Sobrero alla ricerca dei giusti equilibri in vista del 2025

20.11.2024
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La prima stagione di Matteo Sobrero con la Red Bull-Bora Hansgrohe ha due volti: uno felice e l’altro un po’ meno. Quando è stato chiamato per dare supporto ai capitani, il piemontese ha risposto presente, mentre nelle occasioni in cui ha avuto spazio per sé qualcosa non è andato. 

«Ero a conoscenza del ruolo nel team – spiega Sobrero, che in questi giorni ha riagganciato le tacchette ai pedali in vista della prossima stagione – che mi era stato assegnato fin dal primo ritiro, ovvero a dicembre dello scorso anno. Nei Grandi Giri avrei dovuto dare una mano ai capitani, mentre in altre gare avrei avuto lo spazio per provare a dire la mia e fare la corsa».

Sobrero ha iniziato la sua stagione all’AlUla Tour con un buon quarto posto finale
Sobrero ha iniziato la sua stagione all’AlUla Tour con un buon quarto posto finale

Le fatiche gialle

Alla fine Sobrero ha corso il suo primo Tour de France, quello che gli era stato promesso lo scorso anno e che poi era sfumato senza troppe spiegazioni. Alla Grande Boucle ci è andato, consapevole del lavoro che avrebbe dovuto svolgere per il capitano unico: Primoz Roglic

«Sento di essere arrivato a fine anno scarico e tirato – racconta – con la squadra abbiamo parlato proprio di questo. Ci sono stati dei piccoli errori o comunque delle situazioni che non è meglio non rifare. Con l’arrivo di Red Bull il team ha investito tanto sul Tour, forse fin troppo. Non ero mai stato abituato a certi carichi di lavoro. Siamo partiti il 10 maggio, senza mai praticamente tornare a casa fino all’ultima tappa. Ho anche saltato il campionato italiano».

La partecipazione al suo primo Tour de France ha richiesto una grande preparazione
La partecipazione al suo primo Tour de France ha richiesto una grande preparazione
Come si è svolta la vostra rincorsa al Tour?

Siamo partiti per andare a fare qualche ricognizione di tappa. Poi da lì ci siamo spostati ad Andorra per il ritiro in altura, abbiamo corso il Delfinato e infine siamo tornati in ritiro a Tigne. Una volta finita la preparazione c’è stata la presentazione ufficiale di Red Bull in Austria e pochi giorni dopo la partenza da Firenze. Sono sforzi che fai e che non ti pesano, soprattutto con l’adrenalina del momento.

Poi li senti?

Una volta che ti fermi, ti salgono addosso la stanchezza e la fatica. Tutti i miei compagni che hanno finito il Tour hanno detto di aver risentito del lungo periodo di stress. Ed è una cosa che personalmente mi sono portato fino all’ultima gara della stagione, nonostante abbia staccato tra la fine del Tour e le altre gare. Si tratta di trovare il giusto ritmo e di abituarsi a certi carichi di lavoro e di stress. Tutte le squadre fanno un programma simile prima del Tour.

Prima della Grande Boucle, Sobrero ha corso insieme a Roglic al Delfinato
Prima della Grande Boucle, Sobrero ha corso insieme a Roglic al Delfinato
Si deve cercare il giusto equilibrio…

In un ciclismo che chiede di essere sempre al 100 per cento, essere al 95 vuol dire rincorrere. Io ho pagato più mentalmente che fisicamente. Non avevo mai preparato un Grande Giro in questo modo, l’anno prossimo sarebbe diverso. Sarei pronto. Però d’altra parte tornare a casa qualche giorno sarebbe stato utile per riposare e ripartire al massimo. Mi sono reso conto che sono arrivato alla partenza di Firenze già stanco.

Parliamo dei tuoi obiettivi, eri partito bene con AlUla e Sanremo.

Avevo trovato una buona condizione e sentivo di stare abbastanza bene. Poi mi sono ammalato in vista delle Ardenne e nel finale di stagione, come detto, non ero al 100 per cento. Se guardo alla mia stagione personalmente non posso essere soddisfatto, mentre se penso al mio lavoro per il team posso esserlo. 

Devi trovare il modo di incastrare tutto?

Sì, così da essere soddisfatto di entrambi gli aspetti. Anche perché la squadra mi concede le occasioni. Nel caso gli spazi per il 2025 dovessero essere gli stessi, sarà importante trovare qualche accorgimento per arrivare pronto ai miei obiettivi. Questi possono essere la Sanremo, le Ardenne o le gare di fine stagione. Vero che non abbiamo ancora un calendario, quindi parlare di impegni è difficile, ma vorrei trovare un equilibrio migliore. 

Ora che li hai messi tutti in cascina quale pensi sia il migliore per conciliare i tuoi obiettivi e quelli di squadra?

Sono consapevole che sarò di supporto per i capitani. Mi piacerebbe tornare al Giro perché è una corsa meno stressante e frenetica. Dal punto di vista di ciò che lo circonda il Tour de France è mentalmente impegnativo, spendi il doppio. Ci sono tanti tifosi, media, pressione, ecc… 

Per ricalibrare gli impegni in vista del 2025 serve trovare un equilibrio tra quelli del team e i suoi
Per ricalibrare gli impegni in vista del 2025 serve trovare un equilibrio tra quelli del team e i suoi
La differenza la farà tanto quale Grande Giro correrà Roglic, quest’anno lo hai affiancato parecchio. 

Mi sono trovato molto bene con lui fin da subito, abbiamo un ottimo rapporto. E’ un leader diverso da quelli che ho avuto in precedenza, ha proprio il carisma del campione. Per il momento non sono ancora totalmente legato a lui, potrei correre in supporto di altri capitani. Vedremo cosa verrà fuori dal ritiro di dicembre, manca poco. Si parte il 10.

Bortoluzzo, il meccanico dei crossisti. Anzi, quasi un papà…

19.11.2024
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E’ un’altra colonna dello staff azzurro del ciclocross. Un altro di quei personaggi che Pontoni ha scelto per fare gruppo, per creare quell’ambiente indispensabile per provare a ottenere risultati. Stiamo parlando di Luca Bortoluzzo, il meccanico del team tricolore, che ha vissuto sulla propria pelle tante avventure e soprattutto le ultime grandi soddisfazioni ottenute dal ciclocross italiano.

Come nel caso del massaggiatore Capelli, anche Bortoluzzo è un vecchio navigante del mondo del ciclismo: «Ci sono in mezzo dal secolo scorso, ho gravitato un po’ fra gli under 23 e molto fra i professionisti, quindi conosco bene l’ambiente. Quattro anni fa, quando Daniele ha preso in mano le redini del settore, mi ha chiesto di entrare nel suo gruppo e conoscendolo ho accettato anche perché ero un po’ stanco di girare il mondo come una trottola… Oltretutto anche nel ciclocross avevo esperienza, essendo stato nello staff azzurro con Scotti per tre anni».

Lo staff azzurro insieme a Viezzi vincitore del titolo mondiale junior. A Tabor è stata grande festa
Lo staff azzurro insieme a Viezzi vincitore del titolo mondiale junior. A Tabor è stata grande festa
Qual è la differenza fra le due esperienze?

Ora alla base c’è un gruppo che si fonda sull’amicizia, perché ci conosciamo tutti da tantissimi anni e Pontoni ha puntato proprio su questo. Siamo tutta gente che ha un’esperienza lunga e profonda: io, Paolo De Geronimo, Gianfranco Zanatta, Fabrizio Gherardi e gli altri. Abbiamo tutti condiviso tante avventure in giro per il mondo e sappiamo quindi come vanno queste cose, per questo siamo anche un sostegno per i ragazzi che arrivano a queste esperienze spesso un po’ spauriti. Tra l’altro lo stesso gruppo lavora sia per il ciclocross che per il gravel.

Com’è il lavoro con i ragazzi?

Per loro natura sono apprensivi, noi cerchiamo tramite la nostra esperienza d’infondere tranquillità. Io da parte mia spesso mi trovo a che fare con bici disastrate, quando i ragazzi vengono per raduni o trasferte e quindi c’è tanto lavoro da fare e in poco tempo per consentire loro di effettuare i sopralluoghi sul percorso. Ma a me interessa che siano messi nelle condizioni migliori possibili.

Bortoluzzo con Toneatti nello sfortunato europeo di Namur 2022, chiuso al 4° posto
Bortoluzzo con Toneatti nello sfortunato europeo di Namur 2022, chiuso al 4° posto
Con che cosa ti trovi a che fare?

Per fare un esempio, la normalità sono tubolari scollati, che certe volte mi chiedo come facciano ad andare avanti… Noi ci mettiamo del nostro, ma non nascondo che ci sono volte che in trasferta Daniele mi dice: «Prendi i pezzi che ti servono dalla mia bici» e di sera sto lì a lavorare, smontare e rimontare. Per noi quel che conta è la gara del ragazzo di turno, che sia messo nelle condizioni ideali, per questo non pesa a nessuno di noi dello staff, facciamo tutto in allegria e questo i ragazzi lo percepiscono.

Com’è il legame con il cittì?

Io ho avuto la fortuna di avere mio fratello che era il suo meccanico ai tempi dei suoi trionfi. Quindi ci conosciamo da sempre. Anch’io l’ho seguito quando correva e siamo sempre rimasti in contatto. Daniele non manca mai di farci sentire partecipi proprio perché si è formata una famiglia nella quale ognuno ci mette del suo, anche i ragazzi stessi.

Bortoluzzo ha un suo gruppo di lavoro a Sulbiate (MB) dove cura il posizionamento biomeccanico
Bortoluzzo ha un suo gruppo di lavoro a Sulbiate (MB) dove cura il posizionamento biomeccanico
Che cos’è delle nuove generazioni che arrivano in nazionale che ti colpisce?

La competenza. Rispetto ai tempi passati, al ciclismo di una volta sanno di che cosa si parla, hanno una curiosità di fondo. Non puoi certo dire loro una cosa per l’altra… Inoltre vedo anche la mano del cittì, che ha sempre detto a tutti che il requisito principe per far parte del gruppo è l’educazione, il modo di porsi in gara e fuori. Su questo è davvero intransigente. Sono spesso giovanissimi, ragazzi che devono maturare, noi li vediamo quasi come dei figli. Tanti parlano delle regole che Pontoni adotta come quella del divieto all’uso dei telefonini a tavola. Beh, vale anche per noi, perché quando si mangia è un momento di gruppo, di comunione…

Com’è il cittì con i ragazzi?

E’ sempre disponibilissimo con i ragazzi, ma non è un loro amico. E’ pronto a ridere e scherzare quando si può ma pretende il massimo della serietà quando serve. La cosa che i ragazzi apprezzano tanto però è che è uno di loro sul campo di gara: quando si fa la prova percorso Daniele non resta ai margini, ma indossa divisa e caschetto e si butta sul tracciato con loro. Si fermano nei punti salienti, li analizzano insieme. Fa anche vedere loro come affrontarli sulla base della sua enorme esperienza.

I ragazzi azzurri si mostrano sempre molto attenti, anche per il lavoro dei meccanici
I ragazzi azzurri si mostrano sempre molto attenti, anche per il lavoro dei meccanici
E loro come sono, la loro curiosità la estrinsecano anche con te?

Sì, spesso, sono lì ad assistere quando metto mano alle bici, hanno anche una buona competenza di base e ad esempio sono sempre molto attenti alle pressioni delle gomme, sono lì che misurano e rimisurano, fanno confronti tra marche diverse. Tra l’altro questa competenza inizio a riscontrarla anche fra le ragazze, magari non quelle giovanissime, ma noto che con il crescere acquisiscono sempre più interesse anche per il mezzo, sapendo quanto esso incide.

L’occasione mancata: i 50 metri di Dainese a Padova, parla Tosatto

19.11.2024
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Hai presente quel giorno che ti sei mangiato le mani per una situazione che poteva essere gestita meglio? Tutti ne abbiamo uno nella nostra vita, anzi ben più di uno. Matteo Tosatto appena gli facciamo questa domanda ci chiede se deve cercare tra i ricordi di una carriera intera oppure del solo 2024. Siccome i racconti precedenti sono rivolti alla stagione appena conclusa gli chiediamo di concentrarsi solo su questo periodo. 

«La tappa di Padova al Giro d’Italia – dice Tosatto dopo qualche istante di silenzio – quella è stata la grande occasione sfumata. Il lavoro fatto per Dainese e la volata di quest’ultimo ci hanno portato così vicini alla vittoria che se mi guardo indietro capisco quanto ci siamo andati vicini».

L’arrivo a Prato della Valle a Padova per Dainese aveva un sapore speciale
L’arrivo a Prato della Valle a Padova per Dainese aveva un sapore speciale

Due uomini in meno

Padova: 18ª tappa del Giro d’Italia e la Tudor Pro Cycling che prende in mano la situazione negli ultimi chilometri. Siamo in Veneto, più precisamente a casa di Alberto Dainese. La Corsa Rosa porta i velocisti a giocarsi la penultima chance di vittoria a Prato della Valle. Le energie rimaste in corpo sono contate, quel che fa la differenza in questi casi è la testa e un po’ di fortuna. 

«Dopo tante tappe eravamo arrivati a Padova con due uomini in meno nel treno per Dainese – racconta Tosatto – a causa di cadute e malattie varie. Dai quindici chilometri al traguardo abbiamo fatto tutto perfettamente. Sono mancati gli ultimi 50 metri di una volata preparata davvero al meglio. Dainese dall’essere in testa si è ritrovato quarto sul traguardo per una questione di attimi. Peccato perché sarebbe stata la prima vittoria della Tudor in un Grande Giro».

La volata lanciata troppo presto gli è valsa un quarto posto finale, a vincere è stato Merlier
La volata lanciata troppo presto gli è valsa un quarto posto finale
Era il giorno giusto?

Se mi fermo a pensare direi di sì. Dainese nella sua Padova e noi con il lavoro svolto al meglio delle nostre possibilità. Anzi, perfettamente. Trentin ha fatto un grande lavoro così come Froidevaux, era tutto apparecchiato. L’occasione era davvero unica.

In che senso?

In un Grande Giro sei contro i velocisti più forti al mondo, al Giro c’erano Milan e Merlier. Entrambi a Padova erano rimasti un po’ incastrati in fondo al gruppo e non erano nella posizione migliore per sprintare. Noi siamo usciti molto bene dall’ultima curva, con le posizioni giuste. 

Ai 900 metri eravate primi con due uomini a scortare Dainese…

Eravamo perfettamente posizionati per entrare davanti nella parte finale. Con due uomini in più nel treno avremmo potuto tirare dritto e guadagnare quei metri che poi invece ci hanno penalizzato. Dainese è uscito dalle ruote a 250 metri dal traguardo, fosse partito ai 180 metri avremmo avuto sicuramente maggiori possibilità

Avreste potuto tenere la velocità più alta e poi uscire proprio alla fine. 

Dopo tante volate in cui per un motivo o per un altro le cose non erano andate secondo i piani quella di Padova era una bella occasione. Padova era speciale, Alberto (Dainese, ndr) ne parlava già dall’inverno. Ma questo è stato un anno nero per lui, con tanti infortuni e stop durante la stagione. Padova avrebbe rappresentato un grande riscatto. 

A Padova la Tudor guidata in ammiraglia da Tosatto ha sfiorato la prima vittoria in un Grande Giro
A Padova la Tudor guidata in ammiraglia da Tosatto ha sfiorato la prima vittoria in un Grande Giro
Sul bus a fine tappa si respirava l’aria di occasione mancata?

Se fosse andata bene ci saremmo sentiti ripagati delle sfortune dei giorni precedenti. Ci siamo andati solamente vicini, ma i ragazzi hanno fatto vedere che possono essere competitivi e concentrati fino alla fine. Quei 50 metri hanno cambiato un po’ la volata, non dico che se fosse partito dopo avrebbe vinto. Ma magari saremmo arrivati a giocarci una vittoria al fotofinish.

NEGLI ARTICOLI PRECEDENTI

L’occasione mancata: Cozzi, la Tudor e il Giro d’Abruzzo

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A tu per tu con la Pieterse, con un obiettivo leggendario

19.11.2024
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Una stagione sempre a tutta, saltando da una bici all’altra. Perché nella carriera di Puck Pieterse nulla è normale. Diciamoci la verità: nessuna è ciclista come la 22enne di Amersfoort, che dal ciclocross passa alla strada, poi alla mtb, poi al gravel, con un denominatore comune: vincere. Quest’anno ha vinto il titolo mondiale nella mtb insieme a quello europeo e a 3 successi in Coppa del Mondo (di cui 2 nello short track), 3 tappe di Coppa nel ciclocross con il bronzo iridato, una tappa al Tour de France su strada e il 4° posto ai mondiali gravel.

Tra tante discipline proprio la strada è risultata quella più penalizzata, con poche apparizioni che hanno però dimostrato chiaramente come abbia mezzi straordinari che possono portarla a emergere, tanto da chiudere alle porte della Top 10 nella Grande Boucle pur con una preparazione specifica quanto mai sommaria. Ora però l’olandese è di fronte a un bivio: in apertura di quadriennio olimpico, come orientarsi?

Su strada la Pieterse ha corso solo per 17 giorni, ma centrando la Top 10 ben 12 volte con un successo
Su strada la Pieterse ha corso solo per 17 giorni, ma centrando la Top 10 ben 12 volte con un successo

Dopo una stagione così stressante ha avuto bisogno di un po’ di tempo per rilassarsi e riflettere, chiudendo i ponti con tutti, ma poi, prima di tornare in sella e iniziare la preparazione, ha accettato di sottoporsi a una serie di domande, senza nascondere nulla.

Sei forse la più poliedrica fra le cicliste internazionali: fra ciclocross, strada, mtb, gravel qual è la disciplina che ti piace di più?

È davvero difficile scegliere. Mi vedo più come una ciclista in generale, senza distinzioni. Magari con un focus su mountain bike e ciclocross che per ora mi si addicono di più. La mountain bike è quella che mi ha dato i migliori risultati, ma per ora. E’ una lotta serrata tra tutte e devo dire che fare gravel è stato sicuramente divertente, ma penso che non ci sia abbastanza tempo nella stagione per farne molto di più di quanto ho fatto l’anno scorso.

Il trionfo iridato di mtb ad Andorra, la ciliegina sulla torta della sua stagione (foto Boris Beyer)
Il trionfo iridato di mtb ad Andorra, la ciliegina sulla torta della sua stagione (foto Boris Beyer)
Hai vissuto una stagione lunghissima e ricca di soddisfazioni: qual è stata la più grande?

Sicuramente ai campionati del mondo di mtb ad Andorra. E’ stato davvero speciale vincere quella maglia iridata. Ma nel cuore porterò sempre le emozioni vissute alle Olimpiadi. Quella è stata l’esperienza più grande da provare.

Su strada hai potuto gareggiare solo per 17 giorni ma con una costanza di risultati eccezionale: che cosa hai appreso dalla tua esperienza su strada?

E’ una specialità completamente diversa dalle altre. Ho capito che serve essere un po’ più paziente, non giocare troppo con la mia potenza all’inizio della gara. Lasciare che anche gli altri facciano un po’ di lavoro. Mi rendo conto che ho ancora molto da imparare perché su strada bisogna dosare le proprie energie, sfruttare i momenti giusti, non si va sempre a tutta. Bisogna saper guidare, sfruttare il lavoro degli altri, conservare sempre un po’ di energia per un potenziale sprint.

La vittoria della Pieterse nella tappa del Tour a Liegi, battendo Vollering e Niewiadoma
La vittoria della Pieterse nella tappa del Tour a Liegi, battendo Vollering e Niewiadoma
Nel 2025 quali discipline farai oltre alla strada?

Non cambierà molto rispetto al 2024, penso di combinare di nuovo mountain bike, ciclocross e strada, quindi inizierò l’anno 2025 con il ciclocross, poi alcuni giri in bici su strada, in seguito mi dedicherò alle classiche primaverili e poi tornerò alla mountain bike per il resto della stagione con probabilmente il Tour de France nel mezzo. E’ una formula che in fin dei conti mi ha portato bene, perché cambiare?

Quanto è importante essere in un team come la Fenix Deceuninck che permette di fare altre specialità? Non è una cosa comune in tutti i team WorldTour…

Sì, e penso che il “rimescolamento” sia davvero uno dei segni distintivi di questa squadra. È davvero bello poter fare tre discipline diverse e come anche loro supportino davvero questa scelta originale, per me come per altri. Come se conoscessero le mie ambizioni e volessero davvero aiutarmi nell’ottenere i miei obiettivi e questo mi dà molta libertà e meno pressione. In altri team so che non è così. Per me è qualcosa di speciale, che funziona, che mi dà stimoli di cui ho bisogno. Loro hanno un background diverso, interpretano il ciclismo in maniera globale, apprezzano che i loro corridori facciano più discipline.

Nel ciclocross l’olandese viene dal bronzo iridato Elite. Ai prossimi mondiali correrà forse fra le U23
Nel ciclocross l’olandese viene dal bronzo iridato Elite. Ai prossimi mondiali correrà forse fra le U23
Nel 2025 ci si attende molto da te, soprattutto nelle Classiche del Nord: quali sono quelle che si addicono più alle tue caratteristiche?

Non so ancora quale mi si addice di più perché ho conosciuto solo quelle delle Fiandre, credo che per dare una risposta compiuta ho bisogno di fare più esperienza. Sicuramente mi sono trovata bene nelle prove che ho disputato, finire sesta al Giro delle Fiandre non è cosa da poco. Forse il percorso della Liegi mi si addice di più con salite più lunghe, ma non troppo perché per durata e intensità ricordano molto gli sforzi che si compiono in un cross country. Io mi ritengo abbastanza uno scalatore, quindi dovrebbe essere un tracciato che mi si adatta bene.

Ti vedi più forte nelle corse d’un giorno o anche nei grandi giri?

Finora ho fatto solo un grande giro, quindi non so cosa mi riserverà il futuro, ma ho capito che per competere al più alto livello in quel tipo di corse bisogna concentrarsi solo su quello. Quindi adattare alcune cose in allenamento e prepararmi di conseguenza. Ma penso che è sicuramente possibile per le mie caratteristiche emergere in una grande corsa a tappe. Per ora e penso anche per i prossimi anni mi concentrerò sulle gare di un giorno per fare davvero bene lì.

L’olandese nella gara olimpica di Parigi è stata medaglia virtuale a lungo, cedendo però nel finale
L’olandese nella gara olimpica di Parigi è stata medaglia virtuale a lungo, cedendo però nel finale
Anche tua sorella Isa corre su strada e nel ciclocross: chi ha influenzato l’altra e anche lei seguirà le tue orme approdando nel WorldTour?

In realtà abbiamo iniziato un po’ nello stesso periodo, pedalando nella foresta con mio padre quando eravamo ragazzine. Così ci siamo iscritte al club ciclistico locale. Io ho iniziato prima a competere, ma anche lei vuole farlo. Anche se ha due anni più di me, ma ci alleniamo spesso insieme. E già il fatto che se ne parli mi fa piacere… Lei comunque ha altri obiettivi, lavora per diventare un agente immobiliare. Quindi per lei il ciclismo è più una seconda attività.

Quanto ti ha fatto male perdere il podio olimpico per pochi secondi dopo essere stata protagonista per tutta la gara?

È stato un peccato, ovviamente e quel quarto posto mi ha fatto male. Ma non posso farci niente ora. Cose del genere succedono, fanno parte dello sport. E ovviamente fanno male, soprattutto quando è una gara così importante. Ma devi solo guardare avanti e prendere gli aspetti positivi. Infatti avevo una grande condizione per il Tour de France e ho potuto sfruttarla.

La sfida con la rivale Van Empel sarà nella tappa di Coppa a Namur, dove nel 2023 fu seconda
La sfida con la rivale Van Empel sarà nella tappa di Coppa a Namur, dove nel 2023 fu seconda
Nel ciclocross stanno un po’ mancando le emozioni delle tue sfide con la Van Empel: quando vi rivedremo a confronto?

Penso che la prima volta che ci incontreremo sarà a Namur, il 15 dicembre. Quella tappa di Coppa del Mondo è una gara piuttosto prestigiosa e difficile da fare, con un bel po’ di salita. Quindi non vedo l’ora di affrontare lei e le altre, anche Ceylin e Lucinda (Alvarado e Brand, ndr) che sono super forti in questo periodo. Essere parte di quella battaglia sarebbe già molto bello.

Pensi sia possibile ripetere il record della Ferrand Prevot, iridata nello stesso periodo in 3 discipline diverse?

Io dico di sì, già quest’anno, tuttavia va considerato che sono ancora Under 23, quindi sarà un po’ più facile o una versione in miniatura di quello che Pauline ha fatto qualche anno fa, ma è sicuramente un obiettivo interessante a cui pensare. Ed è nella mia mente che forse un giorno potrò riuscirci e magari fare anche meglio aggiungendo il gravel, ma penso che affinché accada qualcosa del genere, devi essere anche fortunata durante i campionati. Come si è visto per me alle Olimpiadi basta un nulla che cambia tutto.

Il record (intatto) del Team Columbia, Pinotti racconta il 2009

19.11.2024
5 min
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Qualche giorno fa, Fabio Baldato ha rivelato che, nel finale di stagione, la sua UAE Emirates puntava al record assoluto di vittorie in una singola annata. Ci sono andati vicini, fermandosi a quattro lunghezze dal superbo bottino del Team Columbia – HTC.

Era il 2009, un anno davvero straordinario per la squadra statunitense, che concluse la stagione con uno storico record di 85 vittorie su strada, un’impresa che ha segnato un’epoca nel ciclismo moderno. La squadra, guidata dal carismatico direttore sportivo Bob Stapleton, dimostrò una versatilità senza precedenti, con successi ottenuti da 16 corridori diversi e in gare di ogni tipo: dalle classiche alle corse a tappe, passando per gli sprint più spettacolari.

Il Team Columbia – HTC aveva una vocazione fortemente improntata sugli sprint. A dare un supporto tecnico esterno c’era anche Zabel
Il Team Columbia – HTC aveva una vocazione fortemente improntata sugli sprint. A dare un supporto tecnico esterno c’era anche Zabel

Cav più Greipel, uguale 43

Il mattatore indiscusso di quel team, e di quell’anno, fu senza dubbio Mark Cavendish, autore di ben 23 vittorie. Lo sprinter dell’Isola di Man dominò le volate con una superiorità schiacciante, imponendosi come il velocista più forte al mondo. Tra i suoi trionfi spiccano le sei tappe al Tour de France, culminate con l’iconica vittoria sugli Champs-Elysees, la Milano-Sanremo e numerosi altri successi nel calendario WorldTour.

Cavendish vinse almeno una tappa in ogni corsa a tappe a cui partecipò, inclusi tre successi al Giro d’Italia. Fu, di fatto, il suo miglior anno in termini di vittorie, anche se il titolo mondiale arrivò due anni dopo.

E André Greipel? Oltre a Cavendish, il Team Columbia-HTC brillò grazie ad André Greipel, che non fu da meno con 20 successi. Il “tedescone” impressionò vincendo in Australia a gennaio e chiudendo la stagione con un trionfo a metà ottobre in Francia. Solo loro due totalizzarono 43 vittorie, un risultato straordinario. Merito anche del formidabile ultimo uomo Mark Renshaw, che non vinse alcuna gara in quell’anno, ma fu determinante nella costruzione dei successi della squadra. In questo “treno” di velocisti non va dimenticato il giovane talento Edvald Boasson Hagen, che raccolse 13 vittorie, tra cui la Gand-Wevelgem e una tappa al Giro.

Greipel e Martin: due assi che poi nel corso degli anni mostrarono il loro talento
Greipel e Martin: due assi che poi nel corso degli anni mostrarono il loro talento

Quanto talento

E poi c’erano tutti gli altri. Nel 2009 si mise in luce un giovane Tony Martin, che sfoggiò prestazioni eccezionali a cronometro e cominciò a costruire la sua carriera da specialista, battendo avversari come Fabian Cancellara al Giro di Svizzera.

Il team Columbia-HTC eccelse anche nelle cronometro, ottenendo numerosi titoli nei campionati nazionali.

Tra questi, spicca il successo di Marco Pinotti, che racconta: «Il seme di quel team nacque nell’inverno 2007-2008, dopo il ritiro della T-Mobile. La squadra era già formata, ma rimase scoperta per un po’. Bob Stapleton, il team manager, cambiò la mentalità. Eravamo un gruppo emergente di giovani, anche se io non ero più giovanissimo, avevo 32 anni, ma uno spirito ancora fresco. Quel team era costruito per uomini veloci: Cavendish esplose l’anno prima e Greipel nel 2009. Tra i due c’era una sana competizione. Inoltre, vedendo come andarono le cose negli anni successivi, quel team era pieno di talento. Boasson Hagen, il giovanissimo Martin, Lofkvist (che vinse la Strade Bianche, ndr)… Ricordo che al Giro d’Italia 2009 vincemmo 5 tappe con 5 corridori diversi».

Quell’anno Pinotti vinse il titolo nazionale a crono
Quell’anno Pinotti vinse il titolo nazionale a crono

Pinotti tra i pilastri

Pinotti spiega anche come Michael Rogers e George Hincapie fossero i “capitani” naturali della squadra.

«Rogers per le corse a tappe e Hincapie soprattutto per le classiche. Non feci il Tour con lui, ma spesso eravamo insieme. Si era creato un bel clima e quel record di vittorie fu più una conseguenza che un obiettivo. Anche se ad un certo punto della stagione il nostro addetto stampa iniziò a evidenziarlo sempre di più nei report mensili. Lui contava oltre 100 vittorie includendo anche il team femminile».

La competitività interna era altissima: «Eravamo così tanti a voler vincere che in riunione quasi si litigava… in senso buono, ovviamente. Eravamo come la UAE oggi, con strategie diverse a seconda della presenza o meno di un velocista».

Anticipando anche Pinotti, Kanstantsin Siutsou andò a prendersi la tappa di Bergamo al Giro 2009
Anticipando anche Pinotti, Kanstantsin Siutsou andò a prendersi la tappa di Bergamo al Giro 2009

Quel giorno a Bergamo

Pinotti ricorda anche un’occasione mancata. La squadra vinse tanto, puntava soprattutto alle tappe e alle corse di un giorno, non aveva il leader assoluto per le corse a tappe, ma in questo continuo puntare ci fu spazio persino per qualche rimorso. Uno dei quali riguarda proprio Marco al Giro 2009.

«Una corsa che ho sul groppone? La tappa di Bergamo al Giro 2009. Vinse il mio compagno Siutsou, ma avrei voluto vincerla io. Conoscevo bene quelle strade, ero pronto a partire dopo un sottopassaggio a Nembro. Sapevo che quel punto era favorevole, ma nella discesa precedente Siutsou prese vantaggio. Anche lui conosceva quelle strade. Ero contento per lui, ma dispiaciuto per me».

George Hincapie era uno dei veterani e leader della Columbia – HTC
George Hincapie era uno dei veterani e leader della Columbia – HTC

Un modello di squadra

In quel 2009 il Team Columbia-HTC ha ridefinito gli standard di successo nel ciclismo moderno, dimostrando l’importanza di strategia, coesione e talento distribuito. Ancora oggi quell’annata è ricordata come una delle più dominanti nella storia del ciclismo su strada.

«Le vittorie della UAE Emirates hanno un peso diverso, perché ottenute in un ciclismo completamente cambiato. Ma la nostra fu una bella avventura», conclude Pinotti.

Anche sul fronte tecnico, quel team rappresentò un’innovazione. Le bici Scott utilizzate erano il frutto di ricerche avanzate, con un’attenzione particolare agli aspetti aerodinamici, mutuata dall’esperienza dell’azienda nello sci. Un approccio scientifico che, di lì a poco, avrebbe ispirato squadre come il Team Sky (oggi Ineos Grenadiers).

La mezza maratona di Van der Poel agli occhi dei campioni podisti

18.11.2024
5 min
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Un’ora e 22′ sulla mezza maratona: è il tempo fatto siglare da Mathieu Van der Poel. È successo nei dintorni di Javea, in Spagna, nella zona di Valencia, una località che l’ex campione del mondo frequenta spesso e considera una sorta di “seconda casa”. Il corridore della Alpecin-Deceuninck non è nuovo a sfide fuori dal comune. Questa volta, insieme al suo amico Freddy Ovett – anch’egli figlio d’arte (il padre Steve è stato una leggenda del mezzofondo) – ha affrontato una “mezza maratona” come allenamento e sfida personale.

Per la precisione, si è trattato di 21,2 chilometri – dato Strava di VdP – percorsi a ritmo sostenuto. In origine, Van der Poel avrebbe dovuto partecipare alla Gran Carrera del Mediterraneo, in programma il 10 novembre, ma l’evento è stato cancellato a causa dell’alluvione che ha colpito la zona (in apertura foto Felix Homann).

L’analisi degli esperti

Per approfondire la prestazione di Van der Poel, abbiamo interpellato due ex grandi del mezzofondo prolungato: Stefano La Rosa e Andrea Lalli, tante volte azzurri nelle più importanti competizioni mondiali. Pur abituati a tempi stellari, entrambi hanno corso la mezza maratona in poco più di un’ora, non sono rimasti scioccati dal crono dell’atleta olandese, ma ne hanno riconosciuto il valore, soprattutto considerando l’impegno muscolare richiesto.

Stefano La Rosa ha sottolineato l’aspetto dell’adattamento muscolare: «Io utilizzavo spesso la bici all’inizio della preparazione, alternandola alla corsa. L’impatto muscolare è però completamente diverso: il contatto con il terreno cambia tutto e innesca un meccanismo biomeccanico molto specifico. Per questo Mathieu è stato bravo. Certo, conosco ciclisti che hanno fatto i 10.000 metri in 31 minuti, che è un tempo eccezionale. Ho saputo che Van der Poel, praticando ciclocross, è abituato a correre, ma non su queste distanze. Fare 21 chilometri a una media inferiore ai 4 minuti al chilometro (il suo passo è stato di 3’52”, ndr) non è affatto semplice e richiede un’ottima preparazione».

Andrea Lalli, invece, ha messo l’accento sulla capacità di sostenere sforzi ad alta intensità: «Quando si corre, anche a ritmo lento, la frequenza cardiaca media è più alta rispetto al ciclismo. Van der Poel è abituato a questo tipo di sforzi, considerando che un cross dura circa un’ora, quindi è una condizione simile. E questo lo aiuta. Mentre un aspetto meno favorevole è la sua struttura muscolare: la massa rende i movimenti meno fluidi e agili, ma con un “motore” come il suo, un’ora e 22 minuti è un risultato alla sua portata. È stato bravo, soprattutto perché non parliamo di 10 chilometri, ma di una mezza maratona».

Mathieu VdP è solito allenarsi con la corsa a piedi, specie durante l’autunno (foto Instagram)
Mathieu VdP è solito allenarsi con la corsa a piedi, specie durante l’autunno (foto Instagram)

Questione di adattamento

Lalli, che da ex campione di corsa è oggi un ciclista amatoriale evoluto, ha riconosciuto come l’adattamento muscolare sia il punto più critico, specie all’inizio.

«Ho molti amici triatleti – riprende Lalli – che confermano quanto sia dura affrontare i primi chilometri di corsa dopo una frazione in bici. È la parte più difficile del triathlon. Anche per Van der Poel la sua muscolatura non è stata un vantaggio.

«Sarebbe interessante conoscere i suoi parziali: se, ad esempio, avesse corso i primi 10 chilometri in 45 minuti e i successivi in 37, il risultato sarebbe davvero notevole. Al contrario, se avesse mantenuto un ritmo costante sfruttando il suo grande “motore”, sarebbe comunque un risultato di rilievo, ma più prevedibile. Probabilmente l’olandese ha fatto qualche giorno di riadattamento muscolare prima della prova».

Cameron Wurf ha fatto sia delle maratone che l’Ironman (triathlon). Tra l’altro si vocifera che lo stesso Van der Poel voglia cimentarsi in questa sfida (foto Instagram)
Cameron Wurf ha fatto sia delle maratone che l’Ironman (triathlon). Tra l’altro si vocifera che lo stesso Van der Poel voglia cimentarsi in questa sfida (foto Instagram)

Testa da running

Ma questa sfida non è stata solo una questione fisica. In certi sforzi è determinante anche la parte mentale quando la fatica sale e non è la “tua fatica”… è più facile cedere.

«Van der Poel – conclude Lalli – ha saputo gestire bene il passo anche dal punto di vista mentale. La mezza maratona è molto diversa da una maratona: io, per esempio, la affrontavo con l’approccio mentale di un 10.000 metri. È più vicina a quella distanza che a una maratona. In ogni caso, tanto di cappello a lui».

Pur non trattandosi di un tempo da record, l’approccio muscolare richiesto per sostenere un gesto atletico così diverso come la corsa, protratto per oltre 21 chilometri, non è assolutamente scontato. Van der Poel ha dimostrato ancora una volta la sua versatilità e il suo straordinario talento atletico.

La Lotto-Kern-Haus entra nell’universo Ineos. Scopriamola

18.11.2024
5 min
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L’indizio era arrivato dagli organizzatori del Tour of Rhodes, che nell’annunciare le squadre al via il prossimo anno aveva inserito la Lotto Kern-Haus PSD Bank come devo team della Ineos Grenadiers. L’ufficializzazione è di poche ore fa: la formazione Continental tedesca fungerà da vivaio del team WT britannico, dando modo ai più giovani di sviluppare le loro capacità per poter approdare al team maggiore. L’accordo s’inserisce nel più ampio quadro di sviluppo voluto dal team britannico chiamato “Ascent” e dal quale sono usciti fuori talenti come Tarling e Leonard

Ben Jochum, classe 2004, ha regalato al team la gioia di un bronzo mondiale con il quartetto
Ben Jochum, classe 2004, ha regalato al team la gioia di un bronzo mondiale con il quartetto

La formazione teutonica arriva a questo traguardo un po’ a sorpresa. Per saperne di più abbiamo quindi chiesto lumi a uno dei suoi direttori sportivi, Torsten Schmidt con un passato anche dalle nostre parti avendo militato nel 1997 nelle fine della Roslotto-ZG Mobili.

Qual è la storia della vostra squadra?

E’ stata creata da Florian Monreal. E’ il proprietario e ha 38 anni, per brevi periodi è stato anche professionista, poi ha corso in un piccolo club. Nel “land” intanto stava prendendo piede una lotteria e i responsabili hanno pensato di associarla a una squadra ciclistica. E’ stato 11 anni fa. Da allora molti corridori sono passati da queste parti e alcuni sono anche approdati al ciclismo professionistico, ad esempio Jonas Rutsch oggi all’Intermarché Wanty.

Torsten Schmidt, Head of Sports del team tedesco. Ha corso anche in Italia dove ha molti legami
Torsten Schmidt, Head of Sports del team tedesco. Ha corso anche in Italia dove ha molti legami
Come giudichi la stagione 2024 del team?

Devo dire che abbiamo avuto una buona stagione. Fra gli under 23 l’obiettivo principale è ovviamente fare risultati, ma d’altra parte dobbiamo anche pensare alla formazione professionale e anche umana dei giovani ciclisti. Non è come in un team WT dove conta solo una vittoria o il miglior risultato. E penso che questo sia quello che abbiamo avuto e di cui dobbiamo gioire. Non abbiamo vinto, ma ci siamo fatti vedere. Vogliamo che le persone, quando tornano a casa da un evento riconoscano la nostra maglia, sappiano che c’eravamo. Ho abbastanza esperienza sull’ammiraglia per sapere che non sempre si può lottare per la vittoria, ma che possiamo avere una funzione importante nel ciclismo odierno, dimostrare qualcosa.

Nell’ambiente si parla da tempo di un interesse della Ineos Grenadiers per associarsi a voi…

Ora è tutto ufficiale e confermato. Abbiamo una partnership di sviluppo molto bella. Questo cambia tutto, ci fa stare al centro dell’attenzione dei media. E’ stato premiato il nostro lavoro di formazione, continueremo su quella strada sapendo che ci siamo inseriti in un grande progetto di crescita che non riguarda solo noi.

Joshua Huppertz, 30 anni, ha corso nel team sin dal 2014
Joshua Huppertz, 30 anni, ha corso nel team sin dal 2014
La vostra è una squadra con una forte identità tedesca: questo cambierà in futuro, cioè prenderete più atleti stranieri?

Per forza, fa parte della nostra evoluzione. Avremo sempre un nocciolo tedesco, ma il numero di corridori di altre nazioni crescerà di sicuro. Io però devo dire che non guardo molto alle nazionalità, è un concetto che non mi è mai piaciuto. Quando correvo a 16 anni ero in nazionale e ho incontrato altre persone di altre nazionalità, avevo più amici e buoni colleghi fuori dalla Germania. Anche quando sono stato in Italia, ho mantenuto ad esempio legami con Gasparotto e Corti. Io guardo la persona, non il passaporto… Il nostro obiettivo è anche quello di prendere i tedeschi se sono bravi e vediamo per loro una prospettiva per il futuro. Ma per il resto ripeto, la nazionalità di un corridore non è un fattore.

In questo caso guardate anche al mercato italiano, potrebbero arrivare italiani da voi?

Sicuramente. A dir la verità, ce n’erano alcuni che mi hanno scritto. Li teniamo sott’occhio. Se potremo dar loro una possibilità, lo faremo. Io l’Italia la conosco bene, d’inverno mi allenavo da voi per il bellissimo clima. Penso che l’Italia sia un paese fantastico con tutte le possibilità per il ciclismo. Magari inizialmente potrà esserci qualche ostacolo con la lingua, per un italiano trasferirsi in Spagna può essere più affine. Ma per me come detto la nazionalità non è un problema, se un corridore vale ha le porte aperte.

Ole Thriller, uno dei tanti tedeschi passati per le file della Lotto Kern-Haus
Ole Thriller, uno dei tanti tedeschi passati per le file della Lotto Kern-Haus
Secondo la sua opinione qual è la situazione attuale del ciclismo tedesco?

È un problema complesso da affrontare. Abbiamo molto traffico in Germania. I problemi di sicurezza delle strade tedesche sono un ostacolo alla diffusione del ciclismo, i ragazzi prediligono altre specialità, come la pista o la mtb. Mettiamoci anche che il materiale è molto costoso e non tutti riescono a sostenere le spese. Quando correvo io c’erano tante gare e tanta concorrenza, si emergeva perché c’era modo di migliorare e mostrare il tuo talento. Oggi i praticanti sono molti meno. Speriamo che iniziative come la nostra diano nuovo impulso, visibilità, fiducia.

Nel vostro team c’è anche l’estone Romet Pajur che da junior ha anche vinto un Giro delle Fiandre. Come sta crescendo?

Il prossimo anno si unirà alla squadra Rookies della Red Bull Bora Hansgrohe. Significa che da noi ha proseguito nel suo cammino di crescita. Anche il ceko Martin Barta, molto promettente, ha trovato un nuovo approdo. Auguriamo loro buona fortuna per il futuro ed è giusto che le strade si siano separate. È un ciclo di un periodo della tua vita. Lavori insieme a qualcuno e poi lui sceglie il suo destino.

Pajur sul podio del GP Bade. L’estone torna ora nell’orbita della Red Bull Bora Hansgrohe
Pajur sul podio del GP Bade. L’estone torna ora nell’orbita della Red Bull Bora Hansgrohe
Quali sono i vostri obiettivi per la prossima stagione?

Continueremo su questa strada, mettendo il risultato in second’ordine rispetto alla crescita professionale e umana dei ragazzi, a introdurli verso il ciclismo che realmente conta. Ora per noi cambia molto, siamo inquadrati in un sistema più ampio. Dobbiamo anche cercare diverse impostazioni per portare i ragazzi nella giusta direzione per capire le tattiche, per capire come muoversi al momento giusto. Tutte queste cose, come lavorare insieme come una squadra saranno il nostro target: portare gli under 19 a crescere nella nuova categoria per prepararli all’ulteriore salto fra i grandi. Ci fa sorridere quando vediamo che un giovane passato da noi diventa un professionista. Significa che abbiamo vinto qualcosa di veramente importante, non una semplice gara.

EDITORIALE / Come si sceglie il cittì della nazionale?

18.11.2024
5 min
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Mentre i commissari tecnici hanno ricevuto la raccomandazione di non rilasciare dichiarazioni fino al Giro d’Onore del 20 dicembre, un’intervista di Ciro Scognamiglio a Beppe Martinelli ha fatto emergere il desiderio del tecnico bresciano di diventare commissario tecnico della nazionale. Non si è candidato, ha semplicemente risposto alla domanda su una voce che girava da tempo.

Il posto è di assoluto prestigio, seppure vincere fra i professionisti sia al momento piuttosto complesso, come le ultime apparizioni hanno dimostrato. E’ tuttavia singolare che le candidature arrivino prima che si sia spesa una sola parola a favore o contro l’attuale cittì Bennati. E’ un silenzio che colpisce. Non il suo, che è anche comprensibile, volendo capire che cosa accadrà con le prossime elezioni. Piuttosto quello dell’ambiente, quasi per una scelta apatica o di accettazione: si è passati dalle critiche incalzanti all’ultimo Cassani durante la campagna elettorale, al silenzio per il suo successore. Quello che è emerso è che il contratto non sia stato rinnovato dal Consiglio federale. A detta di Roberto Amadio, perché si tratta del ruolo più oneroso, per il quale è giusto lasciare diritto di nomina a chiunque vincerà le prossime elezioni federali.

Giuseppe Martinelli scende dopo 15 anni dall’ammiraglia Astana. Legittimo il sogno di diventare cittì azzurro
Giuseppe Martinelli scende dopo 15 anni dall’ammiraglia Astana. Legittimo il sogno di diventare cittì azzurro

Il post di Visconti

Si potrebbe parlare a lungo di come andrebbe gestita la nazionale, ma alla fine risulta evidente che, fra le svariate scuole di pensiero mondiali, prevalga quella di chi vince, con buona pace per ragionamenti e criteri. Vanno bene tutti, in un settore in cui l’importante è avere una buona immagine e possibilmente vincere. Si pesca fra ex corridori, ex direttori sportivi, manager e raramente fra le risorse già presenti in casa. A parziale eccezione, salta agli occhi la scelta del Belgio, che al momento di sostituire Vanthourenhout, ha preferito Serge Pauwels al ben più prestigioso Philippe Gilbert, puntando sull’ex tecnico degli juniores, nel segno della continuità tecnica.

Dario Cataldo, diventato direttore sportivo della Astana Qazaqstan neanche un mese dopo aver smesso di correre, dice quanto sia difficile parlare con i corridori più giovani. Per cui occorre conoscere la loro lingua e anche sapersi muovere in un modo di correre che è tanto diverso da quello di sei o sette anni fa. Seguendo questo stesso filo, Giovanni Visconti ha detto la sua in un post su Instagram pieno di orgoglio, ragionamento e passione. Ma il punto è proprio questo: quali devono essere i requisiti di chi guiderà la nazionale dei professionisti? 

Giovanni Visconti ha smesso di correre nel 2022
Giovanni Visconti ha smesso di correre nel 2022

Le doti del cittì

Deve avere grande carisma, per cui uno sguardo vale più di mille parole. La forza di stringere a sé i corridori perché siano disposti a gettarsi nelle fiamme per lui. Il loro rispetto incondizionato. La capacità di impostare una tattica che funzioni (il divieto di usare le radio fa sì che questa sia una delle doti più importati). L’abilità di parlare al futuro senza troppi riferimenti al passato. La schiena dritta, perché mai e poi mai il suo essersi offerto diventi un punto di debolezza o il pretesto per subire imposizioni tecniche.

E’ importante che abbia corso e che lo abbia fatto negli ultimi anni? E se invece di un ex atleta si andasse a chiamare un direttore sportivo in attività, di quelli giovani che ci sono dentro e battono al ritmo del ciclismo di adesso? Bramati come Tosatto, ma anche Pellizotti e Gasparotto che in quel ruolo andrebbe a nozze. Potrebbe essere un ruolo part time, legato alle corse e alla loro vigilia: non puoi chiedere a un tecnico WorldTour di rinunciare al suo stipendio per il solo amore della maglia azzurra. E a quel punto si potrebbe affidare il ruolo a tempo pieno di ambasciatore della Federazione a un ex campione di grandi storia e prestigio, come ad esempio Bugno, che avrebbe nel testimoniare la bellezza del ciclismo un passo di vantaggio rispetto a molti altri.

Il contratto di Bennati si chiuderà a fine 2024 e non è stato rinnovato
Il contratto di Bennati si chiuderà a fine 2024 e non è stato rinnovato

Il progetto della nazionale

Ci piacerebbe in effetti sapere quale sia stato e quale sarà (per questo dovremo aspettare le elezioni) il progetto federale per la nazionale dei professionisti. Se la si vede come un comparto a sé o che invece dialoghi e lavori in continuità con l’attività giovanile. E se un progetto esiste, perché qualcuno dovrebbe candidarsi per diventare commissario tecnico e non c’è piuttosto un identikit già pronto?

Ballerini non si candidò e tantomeno fece Bettini: furono scelti. E se vieni scelto, hai il coltello dalla parte del manico. Sei lì perché i tuoi meriti e i tuoi titoli hanno parlato per te. La scelta di Cassani rispose alla volontà di inseguire il ricordo di Martini, provando a colmare il gap generazionale con la vivacità mediatica del romagnolo. Quella di Bennati (per un ruolo offerto prima a Fondriest e poi a Pozzato) forse ha esposto Daniele a pressioni di cui non avvertiva la necessità. La sensazione è che con lui i corridori, tolto forse il primo anno a Wollongong, non abbiano dato proprio tutto, gestendo alcune situazioni di gara in modo diverso da quanto pattuito. Forse non hanno creduto completamente in lui e nella sua visione. C’era tutto perché si vincessero gli europei, ad esempio, ma è mancata la voglia o la capacità di attenersi alla tattica condivisa. Ed è mancata, soprattutto agli ultimi mondiali, la sensazione che fossero pronti a gettarsi per lui nel fuoco.

Mediterraneo Cross, serbatoio di talenti da far sbocciare

18.11.2024
6 min
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In un weekend scevro di grandi appuntamenti di ciclocross al Nord, i fari dell’attenzione si sono spostati su Belvedere Marittimo (CS), teatro della quarta tappa del Mediterraneo Cross, la principale challenge del Meridione, tanto che ad assistere alle gare si è presentato anche il cittì della nazionale Daniele Pontoni. Perché anche nelle regioni del Sud si svolge attività sui prati, in un universo che forse sfugge ai fari dell’attenzione ma dove emergono storie e talenti. Il problema è capire se e come questi possano poi arrivare ai vertici nazionali. Perché, a essere sinceri, dopo i fasti lontani dei successi del pugliese Vito Di Tano non ci sono più stati ciclocrossisti meridionali ai vertici e forse avrebbero potuto.

Ogni tappa del Mediterraneo Cross raccoglie almeno 250 presenze di gara. In totale sono 5 eventi
Ogni tappa del Mediterraneo Cross raccoglie almeno 250 presenze di gara. In totale sono 5 eventi

Lo specchio di parte del Paese

Per questo mettere in piedi una challenge come il Mediterraneo Cross è ancora più meritorio. L’artefice è il vulcanico Michele Carella, titolare di mtbonline.it, un sito specializzato nell’attività offroad e di un allegato sistema di cronometraggio al quale si rivolgono moltissimi organizzatori fra mtb e ciclocross. Con lui Sabino Piccolo e Franco De Rosa, che insieme a Pietro Amelia hanno investito le loro energie dedicando i mesi freddi (che poi a queste latitudini così freddi non sono…) per dare opportunità a tanti appassionati di fare attività.

«Ogni tappa ha almeno 250 partecipanti – spiega Carella – distribuiti nelle varie categorie. E’ chiaro che non siamo al livello del Giro delle Regioni, ma per noi sono numeri importanti, considerando il passato, significa che c’è fermento. L’epicentro dell’attività è in Puglia, dove infatti c’è la maggioranza dei team che svolgono attività invernale e dove la tradizione, anche grazie alla storia di Di Tano, è molto forte, tanto che spesso arrivano anche i nomi di spicco del panorama settentrionale. Ma c’è molta attività anche in Basilicata, Calabria, Campania mentre latita un po’ in Sicilia, dove però il 23 dicembre allestiremo un grande evento, il Trinacria Cross di Sant’Alessio Siculo (Messina».

Vittorio Carrer, vincitore a Bisceglie e Belvedere Marittimo e già nel taccuino del cittì Pontoni (foto Caggiano)
Vittorio Carrer, vincitore a Bisceglie e Belvedere Marittimo e già nel taccuino del cittì Pontoni (foto Caggiano)

Un ambiente famigliare

Partecipando a una delle tappe del Mediterraneo Cross ci si accorge che il concetto di gara di ciclocross cambia un po’ rispetto agli stereotipi ai quali siamo abituati: «E’ vero, qui si vive una dimensione molto più familiare e per capirlo basta girare alla sera della vigilia nell’area paddock: ci si unisce per cena, si vedono i ragazzi che mettono da parte le bici per fare i compiti, si vedono soprattutto corridori di squadre diverse unirsi, fare gruppo, lasciare la loro rivalità sul campo di gara. Ogni tappa assume l’immagine di una giornata di autentica festa».

Dal punto di vista tecnico la qualità è molto alta e Pontoni ha potuto verificarlo di persona: «Rispecchia un po’ l’andamento nazionale, ossia a un livello elite buono, ma senza quei picchi che ti autorizzano a sognare a livello internazionale, abbiamo grandi valori in campo nelle categorie giovanili. Mi sento anzi di dire che ci sono ragazzi che hanno grandissime qualità, che potrebbero davvero emergere anche in ambito nazionale e aspetto con curiosità l’appuntamento tricolore perché sono convinto che i ragazzi di queste parti porteranno a casa grandi soddisfazioni».

Non molte le presenze femminili, come spesso avviene al Sud. Le ragazze gareggiano insieme a juniores e amatori
Non molte le presenze femminili, come spesso avviene al Sud. Le ragazze gareggiano insieme a juniores e amatori

I nomi da appuntare

Un esempio lo si ha fra gli Allievi: «Ci sono un paio di ragazzi che sono già sul taccuino del cittì e che anche a Belvedere Marittimo hanno dato vita a una gara sensazionale. Il primo nome è Walter Vaglio, che ha già a casa ben 3 maglie tricolori vinte nella mtb fra esordienti e allievi oltre a essere finito sul podio agli europei giovanili e sono sicuro che può allungare la sua collezione. Lui è un secondo anno, Marco Sicuro invece è un primo (nella foto di apertura i due fra Carella e Pontoni, ndr): sono compagni di squadra alla Scuola Ciclistica Tugliese V.Nibali ma in gara non si risparmiano. Poi c’è Marco Russo (Team Go Fast Puglia Aradeo) fra gli juniores che nella tappa calabrese ha chiuso terzo (vittoria per Francesco Carnevali del team romano Cycling Café, ndr)».

La domanda è: questi ragazzi quante possibilità hanno di emergere anche a livello nazionale, di trovare un futuro nel ciclocross? «Una domanda che non ha una soluzione definita. Cambiare squadra, andare al Nord? Chi l’ha fatto in passato si è perso, trovandosi in una dimensione diversa, lontano da casa e risentendone anche sul piano degli studi che a queste età deve essere primario, quindi non risolve. Possiamo dire che molta responsabilità è dei team, sta a loro garantire occasioni per farsi vedere e per continuare a crescere nella loro attività, cercando di tenere i ragazzi al passo con i loro coetanei delle regioni epicentro del ciclocross italiano».

Walter Vaglio, tre volte tricolore in mtb, forse il maggior talento attuale del vivaio meridionale (foto Caggiano)
Walter Vaglio, tre volte tricolore in mtb, forse il maggior talento attuale del vivaio meridionale (foto Caggiano)

Percorsi tecnici e sponsor importanti

Dal punto di vista organizzativo, queste gare non hanno nulla da invidiare ad altre prove nazionali: «Anzi, vorrei davvero vedere quali altre prove possono avere contesti come quelli del circuito. C’è almeno un poker di gare che si svolge in riva al mare, abbinando un contesto tecnico di qualità a teatri naturali straordinari. Tra l’altro pur essendo sul mare sono tutti percorsi non sabbiosi, salvo quello di Barletta con due passaggi proprio sul bagnasciuga».

L’inserimento delle varie tappe nel calendario nazionale è stato per queste prove un toccasana: «E’ tutto legato ai punti del ranking nazionale: chi è di queste regioni può accumulare punti per poi potersi giocare le proprie carte ai campionati italiani, ma al contempo anche chi viene dalle regioni del Centro ha l’opportunità di fare trasferte meno onerose e competere comunque a livello nazionale. Anche gli sponsor credono nel nostro progetto, abbiamo trovato in Selle SMP e Ursus due realtà che ci hanno dato fiducia, oltre a Scratch Tv».

Il cittì azzurro fra gli organizzatori e i leader di ogni categoria nella tappa calabrese
Il cittì azzurro fra gli organizzatori e i leader di ogni categoria nella tappa calabrese

Due tappe per i titoli

Il Mediterraneo Cross ha tra le sue finalità anche quelle sociali: durante le sue prove viene infatti svolta una raccolta fondi a favore dell’Associazione Le Ali di Camilla per la cura dell’epidermolisi bollosa. La challenge proseguirà il 24 novembre a Barletta e l’1 dicembre a Grumo Nevano, la tappa conclusiva che varrà anche quale campionato regionale campano. L’evoluzione del ciclocross italiano passa anche da qui, trovare una rete di collegamento anche con il Nord è un passaggio fondamentale se vogliamo che la specialità possa crescere davvero.