La Strade Bianche ha già il suo favorito numero uno ed è… il numero uno. Tadej Pogacar arriva a Siena con l’intenzione di prendersi la terza vittoria nella corsa toscana, un trionfo che lo proietterebbe a pari merito con Fabian Cancellara e che lo porterebbe diretto all’intitolazione di un settore sterrato in suo onore. Un’eventualità curiosa, considerando che come pure lo svizzero lo sloveno continuerebbe a correre e potrebbe ritrovarsi a transitare su un tratto che porta il suo nome.
Ma il focus di questo articolo non è Pogacar, bensì chi potrebbe dargli filo da torcere. Chi potrebbe emergere in questa edizione della Strade Bianche. Un tema che abbiamo approfondito con Alessandro Ballan.L’ex campione del mondo ha studiato con attenzione la starting list e ci ha fornito i suoi outsider più credibili per la classica del Nord più a Sud d’Europa.
Alessandro Ballan fu secondo nel 2008 a Siena alle spalle di CancellaraAlessandro Ballan fu secondo nel 2008 a Siena alle spalle di Cancellara
Alessandro, chi possono essere dunque i principali rivali di Pogacar?
A guardare bene la start list, devo dire che poi non sono tantissimi, anzi… Tuttavia ho individuato due nomi in particolare: Tom Pidcock e Marc Hirschi(nella foto di apertura, ndr).Due che possono andare bene su questo percorso, che sono adatti alle classiche…
Perché Pidcock?
Pidcock perché ha vinto la Strade Bianche nel 2023 e già due gare quest’anno. Inoltre sappiamo che ha le qualità tecniche per affrontare i settori sterrati al meglio. Ha una grande facilità di guida. E poi sta bene. Le due vittorie, la nuova squadra… Di certo è uno dei grandi rivali. Se si presentasse l’andamento tattico dell’anno scorso, con Pogacar che scatta nella discesa di Monte Sante Marie, potrebbe rivelarsi pericoloso e seguire Tadej. Poi è chiaro tutto dipende da Pogacar.
E Hirschi?
Hirschi invece perché ha esperienza e può essere un cliente scomodo nei finali più tirati e duri. Anche lui è un atleta adatto a queste corse. L’anno scorso (quando era ancora in UAE Emirates, ndr) ha fatto vedere grandi cose, ha ottenuto numerose vittorie, alcune anche importanti. Quindi avrebbe le qualità per stare davanti. Però gli manca Alaphilippe, il quale dovendo fare la Parigi-Nizza non può essere alla Strade Bianche. Due così avrebbero consentito di correre in modo diverso.
Abilissimo nella guida e con ottime gambe: per Ballan, Pidcock è forse l’antagonista numero uno di PogacarAbilissimo nella guida e con ottime gambe: per Ballan, Pidcock è forse l’antagonista numero uno di Pogacar
Altri nomi? Noi abbiamo pensato a Kwiatkowski: anche lui l’ha già vinta e anche lui è tornato al successo quest’anno…
Certo anche lui, ma penso più all’insieme della EF Education-EasyPost.Loro hanno un roster molto interessante con Healy, Carapaz, Valgren e altri bei nomi. E un’altra buona squadra mi sembra la XDS-Astana, soprattutto perché ha Bettiol e Ulissi. Se parliamo di italiani loro due sono senza dubbio i nostri atleti più quotati.
Senza Pogacar, che corsa vedremmo?
Sarebbe una corsa completamente aperta, con più scenari e anche più combattuta. Così invece gli altri lasceranno che sia lui a fare la gara. Pogacar, quando partecipa, toglie ogni spazio agli altri, vince tutto quello che può vincere. Bisogna capire se sia una sua strategia o suna scelta di squadra, ma il risultato non cambia: se sta bene, domina. E’ un piccolo Merckx.
Quale potrebbe essere la tattica per batterlo? Come si può fare la classica imboscata?
Bisognerebbe anticipare di molto. Se si attende il finale, non ci sono molte possibilità. La chiave potrebbe essere un attacco di squadra, ma un attacco con dentro uomini interessanti e possibilmente con dentro uno o due uomini forti della UAE Emirates. Forse, ma solo forse, potrebbero attendere, lasciare fare. Perché tra le altre cose Pogacar ha anche la squadra più forte. Io ero sul posto l’anno scorso. Nel settore prima di Monte Sante Marie, dove lui ha attaccato, rimasi colpito dal fatto che tutti fossero affaticati mentre gli UAE spingevano forte, senza problemi e Pogacar ancora meglio dei suoi compagni.
Non solo Healy, la EF può contare anche su Rui Costa, Valgren e CarapazNon solo Healy, la EF può contare anche su Rui Costa, Valgren e Carapaz
Insomma è dura trovare outsider davvero tosti…
Eh sì. La realtà è che Pogacar c’è e vuole vincere. Alla fine, tutto dipende dalla sua condizione. Ormai, quando lui è al via, l’esito è quasi scontato, a meno che non si parli di un grande Giro dove ci sono altri corridori come Vingegaard a fargli da rivali.
Abbiamo fatto alcuni nomi, a partire da Pidcock e Hirschi, pensiamo anche a un corridore come Pelayo Sanchez, per dire, ma chi potrebbe essere la sorpresa totale della corsa?
Difficile dirlo, ci sono alcuni nomi interessanti, anche qualche giovane che ancora non abbiamo ben inquadrato. La Strade Bianche è una corsa che spesso regala sorprese.
Il Pogacar visto ieri all'Amstel è parso affaticato, come se non avesse recuperato dopo la Roubaix. Avrebbe dovuto recuperare? Un peccato non averci pensato
Dopo gli impegni olimpici del 2024, quest’anno Filippo Ganna si è preso un anno sabbatico dalla pista, e si concentrerà solo sulle prove in strada. A luglio tornerà al Tour De France, ma prima lo aspetta una primavera su cui punta molto, con gli obiettivi dichiarati della Milano-Sanremo e della Parigi-Roubaix.
Alla Classicissima l’abbiamo già visto a suo agio sia l’anno scorso, quando è stato fermato solo da un problema meccanico nella discesa del Poggio, che il precedente, quando ha colto il 2° posto. Alla Roubaix torna dopo il buon 6° posto del 2023, quando ha dimostrato di potersela giocare con i migliori specialisti. Come si è preparato per questi appuntamenti? Cos’è cambiato rispetto agli inverni precedenti? Ne abbiamo parlato con Dario Cioni, l’allenatore di Top Ganna.
Cioni controlla la bici di Ganna al Tour de Wallonie del 2023 (foto Ineos Grenadiers)Cioni controlla la bici di Ganna al Tour de Wallonie del 2023 (foto Ineos Grenadiers)
Dario, com’è andata la preparazione di Filippo?
L’inverno è andato bene, senza inconvenienti, solo un mezzo raffreddore. Filippo ha fatto due ritiri a Gran Canaria dove c’è un meteo ottimale rispetto ad altri luoghi, e ci può concentrare solo sul lavoro senza perdere neanche un giorno. Si è allenato bene, i valori dei test sono postivi, ora si tratta solo di vedere se abbiamo fatto tutto giusto.
Avete cambiato qualcosa rispetto alla passata stagione?
Rispetto all’anno scorso non ci sono le Olimpiadi, questo ci ha permesso di fare un avvicinamento completamente diverso già dall’inverno. L’anno scorso è partito un pochino più tranquillo perché l’obiettivo principale era più avanti nella stagione, invece quest’anno ha potuto concentrarsi al 100% sulle classiche. Come avvicinamento è più simile al 2023 e anche i valori nei test sono in linea con quell’anno.
Parigi-Roubaix 2023, Filippo Ganna con Stefan Kung a ruota Parigi-Roubaix 2023, Filippo Ganna con Stefan Kung a ruota
Nel 2024 però, nonostante la preparazione più “lenta”, Filippo alla Sanremo è andato fortissimo, e senza quel problema meccanico chissà come sarebbe finita
Il problema non era stato tanto per la Sanremo quanto per la Roubaix. Alla Sanremo c’è sì un sforzo importante, ma solo nel finale. La Roubaix invece è tutto un altro discorso a livello di dispendio energetico e quindi di preparazione.
Ha già fatto le ricognizioni sui percorsi?
Non ancora, ma sono entrambe in programma. Dopo la Tirreno-Adriatico andrà a provare la Sanremo e dopo il primo blocco di classiche andremo sulle strade della Roubaix.
Ganna alla Sanremo del 2023, che ha chiuso al 2° posto Ganna alla Sanremo del 2023, che ha chiuso al 2° posto
Restando alla classica del pavè, nel 2023 Filippo è arrivato sesto, giocandosela con i migliori per buona parte della gara. Cos’ha imparato da quell’esperienza?
Difficile dirlo, sicuramente ha imparato molto perché ha corso ad altissimi livelli, con i più forti al mondo. Credo che lo capiremo quel giorno. Poi in due anni alcuni materiali sono progrediti, credo che quest’anno userà i tubeless da 32mm. Sono comunque cose che deciderà dopo la ricognizione.
Negli ultimi giorni si rincorrono voci sulla presenza di Pogacar alla Roubaix. Tu come la vedi?
Sarebbe certamente un avversario in più da tenere d’occhio, ma potenzialmente anche un alleato in più.
Un alleato?
Sì perché se qualcun altro va via, lui può essere un importante uomo in più che aiuta nell’inseguimento.
In questo 2025 Ganna ha già dimostrato una buona forma, cogliendo un 3° posto in volata alla Volta ao AlgarveIn questo 2025 Ganna ha già dimostrato una buona forma, cogliendo un 3° posto in volata alla Volta ao Algarve
Passiamo alla Sanremo. Avete già pensato ad una tattica?
Il punto chiave è l’inizio della Cipressa, la cosa più importante, anzi fondamentale, è essere nelle prime posizioni quando il gruppo la imbocca. Altrimenti, con le velocità con cui si fa quella salita oggi, recuperare diventa molto dura.
In squadra saranno tutti per Filippo o magari avrete anche una seconda punta?
Dipende un po’ da come andrà la corsa. Sarà importante avere qualcuno che possa entrare in certi attacchi pericolosi, specie se uno degli altri big cercherà di anticipare. Comunque siamo fiduciosi, Filippo sta bene come si è visto in questo inizio di stagione dove è stato anche un po’ sfortunato. Alla Volta ao Algarve ha fatto un ottimo terzo posto in volata in rimonta, sarebbe bastato pochissimo per vincere.
Giovanni Visconti torna in carovana. Il popolare ex corridore, che aveva appeso la bici al chiodo 3 anni fa, non è rimasto a lungo lontano dall’ambiente che ama, trovando un incarico che più di altri solletica la sua fantasia e il suo interesse. Visconti è stato infatti assunto dal Team Jayco AlUla in qualità di talent scout, chiamato a scoprire i giovani più in vista da mettere sotto contratto. Sembra una definizione semplice, scarna, ma dietro c’è una grande complessità, che responsabilizza e intriga il 42enne di Palermo.
Palermitano (anche se nato a Torino), Visconti è stato professionista per 17 anni, con 34 vittorie tra cui 3 titoli italianiPalermitano (anche se nato a Torino), Visconti è stato professionista per 17 anni, con 34 vittorie tra cui 3 titoli italiani
La scelta di Copeland
Visconti lavorerà a stretto contatto con Fabio Baronti e con l’ex diesse della Grenke Auto EderChristian Schrot sotto la supervisione di Alex Miles, Lead Data Scientist del team australiano. Il tutto fortemente voluto da Brent Copeland per dare al team un futuro a lungo termine.
«Con Brent ci conosciamo da tempo, da quand’ero alla Bahrain – racconta l’ex campione italiano – due mesi fa mi ha prospettato l’idea e chiesto se mi andasse di rimettermi in gioco e io ho risposto con entusiasmo. Mi ha spiegato nei particolari che cosa si aspetta e mi ha parlato di questa figura che nel team ancora non c’era, proprio perché avendo smesso da relativamente poco ho ancora la sensibilità utile per cogliere aspetti sui giovani che altrimenti sfuggirebbero».
E’ una figura che esiste in altri team?
Sì, anzi è in rapida diffusione perché il ciclismo attuale va velocissimo, ma ha bisogno di figure che vadano oltre i semplici numeri che non dicono tutto su un atleta. Le indicazioni che arrivano dai tecnici, preparatori, ma anche dagli stessi strumenti sono importanti, ma noi dobbiamo metterci del nostro, conoscere questi ragazzi dal punto di vista personale, familiare, ambientale perché tutto influisce. Questo significa che bisogna girare per le gare, guardando con attenzione.
Ritiratosi 3 anni fa, l’ex campione italiano è pronto per una nuova avventura sfruttando la sua sensibilità ciclisticaRitiratosi 3 anni fa, l’ex campione italiano è pronto per una nuova avventura sfruttando la sua sensibilità ciclistica
Il tuo lavoro riguarderà solamente l’Italia?
Decisamente no, infatti a fine marzo andrò in Belgio a seguire due classiche internazionali degli juniores, tra cui quella di Harelbeke. Il Team Jayco AlUla è internazionale e quindi aperto a corridori di tutto il mondo. Sarei felicissimo di poter consigliare qualche ragazzo italiano e qualche nome l’ho già segnato sul mio taccuino, ma andrò tanto all’estero proprio per questo, per conoscere ragazzi di ogni parte e verificare quali sono appetibili per il nostro team.
Quando tu eri junior, i talent scout non c’erano…
Era un ciclismo completamente diverso, nel quale ci si muoveva in autonomia e si seguivano strade diverse per approdare al professionismo. A me non piace fare paragoni, siamo in epoche diverse e oggi i ragazzi non sono minimamente paragonabili ai pari età di un quarto di secolo fa. Mi accorgo sempre di più che ci troviamo di fronte a giovanissimi che magari non sono ancora maggiorenni eppure hanno già la testa da professionisti, perché hanno dietro staff efficienti, anche a livello juniores, che li instradano verso preparazione, nutrizione, riposo, insomma tutto quel che serve.
Il Team Jayco-AlUla ha potenziato la struttura del devo team: Visconti si inserisce nel progetto sviluppo del team australianoIl Team Jayco-AlUla ha potenziato la struttura del devo team: Visconti si inserisce nel progetto sviluppo del team australiano
A quali fasce guardi?
Gli juniores innanzitutto, ma seguirò anche gli under 23. Gli allievi no perché sarebbe troppo e a quell’età è più difficile trarre considerazioni. D’altronde quelli che vanno forte da allievi poi li ritroviamo al primo anno da juniores. A me interessa vedere come crescono, proprio perché i dati non dicono tutto. I ragazzini che vincono a più riprese devono poi darmi altri riscontri, che solo crescendo posso avere.
Che cosa cerchi in particolare?
E’ un discorso complesso. I numeri li vedono tutti, basta consultare le app, ma un corridore è fatto di tanto altro. Chi ha corso fino a ieri (magari l’altro ieri per me…) ha un occhio diverso, coglie in corsa aspetti che magari sfuggirebbero ma che sono importanti per capire un corridore: come si muove in gruppo, se è scaltro, se è un uomo squadra, sia nel dedicarsi agli altri che nel guidarli. Ma anche che vita fa, com’è la famiglia, che carattere ha, se ha problemi o meno a spostarsi, anche in un’altra nazione e che dimestichezza ha con le lingue. Sono tutti fattori fondamentali, ma che i numeri non ti dicono.
Non solo juniores. Visconti vuole cercare talento anche fra i più grandi, gli U23Non solo juniores. Visconti vuole cercare talento anche fra i più grandi, gli U23
Dicevi che guarderai anche gli under 23. Dando quindi opportunità anche a chi si avvicina alla “spada di damocle” del cambio di categoria, rischiando di rimanere fuori?
Inutile raccontarci storie, sappiamo che nel ciclismo di oggi si cerca il giovanissimo talento, ma non dobbiamo precluderci nulla. Se c’è quel corridore emerso più tardi, maturato piano piano ma che ha quei valori (e uso questa parola nella sua accezione più piena) allora dobbiamo essere pronti a sfruttare l’occasione. Con la Hagens Berman abbiamo un devo team che aiuta i ragazzi a emergere, se hanno i mezzi non vengono certo buttati via. Io credo ancora in questa categoria, può dare molto.
Tu eri domenica al GP Baronti, la prova di apertura della stagione degli juniores (foto di apertura). Che impressione generale hai avuto?
L’impressione di un livello medio molto alto. Non nascondiamoci, i ragazzi talentuosi in Italia li abbiamo e per questo serve capire, andare sul campo, verificare chi ha davvero le qualità per emergere, per distinguersi. Sappiamo bene qual è il problema del ciclismo italiano: non avere uno sbocco interno, quindi essere costretti ad andar via. Ormai anche fra gli juniores i ragazzi italiani vanno a correre all’estero, poi l’esperienza di Finn ha dato riscontri e un seguito clamoroso.
Lorenzo Finn, in maglia Red Bull, è ormai un riferimento per i giovani italiani. Un esempio da imitareLorenzo Finn, in maglia Red Bull, è ormai un riferimento per i giovani italiani. Un esempio da imitare
Ma per un ragazzo che cosa significa inseguire un sogno? Tu l’hai fatto, lasciando la tua casa e la tua famiglia…
Questo è un lato del ciclismo attuale che rende il tutto molto più difficile. Allora come oggi servono un grande carattere, determinazione, resilienza e averli a quell’età non è facile. Ma io pur venendo dalla Sicilia avevo una prospettiva, un sogno da inseguire. Oggi è più difficile, per un ragazzo del Sud, perché anche la Toscana, l’Italia intera è il nuovo Sud. Il baricentro dell’attività è fuori dai nostri confini. Ormai, per avere chance, bisogna andare all’estero, c’è poco da fare.
Quando si è trattato di impostare la conduzione tecnica delle nazionali per il prossimo quadriennio, i vertici della Federazione ciclistica italiana hanno valutato le professionalità che avevano in casa e assegnato i nuovi incarichi. L’unico che è rimasto fuori dai giochi e non per sua scelta è stato Daniele Bennati, ma Roberto Amadio dice che la decisione è stata presa dal presidente Dagnoni dopo gli europei su pista e che fino a quel momento era ancora tutto aperto.
Parliamo con il team manager azzurro proprio per spiegare la logica dietro alle scelte e immaginare la traiettoria che porterà le nostre nazionali alle Olimpiadi di Los Angeles 2028. Fra le novità che più stimolano la curiosità ci sono la scelta di Marco Villa come tecnico dei professionisti e quella di Dino Salvoldi alla guida della pista maschile. Da questo snodo passa tutto il resto.
Dino Salvoldi guiderà le nazionali della pista elite e degli juniores (foto FCI)Dino Salvoldi guiderà le nazionali della pista elite e degli juniores (foto FCI)
Che ragionamento c’è stato alla base?
Partiamo dalla scelta di Salvoldi, che seguirà la pista uomini e terrà gli juniores. E’ stata fatta proprio in funzione del lavoro che ha fatto in questi tre anni e in prospettiva Los Angeles. Un certo ciclo della gestione di Villa sta terminando. Soprattutto nei prossimi due anni, Ganna, Milan e Consonni daranno precedenza alla strada, mentre Salvoldi conosce un ventaglio di corridori, più o meno 8-10 elementi ormai competitivi, con cui lavorare per arrivare al 2028. Poi è chiaro che se Milan, che è il più giovane del vecchio quartetto, dice che gli piacerebbe venire a Los Angeles, benvenga. Lui può fare la differenza e dà la garanzia di lottare anche per la medaglia d’oro.
Salvoldi però terrà anche gli juniores, i ruoli sono compatibili?
Il feedback delle società sul suo lavoro è positivo, quindi credo sia giusto che prosegua. Logicamente avrà dei collaboratori che lo sostituiranno quando gli impegni con gli elite lo terranno lontano, però penso che abbia dimostrato di saper lavorare con professionalità e i risultati si sono visti.
Come nasce l’idea di mettere Villa al posto di Bennati?
Serve per dare continuità al suo lavoro con un gruppo di ragazzi che su certi percorsi sono fra i migliori al mondo. E a livello di cronometro, Villa ha l’esperienza per lavorare bene. Sulla scelta di non confermare Bennati, ne avrete sentite di tutti i colori, però la scelta è stata fatta agli europei su pista, quando il presidente Dagnoni ha preso la decisione finale. Daniele si è sentito preso in giro, ma le cose non sono andate come lui immagina.
E’ stato difficile convincere Villa? Si dice che fosse turbato.
Sicuramente è onorato, però ha il cuore sempre sulla pista, tant’è che l’abbiamo lasciato sulle donne assieme a Bragato. La scelta di Diego ha una logica, perché ha fatto con loro il percorso da Tokyo a Parigi e secondo me il gruppo donne è quello che può arrivare a Los Angeles con grandissime ambizioni. La logica, il filo conduttore del progetto ha come focus l’obiettivo delle prossime Olimpiadi. Per una federazione sono l’evento più importante, visto anche il sostegno che abbiamo dal CONI e da Sport e Salute.
Dopo i grandissimi successi su pista con le nazionali elite e delle donne, per Villa si apre il capitolo complesso e affascinante della strada pro’Dopo i grandissimi successi su pista con le nazionali elite e delle donne, per Villa si apre il capitolo complesso e affascinante della strada pro’
Il fatto di mettere Villa sulla strada e non scegliere qualcun altro preso dall’esterno, come pure i doppi incarichi di Salvoldi e Bragato può essere conveniente anche dal punto di vista economico?
Ai conti si deve guardare, soprattutto con le novità che ci sono. Si parla di affitti che adesso le Federazioni devono iniziare a pagare a Sport e Salute, di costi che non erano preventivati. Sicuramente risparmiare ci consente di investire sull’attività e sulle squadre nazionali, però la scelta di Marco ha la sua logica e la capiremo nei prossimi anni.
Cosa può portare Villa porti nel mondo della strada?
Nella pista è riuscito ad amalgamare un gruppo di atleti e sarebbe fondamentale ripeterlo sulla strada. Negli anni di Martini, la nazionale si ritrovava con corridori come Moser, Saronni, Baronchelli, Battaglin e tutti gli altri. Alfredo era grande nel creare lo spirito di squadra, che oggi è sempre più difficile. Gli atleti hanno il preparatore, il nutrizionista e la squadra che fa i programmi, è cambiato il modo di interpretare il ciclismo. Serve uno che riesca a tenere un filo conduttore quotidiano e nel giorno della gara sia capace di deciderne l’impostazione. Prima era diverso, c’erano le premondiali e un sistema molto meno complesso.
Invece adesso?
C’è un’evoluzione, un cambiamento veramente impressionante del ciclismo. Al punto che anche la Federazione e i suoi tecnici devono adeguarsi al cambiamento. Ci rimproverano il fatto di non vedere la nazionale correre più spesso in Italia, ma a cosa servirebbe? Con chi saremmo potuti andare oggi a Laigueglia, visto che più o meno i migliori ci saranno tutti con le loro squadre? Abbiamo investito quando si è trattato di far correre i ragazzi della Gazprom rimasti senza squadra, ma la maglia azzurra è importante e non avrebbe senso fare delle squadre solo per rappresentanza.
Tornando per un attimo alla pista, finora Villa ha avuto il controllo su tutto. Aver nominato Salvoldi, Bragato e Quaranta commissari tecnici dipende dal fatto che loro sono cresciuti nel ruolo oppure Villa sarà meno disponibile?
Entrambe le cose, perché secondo me Marco non si è ancora reso conto di quale sia l’impegno del tecnico della strada. Però dall’altra parte c’è stata una crescita enorme, sia di Quaranta sia di Bragato, che rimane il responsabile del team performance. In questi tre anni, quel gruppo è cresciuto in maniera considerevole ed è sempre più apprezzato dai tecnici. Hanno capito la necessità di lavorare con una programmazione e Diego ha la visione a 360 gradi delle varie necessità. Per questo avere accanto Villa è una necessità. Con loro due, le donne sono in mani sicure. Sia da un punto di vista di programmazione sia di selezione e attività che faranno.
Non sarebbe la mancanza di risultati, ma i rapporti non più buoni con Dagnoni la causa della mancata riconferma di Bennati (foto Limago)Non sarebbe la mancanza di risultati, ma i rapporti non più buoni con Dagnoni la causa della mancata riconferma di Bennati (foto Limago)
Mentre Quaranta?
Credo che promuoverlo sia stato giusto e dovuto. Il presidente ha riconosciuto lavoro che ha fatto e che sta facendo con i velocisti. Gli ultimi mondiali e gli europei hanno dato conferma di una crescita di gara in gara. E’ chiaro che avvicinandosi ai vertici mondiali del team sprint, d’ora in poi i progressi saranno meno evidenti, però ci sono. La qualificazione a Los Angeles è un obiettivo fattibile, come ci eravamo prefissati quando siamo partiti.
Sono venute conferme invece per U23 e fuoristrada: non era necessario metterci mano, tutto sommato…
Amadori è un grande conoscitore del mondo under 23, credo sia giusto averlo confermato. Anzi sicuramente è quello che in questo momento di difficoltà nel trovare le giuste come collaborazione con le squadre, può giocare un ruolo decisivo. Quanto alle nazionali fuoristrada, Pontoni ha lavorato in modo molto positivo, lo dicono i risultati. E anche Celestino è arrivato bene alle Olimpiadi e solo a sfortuna ci ha tolto una medaglia con Braidot. Però sta costruendo qualcosa di importante con i giovani e sta portando avanti un bel lavoro.
Poco fa hai detto che se ne sono sentite tante, forse anche troppe: perché non andare più avanti con Bennati?
A Daniele non posso rimproverare niente, ha fatto tutto quello che doveva in modo professionale in rapporto al momento del ciclismo italiano, cui manca un corridore alla Colbrelli, che stava crescendo in maniera importante. Noto che in questo inizio di stagione alcuni nostri ragazzi stanno venendo fiori con il piglio giusto. Parlo di Ciccone al UAE Tour, Tiberi che all’Algarve ha fatto una cronometro veramente bella e anche Piganzoli. I buoni corridori li abbiamo e sono adatti al mondiale del Rwanda. Ma se in un mondiale come quello ti trovi Evenepoel oppure Pogacar, sia su strada sia nella crono che è durissima, c’è poco da programmare. Non parto mai battuto, però la storia ci insegna che quando ci sono di mezzo questi atleti, diventa difficile.
Hai dichiarato che Bennati a un certo punto non fosse più in sintonia con la Federazione, eppure quando si è trattato di lasciare spazio a Viviani nella gara su strada delle Olimpiadi, non ha fatto un fiato.
Io credo che il suo fosse lo spirito giusto, cioè quello di onorare sempre la maglia azzurra, anche se a Zurigo il comportamento dei corridori non è stato proprio così. Sull’aver fatto spazio a Viviani, non posso dire nulla: è stato bravo e alla fine i risultati ci hanno dato ragione. Quando parlo di sintonia con la Federazione, parlo di sintonia col presidente. Più un fatto di rapporti personali che alla fine non c’erano più.
Martina Alzini archivia con ottime sensazioni il raduno della nazionale e si tuffa nell'avventura con la Cofidis. Ok la pista, ma punta anche alla strada
E’ stata una delle sorprese del 2024 tra le juniores. Al suo primo anno nella categoria, Erja Giulia Bianchi ha raccolto otto vittorie personali, il tricolore nella cronosquadre con la sua Biesse-Carrera, una miriade di piazzamenti e un bronzo europeo in pista. Il countdown per il debutto è agli sgoccioli e lei è pronta per iniziare la stagione con una consapevolezza maggiore dei suoi mezzi.
Domenica 9 marzo riparte da Nonantola con i favori del pronostico per il semplice fatto che l’anno scorso aveva dominato la volata sotto la pioggia (in apertura foto Ossola). Bianchi però non si scompone più di tanto, tenendo conto di una crescita psicofisica importante come ci ha raccontato lei. E noi ne abbiamo approfittato per conoscerla meglio e scoprire su quali obiettivi ha messo il proprio mirino.
Erja vive a Lonate Pozzolo, vicino a Malpensa, e frequenta il liceo scientifico-sportivo di Gallarate (foto Bicitv)Erja vive a Lonate Pozzolo, vicino a Malpensa, e frequenta il liceo scientifico-sportivo di Gallarate (foto Bicitv)
Iniziamo col capire chi è Erja fuori dalla bici? O preferisci essere chiamata Giulia?
Va benissimo con entrambi i nomi, ma se qualcuno mi chiama Erja sono sicura che intenda me e mi giro per rispondere (dice sorridendo, ndr). Vivo a Lonate Pozzolo, a pochi chilometri dall’aeroporto di Malpensa. Frequento la quarta al liceo scientifico-sportivo di Gallarate e l’anno scorso ho chiuso con la media dell’otto.
Una buonissima votazione al pari della stagione agonistica. Come hai gestito entrambi gli impegni?
A scuola in effetti lo scorso è stato un anno abbastanza difficoltoso in relazione al mio primo anno tra le juniores. Nel secondo quadrimestre ho accumulato tante assenze per le varie gare, però sono stata molto tutelata ed aiutata dalle mie professoresse. Loro capiscono perfettamente la mia situazione e finora sono sempre riuscita a pianificare sia interrogazioni che compiti in classe. Anzi, devo dire che loro mi fanno spesso i complimenti per i miei risultati perché sono consapevoli della mia attività.
A febbraio Bianchi ha svolto un ritiro di 10 giorni in Provenza con le juniores e elite della Baloise-WB LadiesA febbraio Bianchi ha svolto un ritiro di 10 giorni in Provenza con le juniores e elite della Baloise-WB Ladies
Immaginiamo te ne avranno fatti tanti l’anno scorso. Che stagione è stata per te?
E’ stato un 2024 decisamente sopra le aspettative. Non pensavo di poter raccogliere così tante vittorie. Tuttavia come in ogni stagione che si rispetti, ci sono state anche delle delusioni. E forse, col senno di poi, direi anche giustamente perché ti aiutano a crescere.
Quali sono state?
Fino a luglio è andato tutto bene in corrispondenza degli europei in pista a Cottbus. Ad agosto poi sono iniziate le botte morali. Sono andata in ritiro col gruppo pista in vista dei mondiali, ma non sono stata convocata per andare in Cina. A quel punto non sono stata più chiamata per i ritiri col gruppo della strada. Il mondiale era troppo duro per le mie caratteristiche e mi aspettavo di non rientrare nei piani, mentre invece speravo di poter correre l’europeo in Belgio che era adatto a me. Peccato, ci sono rimasta un po’ male, però so che queste decisioni ci possono stare.
Bianchi conquista a Bovolone la seconda delle otto vittorie. Un bottino inaspettato (foto Ossola)Bianchi conquista a Bovolone la seconda delle otto vittorie. Un bottino inaspettato (foto Ossola)
Come hai superato quelle delusioni?
Non nascondo che ho fatto qualche giorno giù di corda perché sapevo di aver dimostrato di essere andata forte. Mi sono accorta però lì per lì di aver reagito bene a quelle esclusioni. E in questo mi ha aiutato molto il ritiro che ho fatto con la Biesse-Carrera. La mia squadra e le mie compagne mi sono state molto vicine e non mi ci hanno fatto più pensare. Tanto che da lì in poi sono tornata a vincere ancora. Ho imparato molto dalle compagne più grandi, sia fuori che dentro la bici.
Le caratteristiche quindi di Erja Giulia Bianchi sono quelle della velocista?
Devo dirvi che non mi piace essere definita velocista (dice ridendo, ndr). E’ vero, sono veloce e mi butto nelle volate di gruppo, però ho dimostrato di saper tenere anche su percorsi più ondulati. Penso alle vittorie ottenute al Lunigiana o al Giro delle Marche, dove l’altimetria era abbastanza mossa. In ogni caso questo inverno ho lavorato per tenere meglio su alcune salite o strappi.
In generale la preparazione com’è andata?
E’ andata bene. Fino a fine gennaio ho pedalato il giusto, poi a febbraio ho recuperato facendo due ritiri. Uno in Liguria con la Biesse-Carrera di cinque giorni e l’altro in Provenza con le juniores ed elite del Baloise-WB Ladies. Col team belga ho fatto dieci giorni in accordo con la mia squadra e sfruttando un’opportunità legata ad una loro conoscenza. E’ stata davvero una bellissima esperienza, sia per conoscere ed adeguarmi alle loro abitudini, sia per dialogare in inglese.
Bianchi assieme a Trevisan e Cenci ha conquistato il bronzo europeo in pista nella Team SprintBianchi assieme a Brillante Romeo, Milesi e Zambelli ha conquistato il tricolore cronosquadre (foto Ossola)Bianchi assieme a Trevisan e Cenci ha conquistato il bronzo europeo in pista nella Team SprintBianchi assieme a Brillante Romeo, Milesi e Zambelli ha conquistato il tricolore cronosquadre (foto Ossola)
Quest’anno sarai una delle più grandi della Biesse-Carrera. Come ti senti in questo ruolo?
Saremo in tre del secondo anno. In effetti abbiamo fatto un bel cambiamento con diverse ragazze nuove nella categoria. Spero di poter essere un riferimento per loro, come lo sono state con me quelle che sono passate elite. Da quello che ho visto finora devo dire che abbiamo ragazze già in gamba e che sembrano pronte a fare bene.
Guardando le classifiche di rendimento del 2024 tu eri una delle prime tre e tutte e tre eravate del primo anno. Sai già chi potrebbe essere la tua avversaria principale?
Onestamente non saprei, ci sono tantissime ragazze che l’anno scorso sono andate fortissimo e faranno altrettanto quest’anno. E non dimentichiamoci quelle che arrivano dalle allieve che possono fare bene. Posso dire che secondo me Chantal Pegolo è quella che parte favorita quest’anno. L’ho vista in corsa e l’ho conosciuta meglio in nazionale. Lei va forte in volata, sui percorsi vallonati e tiene in salita come ha mostrato col terzo posto al campionato italiano.
Anche tu sei una dei nomi più accreditati. Senti un po’ di pressione per questa stagione?
A dire il vero non ne avverto molta. Ho imparato a gestire questo tipo di tensione sviluppando una mentalità diversa. Ho capito che devo correre ed allenarmi cercando di divertirmi senza pensare troppo a certe cose, poi vedremo. Ecco, sono curiosa di vedere come andrò a Cittiglio, che per me è una corsa vicino a casa. Non ci vuole tanto, ma spero di andare meglio dell’anno scorso (dice sorridendo riferendosi al suo piazzamento lontano dalle prime, ndr).
La Biesse-Carrera ha fatto 5 giorni di ritiro in febbraio in Liguria La Biesse-Carrera ha fatto 5 giorni di ritiro in febbraio in Liguria
A parte le vittorie, ti sei data degli obiettivi particolari?
Ripetere la scorsa annata ovviamente mi farebbe piacere, però spererei di fare più esperienza all’estero, dove si cresce tantissimo. Oppure mi piacerebbe fare uno stage con un team continental come ha fatto Milesi alla BePink (sua attuale squadra, ndr), sapendo che me lo devo guadagnare facendo risultati e prestazioni. Anche la nazionale resta un obiettivo. Non penso che farò più parte del reparto velocità perché sono ben coperti ed ero stata chiamata in extremis. Mi metto però a disposizione per il gruppo endurance qualora lo volessero. Anche su strada vorrei guadagnarmi l’azzurro per gli europei (in Ardeche in Francia, ndr) che li vedo adatti alle mie caratteristiche.
Pochi giorni e finalmente saràStrade Bianche, la classica del nord… più a sud. E a proposito di classiche, ognuna ha il suo passaggio simbolo, spesso anche decisivo: il Poggio per la Sanremo, la Foresta di Arenberg per la Roubaix, il Kwaremont per il Fiandre, il Cauberg per l’Amstel e così via. Alla Strade Bianche questo passaggio è Monte Sante Marie, quest’anno settore numero otto, posto a 71 chilometri dall’arrivo. I suoi dati: 11,5 chilometri (4,5 dei quali in salita), una pendenza massima del 18 per cento e anche una discesa molto, molto tosta.
Di Monte Sante Marie parliamo con l’unico italiano che sin qui è riuscito a vincere la Strade Bianche, Moreno Moser. Il trentino riuscì nell’impresa nel 2013. Oggi Moreno è un acuto commentatore ed opinionista del ciclismo e con lui facciamo un’analisi tecnico-tattica di questo settore.
Un tratto in pianura, una serie di strappi, una discesa, un’altra salita e un lungo falsopiano: gli 11,5 km di Monte Sante MarieUn tratto in pianura, una serie di strappi, una discesa, un’altra salita e un lungo falsopiano: gli 11,5 km di Monte Sante Marie
Moreno, insomma Monte Sante Marie è il punto decisivo della corsa?
Sì, o meglio: dipende. Dipende da come viene interpretata la corsa. Con certi corridori come Pogacar lo è sicuramente. In alcuni anni, tipo quando l’ho vinta, invece non è stato un settore così fondamentale. Però mi rendo conto che quando correvo io c’era molto più attendismo. Sante Marie era il momento in cui si frazionava un po’ il gruppo, ma non si decideva ancora la corsa. Oggi, a 80 chilometri dall’arrivo, devi essere già praticamente in modalità finale.
Se facessimo un paragone coi muri fiamminghi: è il Kwaremont del Giro delle Fiandre?
Sì, lo è da un punto di vista tecnico, perché effettivamente è il più duro, il più lungo ed è quello dove se uno vuole, può fare selezione. Anche quando correvo io si diceva che da Sante Marie iniziava la corsa. Adesso rischia di essere il punto in cui la corsa finisce… Anche se poi forse dal punto di vista emotivo e per vicinanza all’arrivo il settore delle Tolfe è più coinvolgente. E’ il Cauberg dell’Amstel!
Come si affronta, come si gestisce il settore di Monte Sante Marie? Portaci in bici con te…
Ah – sorride – non si gestisce, se vanno a tutta devi stare dietro a chi va a tutta. Quando inizi Sante Marie hai già i battiti alti per la lotta alle posizioni. Il primo anno che ho fatto la Strade l’ho preso indietro e c’è stata una caduta che mi ha tagliato fuori. Eppure lì ho capito che quella corsa mi piaceva. Il primo tratto è duro, tendenzialmente devi stare seduto, a meno che il terreno non sia in condizioni ottimali, magari un po’ compattato dalla pioggia. Discesa e poi salitone.
Quando si parla di Monte Sante Marie tutti pensano al salitone finale, in realtà c’è una discesa affatto banale. Anzi, l’anno scorso proprio lì scattò l’asso sloveno. Cosa ci dici di questa discesa?
Quel tratto di discesa è davvero tosto. E’ uno dei punti in sterrato dove si raggiungono le velocità più alte. Bisogna lasciarla scorrere. Servono capacità e anche grossi attributi! Negli ultimi anni però i corridori sono molto più abituati a guidare sullo sterrato. Quando correvo io, c’era gente che non sapeva neanche dove fosse quando entrava sullo sterrato. Oggi quelli davanti sanno guidare.
Strade Bianche 2024: Pogacar è partito nel falsopiano in discesa prima della planata vera e propria (foto web Strade Bianche)Strade Bianche 2024: Pogacar è partito nel falsopiano in discesa prima della planata vera e propria (foto web Strade Bianche)
Adesso sarai criticato!
Sicuro, in tanti mi dicono: «Ah, noi di una volta guidavamo meglio». Io non credo sia così, oggi in tanti sanno guidare. Se pensiamo ai corridori forti degli ultimi anni, a parte Evenepoel che comunque è migliorato, gli altri sono tutti fenomeni anche nel guidare la bici. Pidcock, Pogacar, per non parlare di Van Aert e Van der Poel: gente che sa cosa fare.
E tatticamente come si approccia Sante Marie?
Sul primo strappo soprattutto, dipende molto da quanti corridori ci sono nel gruppo di testa e da come si è svolta la gara sin lì. Il ciclismo ha una marea di variabili e l’andamento della gara influenza tutto. Se si presentano in 20 è un conto, se c’è una fuga che può andare all’arrivo è un altro. Se invece è una fuga scontata e il gruppo è compatto, magari non c’è il vero attacco ma solo la squadra che fa il ritmo. Oppure c’è il Pogacar che fa il vuoto… dopo il forcing della squadra. E va via dopo il primo strappo, nella discesa.
Ci dicevi dell’importanza di far scorrere la bici in discesa. In fondo c’è un ponticello e poi si passa subito a salire. E’ quello che in gergo viene chiamato “sciacquone”. Si deve passare dalla moltiplica grande a quella piccola… Può essere un momento delicato?
Sì, perché subito dopo la discesa c’è un’altra impennata. Devi essere lucido per cambiare rapporto nel momento giusto. Sullo sterrato la catena può saltare e se sei in difficoltà puoi fare errori. Se andiamo a vedere ai corridori lucidi e freschi, difficilmente succedono problemi meccanici. Quando invece sei al limite, schiacci il bottone a caso e la catena può prendere una frustata e andare giù. Di certo lì bisogna cambiare, perché poi le pendenze cambiano nettamente.
Mentre non è così decisivo il falsopiano dopo il salitone, dopo il Borgo di Sante Marie: perché?
Difficile dirlo, ma probabilmente oggi si va più forte nei tratti duri e quindi è più facile fare selezione prima. I corridori stanno molto più seduti perché si è visto che la pedalata è più efficiente. Rispetto a Pantani che faceva chilometri in piedi, oggi si è visto che si spreca meno energia da seduti. Tra l’altro alcuni calcoli hanno dimostrato che perdeva parecchio in aerodinamica.
Era il 2013 e a Monte Sante Marie, Moser (al centro) pedala al fianco dell’allora compagno di squadra SaganEra il 2013 e a Monte Sante Marie, Moser (al centro) pedala al fianco dell’allora compagno di squadra Sagan
Chiaro…
Difficilmente oggi trovi uno scalatore puro che salta tanto sui pedali alla Simoni. Però non saprei dire esattamente perché si fa meno selezione in quel falsopiano. Negli anni in cui correvo io, dopo Monte Sante Marie eravamo ancora in tanti. Magari c’era un attacco, ma rimanevano gruppetti da 15 corridori. Oggi, e torniamo al discorso di prima, la corsa si è già assestata.
Moreno, qual è la tua “foto” di Monte Sante Marie?
La mia foto è anche una foto reale. Risale all’anno in cui ho vinto, e quello scatto mi ritrae praticamente a bocca chiusa mentre salivo al fianco di Sagan e davanti a Cancellara. E dire che avevo preso il settore in quarantesima posizione. Ma con tre pedalate al lato della strada ero davanti con Peter (Sagan, ndr), Van Avermaet e gli altri migliori. Mi è rimasta impressa perché mi sentivo fortissimo.
Tu e solo tu conosci le sensazioni che avevi in quel preciso istante…
E infatti tra me e me iniziavo a pensare: «Però… Sarà, ma io qui non faccio fatica». Ricordo che mi succedeva spesso in quegli anni. Da neopro’ un giorno con ingenua sfrontatezza dissi ad Alan (Marangoni, ndr) che non sentivo mai mal di gambe. Sì, lo sentivo nel finale, ma era il mal di gambe bello, quello che hai quando vai forte e ti giochi la corsa. Quello che ti spinge a dare ancora di più.
Un occhio curioso al nuovo Met Trenta 3K Carbon, in uso ai corridori del Uae Team Emirates. La fibra permette di ridurre il peso, l'aerazione è eccellente
Oggi è il giorno del debutto stagionale di Mathieu Van der Poel. Il programma iniziale prevedeva che attaccasse per la prima volta il numero alla Tirreno-Adriatico, ben prima dello scorso anno quando scelse la Sanremo e forse gli mancò qualcosa sul Poggio. L’idea di debuttare a Le Samyn – 199 chilometri con 8 cotes negli ultimi 100 – era stato spiegato ai primi del mese da Philip Roodhooft, uno dei due titolari della Alpecin-Deceuninck.
«Aggiustare o cambiare le cose strada facendo – aveva detto – a volte viene visto come una mancanza di professionalità, mentre molto spesso è il contrario. A patto che lo si faccia con attenzione».
Mathieu si è presentato al via sorridente e ovviamente circondato dal tifo e dalla curiosità generale. La maglia verde della squadra e la bici bianca in attesa di mostrare altre colorazioni alla Tirreno-Adriatico che dovrebbe essere il suo impegno successivo.
Il 2 febbraio, Van der Poel ha vinto il mondiale di cross, davanti a Van Aert e NysSubito dopo, nel corso di una breve vacanza, Van der Poel ha sciato a Livigno (immagine Instagram)Il 2 febbraio, Van der Poel ha vinto il mondiale di cross, davanti a Van Aert e NysSubito dopo, nel corso di una breve vacanza, Van der Poel ha sciato a Livigno (immagine Instagram)
Un’occasione da cogliere
Il belga Het Nieuwsblad è tornato a bussare alla porta del manager belga per farsi spiegare il perché di questa scelta.
«Inizialmente – ha spiegato – il piano prevedeva che questa settimana Mathieu si allenasse in Spagna. Ma in questo momento in quella zona il tempo è terribilmente brutto e non aveva senso restarci tanto più a lungo. Inoltre, giovedì Lars Boven si è ritirato alla Valenciana e non avrebbe potuto partecipare a Le Samyn, per cui il suo posto era libero. Van der Poel aveva già fatto sapere che gli sarebbe piaciuto partecipare a una gara e così abbiamo colto l’occasione».
Prima del via, Van der Poel si è prestato alle interviste. L’arrivo è previsto per le 17,20Prima del via, Van der Poel si è prestato alle interviste. L’arrivo è previsto per le 17,20
Le Samyn, una gara pulita
Come già spiegato dallo stesso Roodhooft due anni fa, la gestione di Mathieu Van der Poel è oculata e improntata alla massima tutela. Non è parsa inosservata la razionalizzazione dei suoi impegni dopo l’intenso triennio 2021-2023. E così ora l’olandese resta lontano dagli eccessi di un’attività smodata, puntando sulla qualità degli impegni.
«Tre mesi fa – ha spiegato ancora Roodhooft – avevamo pensato di farlo correre nel weekend di apertura qui al Nord, ma abbiamo deciso di non farlo. Avrebbe avuto ancora meno spazio tra i campionati del mondo di ciclocross (2 febbraio, ndr) e il debutto su strada e volevamo comunque concedergli qualche giorno di vacanza dopo la vittoria iridata. Il giorno dopo le vacanze, Mathieu è subito partito per l’altura, è quasi un mese che non torna a casa. Il vantaggio di correre Le Samyn è anche questo: può restare a casa per qualche giorno. In più c’è da dire che il livello della Omloop Het Nieuwsblad sarebbe stato troppo alto, mentre Le Samyn è una gara pulita, con un finale impegnativo, che per lui non sarà troppo difficile da affrontare. L’ha già fatta in passato e si è sempre divertito».
Nel 2021, a Le Samyn, Van der Poel taglia il traguardo così. Poi vinse la Strade BiancheNel 2021, a Le Samyn, Van der Poel taglia il traguardo così. Poi vinse la Strade Bianche
Strade Bianche, no grazie
L’unica volta che Van der Poel partecipò alla corsa, che parte proprio alle 13 da Quaregnon e si concluderà a Dour intorno alle 17,20, si guadagnò un’insolita foto sul traguardo. Lo tagliò infatti con il manubrio privo della leva del cambio e il guasto gli impedì di giocarsi la corsa. Dire sin da ora se l’olandese sarà in grado di vincere è piuttosto difficile, anche se non c’è dubbio che in qualche modo ci proverà.
«Le sue condizioni ovviamente stanno ancora migliorando – spiega Roodhooft – ma non è ancora nella forma in cui sarà fra tre settimane. Però sta bene e per questo motivo lui per primo ha detto di sentirsi pronto per correre. Ha voglia di farlo, l’ho sentito molto coinvolto. Ma nonostante questo, ci tengo a dire che Le Samyn è l’unica modifica al suo calendario. Mathieu non parteciperà alla Strade Bianche di sabato».
Allo stesso modo in cui Pogacar non dovrebbe partecipare alla Parigi-Roubaix. Il bello di questi grandi campioni è che quando riconoscono l’aria della primavera e sentono nelle gambe la forza giusta, hanno ancora il potere di imporre la loro volontà sui piani della squadra. Se Van der Poel non correrà a Siena è perché eventualmente non avrà le gambe per tenere testa a Pogacar.
Quattro vittorie. E’ vero, la stagione è appena iniziata e è presto per fare bilanci, ma pochi si sarebbero attesi una Visma-Lease a Bike messa alle corde già dopo poco più di un mese, quando i rivali della UAE sono già a 13 (e Pogacar di suo ne ha messe in carniere tre). Con Robbert De Groot avevamo già avuto modo di parlare dei nuovi giovani che stanno uscendo fuori, a cominciare dal talentuoso norvegese Nordhagen, ma dopo la vittoria di Vingegaard alla Volta ao Algarve abbiamo ripreso in mano il telefono per sentire gli umori in casa olandese.
Vingegaard ha vinto a cronometro all’Algarve aggiudicandosi la classifica finale. Due delle 4 vittorie del teamVingegaard ha vinto a cronometro all’Algarve aggiudicandosi la classifica finale. Due delle 4 vittorie del team
Si può fare davvero di più
«E’ solo un piccolo inizio – afferma il direttore sportivo olandese – Gran parte della squadra è ancora al lavoro, c’è anche chi deve cominciare e sta lavorando in altura per i futuri impegni. Possiamo dire che la stagione vera e propria per noi è cominciata con le classiche belghe dell’ultimo fine settimana dove effettivamente ci aspettavamo di più. Ma in generale possiamo essere soddisfatti delle nostre prestazioni in Oman e soprattutto anche in Algeria, ovviamente. Mettiamo in conto anche le difficoltà avute da alcuni, ad esempio Kooij che dopo le due vittorie in Oman si è ammalato all’UAE Tour non potendo rendere per quanto è capace. Io penso che siamo a un buon livello al momento e speriamo di poterlo dimostrare anche dalle prossime gare».
Olav Kooij aveva iniziato bene al Tour of Oman, ma un’influenza lo ha poi debilitatoOlav Kooij aveva iniziato bene al Tour of Oman, ma un’influenza lo ha poi debilitato
Parliamo allora degli aspetti positivi: come hai visto Vingegaard alla Volta ao Algarve, secondo te a che punto è della sua condizione?
Penso che possiamo essere contenti, molto contenti. Considerando che in funzione del Tour non abbiamo avuto ancora periodi di altura per lui. Quindi sì, siamo molto contenti del suo livello, credo che sia già un bel segnale anche per come è arrivata.
Che cosa chiedi ai vostri giovani che vengono dal devo team, in questa fase della stagione?
Penso che sia una squadra, il devo team, molto interessante visti i nomi che ci ha già dato. A cominciare da Brennan e Nordhagen. Ma ci sono altri nomi del team giovane che stiamo tenendo sotto la nostra lente, da Hoydahl a Rex a Smith. Interessante è anche l’altro inglese, Pattinson. Abbiamo alcuni giovani ragazzi molto interessanti in arrivo e sicuramente proveremo a mostrare qualcosa nelle gare come Umago, Porec, questo tipo di gare dove ci sarà anche Mattio. Ma ci mescoleremo. Ci mescoleremo parecchio. In gare come Denain o alla Coppi e Bartali porteremo alcuni giovani nel team principale per far fare loro esperienza.
Il danese insieme a Pogacar all’ultimo Tour. La sfida si rinnoverà e sarà replicata alla VueltaIl danese insieme a Pogacar all’ultimo Tour. La sfida si rinnoverà e sarà replicata alla Vuelta
Vingegaard ha vinto la Volta ao Algarve grazie alla cronometro, tutti ricordiamo la sua prestazione nella crono di Combloux al Tour. Hai detto però che Nordhagen alla sua età è superiore, che cosa te lo fa credere?
E’ molto difficile da dire. Stiamo lavorando per capire quali sono i suoi limiti, per vedere come può gestire un team. Intanto siamo intenzionati a fargli fare molte gare a tappe brevi, dove curare la classifica. Per sviluppare le sue abilità vincenti, abituarlo a quelle responsabilità. E per sviluppare qualche altra abilità tecnica. Quindi dobbiamo davvero aspettare e vedere come va la stagione per lui. L’importante è non metterlo subito sotto giudizio.
Il fatto che i leader della vostra squadra in questo momento non solo olandesi, salvo Kooij per gli sprint, come è visto dai fans in Olanda?
La gente a casa vorrebbe avere più corridori olandesi, lo sappiamo. Ma per noi non è così, il ciclismo è uno sport internazionale. Tutti i team sono vere e proprie multinazionali. Pogacar è sloveno e corre in un team arabo, Vingegaard danese in un team olandese e così via. Dobbiamo accettare che il ciclismo è un grande gioco internazionale E non importa se sei del Paese in cui è tenuta la licenza. Penso che si tratti di creare squadre vincenti, ma puoi farlo solo avendo i migliori corridori da tutto il mondo.
Per Uijtdebroeks prevista una serie di prove brevi a tappe, per abituarlo alla guida della squadraPer Uijtdebroeks prevista una serie di prove brevi a tappe, per abituarlo alla guida della squadra
Tutti aspettano la doppia sfida fra Jonas e Pogacar a Tour e Vuelta. Quanto inciderà la scelta degli uomini dei team e la loro prestazione in aiuto dei capitani per fare la differenza?
Penso che sia un fattore molto importante. Sono team a un livello incredibilmente alto per supportare grandi campioni e noi abbiamo una grande fiducia nel fatto che i nostri corridori possano competere con il campione del mondo. Quindi faremo tutto il possibile per creare una squadra molto, molto forte in queste gare, per supportare Jonas, per provare a competere con quello che ad oggi è il più forte di tutti. Ma dovremo essere tutti al massimo, io credo che sarà uno spettacolo enorme e vogliamo che sia incerto fino alla fine.
Che risultato ti renderebbe davvero felice quest’anno?
Il Tour du Rwanda si è concluso ed ha attirato tante attenzioni. Più che sulla corsa, gli occhi dei curiosi erano concentrati sul fatto che il Paese africano ospiterà i prossimi mondiali di ciclismo. Tante voci si sono susseguite a proposito della corsa iridata, dal fatto che non si sarebbe corsa per motivi di sicurezza alle smentite di questi giorni. La nostra curiosità, invece, era legata a questa gara a tappe e all’ambiente che lo circonda. Uno dei due italiani presenti sulle strade del Rwanda era Enea Sambinello, atleta del devo team del UAE Team Emirates-XRG. Per lui questo è stato il settimo appuntamento stagionale dopo le sei corse fatte tra Spagna e Portogallo (in apertura foto Tour du Rwanda).
Per Sambinello questa è stata la prima gara disputata con il devo team (foto Tour du Rwanda)Per Sambinello questa è stata la prima gara disputata con il devo team (foto Tour du Rwanda)
Malanni a parte
Un viaggio durato cinque delle sette tappe previste attraverso gli scenari che ospiteranno il campionato del mondo 2025. Per arrivare a Kigali, capitale del Rwanda, Sambinello ha impiegato otto ore e mezza di aereo con partenza da Parigi. Il ritorno, avvenuto la notte scorsa, lo ha riportato nella capitale francese. Da lì poi Sambinello volerà a Nizza e poi si sposterà al Trofeo Laigueglia.
«Sono stati giorni un po’ così – racconta quando ancora è in hotel a Kigali – a causa di un virus che mi ha debilitato. Non ho preso parte alle ultime due frazioni, quelle che si svolgevano sul percorso dei prossimi mondiali. Ancora non abbiamo capito quale sia stata la causa del virus, ma l’importante è che sia passato. Tra venerdì e sabato non ho chiuso occhio, la mattina era sfinito. Il medico della squadra, che per la trasferta ci ha seguito, mi ha dato un antibiotico e mi sono ripreso abbastanza velocemente».
Al Tour du Rwanda i ritmi non sono mai stati troppo alti, soprattutto a causa dell’altura (foto Tour du Rwanda)Per la UAE Emirates Gen Z una vittoria di tappa nel corso dell’avventura africana (foto Tour du Rwanda)Al Tour du Rwanda i ritmi non sono mai stati troppo alti, soprattutto a causa dell’altura (foto Tour du Rwanda)Per la UAE Emirates Gen Z una vittoria di tappa nel corso dell’avventura africana (foto Tour du Rwanda)
Per il resto in Rwanda com’è andata?
Ho sofferto il caldo e l’altura. Specialmente le alte temperature che sono sempre state molto alte, c’erano tra i 30 e i 35 gradi centigradi. Non ho performato come avrei voluto, ognuno reagisce a modo suo.
A che quota eravate?
Dipende un po’ dalle zone del Paese. A Kigali abbiamo dormito intorno ai 2.000 metri. In certe tappe siamo arrivati oltre i 2.600 metri di quota e tante volte abbiamo scollinato salite con quota superiore ai 2.000 metri. Non ho mai fatto grandi sforzi in altura, ed è una cosa che mi manca. L’anno scorso per preparare il mondiale di Zurigo sono stato a Livigno ma abbiamo sempre lavorato a intensità relativa.
I paesaggi sono unici e sempre diversi (foto Tour du Rwanda)Il Rwanda è una terra particolarmente ricca e rigogliosa (foto Tour du Rwanda)I paesaggi sono unici e sempre diversi (foto Tour du Rwanda)Il Rwanda è una terra particolarmente ricca e rigogliosa (foto Tour du Rwanda)
E’ stata una corsa molto diversa da quelle a cui sono stato abituato fino ad ora. Qui le grandi squadre avevano tutte un velocista di riferimento e quindi tendevano ad abbassare i ritmi. Solamente noi e i ragazzi del devo team della Picnic PostNL abbiamo provato a movimentare la situazione. I numeri sul computerino erano bassi, ovviamente è una cosa legata all’altura. Le uniche due tappe in cui siamo andati davvero forte sono state la quarta e la quinta.
Una corsa impegnativa a livello altimetrico?
Sicuramente quella con più dislivello che ho fatto in tutta la mia vita. A parità di dislivello ce ne siamo accorti un po’ meno rispetto a quando corriamo in Europa. Questo perché non c’è tanta pianura, quindi o si sale o si scende. In media facevamo tra i 2.000 e i 2.500 metri di dislivello. La tappa regina ne aveva 3.700. Il tutto con chilometraggi abbastanza ridotti, sempre compresi tra i 120 e i 150 chilometri.
Le salite come sono?
Bisogna partire dal presupposto che le strade sono tutte statali con la carreggiata larga e l’asfalto perfetto. Anche questo particolare riduce la percezione della fatica. Quando ti trovi a pedalare su tratti all’8 per cento di pendenza ma con l’asfalto favorevole è diverso. Da noi, al contrario, ti ritrovi su una strada stretta e mal ridotta e questo fa tanta differenza.
Le strade sono sempre in perfette perfette condizioni (foto Tour du Rwanda)Le strade sono sempre in perfette perfette condizioni (foto Tour du Rwanda)
Di pubblico ce n’era tanto?
Tantissimo. Diverso rispetto a quello a cui siamo abituati di solito perché non sono appassionati di ciclismo ma curiosi. E’ un paesaggio particolare, nel quale si attraversa una foresta e ogni due o tre chilometri ti trovi un villaggio pieno di gente sulle strade. In particolare bambini. Vi racconto un aneddoto.
Dicci.
Non riguarda direttamente me ma un massaggiatore del team. La sera dopo la tappa è andato a correre e lo stavano seguendo tanti bambini. Ad un certo punto si è accorto che uno di loro aveva delle scarpe ai piedi, era l’unico. Però erano slacciate, nel fargli il nodo il bambino lo guardava ammirato e appena fatto non ha smesso di ringraziarlo. Da un lato è un gesto che magari può anche far sorridere però ti lascia qualcosa dentro.
La corsa ha attraversato diversi villaggi dove molta gente si è riversata lungo le strade (foto Tour du Rwanda)Tra i curiosi c’erano molti bambini, per loro rimane un’esperienza nuova e unica (foto Tour du Rwanda)La corsa ha attraversato diversi villaggi dove molta gente si è riversata lungo le strade (foto Tour du Rwanda)Tra i curiosi c’erano molti bambini, per loro rimane un’esperienza nuova e unica (foto Tour du Rwanda)
Entri in contatto con un mondo totalmente diverso…
E anche i valori cambiano. In questi giorni ho visto spesso delle persone, dei bambini, che per una borraccia vuota ti fanno un sorriso enorme. Per loro ha un valore altissimo, ma non perché siano tifosi, ma per il significato che questa gara rappresenta per loro. E’ una novità, un qualcosa che li incuriosisce. Dopo un’esperienza del genere cambia un po’ la percezione di cosa sono le cose importanti.
Com’è il Rwanda al di fuori della capitale, Kigali?
Verde, anzi verdissimo. Poi ci sono dei posti immersi nella natura incontaminata. Durante la quinta tappa siamo passati in un parco naturale e c’erano dei posti che tra una fatica e l’altra ho alzato lo sguardo e sono rimasto a bocca aperta. Nelle città c’era tanta diversità rispetto agli hotel in cui eravamo noi che comunque erano di buonissimo livello. Nelle città intorno comunque c’è molta povertà, cosa che si trova meno a Kigali. Comunque è un’esperienza di vita che vale la pena vivere, sono contento di essere venuto.
La tappa di Cerler se la sono giocata Ayuso e Frigo. Vince lo spagnolo e si riscatta dopo il flop di ieri. Ma Frigo combatte e ha un sasso nella scarpa