Come inserire il Grande Giro nella programmazione stagionale…

15.02.2025
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La programmazione di una stagione è un processo complesso, soprattutto quando si ha come obiettivo un grande Giro. Preparare un atleta per una corsa di tre settimane richiede attenzione a ogni dettaglio, sia dal punto di vista fisico che mentale. Ed è un processo lungo mesi.

Paolo Slongo, storico preparatore di Vincenzo Nibali e da anni tecnico di Elisa Longo Borghini, ci aiuta a capire quanto influisca un grande Giro sulla preparazione di un corridore e quali siano le differenze tra puntare al Giro d’Italia, al Tour de France e alla Vuelta.

Giuseppe Martinelli, Vincenzo Nibali, Paolo Slongo, Tour de France 2014
Paolo Slongo ha allenato Nibali per tutte le sue vittorie più belle. Oggi è un coach al UAE Team Adq
Giuseppe Martinelli, Vincenzo Nibali, Paolo Slongo, Tour de France 2014
Paolo Slongo ha allenato Nibali per tutte le sue vittorie più belle. Oggi è un coach al UAE Team Adq
Paolo, quanto influisce la scelta di un Grande Giro sulla programmazione della stagione?

Influisce moltissimo. Se un atleta punta al Giro, tutta la preparazione invernale viene impostata in funzione di quell’obiettivo, con una progressione di carico che culmina in primavera. Chi punta al Tour, invece, spesso comincia la stagione più forte, con una pausa dopo le classiche delle Ardenne per poi ripartire in vista di luglio. Il ciclismo moderno ha reso ancora più complicata questa programmazione, perché il livello di competitività è molto alto fin dalle prime gare dell’anno.

Quali sono le principali differenze tra preparare il Giro e il Tour?

Il Giro arriva a maggio e richiede una crescita graduale, arrivando in forma al momento giusto. Si corre spesso in condizioni climatiche più variabili e la preparazione prevede una progressione più costante. Il Tour è un’altra cosa: chi lo punta sa che, se sbaglia, rischia di compromettere tutta la stagione. Il livello medio è altissimo e bisogna essere al top sin dalla prima settimana. Inoltre, il periodo di preparazione è diverso, con un focus maggiore sugli allenamenti ad alta quota e sulla resistenza alle alte temperature.

E fare due Grandi Giri nella stessa stagione per vincere è oggi un’opzione realistica? Togliamo Pogacar… chiaramente.

Dipende molto dall’atleta. Fare Giro e Vuelta è più gestibile rispetto a fare Giro e Tour o Tour e Vuelta, che sono più ravvicinati. Il problema è recuperare le energie e riuscire a ritrovare una condizione competitiva. Se un corridore sbaglia il primo Grande Giro della stagione, può arrivare meglio al secondo, ma il rischio è sempre quello di accumulare troppa fatica. Fare bene in entrambi è difficilissimo… e in pochi ci riescono.

La Tirreno-Adriatico vede una concentrazione di leader per ciascun team: il livello sale di conseguenza
La Tirreno-Adriatico vede una concentrazione di leader per ciascun team: il livello sale di conseguenza
Oggi la programmazione degli appuntamenti forse è diversa rispetto già a pochi anni fa: non si tratta solo del leader del team (ammesso che non sia un super leader) è così?

Sì, perché oggi le squadre programmano tutto nei minimi dettagli. In passato c’erano corridori sempre competitivi, mentre oggi le squadre preferiscono avere una rosa ampia con diversi capitani che puntano a obiettivi specifici. Questo ha alzato il livello in ogni corsa: non si può più arrivare al Giro dopo aver corso la Tirreno-Adriatico o le Ardenne a pieno gas, perché il rischio è di non essere al meglio quando conta davvero. Alla Tirreno di turno c’è chi porta quell’atleta (o anche più di uno) per vincere e che ha preparato quello specifico appuntamento.

E invece quanto conta l’aspetto mentale nella preparazione di un Grande Giro? Sapere che ha dicembre o gennaio quando inizia devi andare forte a maggio?

Conta tantissimo. Un atleta deve essere motivato e convinto dell’obiettivo, altrimenti rischia di arrivare scarico mentalmente. La preparazione a un grande Giro significa sacrificare tutto in funzione di quell’appuntamento, sapendo che lungo il cammino ci saranno gare in cui non si sarà competitivi al massimo.

Che poi un conto è essere pronti per il Giro e quindi a maggio e un conto è per il Tour. Devi aspettare un un ulteriore mese. Con un obiettivo così distante a livello temporale non è facile trovare la concentrazione forse…

Qui entra in gioco il ruolo del preparatore, che deve anche saper gestire l’aspetto psicologico, aiutando l’atleta a rimanere concentrato e a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Perché immagino che non sempre potrà andare forte. Devi essere sincero con lui o lei e parlare chiaramente.

Allenarsi per obiettivi lontani non è facile, anche da un punto di vista mentale
Allenarsi per obiettivi lontani non è facile, anche da un punto di vista mentale
Cioè?

Dirgli che non si aspettasse di andare forte in quella gara, che probabilmente soffrirà più del dovuto, che magari in qualche occasione dovrà persino mollare un po’. Se punta al Tour o anche al Giro, in alcune gare precedenti per forza di cose non sarà al top. Questo era un bel problema che avevo con Vincenzo: lui voleva andare sempre forte. Anche perché poi iniziavano le critiche…

Oggi conta più l’allenamento o la corsa per trovare la condizione?

Si fa un mix tra le due cose. Una volta si diceva che la condizione si trovava correndo, ma oggi l’allenamento è fondamentale. In corsa non si lavora sempre nelle zone di intensità ideali, mentre in allenamento si può programmare tutto con precisione. Il problema è che la gara dà stimoli diversi, perché lo sforzo è più reale e il fuori giri è più facile da sostenere. Per questo oggi si alternano periodi di ritiro con gare mirate, in modo da arrivare alla corsa obiettivo nella migliore condizione possibile. Ma non puoi presentarti alle gare di avvicinamento con una condizione bassa. Impossibile.

Chiaro…

Torniamo al discorso di prima, le squadre programmano bene, le rose sono ampie e in ogni gara c’è chi è al 100 per cento e punta. Di conseguenza il livello è sempre alto.

Lo stop di Besseges per colpa di chi? Non dei corridori

15.02.2025
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«A causa di un incidente, con un veicolo entrato nel percorso, il gruppo si è fermato dopo 12 km di gara. Dopo alcune discussioni con gli organizzatori della gara, è stato deciso di neutralizzare il Col des Brousses e la sua discesa, di cancellare l’ultimo giro locale a Besseges (riducendo la distanza da 164,05 a 136,2 km) e di far ripartire la gara al km 22. Diverse squadre, tuttavia, hanno deciso di non ripartire e hanno abbandonato la gara».

Su procyclingstats.com che è il sito di riferimento per ordini di arrivo e statistiche, la terza tappa dell’Etoile de Besseges viene introdotta da questo testo. Vi si spiega come mai di colpo otto squadre WorldTour e una professional abbiano deciso di ritirarsi dalla corsa francese. Era la terza tappa, il giorno prima un’auto era finita nel gruppo: l’episodio era stato accolto dai corridori con fastidio, sia pure con la comprensione dovuta all’organizzatore.

Il mattino della terza tappa è bagnato: Ganna guarda il cielo, Puccio sullo sfondo parla con un tecnico
Il mattino della terza tappa è bagnato: Ganna guarda il cielo, Puccio sullo sfondo parla con un tecnico

Nove squadre a casa

L’organizzatore si chiama Patrick Herse e ha respinto ogni osservazione al mittente: «Un residente ha tirato fuori la macchina dal garage al passaggio della gara. Siamo in piena campagna, non possiamo mettere un addetto della sicurezza davanti a ogni garage».

Secondo lui, che pure si è impegnato a fare una verifica sulla sicurezza della gara, sono altri i motivi che avrebbero spinto le squadre ad abbandonare: «I corridori avevano già intenzione di fermarsi, perché il tempo era terribile. Oggi i giovani pensano di essere delle superstar ed è un peccato. Quello che è successo è stato una totale mancanza di sostegno e rispetto».

Un ritornello spesso abusato che a volte gli atleti hanno legittimato: la colpa è dei corridori, ma questa volta la tesi non regge e il rispetto sta anche nell’organizzare la corsa garantendo in primis la sicurezza. I corridori infatti hanno avuto la percezione di non avere protezione e quando anche il terzo giorno si sono ritrovati con delle auto in corsa, hanno ritenuto necessario fermarsi. Fra loro c’era anche Salvatore Puccio. Che cosa è successo quel giorno a Besseges?

«Se avete visto il video della seconda tappa – racconta – c’era già venuta incontro quella macchina. Da lì abbiamo capito che qualcosa non andasse, ma il giorno dopo siamo partiti ugualmente. Però dopo 9 chilometri erano entrate in gruppo altre due macchine. Per giunta pioveva e a quel punto abbiamo deciso di fermarci, perché non era fattibile».

I corridori parlano con la direzione di corsa: si va verso lo stop della gara
I corridori parlano con la direzione di corsa: si va verso lo stop della gara
Come mai?

Il problema era che le moto passavano e fermavano il traffico, ma erano poche e gli incroci erano scoperti. Se una macchina arrivava allo stop dopo che la moto era passata, nessuno gli segnalava che ci fosse una corsa per cui si immetteva sul percorso. Non c’erano volontari né protezione civile. Per questo ci siamo fermati e tramite il CPA abbiamo parlato con gli organizzatori. Ci hanno detto: chi parte rimane in gara, chi non parte viene messo fuori.

E voi?

Noi ci siamo allontanati pensando che nessuno sarebbe partito, se non le due squadre più piccole e a quel punto la corsa sarebbe stata fermata ugualmente. Diciamo che sembrava fatta, avevamo fatto una scelta puntando sulla sicurezza, invece alla fine sono partiti tutti i francesi e noi siamo rimasti fuori gara. Anche nella squadra di De Lie che quel giorno ha vinto si sono fermati cinque corridori.

Le squadre WorldTour si fermano, ma non convincono le altre a seguirle
Le squadre WorldTour si fermano, ma non convincono le altre a seguirle
Per il CPA c’era Adam Hansen?

Nelle gare piccole ci sono soltanto i tre corridori delegati e in questo caso c’erano Benjamin Thomas della Cofidis, Jan Tratnik della Redbull-Bora e Alex Kirsch della Lidl-Trek. Al mattino, prima del via, era venuto fuori che c’erano soltanto dieci moto, per cui abbiamo concordato che se fosse successo di nuovo qualcosa, ci saremmo fermati.  Quando ci siamo ritrovati con due macchine nel gruppo, ci siamo fermati. Mancavano 150 chilometri, cosa succede se il gruppo finisce contro un’auto? Sappiamo bene quali sono i rischi del lavoro che facciamo, ma gareggiare con il traffico aperto, quello no. Ormai non succede neanche alle gran fondo.

La decisione è venuta solo dai corridori oppure i direttori vi hanno appoggiato?

I direttori delle squadre che si sono fermate ci hanno appoggiato e si sono presi la responsabilità, però arrivavano dei direttori di squadre francesi, particolarmente aggressivi contro i corridori. Non si poteva andare avanti, lungo il percorso c’erano le macchine parcheggiate sul ciglio. Non era come nelle corse in cui i poliziotti e le staffette davanti sgombrano la strada. Lì c’erano le macchine parcheggiate, perché giustamente arrivavano e venivano fermate dai due poliziotti che viaggiavano 100 metri davanti al gruppo. Sembrava una gara di dilettanti, non so quanto andare avanti sia stato utile per l’immagine della corsa. C’erano Ganna e Carapaz, due campioni olimpici, non era un gruppo qualsiasi…

Alex Kirsch era un delegato del CPA all’Etoile des Besseges
Alex Kirsch era un delegato del CPA all’Etoile des Besseges
Probabilmente l’organizzatore avrà avuto i suoi problemi economici nel mettere insieme volontari e staffette…

Non discuto, ma nessuno li ha costretti a fare tappe di 160-180 chilometri, sarebbe bastato fare dei circuiti, avrebbero avuto gli incroci chiusi e controllati. Abbiamo lottato tanto per la sicurezza e poi devi accettare di correre in quella situazione? Molti ci criticano e dicono che i corridori di oggi non hanno le palle come quelli di una volta, ma una volta c’era meno traffico e le macchine si fermavano. Già corriamo tanti rischi e lo sappiamo. Ma se quando siamo tutti in fila, ci ritroviamo una macchina contro mano su una strada stretta, avete presente che cosa può succedere?

E’ andata bene, insomma…

E’ andata benissimo! Nella seconda tappa, quando è entrata l’auto, davanti l’hanno schivata, ma c’è stata la caduta dietro e qualcuno si è ritirato perché andavamo a tutta, c’è stato un rallentamento brusco e nessuno poteva prevederlo. Si stava lottando per prendere le posizioni, abbiamo rischiato di farci male per davvero. Che poi la gente tanto non ci pensa…

La terza tappa a Besseges viene vinta da De Lie: nella Lotto Dstny si sono fermati in cinque
La terza tappa a Besseges viene vinta da De Lie: nella Lotto Dstny si sono fermati in cinque
A cosa non pensa?

Quando ti fai male, lì per lì si dice qualcosa, ma poi la gente si dimentica. Sei da solo e magari accade che le squadre nemmeno ti seguono. E alcune, dopo tre mesi che non corri, ti tagliano anche lo stipendio. Sembra che non aspettino altro. E devi rischiare di finire così per un’auto entrata in gruppo perché l’organizzatore non è stato in grado di garantire la sicurezza? No, grazie. Su queste cose dobbiamo essere fermi, perché ci andiamo di mezzo noi.

Donegà si rilancia nell’Arvedi per dimenticare il 2024

14.02.2025
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Dialogare con Matteo Donegà è sempre stato abbastanza facile. Con i suoi modi educati è un ragazzo che non ha paura a dire ciò che pensa, come non ne ha quando sale in bici. E così parlare con lui in questi giorni di europei in pista, poco prima di guardare in televisione le corse dei suoi colleghi, è lo spunto ideale per approfondire il discorso.

Dopo una vita al CTF Victorius, diventato ora ufficialmente devo team della Bahrain, il 26enne ferrarese di Bondeno ha trovato nell’Arvedi Cycling il giusto approdo nel quale riscattare un 2024 a corrente alternata e rilanciarsi. Ora Donegà è nel pieno degli allenamenti in vista dell’esordio su strada a Misano il 23 febbraio e vuole iniziare col morale giusto.

Donegà ha puntato presto sulla pista per diventare un seigiornista (qui a Brema nel 2024)
Donegà ha puntato presto sulla pista per diventare un seigiornista (qui a Brema nel 2024)
Matteo con che stato d’animo stai seguendo gli europei in pista?

Li sto guardando volentieri perché amo la pista, ma non nascondo che lo faccio con un po’ di rammarico. Sapevo che non c’era la possibilità di andarci. Anche se Marco (il cittì Villa, ndr) non me lo ha comunicato, me lo ha fatto capire perché non mi ha chiamato nei ritiri pre-europei.

Non hai provato a contattarlo tu?

Onestamente non ho insistito nel chiamare Villa perché so che stava attraversando un periodo non semplice. Le voci dell’ultimo mese lo danno in uscita da cittì della pista per diventare quello della strada. So che questa cosa lo turba e forse non aveva la necessaria attenzione per poter parlare con me. Aveva cose più importanti a cui pensare. In compenso avevo parlato con Bragato per dirgli che io sono disponibile per partecipare alla Nations Cup di marzo (dal 14 al 16 a Konya in Turchia, ndr). Lui ha apprezzato la candidatura, ma mi ha risposto che bisognerà capire come si evolverà la situazione. Magari cambia il cittì e chissà cosa succede. Aspettiamo.

Donegà vuole riconquistare la maglia azzurra a partire dalla Nations Cup di marzo in Turchia
Donegà vuole riconquistare la maglia azzurra a partire dalla Nations Cup di marzo in Turchia
Resta aperta la porta per entrare in un corpo militare?

Ho investito quattro anni per provare ad entrarci e ci sto provando ancora, ma credo proprio che sia molto dura, forse più di prima. Ero in parola con l’Esercito e le Fiamme Oro, però so che ultimamente hanno aperto pochi concorsi. Mi sarei aspettato più supporto dalla nazionale, mi sarebbe bastato sapere anche se non c’erano possibilità così potevo fare una programmazione diversa. So che non sono l’unico che ha vissuto certe situazioni, tuttavia so che i tecnici hanno tanti corridori da seguire, anche più importanti di me, e quindi non faccio troppe recriminazioni.

Pertanto è stato un 2024 molto difficile?

Esatto. Era un anno olimpico e giustamente si lavorava ovunque in funzione di quello. Ne ero consapevole, però già da prima mi sono sentito messo ai margini dalla nazionale. Questo ha influito moralmente sulla mia programmazione e sulle mie prestazioni. Poi sono dovuto restare fermo per un mese e mezzo a causa di una caduta in cui mi sono rotto delle costole. Insomma, è stata una stagione altalenante. Per fortuna che ho avuto da Bressan (team manager del CTF, ndr) un grande aiuto.

Donegà ha corso nel CTF dal 2017 al 2024. Per lui è stata una seconda famiglia
Donegà ha corso nel CTF dal 2017 al 2024. Per lui è stata una seconda famiglia
In che modo?

Se non ci fosse stato Roberto e tutto il CTF non sarei riuscito a correre. Lui mi ha sostenuto tanto, mettendoci la faccia in più di una circostanza. Ad esempio lui ha cercato tanto di farmi inserire in un corpo militare, ma non poteva fare di più.

Quanto ti è costato lasciare il CTF?

Tantissimo, per me è stata davvero una seconda famiglia. Otto stagioni nella stessa società non si possono dimenticare in un secondo, tant’è che anche adesso mi faccio seguire dal CTF Lab. Però abbiamo fatto una scelta di comune accordo. Quest’anno la squadra è il devo team della Bahrain a tutti gli effetti. Le decisioni non arrivano più da Bressan o Boscolo e in squadra non c’era la necessità di avere un pistard. E’ stata una scelta obbligata, condivisa e comprensibile.

L’Arvedi Cycling è composta da tanti pistard. Per Donegà è la formazione ideale per fare doppia attività (foto Arvedi Cycling)
Nella Arvedi Cycling hai trovato una buona squadra e soprattutto tagliata per le tue caratteristiche.

Sì, sono molto contento di essere arrivato qua, dove trovo tanti compagni di nazionale, che sono ora a Zolder a giocarsi le medaglie continentali. Sono in una squadra che vive e interpreta la pista come me. Abbiamo già stilato un buon programma di gare, specialmente quelle adatte a noi pistard. Ad esempio siamo ben coperti con Boscaro che su strada è molto veloce, ma anche Galli può fare molto bene in certe corse.

Alla luce di tutto quanto e considerando quanto ha dedicato alla pista, se Matteo Donegà tornasse indietro c’è qualcosa che non farebbe?

Ultimamente me lo sono chiesto tante volte. Nel 2024 ho pensato seriamente di smettere col ciclismo. Se potessi tornare indietro, probabilmente non avrei abbandonato la strada così presto e così nettamente. Adoro la pista e all’epoca puntavo a diventare un seigiornista puro, solo che poi è cambiato tanto anche in quel mondo. Sono un classe ’98 e non mi sento vecchio, però di Sei Giorni ora ce ne sono meno e sono diverse rispetto a prima. Adesso arrivano i giovani e tanti stradisti. Quindi bisogna stare al passo coi tempi.

Donegà vuole tornare ai livelli del 2022 quando a Cali in Nations Cup vinse l’oro nell’omnium
Donegà vuole tornare ai livelli del 2022 quando a Cali in Nations Cup vinse l’oro nell’omnium
Facendoti un grande in bocca al lupo per il 2025, ti sei dato degli obiettivi?

Su strada con l’Arvedi cercherò di togliermi qualche soddisfazione ed essere un riferimento per la squadra. In pista mi piacerebbe tornare ai livelli di Cali 2022 quando vinsi l’oro nell’omnium alla Nations Cup e per i motivi che dicevo prima, vorrei guadagnarmi nuovamente l’azzurro per la prossima Nations Cup. Punto agli italiani in pista visto che l’anno scorso non si sono disputati. Diciamo che in generale vorrei fare una stagione migliore della scorsa.

Zanatta: «Maestri esempio di dedizione e umiltà»

14.02.2025
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La carriera di Mirco Maestri nel ciclismo professionistico si è affiancata a quella di Stefano Zanatta in ammiraglia. L’anno in cui il corridore reggiano è entrato alla Bardiani-CSF era il 2016 e sulla macchina del team di Bruno e Roberto Reverberi c’era appunto Stefano Zanatta. Delle dieci stagioni che sono passate da allora i due ne hanno condivise nove. I due, Zanatta e Maestri, si sono separati solamente per la stagione 2021, quando il primo finì sull’ammiraglia della Eolo-Kometa e il secondo lo raggiunse l’anno successivo. Il cammino di Mirco Maestri è stato lungo, ma finalmente vede riconoscersi l’impegno e la determinazione che ha sempre messo sui pedali. 

«Mirco (Maestri, ndr) è sempre stato una garanzia – dice Zanatta – quando mette il numero sulla schiena sai che c’è. E così è stato anche alla Volta a la Comunitat Valenciana, prima corsa a tappe di questa stagione».

Maestri (a destra) e Zanatta (il secondo da sinistra) hanno iniziato a lavorare insieme nel 2016 alla Bardiani-CSF
Maestri (a destra) e Zanatta (il secondo da sinistra) hanno iniziato a lavorare insieme nel 2016 alla Bardiani-CSF

Mettersi in discussione

Le strade di Maestri e Zanatta si sono incontrate nel 2016, ma era da tempo che il diesse aveva gli occhi sul ragazzo di Guastalla. 

«Lo seguivo da quando era dilettante – racconta Zanatta – si parla del 2015. Era un corridore sempre presente alle corse e otteneva buoni risultati ogni anno. La stagione successiva ero entrato nello staff della Bardiani, e quando Reverberi mi ha detto che avrebbero voluto prendere quel corridore emiliano ho dato subito la mia approvazione. Quello che mi ha sempre colpito di Maestri è la forza di mettersi in discussione, anno dopo anno. Ogni volta che c’è una mezza carta da giocarsi lui ci si butta a capofitto. Al primo anno da professionista alla Sanremo è entrato subito nella fuga, cosa che ha fatto spesso poi nel corso delle stagioni».

Nel 2016 la prima di tante fughe alla Milano-Sanremo per Mirco Maestri
Mirco Maestri, Milano-Sanremo 2016
Hai un ricordo di quella sua prima Sanremo?

Sì. Riuscì a resistere fino ai piedi della Cipressa. La corsa si accese e noi con l’ammiraglia superaravamo i gruppetti che piano piano si staccavano, solo che in questi non vedevo mai Maestri. L’ho ritrovato sul traguardo di Via Roma e gli ho chiesto: «Dove hai tagliato?». Lui mi rispose che aveva tenuto duro arrivando a tre minuti dai primi. Lì capii che eravamo davanti a un corridore con un motore notevole e una grande sopportazione della fatica. 

Dal lato umano che impressioni ti fece?

Subito positiva. E’ un ragazzo che sa stare con tutti e molto umile, ma ha una cattiveria agonistica impareggiabile. Umanamente ha un carattere buono, quando dice una cosa cerca sempre di farla. Ama questo lavoro e si vede, è arrivato tardi al professionismo ma potrebbe meritare anche di stare in squadre WorldTour. Però ce lo teniamo volentieri qui (ride, ndr). 

Nel 2019 arriva finalmente la maglia arancione alla Tirreno-Adriatico, Maestri l’averla sfiorata nel 2017
Nel 2019 arriva finalmente la maglia arancione alla Tirreno-Adriatico, Maestri l’averla sfiorata nel 2017
Parlarci è semplice?

E’ uno che ascolta e mette in pratica. Io quando parlo con i corridori cerco di avere sempre lo stesso atteggiamento. Però mi accorgo che quando parlo con Maestri lui pone tanta attenzione su quello che si dice. I primi anni alla Bardiani gli dissi che se avesse voluto migliorare in salita avrebbe dovuto fare allenamenti più impegnativi. Così lui da casa sua, abitava nel mantovano, prendeva la macchina per allenarsi sul lago di Garda e fare tanto dislivello. 

La sua dedizione da cosa si capisce?

Un anno, era il 2017, gli dissi che secondo me poteva conquistare la maglia a punti alla Tirreno-Adriatico. Sarebbe bastato andare in fuga tre tappe sulle sette a disposizione, lui ci andò per tutte le prime cinque frazioni. Perse la maglia nei confronti di Sagan per due soli punti. Quello rimase un cruccio e due anni dopo riuscì a vincere la maglia a punti alla Tirreno. 

La maglia di campione europeo è la consacrazione di una carriera fatta di dedizione e tanti sacrifici (foto Maurizio Borserini)
La maglia di campione europeo è la consacrazione di una carriera fatta di dedizione e tanti sacrifici (foto Maurizio Borserini)
Il vostro è un rapporto che si è costruito subito?

Non c’è stato un giorno, ma uno scambio continuo di fiducia, prima in Bardiani e ora in Polti. 

Che corridore hai ritrovato alla Eolo-Kometa, ora Polti VisitMalta?

E’ sempre stato uno che quando c’è qualcosa che non va cerca di capire il perché. Nelle ultime due stagioni, da quando ci siamo ritrovati, sta lavorando per obiettivi. Uno di questi sono state le cronometro, nel 2024 ci siamo concentrati parecchio su questo aspetto. Tanto che è arrivato un grande passo in avanti e la convocazione per gli europei, sia per il mixed team relay che per la prova su strada. Un ragazzo che a 32 anni decide di sposare una nuova idea e di lavorarci su è un segnale. In tanti a questa età si accontentano del compitino e portano a casa lo stipendio. Maestri invece vuole dimostrare di meritarsi il posto.

Cosa hai pensato quando ha vinto la medaglia d’oro?

Ero veramente felice. Mi ha chiamato Velo chiedendomi se Maestri fosse pronto per una prova del genere. Ho garantito di sì, anche se c’era da sostituire una figura come quella di Ganna. Mirco è stato bravo e vederlo vincere è stata la gioia più grande, come la fine di un lavoro. 

Maestri è un punto di riferimento per i giovani, qui alla Valenciana insieme a Piganzoli
Maestri è un punto di riferimento per i giovani, qui alla Valenciana insieme a Piganzoli
Ti saresti aspettato questa sua crescita anche per quanto riguarda la leadership all’interno della squadra?

La stagione in cui ha corso con Gavazzi gli è stata utile da questo punto di vista, da lui ha imparato molto su questo ruolo. Però Maestri è sempre stato uno con l’atteggiamento corretto. Si mette in discussione per primo ed è l’ultimo a mollare. Non è un leader che fa sentire la voce, ma che mostra la via agli altri. Con i giovani questo modo di fare funziona, infatti ci siamo spesso affidati a lui in gara. 

Ad esempio?

Alla Valenciana, che si è appena conclusa, era l’ultimo a rimanere con Piganzoli in salita ed ha aiutato Lonardi nella volata della tappa finale. E’ davvero bello avere un corridore così in squadra, e poi ha sempre il sorriso, non è uno che rimprovera i compagni o alza la voce. Ma dimostra, mettendo il peso prima sulle sue spalle.

Il quartetto delle regine e il sassolino nella scarpa

14.02.2025
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Nonostante sia quello che va detto in simili situazioni, è innegabile che le ragazze del quartetto avessero una pietruzza negli scarpini. L’uscita di scena dalle Olimpiadi di Parigi galleggiava e galleggia ancora in un’aria amara ed era chiaro che la loro presenza agli europei di Zolder non fosse casuale. Gli uomini, probabilmente alla fine del ciclo, si sono tutti votati alla strada. Le ragazze – Alzini, Consonni, Fidanza e Guazzini – hanno dato subito disponibilità, pur consapevoli di non arrivare alla sfida belga attraverso il cammino migliore.

L’oro di Martina

Se si sia trattato di un segnale, l’oro di Martina Fidanza nello scratch ha riacceso le luci e la fiducia, soprattutto perché per vincere la bergamasca ha dovuto battere in volata Lorena Wiebes. Su strada non ci riesce quasi mai nessuno e c’è da scommettere che durante l’anno anche Martina dovrà chinare qualche volta il capo. Averla battuta su pista porta però una fiducia nuova: nessuno è imbattibile.

«Penso che sia stato un risultato un po’ inaspettato – ha detto nella serata di mercoledì – perché non mi aspettavo di riuscire a batterla in volata. Invece ci abbiamo creduto, abbiamo messo un buon rapporto per poterle tenere testa e sono molto, molto soddisfatta. All’ultimo giro temevo che mi passasse, invece quando ho visto che rimaneva lì, mi sono detta che avrei potuto farcela».

Fidanza, Consonni, Alzini: lo sguardo di Consonni dice tutto. Il quartetto va per vincere
Fidanza, Consonni, Alzini: lo sguardo di Consonni dice tutto. Il quartetto va per vincere

Un giorno per ritrovarsi

Tutte con il UAE Tour nelle gambe, due di loro cadute nell’ultima tappa e Guazzini che prima di arrivare a Zolder aveva fatto scalo a Parigi per la presentazione della FDJ-Suez. Eppure sono arrivate in pista. Le quattro azzurre hanno avuto un giorno per ritrovare i meccanismi. E poi tutte insieme si sono prese il titolo europeo dell’inseguimento. Che non vale quanto un’Olimpiade o un mondiale, però intanto le altre sono finite tutte alle spalle.

«Penso che la partecipazione agli europei – ci ha detto Guazzini prima di raggiungere la nazionale – non sia tanto per rivendicare quello che non è andato come speravamo a Parigi, però comunque ci tenevamo ad esserci. La pista è qualcosa che ci piace. Abbiamo detto tutti che ci concentreremo più sulla strada, ma questo non vuol dire che non faremo più gare in pista. Vorrà dire, magari, che ci arriveremo senza aver fatto la preparazione degli altri anni. Però una volta che saremo lì sicuramente vorremo fare bene. Il UAE Tour è stato un disastro, spero di fare il meglio che posso. Cercheremo di tirar fuori il coniglio dal cilindro, perché quando siamo tra di noi, diamo sempre qualcosa in più. Il fatto di essere un gruppo di amiche sicuramente ci aiuterà molto».

Le fatiche del UAE Tour si sono fatte sentire: nell’ultimo giro il quartetto ha rischiato di disunirsi
Le fatiche del UAE Tour si sono fatte sentire: nell’ultimo giro il quartetto ha rischiato di disunirsi

Da Parigi a Zolder

Proprio lei a Parigi, accanto a compagne come Demi Vollering e Juliette Labous nella conferenza stampa che lanciava il 2025 della FDJ-Suez, è stata salutata come uno degli astri del ciclismo femminile e celebrata per l’oro olimpico conquistato proprio lì, ormai sei mesi fa.

«E’ speciale per me essere di nuovo a Parigi – ha detto – perché mi ricordo che nella conferenza stampa di inizio 2024 dissi che le Olimpiadi sarebbero state il mio grande obiettivo. Tornare qui dopo un anno, con quel traguardo raggiunto, mi rende davvero orgogliosa. Il team mi ha supportato in questo e penso che sia la cosa migliore che potessero fare. Non mi hanno messo alcuna pressione per le altre gare. Dopo l’oro olimpico, è stato difficile trovare la concentrazione, ma ho avuto un buon inverno e ora sono motivata per affrontare questa stagione con nuove compagne di squadra e nuove ambizioni».

Nella serata di Zolder è arrivato anche l’oro di Bianchi (qui con Ivan Quaranta) nel km da fermo
Nella serata di Zolder è arrivato anche l’oro di Bianchi (qui con Ivan Quaranta) nel km da fermo

La grande vendetta di Guazzini

La strada e la pista, anche per lei che negli ultimi due anni ha sempre sognato di ben figurare alla Parigi-Roubaix e l’ha sempre dovuta lasciare malconcia e triste.

«Guardo con entusiasmo alla stagione delle classiche – ha detto – voglio aiutare la squadra a vincere e provare a fare qualcosa per me. Ho una grande vendetta da prendermi, mi piacerebbe arrivare al velodromo di Roubaix, ma per quello ci vuole anche un po’ di fortuna. Il resto infatti non manca. Abbiamo tutti i materiali, non ci manca nulla. Questo passaggio alla pista per gli europei è stimolante, ma l’attenzione poi sarà principalmente per la strada».

Dopo lo smacco di Parigi, il titolo europeo lancia le azzurre verso la stagione su strada. Consonni è davvero sfinita
Dopo lo smacco di Parigi, il titolo europeo lancia le azzurre verso la stagione su strada. Consonni è davvero sfinita

Il quartetto d’oro

Ora che la magia si è compiuta, è ancora Vittoria a firmare la cartolina da consegnare agli annali del ciclismo, a capo di un inseguimento che non è stato del tutto indolore. Le difficoltà del UAE Tour hanno presentato il conto, ma alla fine i 4’14″213 sono bastati per rifilare 7 centesimi alla Germania che nel 2021 ci aveva regalato l’argento nei mondiali d Roubaix che permise loro di doppiare col titolo iridato l’oro di Tokyo.

«E’ stata una prova – ha detto ieri sera Guazzini dopo il titolo europeo – che abbiamo gestito con tanta intelligenza. Abbiamo esperienza nel correre insieme, anche se nei giorni scorsi non abbiamo potuto girare tanto. Ieri (mercoledì, ndr) ci siamo ritrovate in qualifica e siamo andate bene, quindi ci abbiamo creduto fino all’ultimo metro. Ognuno ha fatto la sua parte, ogni pedalata è stata quella che ci ha portato alla vittoria»

In un modo o nell’altro, ci sentiamo di aggiungere, quella pietruzza se la sono cavata dagli scarpini.

Karel Vacek ha detto basta. E non cerca alibi…

14.02.2025
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Proprio nel giorno in cui Mathias Vacek esordiva nella stagione aggiudicandosi la prima tappa della Volta a la Comunitat Valenciana, suo fratello Karel annunciava il suo ritiro dalle scene ciclistiche a soli 24 anni. Un contrasto che stride, considerando come Karel, più vecchio di due anni, sia stato sempre una guida per il talentuoso corridore ceko della Lidl-Trek.

Karel Vacek è uno dei quei corridori rimasto sempre sul punto di esplodere, con buoni risultati che evidentemente non sono stati sufficienti a dargli quella sicurezza per potersi garantire un’esistenza permanente e tranquilla nell’ambiente e questo l’ha convinto a un passo indietro doloroso ma vissuto con consapevolezza.

Il terzo posto nella tappa dell’Iztulia Basque Country, vinta da Meintjes è il miglior risultato 2024
Il terzo posto nella tappa dell’Iztulia Basque Country, vinta da Meintjes è il miglior risultato 2024

«La decisione l’avevo già in animo a fine stagione, poi a Natale sono giunto alla conclusione che era la cosa giusta da fare. Che cosa mi ha portato a questo? Il vivere una carriera in continuo saliscendi, precaria, dovendo cambiare tutto a ogni fine anno. Le ultime due stagioni sono state positive, con molti buoni risultati, ma vedevo che non salivo di livello, che non tornavo a quel WorldTour che era il mio obiettivo. Alla Burgos potevo rimanere un altro anno ma non me la sono sentita».

Come hai vissuto una decisione così difficile?

In maniera consapevole e matura. Mi sono messo davanti alla realtà, mi sono accorto che il ciclismo non mi restituiva abbastanza per quanto ci ho investito sopra e mi sono trovato davanti a un bivio: continuare in questo logorante tira e molla oppure trovare la forza per girare pagina. La mia età mi consente di fare una scelta e cambiare mettendoci tutto me stesso in qualcosa di nuovo, cambiare strada era la scelta migliore in questo momento.

Sul Gran Sasso il grande giorno di Karel Vacek al Giro 2023, secondo dietro Davide Bais
Sul Gran Sasso il grande giorno di Karel Vacek al Giro 2023, secondo dietro Davide Bais
Se ti guardi indietro, che cosa ti ha impedito di diventare quel che speravi?

Difficile dirlo, ma su un concetto voglio essere ben chiaro: non posso dare la colpa a nessuno, le cose sono semplicemente andate così. Molti dicono che la mia generazione sia stata penalizzata dal Covid, da quelle due annate (2020-2021, ndr) stravolte nel loro calendario, ma rendiamoci conto che per molti versi è solo un alibi e che proprio quel periodo così diverso dal solito ha contribuito fortemente a cambiare il ciclismo, a renderlo quello che è ora, molto diverso da quello del decennio precedente.

C’era però meno spazio per emergere, meno opportunità per affrontare l’attività in maniera canonica…

Ripeto, secondo me è un alibi al quale non voglio fare ricorso. Ci si allenava comunque, si andava comunque alle corse. Il ciclismo è questo, non tutti arrivano a quella fatidica soglia, sono tanti i fattori che contribuiscono a cogliere l’opportunità o meno. Serve talento, serve fortuna. I momenti buoni ci sono stati anche per me, ma proprio allora le cose non hanno girato nella maniera giusta.

Alla Qhubeka Vacek aveva trovato la porta del WorldTour, ma il sogno è durato un solo anno
Alla Qhubeka Vacek aveva trovato la porta del WorldTour, ma il sogno è durato un solo anno
C’è un momento specifico che identifichi come decisivo nella tua carriera?

Probabilmente l’anno alla Qhubeka, il 2021: avevo in tasca un biennale, ero nel WorldTour e il primo anno era andato bene. Ero under 23 ma già svolgevo attività da professionista a tutti gli effetti. Poi però tutti sanno come sono andate le cose, la squadra si è sciolta e io mi sono ritrovato al Tirol KTM, un team continental. Era un passo indietro a tutti gli effetti, dovevo ricominciare tutto da capo. Ci ho provato, ma senza successo.

Il fatto di aver dovuto cambiare squadra ogni anno ti ha penalizzato?

Probabilmente non mi ha aiutato, non trovavo stabilità, ma non per questo posso lamentarmi, anzi era già tanto trovare sempre un team dove correre. Alla Burgos, l’ultimo team, stavo anche bene e il team mi aveva garantito la permanenza, ma sono io che non mi sentivo più di poter dare il 100 per cento. Soprattutto non mi vedevo più per quello che avrei potuto essere.

Un anno alla Tirol, tornando indietro dal WorldTour. Bisognava ripartire quasi da zero…
Un anno alla Tirol, tornando indietro dal WorldTour. Bisognava ripartire quasi da zero…
Che cosa ti aspettavi?

Quand’ero junior tutti sanno che ero considerato il numero 2 al mondo, dietro Evenepoel e mi vedevo come protagonista nei Grandi Giri. Lì forse ho commesso qualche errore, il non avere un manager di peso mi può aver penalizzato, anche se poi l’ho trovato in Carera che mi ha aiutato molto. Sono arrivato in Italia e non potrò mai dire grazie abbastanza a Giorgi che mi aveva voluto con sé, portandomi in Italia dove ho imparato tanto. Ho continuato a crescere attraverso Hagens Berman Axeon e Colpack fino alla Qhubeka, poi lì le cose si sono fermate.

Lo snodo è stato lì?

Penso di sì perché poi alla Tirol, che pure è un ottimo team, sono sparito dai radar, scendendo di categoria e conseguentemente di calendario. Non trovavo più la strada giusta. Ne ho parlato a lungo con il manager e con mio fratello, volevo smettere non da sconosciuto e il fatto di chiudere dopo una stagione nel complesso positiva mi ha aiutato nella difficile decisione.

Karel intende restare nel mondo delle due ruote, attraverso un nuovo progetto
Karel intende restare nel mondo delle due ruote, attraverso un nuovo progetto
Se ti guardi indietro qual è il momento più bello?

Ne individuo tre: il primo quando sono arrivato in Italia. Non conoscevo la lingua, dovevo abbinare il ciclismo alla scuola, era tutto nuovo per me, ma è stato un periodo molto formativo anche dal punto di vista personale. Con Giorgi sono sempre rimasto in contatto, ogni anno mi sono trovato il tempo per andarlo a trovare. Il secondo è il Giro d’Italia 2023 alla Corratec: un’esperienza magica essere in quello che era il mio sogno, conquistando anche un podio e tanti buoni risultati. Il terzo nel 2022 quando mi sono ritrovato a correre il Tour de l’Avenir con mio fratello Mathias: non siamo mai riusciti a ritrovarci in un team, condividere una corsa è stato un momento molto particolare.

E ora?

Non lascio il mondo del ciclismo, questo è sicuro. Solo che voglio restarci in una maniera diversa, attraverso un progetto tutto nuovo che sta per vedere la luce e nel quale dedicherò tutto me stesso. Per ora posso dire solo una cosa: non vi libererete di me…

Cerchiamo di saperne di più su Ewan alla Ineos

14.02.2025
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In Italia è forse passato un po’ in sordina, ma il passaggio di Caleb Ewan dalla Jayco-AlUla alla Ineos Grenadiers è di quelli importanti. Lo sprinter australiano è uno dei più vincenti dell’era moderna ed è anche uno dei più longevi.

Certo, Ewan va per i 31 anni e non è più un ragazzino, specie per un velocista, ma resta sempre un atleta di spicco. Ha all’attivo 63 vittorie in 10 anni di professionismo. Lui c’è sempre stato, mentre molti altri sono cambiati. Pensate che il suo 2023 è stato archiviato dai media con segno negativo… nonostante quattro vittorie.

Lo scorso anno al Giro solo un 6° posto per Caleb. L’australiano, anche grazie alla sua statura minuta riesce, a districarsi bene in gruppo
Lo scorso anno al Giro solo un 6° posto per Caleb. L’australiano, anche grazie alla sua statura minuta riesce, a districarsi bene in gruppo

Occasione Ewan

Dario David Cioni, uno degli storici direttori sportivi della squadra inglese, ci parla del suo inserimento. Un inserimento lento, per ora. Ewan è arrivato ufficialmente nel team solo il 23 gennaio, a seguito di una trattativa un po’ a sorpresa.

«Non so di preciso le dinamiche che lo hanno portato da noi – spiega Cioni – posso pensare che magari sia stata un’occasione, un’opportunità venuta fuori al momento giusto. Noi, senza più Elia (Viviani, ndr), avevamo una mancanza: la dirigenza ne ha approfittato. Ma posso garantire che fino a quel momento i programmi del team erano stati fatti senza di lui».

Cosa ha portato dunque alla rottura fra Ewan e la Jayco-AlUla? Probabilmente una serie di circostanze che si sono sommate fra loro. L’australiano aveva ancora un anno di contratto con la squadra di Copeland, ma nel frattempo la XDS-Astana si era fatta avanti con una proposta importante, anche dal punto di vista economico. Questo ha destabilizzato l’atleta e inevitabilmente la cosa non è piaciuta alla squadra. Squadra che nel frattempo ha ritrovato un Groenewegen in grande spolvero e lo stesso Ewan, da tre anni, non vinceva nel WorldTour. Al Giro d’Italia, il suo miglior piazzamento è stato un sesto posto nella volata di Lucca.

Ora, alla Ineos Grenadiers, ha però tutte le possibilità, la fiducia e lo stimolo per tornare il folletto che abbiamo imparato a conoscere.

Uno dei pochi scatti di Ewan con i colori della Ineos Grenadiers (foto Instagram)
Uno dei pochi scatti di Ewan con i colori della Ineos Grenadiers (foto Instagram)

Caleb e il team

Cioni parla di un inserimento graduale. Ovviamente Ewan ha saltato il ritiro di dicembre e si è unito al gruppo solo a fine gennaio, nel training camp di Denia. Un camp che, tra l’altro, non era più totale, vista la suddivisione tra corse che iniziavano in Australia, Europa e Medio Oriente.

«Erano in 12 e Caleb stava ricostruendo la base. In gruppo è uno degli esperti e non ha avuto problemi a relazionarsi con nessuno. Con chi ha legato di più? Vive a Monaco e so che è molto amico di Thomas e Rowe, spesso uscivano insieme e anche con lo stesso Puccio. Ma da quel che ho visto in ritiro si è inserito bene anche con gli altri».

Ora sarà davvero curioso capire come verrà gestito Caleb Ewan, i suoi programmi e soprattutto il suo treno. Per ora si sa solo che si sta allenando.

«Parlare di programmi – spiega Cioni – è prematuro. Caleb viene da un periodo in cui era stato anche fermo a lungo e per ora sta ricostruendo la base, si sta concentrando sugli allenamenti di fondo. Impossibile stabilire una data del suo rientro, lo si vedrà man mano e a seconda del calendario. Penso, per esempio, che ad aprile non ci siano molte occasioni per gli sprinter, quindi ci si dovrà adattare alle corse veloci che proporrà il calendario».

Esplosità, abilità di guida e anche una buona capacità di tenere su strappi brevi grazie al peso ridotto: le qualità Ewan
Esplosità, abilità di guida e anche una buona capacità di tenere su strappi brevi grazie al peso ridotto: le qualità Ewan

Ganna apripista?

Infine si parla del treno. Questo aspetto tecnico è intrigante. E il motivo è presto detto: uno degli apripista più gettonati sembra essere Filippo Ganna, tirato in ballo anche dall’altro diesse della Ineos, Zak Dempster. Pensateci: Pippo è alto un metro e 93 centimetri, mentre Caleb 1,65. Una bella differenza. C’è da scommettere che la Ineos, da sempre all’avanguardia in tema di aerodinamica, farà i suoi studi. Magari Ganna è troppo alto!

«In ballo per questo – dice Cioni – ci sono diversi nomi, tra cui Ganna e Tarling. Però attenzione: l’apripista giusto dipende anche dal tipo di volata e da chi farà la volata. Non dimentichiamo che Pippo ha fatto degli sprint e ha mostrato di essere competitivo. Quindi potrebbero anche invertirsi i ruoli. Chiaro, Pippo potrebbe essere un apripista ottimo, il problema è se Caleb dovrà tirargli la volata! Ma non dimentichiamo che molto spesso Ewan ha sfruttato altri treni ed è molto esplosivo».

E concludiamo ancora con Cioni: «Cosa mi piace di Caleb e cosa invece dovrebbe migliorare? Mi piace la sua velocità, mentre può migliorare la consistenza nei risultati quando è in forma, ovvero vincere più gare in un periodo ravvicinato».

Fiumicinese, sessant’anni di appartenenza in giallonero

13.02.2025
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La filosofia non è cambiata dalla sua nascita nel 1964. La sua divisa giallonera è riconoscibile in gruppo da sempre. Nel corso della sua storia si sono susseguiti momenti salienti in modo sistematico. Riassumere i “primi” sessant’anni della Polisportiva Fiumicinese F.A.I.T. Adriatica è un compito tanto difficile quanto nobile (in apertura foto Elia Battistini).

Qualche dato statistico tuttavia sulla società di Fiumicino – frazione di Savignano sul Rubicone, nel cuore della Romagna – bisogna darlo per comprenderne meglio la grandezza, anche se nel ciclismo giovanile non ha bisogno di ulteriori presentazioni. Come un tassametro che scorre, i conti di ogni voce saranno in continuo aggiornamento a partire dalle prossime gare, ma finora in sessant’anni di storia sono stati 753 gli atleti tesserati per la Fiumicinese, con 436 vittorie assolute su strada, compresi 8 podi tricolori ed 11 titoli regionali, oltre ad innumerevoli campionati provinciali. Anche su pista i numeri sono di assoluto rilievo: 17 campionati italiani e 71 titoli regionali fra tutte le discipline. E non è mancato nemmeno l’apporto organizzativo con più di 500 manifestazioni allestite.

Ci siamo buttati dentro a questa selva di numeri guidati da Christian Zamagni, team manager della squadra ed ingegnere di professione, che ha assorbito tutta la tradizione da papà Oscar, primo storico corridore della Fiumicinese arrivato alle soglie del professionismo.

Christian Zamagni, team manager della Fiumicinese, assieme a Manuel Belletti, ex pro’ cresciuto nel loro vivaio (foto Elia Battistini)
Christian Zamagni, team manager della Fiumicinese, assieme a Manuel Belletti, ex pro’ cresciuto nel loro vivaio (foto Elia Battistini)

Da una generazione all’altra

In questi sessant’anni la Fiumicinese ha attraversato tutte le varie fasi del ciclismo ed anche ora ha mantenuto attivi certi valori. Si parte dal primo presidente Giuliano Lasagni e da Roberto Magnani che il 9 maggio 1965 coglie la prima vittoria della società romagnola. In un flash si arriva ad Oscar Zamagni, classe 1949, passista-scalatore dotato di un bello spunto in volate ristrette e dilettante molto promettente.

Dopo qualche vittoria nei primi anni della categoria, Zamagni vive il suo giorno migliore a giugno del 1971. A Punta Marina conquista la maglia rosa del Giro d’Italia Dilettanti per soli 15” al termine di una fuga divenuta un braccio di ferro col gruppo inseguitore negli ultimissimi chilometri. Non vince la tappa che passa proprio sulle sue strade, ma il tifo romagnolo lo spinge verso il trionfo. Qualche giorno più tardi Francesco Moser vincerà la crono di Valvasone sfilandogli il primato e ipotecando la vittoria finale.

Oscar Zamagni è stato il corridore più rappresentativo della Fiumicinese. Al Giro Dilettanti 1971 conquistò la maglia rosa in Romagna
Oscar Zamagni è stato il corridore più rappresentativo della Fiumicinese. Al Giro Dilettanti 1971 conquistò la maglia rosa in Romagna

«Mio padre – racconta Christian Zamagni – dopo quelle belle prestazioni era riuscito a firmare con la Filotex di Bitossi per passare pro’ nel 1972. Tuttavia dovette scegliere se continuare a correre o andare a lavorare. Scelse la seconda, forse perché con mia madre voleva allargare la famiglia, visto che io sono nato un anno dopo. Mio padre restò fuori dal ciclismo per tanti anni, poi nel 1989 entrò nella Fiumicinese come diesse, facendolo ininterrottamente fino al 2016.

«Nel frattempo – prosegue – ero entrato anch’io nella società abbastanza giovane. Ho un’estrazione sportiva diversa perché io ho giocato a calcio fino all’Eccellenza, ma mi sono formato nel ciclismo. Era un ambiente che preferivo, perché mi è sempre piaciuto lavorare con i giovani e farli crescere. Ora seguo i giovanissimi ed anche tutta l’attività su pista. Alla Fiumicinese siamo stati fortunati ad avere gli stessi diesse per tanto tempo, sempre affiancati da un ricambio generazionale di tecnici».

Filosofia, maglia e altri capisaldi

La chiacchierata con Christian Zamagni è un excursus in cui si evince la filosofia della Fiumicinese, a cominciare dalla maglia giallo-nera che non ha mai subìto volontariamente modifiche di restyling. Per la serie, si può fare ciclismo con una maglia che non sia necessariamente tappezzata di loghi e marchi commerciali.

«Non abbiamo mai cambiato la maglia – spiega il team manager – perché nella sua semplicità è diventata unica e vogliamo che sia indossata solo dai nostri ragazzi. E’ sempre stata gialla con righe nere e senza sponsor. Solo negli ultimi anni ne abbiamo inseriti giusto un paio, ma i nostri partner sanno che noi gli diamo poi visibilità in altro modo, sulle ammiraglie, negli striscioni o nei banner pubblicitari durante i nostri eventi. E loro capiscono la nostra motivazione».

«In questi sessant’anni – va avanti Zamagni – siamo sempre stati molto numerosi. Abbiamo sempre lavorato molto sul gruppo e ciò che ha contraddistinto la Fiumicinese è stato il senso di appartenenza che si trova in una famiglia o anche in un percorso che intraprende chi viene da noi. Sappiamo che può essere un cammino delicato per i ragazzi e i loro genitori, però può dare soddisfazioni non necessariamente con risultati o vittorie. Abbiamo sempre pensato che il ciclismo è un mezzo per maturare perché ti sbatte in faccia le difficoltà in modo brutale. Con noi i ragazzi crescono e riescono a trovare la propria dimensione come atleti e persone».

Simboli e attualità

Il presidente ora è Rino Sarpieri che si gode i suoi giovani ciclisti. Una quarantina di giovanissimi, donne esordienti ed allieve (formazione nata nel 2019 e guidata da Christian Pepoli) e diciassette allievi. Da queste categorie la Fiumicinese ha sempre sfornato più talenti a stagione, però, anche se è arduo scegliere, Christian Zamagni battezza tre nomi prima di guardare all’attualità.

«Guardando ai risultati – parte con l’analisi – Manuel Belletti è l’atleta che ha raggiunto le vittorie più importanti grazie alla tappa di Cesenatico nel 2010 al Giro d’Italia. Papà Oscar credo che invece sia stato il corridore più rappresentativo, mentre Matteo Fiori, che vinse 42 gare e il primo tricolore in pista, è stato colui che ha traghettato la vecchia Fiumicinese a quella nuova e attuale.

Esordienti ed allieve della Fiumicinese. La formazione femminile è nata nel 2019 ed è diretta da Christian Pepoli (foto Elia Battistini)

«Ora siamo orgogliosi dei ragazzi, maschi e femmine – continua – che corrono nelle categorie superiori. Quest’anno sono passati juniores Luca Fabbri, campione regionale nel 2024, alla Vangi, poi Giacomo Campidelli, Michele Pio Cacchio e Matteo Ghirelli, tricolore in pista nella velocità, alla Sidermec Vitali. Invece tra le donne juniores abbiamo Sofia Cabri e Nikol Dollaku al Team Di Federico.

«Tra i nostri prodotti – conclude il team manager Christian Zamagni – ci sono anche tre donne elite: Valentina Zanzi al Vaiano, Sara Pepoli alla Isolmant e Camilla Lazzari alla BTC City Ljubljana. E naturalmente non possiamo dimenticare chi corre tra gli U23. Thomas Bolognesi e Leonardo Meccia sono alla Technipes, Lorenzo Anniballi è andato alla Solme-Olmo dove ha fatto grandi cose Simone Buda, altro nostro ex atleta. E’ assurdo che uno come lui non abbia trovato un contratto tra i pro’. Infine c’è Enea Sambinello alla UAE Team Emirates Gen Z, dove è diretto da Giacomo Notari, un tecnico che conosciamo bene fin da quando correva».

Enea Sambinello, ora alla UAE Team Emirates Gen Z, è ancora molto legato alla famiglia della Fiumicinese (foto facebook)
Enea Sambinello, ora alla UAE Team Emirates Gen Z, è ancora molto legato alla famiglia della Fiumicinese (foto facebook)

Regalo di compleanno

C’è stato spazio per parlare degli allievi che nella Fiumicinese corrono appositamente senza potenziometro perché si è ancora in una fase di apprendimento e conoscenza di propri limiti ascoltando il proprio corpo. C’è stato spazio per parlare sempre degli allievi, ragazzi pronti fisicamente e non ancora mentalmente, che vengono seguiti sempre di più da procuratori, che rischiano di illudere le loro famiglie.

E poi ci sarebbe quel tricolore su strada mai vinto che nel 2025 sarebbe il regalo di compleanno perfetto per la Fiumicinese. Racchiudere sessant’anni di storia nell’arco di una telefonata è stato un compito difficile che abbiamo fatto volentieri.

Alla scoperta dei portali di analisi. Scopriamo Intervals.icu

13.02.2025
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Cos’è Intervals.icu? E’ un portale e un motore di analisi dei dati del ciclista, è uno dei più utilizzati ad oggi ed ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi 3/5 anni, periodo dove gli stessi misuratori di potenza sono entrati a fare parte della dotazione di base del ciclista. Non obbliga a pagare una quota.

Cerchiamo di capire, grazie al contributo di Michele Dalla Piazza, laureato in Scienze Motorie e figlio del conosciutissimo Alfiero (biomeccanico di tanti pro’) i pro ed i contro di Intervals.icu, a chi si rivolge e perché è sempre più utilizzato, da utenti veri e propri, ma anche dai professionisti della preparazione atletica.

Michele Dalla Piazza (foto Iens’Art content&agency)
Michele Dalla Piazza (foto Iens’Art content&agency)
Perché si usano portali come Intervals.icu?

I portali, o siti, o motori di sviluppo dei dati sono in realtà degli strumenti mentali/numerici che permettono di classificare e quantificare la realtà. Sotto un certo punto di vista gli si dà una forma, un volto sotto forma di numeri. Questi strumenti quantificano la fisiologia dell’esercizio e la rendono leggibile, analizzabile nel dettaglio.

Insieme ai power meter hanno cambiato il ciclismo?

Direi proprio di sì. Citando una frase dello scrittore Alessandro Baricco, gli strumenti sono le cose che stanno cambiando il mondo. I numeri con i loro strumenti hanno cambiato molto il ciclismo.

Il power meter è simbolo del ciclismo attuale
Il power meter è simbolo del ciclismo attuale
Quali strumenti usi per l’analisi dei dati?

La mia preferenza è sicuramente per Intervals.icu, che ho iniziato ad usare nel 2017, poi TrainingPeaks. Quest’ultimo ormai raramente e solo per una questione di relazione diretta con alcuni atleti che lo utilizzano per via dei team, sponsor e altro.

I due portali sono paragonabili?

Entrambi forniscono le analisi dei dati ed il preparatore può raggiungere lo stesso obiettivo, ma in modi molto differenti. Intervals.icu è dedicato anche a quei preparatori che masticano d’informatica, oppure agli stessi atleti che sono appassionati di informatica. Intervals.icu è un open-source ben fatto e mantiene un elevato grado di personalizzazione, per chi è capace di smanettare. TrainingPeaks è a pagamento, se si vuole ottenere veramente qualcosa di utile, non è personalizzabile a nessun livello ed è dedicato a chi vuole un format di analisi prestabilito. La versione gratuita è davvero basica.

Schermata personalizzata per osservare l’andamento della curva della potenza
Schermata personalizzata per osservare l’andamento della curva della potenza
Ritieni migliore Intervals.icu?

Sempre difficile categorizzare migliore o peggiore, a mio parere è più corretto chiedersi se uno strumento corrisponda alle proprie esigenze oppure no. Io sono anche appassionato di informatica e di creazione, personalizzazione di programmi che mi permettono di analizzare ancor più nel profondo i dati. Intervals.icu risponde in modo migliore alle mie esigenze, è facile da leggere ed interpretare a diverse tipologie di utenza. Posso condividere i grafici che creo con altri preparatori che usano il mio stesso metodo e viceversa.

Portali, numeri e power meter, il ciclismo moderno anche questo (foto Cyclingmedia Agency-Team Intermarché Wanty)
Portali, numeri e power meter, il ciclismo moderno anche questo (foto Cyclingmedia Agency-Team Intermarché Wanty)
Significa facilitare anche l’interpretazione da parte dell’atleta?

Esatto. I meccanismi di attuazione di Intervals.icu sono abbastanza complessi, invece le grafiche molto chiare semplificano la lettura anche a chi si limita ad interpretare l’allenamento, da eseguire o eseguito. Un’altra peculiarità è quella di un forum molto attivo ed un potenziale dello stesso portale che cresce grazie alle informazioni di utenti, allenatori e anche sviluppatori. Intervals.icu è dotato di API e non è un dettaglio.

Cosa sono?

E’ l’acronimo di Application Programming Interface, ovvero un’interfaccia di programmazione delle applicazioni. Oltre alla possibilità di personalizzare in base alle proprie esigenze, le API rendono molto flessibile il portale, oltre che adattabile a nuovi strumenti e prodotti.

Significa che ogni account può essere diverso?

Potrebbe essere che quello che uso io, personalizzato nei grafici, negli istogrammi eccetera è differente da quello di un altro utilizzatore che non ha le mie stesse necessità.

Tutto parte dal test del lattato (foto Iens’Art content&agency)
Tutto parte dal test del lattato (foto Iens’Art content&agency)
Quali sono i vantaggi di Intervals.icu, tangibili da parte dell’utilizzatore?

Ragionando con un punto di vista moderno può essere anche uno strumento di condivisione social grazie ad una serie di tag. E’ gratis anche se chiede un contributo, comunque non obbligatorio, si collega con la maggior parte dei portali social di ciclismo e grazie alla personalizzazione delle risorse, creazione dei programmi, permette ad esempio anche di anticipare l’overtraining. Il primo vantaggio rimane la grande customizzazione.

Ha dei punti deboli o difetti?

Non ha una app vera e propria (anche se è possibile connettere alla app sorella Dailytss.com, ndr), al contrario di TP. Ha molti grafici, che può essere un grande pregio, ma anche un difetto perché si può creare confusione.

Si trasporta sul dispositivo e offre riscontri già su strada
Si trasporta sul dispositivo e offre riscontri già su strada
Esiste il pericolo che strumenti del genere possano sostituire i preparatori?

Direi che questo processo è già in atto, non tanto per i preparatori atletici di alto livello, ma piuttosto per chi si è improvvisato qualche anno fa. Non credo che sparirà la figura del preparatore atletico, sicuramente ci sarà una selezione ancora più importante di quella attuale. Arriverà anche l’intelligenza artificiale e alcune metodologie cambieranno ulteriormente, di conseguenza il modo di allenare i corridori.