un metodo di lavoro dal quale Jonathan è stato di certo avvantaggiato.

Ti aspettavi che potesse fare il record del mondo?

Direi di sì. Quella sera ho chiamato Giovanni Carini, il meccanico della nazionale, e gli ho chiesto di passarmi Jonathan. Era ancora nel mezzo della festa, abbiamo parlato pochi minuti. Gli ho fatto i complimenti perché aveva raggiunto l’obiettivo che si era prefissato quattro anni prima.

Il suo presente è fortemente orientato sulle volate, credi che sia potenzialmente anche un corridore da classiche?

Milan è destinato a vincere le classiche, perché lui ha la salita nelle gambe. Nel tappone del Giro d’Italia U23 del 2020 in cui Aleotti fece quarto, Milan tirò da solo per le prime due salite. E’ più di un Viviani, col massimo rispetto, che fa le volate e vince in pista. Jonathan va forte anche a crono. Il campionato italiano U23 del 2020 era lungo 25,6 chilometri e lui batté Piccolo e Tiberi a 48,200 di media. Quando vincemmo il campionato italiano cronosquadre a 55 di media, lui fece il giro di riscaldamento da solo a 50 di media. Lo vedo più dalla parte di un Boonen o Pedersen che di un velocista puro.

Come si spiega secondo te che all’europeo non sia riuscito a venire fuori nel finale in volata?

Jonathan non è ancora capace di fare le volate da solo, ma se gli danno un treno come quello di Cipollini, non c’è nessuno che possa batterlo, perché ha dei valori di potenza fuori dal comune. Quel giorno, al netto di quello che hanno sbagliato e di cui hanno parlato, secondo me non stava bene, altrimenti uno con quella potenza sarebbe venuto fuori lo stesso. Non so se sia stato per la condizione o la tensione, ma secondo me quel giorno qualcosa deve essere successo.

Quanto della velocità di Milan su strada deriva dalla pista? Secondo Bressan i due ambiti sono legati con corda doppia
Quanto della velocità di Milan su strada deriva dalla pista? Secondo Bressan i due ambiti sono legati con corda doppia
Si dice che dal 2025 potrà puntare solo alla strada: tu gli diresti di andare comunque in pista per allenarsi?

Farebbe male a mollarla, perché la punta di velocità gli viene da quei lavori. Le partenze da fermo con certi rapporti, i lavori specifici sono cose che in strada non riesci a simulare bene. Non so se andrà in pista solo per allenarsi, come pure Ganna. Secondo me però un pensiero al mondiale lo faranno. Non credo che a Ganna faccia piacere aver perso il record del mondo, come credo che se Charlton dovesse battere il record, anche Jonathan, che ora magari potrebbe essere appagato, ritroverebbe la voglia di provare. 

Pellizotti, un oro, un bronzo e quel sorriso strappato al padre

05.11.2024
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La fantastica spedizione azzurra a Pontevedra, culminata con l’inedito primato nel medagliere degli europei di ciclocross, ha avuto anche la protagonista che non ti aspetti. Giorgia Pellizotti è tornata a casa con un oro nel team relay e il bronzo nella prova individuale junior e forse è proprio questa la medaglia più inattesa dell’intera spedizione azzurra. L’andamento della stagione aveva indicato la punta azzurra in Elisa Ferri (alla fine onorevole quinta), invece la figlia d’arte ha tirato fuori il classico coniglio dal cilindro.

Il podio finale con la Pellizotti al fianco della Bukovska e della vincitrice Grossmann
Il podio finale con la Pellizotti al fianco della Bukovska e della vincitrice Grossmann

Tornata a casa, Giorgia si è subito reimmersa nella routine quotidiana fatta di studio e allenamenti: «Il primo giorno ho preferito però saltare la scuola per rimettermi in pari con lo studio avendo saltato qualche giorno, e poi non nascondo che lì in Spagna ci si svegliava sempre molto presto e tra stanchezza ed emozioni ero veramente spossata».

Ti aspettavi risultati simili?

Decisamente no, quest’anno non avevo mai corso all’estero salvo l’esordio in Svizzera. Non sapevo che cosa attendermi, mi dicevo che anche una Top 10 sarebbe stata un buon risultato per me che sono primo anno.

Un pezzo del percorso, affrontato dall’azzurra anche nel team relay, una prova fondamentale
Un pezzo del percorso, affrontato dall’azzurra anche nel team relay, una prova fondamentale
Tu eri stata scelta per il Team Relay del sabato, quanto è stato utile partecipare in funzione della gara domenicale?

Tantissimo, direi che è stato fondamentale per molti aspetti. Intanto ho potuto provare il percorso ad alte velocità, il che non è la stessa cosa che farlo per allenamento. Vedi le traiettorie anche in base alla fatica, alla spinta che dai alla bici. Poi la vittoria ha dato a tutti una carica enorme, direi che ha fatto davvero la differenza.

C’è un segreto, qualcosa che ti ha dato la spinta giusta per il podio?

Io direi la lucidità nell’affrontare ogni frangente di una gara difficile. Soprattutto nei momenti iniziali, nei quali non ero messa benissimo. Ho avuto anche aiuto dalla fortuna, trovandomi al posto giusto nel momento giusto, ad esempio quando ho seguito l’azione di svizzera e ceka che alla fine si è rivelata decisiva.

Lo sprint di Giorgia, battuta di un’incollatura dalla ceka Bukovska, sfuggitale sull’ultima curva (Photopress.be)
Lo sprint di Giorgia, battuta di un’incollatura dalla ceka Bukovska, sfuggitale sull’ultima curva (Photopress.be)
Eppure in un primo momento eri anche un po’ rammaricata per il secondo posto sfuggito…

Ero felicissima, sia chiaro, però quando ho visto che avevamo fatto il buco mi sono leggermente rilassata ed è stato un errore perché non ho lottato sul rettilineo finale come avrei dovuto, ma la Bukowska era ormai sfuggita e sul rettilineo finale non potevo più rimontarla. Sarebbe stato importante rimanerle incollata.

Tu sei entrata nel team azzurro lo scorso anno pur essendo ancora allieva. Quanto è servito anticipare i tempi?

Moltissimo perché si è formato un gruppo coeso, anche con lo staff, c’era già una conoscenza consolidata. Diciamo che non siamo partiti da zero quest’anno, eravamo tutti pronti ad affrontare la trasferta nel bene come nel male. Io credo che sia stato importante, infatti non mi sono sentita come una novizia in un evento pur così importante.

Titolo junior all’elvetica Anja Grossmann, già titolata nella mountain bike
Titolo junior all’elvetica Anja Grossmann, già titolata nella mountain bike
La svizzera Grossmann era davvero imbattibile?

Io l’avevo affrontata già alla prima prova stagionale e mi ero accorta della sua superiorità, ma la conosco bene. Negli ultimi due anni è stata campionessa europea di mtb nella categoria allieve. Poi ha un fisico completamente diverso dal mio, infatti a dir la verità su un percorso come quello iberico non mi aspettavo di arrivarle così vicino.

Che cosa ti ha detto tuo padre all’arrivo?

Papà non è un uomo di tante parole. Io poi ero con la nazionale, ci siamo potuti vedere poco, ma si vedeva che era contento, molto contento. Avremo modo di confrontarci e di parlarne, una cosa però me l’ha detta: di pensare subito alle prossime gare e non cullarmi sugli allori perché l’appuntamento che conta è sempre davanti a noi. Io punto alle maglie nelle categorie superiori, quando conterà davvero. Questa è una tappa importante, ma pur sempre una tappa.

Con l’oro della staffetta insieme alla famiglia e a papà Franco, diesse della Bahrain Victorious
Con l’oro della staffetta insieme alla famiglia e a papà Franco, diesse della Bahrain Victorious
Sei sempre convinta a non seguire le sue orme e quindi dedicarti all’offroad?

Sì, la mountain bike resta la mia opzione per l’estate mentre il ciclocross è sempre la disciplina che preferisco. Non nascondo poi che l’idea che questa disciplina possa entrare nel programma olimpico mi esalta moltissimo e mi fa prendere questa attività con un altro spirito. Infatti ora che sono a casa già non vedo l’ora che arrivi il fine settimana con le nuove prove internazionali, tra il Giro delle Regioni a Cantoira e la prova di Torino.

La grande festa di Medellin per l’addio di Uran

05.11.2024
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Non vedremo più Rigoberto Uran nel gruppo. Il simpatico… bresciano di Urrao, arrivato in Italia nel 2006 per correre con la Tenax e avviare così una carriera da professionista lunga 19 stagioni, ha salutato domenica ottomila tifosi allo stadio Atanasio Girardot di Medellin. Qui il sindaco gli ha consegnato la Medaglia Categoria d’Oro, massima onorificenza della città (in apertura Uran con il presentatore Mario Sabato, foto El Giro de Rigo).

Alla cena inaugurale, con Uran i campioni di ieri e quelli di oggi (foto El Giro de Rigo)
Alla cena inaugurale, con Uran i campioni di ieri e quelli di oggi (foto El Giro de Rigo)

Grazie bicicletta

Una giornata allegra, come da par suo, ma questa volta insieme toccante, inaugurata in mattinata con El Giro de Rigo, la gran fondo scelta da tempo come gara per l’addio. Al suo fianco sono arrivati due campioni molto speciali che lo hanno scortato al passo d’addio: Joaquim Purito Rodriguez e Alejandro Valverde. Due giganti spagnoli che non si sono mai amati troppo, ma concordi nell’onorare il grande Rigo. E poi anche corridori in attività, da Dani Martínez e Sergio Higuita, Santiago Buitrago e Fernando Gaviria.

«Questo è un momento molto speciale per ogni ciclista – ha detto commosso Uran – e io non ho potuto farlo alla Vuelta a España, a causa della frattura dell’anca. Ma Dio conosce il perché delle sue scelte. E oggi a Medellín, davanti a tutta la mia gente e ai partecipanti al Giro de Rigo, do l’addio al ciclismo professionistico. Voglio solo dire: grazie, bicicletta. Grazie a te ho potuto ottenere molto, ho potuto sostenere la mia famiglia, ho potuto lottare e ispirare un intero Paese».

Tifosi e appassionati si sono accalcati per salutare il campione (foto El Giro de Rigo)
Tifosi e appassionati si sono accalcati per salutare il campione (foto El Giro de Rigo)

Felicità contagiosa

Valverde e Purito hanno condiviso con Uran i colori della Caisse d’Epargne nel 2008 e nel 2009. «E’ stato un orgoglio – ha detto Rodriguez – aver corso nella stessa squadra con Rigo. Non immaginavo che fosse possibile una corsa come El Giro de Rigo, sei davvero un fenomeno in tutto. Sapevamo tutti che ci avrebbe reso felici quando ti avessimo incontrato nel gruppo».

Un concetto simile a quello espresso da Rodriguez è arrivato anche da Valverde: «Stare con lui – ha detto – è sempre stata una gioia. In più ha fatto davvero tantissimo per il ciclismo del suo Paese».

L’oro di Medellin

Tra gli ospiti di lusso c’era anche la ciclista Mariana Pajón, tre volte medaglia olimpica della BMX, che aveva ospitato Uran e anche Bernal pochi giorni prima in occasione della sua Gran Fondito per bambini. E proprio lei, che ha toccato più volte con mano l’entusiasmo della sua gente, ha detto parole molto vere.

«La città è in festa – ha notato – e anche l’America Latina ti abbraccia. Siamo venuti per celebrare quello che è Rigo: non solo la sua carriera ma il suo modo di essere».

E lui dall’alto del palco su cui lo hanno intervistato, al momento di accettare il premio dal Sindaco Federico Gutierrez, ha commentato la sua carriera con una battuta. «Abbiamo perso l’oro a Londra, ma abbiamo vinto l’oro a Medellín», commentando così l’affetto che la sua gente gli ha sempre tributato.

Avrebbe voluto salutare alla Vuelta, ma ha dovuto ritirarsi e ora Uran saluta a Medellin (foto El Giro de Rigo)
Avrebbe voluto salutare alla Vuelta, ma ha dovuto ritirarsi e ora Uran saluta a Medellin (foto El Giro de Rigo)

Una storia difficile

Tra le vittorie più importanti di Uran si ricordano due tappe al Giro, una al Tour e una alla Vuelta. Il Gp Quebec. Il secondo posto alle Olimpiadi di Londra e la doppia piazza d’onore a Giro d’Italia: nel 2013 dietro Vincenzo Nibali e nel 2014 dietro Nairo Quintana. Anche il Tour de France del 2017 lo vide secondo dietro Froome, ad appena 54 secondi.

La sua storia di emancipazione dalla povertà attraverso la bici dopo l’uccisione del padre resta uno dei capitoli più toccanti del ciclismo contemporaneo. Le sue risate restano la colonna sonora di decine di interviste. E anche se negli ultimi tempi la sua presenza in gruppo è stata meno incisiva, siamo certi che davvero in gruppo se ne sentirà la mancanza.

Valencia cade, ora diamole una mano per rialzarsi

05.11.2024
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Le immagini che arrivano dalla provincia di Valencia mettono davanti a una realtà cruda e difficile da digerire. Di tutto quello che esisteva ora non rimangono che macerie e fango. Il conto delle vittime sale di giorno in giorno, non ci sono più case, negozi, vite. La Spagna è in ginocchio, consapevole che rialzarsi sarà faticoso sia moralmente che economicamente. Ci sono persone che in pochi giorni hanno perso tutto. Anzi in poche ore. Una vita da ricostruire, riadattare. Consapevoli che per ripartire non basteranno le proprie forze, ma servirà appoggiarsi sulle spalle degli altri. Di chi questa tragedia l’ha vissuta, per cancellare il dolore, e su chi ha a cuore le vite degli altri, qualunque sia il suo angolo di mondo. Chi volesse dare una mano trova in fondo all’articolo il link della raccolta fondi messa in piedi da Garzelli e sua moglie. 

Scrivere e dire: «Può succedere a tutti» è scontato e inefficace. Certe tragedie colpiscono e fanno riflettere solamente una volta avvenute. E’ difficile immedesimarsi in un qualcosa di talmente grande che nemmeno chi lo ha vissuto riesce a descriverlo. Serve affidarsi alle parole, al racconto e al ricordo di attimi indelebili. 

Macerie e detriti sono accatastati per strada in attesa di essere sgomberati
Macerie e detriti sono accatastati per strada in attesa di essere sgomberati

La distruzione

Stefano Garzelli ha legato una grande fetta della sua vita a questa terra, Valencia. Sua moglie è spagnola, i suoi figli vanno a scuola qui e sulle strade che non ci sono più si allenavano. L’ex ciclista professionista, ora commentatore tecnico per la RAI, qui ha fondato una scuola di ciclismo. Quei ragazzi ora faticano a pensare che un giorno potranno andare di nuovo in bicicletta. Sono talmente tante le cose da ricostruire che il ciclismo diventa forse l’ultima cosa a cui pensare. Per prime ci sono la vita e la voglia di ripartire. Stefano Garzelli ha vissuto una tragedia simile 12 anni fa, quando una tempesta portò via tutto, compresa la casa dove abitava. 

«A questo giro la mia famiglia e io siamo stati più fortunati – dice al telefono – perché a casa nostra non è arrivata tutta quella pioggia. Basta spostarsi di un paio di chilometri che la situazione cambia parecchio. Da me, a Betera, sono arrivate solamente forti raffiche di vento che non hanno fatto grandi danni. Ma basta uscire di poco per arrivare in una situazione che non ha aggettivi o parole per essere descritta. Ci sono paesi e città distrutte, la gente ha perso tutto, i morti aumentano di giorno in giorno (al pomeriggio di lunedì, giorno in cui stiamo scrivendo, ammontano a 217, ndr). Quello che più spaventa, forse, è il futuro. Migliaia di case sono state distrutte, non ci sono più negozi o attività commerciali».

Si contano più di 80.000 auto distrutte dall’alluvione
Si contano più di 80.000 auto distrutte dall’alluvione

Rialzarsi

Sono passati cinque giorni dalla bomba d’acqua che ha devastato tutto. I soccorsi sono arrivati prima dalla gente e poi dal governo. Come spesso accade i primi a muoversi sono stati i cittadini colpiti dal danno. 

«Ora quello che stanno facendo – prosegue Garzelli – è distribuire cibo e acqua. I supermercati e i negozi non ci sono più, quindi rifornirsi è impossibile. In più le autorità consigliano di non uscire, se non per andare al lavoro. Per chi ancora ce l’ha. Le strade sono bloccate dai mezzi pesanti oppure totalmente distrutte. In Spagna ora la polemica è contro l’intervento tardivo del Governo. I militari sono arrivati solamente quattro giorni dopo il disastro. Si rimbalzano le colpe ma sinceramente interessa poco. Per prime si sono mosse le persone colpite e i volontari: 12.000 cittadini sono scesi in strada a spalare il fango.

«La cosa che mi preoccupa maggiormente – aggiunge – è il futuro. Dei detriti, si contano tra le altre cose 80.000 auto distrutte, non si sa cosa farsene. Come fai a smaltire una così grande quantità di oggetti? Le scuole sono chiuse e anche tra i ragazzi non si parla che dell’alluvione. I miei figli con i loro amici non riescono a discutere di altro e li capisco. Uno dei miei ragazzi della scuola di ciclismo è stato preso dall’acqua, per fortuna è rimasto illeso. 

I cittadini sono scesi in strada per dare una mano, all’appello hanno risposto 12.000 persone
I cittadini sono scesi in strada per dare una mano, all’appello hanno risposto 12.000 persone

Ricordare e ricostruire

La memoria in certe situazioni conserva il dolore, lo rimpasta come fango e lo attacca alle pareti della nostra testa. La tragedia che stanno vivendo a Valencia continuerà a rimanere salda negli occhi di chi l’ha vissuta

«Dimenticare certe cose è impossibile – spiega ancora Stefano Garzelli – io e la mia famiglia lo sappiamo bene. Quando si è saputo che sarebbe arrivata questa perturbazione ero a Filottrano per lo Scarponi Day. Appena ho letto le previsioni e visto quanto successo a Bologna, dato che doveva essere la stessa perturbazione che poi sarebbe arrivata da noi, mi è venuta l’ansia. Da quel fatidico giorno di 12 anni fa ogni volta che piove forte mi prende questo stato emotivo. Anche i miei figli hanno la stessa reazione. 

«Per ripartire è necessario l’aiuto di tutti – conclude – Valencia e la sua provincia non possono farcela da sole. I cittadini sono in ginocchio. Mia moglie Maria ha ideato una raccolta fondi. Con le donazioni andremo a comprare alimenti di prima necessità, successivamente porteremo quanto acquistato nei differenti punti di raccolta nel nostro paese (Betera, ndr) e poi organizzeremo e distribuiremo il tutto casa per casa».

Chiunque abbia voglia di dare una mano può farlo a questo link.

Gli ex Gazprom si ritrovano in Astana e Scaroni li accoglie

04.11.2024
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Parte del gruppo della Gazprom-Rusvelo si sta ritrovando all’Astana-Qazaqstan. Christian Scaroni è stato il primo ad arrivare nella “corazzata turchese”. Adesso è stato raggiunto anche da Nicola Conci e Matteo Malucelli. Prima di loro erano già arrivati Velasco, l’addetto stampa Yuri Belzeko e il tecnico Sedun.

Scaroni ha ripreso ad allenarsi proprio oggi. Dopo qualche giorno di vacanza in Alto Adige, eccolo pronto per una nuova sfida. «La stagione è andata molto bene fino al Giro d’Italia. Ho ottenuto buoni risultati. Poi, nel finale del Giro, ho avuto il Covid e a luglio ho ripreso a correre, ma forse non è stata una grande scelta. Ho finito bene, ma non avevo quella gamba che serviva per ottenere il risultato pieno. È mancata solo la vittoria».

Scaroni in vacanza in Alto Adige, eccolo remare sul Lago di Braies
Scaroni in vacanza in Alto Adige, eccolo remare sul Lago di Braies

Di nuovo insieme

Come dicevamo, un gruppo si sta ricreando, ed è un bene. Scaroni è pronto ad accogliere i suoi ex compagni.
«Sono stato contento di vederli arrivare – ha detto Scaroni – Quando ho saputo di Conci, mi ha fatto piacere. Poi, dopo quei tre giorni in Veneto subito dopo il Lombardia, ho saputo anche di Malucelli. Davvero una bella notizia».

Alla Gazprom non se la passarono bene. La chiusura di quel team non fu una bella notizia per tutti loro, che si ritrovarono senza squadra nel giro di un attimo.
«Sono compagni con cui ho condiviso la stessa esperienza, e di certo è gente che ha fame. Consigli? Hanno già i loro anni di professionismo alle spalle e sanno il fatto loro. Di certo, la forte presenza italiana favorirà il loro inserimento. Conoscendoli, non mancherà l’entusiasmo, e in Astana non potrà che essere esaltato».

Carboni, Scaroni e Malucelli in maglia azzurra dopo la chiusura della Gazprom
Carboni, Scaroni e Malucelli in maglia azzurra dopo la chiusura della Gazprom

Benvenuti in Astana

L’esperienza terribile del restare senza squadra da un momento all’altro ha cementato la loro amicizia e complicità.
«Tutto ciò ha cementato la nostra amicizia e temprato i nostri caratteri». Erano i tempi in cui la Russia dichiarò guerra all’Ucraina e l’UCI, di fatto, mise fuori il team russo. A quel punto ci fu un “si salvi chi può”.

«Non sono rimasto stupito – va avanti Scaroni – che alla fine tutti abbiano trovato squadra. Erano tutti corridori validi e si vedeva che avevano qualità. I numeri erano dalla nostra parte e, poi, eravamo un bel gruppo. Noi italiani (Velasco era andato via l’anno prima, ndr) ci ritrovammo in Nazionale. E, nonostante tutto, riuscimmo a cogliere ottimi risultati, persino a vincere. Semmai sono stupito che ci siamo ritrovati in Astana due anni dopo». Solo Canola non ha trovato posto.
«Ma per Marco l’età ha giocato contro. In questo ciclismo, già a 23-24 anni sei a rischio; lui ne aveva una trentina. Ma anche lui aveva ottime capacità».

Amici e compagni

Scaroni è quasi un veterano dell’Astana, specie dopo il ricambio generazionale in corso e, come ha detto lui, grazie alla forte componente italiana. In più, è nel pieno della maturità. Prima di congedarci, ci offre un giudizio sui suoi compagni.

Partiamo da Velasco: «Simone? Direi che è un “cagnaccio” e glielo ho anche detto. Simone è uno che non molla mai, ma mai davvero. Sei in gruppo con 20-30 corridori e sei lì per staccarti, demoralizzato. Lui non molla un centimetro, anche se magari da fuori non si vede».

Ecco poi i due nuovi arrivati: «Nicola Conci, visto da fuori, sembra un professorino, ma nel senso buono. È molto preciso, però in realtà è uno che sa divertirsi e che parla. E poi c’è Malucelli: l’aggettivo adatto per lui è perseverante. Ha cambiato squadra, è stato in team più piccoli, ma non ha mai mollato. E non solo: ha anche vinto. E poi è un ingegnere; lui è un mix di Conci e Velasco!».

Premiata ditta Agostinacchio, padrona degli europei di ciclocross

04.11.2024
5 min
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Sveglia al mattino presto per raggiungere l’aeroporto e tornare a casa, con la valigia un po’ più pesante. Di notte si è dormito poco, con l’adrenalina accumulata nella splendida due giorni di Pontevedra dove l’Italia ha clamorosamente conquistato il primo posto nel medagliere. Una prima assoluta per l’Italia del ciclocross agli europei. Un contributo fondamentale è arrivato grazie alla “premiata ditta” Agostinacchio, che oltre a vincere un oro con Mattia fra gli juniores e l’argento di Filippo fra gli Under 23 ha dato un contributo decisivo alla vittoria nel Team Relay. E’ vero, con sole 4 squadre al via, ma in fin dei conti sono gli assenti ad avere torto…

Nel parlare con i due fratelli, direttamente all’aeroporto in mezzo a valigie e bici da imbarcare, si sente come ancora l’emozione sia padrona del loro animo, per un weekend che probabilmente ha cambiato completamente la loro parabola sportiva. I due si rimpallano spesso il telefono, trasmettendo all’interlocutore tutta la loro gioia.

L’abbraccio di Mattia Agostinacchio con Fabbro, anche lui protagonista nella gara junior
L’abbraccio di Mattia Agostinacchio con Fabbro, anche lui protagonista nella gara junior

Battuta una vecchia conoscenza

Il primo a prendere la parola è Mattia, che torna a casa con due medaglie d’oro al collo: «La seconda è stata molto più difficile da portare a casa. In fin dei conti, a prescindere dalla starting list, nella staffetta la responsabilità è condivisa, nella gara individuale è tutto sulle tue spalle. Io però ero concentratissimo verso l’obiettivo per il quale ho lavorato tutte queste settimane.

«Un aiuto sicuramente l’ho avuto conoscendo gli avversari, in particolare l’austriaco Hofer che ha disputato alcune prove internazionali in Italia. Sapevo che erano lui e il belga Vandereynde i riferimenti della gara e quando ho visto che tenevo il loro passo ho capito che potevo giocarmi qualcosa d’importante».

Cambio fra la Baroni e Filippo Agostinacchio. Oro con loro anche per Mattia e per Ceolin, Pellizotti e Bramati
Cambio fra la Baroni e Filippo Agostinacchio. Oro con loro anche per Mattia e per Ceolin, Pellizotti e Bramati

Le raccomandazioni di Pontoni

Per Mattia i prodromi di questo oro sono arrivati nel corso di tutto l’avvio di stagione, con le vittorie al Giro delle Regioni e nelle altre prove internazionali: «Avevo detto che era importante accumulare più punti possibile per partire davanti, infatti alla fine sono riuscito a salire al 2° posto nel ranking e quindi scattare dalla prima fila ed è stato fondamentale. Pontoni si era raccomandato di partire forte considerando la curva di 90° subito dopo lo start e infatti in tanti sono caduti lì, io ho evitato il problema».

La gara poi come si è sviluppata? «Siamo rimasti davanti in un gruppetto di 5-6 corridori (tra cui anche l’altro azzurro Fabbro, alla fine 6°, ndr), che si spezzava spesso in base a errori e scivolate, anche io a dir la verità ci ho messo del mio. Ma sono riuscito a rimanere davanti fino al penultimo giro, quando ho rotto gli indugi e sono andato via».

L’arrivo nel team relay di Filippo Agostinacchio, dopo aver superato il francese prima dell’ultima curva
L’arrivo nel team relay di Filippo Agostinacchio, dopo aver superato il francese prima dell’ultima curva

«Dopo la curva, attacca…»

E nella staffetta? «Lì io ho fatto la seconda frazione, tutti noi dobbiamo dire grazie a Filippo che nel giro finale ha fatto la differenza». Il telefono passa al fratello, che racconta quel giro conclusivo con l’ordine impartito da Pontoni all’ultimo passaggio ai box: «Daniele mi ha avvertito che da dietro lo spagnolo stava risalendo velocemente, mi ha detto che era il momento di attaccare il francese, infatti appena superata la curva ho spinto al massimo passandolo di botto e andando verso il traguardo, sapevo che non poteva più prendermi».

Il suo argento nella gara U23 è stato per molti versi più sorprendente dell’acuto del giovane fratello: «Io a dir la verità non me l’aspettavo, alla vigilia avrei firmato per una Top 5, ma sapevo di stare veramente molto bene, di essere arrivato al massimo della condizione. A guardare bene la gara, posso anche dire che forse si poteva anche provare qualcosina di più, perché in partenza e lungo il percorso qualche errore l’ho fatto, in particolare dopo una curva ho faticato a rilanciare e si è creato un buco che mi ha richiesto tempo ed energie per ricucire, energie che nel finale mi sarebbero state utili».

Bellissimo bronzo per Giorgia Pellizotti fra le junior, con titolo alla svizzera Grossmann. Quinta Elisa Ferri (Photopress.be)
Bellissimo bronzo per Giorgia Pellizotti fra le junior, con titolo alla svizzera Grossmann. Quinta Elisa Ferri (Photopress.be)

Il peso di una stagione persa

Filippo ha chiuso a 3” dal belga Jente Michels, riconfermatosi sul trono continentale: «Era comunque più forte al di là dei 3” di margine. Quando rilanciava dopo ogni curva era davvero difficile tenerlo. Sapeva di essere il favorito e ha fatto una gara tutta di testa. Nulla da eccepire sull’esito della corsa».

Un podio che lo riporta in auge: «La mia parabola è stata più difficile rispetto a quella che sta vivendo Mattia. Io sono all’ultimo anno da U23, ma a me è mancata quasi completamente la seconda stagione da junior a causa del covid e sappiamo benissimo come sia fondamentale nella crescita di un corridore, anche nella costruzione della sua immagine. Da allora non ho fatto altro che inseguire, il vero salto di qualità l’ho fatto dalla scorsa stagione a oggi».

Unica amarezza della spedizione iberica il 4° posto pur notevole di Sara Casasola fra le elite
Unica amarezza della spedizione iberica il 4° posto pur notevole di Sara Casasola fra le elite

Già si pensa al mondiale

Ma chi ha iniziato prima fra i due? Risponde Mattia: «Credo che sia stato lui, io ero troppo piccolo, ma questa disciplina la amiamo allo stesso modo come amiamo la strada. Infatti entrambi nel 2025 ci dedicheremo ad essa in maniera compiuta, mettendo da parte la mountain bike». «Io però una porticina aperta al gravel la lascio – afferma Filippo che era stato convocato anche per i mondiali di specialità – ma è chiaro che ora ambisco alle prove su strada con la Biesse-Carrera per fare bene».

E ora? «Ora ci godiamo queste medaglie ma si riparte subito verso i prossimi appuntamenti internazionali – risponde Mattia – perché la stagione è solo agli inizi. E’ chiaro che questi europei cambiano un po’ le prospettive, adesso ho la convinzione di poter dire la mia al massimo livello». E chissà che quella maglia iridata oggi vacante dopo la vittoria di Viezzi a gennaio non resti in casa italiana…

EDITORIALE / Bugno e il ciclismo valgono più di 30.000 euro

04.11.2024
4 min
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Se avessero voluto gratificare Gianni Bugno, sarebbe stato meglio riconoscergli un incarico federale. Ne avrebbe il carisma, la competenza e persino il diritto: lo ha dimostrato con il lavoro svolto per il CPA. Invece gli offrirono dei soldi, trentamila euro, ma non si è capito a che titolo. Il presidente Dagnoni dice che non fu Bugno a portargli lo sponsor TCI Led, quindi nulla gli era dovuto. Lo stesso Bugno dice di aver semplicemente creato un contatto, per il quale non era previsto compenso. E allora perché offrirglieli? Forse perché un uomo così sarebbe diventato una spina nel fianco più rumorosa di Norma Gimondi, che lasciò la Federazione con un rimbombo che si disperse rapidamente? In ogni caso Gianni li rifiutò e si ritrovò contro il palazzo.

Si torna ad anni impegnativi. Nel marzo del 2022 Gianni ricevette la notizia che chiuse per forza una pagina della sua vita. Non avrebbe più potuto pilotare l’elicottero, il mestiere che più amava: come dover nuovamente smettere di correre. Cinque mesi dopo, casualmente oppure no e nel pieno della bufera sulle provvigioni irlandesi, Bugno ricevette il messaggio del presidente federale che gli proponeva l’incontro di cui si è raccontato pochi giorni fa nella conferenza stampa di Monza.

L’avvocato Alessi e Moreno Argentin nella conferenza di Roma successiva all’annullamento della Adriatica Ionica Race
L’avvocato Alessi e Argentin nella conferenza di Roma successiva all’annullamento della Adriatica Ionica Race

La conferenza di Monza

Un evento, quest’ultimo, organizzato con l’avvocato Alessi: lo stesso che di recente aveva assistito Moreno Argentin nella spinosa vicenda della Adriatica Ionica Race cancellata e l’aveva poi portato al tavolo di un altro incontro con i giornalisti, cui intervenne anche Bugno. Di fronte, questa volta meno additato, ugualmente il presidente federale Dagnoni e la sua gestione.

Un evento sulla cui utilità ci si potrebbe persino interrogare, dato che la procura federale ha archiviato l’inchiesta sulla delicata vicenda, senza aver ascoltato Bugno. E senza che la Procura del Coni abbia ritenuto necessario andare a vedere più da vicino, fosse anche per dare al verdetto i crismi per risultare inattaccabile. Una di quelle inchieste aperte per dovere e portate al traguardo senza scossoni, su cui la conferenza di Monza ha voluto riaccendere la luce, prima che sparisca definitivamente alle spalle. Come peraltro nulla si sa del fatto che la Giunta CONI non avrebbe ancora approvato il bilancio consuntivo 2023 della FCI.

Cordiano Dagnoni è diventato presidente FCI nel 2021
Cordiano Dagnoni è diventato presidente FCI nel 2021

Bugno come Cassani

Quello che troviamo triste è il ribaltamento dei ruoli. Gianni Bugno è stato per anni IL CICLISMO italiano, il campione con cui farsi le foto e da avere accanto come una benedizione. Alla Chateau d’Ax è stato il capitano di Roberto Amadio e di Mario Scirea, entrambi presenti all’appuntamento con Dagnoni ed entrambi citati ripetutamente nella conferenza di Monza. Eppure in questa vicenda dai contorni confusi sono diventati testimoni e attori di una situazione da cui il loro capitano è uscito con le ossa rotte e l’immagine danneggiata. Chissà se si è compreso l’enorme danno fatto al ciclismo, esponendo Gianni a questa situazione.

E’ l’ennesima dimostrazione di un sistema che ha rimandato al mittente il galateo sportivo. Se ne ebbe un primo assaggio alle Olimpiadi di Tokyo, quando nel bel mezzo della festa, il coordinatore delle nazionali Cassani fu rispedito a casa. Di lì a poco ci sarebbe stato da festeggiare lo storico oro del quartetto, reso possibile dalla gestione di Villa e del cittì romagnolo, ma in quelle foto ricordo comparvero altri volti che alcun ruolo ufficiale ebbero in quella storia.

Roberto Amadio e Mario Scirea, team manger FCI e collaboratore tecnico
Roberto Amadio e Mario Scirea, team manger FCI e collaboratore tecnico

Non solo l’eccellenza

Nei giorni scorsi, il Consiglio federale ha approvato i contratti dei tecnici sino a fine 2025. Mancano all’appello soltanto Sangalli, che ha preferito salire sull’ammiraglia della Lidl-Trek, e Bennati, che l’ha saputo dai media prima che a dirglielo fosse lo stesso Amadio. Il contratto del team manager scadrà invece nell’ottobre 2025, qualunque sia il presidente federale che uscirà dalle urne il prossimo gennaio. Certo, il veneziano dovrà sperare che il prossimo eletto – qualora non dovesse essere Dagnoni – abbia con lui un atteggiamento più elegante di quello che venne riservato a Cassani.

Si annunciano settimane faticose, mentre le maglie azzurre vincono sui sentieri degli europei del cross ringraziando la Federazione che li ha messi nelle condizioni di lavorare. Quel che manca è la struttura su cui costruire il futuro: di questo l’attuale gestione non si è preoccupata poi troppo. Ha lavorato più sull’eccellenza che sulle sue radici.

Predomo studia Lavreysen, colpi d’occhio da campione

04.11.2024
6 min
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La crescita di un corridore passa anche attraverso il confronto con i campioni della sua epoca. Mattia Predomo è un autentico dominatore nelle categorie giovanili della velocità, ma questa è una specialità dove si matura pian piano, anche attraverso sconfitte ed esperienze contro i leader, come l’olandese vincitutto Lavreysen. Noi abbiamo sottoposto l’azzurro a un piccolo gioco, mettendolo davanti ad alcune foto dell’olimpionico arancione, analizzandole dal punto di vista tecnico e soprattutto confrontandosi con esse.

Predomo, ragazzo estremamente attento ad ogni sfumatura della sua disciplina si è sottoposto di buon grado alla prova: «Con Lavreysen ho gareggiato un paio di volte ma l’ho sempre guardato con attenzione perché è il riferimento assoluto. Partiamo però dal presupposto che siamo fisicamente molto diversi: lui ha almeno 20 centimetri più di me in altezza e questo si traduce in almeno 13 chili in più. Si vede che la sua muscolatura è molto sviluppata».

Predomo sottolinea la posizione di Lavreysen, che lo porta ad avere le braccia più flesse del solito
Predomo sottolinea la posizione di Lavreysen, che lo porta ad avere le braccia più flesse del solito
Questo comporta l’uso di bici con una taglia diversa?

Non solo. Per lui viene fatta una bici con telaio su misura, non è lui che si adatta con le misure, gli viene costruito un telaio apposito, come avviene per altri olandesi e qualche inglese a che so io. Questo è un fattore importante perché incide sulla sua posizione e tutto il resto. Noi invece dobbiamo lavorare molto sulle misure e le posizioni.

Partiamo allora dalla foto della partenza nel chilometro da fermo…

La cosa che emerge guardandola è la sua posizione estremamente avanzata. Sta lanciando la bici, quindi scarica su di essa una grande potenza per acquisire prima possibile grande velocità. Da notare la posizione delle braccia: se ci fate caso sono leggermente piegate in base alla posizione avanzata delle spalle e questo io credo derivi dal suo passato nella Bmx. Di regola si tengono le braccia più dritte, proprio perché la posizione della parte superiore del corpo è più arretrata.

Nella foto alla balaustra? Qui siamo in una fase abbastanza tranquilla…

E infatti le mani hanno una minor tensione, sono sulla parte bassa del manubrio in posizione rilassata. Significa che sono i giri prima del lancio verso lo sprint, si cerca di acquisire la posizione più comoda possibile non solo per risparmiare energie, ma anche per poter scaricare potenza e lanciarsi più forte possibile. Sicuramente è una posizione molto diversa da quella che assumono gli stradisti, per esempio. Guardate la differenza delle braccia quando invece è vicino alla linea blu, lì sono molto più attive, per dare spinta anche stando seduto. In quella foto desumo che Harrie stia per alzarsi sulla sella.

Guardando le sue gambe che cosa noti di diverso?

Una delle sue caratteristiche è l’eccezionale gioco di piedi e caviglie sui pedali e questo si desume dalla sua prestazione nel chilometro. Non è la sua specialità, so che prima di Ballerup non l’ha disputata spessissimo, ma si nota guardando la foto come la sua posizione sia molto diversa da quella tenuta dai corridori che, invece che dalla velocità, vengono dal quartetto. Nel suo caso si capisce come a differenza degli inseguitori non guardi all’aerodinamica.

Che cosa intendi dire?

Non cerca di assumere una posizione il più possibile “morbida” contro l’aria, ma pensa solo a scaricare potenza. Sui 4 giri conta molto la spinta: lui cerca di raggiungere subito la velocità di crociera, perché a quel punto gli è più facile tenere la bici. La sua è una posizione classica: quando gareggi nella velocità, hai invece una posizione o più arretrata, tendente quasi allo zero e questa tendenza se notate si sta spostando sempre più anche alla strada. Lo stesso Pogacar tende ad avere una posizione simile, perché più comoda e redditizia. Molto dipende dalle pedivelle: io uso le 165, lui ha le 170 che aprono un angolo più basso che permette una spinta migliore.

La posizione del busto?

Torniamo alla foto vicino alla linea blu: la sua posizione è di pieno scarico sulle gambe pur mantenendo la bici in linea. E’ qualcosa che per lui sembra facilissimo ma non lo è. E’ un aspetto sul quale sto lavorando molto con i tecnici, per avere una posizione più comoda potendo in questo modo massimizzare la spinta degli arti inferiori con la bici che, rimanendo stabile e in linea, traduce tutta la forza emessa.

La sfida con Hoogland nella finale mondiale. Le posizioni sono simili, emerge la grande potenza dei due
La sfida con Hoogland nella finale mondiale. Le posizioni sono simili, emerge la grande potenza dei due
Nello sprint e nel keirin la sua posizione è diversa?

Diciamo che è più classica, simile alla nostra ma lì non puoi inventarti molto. L’impugnatura del manubrio è quella, può cambiare di minimi particolari ma se guardate rispetto all’avversario che è dietro non ci sono grandi differenze, anche se lui si sta alzando sulla sella. Semmai è interessante il fatto che sia leggermente spostato indietro, più in linea con i pedali, ma è sempre per il discorso di prima di scaricare più potenza più velocemente possibile.

Quanto influisce in tutto ciò il lavoro su pista e quello fuori, in palestra?

Questo è un aspetto importante. Direi che la palestra costituisce almeno il 70 per cento della prestazione, ma quelle masse muscolari non le acquisisci dall’oggi al domani, ci vogliono anni di applicazione costante. E’ un percorso lungo, nel quale ogni carico in più deve arrivare al momento opportuno e deve andare di pari passo con la tecnica, con quei piccoli ma fondamentali accorgimenti di cui abbiamo parlato. Poi la prestazione è molto personale: l’australiano Hoffman è uno dei migliori partitori del circuito, ma ha un modo di scattare profondamente diverso da quello ad esempio dei belgi. Ognuno deve trovare la sua strada, io sto lavorando per quello.