Senni e il nuovo ruolo di meccanico alla UAE, con sguardo esperto

22.02.2025
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La Volta ao Algarve è entrata già nella sua fase cruciale dopo la cancellazione della prima tappa per i problemi di gestione del percorso, le immagini della “doppia volata” hanno fatto il giro del mondo. Oggi (giovedì per chi legge) il gruppo si è arrampicato fino all’Alto da Foia dove Jan Christen e Joao Almeida hanno firmato un uno-due micidiale. La novità in casa UAE Team Emirates-XRG è la presenza in ammiraglia di Manuel Senni come meccanico. Il romagnolo dopo aver concluso la carriera si era messo a lavorare in un negozio di bici e dopo un paio di giorni di gara nel 2024 da quest’anno ricopre il ruolo di meccanico per la formazione emiratina (in apertura foto UAE Team Emirates – XRG).

Dopo periodo di prova nel 202, Senni è diventato meccanico del team emiratino (foto UAE Team Emirates – XRG)
Dopo periodo di prova nel 202, Senni è diventato meccanico del team emiratino (foto UAE Team Emirates – XRG)

Già in corsa

Quando lo chiamiamo è a bordo strada pronto per un rifornimento, la gara è appena partita e i ritmi sono tranquilli. Raccogliamo il fiato e insieme a Senni entriamo nei segreti di questo nuovo ruolo. 

«Dal 2021 – racconta – anno in cui ho smesso di correre, mi sono subito messo al lavoro trovando un impiego in un negozio. Da quelle parti passa ogni tanto Andrea Agostini, uno dei team manager della UAE Emirates e l’anno scorso mi ha chiesto se fossi interessato a fare qualche giorno di prova con loro. Ho accettato e nella passata stagione mi sono trovato a fare il meccanico per la squadra in un paio di occasioni. Ci siamo trovati subito bene e qualche mese dopo mi hanno messo sotto contratto e lavoro a tempo pieno con la UAE Emirates».

Prima del ritiro di gennaio i meccanici hanno sistemato le bici dei corridori, sullo sfondo la Colnago iridata di Pogacar (foto Instagram/Manuel Senni)
Prima del ritiro di gennaio i meccanici hanno sistemato le bici dei corridori, sullo sfondo la Colnago iridata di Pogacar (foto Instagram/Manuel Senni)
Parlandone riesci a realizzarlo o è ancora tutto troppo nuovo?

Essere nel mondo UAE è bello. Anche quando correvo ho sempre vissuto il ciclismo come una passione e non un lavoro. La stessa sensazione mi rimane oggi. Rientrare nel ciclismo professionistico lavorando con la squadra numero uno al mondo e restare accanto a questi corridori è bello. 

Cosa cambia nel vivere il ciclismo da corridore o da membro dello staff?

Quando sei un atleta hai uno “stress” maggiore perché la tua performance ha un peso non indifferente. Essere nello staff toglie questa parte ma si  lavora di più, ci si fa il mazzo! Però a livello di stress e tensione sei più tranquillo, la cosa che mi piace è che comunque mi sento coinvolto.

Si è parte dello stesso gruppo, anche se con lavori e mansioni diverse…

Questa è la mia prima gara del 2025 e mi sento preso dal risultato, percepisco la tensione della gara. E’ una tensione passiva, perché in bici ci vanno i corridori, però tutti lavoriamo per il massimo risultato e quando li guardo è come se fossi lì con loro. 

Nella seconda tappa della Volta ao Algarve la doppietta UAE firmata da Christen e Almeida
Nella seconda tappa della Volta ao Algarve la doppietta UAE firmata da Christen e Almeida
Cosa hai già visto del mondo UAE Emirates?

Sono stato nel magazzino a Milano per montare i telai prima di partire per il ritiro di gennaio in Spagna. Quello è stato il primo impatto con tutti i corridori, c’erano Pogacar e tutti i grandi nomi della squadra. C’era tanta emozione, ma anche tanta responsabilità. Sai di essere nella squadra più forte del mondo e non puoi sbagliare. 

Hai già lavorato alla bici di Pogacar?

Per il momento non ancora, lui ha un meccanico personale che lo segue da quando era ragazzino. 

Com’è arrivare alla gara con il pullman della UAE?

Sei sommerso da un mare di gente e di tifosi. Da corridore lo percepisci ma lo vivi meno, scendi dal pullman per andare a firmare, risali e riscendi per andare alla partenza. Noi dello staff siamo a contatto con i tifosi per tante ore, chiedono e fanno domande. 

I corridori portoghesi sono delle star alla Volta ao Algarve, qui Ivo Oliveira scatta una foto con una tifosa
I corridori portoghesi sono delle star alla Volta ao Algarve, qui Ivo Oliveira scatta una foto con una tifosa
Di che tipo?

Vogliono la borraccia oppure chiedono dove sono i corridori così li aspettano per una foto o un autografo. Ci sono anche tanti appassionati di tecnica che fanno domande sulle corone, sui rapporti, le gomme o le pressioni. Altri sono curiosi e basta e ci chiedono come stanno gli atleti. 

Voi rispondete?

Per quel che possiamo fare sì. Ma giuro che non sappiamo lo stato di forma dei corridori, per quello dovreste chiedere ai preparatori. 

Senni alle prese con la pressione delle gomme, per ora nessuna richiesta particolare (foto UAE Team Emirates-XRG)
Senni alle prese con la pressione delle gomme, per ora nessuna richiesta particolare (foto UAE Team Emirates-XRG)
Essere stato corridore ti aiuta per prendere dimestichezza con questo nuovo lavoro?

Devo ammettere di sì. Anche ora per passare la borraccia, se sei stato dall’altra parte conosci i movimenti e sai aiutare l’atleta. La cosa su cui bisogna prendere subito le misure sono le strade e le scorciatoie per arrivare in tempo ai rifornimenti. Quindi prima di partire si deve controllare sulle mappe quali sono le strade chiuse per evitare di rimanere imbottigliati e perdere il passaggio del gruppo. In qualche occasione sono dovuto andare ai rifornimenti da solo e devo ammettere che un pochino di tensione c’era. 

Siete partiti bene con la doppietta Christen-Almeida nella seconda tappa…

Siamo qui con una squadra forte e con quattro corridori portoghesi su sette. Loro sono le star locali, quando arrivano Almeida, Morgado e i fratelli Oliveira il pubblico si scalda parecchio. 

Dopo una doppietta come questa c’è tempo di festeggiare?

Poco! Per noi meccanici appena termina la tappa inizia il vero lavoro, apriamo il gas. Carichiamo le bici e si va verso l’hotel e si lavora per far sì che tutto sia pronto per la tappa successiva. Laviamo i telai, controlliamo i vari componenti e poi laviamo i mezzi. Al momento è tutto molto regolare, i corridori non hanno ancora avanzato richieste particolari. Anche in corsa non abbiamo vissuto situazioni stressanti, le forature sono arrivate in momenti tranquilli.

Finita la tappa Senni e i membri dello staff caricano le bici e si dirigono in hotel, il lavoro è appena iniziato (foto UAE Team Emirates-XRG)
Finita la tappa Senni e i membri dello staff caricano le bici e si dirigono in hotel, il lavoro è appena iniziato (foto UAE Team Emirates-XRG)
Dove andrai poi?

Ho un calendario provvisorio, ma appena terminata la Volta ao Algarve andrò alle corse in Croazia. Poi farò una serie di corse con il devo team e ad aprile dovrei essere alla Roubaix. Lì ci sarà tanta tensione, ma avrò avuto modo di fare esperienza nel frattempo. 

Continuerai a lavorare in negozio?

Visto che sono assunto a tempo pieno ho tanto lavoro da fare, anche fuori dalle gare, però se capiterà una mezza giornata libera tornerò volentieri a salutare i vecchi colleghi

Nuovo accesso all’Arenberg, quest’anno nessuna chicane

22.02.2025
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«Si è visto in qualche tweet – diceva qualche giorno fa Baldato a proposito della Roubaix, dopo il sopralluogo con Wellens e Pogacar – ma è una cosa che avevamo già previsto l’anno scorso. Si entra nell’Arenberg da una parallela nella parte sinistra. Si fa prima sinistra-destra e poi destra-sinistra a 90 gradi, invece che mettere una chicane come l’anno scorso. Non era bellissima, ma ha consentito di entrare nella Foresta a 30 all’ora invece che a 60 e non è successo niente. Quest’anno sarà simile, con la differenza che la via laterale allunga il gruppo e poi si rientra sulla strada principale 100 metri prima della Foresta. Si andrà a 40 all’ora invece di infilarsi là dentro senza rallentamenti».

Dopo aver provato la chicane realizzata lo scorso anno, Van der Poel la definì pericolosa
Dopo aver provato la chicane realizzata lo scorso anno, Van der Poel la definì pericolosa

La chicane con le barriere

Mathieu Van der Poel commentò la scelta di ASO con un post su X: «Ma è uno scherzo?». Però era vero. Visto il continuo verificarsi di cadute, lo scorso anno l’organizzazione della Roubaix aveva optato per costruire una chicane fatta di barriere. Sebbene la Foresta di Arenberg si trovi a più di 90 chilometri dall’arrivo, si è spesso rivelata un momento chiave nell’Inferno del Nord.

L’introduzione della chicane ha fatto sì che il gruppo di testa, che a quel punto della corsa era composto da una trentina di corridori, sia passato indenne attraverso quel lunghissimo settore di pavé. Restava la perplessità per la bruttezza di quella curva artificiale e così si è pensato di agire diversamente.

Due nuovi settori

Per l’edizione 2025 della Parigi-Roubaix, la 122 esima della lunga storia, l’immissione alla Foresta prevede per un anello attorno all’abitato di Querenaing, con due nuovi settori rispettivamente di 1.300 e 1.200 metri di lunghezza. «Non sono molto difficili – ha spiegato il direttore di corsa Thierry Gouvenou – ma ciò significa che avremo cinque settori di fila senza asfalto».

Una volta superati i due nuovi settori, i corridori faranno una deviazione attraverso il sito minerario di Arenberg, con la conseguenza di trovare quattro curve ad angolo retto nell’ultimo chilometro prima dell’imbocco della Foresta.

Il settore dell’Arenberg sarà il numero 19. A destra, la deviazione prima di immettersi nella Foresta

Il fascino della Foresta

La Foresta di Arenberg resta il passaggio più suggestivo della corsa. Il nome ufficiale del settore è Trouée d’Arenberg, mentre la strada in pavé che lo percorre ha un nome ancora diverso: La Dreve des Boules d’Herin. Fu inserita nella corsa a partire dal 1968 su insistenza di Jean Stablinski.

Si tratta di un rettilineo di 2,3 chilometri che nel senso della corsa tende a scendere. Le pietre del fondo sono così mal ridotte, che spesso la corsa ha qui la prima svolta decisiva, anche se, come detto, mancano ancora 90 chilometri all’arrivo. Per questo non c’è un solo corridore che non dica che la cosa più importante è avere il giusto posizionamento per stare alla larga da scivolate e cadute. La strada del resto è scivolosa più di altre dei dintorni perché, essendo chiusa al traffico per tutto l’anno, arriva al periodo della corsa coperta di fango ed erbacce.

Ottobre 2021, nessuna chicane e pioggia. Caduta nell’Arenberg: Van der Poel e Colbrelli attaccano. Vincerà Sonny!
Ottobre 2021, nessuna chicane e pioggia. Caduta nell’Arenberg: Van der Poel e Colbrelli attaccano. Vincerà Sonny!

Fra storia e progresso

Dopo aver detto che la trovata della chicane gli sembrava uno scherzo, Van der Poel si schierò apertamente contro la nuova soluzione, dicendo che a suo avviso avrebbe reso quel tratto ancora più pericoloso. Poi si adeguò al volere generale e ugualmente si servì dell’Arenberg per ipotecare la Parigi-Roubaix, conquistata con la maglia di campione del mondo.

Gli organizzatori di ASO hanno però fatto tesoro di tutte le osservazioni raccolte e la nuova soluzione appare molto più funzionale e coerente con il resto del percorso. In questa ricerca giusta della sicurezza, annotiamo che non potendo/volendo intervenire sulle bici per ridurre le velocità, si modificano i percorsi perché siano meno pericolosi. L’ingresso nell’Arenberg era uno dei momenti più forti nello svolgimento della Roubaix: averlo modificato significa che la storia si adegua al progresso. E che il progresso va avanti nonostante la storia.

Campione o gregario, Damiani spiega la regola delle due W

22.02.2025
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Qualche giorno fa Finn Fisher-Black, il neozelandese della Red Bull protagonista di quest’inizio di stagione ha rilasciato una lunga intervista a Rouleur spiegando come il suo passaggio di squadra provenendo dalla UAE sia stato dettato dalla ricerca di spazio. Era stanco di essere considerato un gregario, voleva avere chance personali e, da quel che si è visto nelle prime corse, aveva anche le sue ragioni e soprattutto propellente nelle gambe…

Il cambio di squadra ha fatto bene a Finn Fisher-Black: titolo nazionale e 4 podi
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Le sue parole hanno però riproposto l’eterno tema delle ambizioni di un giovane: approdare in un team WorldTour è per tutti un traguardo, ma molti vorrebbero che fosse anche un inizio, invece spesso (soprattutto per i ragazzi italiani) c’è da fare i conti con la realtà, che spesso li confina in ruoli di secondo piano.

E’ un argomento con il quale Roberto Damiani, diesse della Cofidis, si è confrontato spesso: «Il tema è delicato e io lo affronterei ponendo innanzitutto una domanda: i giovani che approdano nelle WorldTour sono davvero tutti da WorldTour? Spesso purtroppo il valore dei corridori è gonfiato da vittorie giovanili che dicono molto poco e dalla pressione dei procuratori. Il circuito maggiore ha ormai un livello altissimo, anche coloro che sono “svezzati” da tempo faticano, anche perché non esistono più le corse di preparazione, ogni volta che metti il numero ti chiedono il risultato, l’11 deve girare, altro che storie…».

Lo sprint vincente di Valentin Ferron a La Marsellaise, primo acuto Cofidis nel 2025
Lo sprint vincente di Valentin Ferron a La Marsellaise, primo acuto Cofidis nel 2025
E’ un problema soprattutto per i più giovani che cercano spazio…

Sì, perché l’approccio può essere traumatico. Cominci a non fare i risultati che sognavi, ti trovi quasi impantanato, ti butti giù. Prima o poi questo mestiere ti pone davanti alla realtà e ti chiede di guardarti dentro. Chi lo fa, chi si rende conto del suo valore e capisce che può ritagliarsi un ruolo importante ha un futuro. Magari sarà un aiutante, un luogotenente, ma sarà per anni in questo mondo guadagnando bene. Chi non si rassegna ma non ottiene risultato, è destinato a scendere dal treno.

E’ un discorso che travalica l’aspetto prettamente sportivo…

Sì, perché bisogna ragionare con la testa, mettersi in gioco in una fetta importante della propria vita. Io dico sempre ai miei ragazzi, quando arrivano alle soglie del team, che devono provarci, ma se capisci che non hai le qualità per emergere, per fare il leader devi saperti adattare anche al ruolo del gregario.

Daniel Oss, a sinistra, con Sagan, un’accoppiata gregario-campione andata avanti per anni con grandi risultati
Daniel Oss, a sinistra, con Sagan, un’accoppiata gregario-campione andata avanti per anni con grandi risultati
Tu lavori in un team francese ma hai avuto e hai corridori italiani. Quanto pesa non avere una squadra nazionale nel WorldTour, per il movimento tricolore?

Tanto, è debilitante. Ogni squadra ha comunque, di base, una predilezione per i corridori di casa propria che viene dalla risonanza che le loro vittorie hanno nei mercati dove gli sponsor agiscono. Se si fanno scelte tattiche, la bandiera conta, una vittoria di un corridore straniero non può avere lo stesso peso di uno locale. Noi ad esempio abbiamo avuto un clamoroso ritorno d’immagine da La Marsellaise perché a vincere è stato Valentin Ferron. Ma era così anche da noi, ad esempio ai tempi della Liquigas. Lì c’era un corridore che ho sempre ammirato…

A chi ti riferisci?

A Daniel Oss. Quand’era giovanissimo si era messo in evidenza come un grande specialista soprattutto per le classiche del nord, ma ha avuto l’intelligenza di comprendere che non sarebbe mai stato un leader e si è ritagliato uno spazio importante al fianco di Sagan, costruendosi così una carriera importante. Un altro esempio è Ulissi, che da parte sua è stato capace di ritagliarsi sempre le sue occasioni tanto da vincere ogni anno. Perché aveva saputo cogliere le opportunità, si era messo in mostra e chi dirigeva ha creduto in lui. Devi saper emergere, anche nelle condizioni più difficili e sperare che quei risultati solletichino l’attenzione di chi guida il team.

Per Pellizzari l’approdo nel WorldTour, ora però comincia tutto. Il team vuole risultati
Per Pellizzari l’approdo nel WorldTour, ora però comincia tutto. Il team vuole risultati
Quindi è più una responsabilità di chi guida o di chi corre?

Principalmente di quest’ultimo che deve fare i conti con se stesso e saper cogliere le occasioni, essere pronto per esse. Io apprezzo tantissimo il lavoro che fanno team come Polti e VF Bardiani, perché danno l’opportunità ai ragazzi di mettersi in mostra, ad esempio l’azione dei 3 VF a Maiorca è stata davvero importante. Se sai sfruttare l’opportunità cresci. Pellizzari ha saputo farlo, è approdato in un grande team, ora starà a lui sapergli ritagliare spazi anche lì.

Si parla spesso del gregario, ma ormai non ti pare un termine desueto?

Certamente il gregario non è più il portaborracce, ormai in squadra ci sono ruoli specializzati: chi per il treno delle volate, come per aiutare in salita e così via. Guardate che cosa fece Marco Velo da corridore, trasformandosi da luogotenente di Pantani in salita fino ad aiutante di Petacchi nelle volate, un doppio salto mortale. Oppure quel che ha fatto Bruseghin. Io dico sempre ai corridori, quando hanno ormai 2-3 stagioni alle spalle, che il tempo passa in fretta e il nostro mondo è regolato dalle due “W”: work o win ossia lavora o vinci.

Marco Velo davanti a Petacchi. Il cittì sii è completamente riciclato nella sua attività agonistica
Marco Velo davanti a Petacchi. Il cittì sii è completamente riciclato nella sua attività agonistica
Secondo te, quindi, anche la “preferenza nazionale” si può superare?

Se hai qualità, il team ha tutto l’interesse a investire su di te. Bernal ha vinto essendo un colombiano in un team britannico. Sta a te farti spazio, ma considera che comunque questo è un lavoro nel quale si vince di squadra. Ne ho conosciuti tanti che con i premi vinti dal compagno di squadra si sono fatti casa…

Fidanza-Wiebes, la pista e la strada: cosa abbiamo imparato?

22.02.2025
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Fra le cose belle dei campionati europei di Zolder, il testa a testa nel finale dello scratch fra Martina Fidanza e Lorena Wiebes è quello che più ci ha fatto drizzare i peli sulle braccia. Succede sempre quando Davide batte Golia e Golia sorride, ma capisci che vorrebbe essere altrove. L’azzurra era in testa. L’olandese ha iniziato la rimonta in un finale che sembrava già scritto. Invece, quando forse pensava di averne fatto un sol boccone, Martina ha dato ancora gas e non l’ha lasciata passare.

«Pensavo davvero che rimontasse – sorride d’orgoglio – perché non sono mai riuscita a battere la Wieibes in volata. L’ho vista arrivare. Mi ha affiancato. In più a un giro dall’arrivo, alla campana è riuscita a mettermi anche il manubrio davanti. Perciò quando ho visto che era lei, mi sono detta: “Vabbè, è già andata. Adesso devo solo cercare di tenerle la ruota”».

Martina Fidanza, bergamasca di 25 anni, ha nel palmares 5 titoli mondiali e 11 europei in pista, oltre a 10 vittorie su strada
Martina Fidanza, bergamasca di 25 anni, ha nel palmares 5 titoli mondiali e 11 europei in pista, oltre a 10 vittorie su strada

Nella mente di Villa

Fermo sul bordo della pista, Marco Villa guardava la scena. E anche se prima di partire per lo scratch avevano parlato della possibilità di battere la super Wiebes, in quel momento la possibilità era davvero a portata di mano, senza però la possibilità di comunicare.

«In quel momento, lei sa a cosa sta pensando – dice il tecnico dei record – io sono giù e non lo so. Ho sperato che la tenesse e non la facesse passare a un giro e mezzo dalla fine, per poi provare la rimonta all’esterno. Secondo me in quel caso non sarebbe stata così competitiva. Anche solo rimontare la lunghezza della bicicletta sarebbe stato molto difficile. Ormai doveva tenerla e difendere quel metro e mezzo di vantaggio che aveva e poi giocarsela alla pari. Se la faceva passare, anche sfruttando la scia, non avrebbe avuto il tempo per riattaccarla. Quindi ho sperato solo che non la facesse passare e lo ha fatto bene».

A un giro dalla fine, al suono della campana, Wiebes ha provato ad affiancare Fidanza
A un giro dalla fine, al suono della campana, Wiebes ha provato ad affiancare Fidanza

Tutto quello che è rimasto

E’ il momento in cui la testa rifiuta di arrendersi. Non succede spesso, soprattutto contro gli imbattibili. Ma quando capita, il supplemento di dolore che si accetta può fare la differenza. L’atleta si trasforma in una creatura sovrannaturale e il finale non è più così scontato.

«Il tempo di pensare che mi avrebbe passato – prosegue – e ho cercato di alzarmi sui pedali. Ebbene, ho visto che lei rimaneva lì e poi pian piano indietreggiava. In quel momento ho capito che magari sarei riuscita a batterla, quindi ho cercato di affondare il più possibile e ho visto che rimaneva definitivamente dietro. Sentivo di avere un po’ di margine, però non pensavo che sarebbe stato abbastanza per vincere».

Dopo la delusione di Parigi, Fidanza (qui con il cittì Villa) aveva bisogno di risollevarsi
Dopo la delusione di Parigi, Fidanza (qui con il cittì Villa) aveva bisogno di risollevarsi

Fra resistenza e velocità

Villa adesso va avanti nell’analisi e ci fa capire con evidenza che a questi livelli nulla avviene per caso. E se anche si tratta di fare il numero della vita, la condizione necessaria perché vada in porto è avere nelle gambe il lavoro per sostenerlo.

«Fidanza – riflette Villa – è migliorata molto anche sulla resistenza. Anzi, in questi due o tre anni abbiamo lavorato tanto di più su questo aspetto, per arrivare più avanti possibile nelle tirate del quartetto. Invece avevamo un po’ tralasciato le punte di velocità che per lei erano naturali, perché qualcosa bisogna tralasciare: non si può fare tutto. Ma visto che ora ha un po’ di resistenza in più, si è ricominciato a lavorare sulle partenze sul fermo, sull’esplosività e sul correre di più in pista. Prima dell’europeo, Martina è andata a fare le gare a Grenchen, qualcosa che prima non avevamo fatto, perché ci interessava il quartetto per le Olimpiadi.

«E poi c’è il discorso dei rapporti. Anno dopo anno ci siamo accorti che noi aumentavamo di un dente, ma gli altri ne avevano sempre uno in più. Così quest’anno abbiamo giocato di anticipo e forse eravamo noi quelli con mezzo dente in più. Sapevamo di aver lavorato anche sulla forza, quindi l’abbiamo giocata bene».

Martina Fidanza ha aperto la stagione su strada al UAE Tour
Martina Fidanza ha aperto la stagione su strada al UAE Tour

Dalla pista alla strada

Quanto è lontana la pista dalla strada? Questa volata può essere l’anticipazione di un passo avanti anche su strada? Il discorso è chiaramente teorico, su strada ci sono le salite, le curve e le discese. Si arriva alla volata dopo ben altre fatiche, ma come dice Villa aver capito di poterla battere, fa pensare che forse è possibile farlo ancora.

«Strada e pista sono mondi diversi secondo me – ragiona Fidanza – perché in pista ho più esperienza rispetto a lei, quindi magari anche nei dettagli riesco a guadagnare qualcosa che mi ha permesso di batterla. E’ vero che comunque non l’ho battuta di poco, però su strada penso che sia ancora nettamente superiore. Su strada è una questione di quanti watt riesci a esprimere alla fine della gara, perché ci sono tanti fattori che ti influenzano più che in pista. Basta soltanto prendere una curva 10 posizioni più avanti e sono watt che risparmi. E poi comunque devi anche avere l’occhio di correre su strada e per me questo è il motivo per cui lei riesce ad arrivare nei finali con più forze da spendere.

«Quest’anno con la squadra stiamo lavorando tanto sui treni, sia per me sia per l’altra velocista, e magari affinando questa tecnica riusciremo a fare qualcosa. Penso che anche su strada il modo di batterla sia anticiparla, perché se parte prima, ci prende tanto margine. Lorena ha un picco breve, ma veramente forte con cui ti prende subito quella bicicletta che poi è dura riuscire a rimontare. Per cui, anticipandola, è lei che deve guadagnarla. Però averla battuta mi riempie di orgoglio…».

Su strada Wiebes ha ancora vantaggio, ma quanto vale ora Fidanza? Qui è terza alla Scheldeprijs 2024, dietro Lorena e Kool
Su strada Wiebes ha ancora vantaggio, ma quanto vale ora Fidanza? Qui è terza alla Scheldeprijs 2024, dietro Lorena e Kool

In crisi dopo Parigi

Fidanza, come le ragazze del quartetto, è andata agli europei di Zolder con la voglia di chiudere il ciclo di Parigi con un buon sapore in bocca. Il quarto posto del quartetto ha colpito duro: erano lì, invece sono tornate a casa a mani vuote.

«Sono uscita da Parigi – dice Fidanza – con una grossa delusione addosso. Le altre ragazze sono riuscite a vincere la madison e hanno dato morale a tutta la squadra. Però a livello di quartetto siamo uscite male, perché abbiamo fatto tanto, eppure probabilmente non abbastanza. Onestamente ho sofferto parecchio, ho passato un periodo in cui mi sono sentita anche un po’ persa. Però adesso posso dire che grazie alla nuova squadra nuova e ai tanti stimoli che sto ricevendo, sono riuscita a ritrovare la mia strada. Riprenderò alla Vuelta a Extremadura, con una condizione tutta da scoprire e ricostruire, dopo la pista, in vista delle gare che verranno. Spero di ritrovare presto il colpo di pedale e l’occhio della strada. E poi, chissà quando incontrerà la Wiebes la prossima volta…».

Finalmente Scaroni! Sua la Classic Var e la prima vittoria della XDS

22.02.2025
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«Era ora. Sono appena uscito dall’antidoping e sto rispondendo adesso ai messaggi. Avevo il cellulare scarico. Me lo hanno fatto ricaricare quel poco per rispondere a tutti». E’ come se Christian Scaroni ci avesse portato direttamente con sé dietro l’arrivo del Mur de Fayence, dove termina la Classic Var.
Il sole che allunga le ombre, una corsa meno nervosa del solito e questo finale temuto e temibile.

Un finale che Scaroni e la XDS-Astana avevano studiato alla perfezione. Quel sorpasso violento a 150 metri dal tornante, che a sua volta introduceva nella curva finale e negli ultimi 100 metri, è stato chirurgico, perfetto, “cattivo”. In una parola: vincente (qui il video dell’arrivo). Finalmente, viene da dire. Scaroni non vinceva dal 2022, quando, in maglia azzurra e dopo essere rimasto a piedi per il “caso Gazprom”, aveva alzato le braccia all’Adriatica Ionica Race. Che montagne russe, è proprio il caso di dirlo, da allora…

Strade tortuose, 164 km di gara, oltre 2.200 metri di dislivello e oltre 42 di media oraria
Strade tortuose, 164 km di gara, oltre 2.200 metri di dislivello e oltre 42 di media oraria
Christian, prima di tutto lasciati fare i complimenti. Te lo avevamo detto: “era matura”…

Grazie mille, in effetti ci voleva. Oggi sono contento per me e per la squadra, che era alla prima vittoria!

Come è andata la corsa? Raccontaci brevemente…

E’ andata via la solita fuga. Poi, si sa come sono le strade francesi in quella zona: sempre un po’ strette e insidiose. Noi siamo stati bravissimi: abbiamo corso sempre nelle prime 20-30 posizioni fino al finale. Un finale caotico. Era importantissimo prendere bene lo strappo finale e i ragazzi mi hanno portato nelle prime 10-15 posizioni. Poi Nicola Conci è stato esemplare.

Abbiamo visto…

Ha fatto un gran lavoro. Mi ha tenuto davanti, ha chiuso e ha accelerato. Io ho sempre aspettato che si muovesse qualcuno. Quando poi, ai 400 metri, è scattato Victor Lafay, mi sono messo dietro di lui e, appena ho capito che le gambe erano buone, ai 150 metri più o meno, sono partito io… ed è andata bene.

Le gambe erano buone, vero, ma quante volte quest’anno le tue lo sono state e poi non hai vinto… Cosa c’è stato di diverso stavolta?

Per me era programmato andare forte in questo inizio di stagione e ci sta che fossi sempre arrivato davanti. Oggi (ieri per chi legge, ndr) le cose finalmente sono andate per il verso giusto. Ora voglio gestire bene la situazione fino alla Coppi e Bartali, perché lì si concluderà il mio primo blocco di stagione e staccherò. Andrò poi sul Teide prima del Giro d’Italia. Che dire… I programmi non sempre riescono bene, stavolta sì.

In ammiraglia per la XDS c’era Cenghialta. La squadra ha corso alla grande. Guardate qua: Nicola Conci in testa e a ruota subito Scaroni
In ammiraglia per la XDS c’era Cenghialta. La squadra ha corso alla grande. Guardate qua: Nicola Conci in testa e a ruota subito Scaroni
Christian, questa vittoria era sempre vicina ma non arrivava mai. Stava diventando un cruccio?

Sì, ho fatto quattro gare e tre podi (più un quinto posto, ndr): stava diventando pesante. Mi sembra di rivivere quello che è successo l’anno scorso: ero sempre piazzato, ma la vittoria non arrivava. Oggi sapevo che potevo fare bene. Oggi le gambe giuste le avevo io. Lo strappo finale non era così scontato da prendere bene…

Casualmente, alla vigilia della Classic Var abbiamo sentito il vostro meccanico, Gabriele Tosello, il quale non era con voi in gara ma nel vicino magazzino che la XDS ha a Nizza. Ci ha detto che era passato a trovarvi e anche: «Speriamo che questa vittoria arrivi. Scaroni sta bene e la corsa sembra buona per lui»…

Eh – sorride Christian – anche io avevo detto che mi piaceva questo finale, ma da qui a vincere… Mi preoccupava però il fatto che prima la corsa non era stata dura e arrivare sotto al muro finale in 100 corridori non era una situazione facile da gestire.

E da stamattina si parte un po’ più leggeri?

Esatto, avrò meno pressione. Non che me la mettesse la squadra, ero io a impormela. Da corridore si vuole sempre la vittoria. Okay, questo inizio di stagione per me è stato comunque positivo, ho fatto dei podi e raccolto punti importanti, specie per la squadra, ma io preferirei sempre barattare quei podi con una vittoria. Ora però pensiamo agli altri impegni che verranno qui in Francia: correrò anche domani (oggi, ndr) al Tour des Alpes Maritimes e fra una settimana alla Faun Ardèche e alla Faun Drôme Classic. Sempre concentrati e con i piedi per terra.

Commozione dopo l’arrivo per Scaroni per la dedica al nonno. Quella di Christian era la prima vittoria per la XDS-Astana
Commozione dopo l’arrivo per Scaroni per la dedica al nonno. Quella di Christian era la prima vittoria per la XDS-Astana
E dello Scaroni fuori corsa e anche al di fuori dei training camp, cosa ci dici?

Sapevo di essere preparato bene. Lo pensavo alle corse, in ritiro e a casa. Sapevo di avere davanti la possibilità di fare una buona stagione, perché ho passato un inverno sereno.

E nel quotidiano?

Stando spesso fuori, nei giorni in cui sono a San Marino passo molto tempo con Malucelli e Carboni. La mattina ci si allena, poi il pomeriggio si sta a casa e si riposa. Qualche volta andiamo a cena tutti insieme, anche con le compagne. Magari, quando arriverà il caldo, ci faremo una passeggiata giù a Rimini.

Un dito al cielo sull’arrivo e uno sguardo dopo il traguardo: per chi era questa vittoria, Christian?

Era per mio nonno Rodolfo. E’ lui che mi ha cresciuto e messo in bici da piccolo. E’ morto due anni fa… quindi sono in ritardo di due anni. Ma meglio tardi che mai.

Vi ricordate di Secchiari? Una storia di belle storie…

21.02.2025
7 min
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Chiamatela nostalgia, se volete. Non vi capita mai che un’immagine vi rimandi a qualcuno con cui avete avuto a che fare in passato e che poi col tempo è sparito? Magari ve lo ricorda Instagram, oppure siete passati in un luogo che ha riacceso il ricordo. Allora di colpo le storie si animano, vengono a galla altri episodi e vi assale la voglia matta di risentirlo. A noi è successo giusto ieri con Francesco Secchiari, toscano classe 1972, professionista per dieci anni: prima con Reverberi, poi alla Saeco, alla Mercatone Uno con Pantani e alla fine la Domina Vacanze di Cipollini.

Secchiari era sparito, poi di colpo si è messo a pubblicare foto e storie su Instagram. E guardandole sono venuti alla memoria il primo incontro al Giro dei dilettanti del 1994, quando era leader ma stava per subire l’attacco decisivo di Piepoli. Il padre con il furgone che vendeva panini su tutte le salite in cui suo figlio correva e animava le nottate sui passi alpini. La caduta con Pantani e Dall’Olio nella Milano-Torino che rischiò di chiudere le loro carriere. La tappa vinta al Giro di Svizzera nel 2000 e due anni prima il quarto posto a Montecampione nel giorno in cui Pantani staccò Tonkov e fece la storia del Giro. E poi anche quella volta che capitammo a casa dei suoi genitori in Garfagnana, mangiando come poche altre volte in vita nostra e ridendo per l’episodio di un cinghiale investito non troppo casualmente col fuoristrada e poi finito sulla tavola.

Francesco Secchiari, classe 1972, è stato un pro’ dal 1995 a 2004 (immagine Instagram)
Francesco Secchiari, classe 1972, è stato un pro’ dal 1995 a 2004 (immagine Instagram)

Quando smise di correre nel 2004, fece un passo di lato e sparì, perché la vita gli propose esperienze troppo dure anche per uno che aveva corso cinque Giri d’Italia, due Tour e una Vuelta. Finché qualche tempo fa Secchiari è rispuntato su Instagram con una bicicletta e il mare dei ricordi.

T’è venuta la nostalgia?

No, non mi è venuta la nostalgia (ride, ndr). E’ andata così, è stata una cosa simpatica. E’ cominciato tutto… aspetta, parto da lontano. Quando ho smesso di correre, è morta mia mamma di tumore, c’è stata la separazione da mia moglie, facevo il muratore, ma mi ruppi una gamba. Ero in una situazione di merda, ingessato con la mamma morta e la moglie che andava via. Poi la vita va avanti, ci si riprende da tutto, però la bicicletta era rimasta da una parte perché non c’era più tempo e neanche la voglia. Finché vidi su Instagram una squadra, il Team Vibrata Bike, in Val Vibrata giù in Abruzzo.

Cosa facevano?

Vedevo che si allenavano, correvano, però alla fine non mancava mai la birrata tra amici. Così un giorno mi venne di fargli un commento e scrissi: «Questa sarebbe la mia squadra, con le birre e le passeggiate». Il tempo di farlo e mi chiamò subito il presidente e mi invitò a farne parte. Gli dissi che ero 100 chili, ma lui era gasato. Disse che gli sarebbe piaciuto se fossi andato a correre con loro e avessi partecipato alle serate. «Le serate – gli dissi – non sono un problema, però correre è un parolone!».

Arezzo al Giro del 2003, Cipollini eguaglia il record di 41 tappe vinte da Binda
Arezzo al Giro del 2003, Cipollini eguaglia il record di 41 tappe vinte da Binda
Avevi ripreso a pedalare nel frattempo?

Faccio dei giretti. Da tre anni sto insieme a Vera, una ragazza che faceva camminata a piedi, poi a forza di sentir parlare di bici, si è appassionata. Facciamo passeggiate. Abbiamo fatto la Spoleto-Norcia, tutti i percorsi del Chianti. Giri di 50-60 chilometri con 1.000 metri di dislivello, ma tutti finalizzati al fare una bella mangiata e girare i posti. Le corse si sono fatte prima.

Vivi sempre in Garfagnana?

No, quando mi sposai mi spostai a Pisa e ci sono rimasto, perché le mie figlie Noemi e Nadine sono qui e poi c’è più lavoro. Insomma, quelli della squadra di Teramo non hanno voluto sentire storie e mi hanno mandato il completino. Mi sono sentito quasi obbligato e ho ricominciato ad andare in bici. Siamo andati anche a trovarli, siamo andati a mangiare con loro. Poi quando è venuto fuori che avevo vinto il Giro d’Abruzzo, ci siamo legati anche di più.

La maglia del Vibrata Bike, qualche chilometro e una birra (immagine Instagram)
La maglia del Vibrata Bike, qualche chilometro e una birra (immagine Instagram)
Pesi ancora 100 chili?

No, ora sono a 98, ma ero arrivato a 115. Però mettici che sono più grosso per il lavoro. Faccio i giardini, ho cominciato tre anni fa. Durante il Covid era una delle poche categorie che poteva uscire e un amico mi ha convinto a lavorare nella sua azienda. Andai la prima volta per provare e non sono più venuto via. Si fa fatica, però ero abituato a correre in bicicletta e al confronto questa è nulla. Un giorno sei a Piombino al mare, un giorno sei nelle colline del Chianti. E’ sempre bello, sei fuori.

Come mai non sei rimasto nel ciclismo?

La grande passione mi è sempre rimasta e ho allenato per tre anni gli allievi, sono sincero, con un entusiasmo che la metà bastava. Però a un certo punto mi accorsi che l’impegno e i sacrifici li mettevo soltanto io. Sono sempre stato mezzo matto, però quando dicevo di fare i sacrifici, li facevo. Perciò ho provato a insegnargli le cose. Andavamo a fare la spesa. Li portavo a casa mia e gli facevo vedere come cucinare quel che avrebbero dovuto mangiare. Ci mettevo anima e corpo e poi li trovavo la sera al bar con il Negroni e la sigaretta. E dopo un po’ ho detto basta.

Che cosa ricordi quando pensi al ciclismo dei tuoi anni?

Se devo dire la verità, mi vengono spesso in mente quelli che non ci sono più. Scarponi, Marco (Pantani, ndr), Rebellin (i due sono insieme in apertura in un’immagine da Instagram, ndr). Purtroppo la lista è lunga. Loro sono quelli famosi, però da dilettante mi ricordo Diego Pellegrini: eravamo in ritiro insieme, abbiamo fatto il Valle d’Aosta, cadde e morì. Oppure Amilcare Tronca, ci ho corso insieme. E anche Alessio Galletti. Se mi metto a pensarci, sono almeno 15 persone che non ci sono più. Insomma, io penso a loro e mi mancano. In casa c’è un quadro fatto da Joe Di Batte, con Pantani e me. Per cui parlando di giovani…

Cosa diciamo?

Quelli di 13-14 anni che vengono a trovarmi, magari assieme ai genitori, quando vedono il quadro, chiedono: chi è quello insieme a te? Però se vuoi il primo ricordo, mi ricordo di te che la partenza di Corvara al Giro dei dilettanti, arrivasti e chiedesti: «Chi è Secchiari?». Io ero seduto sul marciapiede a mettere gli scarpini e mi facesti una foto bellissima, che ancora conservo. Fu la mia prima foto da ciclista vero, perché prima erano tutte foto scattate qua e là ed erano anche sfocate…

Secchiari ha chiuso la carriera nel 2004 a 32 anni, con 10 vittorie da pro’
Secchiari ha chiuso la carriera nel 2004 a 32 anni, con 10 vittorie da pro’
E Montecampione?

Quel quarto posto mette un po’ in ombra le vittorie che ho fatto. Quando mi presentano uno che non sa chi sono ed è appassionato del ciclismo, se gli dico che sono stato quarto a Monte Campione, quando Pantani staccò Tonkov, lo vedo che cambia espressione. Magari tutti hanno visto soltanto i primi due, però ogni tanto la telecamera staccava anche su me e Clavero che lottavamo fra noi.

Senti ancora gli amici corridori?

Mi capita di vedere Balducci e Guidi, quando viene qua: Fabrizio e anche suo fratello Leonardo. Oppure il Gobbini, con cui eravamo sempre insieme. Sono molto affezionato anche a Petacchi: non ho lavorato per lui quando vinceva, però siamo amici. E mi capita anche di sentire Mario (Cipollini, ndr), nonostante non ci vediamo, un messaggino ogni tanto ce lo scambiamo.

Cosa sanno le tue figlie del babbo corridore?

Inizialmente non ne se ne parlava e poi non gli interessava neanche. Poi magari una va a portare il curriculum per fare un lavoro e quello che lo riceve dice che una volta con quel nome c’era un corridore. E’ il suo babbo! Ormai sono grandi, hanno 24 e 21 anni, una lavora e l’altra studia lingue perché vuole fare l’insegnante. Ogni tanto vengono a chiedermi qualcosa, perché hanno sentito i racconti di altri. Magari gente adulta che qualche anno fa seguiva le corse.

Rimpatriata fra amici, con Allocchio, Bugno di cui era grande tifoso, Brocci e Lello Ferrara (immagine Instagram)
Rimpatriata fra amici, con Allocchio, Bugno di cui era grande tifoso, Brocci e Lello Ferrara (immagine Instagram)
Come sta tuo padre, va ancora alle corse o da quando hai smesso tu, ha smesso anche lui?

Ha smesso anche lui. E’ in forma, ancora adesso se c’è un cinghiale in giro, qualsiasi arma è buono per portarlo a casa. Sta rinchiuso, quando esce va per legna, per cinghiali o per funghi. Sono stato da lui sabato, è sempre lo stesso. Ha 72 anni e anche se i medici gli dicono di riguardarsi, continua a fumare come al solito. Sai che sono contento di questa telefonata? Dobbiamo assolutamente rivederci…

Organizziamo?

Bisogna, andiamo dal Pieri. L’ho rivisto, ma non sono mai stato a mangiare da lui. Dicono che la carne come la fa lui, non la fa praticamente nessuno…

Perché TrainingPeaks è il sito di riferimento? Cerchiamo di capire

21.02.2025
5 min
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TrainingPeaks ad oggi è il portale più utilizzato per l’analisi dei dati dell’allenamento, quello più usato e comune tra i preparatori atletici (di riflesso lo usano anche tantissimi atleti professionisti).

Dopo il precedente articolo in cui abbiamo snocciolato le peculiarità di Intervals.icu, cerchiamo di capire se TrainingPeaks è migliore oppure no. Perché è così comune tra gli allenatori? Questa volta abbiamo il ricco contributo di due preparatori di eccellenza. Michele Della Piazza che abbiamo già imparato a conoscere e Ian Jenner, preparatore in ambito professionistico di diversi atleti WorldTour, fondatore ed head coach di Rule 5 Cycling Coaching, collaboratore attivo di TrainingPeaks.

Alla base del successo c’è l’allenamento e gli stimoli che arrivano da quest’ultimo
Alla base del successo c’è l’allenamento e gli stimoli che arrivano da quest’ultimo

TrainingPeaks specifico per i coach

Come tutti i portali dedicati all’esplosione dei dati, anche TrainingPeaks ha l’obiettivo principale di tradurre la vita reale (l’allenamento) in numeri. Al contrario degli altri siti web fornisce delle soluzioni mobile app e per desktop, iOs e Android. TrainingPeaks nasce alla fine degli anni Novanta ed è il primo sito ufficiale specifico per le analisi degli allenamenti.

TrainingPeaks offre due livelli di account. Quello a pagamento (121 euro circa all’anno) per atleti (o per chi vuole avere un’interfaccia completa) e per allenatori. L’account gratuito mette invece a disposizione delle analisi basiche, sufficienti per chi non ha cognizione di causa, per chi non ama fare confronti o semplicemente per chi si affida al 101% al suo preparatore.

Il sito offre dei pacchetti già pronti, provenienti da diversi allenatori certificati
Il sito offre dei pacchetti già pronti, provenienti da diversi allenatori certificati

Il vantaggio dei programmi on-line già pronti

E’ una sorta di grande contenitore di allenatori, di diverse discipline (non solo ciclismo), che hanno diversi gradi di preparazione e che offrono differenti pacchetti di allenamento. Ognuno di questi è acquistabile dal portale. Le informazioni sono piuttosto dettagliate e permettono di capire quale tipologia di training si configuri meglio con le proprie esigenze. Un po’ per tutte le necessità e tasche. Si può avere un rapporto diretto con il proprio coach, oppure una sorta di relazione virtuale. In questo secondo caso entrano in gioco anche le conoscenze del preparatore e le abilità di quest’ultimo di tenere sotto controllo un utente con il quale non è mai entrato in contatto in modo effettivo, o in maniera parziale.

Un ulteriore vantaggio della disponibilità di programmi (pronti), è la disponibilità di una serie di allenamenti specifici per un periodo dell’anno. Ad esempio quello invernale dove le sedute indoor sono più numerose e avere una linea guida per usare le potenzialità dell’home training ha dei vantaggi non secondari.

Michele Della Piazza nel suo “bunker” dove studia e analizza
Michele Della Piazza nel suo “bunker” dove studia e analizza

La potenza normalizzata

«TrainingPeaks è un riferimento sotto quasi tutti gli aspetti – spiega Della Piazza – anche se non condivido al 100% il concentrarsi in modo eccessivo sul valore della potenza normalizzata. Talvolta chi lo utilizza tende ad avere come riferimento quasi esclusivamente la normalizzata. Non significa che non vada bene o non debba essere presa in considerazione, ma l’evoluzione dei sistemi permette di considerare molti altri dati. La NP sovrastima gli aspetti metabolici e non distingue il carico metabolico da quello neuromuscolare. Tuttavia grazie ad un pool esperto di sviluppatori e preparatori, TrainingPeaks sta migliorando tantissimo anche in questi termini e in breve arriverà ad essere super preciso nelle sue valutazioni».

TP è alla base di diversi concetti e pubblicazioni alla base della cultura del training moderno
TP è alla base di diversi concetti e pubblicazioni alla base della cultura del training moderno

Il portale dove tutto è iniziato

«TrainingPeaks fonda i suoi successi su un gruppo di esperti che sono stati, lo sono tutt’ora, in grado di tradurre in modo semplice il monitoraggio del training – prosegue Della Piazza – dalla pianificazione fino all’analisi approfondita. TP ha cambiato tutto ed è grazie a questo sito che oggi troviamo l’unità di misurazione per quantificare l’allenamento. Tutti i siti che sono arrivati dopo, i più ed i meno completi, hanno preso ispirazione da TrainingPeaks».

Il futuro è anche un ampliamento ufficiale verso il virtuale
Il futuro è anche un ampliamento ufficiale verso il virtuale

Uno sguardo al prossimo futuro

«Seppur limitato nella customizzazione approfondita, TrainingPeaks è un esempio di semplicità – prosegue Della Piazza – è una guida nelle analisi del training specifico, è dotato di grafici adeguati alla metodologia di lavoro. Tra i valori aggiunti da considerare, c’è anche il fatto che tutti i dispositivi si collegano a TP ed è un sito pronto, già confezionato da qualcuno che lo ha pensato, sviluppato e confezionato per l’allenatore. TrainingPeaks è stata una grande idea, risultato di una cultura che ha cambiato il modo di allenarsi. Penso che in futuro migliorerà ulteriormente, grazie a nuove funzioni, come ad esempio il far corrispondere in maniera precisa i dati del carico interno dell’atleta a quelli forniti dagli strumenti esterni (i power meter, ndr)».

Il super esperto di TP Ian Jenner (foto Ital Cycling Tours)
Il super esperto di TP Ian Jenner (foto Ital Cycling Tours)

TP è inimitabile

Hanno provato a copiare TrainingPeaks, ma con poco successo, racconta Ian Jenner, che della piattaforma è un collaboratore attivo.

«Tuttavia – spiega – rimane il sistema di riferimento per l’allenamento specifico. Quello che è in grado di fare questo portale è far arrivare ogni dettaglio al coach e all’atleta, training e fatica, livello di fitness e forma, tenere traccia del riposo/sonno HRV, relazione con il peso, macronutrienti, naturalmente i profili della potenza, eccetera. Il segreto è comunque capire nel profondo le potenzialità del sistema e riuscire a sfruttarle.

«Inoltre – prosegue Jenner – TrainingPeaks è uno strumento che nasce per gli allenatori, non è un giocattolo. Un altro aspetto da valutare quando si parla di TrainingPeaks è questa sorta di paura del cambiamento. Insieme ai power meter è uno dei principali protagonisti del cambiamento di rotta del ciclismo, dello sport in genere, ma spesso certi passaggi sono difficili da affrontare e non tutti sono disposti a cambiare le vecchie abitudini».

TrainingPeaks

Elisa doppia altura: dopo il UAE Tour, si lavora per le classiche

21.02.2025
4 min
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Elisa Longo Borghini ha da poco conquistato il UAE Tour, ma il suo programma di preparazione non si ferma di certo. L’atleta del UAE Team ADQ sta per affrontare un secondo ritiro in altura al Teide, un aspetto inedito per lei. Mai prima d’ora, infatti, la piemontese aveva effettuato due periodi di preparazione in quota così ravvicinati

Dopo il primo blocco, svolto a gennaio prima della corsa negli Emirati, vinta alla grande, ora torna in altura per un’ulteriore fase di lavoro mirata alle classiche di primavera. Una programmazione che è frutto di una strategia ben precisa, come ci spiega Paolo Slongo, allenatore della piemontese.

Paolo Slongo è lo storico preparatore di Elisa
Slongo è lo storico preparatore di Elisa
Paolo, per Elisa si tratta della seconda altura in inverno. E’ la prima volta che affronta due periodi di quota così ravvicinati?

Sì, normalmente ne facevamo uno solo a febbraio, che è il periodo ideale. Quest’anno, in base al calendario gare, abbiamo deciso di anticipare il primo ritiro a fine gennaio per essere competitivi già al UAE Tour. Poi abbiamo programmato il secondo, un po’ più breve, perché il corpo mantiene memoria dell’altura. Torneremo dal Teide il 4 marzo, pochi giorni prima delle Strade Bianche. Dopo correrà un blocco di gare con Trofeo Oro in Euro, Cittiglio, Sanremo e non ci saranno più ritiri fino al Giro Women. Il secondo ritiro è quindi legato al primo in un unico grande blocco di lavoro.

Si può quindi considerare un unico “blocco di preparazione” altura-UAE Tour-altura?

Sì, quando si programma l’allenamento si ragiona su un piano complessivo. Questo blocco è stato studiato nei dettagli, non è un caso che di mezzo ci sia stata quella gara.

Come ha percepito Elisa questa novità?

Elisa è una professionista, ama lavorare in altura e il Teide le piace molto. E’ un ambiente che le dà serenità, ci torna volentieri e non lo vive come un’imposizione. Anzi, è contenta di affrontare questo secondo ritiro.

Longo Borghini sul Teide: alla piemontese piace molto allenarsi sul vulcano di Tenerife (foto Instagram – @aymeric.lassak)
Longo Borghini sul Teide: alla piemontese piace molto allenarsi sul vulcano di Tenerife (foto Instagram – @aymeric.lassak)
Quanto sono durati i due ritiri?

Il primo è stato di due settimane, mentre questo sarà leggermente più corto, circa 11 notti, va a ridursi il periodo di adattamento. Stavolta sarà sufficiente un solo giorno e già dal secondo potremmo iniziare i lavori, almeno a bassa quota.

Qual è la differenza tra il primo e il secondo ritiro in altura?

Nel primo ci siamo concentrati su un grande volume di lavoro in Z2, quindi un lavoro aerobico. Al Teide si riesce a fare un lavoro molto specifico grazie alle lunghe salite e alle temperature miti: alle 10 di mattino a 2.200 metri ci sono già 17-18 gradi: perfetto per allenarsi. A casa sarebbe difficile replicare certe condizioni, anche per questioni logistiche e climatiche. L’obiettivo era prepararsi bene per il UAE Tour, dove c’era un arrivo in salita di 30 minuti. Al Teide ci sono salite così lunghe e anche molto di più. A casa avrebbe dovuto affrontare salite al massimo di 6 chilometri per non avere poi discese troppo lunghe e prendere troppo freddo.

Chiaro…

Nel secondo ritiro manterremo la base aerobica, che serve sempre ed è alla base in ogni senso della preparazione, ma lavoreremo anche sulla componente esplosiva. Le prossime gare avranno strappi brevi e intensi, quindi ci concentreremo su sforzi massimali e ripetute.

Al Teide farete anche dietro motore?

No, lo abbiamo provato, ma preferisco evitare. Già in altura il carico è elevato. Questa volta saremo in tre: Elisa, appunto, Erica Magnaldi e Karlijn Swinkels. Quindi sarà un lavoro più concentrato e più per scalatrici.

La vittoria, la prima in maglia UAE Team ADQ, di Longo Borghini. Il primo ritiro sul Teide ha portato grandi benefici a quanto pare
La vittoria, la prima in maglia UAE Team ADQ, di Longo Borghini. Il primo ritiro sul Teide ha portato grandi benefici a quanto pare
Come avete gestito la condizione dopo il UAE Tour?

Il piano era arrivare bene negli Emirati, perché una gara WorldTour è sempre importante. Dopo la corsa Elisa ha fatto quasi una settimana di scarico per evitare di anticipare troppo il picco di forma. Nei due giorni dopo la gara proprio non ha toccato la bici, ma era voluto. Ora, con questo secondo ritiro, lavoreremo per tornare al livello del UAE Tour o leggermente sopra, in vista delle Strade Bianche.

Dopo una corsa come il UAE Tour, tornando in altura il recupero sarà più veloce? 

Non si tratta di recuperare prima, ma di adattarsi più in fretta. Nel primo ritiro servivano 3-4 giorni per acclimatarsi, ora basterà uno solo prima di iniziare a lavorare a pieno regime. Questo permette di ottimizzare i tempi e proseguire con il programma senza troppe interruzioni.

Anche il recupero tra una ripetuta ed un altra?

Beh, un po’ sì, ma anche perché farà lavoro intesi, submassimali ed esercizi tipo un minuto di Vo2Max, quindi un po’ migliorerà, ma come ripeto il tutto va inquadrato nel suo insieme.

La ricetta di Quaranta: poche gare e tanto allenamento

21.02.2025
5 min
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Neanche il tempo di disfare le valigie che Ivan Quaranta si è messo subito al lavoro, c’erano gli juniores chiamati alle loro sedute settimanali a Montichiari. Il suo lavoro è questo, senza sosta e non c’è neanche il tempo di assaporare le mille emozioni di Zolder, di un europeo che ha visto il settore velocità protagonista al di là dell’oro di Bianchi nel chilometro da fermo (con lui in apertura).

Per Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, sono stati europei positivi ma con un bilancio in deficit
Per Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, sono stati europei positivi ma con un bilancio in deficit

In quasi ogni torneo, in quasi ogni disciplina la formazione italiana è stata protagonista, anzi alla fine, per quanto fatto vedere, il piatto piange e su questo Quaranta mette l’accento.

«Lo ammetto, i piazzamenti finali mi bruciano, soprattutto il 4° posto di Stefano Moro nel keirin e anche il quinto della Vece. Che aveva solo bisogno di un po’ di fortuna: alla partenza avevamo battezzato la ruota della russa come quella che poteva portarla sul podio, invece la scelta non ha pagato. A proposito dei maschi, bisogna considerare che in gara c’era un certo Lavreysen: ormai quello è un extraterrestre, bisognerebbe vietargli di correre (dice ridendo, ndr)».

Per Stefano Moro medaglia sfuggita di un nonnulla nel keirin
Per Stefano Moro medaglia sfuggita di un nonnulla nel keirin
Una compattezza simile in un torneo titolato non si vedeva però da tanti anni…

E’ vero, anzi solo un paio d’anni fa gare del genere le ammiravamo dalla tribuna, ora invece ci siamo anche noi e con velleità. I ragazzi hanno confermato il loro valore, abbiamo una base sulla quale lavorare per progredire e i margini sono ampi, considerando l’età anagrafica e quella di pratica a questi livelli.

Alla vigilia si parlava tanto della scorrevolezza del nuovissimo impianto belga, eppure non ci sono stati progressi a livello cronometrico, secondo te perché?

I risultati vanno letti. Nello sprint a squadre siamo rimasti un decimo sopra il nostro primato il che significa che eravamo sui nostri limiti, poi clima e umidità possono fare la differenza in bene o in male. L’unico primato mondiale è venuto dall’inseguimento individuale femminile, ma quella è una specialità ancora relativamente nuova, dove ci sono margini. Anche Bianchi è comunque sceso sotto il minuto, i riscontri cronometrici secondo me sono positivi.

Per Bianchi secondo oro continentale nel chilometro. Ormai scendere sotto il minuto è un’abitudine…
Per Bianchi secondo oro continentale nel chilometro. Ormai scendere sotto il minuto è un’abitudine…
Proprio parlando con Bianchi si diceva che i mostri sacri come il suddetto Lavreysen sono davanti, ma la distanza si è un po’ ridotta…

E’ vero, ma l’impressione che ho avuto è che l’olandese sia arrivato a Zolder non proprio al massimo della forma, eppure è un tale fuoriclasse che vince anche così. Quindi siamo noi che siamo progrediti o era lui che era regredito? Io non ho interesse a trovare una risposta, dobbiamo imparare a guardare quel che facciamo in casa nostra, sapendo che prima o poi la ruota girerà e dovremo farci trovare pronti. Il concetto di Bianchi è comunque giusto: un medagliato come Yakovlev è finito dietro, il polacco Rudyk lo avevamo quasi battuto. I segnali ci sono.

Nello sprint la batteria di Predomo contro l’olimpionico è piaciuta molto…

Mattia l’ha onorata al meglio, contro gli altri Lavreysen ha vinto con molto più distacco. Tra l’altro c’è un aneddoto in proposito: quando è finita la loro sfida, mi sono avvicinato ad Harrie per fargli i complimenti e lui mi ha detto: «Mi sono dovuto impegnare per batterlo, per questo alla fine mi sono complimentato con lui». E’ un bell’attestato di stima.

Lavreysen batte Predomo, ma dopo l’arrivo si complimenta con l’azzurro per la sua prova
Lavreysen batte Predomo, ma dopo l’arrivo si complimenta con l’azzurro per la sua prova
Nelle foto la loro differenza fisica è evidente…

Mattia continua a pagare dazio nei 200 metri di qualificazione e questo lo penalizza negli accoppiamenti, ma quello dipende dalla sua stazza fisica, ci sono almeno 15 chili di muscoli di differenza… Quando poi si gareggia uno contro uno, lanciandosi dalla balaustra, lì Predomo diventa pericolosissimo. Sta però crescendo, anche contro il tempo si è attestato su 9”9 basso e questa è una bella base. Quando avrà messo su qualche altro chilo, il discorso cambierà.

Il calendario così scarno vi penalizza?

Io direi di no – risponde Quaranta – e spiego il perché: i nostri sono tutti Under 23, quindi il campionato europeo sarà primario per noi sulla strada dei mondiali di ottobre. In Nations Cup in Turchia vedremo chi portare, potremmo anche scegliere una rappresentativa ridotta. Poi avremo qualche gara S1 e S2, ma neanche troppe perché ho altre idee in testa.

Uno scalpo illustre per la Vece nello sprint: l’olandese Van de Wouw campionessa europea nel chilometro
Uno scalpo illustre per la Vece nello sprint: l’olandese Van de Wouw campionessa europea nel chilometro
Quali?

Noi dobbiamo approfittare di questa stagione così avara di impegni per lavorare tanto in palestra e in pista. Per noi l’allenamento è basilare e lo scorso anno, inseguendo il sogno della qualificazione olimpica mancata per un solo posto, abbiamo trascurato questo aspetto che invece, per i ragazzi, è oggi fondamentale.

Non si rischia la noia?

Sta a me saper variare e tenere sulla corda i ragazzi, farli divertire e saperli motivare. Serve lavorare sul fisico, sulla tecnica, anche sulla mentalità, inculcare in loro un pensiero vincente. Per questo dico che gli europei di categoria saranno importantissimi, perché vincendo s’impara a vincere e si può salire man mano di categoria. In fin dei conti nel quadriennio abbiamo raccolto qualcosa come 15 titoli europei e 3 mondiali, serve solo pazienza per trasformarli a livello superiore perché il materiale c’è…